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L’impiego decisivo dei missili STINGER nella guerra russo-afgana

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO
FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE
TESI DI LAUREA
IN
STUDI STRATEGICI
L’IMPIEGO DECISIVO DEI
MISSILI “STINGER”
NELLA GUERRA RUSSO-AFGANA
Relatore:
Prof. Valter Maria CORALLUZZO
Candidato:
Umberto ORLANDI
Matr. 093326
ANNO ACCADEMICO 2003-04
Ai miei genitori,
per il loro affetto.
INDICE
Cap.
Par.
TITOLO
Pag.
INDICE ……………………………………………………………………..
i
INTRODUZIONE ……………………………………………………….…
1
LA GUERRA RUSSA IN AFGHANISTAN .……………………………
6
I.1
La fine della Guerra Fredda e la Guerra Russa Afgana……………………...
7
I.2
Il “Grande Gioco” e la Politica di Potenza ….…………………………….
11
I.3
Le possibili cause dell’invasione e la logica sistemica della guerra fredda.
13
I.4
La dottrina di guerra russa e gli ostacoli naturali ……….............………...
19
I.5
La guerriglia afgana e la jihad islamica ………………….………………...
25
I.6
Il sostegno internazionale…………….………………………………………..
29
I.7
I lati conflittuali di un paradigma interpretativo:
la guerra fredda e la guerra russa-afgana ……….…………………………..
32
II
FEDE E TECNOLOGIA: JIHAD E STINGER ........……………............
35
II.1
Le fasi della guerra russa-afgana …………………………………...………
36
II.2
Le tattiche delle unità russe ………...….……….........................………….
42
II.3
Le tattiche della guerriglia afgana …………….………...............…………
47
II.4
L’impiego strategico del sistema missilistico contraerei stinger .............
52
II.5
L’impiego tattico del sistema missilistico contraerei stinger …..............
60
II.6
Le caratteristiche essenziali del missile stinger …………………….…….
68
II.7
L’addestramento e le vie di rifornimento ………………………………...
75
II.8
Limitazioni e complicazioni di impiego ………………………………….
83
II.9
Lo stinger e la ritirata delle truppe russe dall’Afghanistan …………..…..
87
III
LE BATTAGLIE DETERMINATI DELLA “1^ GUERRA DI FAGLIE”
89
III.1
Le operazioni “block and destroy” contro la guerriglia……………………
90
I
i
III.2
Attacchi condotti nelle aree urbane e montane …………………………..
97
III.3
L’impiego delle unità paracadutiste russe…………………………………..
105
III.4
L’impiego degli elicotteri russi e l’inefficacia delle armi
controaerei della guerriglia (prima del settembre 1986) …………………
107
III.5
L’impiego dello stinger e la fine della“1^ guerra di faglie” ………………
120
CONCLUSIONI …………………………………………………………...
127
BIBLIOGRAFIA …………………………………………………………...
133
GLOSSARIO ………………………………………………………………
138
ii
INTRODUZIONE
Ormai superata la soglia del 3° millennio l’umanità intera prende atto del
fatto che le speranze riposte nell’evoluzione moderna del capitalismo (la
Società dell’Informazione) e nella globalizzazione dei popoli presentano
aspetti sempre più paradossali. Infatti, il rischio non solo per i Paesi
Sviluppati, ma per l’intera civiltà umana, è quello di una concreta e reale
distruzione della Storia e con essa dell’uomo.
Lo scontro fra civiltà (occidente vs islam) che sta caratterizzando questa fase
storica del XXI sec. rende necessaria un’analisi più attenta di quelle che sono
le determinanti e il quadro di lettura dell’evoluzione storica non solo dei
paesi occidentali ma anche di quelli in via di sviluppo.
Se si analizza la storia degli ultimi decenni, numerosi potrebbero essere gli
esempi e gli spunti di riflessione, che potrebbero fornire elementi essenziali
per comprendere la realtà odierna. Tuttavia, si è preferito concentrare
l’attenzione soprattutto sulla guerra russa-afgana per i seguenti motivi:
a. la guerra costituì un fattore determinante per la crisi dell’impero
russo;
b. l’Afghanistan rappresenta ieri, come oggi, un teatro di guerra, scontri,
morte e distruzione;
1
c. il ruolo determinante della guerriglia afgana;
d. il ruolo determinante della religione islamica e del fondamentalismo;
e. l’impotenza della tecnologia e della forza contro la guerra di popolo
condotta da uomini determinati anche a sacrificare la propria vita;
f. molti combattenti hanno partecipato a numerose “guerre di faglie”
che hanno caratterizzato le guerre di ordinamento ed oggi contro
l’asse anglo-americano in Afghanistan e in Iraq;
Per introdurre il complesso tema della guerra russo-afgana, si è ritenuto
opportuno tracciare in modo sistematico il quadro di riferimento nel quale si
è sviluppata la politica di potenza russa per la conquista dell’Heartland. Il
tentativo sarà quello di individuare gli scopi palesi e non di una tale influenza
diretta, indiretta, militare, economica, ideologica e culturale di una super
potenza in un paese non-comunista e non-ortodosso. Successivamente
occorre tracciare una possibile correlazione fra la guerra Russa-Afghana e la
fine della guerra fredda.
Una volta ottenuto il quadro strategico generale sarà possibile individuare
l’insieme di ostacoli naturali ed artificiali che hanno bloccato e logorato una
parte dell’Armata Rossa nel periodo 1979-89 (Cap.I).
Dopo aver individuato gli ostacoli sarà necessario analizzarli nella
prospettiva temporale e spaziale della guerra. In particolare la guerriglia
islamica (crogiuolo di diversi popoli e culture, ma accomunati dalla stessa
2
fede in Allah) ha contribuito in modo diretto a contrastare e sconfiggere
l’esercito sovietico. La situazione frammentaria delle numerose tribù,
nonostante costituisse un fattore di divisione e di fragilità, rappresentò un
elemento determinante per decimare l’Armata Rossa e i soldati afgani filo
sovietici. Si tenterà in particolare di approfondire le tecniche di guerriglia,
l’addestramento, i contributi dei Paesi esterni di supporto, e soprattutto
l’importanza dell’impiego del sistema missilistico Stinger. Una tale lettura
tecnica e specialistica potrebbe fornire numerosi spunti di riflessione e
soprattutto ammaestramenti per il presente ed il futuro (Cap.II).
Successivamente sarà necessario donare al quadro sopra descritto, una
cornice adeguata capace di esaltare ed evidenziare le luci, i colori, le forme e
soprattutto le ombre di un conflitto che ancora oggi conserva un fascino
misterioso.
In particolare, da una posizione plurifocale e in un’ottica asettica, saranno
analizzate una serie di battaglie che evidenziano le tattiche, le tecniche e le
tecnologie che si sono palesate in circa un decennio di guerra non solo sul
suolo afgano, ma anche in territorio russo.
L’impiego del sistema missilistico Stinger, di concezione americana, ha
tuttavia contribuito a riequilibrare le sorti di un conflitto che sembrava ormai
attribuire all’URSS il primato. L’impiego strategico e tattico del micidiale
3
sistema d’arma ha ridato slancio e vigore alla guerriglia, tanto da potenziare le
operazioni offensive in territorio russo.
Quando la guerra di faglie da un lato stava per trasformarsi nell’inizio della
3^ guerra mondiale e dall’altro nell’espansione della jiahad a livello mondiale,
l’URSS – caratterizzata da un processo di rivoluzione politica interno e nel
quadro di un processo di distensione a livello internazionale – ha fatto una
scelta morale: ritirare le truppe di occupazione dal suolo afgano (Cap. III).
In conclusione, il contributo innovativo di questa tesi sarà:
1. fornire una
possibile
interpretazione
delle
cause
storico-
economiche-ideologiche che hanno determinato ed alimentato il
crollo dell’URSS, la fine della Guerra Fredda e la ritirata
dall’Afghanistan (Cap.I);
2. analizzare le tecniche della guerriglia afgana nell’impiego dei missili
Stinger (Cap.II);
3. fornire una cornice adeguata ai temi trattati nella tesi ed in
particolare fornire una possibile interpretazione delle cause che
sono alla base del nuovo scenario geo-strategico post guerra fredda e
post guerra russa-afgana (Cap.III).
Questo terzo aspetto costituisce la componente innovativa che intende: a.
superare le note ed annose frizioni politiche ed ideologiche attuali e del
passato; b. affrontare i temi della “politica di potenza” e dello “scontro fra
4
civiltà” in una visione pluri-focale più ampia ed esaustiva, che tuttavia non
pretende di essere universalista e statica.
5
CAPITOLO I
LA GUERRA RUSSA IN AFGHANISTAN
Scopo di questo capitolo è quello di analizzare i fattori determinanti che
hanno contribuito a scatenare l’invasione russa in Afghanistan alla fine degli
anni ’70. Un’invasione che può essere letta alla luce della nota teoria della
politica di potenza ma che invece di rafforzare il prestigio ed il potere russo a
livello internazionale non ha fatto altro che indebolire militarmente ed
economicamente il paese, tanto da risultare perdente nel confronto con l’altra
superpotenza: gli USA.
La guerra russo-afghana può essere intesa, dunque, come fattore
determinante della fine di un’era di stabilità e l’inizio di una fase di instabilità
a livello internazionale, che inizialmente ha caratterizzato aree limitate-locali
e dopo l’11 settembre 2001 ha coinvolto l’intero globo: la guerra contro il
terrorismo globale. Ma da un’attenta lettura del bipolarismo risulta chiaro
che le cause della 4^ guerra mondiale (1^ guerra globale) sono i “ritorni di
fiamma” connessi alla guerra fredda.
6
I.1 La fine della Guerra Fredda e la Guerra russo-afgana
Nel sistema bipolare della “Guerra Fredda”, caratterizzata da una logica
dialettica, dove erano contrapposte due ideologie, due culture, due storie, due
sistemi economici (URSS vs USA), ogni fenomeno veniva letto ed
interpretato in un quadro sistemico e sistematico. Tuttavia da qualche
decennio questa logica sistemica sembra essere venuta meno e con essa
l’ordine mondiale. L’aumento del disordine delle relazioni internazionali e
l’escalation dello scontro fra civiltà (in particolare fra quella Occidentale e
Islam) sembra sempre più caratterizzare questa fase storica del nuovo
millennio. Questa fase post-guerra fredda, definibile come periodo delle
“guerre di ordinamento spaziale globale” (Mini 2003, p.29), a dire il vero ha
avuto una breve durata, perché è già terminata! I fallimenti di questi tentativi
e i rischi connessi ad un sistema internazionale non uni-polare ma anzi multipolare (fortemente squilibrato ed eterogeneo1) furono fin da subito
preannunciati ed evidenziati da numerosi studiosi (Huntington 2003, p.27).
Questa caratteristica “anarchica” del sistema internazionale, dovuta al
riemergere da un lato dell’interesse nazionale e vitale, e dall’altro dal
1
Squilibrato per dimensione dei comportamenti ed eterogeneo per la presenza di diversi
sistemi socio-culturali difficilmente integrabili (Portinaro 1996, p.31; Huntington 2003).
7
rafforzarsi di alcune grandi civiltà, a lungo andare ha comportato una
maggiore probabilità di conflitti armati. In particolare il mondo, secondo la
maggior parte di questi esperti, si sarebbe diviso in due: da un lato i popoli
orientati a condurre una guerra per la stabilità e la democrazia (Occidente) e
dall’altra quelli orientati alla guerra di sterminio, alla guerra del fanatismo
(Non Occidente2). (Portinaro 1996, pp. 30-51; Gleditsch e Ward 2000; Mini
2003; Huntington 2003).
In questi ultimi dieci anni pochi hanno dato peso a queste interpretazioni e
teorie3, ma dal settembre 2001 qualcosa è mutato4: la guerra ha di nuovo
assunto i caratteri totalitari, tanto che l’attributo più appropriato sembra
essere quello di “guerra globale”, dove a scontrarsi sono le civiltà eterogenee e
non solo singole fazioni.
Si tratta della prima guerra globale5, perché è:
2
Dove la categoria dialettica “Non Occidente” indica una realtà eterogenea e costituita da
una moltitudine di culture e civiltà diverse (Huntington 2003, p.54).
3
Basti pensare che nel 1992 il professore Donal Snow, docente di scienza della politica
all’Università dell’Alabama, dichiarava che “il terrorismo non costituisce un grande
problema per gli USA”, ma un anno dopo veniva pubblicato un saggio di Huntington dal
titolo: “Scontro tra le civiltà”.
4
Dopo il nine eleven ritorna alla ribalta il lato conflittuale del capitalismo connesso
soprattutto alla matrice economica. Riemerge, in particolare, la contrapposizione fra
occidente ed élite araba per il controllo del petrolio saudita. “Non a caso il suo simbolo più
intenso sta nell’abbattimento delle due torri del WTC, e non del Pentagono, ossia
dell’espugnazione dell’acropoli economica e non della cittadella militare” (Galli 2002,
p.73). Tuttavia, affianco a questa interpretazione basata su una contrapposizione fra civiltà
occorre considerare la spirale di odio e violenza connessa alla strumentalizzazione delle
religioni (Juergensmeyer 2003).
5
Il tema della guerra globale in questi ultimi anni viene affrontato in modo più dettagliato,
in particolare si tenta di andare oltre alle tradizionali categorie interpretative dialettiche del
passato ed individuarne quelle innovative che sono connesse all’emergere della
globalizzazione (Galli 2002, p.43). Il Riotta, inoltre, nel suo libro: “La I^ guerra globale”
evidenzia il dilemma che esiste a livello politico-culturale nel definire la moderna guerra al
8
a. la prima guerra mondiale dopo la fine della guerra fredda;
b. una guerra che va oltre le tradizionali categorie concettuali e
dialettiche: cultura/civiltà/religioni/sistema economico;
c. la prima guerra dell’era globale, perché è un modo d’essere della
globalizzazione (Galli 2002, p.58).
Se si volessero dunque fornire degli attributi per definire l’evoluzione del
capitalismo alle soglie del XXI sec., la scelta più appropriata sembra ricadere
sulla coppia dialettica: stabilità-instabilità. A livello internazionale, infatti, da
un lato si assiste agli sforzi compiuti per raggiungere una condizione di
stabilità ma dall’altro si evidenziano le contraddizioni interne al sistema
capitalistico che hanno generato e condotto all’instabilità6. Queste
“contraddizioni interne portano inevitabilmente allo scontro per la conquista
dei mercati e delle fonti di materie prime” (per esempio il petrolio, acqua ed
altre risorse strategiche) (Hirschman 1987, p.57).
L’umanità intera rivive nuovamente l’esperienza devastante e totale della
guerra con il suo fardello di sofferenze e drammaticità. Una guerra (i cui scopi
terrorismo. In particolare lo studioso americano Cohen è convinto che si tratti della 4^
guerra mondiale (successiva alla 3^ - guerra fredda) ma visti invece gli effetti della stessa
sul commercio, sulla cooperazione e gli scambi internazionali è forse più opportuno parlare
di 1^ guerra globale (Riotta 2003, p.241).
6
L’evoluzione del capitalismo verso una Società dell’Informazione ha prodotto una “nuova
aristocrazia cosmopolitica …. Per natura poco predisposta a porsi i problemi di sicurezza
collettiva ... e dunque incapace a percepire minacce di lungo periodo” (Portinaro 1996,
p.34). Tale sottovalutazione connessa all’evoluzione del concetto stesso di guerra in termini
strategici, militari, economici e ideologici hanno alimentato il fattore sorpresa strategica
negli attentati del 11/09/01. Pertanto questo carattere di instabilità non è esogeno, non
9
manifesti sembrano differire da quelli sottaciuti) a cui è possibile attribuire
una molteplicità di interpretazioni e di significati7 e che potrà avere
numerose
conseguenze
e
ripercussioni
sull’ordine
e
la
stabilità
internazionale8.
Allora ci si chiede come sia possibile che dopo una fase ciclica di circa 50
anni, dove i rapporti internazionali hanno avuto una lettura lineare e
sistemica, oggi i tradizionali sistemi interpretativi siano inefficaci? Lo sforzo
che deve essere fatto è, dunque, quello di individuare delle possibili chiavi di
lettura del nuovo scenario geo-strategico che possono contribuire a
determinare un nuovo paradigma interpretativo. Un insieme di linee guida che
in modo approssimativo possono supportare il mondo politico-economicosociale.
Tradizionalmente si è portati a pensare che la Guerra Fredda (3^ guerra
mondiale) ha contribuito a garantire - tutto sommato - una condizione di
“Pace condizionata”. La fine di questa fase storica della civiltà umana,
proviene dall’esterno, ma dipende da fattori in tutto e per tutto interni (Marramao 2003,
p.146).
7
In una visione geopolitica moderna “per la prima volta nella storia le truppe di un impero
prevalentemente marittimo come quello anglo-americano si troverebbero molto prossime al
cuore dello Heartland, o nucleo euroasiatico, il cui controllo dovrebbe bilanciare il
dominio degli oceani,… controllando la massima parte delle risorse petrolifere presenti e
future del pianeta” (Armellini 2001, p.43). Inoltre secondo Halfard Mackinder, l’Heartland,
da sempre sfuggito alle potenze anglosassoni, è la posta in palio della geopolitica di ogni
tempo (Galli 2002, p.76).
8
Per Hegel la storia procede attraverso un continuo processo di conflitti fra Paesi, civiltà,
fazioni, classi sociali. In particolare le società con gravi contraddizioni interne possono
essere sconfitte e sostituite da altre società/civiltà capaci di superare le contraddizioni
interne (Fukuyama 2003, p.81). Il rischio reale di questa guerra reale, connessa alle
10
iniziata alla fine del secondo conflitto mondiale, può essere datata con il
1989. Questa data rappresenta:
a. la crisi politica economica dell’impero Russo;
b. la disgregazione dell’insieme di alleanze dirette ed indirette della
grande super-potenza russa;
c. la fine della contrapposizione URSS-USA;
d. l’emergere, incondizionato, del modello economico capitalistico;
e. la fine della Guerra russo-afghana;
Con molta probabilità la guerra russo-afghana ha forse sferrato il colpo
definitivo ad un intero sistema in difficoltà, non capace di sostenere il
confronto con gli USA.
Risulta pertanto necessario analizzare nel dettagliato questa guerra per poter
verificare se esiste una qualche correlazione fra i due eventi.
I.2 Il “Grande Gioco” e la Politica di Potenza.
La Guerra russo-afghana inizia nel dicembre del 1979, ma le motivazioni e
soprattutto le chiavi di lettura che hanno portato l’URSS ad “invadere”
l’Afghanistan sono da ricercare in:
contraddizioni interne al capitalismo potrebbe essere la sconfitta dell’Occidente e del
capitalismo stesso.
11
a. il “Grande Gioco” e la conquista dell’Heartland;
b. la politica di potenza.
Storicamente le regioni dell’Asia centrale hanno sempre rappresentato un
motivo di contesa fra le principali potenze mondiali. Per esempio già a
partire dal 1830 l’Afghanistan è stata terra di conquista ed influenza da parte
dell’URSS e della Gran Bretagna (si veda Amstutz 1987; Grau e Gress 2002,
p.7). Nel 1907 queste due grandi potenze raggiunsero una tregua temporanea:
Convenzione di San Pietroburgo (Amstutz 1987, p.4). L’Afghanistan in
tutto ciò ha sempre giocato un ruolo passivo ed ambiguo tanto da allearsi
temporaneamente con l’una o con l’altra potenza per ottenere aiuti concreti
(come oro, argento, beni agricoli, armi).
A partire dal 1921 i rapporti commerciali russi-afghani si intensificarono ed
in particolare furono ceduti agli afgani: 11 aerei (con piloti e tecnici), linee
telefoniche, industrie tessili, vie di comunicazione. Tuttavia questa
situazione di pace e di relazioni commerciali proficue fu interrotta con le
prime incursioni militari dell’Armata russa negli anni ’29 e ’30.
Queste pretese espansionistiche della Russia, vennero in parte facilitate a
partire dal 1947, cioè da quando la gran Bretagna abbandonò l’India9.
9
Tuttavia nuovi Paesi confinanti: Iran, India e Pakistan in modo diretto o indiretto
temendo una probabile espansione dell’impero russo sostennero la ribellione afgana.
12
A partire dagli anni ’50 l’Afghanistan iniziò un processo di ripresa
economica e sociale dimostrando buone capacità di impiegare in modo
efficiente gli aiuti concessi. Modernizzò le forze armate per sopprimere
eventuali rivolte tribali e per rafforzare il potere e l’autorità nazionale. La
Russia rappresentava il principale partner commerciale, in particolare per
quanto atteneva alle armi, all’addestramento10 (molti ufficiali venivano inviati
a Mosca per seguire corsi), ai beni agricoli. La Russia stava mettendo in atto
un politica di potenza11, manifestando l’effetto influenza (come quella della
Germania pre-guerra) per poter conquistare il cuore del mondo e vincere
pertanto il Grande Gioco (Amstutz 1987, p.22).
I.3 Le possibili cause dell’invasione e la logica sistemica della
guerra fredda.
A distanza di tanti anni dall’inizio dell’invasione russa in Afghanistan ancora
numerose sono le interpretazioni che tentano di fornire una possibile
spiegazione12.
10
La classe dirigente delle Forze Armate (circa 4000 ufficiali) veniva sempre più influenzata
dalla cultura russa ed in particolare comunista, ciò portò nel 1963 addirittura a sostituire i
tradizionali ufficiali turchi (coordinatori delle F.F.A.A. afgane) con più ufficiali russi.
11
Hirschman distingue due effetti del commercio estero sulla condizione di potenza di un
Paese: effetto offerta ed effetto influenza. Il primo di queste serve come “strumento per
incrementare l’efficacia della pressione militare che un Paese può gravare su altri”; il
secondo invece presuppone la sostituzione della guerra con la pressione economica
(Hirschman 1987, p.76).
12
Nel 1995 ad Oslo si riunirono esperti russi, americani ed esperti internazionali in una
tavola rotonda al fine di rileggere gli eventi del decennio ’79-’89 allo scopo di fornire un
13
N°
MOTIVAZIONI OGGETTIVE
POSSIBILE
SPIEGAZIONE
DA PARTE RUSSA
1
2
Prestigio
Destabilizzazione dei confini
meridionali dell’impero russo e
minaccia alla sicurezza
Sembra che gli USA (CIA) stessero
sostenendo alcuni capi tribù nella
lotta contro il potere centrale del
partito PDPA negli ultimi due anni13
3 Debolezze del governo locale
Difficoltà nel gestire le continue e
numerose rivolte di tribù locali.
Pertanto l’intervento armato russo si
potrebbe configurare come una
operazione di Peace Making.
4 Corruzione del governo locale e Amin era considerato un uomo
possibili accordi con gli USA
ambiguo (infatti fu prontamente
assassinato)
5 Problemi geo-strategici
Gli USA controllavano:
- Iran;
- Oceano Indiano;
- Pakistan;
E tentavano di controllare anche
l’Afghanistan
allo
scopo
di
rafforzare la propria presenza su
tutta l’area.
6 Politica di potenza della Russia Espansione verso sud allo scopo di:
- aumentare i partner
commerciali;
- conquistare e gestire i porti
dell’oceano indiano,
ottenendo dunque uno
sbocco al mare;
7 Controllare un paese non- L’Afghanistan rappresentava per il
comunista e non-ortodosso
regime comunista un terreno fertile
per testare le capacità dell’impero di
esportare il proprio
sistema
economico
e
dimostrare
al
mondo
ventaglio di spiegazioni che potessero colmare eventuali lacune connesse ad interpretazionile
o letture di parte (Cooley 2000, p.33).
possibilità di vittoria.
13
Le versioni ufficiali americane ribadiscono il fatto che gli aiuti ai mujahideen si sono
avuti solo a partire dal 1980, pertanto dopo l’invasione (Cooley 2000, p.40). Tuttavia la
versione ufficiale russa giustificava l’intervento come forma di sostegno ed aiuto al governo
afgano, nel rispetto degli accordi bilaterali, al fine di prevenire eventuali attacchi di Paesi
confinanti (Grau e Gress 2002, p.1).
14
8
1
2
3
4
1
2
esportare il proprio
sistema
economico e dimostrare al mondo le
possibilità di vittoria.
Creare una barriera contro il L’URSS temeva l’espandersi del
dilagare della fede musulmana
fondamentalismo islamico (come in
Iran) nelle regioni meridionali del
proprio impero. Pertanto voleva
realizzare un primo baluardo contro
il diffondersi di questo sistema
politico-religioso destabilizzante.
DA PARTE USA
Far provare all’URSS
Nonostante l’URSS avesse già
l’esperienza frustrante di una
affrontato la guerriglia negli anni
guerra senza vittoria contro la
precedenti soprattutto in Cecenia, fu
guerriglia (come l’esperienza
sconfitta come un “orso” dalla
vissuta dagli USA in Vietnam)
guerriglia afgana.
Far saltare gli accordi SALT II di Si fa fatica a comprendere il parziale
Vienna
disgelo fra USA-URSS su temi di
carattere internazionale
Spingere l’URSS ad intervenire
Lo scopo era quello di indebolire
l’URSS
economicamente
e
moralmente; la guerra, come un
“buco nero”, avrebbe risucchiato
risorse economiche ed umane.
Contesa di risorse petrolifere e Sembra che, già a partire dal 1979,
minerarie nella regione a sud del società americane fossero state
fiume Amu.
interessate alla realizzazione di
oleodotti (Cooley 2000, p.43;
Amstutz 1987; Yousaf e Adkin
2001, p.190)
DA PARTE AFGHANA
Richiesta di intervento armato
Il neo governo marxisista per cause
russo da parte del governo
interne ed esterne stava per
afgano (Taraki e Amin)
collassare (Amstutz 1987, p.40).
Per evitare perdite di prestigio, che
avrebbero innescato una reazione a
catena in tutti gli altri Paesi satelliti
dell’impero fu applicata la dottrina
BREZHNEV (Amstutz 1987, p.42)
tentativo
di
indipendenza Dopo la seconda guerra mondiale
dell’Afghanistan
l’Afghanistan aveva tentato una
crescita economica, politica e
culturale autonoma, senza tuttavia
mai riuscirvi a causa della continua
15
dipendenza dalla Russia.
dell’Afghanistan
l’Afghanistan aveva tentato una
crescita economica, politica e
culturale autonoma, senza tuttavia
mai riuscirvi a causa della continua
dipendenza dalla Russia.
Tab. I.1 Le possibili cause dell’invasione russa
Questa guerra/invasione, che in tutti questi anni ha suscitato un grande
interesse, può essere intesa come una guerra per procura o meglio ancora
come una guerra di faglie14, dove a scontrarsi indirettamente erano le due
grandi super-potenze: USA e URSS (Amstutz 1987, p.21).
Tuttavia risulta molto strano che l’interesse americano non fu immediato e
che anzi
l’Afghanistan
non
rientrasse
nei
progetti
geo-strategici
dell’amministrazione Carter (e dei suoi predecessori). Infatti gli americani
temevano un consolidarsi dell’asse afghano-pakistano con possibili ed
inevitabili risvolti pericolosi per l’economia nazionale. Infatti avrebbero
potuto minacciare/alterare l’equilibrio del mercato petrolifero controllando i
Paesi arabi o gli oleodotti. Pertanto i contributi in termini di supporto
strategico e tattico negli anni pre-guerra furono molto ridotti, basti pensare
che nel periodo 1958 - 1978 solo 480 ufficiali afgani parteciparono a corsi
14
Le guerre di faglie sono “guerre locali tra gruppi locali dotati di più ampie connessioni e
che quindi stimolano tra le parti belligeranti una più stretta identificazione con le rispettive
civiltà di appartenenza”. La prima guerra di faglia secondo l’autore è proprio la guerra russaafgana, nata dall’invasione militare di un paese da un altro, per poi trasformarsi ed essere
definita in termini di guerra di civiltà. Ma più in generale ha rappresentato il passaggio
verso un’epoca dominata da conflitti etnici e da guerre di faglia tra gruppi appartenenti a
civiltà diverse (Huntigton 2003, pp.364-397).
16
militari negli USA (contro i 3725 nello stesso periodo organizzati dalla
Russia) (Amstutz 1987, p.21).
La Russia, come si è detto sopra, ha sempre nutrito un grande interesse per
l’Afghanistan, tanto che la dipendenza di questo paese divenne totale,
soprattutto in termini militari15 ed economici.
Una delle possibili giustificazioni agli aiuti concessi dall’impero Russo sono
da ricondurre, forse, al tentativo di sperimentare per la prima volta la
capacità di espandere la propria influenza in aree che per tradizione non
erano né comuniste, né tanto meno ortodosse. Questi aiuti, tuttavia,
risultavano essere di bassa qualità se confrontati soprattutto con quelli
provenienti in forma limitata da altri paesi, fra i quali gli USA16.
Forse proprio questa eccessiva dipendenza da una super-potenza, che però
non garantiva prospettive di sviluppo per l’intera popolazione, portò
gradualmente l’Afghanistan a maturare e nutrire un sentimento di sviluppo
senza la Russia. Questa tesi trova una conferma nel fatto che alla fine degli
anni ’70 alcune società petrolifere europee ed americane erano state
interessate a sviluppare progetti di investimento nell’area a nord
dell’Afghanistan, ricca di petrolio (Amstutz 1987, p.27). Ma questi tentativi
15
Gli Afgani dovevano far obbligatoriamente riferimento ai Russi per la ricambistica, la
logistica, le munizioni, l’addestramento, la tecnologia, il gasolio. In altre parole
l’Afghanistan non avrebbe mai potuto condurre operazioni militari senza il consenso russo
(Amstutz 1987, p.22).
17
di apertura dell’Afghanistan ad Occidente trovarono numerosi ostacoli non
solo da parte della Russia, ma anche e soprattutto da parte del governo locale
che a partire dall’aprile del 1978, dopo un colpo di stato militare, era nelle
mani del Partito Democratico del Popolo dell’Afghanistan (PDPA)17 che
diede vita alla Repubblica Democratica dell’Afghanistan (DRA).
Questo governo, ritenuto da molti filo-russo, per circa un anno dovette
affrontare numerose ribellioni interne condotte da tribù locali e da leader della
fazione opposta o dell’altra ala del partito comunista. A partire dalla
primavera del ’79 Taraki chiese l’intervento di truppe russe, sulla base di
accordi bilaterali russi-afghani, per riportare l’ordine e la stabilità interna al
paese. Ma la situazione sembrò degenerare nel dicembre dello stesso anno. In
pochi giorni le truppe russe superarono il fiume Amu Darya e si dislocarono
nella capitale del Paese: Kabul. Dopo tanti decenni finalmente il “Great
Game” sembrava18 essere stato vinto (Amstutz 1987, p.48).
La strategia russa, dopo aver eliminato Amin, era quella di coordinare le forze
della DRA e rafforzare il potere del nuovo leader Babrak (filo comunista ed
anti-americano) nel tentativo di allargare la stabilizzazione del paese a partire
da Kabul. La speranza era quella di controllare l’intero territorio in un anno,
16
Basti pensare che gli aiuti americani, pur rappresentando il 42% di quelli russi,
risultavano essere di qualità superiore e più efficaci se visti in un’ottica di lungo periodo.
17
Il PDPA nasce clandestinamente nel 1965 sotto la spinta di Mosca e del KGB.
18
Infatti dopo qualche mese la Russia iniziò a sperimentare il livello di illusione
raggiunto, poiché si era in grado di controllare ben poco. La situazione militare ben presto
18
ma numerosi furono gli ostacoli di diversa natura che impedirono di
raggiungere questo risultato. I principali ostacoli sono stati:
a. naturali19:
1. conformazione del terreno;
2. idrografia;
3. condizioni climatiche;
4. situazione economica e di sviluppo del Paese.
b. artificiali:
1. guerriglia;
2. aiuti e sostegno internazionale.
La combinazione ed interrelazione di queste due tipologie di ostacoli ha
indebolito una super-potenza, tanto da condurla sull’orlo della disgregazione.
I.4 La dottrina di guerra russa e gli ostacoli naturali.
I classici principi della guerra, frutto di secoli di battaglie, di studi, di
discussioni accademiche e di evoluzioni tecnologiche, una volta applicati allo
scenario afgano risultavano inadatti.
diventò critica: uomini,materiali, mezzi e soprattutto morale molto basso (Amstutz 1987,
p.53).
19
Per l’economia di questa tesi risulta essere più pregnante l’analisi degli ostacoli di
carattere artificiale, allo scopo di sottolineare il grado di importanza che questi hanno
19
La dottrina russa prevedeva lo sfruttamento delle risorse locali. Un adeguato
ed aderente sostegno logistico alle formazioni operative avanzate doveva
essere trovato in loco attraverso imprese o industrie locali. Tuttavia
l’ambiente naturale e soprattutto il livello di sviluppo economico nazionale
dell’Afghanistan (solo 300 imprese concentrate esclusivamente nella zona di
Figura I.1 Quadro d’insieme.
rivestito non solo nel quadro del conflitto locale ma soprattutto nella prospettiva temporale
e spaziale che giunge alle soglie del terzo millennio.
20
Kabul) non erano in grado di fornire un tale sostegno. Inoltre le limitate
imprese locali, incapaci di soddisfare in tempo di pace la domanda nazionale,
non erano idonee ad una riconfigurazione per il sostegno dell’economia di
guerra e soprattutto per supportare in termini logistici (riparazioni,
rifornimento di ricambistica, viveri, ecc..) le unità operative russe dislocate in
territorio afgano.
L’Afghanistan è un paese situato nelle regioni centrali del continente asiatico
a circa 500 km dall’Oceano Indiano, con un’estensione di circa 655.000 kmq.
Il suo perimetro di 5421 km è in comune con URSS (2348 km), Iran (820
km), Pakistan (2180 km) e Cina (73 km); questi confini sono per lo più
caratterizzati da fiumi e monti (si veda Fig.I.1).
L’Afghanistan è un Paese desertico-montano subtropicale caratterizzato
dall’alternarsi sinuoso di aree montuose ed altopiani. Circa l’85% del
territorio è montuoso e le principali catene montuose dividono il Paese in due
regioni: quella a Nord e quella a Sud. Fra queste due regioni è situata una
vasta area desertica ed arida (si veda Fig.I.2)
Le catene montuose del Paropamisus e Hindu Kush che delimitano la regione
nord (soprattutto al confine con l’URSS e l’Iran). Si estendono per circa
1200 km con un’ampiezza media di 300-500 km ed una quota media che
oscilla fra i 2000 e i 7750 m.
21
Figura I.2 Caratteristiche orografiche e morfologiche.
Invece il confine con il Pakistan è delimitato dalla catena montuosa del
Suleiman che si estende per circa 700 km con un’ampiezza media di circa
250-400 km ed una quota compresa fra 2000 e 3500 m. Queste montagne si
snodano in modo parallelo tanto da formare una serie di aridi canyons che
rappresentano le principali vie di accesso al Paese da sud.
Pertanto circa il 20% del territorio pianeggiante (Gazni-Kandahar) è
compreso fra queste due catene montuose.
22
L’Afghanistan presenta una rete di strade poco sviluppata, ci sono circa
19000 km di strade. I principali nodi di questa rete sono: Kabul, Puli
Khumri, Mazar-e sharif, Andkhoy, Herat, Kandahar. Unendo questi punti si
ottiene un cerchio. Tuttavia solo il 25% delle strade sono asfaltate, tutte le
altre sono molto polverose. Sulla rete di strade asfaltate possono circolare in
media 6000-8000 veicoli al giorno, invece sulle strade polverose il tasso di
circolazione è di circa 2-3 volte inferiore (si veda Fig.I.3).
Figura I.3 Principali vie di comunicazione.
Le difficoltà di circolazione sono in genere dovute a:
a. larghezza della carreggiata (3-10 m);
b. presenza di ponti;
c. gallerie/passi montani;
23
d. impraticabilità per condizioni meteo avverse (soprattutto d’inverno).
I fiumi si snodano lungo il territorio in modo irregolare e soprattutto nelle
zone montuose. Invece nelle zone pianeggiati non esiste una buona rete di
canali e per la maggior parte dell’anno sono aridi, tanto da condizionare lo
sviluppo del Paese. I principali fiumi sono: Amu Darya (che rappresenta lo
storico confine naturale con l’URSS), Helmand (a sud del Paese) e Kabul
(nella zona ad est).
Il clima dell’Afghanistan è molto variabile ed oscilla fra quello subtropicale e
quello continentale, in particolare è molto accentuata l’escursione termica fra
il giorno e la notte. Il mese più caldo in quasi tutte le regioni è Luglio con
temperature medie comprese fra 30° e 52°; invece quello più freddo è
Gennaio con temperature medie comprese fra -2° e -14°. La neve può
raggiungere anche 2 metri di altezza costituendo un vero ostacolo alla
mobilità.
Le condizioni climatiche permettono limitate operazioni militari all’interno
delle zone centrali solo in estate e primavera. Durante l’inverno, infatti, i
climi estremamente rigidi impediscono qualsiasi attività (terrestre ed aerea).
Le forti piogge e le tempeste di neve ostacolano ricognizioni e qualsiasi
operazione di volo. Anche la transitabilità su strade e carrarecce ne risulta
fortemente condizionata. Le condizioni climatiche, unite alle conseguenze
derivanti dalle elevate altitudini, limitano anche i movimenti appiedati,
24
soprattutto all’interno delle strette valli che si trovano alle propaggini delle
catene montuose. Negli altopiani del sud le tempeste di sabbia ed il forte
vento riducono la visibilità, ostacolano attività di acquisizione degli obiettivi,
gli interventi di artiglieria e ricognizioni. In questa parte del Paese, tuttavia,
per quasi tutto l’anno è possibile manovrare con uomini a piedi e mezzi
terrestri.
I forti venti caratterizzano generalmente le valli, in particolare lungo la
rotabile che collega Termez a Kabul dove le raffiche di vento raggiungono la
velocità di circa 40 m/s.
Questa situazione già difficile per le truppe russe e DRA veniva resa sempre
più drammatica dai continui e mirati attacchi della guerriglia afgana. Attacchi
che avevano un doppio risultato: da un lato rendevano impossibile il flusso
di rifornimenti dalla madre patria e dall’altro incidevano sul morale delle unità
operative russe-afghane.
I.5 La guerriglia afgana e la jihad islamica.
Come si è visto sopra la dottrina classica russa di condurre la guerra risultava
essere fallimentare non solo per le caratteristiche del terreno, ma anche a
causa della presenza della guerriglia. La guerriglia (che significa “piccola
25
guerra” e che coincide con la guerra di popolo - Bonanate 1998, p.6320) è una
possibile forma organizzata, ma al tempo stesso occulta, delle forze di
resistenza appartenenti ad un popolo che ricorrendo alla violenza delle armi
tenta di far valere un ipotetico diritto violato. In genere fanno leva su alcuni
fattori: la sorpresa, gli ideali, la mobilità, la conoscenza del terreno e la
possibilità di attaccare ovunque e da più parti grazie al supporto della
popolazione locale da cui ricevono la copertura ed il sostegno adeguato
(Bonanate 1998, p.58).
In Afghanistan, dopo il colpo di stato militare nella primavera del ’78 da
parte del PDPA, inizia la nascita di un fronte di opposizione/resistenza al
comunismo, tanto da costituire un punto di aggregazione di diversi gruppi
ideologici, religiosi e culturali (Cooley 2000, p.106). L’obiettivo che
accomunava un così gran numero di tribù (e successivamente di
organizzazioni internazionali, per esempio Islamic Unit of Afghan
Mujahideen) era duplice: da un lato opporsi alla politica di potenza di Paesi
stranieri e dall’altro preservare l’integrità della tradizione islamica21
(Amstutz 1987, p.89).
20
“La guerra di popolo, quella cioè nella quale la popolazione civile impugna le armi”.
L’Afghanistan presenta tutte le caratteristiche e le condizioni indispensabili per condurre
una guerra di popolo: un territorio ampio e frastagliato, popolazione povera, avvezza ad un
lavoro faticoso e ripartita su tutto il paese, poche strade principali che uniscono i nodi
economici-commerciali-sociali principali (Clausewitz 1997, p.630).
21
Già a partire dalla seconda metà degli anni ’60 erano state proposte una serie di iniziative
per far rinascere il movimento fondamentalista islamico contro il tentativo di
secolarizzazione e modernizzazione del messaggio cranico (Grau e Gress 2002, p.9).
26
Il numero delle tribù cresceva col tempo tanto che si raggiunse il numero di
circa 150 tribù operanti su tutto il territorio afgano, che applicando i principi
della guerriglia conducevano continui attacchi a sorpresa in diverse zone22
contro installazioni e convogli russi o DRA.
Nei primi anni del conflitto l’eterogeneità culturale, religiosa, sociale di questi
gruppi di combattenti ostacolava il processo di aggregazione univoca e
solidale (Amstutz 1987, p.110). Ma successivamente le influenze interne ed
esterne portarono alla formazione di una struttura flessibile para-militare ma
ben organizzata e coordinata. La maggior parte dei leader erano giovani
studenti che avevano trascorso la propria gioventù in Paesi Occidentali
(pertanto non erano ufficiali afgani addestrati in Russia ed ideologicamente
influenzati dal comunismo). Questi giovani rappresentavano la speranza per
un popolo ed un Paese che per secoli aveva subito le influenze di altre civiltà
e culture.
Intorno a questi gruppi, per lo più tribali, va concentrandosi e realizzandosi
il progetto di una rinascita dell’islam senza confini (si veda Grau e Gress
2002, p.54). Infatti da più parti nel mondo iniziano aiuti non solo economicifinanziari ma soprattutto di organizzazioni internazionali che forniscono
uomini armati (a volte anche mercenari) ed addestrati a fare la guerra, armi,
22
Come sostiene Clausewitz le azioni condotte dalla guerriglia non si devono concentrare
in unico punto, allo scopo di evitare di essere annientate in un “grande colpo unico”
(Clausewitz 1997, p.636).
27
munizioni, tecnologie e tattiche23. Contestualmente e gradualmente si va
rafforzando la rete di combattenti islamici, grazie soprattutto al supporto ed
al finanziamento della CIA, di organismi internazionali e di privati (ad
esempio la famiglia Bin Laden) (Cooley 2000, pp.138-148). Per lo più si
trattava di prigionieri liberati, volontari in cerca di denaro, religiosi addestrati
alla guerra e soprattutto a sacrificare la propria vita per combattere la jihad al
fianco dei fratelli musulmani contro il nemico comunista (oggi occidentale).
La jihad islamica risultò consolidata, ramificata e capace di osare e di
affrontare, con il così detto “Esercito Islamico”, con le stesse tecniche della
guerra occulta, i veri nemici dell’islam: comunismo e occidente. In questo
modo vennero alimentate e finanziate azioni terroristiche in Algeria, Egitto,
Bosnia, Kosovo, Kashmir, Filippine, USA, Cecenia (Cooley 2000, p.196).
La guerra, rappresentando un momento di aggregazione per l’intera civiltà
islamica sparsa in tutto il mondo, ha manifestato un altro aspetto molto
importante che non deve essere sottovalutato: la rinascita del sentimento di
appartenenza della civiltà islamica che in modo diretto combatteva contro il
comunismo (si veda Fig.I.4).
23
Venivano condotte anche operazioni psicologiche nei confronti di militari della DRA per
demoralizzarli e farli disertare.
28
COMUNISMO
ISLAM
CAPITALISMO –
OCCIDENTE
Scontro diretto
Aiuto/sostegno diretto
Guerra Fredda
Guerra Russa-Afgana
Figura I.4 Paradigma interpretativo della guerra fredda e
della guerra russa-afghana.
I.6 Il sostegno internazionale
La tragica esperienza del popolo afgano non rappresentò solo un momento di
aggregazione per il mondo islamico, ma anche in altri Paesi si registrò una
mobilitazione unanime e generale in difesa dei diritti umani. Tuttavia
l’assistenza ed il supporto diretto ed indiretto, evidente o celato, materiale ed
ideologico, pubblico e privato proveniente da più parti nel mondo (Egitto,
Paesi Arabi, Pakistan, Iran, fedeli musulmani da ogni parte del nord Africa e
Centro Europa, Cina, USA, Francia, Svizzera, Germania, Gran Bretagna,
Svezia) non aveva come unico scopo quello di aiutare il popolo afgano
29
(Amstutz 1987, p.199). Ogni Paese, infatti, fornì il proprio aiuto24 e
supporto in base soprattutto alle proprie possibilità, potenzialità, geostrategia, logica economica-politica e fede.
Questa mobilitazione, partecipazione ed interesse di così tanti Paesi a
sostegno della causa afgana ebbe alcuni effetti nel contesto delle relazioni
internazionali e del suo equilibrio:
a. continua escalation, in ogni parte del mondo, da parte di minoranze
islamiche (sulla base dell’esempio dei fratelli afgani);
b. reazione della Russia ed intervento armato in aree limitrofe
all’Afghanistan;
c. deterioramento dei rapporti bilaterali fra USA e URSS.
Risulta dunque evidente che la “Guerra Fredda” nella sua fase conclusiva ed
in base ad una logica di gioco a somma zero ha prodotto una serie di ritorni di
fiamma che oggi risultano essere difficilmente gestibili25. In particolare gli
aspetti principali che vanno sottolineati sono: la fornitura di armi e il
finanziamento economico ai mujahideen.
Questa correlazione fra guerriglia ed aiuti economici e materiali di alcuni Paesi
risulta evidente dal salto di qualità che si ebbe nel modo di condurre le
24
La maggior parte dei Paesi Occidentali hanno avuto la possibilità di testare nuovi sistemi
d’arma o apparecchiature sofisticate per l’acquisizione di obiettivi sul campo di battaglia
(Cooley 2000)
30
operazioni militari. Per esempio la fornitura di armi per i primi anni di guerra
fu molto limitata. Per lo più, infatti, le armi impiegate dalla resistenza erano il
frutto delle imboscate condotte ai danni dell’esercito russo26. Il cambiamento
si registrò a partire dal 1982 quando iniziarono ad essere impiegate armi più
sofisticate27 ed affidabili ed il livello addestrativo e tattico migliorò
sensibilmente. Questo passaggio fu connesso a:
a. sperimentazione di nuovi sistemi d’arma di fabbricazione americana
(missili c/a stinger) o cinese (missili contro carro, mortai, lancia
granate)28 (si veda Cooley 2000, Yousaf e Adkin 2001, p.83);
b.
addestramento del personale e acquisizione di informazioni
connesse alle tecniche russe;
c. risposta efficace all’impiego da parte dei russi degli elicotteri ed
aerei per supportare le forze che si muovevano sul terreno29;
d. presenza di armi obsolete con un basso livello di affidabilità e di
efficacia dovuta: 1. ai passaggi intermedi che rallentavano il naturale
25
Gli uomini che hanno combattuto in favore della jihad afgana hanno successivamente
condotto una serie di atti terroristici in tutto il mondo grazie al finanziamento della rete
islamica e di privati (esempio Al-Qaida) (Cooley 2000, p.191).
26
Alcuni esperti ritengono che questa strategia fu voluta dagli americani per evitare una
escalation del conflitto che avrebbe potuto coinvolgere lo stesso Pakistan (Amstutz 1987,
p.212).
27
I mujahideen non erano dotati di armi efficaci per fronteggiare gli elicotteri e gli aerei da
attacco russi (Yousaf e Adkin 2001, p.71).
28
Fu vietato fino al 1985 di introdurre armi di fabbricazione occidentale sia per volere dei
Paesi di appartenenza (per esempio la CIA aveva dato chiare disposizioni in materia di
distruzione del materiale bellico in caso di rischio di cattura da parte delle unità russe o
DRA), sia per sensibilità dei leader della guerriglia islamica, pertanto il fabbisogno di armi
doveva essere soddisfatto con armi di fabbricazione cinese o egiziana (Yousaf e Adkin
2001, p.83)
31
flusso
di
approvvigionamento
per
la
prima
linea;
2.
riammodernamento degli arsenali da parte di Paesi confinanti
(Yousaf e Adkin 2001, p.86).
Il flusso di armi e i cicli addestrativi venivano rafforzati dai finanziamenti
economici
di
organizzazioni
istituzionali
e
internazionali.
Questi
finanziamenti provenienti soprattutto dai budget dei principali P.S.
contribuirono a sostenere i leader della guerriglia.
I.7 I “lati” conflittuali di un paradigma interpretativo: la
guerra fredda e la guerra russa-afgana.
A conclusione di questo primo capitolo si vuole tentare di fornire una prima
chiave di lettura, a livello strategico, della guerra russa-afgana. Una guerra,
che potrebbe essere intesa come: scontro fra civiltà, che si inserisce in una
prospettiva storica di più ampia portata: la “Guerra Fredda” - che nella sua
logica dialettica prevedeva la contrapposizione fra Capitalismo e Comunismo
(si veda Fig.I.4). Il paradigma interpretativo, presentato in Fig.I.4, mostra le
possibili relazioni che si sono venute a formare e cristallizzare in molti
decenni. In particolare fornisce una lettura delle possibili interrelazioni non
solo fra i due massimi sistemi: Comunismo-Capitalismo, ma anche fra Islam
29
Tuttavia le fasi della guerra saranno oggetto di una trattazione più dettagliata nel Cap.II.
32
e Capitalismo ed Islam e Comunismo30. L’insieme di queste relazioni, che a
prima vista evidenzia una forma geometrica triangolare, presenta due lati
conflittuali (Guerra Fredda e Guerra russa-afgana) e uno solo di “apparente”
collaborazione/supporto (Islam-Occidente31). Questo insieme di relazioni a
livello
internazionale,
tendenzialmente
conflittuale,
contribuisce
a
determinare il grado di potenziale conflittualità insito nella stessa “Guerra
Fredda”.
Da questa prima analisi risulta chiaro che il mezzo secolo della “Guerra
Fredda”, da molti intesa come una fase di stabilità sistemica e di razionalità,
non è stato, tutto sommato, una fase storica eccessivamente chiara e lineare.
Al contrario in essa emergono numerose aree di chiaro e di scuro, di
situazioni contraddittorie, che hanno contribuito a consolidare uno scenario
geo-strategico instabile e difficile da gestire. In particolare in quei decenni gli
USA hanno:
a. costituito le premesse per lo scontro fra Occidente ed islam;
b. fornito le armi, le strategie, le risorse finanziarie alla guerriglia
islamica;
30
Per ragioni di semplicità non sono stata inserite le relazioni fra Islam ed altre civiltà
(come per esempio quella sinica, visto il contributo in termini di armi offerto dalla Cina).
31
Relazione che oggi è diventata di carattere conflittuale, si veda cap.III.
33
c. sostenuto in modo indiretto/diretto i Paesi islamici per combattere
una “guerra per procura” finalizzata a fermare l’espansione del
comunismo.
Questi fattori, visti in una prospettiva di lungo periodo, hanno in qualche
modo contribuito ad innescare una spirale di odio e di orrori fra due civiltà.
Occorre dunque affrontare questo campo di indagine allo scopo di
comprendere le modalità con le quali, i protagonisti principali della guerra
russa-afghana hanno interpretato i propri ruoli. Gli uomini, i soldati, i
guerriglieri e fedeli che hanno combattuto e messo in atto i dettami e le linee
guida della propria civiltà/fede di appartenenza comunista o islamica, devono
essere lo spunto per una lettura attuale dello scontro Occidente vs Islam non
più in una visione dialettica-locale, ma in una prospettiva adialettica-globale.
34
CAPITOLO II
FEDE E TECNOLOGIA:
JIHAD E STINGER1
Scopo di questo capitolo è quello di offrire un’analisi dettagliata e schematica
della guerra russo-afghana. In particolare saranno individuate le tappe
principali della guerra e le tattiche delle forze russe-afghane e della guerriglia.
Da ciò emerge la contrapposizione duale fra due tecnologie: gli elicotteri russi
e i missili americani stinger impiegati dai mujahideen.
Tuttavia l’esito del confronto non risulta essere condizionato solo ed
esclusivamente dalla tecnologia più avanzata, infatti un altro fattore che
emerge è la fede. I mujahideen:
1. addestrati e sovvenzionati dall’esterno;
2. accomunati dalla radicale ed estrema fede musulmana;
hanno saputo colpire al “cuore” il “grande orso” che aveva tentato di
superare la “montagna”.
1
Gran parte di questo capitolo è stato tratto da Yousaf e Adkin (2001, pp.174-188). Altri
contributi di pensiero sono tratti da siti internet specializzati. Tuttavia si precisa che questo
capitolo non contiene informazioni riservate.
35
II.1 Le fasi della guerra russo-afghana
Nell’analizzare la storia di una guerra, la periodicizzazione, che in genere
viene indicata dai testi specializzati, riflette quasi sempre le posizioni di
parte ed universaliste dell’autore. Pertanto seppure potrebbe apparire banale
o superfluo, prima di procedere ad analizzare le strategie, le tattiche e le
tecniche utilizzate dalle forze che hanno preso parte al conflitto, risulta
opportuno individuare le principali tappe della guerra russo-afgana.
Le principali fasi - che vengono indicate da Grau e Gress (2002, p.12) possono essere schematicamente le seguenti:
1. Dicembre 1979 – Febbraio 1980;
2. Marzo 1980 – Aprile 1985;
3. Maggio 1985 – Gennaio 1987;
4. Febbraio 1987 – Febbraio 1989.
II.1.1 Prima Fase della guerra
Questa fase iniziò con il dispiegamento delle forze russe in territorio afgano e
con il tentativo di assicurare le principali basi di partenza per le operazioni
future (fortificazioni militari e linee di comunicazione). Le forze della
guerriglia non rappresentavano una forte turbativa per le forze russe, infatti
36
queste non venivano utilizzate per missioni di combattimento dirette. In base
agli accordi fra le autorità russe e quelle afgane, le truppe della DRA erano
destinate a condurre operazioni offensive, invece le unità russe operazioni di
supporto. Tuttavia questo orientamento iniziale e generale non produsse
buoni frutti, poiché le unità afgane presentavano un basso livello di
addestramento, inadeguato per fronteggiare le attività della guerriglia.
Le formazioni dei mujahideen infatti riuscivano a sostenere il confronto con
le unità russe e non si sottraevano ai cruenti scontri frontali.
Tuttavia compresero ben presto di non poter affrontar il nemico con
operazioni condotte su vasta scala, pertanto mantennero una struttura
ridotta e ripartita in gruppi di piccola entità (costituiti da circa 20-100
persone). Questa strategia garantiva alla guerriglia da un lato un’elevata
mobilità e d’altro un’alta incertezza2, tanto da costituire una minaccia reale
da non sottovalutare.
L’impreparazione dei leader militari russi3 nell’affrontare e fronteggiare
questa minaccia, che si accompagnava molto spesso alla mancanza di
un’approccio basato sul “problem solving”, costituì uno dei principali limiti
della Russia nella prima fase della guerra.
2
In questo modo i leader militari russi dovevano operare sempre in condizioni di
incertezza, temendo sempre una probabile azione di guerriglia.
3
Bisogna tuttavia sottolineare l’impreparazione generale delle unità a sostenere la
controguerriglia in ambienti desertici e montani per lunghi periodi di tempo – circa due
anni (Grau e Gress 2002, p.43).
37
II.1.2 Seconda Fase della guerra
Questa seconda fase fu caratterizzata da un inasprirsi delle azioni della
guerriglia contro le unità russe. Simmetricamente le unità russe per
fronteggiare le numerose perdite in termini di vite umane e di materiali
iniziarono a condurre combattimenti su vasta scala in modo congiunto con
unità della DRA. Ma queste azioni tuttavia risultavano inefficaci ed
inadeguate contro le tattiche e la mobilità della guerriglia in ambiente
desertico e montano. La guerriglia che tendeva a sfruttare i fattori della:
-
sorpresa;
-
superiorità numerica;
-
posizioni dominati e favorevoli al fuoco;
-
impossibilità di manovra, di impiego del potere aereo, di impiego
dell’artiglieria da parte del nemico.
Questo insieme di limiti comportò l’adozione di nuove tecniche da parte
delle unità russe. L’attenzione dei militari russi fu rivolta alle modalità di
supporto e di alimentazione della guerriglia. Tuttavia queste operazioni
richiedevano il dispiegamento di numerose forze (di cui l’URSS non
disponeva sul suolo Afgano) per operare soprattutto lungo le principali reti
di comunicazione e lungo il confine col Pakistan.
A partire dal 1982 le unità russe vennero supportate da unità paracadutiste e
da elicotteri da attacco, in particolare l’impiego degli elicotteri rappresentò
38
l’elemento innovativo della guerra, tanto
da costituire
l’elemento
diversificante4. Tuttavia non mancarono incidenti ed incapacità di
coordinamento fra le unità di terra e quelle aeree.
L’URSS comprendeva l’incapacità di poter dominare e gestire in pochi anni
l’intera situazione5. Tentò di rafforzare, dunque, il potere locale, dando
maggiori garanzie ai rifugiati, ma questa strategia non diede buoni frutti,
poiché il numero di profughi aumentò sensibilmente.
II.1.3 Terza Fase della guerra
Durante la terza fase le forze russe schierate in Afghanistan raggiunsero il
massimo livello di forza, la 40^ Armata disponeva sul campo di quattro
divisioni, cinque brigate autonome, quattro reggimenti autonomi e sei
battaglioni autonomi.
Il governo locale iniziò un processo di riavvicinamento ai leader locali e alle
autorità religiose al fine di individuare un sentiero di pace lungo il quale
costruire il futuro dell’intera regione. Nonostante il sentimento della maggior
parte delle tribù fosse orientato ad una dimensione di pace che travalicava
qualsiasi sentimento di odio e rancore, continuavano a persistere alcune
tensioni. Queste tensioni erano alimentate per lo più dai capi di gruppi
4
Si vedrà successivamente che l’impiego dei missili spalleggiabili stinger ridusse ed
annullò questo divario tecnologico fra le due parti (Grau e Gress 2002, p.23).
5
Secondo Grau e Gress ciò era riconducibile alla scarsa attenzione posta alle vicende
storiche e nazionali dell’Afghanistan prima dell’invasione. Infatti gli alti comandi russi
avevano inviato soldati appartenenti alle regioni russe dell’Asia centrale convinti che
39
fondamentalisti localizzati nelle province di Logar, Kandahar e Paktia.
Pertanto le forze russe, congiuntamente alle forze locali, sferrarono una serie
di attacchi in queste province con unità di terra supportate da elicotteri6 ed
aerei da attacco. Inoltre veniva potenziata l’attività di intelligence lungo le
zone di confine per poter bloccare il traffico di armi ed i rifornimenti ai
ribelli-guerriglieri.
Figura II.1 Prospetto di elicottero da attacco Mi-24 Hind
II.1.4 Quarta Fase della guerra
Nel dicembre del 1986 il Comitato Centrale del PDPA deliberò il
perseguimento di una linea comune a livello nazionale di riconciliazione con
le forze ribelli. La soluzione militare aveva ormai fatto il suo corso e non
fossero ben accetti agli afgani. Invece si registrò l’effetto contrario, poiché le tribù Pushtun
erano storicamente avverse a queste popolazioni (Grau e Gress 2002, p.24).
6
In particolare furono impiegati gli elicotteri Mi-24 Hind. Elicotteri che disponevano di 4
alloggiamenti per razzi e bombe (per un carico complessivo di 128 razzi, bombe al napalm
o ad alto esplosivo) ed un cannoncino calibro 30mm capace di erogare più di 2000 colpi al
40
rappresentava più l’unico mezzo per ristabilire l’ordine e la pace a livello
locale. Lo step iniziale di questa svolta fu rappresentato dallo storico accordo
fra i rappresentanti del DRA e quelli russi sulle modalità ed i tempi per la
ritirata delle unità sovietiche. Tuttavia questo accordo era subordinato ai
cessati aiuti e rifornimenti militari da parte del Pakistan e di altre nazioni.
A partire dai primi mesi del 1987 le forze russe potevano essere coinvolte in
scontri a fuoco solo in caso di attacco da parte dei mujahideen.
Inoltre a seguito della fallimentare strategia e dell’aumento dei dissensi
interni, l’URSS iniziò un processo di riconciliazione. Infatti, il morale delle
forze russe era ormai a livelli molto bassi ed anche i rifornimenti iniziavano a
scarseggiare pertanto le forze russe, per motivi reali e non, potevano
condurre virtualmente azioni non offensive ed eventualmente offensive solo
in caso di reale attacco. In questo modo venivano poste le basi per l’ultima
fase del ritiro delle truppe russe dal suolo afgano.
Contestualmente il governo locale tentò di acquistare una maggiore
autonomia a livello internazionale ed iniziò un processo di crescita lenta, ma
questi tentativi non trovarono consensi unanimi, tanto che i leader di
opposizione dichiarano che “la jihad doveva continuare fino a quando i
militari russi erano presenti sul suolo afgano” (Grau e Gress 2002, p.28).
minuto. L’equipaggio è composto da tre elementi: pilota, copilota-mitragliere e meccanico
di bordo (Yousaf e Adkin 2001, p.178).
41
La situazione si complicò a causa dello stretto rapporto fra gli shiiti iraniani e
i leader fanatici afgani che diedero inizio ad atti terroristici e dimostrativi
contro le forze russe.
I contenuti di queste fasi mostrano i caratteri di feed back che esistono fra le
diverse strategie e tattiche dei diversi attori che presero parte al conflitto e di
quale sia il livello di complessità di una realtà che ancora oggi, a distanza di
circa 20 anni, presenta numerose ombre.
II.2 Le tattiche delle unità russe
La propaganda afgana sosteneva che la Russia e Babrak Karmal
controllavano tutte le province, ma la realtà era ben diversa. Forse le aree più
sicure erano Kabul e Jalalabad. I compiti principali delle unità russe erano:
1. difendere i principali centri nevralgici del Paese, le basi militari, gli
aeroporti e le centrali elettriche;
2. pattugliare e proteggere le line of communications (LOCs)7, le
principali rotabili che univano l’URSS all’Afghanistan8 (si veda Fig.
II.2).
7
Le LOCs presenti erano limitate (si veda §I.4) e non esistevano strade alternative, pertanto
il flusso logistico-operativo (dalle retrovie al fronte) necessariamente doveva essere
incanalato lungo le due LOCs principali.
8
Nella prima fase non più del 35% delle unità russe veniva impiegato per operazioni di
contro-guerriglia.
42
Per assolvere a questi compiti erano necessarie numerose risorse logistiche,
operative ed umane per evitare eventuali imboscate o atti terroristici (si veda
Yousaf e Adkin 2001, p.68).
Figura II.2 Le principali LOC e basi delle unità
russe e della guerriglia afghana
Queste azioni condotte dalla guerriglia avevano un duplice scopo:
a. sottrarre armi, viveri, carburante, veicoli e munizioni;
b. demoralizzare le unità russe soggette allo stillicidio continuo e ad
una scarsità di rifornimenti dalla madre patria.
Nella prima fase della guerra l’URSS si limitò ad un’attività di difesa statica
sulle posizioni già occupate e ad uno studio di fattibilità per un eventuale
allargamento delle aree da stabilizzare. Contestualmente furono condotte
43
alcune azioni aeree e di artiglieria terrestre contro il Pakistan per stroncare sul
nascere eventuali rifornimenti e supporti alla guerriglia locale9.
Durante la seconda fase della guerra la Russia non sviluppò, apparentemente,
delle strategie adeguate10 per fronteggiare la nascente guerriglia, che, seppure
organizzata in modo approssimativo, sferrava i suo micidiali attacchi.
Le principali strategie elaborate contro il dilagare della guerriglia furono:
a. tentativo di dividere i gruppi e le tribù locali;
b. sconfiggere i gruppi che via via si consolidavano;
c. creare una struttura sociale forte basata sul comunismo;
d. istituire un esercito nazionale.
Per limitare il propagarsi della guerriglia diventava necessario bloccare i
principali passi di montagna, ma questa strategia si rivelò ben presto
inefficace - 1400 miglia di confine erano troppo estesi per creare una barriera
artificiale.
Gli stessi bombardamenti aerei nell’area del Panjsher ebbero scarsi risultati,
soprattutto a causa della conformazione delle montagne e dalla presenza di
caverne (che garantivano un sicuro rifugio per i mujahideen) (Yousaf e Adkin
9
Tuttavia queste attività furono limitate per evitare un escalation del conflitto, che avrebbe
potuto chiamare in causa, in modo indiretto anche gli USA.
10
Questa apparente incapacità di affrontare un nemico già noto a partire dagli anni ’20,
soprattutto nella regione caspita, resta un aspetto alquanto inquietante e dubbioso. Inoltre
non bisogna dimenticare che nella storia, anche recente di quegli anni, erano presenti
numerosi casi di azioni di contro-guerriglia (Grau e Gress 2002, p.19; Amstutz 1987,
p.143).
44
2001, pp.72-73). I russi temevano di fare qualsiasi operazione, addirittura di
pattugliare di notte.
La repressione russa non si fece attendere, iniziarono vere e proprie azioni di
intimidazione11, di genocidio, repressione, bombardamenti, rappresaglia. Il
risultato di questa fase cruenta e sanguinosa, in base alle stime ufficiali, fu di
5 milioni di profughi e 1,5 milioni di rifugiati che muovevano verso città più
sicure (Amstutz 1986, p.144).
A partire dal 1984 furono individuate e sperimentate altre strategie:
a. impiego di elicotteri di attacco (in particolare i Mi-24 HIND12), che
rappresentava l’aspetto innovativo e tecnologico della guerra13;
b. operazioni Sweep and Destroy14. Operazioni che avevano come
scopo quello di individuare gli obiettivi sensibili e strategici,
colpendoli in modo chirurgico, evitando di esporre carri o veicoli
all’azione offensiva della guerriglia (errore commesso nei primi due
anni della guerra);
11
Bombardamento di piccoli villaggi, successivamente rastrellati con cani, distrutto ogni
elemento di sostegno logistico-operativo per la guerriglia. Boobytraps (orologi, libri,
accendini).
12
I Mi-24 venivano impiegati in modo congiunto con gli aerei Su-25 e MIG per
distruggere le aree in cui erano stati localizzati gruppi di mujahideen. Dal 1980 al 1984 il
numero di sortite di elicotteri aumentò, si raggiunse il numero di circa tre al giorno per
aeroporto. Nei primi anni la perdita di elicotteri era dovuta a fattori naturali, motivi tecnici
o errori del pilota (Amstutz 1986, p.170).
13
Per esempio l’operazione MAGISTRAL (Grau e Gress 2002, p.88), si veda inoltre
capitolo III.
14
In Afghanistan non c’era un fronte nemico, ma c’era la guerriglia, ubicata ovunque.
L’obiettivo dunque era quello di bloccare i mujahideen e di bombardarli (Grau e Gress
2002, p.108).
45
c. cinturazioni di particolari aree o vallate al fine di evitare i
rifornimenti ed il supporto alla guerriglia;
d. operazioni condotte esclusivamente da forze russe e non dalle unità
della DRA;
e. impiego di unità paracadutiste e di fanteria leggera;
f. restrellare le aree limitrofe alle principali arterie stradali per evitare
imboscate;
g. ridurre le dimensioni dei convogli tattici e logistici per evitare di
esporre un numero eccessivo di uomini, mezzi e materiali ad
eventuali attacchi terroristici.
L’intensa campagna afgana non era limitata al solo paese centro asiatico, ma
aveva anche ampi echi in tutto il mondo ed anche nella madre patria.
L’aumento delle spese militari - connesse ad un incremento della presenza di
soldati (da 80 mila a 115 mila), all’impiego di 600 elicotteri e di 300 aerei -, la
morte di numerose vite umane e l’incremento di popolazione rifugiata
all’estero contribuì a scuotere le coscienze del popolo russo e dei suoi leader
politici. A ciò va aggiunto l’inappropriato addestramento, le tattiche
inadeguate15, l’equipaggiamento poco idoneo, il morale basso16. Tutti questi
15
Un esempio è la battaglia del Panshir del 1982 condotta con metodo classico (Grau e
Gress 2002, p.83).
16
L’URSS sperava di vincere la 3^ Guerra Mondiale, nel Nord Europa, impiegando una
grande massa di soldati, ma ciò non era adeguato per il territorio afgano e soprattutto contro
la guerriglia (Grau e Gress 2002, p.91).
46
fattori messi a sistema nel nuovo scenario fecero mutare profondamente le
posizioni e le strategie dell’URSS.
Figura II.3 Mi-24 in assetto da guerra.
II.3 Le tattiche delle guerriglia afgana
La resistenza della guerriglia alle unità russe presentava caratteri innovativi
rispetto a quelli visti nei decenni precedenti in altre zone del mondo. In
particolare:
- l’assenza di unità politica/ideologica (soprattutto nelle prime due
fasi del conflitto);
47
- l’assenza di unicità di intenti;
- l’alto livello di dedizione e la fede islamica;
- il consistente supporto da parte delle popolazioni locali (in
particolare ogni famiglia possedeva un certo quantitativo di armi e
munizioni);
- il basso livello addestrativo (che migliorerà col tempo grazie al
supporto di istruttori anglo-americani17 e pakistani).
Figura II.4 Aerei SU-25 “FROGFOOT” per condurre Operazioni CAS.
Questi caratteri, elencati in modo schematico, fanno comprendere la
consistenza, le capacità operative e logistiche e la motivazione di uomini
17
L’obiettivo sottaciuto del governo americano, a detta di alcuni esperti, era quello di
realizzare una situazione molto simile a quella del Vietnam, senza spargimento di sangue di
soldati americani.
48
destinati al martirio per la libertà del proprio suolo natio o per la “purezza
del proprio credo religioso”18.
La guerriglia durante la prima fase del conflitto adottava tecniche semplici ma
efficaci, che si basavano sullo sfruttamento del terreno. In particolare questi
gruppi tribali tendevano a ritirarsi quando incontravano forze russe ben
organizzate.
Il numero del personale che aderì alla causa afgana passò da 45 mila a 150
mila nel biennio ’81-’83. A partire dal 1984 queste forze locali furono
supportate dai “reggimenti islamici”, vere e proprie unità militari ben
organizzate ed armate capaci di disporre di armi, mezzi e munizioni
sofisticate19. Queste unità venivano addestrate e rifornite da reti di basi
logistiche dislocate in territorio Pakistano ed Iraniano.
Durante il corso della guerra i mujahideen utilizzarono diverse forme di
combattimento offensive e
difensive,
ma
quelle
principali
erano
rappresentate da: le imboscate20, i raids, gli attacchi ai convogli logistici e le
18
Questi uomini applicavano alla lettera i dettami del corano, tanto da sacrificare la propria
vita e i propri anni per combattere in pessime condizioni climatiche, ambientali e logistiche
(senza una retribuzione) per la guerra santa. I leader dei gruppi d’azione avevano la capacità
di instillare nei propri uomini il sentimento religioso dello scontro ed al tempo stesso di
suscitare in loro il senso di appartenenza ad una piccola entità locale. Ciò contribuì in
modo sostanziale a modificare l’esito della guerra.
19
In alcuni casi si sono verificati veri e propri episodi terroristici legati ad atti realizzati da
cellule clandestine. Questi atti miravano a destabilizzare la coesione interna delle tribù
locali e la leadership di uomini guida.
20
Dal 1985 al 1987 vennero messe in atto più di 10.000 imboscate soprattutto di notte e in
aree idonee, quali ad esempio passi di montagna, canyon e creste di montagna, al fine di
chiudere l’avversario in un collo di bottiglia per infliggere il maggior numero di perdite
(Garu e Gress 2002, p.65).
49
azioni di supporto alle attività vitali delle unità. In alcuni casi furono
impiegate mine ed atti terroristici.
Figura II.5 Una banda di guerriglieri Mujahideen in operazione.
I gruppi operativi, di piccole entità, operavano in prossimità di centri
popolati al fine di avere un adeguato supporto e copertura per il tempo
necessario per preparare l’imboscata, il sabotaggio o l’attacco alle unità
russe21. La consistenza di queste forze variava in funzione dell’obiettivo da
colpire (per ulteriori particolari si veda Cap. III).
21
Le armi venivano nascoste lungo i passi di montagna, le armi controaerei – in particolare
le mitragliatrici DShK - sulle cime dei monti e protette da campi minati, i viveri ed i
rifornimenti erano previsti in punti prestabiliti noti a tutti i membri del gruppo operativo.
50
Inizialmente le tribù non erano dotate di armi sofisticate, ma con le prime
imboscate, soprattutto ai danni delle colonne russe, vennero in possesso di:
AK47, mitragliatrici e bazooka. Queste armi, tuttavia, non fornivano
un’adeguata protezione e copertura contro gli attacchi condotti da elicotteri
ed aerei22. Questa potrebbe essere una delle reali motivazioni che spinse il
governo pakistano ed americano a rifornire i guerriglieri dei missili stinger a
partire dal 1986 (si veda §II.423). Ma le armi da sole non erano sufficienti per
combattere ed affrontare una grande potenza a livello mondiale; era
necessario anche un adeguato addestramento, un continuo rifornimento
logistico, la presenza di basi operative e tattiche. Le principali basi
strategiche di rifornimento-addestramento erano quelle delle repubbliche
sovietiche dell’Asia centro meridionale, dell’Iran e della Cina e Pakistan (gli
USA fornirono, in base ai documenti ufficiali, il proprio contributo in modo
indiretto, addestrando i pakistani che a loro volta indottrinavano i capi
mujahideen e fornendo loro le armi e la tecnologia adeguata per combattere e
vincere la guerra). Le unità combattenti ritornavano in questi campi dopo
aver trascorso alcuni anni nel teatro operativo afgano.
22
Le munizioni controaerei ed i missili SA-7 risultavano essere inadeguati contro gli
attacchi aerei. Pertanto la CIA e l’ISI incrementarono il numero ed il tipo di armi e
munizioni necessarie per sostenere la guerriglia, si passo dalle 10.000 tonnellate di
armi/munizioni del 1983 alle 65.000 tonnellate del 1987. Fra queste armi rientrano anche i
missili “Stinger”, decisivi per l’esito della guerra (Yousaf e Adkin 2001, p.83).
23
Ben Pendleton, giornalista occidentale, a seguito di una visita ai mujahideen nell’estate
’83 scrive che chiunque si lamentava per l’impotenza contro gli elicotteri russi e soprattutto
l’assenza di armi controaerei adeguate (Amstutz 1986, p.193).
51
Le principali basi logistiche-addestrative erano Peshawar e Quetta24. Invece
le basi operative e tattiche variavano in funzione del tipo di operazione da
condurre e cambiavano continuamente per evitare di costituire un obiettivo
noto alle forze russe. I mujahideen utilizzavano centinaia di piccoli villaggi,
ed ogni comandante aveva un certo numero di basi operative (selezionate in
funzione delle principali vie di comunicazione) preventivamente allertate ed
attivate all’occorrenza (Yousaf e Adkin 2001, p.65).
II.4 L’impiego strategico del sistema missilistico controaerei
americano “Stinger”
Dall’analisi sin ora sviluppata risulta chiaro che il corso della guerra ha avuto
come momento centrale l’impiego di armi tecnologicamente avanzate: da un
lato gli elicotteri russi e dall’altro i missili americani Stinger in possesso dei
mujahideen. Potrebbe risultare semplicistico e banale riassumere l’intera
guerra nello scontro fra due diverse tipologie di tecnologie, ma la chiave di
volta tuttavia risiede in questo rapporto duale: elicotteri-missili Stinger.
Il sistema missilistico a cortissima portata Stinger fu introdotto nei primi
anni ’80 per la difesa a bassissima quota delle unità terrestri o di punti
24
Tuttavia il rifornimento delle province centro–meridionali rappresentava un serio
problema (Amstutz 1986).
52
sensibili contro attacchi condotti da aeromobili ad ala fissa e rotante. Gli
USA sperimentarono questo sistema missilistico per la prima volta in
configurazione operativa in occasione del conflitto russo-afgano25. Sulla base
delle fonti consultate26, il numero di elicotteri russi abbattuti a partire dal
1986 risulta essere più di 200 ed invece gli aerei più di 2000 (Yousaf e Adkin
2001, p.128). Questi risultati rappresentano il frutto della convergenza di tre
fattori:
-
la sorpresa;
- la posizione delle squadre di lancio27;
-
l’impiego coordinato dei missili anti-carro RPG-7.
Il 25 settembre 1986 rappresenta la data storica che modificò le sorti del
conflitto ed aprì le porte ad una nuova evoluzione della guerra che in circa
due anni portò alla ritirata dei russi dal suolo afgano (e dunque ad un
cambiamento epocale della geopolitica internazionale)28. In quel giorno infatti
circa 35 mujahideen, guidati da Engineer Ghaffar, si trovavano a circa 1,5 km
a Nord Est della base aerea di Jalalabad per portare a termine una missione
25
Nell’ottobre 1983 furono portati dagli americani a Granata, ma non furono impiegati.
Lo stesso Huntington riporta che dopo la ritirata dei russi, furono lasciati in eredità:
accampamenti, campi di addestramento, strutture logistiche, una notevole quantità di
apparecchiature militari, tra cui “dai trecento ai cinquecento missili stinger (mai pagati)”
(Huntington 2003, p.366).
27
In genere i posti tiro venivano dislocati sui punti più alti di una collina/versante di una
valle, in questo modo gli elicotteri attraversando la valle si trovavano ad un livello più
basso rispetto alla posizione degli Stinger, che lanciavano dall’alto verso il basso.
28
Il presidente Gorbachev nel 1985 si impegnava a vincere la guerra in Afghanistan con
qualsiasi mezzo. Tuttavia, dopo una serie di fallimenti e di sconfitte, decise di ritirare le
proprie truppe (Grau 1998, p.75).
26
53
molto difficile ed importante: lanciare per la prima volta al mondo missili
americani Stinger contro elicotteri in fase di atterraggio. La missione era stata
pianificata e studiata nei minimi particolari ed era il frutto di mesi di
addestramento condotti in Pakistan. Per la prima volta i mujahideen, armati
con armi poco sofisticate, avevano la possibilità di impiegare un sistema
d’arma ad alto contenuto tecnologico per sconfiggere gli elicotteri russi che in
quattro anni di guerra avevano distrutto interi villaggi.
Figura II.6 Mujahideen con Missile “Stinger”
Ghaffar disponeva di tre squadre Stinger costituite ciascuna da tre elementi:
un puntatore-lanciatore, un assistente in fase di lancio ed un addetto alla
sostituzione-trasporto del tubo di lancio (si rimanda tuttavia al §II.6). Questi
uomini avevano assunto la posizione pianificata durante le ore notturne - al
fine di sfruttare il fattore sorpresa - in prossimità dell’aeroporto. Alle ore
3.00 circa del pomeriggio le tre squadre operative avvistarono nei cieli 8
elicotteri Mi-24 HIND ed iniziarono la fase di inseguimento contro i bersagli
54
mobili attenendosi agli ordini precedentemente ricevuti e alle procedure
operative acquisite durante l’addestramento.
Figura II.7 Elicotteri Mi-24 in formazione da attacco.
Ghaffar seguiva costantemente le fasi dell’operazione ed attendeva il
momento giusto per emanare l’ordine di ingaggio. Non appena i primi tre
elicotteri in fase di atterraggio entrarono nel range del sistema d’arma,
Ghaffar diede l’ordine di lanciare il missile. I singoli puntatori completarono
egregiamente la sequenza di lancio e, una volta partito il missile,
immediatamente estrassero la BCU, separarono la Gripstock dal tubo di
lancio ed abbandonarono repentinamente la posizione (portandosi a seguito il
55
tubo vuoto29) assumendone una nuova, nel raggio di 300 metri, già
precedentemente ricognita e dove avevano pronto un altro missile operativo.
Uno dei tre missili lanciati registrò un malfunzionamento e dopo pochi metri
dalla postazione di lancio cadde al suolo senza esplodere. Invece gli altri due
missili colpirono due elicotteri che precipitarono al suolo come “sfere di
fuoco”. Non appena le tre squadre raggiunsero la nuova posizione due posti
tiro eseguirono nuovamente la sequenza di lancio. Un missile colpì un
elicottero, invece l’altro esplose in volo dopo circa 20 secondi perché
l’elicottero riuscì ad atterrare prima di essere colpito. Il resto degli elicotteri,
soggetti ad attacco missilistico terra-aria, immediatamente atterrarono
mettendo in atto procedure d’emergenza che avevano solo visto in fase di
addestramento.
Il primo impiego reale di 5 missili stinger nella guerra russo-afgana ebbe come
risultato:
1. l’abbattimento di 3 elicotteri;
2. l’aumento di timore fra i piloti russi;
3. il rafforzamento del morale fra i mujahideen.
29
Il tubo di lancio vuoto non poteva essere abbandonato sul posto, ma doveva essere
portato al seguito per i seguenti motivi:
1. evitare che i russi avessero delle prove concrete per dimostrare il supporto attivo
degli americani alla guerriglia afgana;
2. evitare che i russi potessero conoscere i segreti della nuova arma;
3. giustificare presso le autorità pakistane il reale impiego del missile.
56
Questi momenti storici, che come si vedrà avranno un gran peso sui risvolti
della guerra, furono immortalati da un mujahideen che era stato dotato di
telecamera. La videocassetta fu prontamente inviata all’ISI e successivamente
al presidente americano Regan, che poté apprezzare le potenzialità e le
capacità operative del missile stinger.
Figura II.8 Guerriglieri afgani festeggiano l’abbattimento di un elicottero
sovietico MI-24 in configurazione da trasporto.
Ghaffar operò su Jalalabad; contemporaneamente su Kabul operò Darwesh
(altro comandante, profondo conoscitore della propria zona d’operazione).
Questi due comandanti erano stati sottoposti ad una gara: abbattere il
maggior numero di elicotteri. Darwesh si dislocò non in prossimità
dell’aeroporto di Kabul, ma di un corridoio aereo a pochi chilometri da
Kabul. Come Ghaffar, anche Darwesh assunse le posizioni (preventivamente
studiate) di notte al fine di sfruttare il fattore sorpresa. Il giorno successivo
57
non appena fu avvistato un aeromobile Darwesh diede l’ordine di lanciare un
missile senza tuttavia rispettare le regole di ingaggio ed in particolare la
distanza di acquisizione. Dopo questo fallimentare “battesimo del fuoco”,
Darwesh fu immediatamente richiamato in Pakistan per essere ulteriormente
indottrinato sulle procedure da seguire. Dopo due settimane fece ritorno a
Kabul e ben presto dimostrò le sue grandi doti e qualità lanciando due missili
ed abbattendo due aeromobili.
La storica sfida fra i due grandi comandanti del tempo fu vinta in modo
schiacciante da Gaffar, tanto che nei mesi successivi accrebbe la sua fama e
popolarità in tutta la regione per aver abbattuto più di 10 fra elicotteri ed
aerei (fu premiato e decorato dal generale pakistano Akhtar, comandante in
capo dell’ISI).
Dopo il 25 settembre 1986 l’aeroporto di Jalalabad fu chiuso per circa un
mese. Una volta riprese le attività, le tecniche di volo e di atterraggio per gli
elicotteri erano mutate sensibilmente. In particolare la fase di atterraggio
doveva essere condotta a spirale dal punto più alto e lanciando flares ogni
due secondi per evitare di essere ingaggiati dal missile. Pertanto si abbandonò
la tradizionale tecnica di discesa graduale e lineare.
Dopo aver sperimentato il sistema d’arma su Kabul e Jalalabad con i due
comandanti che appartenevano al partito di Hekmattyar, si cercò di
addestrare anche altri comandanti di altre province al fine di coprire buona
58
parte del territorio afgano. Mahmood ed Arsala appartenenti al partito di
Khalis, entrambi veterani della guerriglia, furono convocati in Pakistan per
seguire il nuovo corso di 4 settimane sullo Stinger. I due comandanti non
appena fecero ritorno in Kabul e Jalalabad misero in pratica i preziosi
insegnamenti appresi presso la scuola di addestramento Stinger e
consolidarono eccellenti risultati. Tanto è vero che la precisione di
abbattimento delle squadre Stinger al comando di Mahmood fecero in modo
che il nome “Stinger” sia ricordato ancora oggi con timore dai russi.
Dopo la prima operazione condotta in prossimità della diga Sarubi,
Mahmood rilasciò una dichiarazione ai giornalisti e alla stampa. Il
comandante della guerriglia ingenuamente fornì numerose informazioni dì
carattere riservato. Inoltre indicò la tecnica offensiva utilizzata dalle squadre
Stinger, la sede della scuola di addestramento ed altri dettagli da seguire in
caso di abbattimento di aeromobili. Per alcuni giorni si temé che questa fuga
di notizie potesse avere dei risvolti negativi soprattutto
a livello
internazionale. Venivano, infatti, fornite le prove di un aiuto diretto e
concreto degli americani alla guerriglia afgana (avversario della Russia).
Contestualmente, tuttavia, queste notizie incrementarono e cementarono lo
spirito di corpo fra le diverse tribù della regione e ne rinsaldarono il morale.
Lo Stinger, un’arma tecnologicamente avanzata, diventò ben presto uno
59
“status symbol” che tutti i capi tribù volevano avere per dimostrare il
proprio prestigio in nome della jihad.
II.5 L’impiego tattico del sistema missilistico controaerei
americano “Stinger”
Una volta analizzata l’importanza strategica ricoperta dal sistema
missilistico Stinger, occorre analizzarne l’importanza tattica che lo stesso ha
ricoperto nel conflitto russo-afgano.
Le prime vittime del missile stinger furono gli equipaggi degli elicotteri Mi24, che per anni avevano insanguinato e devastato i villaggi dell’Afghanistan.
La popolazione locale non aveva mai potuto nulla contro queste macchine
infernali che grazie alle loro caratteristiche tecniche permettevano di condurre
attacchi anche a bassissime quote. Infatti gli elicotteri Mi-24 erano
l’equivalente dei Black Hawk americani per il tipo di impiego versatile e per
le sue qualità tecniche ed operative. Questi elicotteri ben equipaggiati
risultavano immuni alle mitragliatrici, ai cannoni controaerei ed ai missili SA7 utilizzati dalla guerriglia30. Il missile Stinger, come si è detto sopra, fu
30
L’SA-7 è un missile controaerei a ricerca IR di fabbricazione sovietica dai contenuti
tecnologici molto arretrati rispetto allo Stinger. Si rivelava inefficace contro gli elicotteri
d’attacco sovietici anche perché era stato studiato appositamente per l’impiego contro
velivoli di fabbricazione occidentale con caratteristiche quindi differenti.
60
impiegato dunque per assolvere ad un’esigenza di carattere strategico:
abbattere gli elicotteri sovietici che conducevano attacchi al suolo.
Figura II.9 Forze aeree russe operanti in Afghanistan nel dicembre 1983
In particolare gli esperti americani avevano condotto negli anni precedenti
alcuni esperimenti sulle caratteristiche principali degli elicotteri russi ed
avevano apportato alcune innovazioni marginali al missile Stinger (Yousaf e
Adkin 2001, p.178).
La Russia disponeva di centinaia di elicotteri Mi-24 in suolo afgano, le
principali basi erano dislocate in: Bagram, Shindand, Jalalabad, Kunduz e
61
Kabul (si veda Fig. II.9). In genere gli elicotteri Mi-24 venivano impiegati per
operazioni di ricerca e distruzione delle formazioni di mujahideen e per
operazioni di “bonifica di preparazione” prima dell’intervento delle forze di
terra.
Per esempio l’attacco al villaggio Rugyan nel 1982 rappresenta un quadro
sintetico delle potenzialità dell’elicottero russo ma al tempo stesso mette a
nudo le atrocità della guerra. Rugyan era un piccolo villaggio agricolo a circa 8
km a nord ovest di Ali Khel con una popolazione di circa 800 abitanti,
caratterizzato da costruzioni in pietra edificate lungo le creste della valle
circostante. Un giorno, alle prime ore dell’alba, il villaggio fu sottoposto a
bombardamento da parte di sei elicotteri, che da circa 2000 piedi alternavano
bombe e razzi con raffiche di mitragliatrice. Gli effetti di un tale efferato
attacco furono devastanti e shoccanti. Gli abitanti del piccolo villaggio non
disponevano di alcuna difesa attiva (armi), né di difese passive (caverne o
ripari naturali). Dopo questa prima fase di “bonifica di preparazione”
intervennero le truppe di terra che rastrellarono il villaggio e completarono
l’operazione di distruzione già iniziata dagli elicotteri. Intorno a mezzogiorno
il comandante russo diede l’ordine del cessate il fuoco.
Circa 200 sopravvissuti furono costretti ad esiliare oltre il confine pakistano
per arrecare ulteriori problemi (Yousaf e Adkin 2001, p.180).
62
La distruzione del villaggio di Rugyan rappresenta una tipica operazione
condotta contro il supporto attivo alla guerriglia locale, ma al tempo stesso
vengono evidenziati gli aspetti cruenti e devastanti della guerra, dove
popolazioni intere vengono sottoposte al massacro e costrette ad esiliare.
Dopo circa sei anni di continue stragi e di relativa supremazia russa31 le
autorità pakistane ed americane si convinsero di dotare la guerriglia
dell’innovativa arma missilistica americana: lo Stinger.
Alla fine del 1984 partirono i primi accordi per ottenere un sistema d’arma in
grado di affrontare in modo efficace la minaccia portata a bassa e bassissima
quota dai veivoli russi. Inizialmente si registrarono forti resistenze da parte
del governo pakistano e di quello americano per timore che i missili fossero
venduti sul mercato nero o cadessero in mani sbagliate (russi o terroristi),
senza dimenticare naturalmente le numerose complicazioni connesse
all’imballaggio,
al
trasporto,
allo
stoccaggio,
alla
manutenzione,
all’addestramento, all’impiego e alla gestione dei malfunzionamenti.
Ma lo Stinger rappresentava per quei tempi il sistema missilistico
spalleggiabile (MANPADS) all’avanguardia, facile da impiegare, adattabile a
qualsiasi ambiente – soprattutto quello montuoso dell’Afghanistan – , con
un’alta probabilità di abbattimento di velivoli.
31
Non bisogna dimenticare, tuttavia, che anche i mujahideen conducevano operazioni che
producevano morte e distruzione fra i russi.
63
Restava tuttavia ancora un’arma top secret.
Nel 1986 il presidente pakistano ZIA mutò sensibilmente il suo approccio32
e ritenne necessario sostenere la fornitura americana di missili Stinger a
favore dei mujahideen33. In questo modo emergeva chiaramente il supporto
diretto degli americani alla guerriglia afgana.
Il secondo problema, successivo all’autorizzazione di fornitura dei missili, fu
l’addestramento del personale. Gli americani si resero disponibili per
addestrare solo personale pakistano e non afgano. Nel giugno 1986 dieci
istruttori pakistani si recarono negli USA per seguire un corso di circa 8
settimane sul sistema missilistico Stinger. Nel frattempo venne realizzata in
tempo record una scuola di addestramento per il sistema missilistico stinger
presso la base Ojhiri vicino Rawalpindi34 (Pakistan) (Yousaf e Adkin 2001,
p.182; Cooley 1999, p.126). Presso questo centro di addestramento, a
partire dal mese di agosto, gli istruttori pakistani di ritorno dagli USA
indottrinarono i più esperti e valorosi capi della guerriglia afgana che si erano
distinti nelle diverse battaglie e che avevano riscosso grandi successi con i
vecchi SA-7.
32
Infatti a causa dell’intensificarsi delle stragi e delle distruzioni di villaggi a confine col
Pakistan aumentò sensibilmente l’esodo di rifugiati. Ciò aggravava la stabilità interna del
paese.
33
Gli esperti militari pachistani ed americani si resero conto che i mujahideen non
potevano fronteggiare gli elicotteri russi senza disporre di armi adeguate.
34
Un’area che diventò off-limits per i cinesi e per i sauditi. L’unico parlamentare americano
autorizzato a visitare il campo fu il senatore Gordon Humphrey, nel 1987, che aveva
64
Il terzo problema fu rappresentato dal luogo dove dislocare i posti tiro per
ottenere il massimo risultato. In base a quanto riportato da alcuni esperti
militari pakistani, i posti tiro dovevano essere dislocati in configurazione
difensiva lungo i confini con l’Afghanistan (al fine di avere un maggior
controllo). Di contro altri esperti, soprattutto americani, sostenevano la
necessità di una tattica offensiva condotta in prossimità di aeroporti più
utilizzati dall’aviazione russa.
Fra le due tattiche quella che riscosse inizialmente maggiore sostegno fu la
seconda, poiché risultava più incisiva ed efficace, limitando il numero di
missili schierati sul territorio. Le prime squadre Stinger furono schierate,
come si è detto sopra, in prossimità degli aeroporti di Jalalabad, Bagram e
Kabul (si veda Fig. II.10 fase 1). Questa tattica di carattere offensivo aveva
come obiettivo quello di distruggere i velivoli russi
in fase di
atterraggio/decollo sfruttando il fattore sorpresa (tipico della guerriglia).
Dopo questa prima fase di grande successo a livello tattico e strategico e
dopo aver addestrato un numero maggiore di mujahideen, vennero dislocati
altri posti tiro Stinger in prossimità del confine con la Russia.
In particolare furono schierati posti tiro nella regione nord dell’Afghanistan,
in Hindu Kush, Mazar-i-Sharif, Faizabad, Kunduz e Maimana (si veda Fig.
vigorosamente appoggiato la CIA perché fornisse questi missili alla jihad (Cooley 1999,
p.126).
65
II.10 fase 2). Questa strategia doveva evitare il flusso di rifornimento aereo
dalla Russia all’Afghanistan.
Figura II.10 Le principali fasi di schieramento dei posti operativi
Stinger sul territorio afgano a partire dal 1986
Durante la terza fase si tentò di rafforzare le posizioni difensive lungo il
confine pakistano, schierando altri posti tiro ad integrazione di quelli già
dislocati (si veda Fig. II.10 fase 3).
Successivamente furono dislocate altre squadre intorno agli aeroporti di
Kandahar e Lashkargah, a sud ovest, in un’area vitale e strategica per la
guerriglia (si veda Fig. II.10 fase 4). Infatti la conformazione del terreno
66
garantiva i flussi di rifornimento per i mujahideen. Per contrastare queste
attività la Russia utilizzava gli aeroporti
di Kandahar e Lashkargah per
spostare in poco tempo uomini e mezzi.
L’impiego integrato e bilanciato di una tattica offensiva e difensiva del
sistema missilistico Stinger su tutte le province afgane, garantì un riequilibrio
del conflitto ed un logoramento dei mezzi, uomini e soprattutto del morale
dei russi.
Infatti la Russia, a partire dalla terza fase, modificò la propria strategia di
impiego degli elicotteri. Non più per operazioni offensive, ma solo per
supportare le unità di terra ed in caso di estrema necessità (Yousaf e Adkin
2001, p.76). Ciò favorì il dilagare della guerriglia, che poté avere un maggior
successo durante le proprie operazioni ed imboscate a danno delle unità di
terra russe.
Ogni elicottero in fase di atterraggio o di decollo doveva lanciare un gran
numero di flares e di altri dispositivi per evitare di essere ingaggiati dai
missili Stinger. Gli stessi aerei civili dovevano attenersi a precise procedure
che il più delle volte arrecavano numerosi inconvenienti ai passeggeri.
In circa 10 mesi, a partire dal settembre ’86, furono lanciati in Afghanistan
circa 187 missili e furono abbattuti circa 140 veivoli (con una probabilità di
abbattimento del 75%) (Yousaf e Adkin 2001, p.186).
67
II.6 Le caratteristiche essenziali del missile “Stinger”35
Leggero da trasportare, e facile da utilizzare, lo ‘Stinger FIM-92’ è un missile
terra-aria a guida infrarossi passiva, che può essere lanciato da un singolo
operatore e studiato per ingaggiare velivoli ad una distanza fino a 4.800 m e
ad un’alteza fino a 3.800 m.
È costruito dalla Raytheon Missile Systems e designato tra i sistemi
MANPADS (MAN Portable Air Defense System) – sistema di difesa aerea
spalleggiabile.
Il sistema Stinger esiste in tre versioni principali, due addestrative e una
operativa, contraddistinte da un colore diverso sulle varie parti costituenti il
sistema:
- FHT (Field Handling Trainer), sistema inerte per la familiarizzazione al
maneggio dell'arma (BRONZO);
- THT (Tracking Handling Trainer), sistema addestrativo in grado di simulare
l'intera sequenza di lancio e valutare il grado di addestramento raggiunto dagli
operatori (BLU);
- Operativo, con testata di guerra attiva (GIALLO).
II.6.1 Costituzione:
35
I dati tecnici presenti in questo paragrafo sono stati tratti da siti internet specializzati,
pertanto non rivestono carattere di riservatezza.
68
Le principali parti costituenti l'arma sono:
- Il tubo di lancio, di vetroresina, contenente il missile e utilizzabile una sola
volta, è chiuso alle due estremità con due dischi di materiale frangibile (vetro
speciale trasparente alle radiazioni IR), che si frantuma al momento del
lancio. Il sistema di puntamento è parte integrante del tubo di lancio.
- Il missile, ermeticamente chiuso nel tubo di lancio, composto da tre sezioni
principali, la sezione di guida, la testa di guerra e la sezione di propulsione.
La testata di guerra è composta da un sistema di spolette, un detonatore e un
contenitore in titanio che racchiude i circa 350 grammi di alto esplosivo. La
sezione di guida è la parte fondamentale del sistema, che permette di
individuare l’obiettivo —fonte di calore— e dirigersi verso di essa. La
sezione di propulsione è composta da un motore di lancio che espelle il
missile dal tubo e un motore di volo che si accende a distanza dall’operatore
per evitarne il ferimento e poi accelera il missile fino alla velocita’ di crociera.
- L’unità di alimentazione elettrica e refrigerante (BCU) fornisce energia
elettrica (+/- 20 volts) a tutti i circuiti dell'arma e raffredda il sistema di
ricerca (seeker). Anche la BCU può essere usata una sola volta e non può
essere ricaricata. Ha forma cilindrica e presenta, oltre ai contatti elettrici, un
ago che si inserisce nell'apposito raccordo per l'immissione del gas
refrigerante.
69
- L’impugnatura rimovibile (Gripstock), fa da struttura di supporto per tutte
le parti costituenti il sistema sopra descritte. Viene utilizzata più volte finchè
non si usura tanto da renderla inutilizzabile. L'impugnatura contiene
l'alloggiamento per la BCU, il pulsante di fuoco, l'interruttore di ingaggio,
l'interruttore attuatore/sicurezza e il sistema IFF (per identificare velivoli
amici o nemici).
II.6.2 Funzionamento:
Il sistema missilistico Stinger è dotato di un seeker IR passivo in grado di
scoprire, ingaggiare e inseguire un velivolo senza rivelare la propria presenza,
infatti non produce nessuna emissione rilevabile da alcuna apparecchiatura se
non la fiammata del motore una volta partito. In questo risiede la particolare
insidiosità del sistema, oltre alla sua notevole praticità, trasportabilità e
facilità d’impiego. Il posto tiro che impiega il sistema è composto da due
70
persone: un operatore/puntatore e un assistente al lancio. Sul posto tiro è
normalmente presente una terza persona addetta alle comunicazioni.
L’operatore, una volta scoperto il bersaglio, ne valuta la distanza tramite
l’apposito sistema di puntamento e può procedere al riconoscimento
attraverso il sistema IFF. Qualora il velivolo risultasse nemico e alla distanza
normale di intervento, l’operatore procede all’attivazione del sistema. Il
missile riceve l’energia elettrica e il gas refrigerante dalla BCU che consente al
seeker di avere una migliore percezione delle emissioni IR. Attraverso un
sistema acustico il puntatore ha la sensazione della correttezza della
procedura di puntamento e può quindi continuare la fase operativa con
l’ingaggio del velivolo. Tale operazione consente al seeker di agganciare il
bersaglio puntato e di rendersi parzialmente indipendente dal movimento del
corpo del missile. Se questa fase viene svolta correttamente, l’occhio del
71
missile rimane puntato sul bersaglio anche se il puntatore dovesse oscillare
entro un certo angolo. La procedura termina con la pressione sul pulsante di
fuoco che consente l’accensione del motore di lancio e la fuoriuscita del
missile dal tubo. Da questo momento il missile segue il suo bersaglio
autonomamente e il puntatore non ha nessuna possibilità di ulteriore
intervento. Il sistema appartiene infatti alla tipologia “Fire and Forget”
–spara e dimentica. Durante il volo il missile si dirige progressivamente verso
l’obiettivo fino ad impattarvi. Non è prevista esplosione per prossimità.
Qualora non
dovesse
colpire l’obiettivo, il missile
esplode
per
autodistruzione dopo un tempo determinato.
II.6.3 Storia del Sistema missilistico Stinger:
I lavori iniziali per lo sviluppo del missile iniziarono nel 1967 alla General
Dynamics sul progetto Redeye II. Nel 1971 fu accetato dall’Esercito
72
americano per la sperimentazione e la successiva acquisizione, e designato
‘FIM-92A’; l’appellativo ‘Stinger’ fu introdotto nel 1972. Per problemi
tecnici dovuti allo sviluppo del sistema in fase di progettazione, i primi lanci
sperimentali furono effettuati nel poligono di White Sands soltanto nel 1975.
La produzione dello Stinger FIM-92A iniziò nel 1978 per rimpiazzare il
vetusto Redeye FIM-43 (molto simile in quanto a prestazioni al sovietico
SA-7 ‘Grail’-Strela-2M). Uno Stinger migliorato con un seeker ancora più
sensibile, il FIM-92B, fu prodotto a partire dal 1983 contemporaneamente al
FIM-92A. La produzione di entrambi (FIM-92 A e B) finì nel 1987 con
circa 16.000 sistemi d’arma prodotti. La sostanziale novità del sistema
d’arma Stinger rispetto al Redeye, era la presenza di un circuito elettronico in
grado di essere programmato a seconda delle specifiche tecniche (profili di
volo, quantità di emissioni IR e loro lunghezze d’onda e frequenze) dei
velivoli contro i quali ne era destinato l’impiego. Questo spiega la necessita’
per gli sviluppatori del sistema di entrare in possesso di velivoli nemici per
studiarne le caratteristiche.
Questo comportamento viene ritrovato nelle fasi appena precedenti
l’introduzione dello Stinger nel conflitto russo-afgano, quando gruppi di
mujahideen vennero incaricati di abbattere e successivamente consegnare
all’ISI Pakistana i relitti di velivoli sovietici (Grau e Gress 2002, p. 155).
73
Lo Stinger ha visto il suo debutto reale durante la guerra russo-afgana, e
proprio l’attenta analisi del suo comportamento operativo ha fatto scaturire
ulteriori migliorie del sistema. Dopo l’esperienza afgana, infatti, il SAM
MANPAD Stinger ha visto un ulteriore evoluzione nello sviluppo della
versione FIM-92C, con microprocessore riprogrammabile e maggiore
sensibilità IR per l’impiego contro velivoli UAV (senza pilota), missili da
crociera, elicotteri leggeri e velivoli attrezzati con contromisure IR in genere.
L’esperienza afgana insegnò ben presto ai piloti sovietici la necessità di
adottare il lancio ripetuto di falsi bersagli flares durante le fasi di sorvolo a
bassa quota. I flares infatti, si rivelarono l’unico mezzo in grado di attenuare
la pericolosità del sistema Stinger ed ingannare le fasi di ingaggio degli
operatori dei posti tiro.
II.6.4 Caratteristiche tecniche principali
Tipo di guida
IR Passiva
Peso missile
Kg 9,6
Peso Tubo di lancio
Kg 3,1
Peso Gripstock
Kg 2,5
Peso del sistema completo
Kg 15,7
Lunghezza missile
cm 147,3
Diametro
mm 70
Portata massima
superiore a m 4800
Portata minima
m 300
Quota massima
superiore a m 3800
74
Velocità massima
Mach 2.2 (circa 700 m/s)
Temperatura funzionamento
da -40°C a +50°C
Temperatura immagazzinamento
da -40°C a +60°C
Durata alimentazione batteria
Spoletta
secondi 45
Penetrazione, Impatto e Autodistruzione
II.7 L’addestramento e le vie di rifornimento
I servizi segreti pakistani decisero di fornire il proprio contributo alla causa
della guerriglia afgana addestrando unità di mujahideen presso propri centri.
In particolare furono allestiti due campi di addestramento con una capacità
ricettiva di 200 persone. A partire dal 1984 si raggiunse un livello di circa
1000 persone al mese. Nel 1987 erano attivi 7 campi addestrativi36 fra i quali
quello per l’addestramento al sistema d’arma stinger.
Nessuno a livello mondiale era a conoscenza dell’attività clandestina
condotta dai servizi segreti pakistani a favore della guerriglia afgana. Ciò,
tuttavia, limitava non poco la completa operatività presso i campi di
addestramento soprattutto in caso di poligoni a fuoco o lancio di missili (si
registrarono alcuni incidenti con le forze regolari pachistane ignare
dell’attività addestrativa clandestina).
36
Ciò richiedeva naturalmente più soldi e più personale istruttore.
75
In genere quando veniva pianificata la missione veniva individuato il
comandante dei mujahideen37 (operante nella specifica area di operazione) e
al tempo stesso gli istruttori pakistani (un ufficiale ed un sottufficiale). Gli
istruttori dovevano addestrare e seguire in missione il team operativo,
pertanto essi si dovevano immedesimare il più possibile nel guerriero
mujahideen tanto da assumerne gli usi e costumi (tuttavia il rischio di essere
catturati restava molto alto).
Gli istruttori si concentravano molto sull’addestramento ed in particolare
quello pratico, fondamentale per poter condurre le operazioni in assenza di
un’attività di comando e controllo istantanea38 che potesse monitorizzare
giorno per giorno le diverse fasi della guerra39.
Il livello qualitativo del personale da addestrare era elevato (gli stessi
ispettori americani si complimentarono per la precisione e l’abilità di impiego
delle armi), essi infatti venivano selezionati accuratamente fra i così detti
veterani (Yousaf e Adkin 2001, p.116).
Lo scopo principale dell’addestramento era quello di fornire un insieme di
istruzioni tecnico-operative sulle modalità di operare in funzione delle
37
Il comandante della missione il più delle volte veniva imposto a livello politico, ma ciò
incideva negativamente sul risultato, poiché era necessario selezionare personale motivato e
valoroso che conoscesse bene l’area di operazione (Yousaf e Adkin 2001, p.120).
38
E’ un aspetto molto importante della guerra: la capacità di operare in modo coordinato
anche in assenza di una attività di comando e controllo centralizzata, diretta ed istantanea.
39
Qualsiasi sistema di comunicazione poteva essere intercettato e dunque compromettere
l’intera operazione addestrativa ed operativa, senza considerare naturalmente i risvolti
76
possibili situazioni. Mentre il comandante riceveva un indottrinamento
specifico sul tipo di missione da compiere, contestualmente il suo personale
veniva addestrato in termini pratici a condurre la missione evitando di
perdere tempo sulla teoria.
Dopo giorni e giorni di studi teorici per analizzare nei minimi particolari
l’andamento della missione, veniva elaborata una timetable al fine di facilitare
il compito del comandante e per avere una maggiore probabilità che
l’operazione avesse luogo secondo i piani prestabiliti40.
geopolitici e geostrategici. Solo a partire dal 1985 fu realizzata una rete per le
comunicazioni radio sicure.
40
Un esempio è l’attacco condotto contro la base aerea di Bagram (Yousaf e Adkin 2001,
p.121 e seg.).
77
Figura II.11 Le principali vie di rifornimento a favore della guerriglia
afgana.
Quando fu distribuito il sistema d’arma Stinger gli americani iniziarono
un’attività ispettiva più accurata presso il centro di addestramento
controarerei con una capacità ricettiva di 20 persone a causa della limitazione
dei simulatori41 (Yousaf e Adkin 2001, p.182). Presso questa scuola era stata
realizzata in tempi brevissimi un’installazione (MTS42), che riproducendo su
una parete le rotte e le possibili evoluzioni degli aeromobili, permetteva di
controllare l’intera sequenza di fuoco condotta dall’operatore.
41
Tracking Handling Trainer (addestratore di inseguimento) ausilio di primaria importanza
per l’addestramento del personale in quanto consente di simulare tutte le fasi della sequenza
operativa, verificare con esattezza le capacità del personale e accertare il grado di
addestramento raggiunto (attraverso un indicatore di prestazioni). E’ simile al sistema
d’arma operativo ma ci sono alcune differenze, una delle principali è l’assenza del missile
all’interno del tubo di lancio.
78
Il corso per le squadre operative aveva una durata di circa 4 settimane43,
durante le quali dovevano essere fornite il maggior numero di informazioni
possibili su un sistema d’arma semplice nell’uso ma che al tempo stesso
presentava alcune limitazioni d’impiego e complicazioni (si veda §II.8). Il
personale doveva acquisire tutte le conoscenze necessarie per eseguire in
modo corretto la procedura di lancio44.
L’accordo iniziale con gli Stati Uniti prevedeva una fornitura annua di circa
1000-1200 missili e 250 gripstock (ovvero 1 gripstock per 4 missili: carico
base di un posto tiro). Tuttavia considerando il basso numero di personale
che poteva essere addestrato (20 persone al mese – ovvero 6 posti tiro)
risulta evidente che il consumo annuo era di circa 300 missili (30% del
potenziale acquistato).
Il comandante invece doveva approfondire alcuni temi di estrema
importanza:
a. modalità di attacco degli elicotteri ed aerei. In particolare, tenendo
conto della portata del missile, bisognava dislocare i posti tiro in
prossimità delle basi aeree per ottenere il massimo risultato;
42
Moving Target Simulator (MTS): installazione fissa costituita da uno schermo
rappresentante uno scenario reale ed un sistema computerizzato per la rappresentazione dei
bersagli ed il rilevamento analitico della prestazione del tiratore/puntatore.
43
Il primo corso fu svolto sotto la diretta supervisione di ufficiali americani.
44
Ciò aveva lo scopo di verificare se l’operatore era in grado di maneggiare correttamente
l’arma e di eseguire rapidamente le operazioni per la prevista sequenza di fuoco.
79
b. selezione dell’area di lancio in funzione del range del missile, campo
di osservazione a 360°, assenza di ostacoli naturali ed artificiali,
sicurezza per lo scoppio posteriore, sicurezza da attacchi terrestri;
Per esempio se ipotizziamo che la missione era quella di colpire elicotteri in
fase di atterraggio, in teoria i possibili schieramenti che potevano essere
adottati erano i seguenti:
1. chiuso, dislocando i tre posti tiro a 360° intorno alla presunta base
aerea45 (si veda Fig.II.12). Era opportuno realizzare questo tipo di
schieramento quando non era noto il corridoio aereo che permetteva
l’atterraggio. Pertanto il singolo posto tiro aveva assegnato un
Figura II.12 Schieramento chiuso
45
Fino al 1986 venivano condotte missioni contro basi aeree al fine di distruggere velivoli
a terra, con l’introduzione del missile stinger era possibile l’autodifesa controaerei ma al
tempo stesso era possibile condurre operazioni offensive anche contro velivoli in volo.
80
proprio settore di intervento di ampiezza varabile fra i 120° e 180°,
all’interno del quale doveva intervenire.
2. Aperto, dislocando i posti tiro in linea in prossimità della base aerea
(si veda Fig.II.13). Era possibile realizzare questo tipo
di
schieramento quando era noto a priori il corridoio aereo che
permetteva l’atterraggio. Infatti schierando i posti tiro in modo
equidistante (ed in posizioni sicure) dal lato di probabile arrivo degli
Figura II.13 Schieramento aperto
aeromobili, era possibile intervenire sui velivoli in rotta trasversale
(caso più semplice per il puntatore46). A ciascun posto tiro veniva
assegnato un proprio settore di intervento di ampiezza 120° con asse
46
Durante la fase di lancio l’arma non deve essere inclinata oltre i 65° per evitare di essere
investiti dall’onda d’urto.
81
centrale perpendicolare alla probabile direzione di atterraggio degli
aeromobili.
Inoltre era necessario individuare a priori una postazione alternativa da
raggiungere una volta lanciato il missile (nel raggio di 300 metri non alterando
dunque l’equilibrio dello schieramento), al fine di non diventare un bersaglio
noto e per poter effettuare una nuova procedura di lancio.
La percentuale di abbattimento in condizioni normali, secondo gli esperti
americani, era del 60-65%, tuttavia da una stima fatta sul campo operativo
afgano si registrarono anche percentuali che oscillavano fra il 70 e il 75%.
Come si è detto sopra le tattiche di impiego del missile subirono delle
evoluzioni, dettate per lo più dalla combinazione di esigenze offensive e
difensive, non solo della guerriglia afgana, ma anche del Pakistan. Da un lato
infatti erano stati schierati posti tiro in configurazione offensiva in
prossimità delle basi aeree in territorio afgano, e dall’altro posti tiro47 lungo il
confine pakistano. Tuttavia i risultati dei posti tiro costituiti da personale
pakistano offrirono scarse prestazioni. Infatti si stima che siano stati lanciati
28 missili senza aver abbattuto alcun aereo. Nel 1987 circolarono alcune
indiscrezioni su un possibile abbattimento di un aereo russo lungo il confine
pakistano, ma ben presto queste notizie risultarono infondate. Questi dati
dimostrano la grande abilità dei mujahideen di impiegare un’arma tecnologica
82
(e di superare in destrezza gli stessi istruttori pakistani48) sfruttando il
fattore sorpresa.
II.8 Limitazioni e complicazioni di impiego
Da una lettura attenta dei manuali tecnici del sistema d’arma stinger e dei
manuali operativi di impiego emergono alcune limitazioni e complicazioni. In
questo paragrafo conclusivo si tenterà di schematizzare gli aspetti che
limitano l’impiego del sistema d’arma.
a. Ambiente montuoso: la presenza di ostacoli naturali pregiudica la
capacità di osservazione ed al tempo stesso di acquisizione.
b. Umidità: la presenza di umidità (rilevabile da un indicatore posto sul
tubo di lancio e sul contenitore del missile) può pregiudicare il
corretto funzionamento del sistema d’arma, tanto da renderlo nonoperativo.
c. Trasporto: il sistema d’arma deve essere trasportato all’interno della
cassa prevista e non deve essere sottoposto ad urti o a pressioni
esterne che potrebbero deformare l’arma tanto da renderla non47
Queste squadre erano costituite da personale pakistano.
Tuttavia non bisogna dimenticare il diverso impiego tattico che veniva fatto dei posti
tiro. Infatti mentre i pakistani avevano una posizione statica da vigilare (forte limitazione se
si considera l’estensione dei confini ed il range del missile), i mujahideen dovevano
48
83
operativa. Tuttavia nel caso l’arma venga trasportata a piedi, deve
essere tenuta in posizione orizzontale e sistemata sulla spalla destra
o mediante l’apposita cinghia a tracollo con la parte anteriore del
missile rivolta verso sinistra (evitando oscillazioni).
d. Comunicazioni: l’assenza di una catena di comando e controllo
immediata richiede un alto livello di preparazione del personale, che
deve essere in grado di affrontare gli eventuali imprevisti senza
ricevere ordini dall’organo superiore.
e. Mobilità: tenendo conto del carico base di un singolo posto tiro
sarebbe previsto un veicolo ruotato leggero per il trasporto. Non è
dato di sapere se i mujahideen fossero dotati di tali veicoli, tuttavia è
certo che il trasporto dei missili dal Pakistan all’Afghanistan avveniva
mediante automezzi.
f. Sistema di identificazione amico-nemico: uno dei principali rischi era
rappresentato dal possibile “fuoco amico”, ovvero dalla possibilità di
ingaggiare eventuali aerei civili o dell’aviazione pakistana. Per ridurre
questo rischio i sistemi missilistici erano stati dotati del sistema di
identificazione amico-nemico (IFF). Tuttavia non sempre questi
compiere operazioni in prossimità di basi aeree dove il tasso di veivoli in volo era
concentrato in una piccola area.
84
sistemi erano affidabili, pertanto in assenza di indicazioni strumentali
positive, l’unico criterio da adottare era quello visivo.
g. Controlli completi su tutte le componenti del sistema d’arma: nel
caso in cui l’arma venga tolta dal contenitore originale ed esposte a
condizioni meteo avverse devono essere effettuati giornalmente
controlli accurati per verificare lo stato di efficienza dell’arma.
Oltre a questi aspetti che in un certo qual modo limitavano l’impiego del
missile Stinger, è opportuno sottolineare anche le possibili complicazioni
connesse all’impiego del missile.
a. Malfunzionamenti: per il sistema missilistico Stinger sono previste
tre tipologie di malfunzionamenti:
- hang fire: ritardo nel funzionamento dell’arma;
- miss fire: completo guasto dell’arma. Nel caso in cui il missile non
parte è necessario seguire una procedura particolare al fine di ridurre
il rischio per il personale49;
- duds: quando il missile fuoriesce dal tubo di lancio, ma non si
accende il motore di volo.
b. Imboscate: uno dei principali rischi era quello di un probabile attacco
da terra da parte di forze speciali russe ed iraniane interessate al
49
L’ordine era quello di distruggere l’arma con le pietre, poiché non avevano a disposizione
uno specifico kit di distruzione e non potevano lasciarlo sul posto. Tuttavia la distruzione
85
missile Stinger. Per ridurre questo rischio si cercava di effettuare
operazioni in province dove era presente un cospicuo numero di
mujahideen al fine di avere un’adeguata cornice di sicurezza.
Figura II.14 Mujahideen con Stinger presso un velivolo abhbattuto
Nonostante le numerose misure di precauzione adottate, nel 1987 si verificò
l’irreparabile, vennero sequestrati alcuni missili Stinger in due diversi episodi.
Una squadra a pieno carico destinata ad operare intorno a Kandahar
(nell’area denominata infelicemente il macello), lungo il viaggio di ritorno
verso la propria base d’operazione, fu attaccata dalle unità speciali russe
(SPETSNAZ). Un altro caso simile si verificò dopo qualche mese in
manuale eseguita con le pietre risulta essere molto pericolosa se non eseguita a distanza di
86
prossimità del confine iraniano dove era stato stabilito di dislocare alcuni
posti tiro in prossimità di Herat e Shindand. Il comandante dell’operazione,
disattendendo le disposizioni ricevute sulla sicurezza, superò erroneamente il
confine iraniano. Nonostante gli sforzi diplomatici, i pakistani non furono in
grado di ritornare in possesso dei missili Stinger sequestrati (Yousaf e Adkin
2001, pp.174-188).
II.9 Lo Stinger e la ritirata delle truppe russe dall’Afghanistan
Dopo il 1987, i mujahideen, grazie al supporto dell’ISI e della CIA,
iniziarono operazioni offensive oltre il fiume Amu, lungo il confine russoafgano. L’URSS, per evitare il dilagare del terrorismo oltre i confini afgani,
valutò l’opportunità di ritirarsi dalla regione, ammettendo la propria
sconfitta (Yousaf e Adkin 2001, pp.189-206). Gli obiettivi principali dei
mujahideen erano basi militari, basi di supporto logistico/rifornimento,
generatori elettrici, ponti, aeroporti, basi aeree. Le squadre erano costituite da
nuclei offensivi equipaggiati con mitragliatrici, razzi, missili contro carro e
missili Stinger. Una delle più importanti operazioni condotte in profondità
(circa 20 km oltre il confine russo) fu quella di Wali (Yousaf e Adkin 2001,
p.204; si veda §III.5).
sicurezza.
87
Queste operazioni se da un lato costringevano le truppe russe a ritirarsi,
dall’altro esponevano maggiormente il Pakistan e gli USA ad una guerra
globale. Tuttavia lo scenario geopolitico e geostrategico che via via si andava
dischiudendo verso la fine del 1988 evitò lo scontro finale fra le due grandi
super potenza del tempo e segnò l’inizio di una nuova fase storica
caratterizzata dalla caduta dell’impero russo e dall’avvio di un nuovo
processo di distensione e di relazioni costruttive fra la Russia e gli USA.
Figura II.15 MI-24 Hind
88
CAPITOLO III
LE BATTAGLIE DETERMINANTI
DELLA “1^ GUERRA DI FAGLIE”1
Scopo di questo capitolo è quello di descrivere in modo dettagliato e
scrupoloso le principali battaglie che hanno caratterizzato le diverse fasi della
guerra russo-afgana allo scopo di offrire un’adeguata cornice a quanto già
descritto nei capitoli precedenti.
In particolare, da una posizione plurifocale e in un’ottica asettica, saranno
analizzate una serie di battaglie che tendono a porre in evidenza le strategie,
le tattiche, le tecniche, le tecnologie, i limiti e soprattutto i fattori
determinanti che si sono palesati in circa un decennio di guerra non solo sul
suolo afgano, ma anche in territorio russo. Un’evoluzione caratterizzata dal
rapporto di feed back fra le due parti in guerra, che in una posizione
dialettica avevano come scopo quello di distruggere l’avversario.
1
La maggior parte del contenuto di questo capitolo è stato tratto dai seguenti testi: Grau
1998 e Jalali e Grau 2001. In particolare il primo libro è una traduzione di un testo russo –
utilizzato presso l’Accademia militare a partire dagli inizi del ’90 – che espone le lesson
learn frutto delle singole tattiche e tecniche impiegate contro la guerriglia. Il secondo testo
è speculare, perché affronta le stesse problematiche, gli stessi episodi-eventi, però visti ed
analizzati dai capi della guerriglia afgana.
Inoltre i testi tradotti in inglese sono commentati dal Ten. Col. Grau che ha vissuto in
prima persona l’esperienza afgana. In questo modo si ottiene una visione plurifocale ed il
più possibile neutrale dell’evento guerra.
89
L’impiego del sistema missilistico Stinger, di fabbricazione americana, ha
tuttavia contribuito a riequilibrare le sorti del conflitto. Ma quando la guerra
di faglie da un lato stava per trasformarsi nell’inizio della 3^ guerra mondiale
e dall’altro nell’espansione della jiahad a livello mondiale, l’URSS –
caratterizzata da un processo di rivoluzione politica interno e nel quadro di
un processo di distensione a livello internazionale – ha fatto una scelta
morale: ritirare le truppe di occupazione dal suolo afgano.
III.1 Le operazioni “block and destroy” contro la guerriglia
L’esercito russo dopo alcuni anni di esperienza in territorio afgano - e dopo
aver testato le tradizionali strategie idonee per un attacco/invasione nei
territori del nord Europa - comprese la necessità di contrastare la guerriglia
adottando la strategia del “block and position”. Una tecnica che doveva
garantire l’individuazione della regione/area in cui operava la guerriglia, la
realizzazione di una barriera, il bombardamento ed infine il rastrellamento.
III.1.1 La ricerca di un villaggio nella Valle del Charikar
All’inizio del 1980 Kabul e le province limitrofe risultavano abbastanza in
ordine e non si registravano situazioni di combattimento. Tuttavia, nella
primavera, gruppi organizzati iniziarono l’attività di guerriglia.
90
Il battaglione motorizzato del Ten. Col. Makkoveev fu allertato per
intervenire su
Charikar per
supportare
altre unità
impegnate in
un’operazione “sweep and destroy”.
In particolare il 22 luglio le compagnie del Ten. Col. Makkoveev (non
addestrate ad operare in ambiente montano) furono chiamate ad effettuare
un’attività di ricerca di un villaggio all’interno della valle del Charikar.
Tuttavia le postazioni dei mujahideen, ben disposte sulle posizioni
dominanti, resero difficile l’avanzata delle unità russe, che solo con
l’intervento degli elicotteri furono in grado di raggiungere l’area designata
(Grau 1998, pp.5-8).
III.1.2 Operazione in Parwan
Il 24 gennaio 1984 colonne di unità russe e della DRA – supportata da
elicotteri – si muovevano da Kabul verso Bagram ed avevano come obiettivo
la distruzione di unità afgane. I mujahideen rinforzarono le proprie posizioni
e cercarono di anticipare il blocco con un accerchiamento. Nella prima
giornata di combattimento le unità russe realizzarono un “block position”,
rinforzato da unità carri ed artiglieria. L’operazione iniziò con l’impiego di
elicotteri e di aerei e la guerriglia fu sottoposta ad un duro attacco.
Haji Qader, comandante della guerriglia, ordinò di schierare le mitragliatrici
sulle posizioni quotate e le armi controcarro sul fronte del dispositivo.
91
Non appena cessò l’attacco aereo, ebbe inizio l’attacco terrestre. Le unità
appiedate incontrarono nei due giorni di battaglia alcune difficoltà:
mujahideen, ostacoli passivi, mine, razzi.
Haji Qader in questo modo poté operare un aggiramento del “block position”
e neutralizzare l’intera operazione russa, che ancora una volta risultò essere
inefficace ed eccessivamente dispendiosa in termini di munizioni, mezzi,
materiali e uomini impiegati (Jalali e Grau 2001, pp.257-262).
III.1.3 Operazione sul passo di Salang
Nel febbraio del 1980 la situazione lungo la strada fra Termez e Kabul era
disastrosa. In particolare la guerriglia era attiva nell’area del Passo di Salang.
Le cose peggiorarono nel maggio dello stesso anno, pertanto ogni singolo
battaglione fu rinforzato da compagnie carri, da batterie di artiglieria e da
squadre esploranti. Questi reparti avevano il compito di individuare e
distruggere le unità della guerriglia. L’operazione iniziò alle prime ore della
notte fra il 20 e 21 maggio in prossimità di Ghorband. Nei giorni successivi
l’attività si estese anche alla città di Bamian e ai centri limitrofi. Nonostante
alcune perdite a causa di improvvise imboscate, la ricerca dei mujahideen
diede scarsi risultati. Infatti furono uccisi solo 10 mujahideen e furono
ritrovate solo armi semiautomatiche di piccolo calibro. La guerriglia aveva
abbandonato repentinamente le aree popolate.
I leader russi comprendevano la necessità di:
92
a. ricognire preventivamente e prontamente l’area per poter decidere
il livello di unità da inviare;
a. impiegare unità paracadutiste elitrasportate
per
contrastare
immediatamente i mujahideen individuati;
a. la guerriglia doveva essere bloccata, circondata e distrutta con un
attacco frontale (Grau 1998, pp.11-14).
III.1.4 Operazione nella “green zone” intorno a Kandahar
Nell’ottobre 1982 le unità da ricognizione russa segnalarono circa 10 gruppi
di guerriglia (per un complessivo di 350 uomini) operativi nella regione a
nord di Kandahar. Quest’area era una regione agricola in prossimità del fiume
Arghandab ricca di canali di irrigazione.
La brigata russa, operante nella regione, aveva avuto come compito quello di
neutralizzare questi gruppi armati. In particolare il concetto d’azione
prevedeva l’impiego di tre battaglioni motorizzati sul versante nord,
elicotteri da attacco sul versante sud ed orientale e due battaglioni fucilieri e
uno paracadutisti sul versante occidentale. Il dispositivo sarebbe stato
supportato dal fuoco di un gruppo di artiglieria.
Alle 5.00 circa del 6 ottobre tutte le unità avevano occupato la posizione
pianificata ed erano pronte a condurre la missione. Dopo circa 12 ore di
ricerca iniziò il contatto con il nemico. In questa fase cruenta il posto
comando della 2^ compagnia paracadutista fu soggetto all’attacco di unità
93
nemiche. I collegamenti via radio vennero parzialmente resi inefficienti.
L’artiglieria non fu in grado di intervenire in supporto delle unità sotto
assedio perché il comandante della compagnia non era in grado di fornire le
coordinate della propria posizione con una sufficiente precisione2 (Grau
1998, pp.15-18).
III.1.5 Operazioni nella regione di Ishkamesh
Nel 1984 furono individuati alcuni centri di addestramento in prossimità del
villaggio di Ishkamesh, a 60 km sud est di Kunduz. Le forze della guerriglia
addestrate
in questo
centro
operavano
soprattutto
in
prossimità
dell’aeroporto di Kunduz ed attaccavano i convogli logistici lungo l’itinerario
Kunduz-Puli Khumri. Il Ten. Col. Akimov, Comandante del Reggimento
motorizzato operante nella zona, ebbe l’ordine di distruggere queste unità di
guerriglia. In particolare venne rinforzato con un altro Battaglione da
ricognizione, uno squadrone di elicotteri d’attacco, due gruppi di artiglieria e
una divisione di fanteria della DRA.
L’operazione iniziò il 19 gennaio nella regione di Fusoli, Marzek, Kuchi,
Badguzar e Kokabulak. Alle prime ore dell’alba del giorno successivo, dopo
un attacco aereo (condotto a sorpresa con elicotteri Mi-6 e Mi-24), le unità
paracadutiste furono elitrasportate ad est di Marzek e a nord di Kuchi. La
2
Lo scarso grado di precisione (più di 50 metri) nel determinare la propria posizione
avrebbe potuto generare fuoco fratricida, soprattutto in caso di un’operazione block position
in terreno montuoso.
94
guerriglia non reagì all’attacco degli elicotteri. Alle ore 8,30 circa, le unità
appiedate entrarono nei villaggi ed iniziarono il raid. Mentre una parte dei
mujahideen cercava di contrastare l’avanzata dei russi, un’altra componente
cercò di ripararsi in Ishkamesh – il nocciolo duro del centro di
addestramento. Le unità russe avanzavano da nord (Badguzar) e da sud
(Marzek e Kokabulak) e i mujahideen erano bloccati in Ishkamesh.
Il fuoco di preparazione dell’artiglieria e degli elicotteri da attacco,
neutralizzò in pochi minuti la capacità offensiva della guerriglia.
Ulteriori rastrellamenti furono condotti nei villaggi di Daryi-Pashay e Fusoli
e si conclusero solo nella giornata del 21 gennaio.
Le perdite complessive furono di circa 150 mujahideen (Grau 1998, pp.1923).
III.1.6 La battaglia di Baraki Barak
Il distretto di Baraki Barak era un’oasi molto fertile ed una delle aree più
verdi compresa fra due grandi rotabili che portano a Kabul. Nel 1982 furono
localizzati alcuni mujahideen operativi nell’area di Baraki Barak.
In particolare la guerriglia aveva dislocato sulle cime delle colline numerose
postazioni di mitragliatrici controaerei (in particolare ZGU-1, 14,5 mm a
canna singola) tanto da creare un serio problema alle unità russe.
Le unità russe iniziarono l’offensiva contro la guerriglia lungo tre principali
assi con forze provenienti da Gardez, Kabul e Wardak. Queste forze
95
circondarono l’area ed iniziarono l’attacco contro le postazioni della
guerriglia. I mujahideen elaborarono immediatamente un piano di difesa, che
prevedeva la costituzione di piccoli nuclei operativi capaci di occupare le
posizioni perimetrali del villaggio.
Il fuoco continuo dell’artiglieria e degli elicotteri russi distrusse le principali
postazioni controaerei ed il versante sud del villaggio, ma il contrattacco della
guerriglia non si fece attendere. In poco tempo la battaglia diventò uno
scontro diretto, dove i mujahideen riuscirono a penetrare e dividere le maglie
delle unità russe. Dopo circa tre giorni e tre notti di combattimento le unità
russe furono costrette a ritirarsi. La guerriglia registrò circa 250 morti ed
invece le unità russe circa 2000 morti in battaglia (Jalali e Grau 2001,
pp.242-246).
III.4.2 La difesa delle linee di comunicazione (LOC)
Una delle principali priorità dei leader della guerriglia era il tentativo di
interrompere i movimenti logistici sulle principali LOC dell’Afghanistan.
Generalmente un battaglione motorizzato russo era responsabile di un
settore all’interno del quale era presente un tratto di strada variabile dai 40 ai
150 km. Nel febbraio 1986, tre battaglioni motorizzati - rinforzati da una
compagnia carri e da due batterie di artiglieria - erano responsabili di circa
102 km della rotabile che unisce Puli-Gharkhi alla superstrada per Jalalabad e
alla diga Naghlu. Il Ten. Col. Tubeev decise di ripartire l’area in tre settori
96
per facilitare l’attività di controllo, in particolare fece uno studio del terreno,
vagliò le possibili linea di azione del nemico e valutò i punti deboli dei singoli
settori. La sicurezza delle LOC era basata su una serie di avamposti di
controllo-sicurezza dislocati lungo il settore stradale. Ciascun avamposto era
occupato da un plotone rinforzato e l’attività di vigilanza era costante e
condotta 24 ore su 24, inoltre era integrata da un servizio di pattugliamento.
L’area di competenza era ben delimitata, erano stati materializzati i settori
prioritari e quelli alternativi, i punti di saldatura fra le postazioni contermini,
le posizioni di fuoco principali e secondarie. Le unità di artiglieria in rinforzo
erano impiegate in modo strategico e dislocate in posizioni idonee per
assicurare la copertura a tutti gli avamposti e nelle possibili direzioni di
attacco della guerriglia. Gli avamposti furono circondati con recinzioni
metalliche e protetti con mine antiuomo disseminate lungo tutto il perimetro
esterno. Tuttavia queste postazioni statiche facilitavano il compito della
guerriglia che poteva sfruttare il fattore sorpresa (Grau 1998, pp.129-133).
III.2 Attacchi condotti nelle aree urbane e montane
Le operazioni militari condotte in aree densamente popolate richiedevano un
alto livello di specializzazione e di addestramento da parte delle unità. Il
97
successo della missione dipendeva soprattutto dall’abilità del comandante e
del suo staff nel pianificare, gestire e condurre le singole battaglie.
In particolare era necessario individuare con precisione la posizione idonea
dove schierare le unità di supporto per poter offrire la maggiore copertura
alle unità di terra.
III.2.1 Attacco nella provincia di Herat
La situazione nella provincia di Herat era molto critica verso la fine del 1984.
La guerriglia operante nella zona, comandata dal Capitano Ismail, era stata
supportata da nuove armi provenienti dall’Iran e da nuovi elementi ben
addestrati. Queste unità di mujahideen conducevano continui attacchi nella
provincia e soprattutto alla base aerea di Herat.
Per sradicare lo sviluppo di queste pratiche venne elaborato un piano per
neutralizzare la guerriglia. Il 4 novembre, dopo un lungo addestramento nelle
zone desertiche, iniziò l’operazione offensiva, alle prime ore dell’alba la città
di Herat fu completamente bloccata. Durante i primi scontri si registrarono
numerosi feriti e decine di morti fra le unità russe e dopo qualche ora di
combattimento le unità sul fronte sud iniziarono il ripiegamento per evitare
eccessive perdite. Le unità di intelligence avevano individuato circa 800
mujahideen in 25 km quadrati ma le forze russe schierate risultavano essere
insufficienti per un confronto equilibrato.
98
Fu necessario l’impiego di aerei d’attacco (SU-25 FROGFOOT) e del fuoco
delle batterie di artiglieria e dei BM-21 “Grad” (MLRS in base alla
terminologia NATO). Dopo circa due ore di assedio il villaggio fu rastrellato
dalle unità russe, ma alcune frange della guerriglia riuscirono a scappare e a
nascondersi fra i monti (Grau 1998, pp.48-52).
III.2.2 Operazione sul passo di Satukandav- Operazione Magistral3
I continui atti di terrorismo contro le unità della DRA e russe verso la fine
del 1987 avevano ormai reso difficile la vita nel distretto di Khost. I
rifornimenti logistici (armi, munizioni, carburante, cibo ed altro) erano
continuamente preda delle unità della guerriglia. Per dare una risposta
definitiva alla guerriglia, l’alto comando decise di condurre l’operazione
“Magistral” con il maggior numero di divisioni e reggimenti. La missione era
quella di sradicare la guerriglia dalle zone di Kabul, Gardez e Khost al fine di
ristabilire l’ordine nel cuore del paese
Prima di lanciare l’offensiva decisiva, il governo afgano tentò un ultima
risoluzione pacifica attraverso la distribuzione di cibo e di altri beni di prima
necessità alla popolazione locale. Tuttavia il leader locale, Hagani, utilizzò
questa temporanea e breve pausa dei conflitti per riorganizzare le proprie
forze.
3
Una delle principali operazioni condotte congiuntamente da forze russe ed afgane.
99
Uno dei principali passi che si trova lungo la rotabile fra Gardez e Khost era
il passo di Satukandv4 dove operavano all’incirca 15.000 mujahideen.
Dopo una preparazione di circa 12 giorni, il 21 novembre 1987 le unità
pianificate per l’operazione furono concentrate nella zona di Gardez, allo
scopo di conquistare il passo di Satukandv e successivamente espandersi
nell’intera provincia del Paktia.
Dopo alcuni giorni di trattative con i leader locali, che non ebbero successo, il
Gen. Gromov, il 28 novembre, diede l’ordine di dare inizio all’operazione che
aveva come obiettivo l’individuazione5 e la neutralizzazione dei mujahideen,
il sequestro di armi ed in particolare dei sistemi d’arma missilistici impiegati
contro gli elicotteri e gli aerei.
Il fuoco integrato e sincronizzato dell’artiglieria e dell’aviazione - per circa 4
ore - sulle postazioni di fuoco della guerriglia, avevano come obiettivo quello
di preparare il terreno alle truppe di terra.
Nella notte fra il 29 e il 30 novembre, la guerriglia, approfittando degli errori
commessi dai comandanti russi, lanciò la controffensiva. Sfruttando la
conoscenza del terreno e supportata da un adeguato rifornimento locale riuscì
ad infliggere un gran numero di perdite fra le unità russe. Nonostante
4
Definito “il bastione non ancora attaccato sul quale i russi si romperanno i denti” Grau
1998, p. 60).
5
Per scovare le postazioni nemiche, furono aviolanciati circa 20 fantocci, in questo modo i
mujahideen spararono e rilevarono la propria posizione.
100
l’andamento non certo favorevole della battaglia, il Gen. Gromov decise di
continuare ad avanzare.
L’intervento a sorpresa di un battaglione paracadutisti e di un battaglione
“Commando” della DRA garantirono la conquista di due punti quotati molto
strategici (sul fianco e sul retro del dispositivo nemico) ed aprì la strada alla
conquista del passo di Satukandv. La guerriglia non si aspettava una simile
azione, iniziò a perdere l’iniziativa ed iniziò la ritirata.
Nei primi giorni di dicembre le unità russe furono in grado di controllare
l’intero passo (Grau 1998, pp.59-65).
III.2.3 Operazione notturna nel canyon di Andarab
Verso la fine del febbraio ’88 il reggimento del Ten. Col. Telitsyn, dopo aver
ben figurato durante l’Operazione Magistral, durante il viaggio di ritorno
verso la base di Kunduz, venne impiegato6 ulteriormente in prossimità del
canyon di Andarab - dove la guerriglia aveva rapito il governatore della
Provincia di Baghlan.
Il comandante del reggimento aveva ricevuto l’ordine di individuare i ribelli,
liberare l’autorità politica, distruggere il nemico e liberare la zona.
L’operazione di ricognizione della zona montuosa iniziò durante la notte, a
circa un’ora di distanza avanzavano le truppe di terra supportate da batterie
6
Ciò dimostra l’inadeguatezza delle forze dislocate sul terreno. Infatti si preferiva impiegare
per operazioni aggiuntive unità sott’organico, che rientravano da una delle più importanti
operazioni militari, senza essere state adeguatamente ricondizionate e supportate.
101
di artiglieria. I risultati della ricognizione prevedevano una presenza di circa
170-200 mujahideen nella zona. Tuttavia non era stata prevista la profondità
del fiume (circa tre metri) che rendeva difficile il passaggio dei veicoli, ciò
naturalmente contribuì a ritardare sensibilmente l’avanzata. Le unità
avanzavano sfalsate, alternando il movimento al fuoco. La guerriglia,
nonostante conoscesse molto bene l’area e sapesse mascherarsi molto bene,
non era in grado di abbandonare la zona, poiché le unità della DRA – che
stazionavano nella provincia – avevano bloccato le principali vie di uscita
(Grau 1998, pp.70-76).
III.2.4 Raid condotto a Sayghani
Nel gennaio 1981 unità russe portarono a termine un raid sul villaggio di
Sayghani (a circa 6,5 km a nord est della base aerea di Bagram). Circa 200
mujahideen nei mesi precedenti, durante le ore notturne, avevano condotto
alcune missioni ed imboscate in Bagram e nelle aree limitrofe ai danni delle
forze russe.
Nel villaggio di Sayghani erano dislocate alcune sentinelle a vigilare le circa
100 abitazioni e la moschea. Tuttavia questo sistema di sorveglianza ed
allarme risultò poco efficace. Infatti nella notte del 9 gennaio queste
sentinelle, schierate sui tetti delle abitazioni, avvistarono il nemico quando
ormai era a circa 2 km dal villaggio. Il leader Qader, consapevole di avere
poco tempo a disposizione cercò di mettere in salvo il maggior numero
102
possibile di persone. Ma la sfortuna volle che le unità russe, che erano state
capaci di raggiungere la posizione in modo occultato, si trovarono già in
posizione lungo la direzione di fuga. Tutte le strade in poco tempo furono
bloccate e l’intero gruppo fu sterminato. Morirono circa 40 mujahideen
(Jalali e Grau 2001, pp.212-215).
III.2.5 Le battaglie per la conquista della fortezza di Sharafat Koh
Sharafat Koh è una un grande massiccio montuoso a sud est del villaggio di
Farah che raggiunge i circa 1500 metri di quota. Questa montagna è
circondata da aree desertiche ed è attraversata da un gran numero di canyons.
A difesa dell’area erano dislocate mitragliatrici DShK sulle pendici dei
canyons. Nelle notti del luglio del 1982 tre elicotteri russi attaccarono
improvvisamente l’area ed incendiarono il villaggio. Khodai-Rahm, addetto
alla mitragliatrice, riuscì ad abbattere due elicotteri, uno dei quali fu colpito ai
motori e si schiantò contro le vette della montagna (senza distruggersi). Il
terzo elicottero uccise Khodai-Rahm e colpì il nido di mitragliatrici.
Successivamente intervennero gli aerei, che bombardarono l’area e
prepararono il terreno per le unità russe che (elitrasportate nel pomeriggio)
realizzarono un block position a circa 3 km dal canyon. Dopo circa 7 giorni
di combattimento i russi raggiunsero l’elicottero abbattuto (Jalali e Grau
2001, pp.284-287).
103
Nel marzo 1983 il leader Mohammad Shah fu supportato attivamente dal
governo iraniano al fine di coalizzare la guerriglia al confine con l’Iran e
condurre attacchi contro le unità della DRA. Dopo alcuni scontri che ebbero
esito sfavorevole la guerriglia si organizzò a difesa dell’area posizionando
mitragliatrici sulle estremità laterali del canyon. Nonostante fossero delle
giornate piovose gli elicotteri russi continuavano a condurre attacchi nella
zona. Dopo una lunga fase di preparazione ebbe inizio l’attacco di terra
condotto da due battaglioni motorizzati. Dopo circa tre giorni di
combattimenti frontali, le unità russe riuscirono a penetrare nel villaggio.
A partire dal 1985 la guerriglia fu rafforzata tanto che disponeva di 6 DShK e
1 ZGU-1, 25 RPG-7 ed altre mitragliatrici di piccolo calibro. L’aviazione
russa bombardò la zona dalle alte e basse quote, contemporaneamente
l’artiglieria preparava il campo di battaglia per le fasi successive dell’azione.
Il secondo giorno la fanteria, supportata dai carri, iniziò lo sforzo principale
nella zona del canyon, ma Mohammad Shah riuscì a sostenere lo scontro. Il
terzo giorno vennero utilizzati i paracadutisti russi che conquistarono le
posizioni dominanti e durante gli scontri uccisero il figlio del leader della
guerriglia locale. La maggior parte dei mujahideen riuscì a mettersi in salvo nei
villaggi limitrofi al confine iraniano, aggirando ed eludendo le unità russe.
Dopo circa 6 anni la guerriglia perdeva una delle principali basi (Jalali e Grau
2001, pp.288-295).
104
III.3 L’impiego delle unità paracadutiste russe
L’impiego delle unità paracadutiste russe ha subito un mutamento sensibile
in occasione della guerra russo-afgana. Infatti il successo delle operazioni era
assicurato dall’impiego a sorpresa dei paracadutisti contro le unità della
guerriglia. Il compito dei paracadutisti era quello di conquistare le “teste di
ponte” e preparare il terreno per le altre unità.
III.3.1 Operazione in Nangarhar
Nel febbraio 1983 le unità di intelligence riportarono la presenza di circa 150
mujahedeen operanti nella zona di Nangarhar. Il comandante della Brigata,
responsabile dell’Area di Operazione, diede l’ordine di eliminare questo
gruppo di terroristi. Lo sforzo principale dell’operazione doveva essere
condotto nel villaggio di Kama e successivamente in Ghaziabad.
Il 12 febbraio le unità paracadutiste furono elitrasportate in prossimità di
Kama e il battaglione motorizzato avanzò verso Ghaziabad, ma non furono
individuate attività nemiche. Il giorno successivo furono condotte altre
attività di elitrasporto nel villaggio di Ghaziabad, ma i mujahedeen avevano
avuto il tempo di rifugiarsi fra le montagne. Il 14 febbraio il comandante del
battaglione decise di spostare le unità paracadutiste sul villaggio di Charbagh
105
per poi raggiungere il villaggio di Bailam. L’area intorno a Bailam era ben
fortificata e le “landing zone” furono immediatamente individuate dai
mujahideen e fra le unità russe si registrarono circa 30 morti (Grau 1998,
pp.78-80).
III.3.2 La battaglia per Kama
L’area di Kama, a nord est di Jalalabad, era un’area di circa 87 km2, molto
fertile e molto popolata prima della guerra. La guerriglia viveva nel villaggio –
e non sulle montagne – ed aveva sporadici contatti con le altre fazioni in
lotta7.
Le unità paracadutiste dislocate in Samarkhel (a sud est di Jalalabad) furono
elitrasportate il 15 febbraio 1983 sulle montagne a nord di Kama,
contemporaneamente altre unità di terra avanzavano sul fronte meridionale. Il
terrore era generale. I mujahideen non avevano un piano di contingenza per
difendersi contro questo attacco a sorpresa. La maggior parte dei mujahideen
e della popolazione locale correva fra i monti per trovare riparo.
Il leader della guerriglia operante nel villaggio di Kama, Balots, con circa 12
uomini e con poche armi a disposizione, tentò un’estrema resistenza
attraverso attività di sabotaggio e di controffensiva. Ma il livello di
organizzazione, di coordinamento e di addestramento fra i mujahideen risultò
7
Non esistevano mezzi di comunicazione. La trasmissione di ordini avveniva attraverso
corrieri.
106
essere molto scadente e poco efficace contro le unità russe (Jalali e Grau
2001, pp.251-256).
III.4 L’impiego degli elicotteri russi e l’inefficacia delle armi
controaerei della guerriglia (prima del settembre 1986)
L’esercito russo dopo alcuni anni di esperienza in territorio afgano comprese
che la tecnologia di Mosca aveva registrato scarsi risultati sulla guerriglia,
eccezion fatta per gli elicotteri da trasporto e da attacco. Gli aeromobili russi
costituiva una grande minaccia per la popolazione locale e per la guerriglia.
Infatti, per fronteggiare questa minaccia, le tradizionali tecniche risultavano
poco efficaci e le stesse armi erano obsolete (Jalali e Grau 2001, p.227).
III.4.1 Un raid a sorpresa con l’impiego di elicotteri russi
A partire dalla metà del 1980 i mujahedeen dislocati nella provincia di
Laghman intensificarono gli attacchi ai danni delle colonne russe che si
muovevano fra Aligar e Mehtar. Non passava giorno che gruppi operativi
non conducessero azioni offensive.
Come controffensiva i russi cercavano di individuare le principali basi della
guerriglia per condurre attacchi con elicotteri ed aerei. In particolare
nell’estate del 1985 fu condotto un attacco contro la presumibile base
107
operativa del comandante Jailani: Badiabad – a circa 15 km dalla rotabile
principale che unisce Alugar a Mehtar. Il leader afgano disponeva di circa
150 uomini armati con Ak47, RPG 7 e mitragliatrici leggere.
L’attacco iniziò alle ore 10,00 circa. Gli elicotteri e gli aerei russi
bombardarono senza soluzione di continuità l’intero villaggio, lasciando
poche possibilità ad un’eventuale risposta afgana. Dopo circa 30 minuti gli
elicotteri atterrarono in un’area limitrofa al villaggio precedentemente
“bonificata” (un campo di grano) e circa 40 elementi delle unità speciali
iniziarono il rastrellamento.
Tuttavia l’intera operazione si rivelò inefficace perché in quel giorno Jailani
si trovava a Mirta Qala.
Al tempo stesso la guerriglia, pur avendo gli RPG-7 non fu in grado di
impiegarli per i seguenti motivi:
1. la rapidità con cui fu condotto l’attacco da parte delle unità russe;
2. il basso livello di addestramento;
3. le scarse conoscenze di tattiche di impiego dei razzi contro gli
elicotteri8 (Jalali e Grau 2001, pp.229-231).
III.4.2 Raid in Kanda
8
Ciò dimostra come i pakistani e gli americani si resero conto - guerra durante - della
necessità di addestrare bene il personale non solo all’impiego del singolo sistema d’arma
ma anche per quanto attiene l’aspetto tattico. Inoltre ciò avvalora quanto detto in chiusura
del capitolo secondo dove si è fortemente dubitato del ruolo marginale dei pakistani e degli
americani sulla condotta della guerra (Jalali e Grau 2001, p.229).
108
Dopo qualche mese (sempre nel 1985) fu condotto un altro attacco sul
villaggio di Kanda, nella provincia di Laghmn, dove era stata localizzata la
base del dottore Alkozai.
Figura III.1 Particolari del Raid russo in Kanda.
Quel giorno sei elicotteri iniziarono l’attacco sul villaggio, ma i mujahideen
risposero al fuoco con l’uso delle mitragliatrici. Gli elicotteri furono costretti
109
ad atterrare a circa 3 km dal villaggio, da dove le truppe di terra iniziarono il
rastrellamento sfruttando la copertura aerea. Tuttavia l’intensità e la
precisione del fuoco della guerriglia rese difficile il proseguimento
dell’operazione, tanto da costringere le unità russe a ritirarsi.
Il raid aereo risultò un vero fallimento (Jalali e Grau 2001, pp.233-236).
III.4.3 Un assalto aereo su Maro
Nel 1987 le unità russe e della DRA lanciarono un attacco contro le forze
della guerriglia dislocate nella provincia di Nagrahar. La popolazione del
villaggio di Shinwar, per evitare i bombardamenti, emigrò verso il Pakistan.
Circa 500 mujahideen erano di base a Maro – a circa 70 km a sud di
Jalalabad. Quando le unità russe giunsero su Shinswar, queste si divisero in
due colonne allo scopo di chiudere in una morsa l’avversario.
L’aviazione iniziò la preparazione alla battaglia attaccando la colonna di
Ghagisar (quota 1865) dove erano dislocate alcune postazioni di
mitragliatrici. Successivamente con 40-50 sortite di elicotteri furono
elitrasportate unità paracadutiste. Lo scontro fu molto cruento. La colonna
del versante occidentale riuscì a penetrare in Maro, invece l’altra incontrò
alcune resistenze a Dur Baba.
Poiché la guerriglia sembrava avere la peggio, in breve tempo alcuni volontari
musulmani, di provenienza araba, attraversarono il confine pakistano e
diedero inizio al contrattacco. Le perdite furono di circa 70 russi e di 70
110
mujahideen. I russi si ritirano dal villaggio, ma numerosi furono i danni e le
distruzioni.
Dopo questi attacchi, condotti con l’ausilio della tecnologia aerea ed
elicotteristica, la guerriglia valutava la necessità di:
1. dislocare in posizioni dominanti i sistemi d’arma controaerei;
1. minare le possibili zone d’atterraggio che circondano i villaggi (per
evitare l’atterraggio di elicotteri e l’intervento di unità paracadutiste);
1. disporre di RPG-7 contro elicotteri in “overing”;
1. disporre di missili controaerei stinger (Jalali e Grau 2001, pp.237239).
III.4.4 Individuazione di un campo di addestramento missilistico in
prossimità di Kandahar
Nell’ottobre del 1985 i servizi segreti russi informarono il Ten. Col. Istratiy
che era stato localizzato un centro di addestramento per sistemi missilistici
terra-aria a sud-ovest di Kandahar.
Il comandante del battaglione, sulla base delle informazione e dei dati forniti
dall’intelligence, elaborò un piano d’azione che aveva come obiettivo la
distruzione del centro di addestramento. In particolare la sua compagnia
paracadutista alle prime ore dell’alba del 13 ottobre doveva essere
elitrasportata in prossimità dell’obiettivo ed attendere l’arrivo delle altre
unità di terra.
111
Lo scontro si prolungò per l’intera giornata e si registrò un alto consumo di
munizioni da parte delle unità russe. Nonostante il mancato rifornimento di
munizioni, durante la notte, le unità russe furono in grado di impossessarsi
della base (Grau 1998, pp.94-97).
III.4.5 La caduta del campo base di Chaghni
La base di Chaghni era localizzata nella provincia di Shahr-e Safa, a circa 10
km dalla rotabile principale che unisce Kabul a Kandahar. Un’area idonea per
condurre imboscate contro i convogli russi, poiché le montagne fornivano
un’adeguata copertura ed un sicuro riparo in caso di ritirata.
Ma nell’ottobre 1986 la base fu conquistata di notte dalle unità russe che
avevano approfittato dell’assenza dei leader della guerriglia. L’impiego
coordinato di elicotteri e di unità artiglieria fu determinante per sorprendere il
personale di vigilanza e dare la possibilità alle unità elitrasportate di
circondare la base. Le unità di terra non registrarono resistenze significative e
prepararono la strada per altre unità provenienti da Kandahar, garantendo
una cornice di sicurezza adeguata.
Improvvisamente le mitragliatrici ZGU, posizionate a quota 1722, iniziarono
a sparare contro alcuni elicotteri che trasportavano unità paracadutiste. Un
elicottero, dopo aver superato la collina, fu oggetto di fuoco da parte di razzi
RPG-7 lanciati da Abdul Ghani. La controffensiva della guerriglia fu cruenta,
nonostante furono distrutti carri e veicoli da trasporto e combattimento
112
russi, morirono 22 mujahideen ed altri 198 cercarono riparo sulle colline a
nord est. Dopo 5 giorni dal massacro l’aeroporto di Kandahar fu soggetto ad
un attacco da parte della guerriglia, che riuscì a distruggere con alcune salve di
MLRS9 molti veivoli.
Figura III.2 Particolari della caduta del Campo Base di Chaghni.
9
In questo caso non furono impiegati i missili controaerei di fabbricazione russa o cinese:
113
Successivamente la base di Cgahni fu trasformata in una base di supporto
temporaneo (Jalali e Grau 2001, pp.335-340).
III.4.6 Le battaglie di Zhawar
Figura III.3 Primo attacco condotto contro la fortezza di Zhawar.
Zhawar era una delle principali basi localizzata nella provincia di Paktia
(vicino al confine col Pakistan). Inizialmente veniva utilizzata come centro di
addestramento e successivamente era diventata una base di supporto
logistico e di rifornimento per la guerriglia. Gradualmente vennero realizzate
SA-7.
114
caverne per dare riparo ai mujahideen e dove furono costruite case, moschee,
posti di medicazione e negozi (una “città sotterranea” che veniva visitata
dalle autorità dei paesi che avevano dato un contributo diretto alla guerriglia).
La base di Zhawar ospitava un reggimento di circa 500 uomini con mansioni
spiccatamente logistiche, inoltre una batteria controaereia difendeva la base
impiegando 5 postazioni di mitragliatrici pesanti ZPU-1 e 4 ZPU-2. Queste
mitragliatrici erano posizionate sulle aree dominanti la base per poter
assicurare una difesa a 360°.
Nel settembre10 1985, quando la maggior parte dei mujahideen era in
pellegrinaggio alla mecca, unità della DRA e russe avevano ricevuto l’ordine
di attaccare la base di Zhawar. La missione fu condotta da unità di fanteria
supportate dal fuoco dell’artiglieria e dell’aviazione leggera. Molte forze della
guerriglia furono chiamate ad intervenire dal vicino Pakistan. Dopo circa 10
giorni di cruenti scontri, durante i quali le unità russe alternavano il
movimento al fuoco massiccio e di copertura dell’artiglieria e dell’aviazione,
le unità della guerriglia, per timore che le caverne cedessero sotto il fuoco
continuo, uscirono allo scoperto e riuscirono ad avere la meglio. Le unità
della DRA, nonostante il supporto delle unità russe, non riuscirono a
schiacciare la guerriglia, e dopo 42 giorni venne ordinato loro di ritirarsi.
10
Settembre-Ottobre e Marzo-Aprile sono i migliori mesi per condurre operazioni in
territorio afgano grazie alle buone condizioni meteo e alla presenza di strade asciutte e
115
Il 2 aprile dell’anno successivo circa 20 elicotteri da trasporto e da
combattimento ed altre unità di terra furono concentrate a Lezhi a nord della
base di Zhawar. Questo tipo di strategia da parte delle unità russe e della
Figura III.4 Secondo attacco condotto contro la fortezza di Zhawar.
DRA aveva fornito delle indicazioni di massima sulla probabile direzione
d’attacco.Tuttavia la guerriglia, che aveva implementato le misure di difesa
controaerei11, fu sorpresa da un improvviso attacco condotto dalla 38^
percorribili. Inoltre nel settembre ’85 i capi tribù si recarono in pellegrinaggio alla Mecca e
lasciarono i propri rappresentanti alla guida della guerriglia.
11
Le armi controaerei disponibili presso la base erano: 3 mitragliatrici Oerlikon, 20
mitragliatrici calibro 12,7 e 14,5 mm e missili spalleggiabili SA-7. Questi sistemi d’arma
116
Brigata della DRA, elitrasportate su 7 LZ con 15 elicotteri da trasporto. Le
postazioni controaerei (mitragliatrici e missili SA-7) riuscirono a colpire un
gran numero di veivoli e a distruggere due elicotteri in fase di atterraggio.
Successivamente l’aviazione russa bombardò le postazioni della guerriglia,
inefficaci contro questa minaccia aerea. La guerriglia modificò il proprio
approccio ed iniziò l’attacco alle LZ, supportata anche da altre forze
provenienti dal vicino Pakistan. A fine giornata furono catturati circa 530
commandos della brigata12.
L’aviazione russa lanciò alcuni razzi contro i tunnel localizzati fra i canyon,
successivamente vennero sganciate alcune bombe. Il risultato di questa
massiccia campagna aerea, che continuò per notti e giorni per circa 12 giorni,
fu la distruzione parziale della base (una delle principali roccaforti
impenetrabili della guerriglia). Le unità della DRA, prima di iniziare a
ripiegare, minarono l’intera area e fecero fotografie al fine di suggellare un
momento storico. Questa parziale vittoria delle unità russe fu salutata con
ottimismo, tanto da alimentare la propaganda locale e risvegliare lo spirito di
corpo che ormai da qualche anno era stato infangato (addirittura i militari
russi non erano considerati eroi o veterani dal popolo russo).
erano dislocati a circa 7 km di distanza dalla base al fine di assicurare un livello di difesa
medio contro le eventuali incursioni aeree condotte alle basse e bassissime quote (Yousaf e
Adkin 2001).
117
I mujahideen, dopo questa tremenda sconfitta (281 morti e 363 feriti),
Figura III.5 Le principali fasi dell’offensiva su Zhawar.
iniziarono e completarono in poche settimane l’opera di ricostruzione e
12
Secondo il commento fornito da Yousaf e Adkin l’operazione avrebbe potuto avere
risvolti ben diversi se si fossero impiegati in quell’occasione i missili stinger di
fabbricazione americana (Yousaf e Adkin 2001, p.169).
118
fortificazione della base, giustiziarono circa 80 dei 530 commandos fatti
prigionieri e chiesero alle autorità pakistane armi controaerei adeguate per
fronteggiare la minaccia aerea costituita principalmente dagli elicotteri (Jalali
e Grau 2001, pp.315-326).
La guerriglia, durante gli scontri, aveva ricevuto in supporto unità pakistane
dotate di missili spalleggiabili (Blowpipe – di fabbricazione inglese ed
utilizzati con successo durante la guerra delle Folklands). Dopo circa 24 ore
dall’attivazione i posti tiro erano schierati in zona d’operazione, alle prime
ore dell’alba raggiunsero le sommità delle colline per avere un ampio campo
visivo dei canyon e per garantire una difesa controaerei più efficace.
Il lancio del primo missile fu fallimentare (il missile non agganciò per nulla il
bersaglio). In totale furono lanciati 13 missili, ma con scarsi risultati, senza
cambiare mai la posizione di lancio. Ciò facilitò l’individuazione della
postazione di lancio da parte degli elicotteri russi, che lanciarono alcuni
missili sull’area e rimasero feriti gravemente un ufficiale ed un sottufficiale
pakistano (Yousaf e Adkin 2001, p.169).
Questa battaglia dimostra:
a. l’inefficacia e soprattutto il basso livello di efficienza di alcuni sistemi
d’arma, ormai obsoleti dal punto di vista tecnologico;
a. la necessità di dotarsi di un sistema d’arma innovativo ed affidabile.
119
Molto probabilmente questa battaglia rappresentò l’evento determinante che
portò gli USA e il Pakistan (per timore di una possibile invasione del
Pakistan da parte della Russia e di un innalzamento del morale e della
propaganda comunista) a fornire i missili Stinger. Infatti la base di Zhawar,
un simbolo della guerriglia molto vicino al confine pakistano, era stato
parzialmente distrutto (Yousaf e Adkin 2001, p.171).
III.5 L’impiego dello Stinger e la fine della “1^ guerra di
faglie”
Nel secondo capitolo sono già stati menzionati gli episodi più eclatanti e
significativi che dimostrano l’impiego reale del missile Stinger13 e soprattutto
le sue potenzialità ed i risvolti strategici e tattici che ha avuto non solo a
livello della guerriglia o delle unità russe, ma più in generale sugli esiti del
conflitto e della guerra fredda.
In questo paragrafo conclusivo si vogliono invece fornire gli elementi
informativi su una serie di azioni/battaglie (per altro già accennate nel §II.4) e
che hanno visto l’impiego dello Stinger in configurazione offensiva non solo
sul territorio afgano, ma addirittura sul territorio russo.
13
Poiché la scuola Stinger di Ojhri fu distrutta nell’aprile del 1988 e con essa andarono
distrutte grandi quantità di missili stinger è verosimile che le operazioni significative
devono essere concentrate nel periodo settembre ‘86-aprile ’88.
120
L’obiettivo dei servizi segreti americani e pakistani era quello di sferrare il
colpo finale contro la Russia, creando situazioni conflittuali nelle regioni
meridionali del grande impero (a nord del fiume Amu – confine naturale fra
l’URSS e l’Afghanistan). L’area prescelta era caratterizzata da un buona
stabilità economica-politica-sociale, una zona che, grazie alle sue risorse
petrolifere e di gas naturale, rendeva molto bene al governo moscovita. Le
azioni segrete di sabotaggio e di imboscate avevano lo scopo di destabilizzare
quest’area e far ricadere le colpe su Mosca, incapace di gestire la situazione e
di fornire la stabilità e la serenità necessarie nell’area14.
Tuttavia questa strategia offensiva (che sembrava andar oltre i propositi
americani – dare una lezione al governo comunista) costituiva una minaccia
reale e concreta al processo di distensione che era stato avviato fra le due
super potenze ed anche e soprattutto fra URSS e Pakistan (Yousaf e Adkin
2001, p.190).
Una volta individuata come possibile area le zone a nord del fiume Amu15, fu
selezionato come comandante delle operazioni Beg Wali (nome in codice), un
14
L’obiettivo era di destabilizzare un’area al fine di aumentare i disappunti locali contro il
governo centrale. Mosca si sarebbe trovata, inconsapevolmente, di fronte ad una scelta:
ritirare le truppe per concentrarsi sulla sicurezza e la stabilità interna o continuare la guerra
rischiando un’implosione interna dell’impero. Una strategia molto simile a quella che Bin
Laden ha messo in atto contro gli USA all’inizio del XXI sec.
15
La Cia, il britannico Mi6 e l’Isi si accordarono su un piano di provocazioni per lanciare
gli attacchi della guerriglia fino all’interno delle repubbliche sovietiche del Tagikistan e
dell’Uzbekistan, il così detto ventre molle musulmano dello Stato sovietico.
121
veterano della guerriglia, profondo conoscitore del fiume Amu e con un gran
debito morale: vendicare la perdita dei figli per mano russa.
Figura III.6 Le operazioni offensive della guerrigliaafgana
oltre il confine russo
A partire dal 1984 nell’area a nord del fiume Amu furono registrati i seguenti
atti: azioni di sabotaggio, deragliamento dei treni, imboscate, assalto ai
convogli, distruzione di fabbriche, distruzione di aeroporti e porti fluviali. In
122
particolare uno dei principali obiettivi era il “ponte dell’amicizia”, costruito
nel 1982 per unire i due paesi, che rappresentava il nodo strategico per i
flussi logistici e commerciali dell’URSS.
Contestualmente veniva condotta una guerra psicologica attraverso la
divulgazione di migliaia di copie del “sacro corano” scritte in russo (la CIA
stampò circa 5000 copie). Questa azione di propaganda e di diffusione della
parola del “profeta” trovò larghi consensi nella popolazione locale. Infatti
queste popolazioni, poste a conoscenza della “politica di potenza” e delle
atrocità che il governo centrale di Mosca stava da tempo perpetrando nei
vicini territori afgani, chiesero di poter partecipare attivamente alla guerriglia.
Dopo circa un anno i tempi sembravano maturi per far implodere l’impero
russo, ma questo progetto venne parzialmente ostacolato dalla CIA, che non
voleva fornire le mappe russe alla guerriglia16. I risultati delle prime
imboscate ed atti terroristici ebbero i primi echi a partire dal 1986.
La risposta russa non si fece attendere ed i bombardamenti a tappeto delle
regioni a sud del fiume Amu mettevano in ginocchio l’intera organizzazione e
struttura di supporto della guerriglia afgana. Queste missioni punitive
massacravano interi villaggi ed uccidevano senza scrupolo migliaia di
innocenti. Questo gioco di azioni e reazioni raggiunse un livello di entropia
16
Questa volontà e linea d’azione americana sembra essere rafforzata e confermata quando il
Gen. Akhtar fu sostituito dal Gen. Gul e quando i colpo decisivo al “cuore del grande
orso”, previsto per l’aprile ’87, fu tempestivamente fermato.
123
massimo nell’aprile del 1986, quando fu deciso di sferrare un offensiva
coordinata e chirurgica su tre assi di azione:
1. attaccare la base aerea di Shurob East vicino al villaggio di Gilyambor
(a circa 3 km a nord del fiume);
2. realizzare un’imboscata lungo la rotabile ad est di Termez;
3. penetrare per la prima volta per oltre 20 km in territorio russo e
distruggere una fabbrica posta nelle vicinanze del campo base di
Voroshilovabad.
Fra queste tre operazioni quella più complessa era la terza, che fu assegnata a
Wali, che più volte a partire dal 1984 aveva effettuato operazioni di
incursioni oltre il fiume. Dopo un’attenta e dettagliata ricognizione dell’area e
dopo aver individuato bene l’obiettivo da distruggere, Wali preparò i
materiali, le armi e le munizioni indispensabili per l’operazione. In una notte
stellata di metà aprile, dopo aver percorso più di 10 km oltre il confine russo,
Wali lanciò due salve di SBRL (razzi calibro 107 mm, di fabbricazione
cinese) e colpì la fabbrica.
La cruenta reazione dell’aviazione russa e la disseminazione di mine
antiuomo (batterfly) resero difficile la ritirata di Wali. Il grande eroe della
guerriglia, che tanto osò, fu ferito gravemente da una mina ed
immediatamente fu trasportato in Pakistan per le cure del caso. Dopo
124
qualche giorno fu decorato per l’atto eroico che aveva portato a termine
(Yousaf e Adkin 2001, pp.189-206).
Dopo l’introduzione dei missili Stinger (settembre ’86) le operazioni
offensive in territorio russo diventarono ancora più “pungenti” e decisive.
L’ISI (sotto la guida del Gen. Akhtar), infatti, aveva fornito missili Stinger
(nonostante la CIA fosse contraria) alla guerriglia per dislocare posti tiro in
prossimità di basi aeree russe (Yousaf e Adkin 2001, p.191). In questo modo
la guerriglia poteva condurre le proprie operazioni di sabotaggio (considerate
terroristiche dall’URSS) senza temere la pronta risposta di eventuali
elicotteri o aerei russi.
L’impiego del sistema missilistico Stinger su vasta scala costituì il colpo
decisivo ad una situazione ormai compromessa. I velivoli mantenevano
profili di volo alle medie quote per rimanere al di fuori della portata dei
micidiali missili Stinger. Si arrivò a casi di vero e proprio ammutinamento da
parte dei piloti russi, restii ad alzarsi in volo dalle basi aeree per il rischio
troppo alto di abbattimento. Senza il supporto aereo ravvicinato degli
elicotteri MI-24 e degli aerei SU-25, le truppe di terra non erano in grado di
contrastare efficacemente le offensive della guerriglia (Yousaf e Adkin 2001,
p.133).
“L’orso che aveva tentato di oltrepassare il fiume e che aveva tentato di
raggiungere la montagna per sfamarsi era stato più volte ferito dalla stessa
125
preda, tanto da essere definitivamente ucciso dall’impiego del missile
americano Stinger” (Yousaf e Adkin 2001, p.191).
Il 25 aprile 1987, dopo circa un anno dall’operazione condotta da Wali,
l’Ambasciatore russo a Islamabad chiese espressamente e formalmente al
Ministro degli esteri Pakistano un aiuto concreto contro il dilagare della
guerriglia oltre il fiume Amu. Per evitare che la guerra di faglie avesse delle
ripercussioni sullo scenario internazionale, fu ordinato al Gen. Gul (nuovo
comandante dell’ISI) di sospendere tutte le attività oltre il fiume Amu.
La diplomazia internazionale, la morale razionale ed il buon senso evitarono:
1. il colpo decisivo all’impero russo;
2. il probabile inizio della 3^ guerra mondiale;
3. l’escalation della jiahad e la costituzione di vere e proprie brigate
operative a livello internazionale.
Dopo qualche mese iniziò la ritirata delle truppe russe dal suolo afgano, che
si concluse il 15 febbraio 1989.
126
CONCLUSIONI
A chiusura di questa tesi occorre sintetizzare gli elementi e i temi che hanno
caratterizzato la complessa evoluzione della guerra russa-afgana. Le
principali argomentazioni, snodate e articolate nei tre capitoli, sono state
dettate da una naturale e consequenziale logica di fondo: la ricerca di nuove
categorie interpretative dello scontro fra una Superpotenza ed un Paese in
via di Sviluppo e l’individuazione di un adeguato paradigma interpretativo
per superare i rischi di deformazioni storico-ideologici, politiche e militari.
Nel tentativo di facilitare la comprensione di quanto esposto sopra sarà
necessario focalizzare l’attenzione sul tema principale di questa tesi e
raggiungere lo scopo per cui è nata.
La tecnica per impostare questa tesi è stata di delineare innanzitutto la
situazione della guerra russo-afgana, per fornire un quadro generale di
interpretazione del momento storico e strategico.
Attraverso una lettura ampia ed esaustiva, che ha fatto ricorso ai paradigmi
interpretativi della “politica di potenza” e dello “scontro fra civiltà”, è
emerso che il conflitto russo-afgano rappresenta:
1. l’ultimo conflitto della guerra fredda;
2. un fattore determinante della caduta dell’Impero russo;
3. l’esperienza speculare a quella americana vissuta in Vietnam;
4. la 1^ guerra di faglie;
127
5. le premesse per l’inizio di un nuovo scenario geo-politico e geostrategico a livello mondiale.
Proprio quest’ultimo aspetto rappresenta un punto di estrema attualità
poiché dalle ceneri di una così vasta tragedia di popoli è stato alimentato il
germe dell’odio e del terrorismo, un male della società globale alle soglie
del XXI sec. (Cap.I).
Successivamente, nel secondo capitolo, si è tentato di fornire una
prospettiva storico-militare-politica abbastanza ampia e pluri-focale del
conflitto russo-afgano, le cui conclusioni hanno evidenziato che l’impiego
del sistema missilistico americano Stinger, in contrapposizione duale agli
elicotteri russi, è stato decisivo per riequilibrare gli esiti della guerra.
L’introduzione dei missili Stinger generava in media la perdita di un
aereo/elicottero russo al giorno (Cap. II).
Nel capitolo conclusivo si è tentato di esaltare i contrasti di luci e di ombre e
le sfumature di una guerra che a distanza di anni presenta ancora numerose
“aree grigie”. Dopo aver passato in rassegna, con dovizia di particolari, le
principali battaglie, scontri, imboscate, strategie, tecniche e tecnologie poste
a confronto principalmente sul suolo afgano, è stata presentata la strategia
offensiva posta in essere dalla guerriglia. Una strategia che, elaborata dalla
CIA, supportata dall’ISI e condotta dai leader più valorosi della guerriglia,
aveva come scopo quello di destabilizzare l’area meridionale dell’impero
russo. Queste operazioni che prevedevano azioni di sabotaggio (terroristiche
128
per i russi), congiunte ad attività di sensibilizzazione e di diffusione del
corano, rientravano nell’innovativa forma di guerra psicologica. Tali
operazioni, che minavano la stabilità interna ed economica di un’area vitale
e strategica per Mosca, condizionarono l’URSS nella scelta di ritirare le
truppe dal suolo afgano per evitare il dilagare del terrorismo e la vittoria
della jiahad sull’intero mondo comunista.
Questa scelta razionale e calcolata, tipica della logica dialettica della guerra
fredda, non deve apparire un atto di debolezza di una superpotenza, ma al
contrario un gesto di elevato contenuto morale. Una morale globale che
poneva a sistema le innumerevoli variabili in gioco sulla scena
internazionale. Una scelta dettata e condizionata da:
1. la situazione politica interna;
2. la situazione economica in fase di stagnazione;
3. il degenerare dei risultati bellici in Afghanistan con l’impiego dei
missili Stinger;
4. gli atti terroristici nel sud dell’URSS e la diffusione del corano;
5. il timore di impiegare elicotteri ed aerei a causa della presenza di
posti tiro Stinger dislocati in tutto il territorio afgano ed anche in
quello russo (Yousaf e Adkin 2001, p.210);
Questa scelta ha rivoluzionato in modo incondizionato il corso della storia
ed in particolare ha contribuito a migliorare il processo di distensione fra le
due superpotenze (Cap.III).
129
Prima di concludere è doveroso segnalare e porre in risalto un aspetto molto
importante che scaturisce da una serie di ombre e di aree grigie nelle pagine
descritte dai protagonisti della guerra. In particolare:
a. l’impiego dei codici IFF (riservati) da parte della guerriglia;
b. il trasporto di un carico base di un posto tiro Stinger in un territorio
vasto, frastagliato e caratterizzato da ampie zone montuose e
desertiche;
c. l’abilità e la tecnica di impiego dei missili Stinger;
d. la capacità tattica di schierare i posti tiro in prossimità di aeroporti
e di condurre operazioni offensive in territorio afgano;
e. la capacità di condurre, addirittura, operazioni offensive in
territorio russo.
Sono tutti aspetti che fanno pensare ad un ruolo non solo marginale degli
USA nella guerra russo-afgana1. Gli USA hanno avuto nella 1^ guerra di
faglie un ruolo attivo nel supportare, armare, addestrare e, con molta
probabilità, a condurre operazioni segrete (sotto copertura) in territorio non
solo afgano ma anche russo.
Il conflitto si presentava come una guerra terminata prima che la guerriglia
potesse sferrare l’attacco finale e soprattutto prima che la jiahad potesse
dimostrare al mondo intero le sue potenzialità e innescare e scatenare a sua
volta un effetto domino senza precedenti. Dai documenti ufficiali risulta
1
Ciò giustifica il titolo provocatorio della tesi: “ L’impiego decisivo dei missili Stinger… ”.
In questo modo si vuole sottolineare il ruolo attivo e decisivo degli USA, in piena guerra
fredda a fornire le armi ed un aiuto concreto alla guerriglia islamica contro la Russia.
130
chiaramente che gli USA non volevano una vittoria schiacciante della
guerriglia, ma solo infliggere una sconfitta sonante all’URSS (della stessa
intensità e spessore di quella subita dagli americani in Vietnam). A
dimostrazione di ciò i micidiali missili Stinger furono forniti alla guerriglia
solo quando gli esiti del conflitto erano oramai compromessi. Dopo il 1987,
quando la situazione sembrava degenerare e difficilmente gestibile - infatti i
missili americani furono schierati dalla guerriglia anche a nord del fiume
Amu - per evitare un’eccessiva compromissione degli USA nella guerra di
faglia, il Gen. Akhtar fu sostituito. Venne modificato il sistema di
approviggionamento delle armi e delle munizioni alla guerriglia, le modalità
di addestramento ed il supporto logistico e finanziario. Addirittura
nell’aprile del 1988, qualche settimana prima del vertice di Ginevra, una
strana quanto tremenda esplosione devastò l’intero campo base di Ojhri
(scuola di addestramento al sistema missilistico Stinger). E’ forse solo una
coincidenza, ma in quel periodo gli americani avevano fatto stoccare grandi
quantità – circa 10.000 tonnellate - di missili Stinger e di altre armi e
munizioni di diverso tipo e calibro (di classi di stoccaggio per lo più
incompatibili) che a seguito dell’esplosione andarono distrutte2 (Yousaf e
Adkin 2001, pp.219-220 e p.234).
2
A distanza di anni ancora non sono note le cause dell’esplosione. Alcune fonti
attribuiscono le cause ad un’indicente causale, altre invece ritengono che siano stati i russi
o gli americani. Una cosa sola è certa, con la distruzione del campo base di Ojhri e dei
missili stinger stoccati in essa venivano eliminate le prove tangibili di una aiuto concreto
degli americani alla guerriglia e soprattutto i rischi che i potenti missili cadessero nelle
mani sbagliate.
131
Il governo locale, dopo la ritirata russa, fu caratterizzato da una guida
fondamentalista islamica (sulla base del modello iraniano). Il paese
presentava soprattutto polvere e fango, i villaggi erano stati distrutti, le
popolazioni martoriate e decimate. Non esistevano prospettive future di
crescita e di sviluppo. La stessa guerriglia, che era ad una passo dalla
vittoria definitiva, fu abbandonata a se stessa (Yousaf e Adkin 2001,
pp.211-212).
In questo modo se da un lato si evitò che una guerra di faglie potesse
trasformarsi in modo drammatico nell’inizio della 3^ guerra mondiale e di
conseguenza nell’impiego devastante dell’arma atomica (Yousaf e Adkin
2001, p.208), dall’altro invece si posero le basi di incomprensione e di odio
sui cui poggia l’attuale scontro di civiltà: islam contro occidente.
Pertanto, da una guerra locale che non ha avuto nè vinti ne vincitori, ma
solo migliaia di morti innocenti, sono nate le premesse per una nuova guerra
– la guerra totale al terrorismo, che già mostra in modo terribile i suoi
devastanti effetti su scala globale.
132
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IFF: Identification Friend or Foe;
LOC: Line of Communication;
LZ: Landing Zone;
MTS: Maintenance Training System;
NATO: North Atlantic Treaty Organization;
PDPA: Partito Democratico del Popolo dell’Afganistan
P.S.: Paesi Sviluppati;
P.v.S.: Paesi in via di Sviluppo;
R&S: Ricerca e Sviluppo;
SAM: Surface-Air missile;
WTC: World Trade Center
WTO: World Trade Organization;
THT: Tracking Handling Trainer.
137
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