Uploaded by GIUSEPPE DARA

Igiene Generale e Applicata

advertisement
Igiene Generale e Applicata
SALUTE, IGIENE, EPIDEMIOLOGIA E PREVENZIONE
Lo stato di salute si definisce come: “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non soltanto assenza di
malattia Il godimento del miglior stato di salute raggiungibile costituisce uno dei diritti fondamentali di ogni essere
umano senza distinzione di razza, religione, opinioni politiche, condizione economica o sociale. Il suo mantenimento è
condizione fondamentale della pace e della sicurezza del mondo” (Costituzione OMS, 1948).
Nel 1948, con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, l’ONU riprende e conferma il concetto di universalità.
Nell’art. 25 si legge: “ogni persona ha diritto a un adeguato livello di vita che assicuri a lui e alla sua famiglia la salute e
il benessere, inclusi il cibo, il vestiario, l’abitazione, l’assistenza medica e i servizi sociali necessari, e il diritto alla
sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, disabilità, vedovanza e vecchiaia”.
Con la Dichiarazione di Alma Ata (Kazakistan) del 1978, “Salute per tutto l’anno 2000”, il concetto di salute viene
ampliato: “la salute, come stato di benessere fisico, mentale e sociale e non solo come assenza di malattia o infermità,
è un diritto (dovere per i settori socio-economici-sanitari) fondamentale dell'uomo e l'accesso ad un livello più alto di
salute è un obiettivo sociale estremamente importante, d'interesse mondiale e presuppone la partecipazione di
numerosi settori socioeconomici oltre che di quelli sanitari”.
Nella Costituzione Italiana (1947) si parla di salute nell’art. 32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale
diritto dell’individuo ed interesse della società”.
Esistono vari determinanti della salute:
• determinante comportamentale 50% - stili di vita
• determinante individuale 20% - genere, età, patrimonio genetico
• determinante ambientale 20% - diviso in ambiente fisico (aria, acqua, alimenti) e ambiente sociale (reddito,
educazione, ambiente sociale e culturale)
• accesso ai servizi 10% - sistema educativo, servizi sociali, sistema sanitario
Con la Carta di Ottawa (Canada), del 21 novembre 1986, si definiscono le condizioni e risorse fondamentali per la
salute: la casa, il cibo, l’istruzione, la pace, la giustizia e l’equità sociale, il reddito e la comunità delle risorse, un
ecosistema stabile.
Sono possibili tre diversi tipi di approcci alla salute:
• approccio funzionale: La salute è uno stato di capacità ottimale di un individuo per un’efficace svolgimento
dei ruoli per i quali egli è stato socializzato
• approccio percettivo: La salute non è semplicemente l’assenza di malattia, è qualcosa di positivo,
un’attitudine felice alla vita ed una lieta accettazione delle responsabilità che la vita stessa comporta
• approccio adattativo: La salute è l’adattamento perfetto e continuo di un organismo al suo ambiente
Il livello di salute viene influenzato da fattori:
• positivi, ovvero che fanno innalzare il livello di salute e che devono essere promossi o potenziati; possono
essere personali (fisici, psichici e culturali), comportamentali (abitudini di vita, attività lavorativa), ambientali
(fisici, biologici, sociali)
• negativi, cioè – che fanno abbassare il livello di salute e che devono essere eliminati o tenuti sotto controllo;
facilmente individuabili, sono rappresentati da disagio, malattia, deformità, incidenti, disabilità, handicap.
Sempre nella Carta di Ottawa, viene descritta anche la promozione della salute: “È il processo che consente alla gente
di esercitare un maggiore controllo sulla propria salute e di migliorarla, attraverso lo sviluppo personale e sociale,
fornendo informazione ed educazione alla salute e migliorando le abilità personali. Le persone non possono acquisire
1
il pieno potenziale di salute se non sono in grado di controllare ciò che determina la loro salute. La promozione della
salute non è una responsabilità esclusiva del settore sanitario, ma va al di là degli stili di vita e punta al benessere.
Salute [intesa] come estensione di ciò che un individuo [è] in grado di fare, [cioè] identificare e realizzare le proprie
aspirazioni e soddisfare i propri bisogni”.
Per Funnell et al. (1991) i pazienti sono ‘empowered’ quando hanno la conoscenza, le abilità, le attitudini e la
consapevolezza necessaria per influenzare il proprio e l’altrui comportamento […] per migliorare la qualità della
propria vita. Un paziente ‘empowered’ (Poletti, 2003) è “una persona che comprende e sceglie, controlla l’ambiente
con cui interagisce e si rapporta produttivamente con tutti gli altri soggetti, pianifica per il futuro, è il proprio case
manager, è un self care giver, un manager dei propri stili di vita, protagonista attivo della propria vita e del proprio
benessere, che interagisce in forma proattiva. Per conseguire tale risultato, i servizi devono accertare le aspettative e
le priorità dei pazienti; coinvolgere i pazienti nei propri piani di cura e assistenza e utilizzare l’approccio della decisione
condivisa, richiedere il loro feedback, anche sui servizi e avviare conseguenti processi di miglioramento”.
I sistemi sanitari sono “l’insieme delle organizzazioni, delle istituzioni, delle risorse che sono dedicate alla produzione
di azioni sanitarie” (OMS), dove per azione sanitaria si intende ogni attività, sia nell’assistenza alle persone, sia di
sanità pubblica o attraverso iniziative intersettoriali, il cui scopo primario è quello di migliorare la salute. Il
miglioramento dello stato di salute (goodness) non, però, è il solo obiettivo di un sistema sanitario: l’altro, altrettanto
importante, è quello di ridurre al minimo le differenze tra individui e gruppi e di dare risposte ugualmente buone a
tutti, senza discriminazioni (fairness).
Le missioni dei sistemi sanitari sono:
1. miglioramento dello stato di salute della popolazione → better health
2. capacità e sensibilità di rispondere alle esigenze di carattere non sanitario (dignità, autonomia, riservatezza)
dei pazienti/clienti → responsiveness
3. equità nel finanziamento del sistema → fair financing
La necessità di prendere decisioni sugli interventi da realizzare nelle popolazioni per rispondere efficacemente ai
bisogni di salute (appropriatezza), attraverso il raggiungimento degli obiettivi prefissati (efficacia), tenendo
ovviamente conto delle risorse disponibili (efficienza), presuppone l’esigenza di disporre di strumenti e di metodologie
che forniscano informazioni utili e affidabili ai decisori secondo criteri di valutazione espliciti e fondati su solide basi
scientifiche: Evidence Based Medicine.
Il Piano Sanitario Nazionale viene predisposto dal Governo su proposta del Ministro della Salute tenendo conto delle
proposte provenienti dalle Regioni. Viene adottato con Decreto del Presidente della Repubblica previa deliberazione
del Consiglio dei Ministri, d'intesa con la Conferenza Unificata. Il Piano Sanitario Nazionale ha durata triennale. Entro
centocinquanta giorni dalla data di entrata in vigore del Piano Sanitario Nazionale, le Regioni adottano o adeguano i
propri Piani Sanitari Regionali, trasmettono al Ministro della Salute gli schemi o i progetti allo scopo di acquisire il
parere dello stesso per quanto attiene alla coerenza dei medesimi con gli indirizzi del Piano Sanitario Nazionale.
Il Patto per la Salute è un accordo finanziario e programmatico tra il Governo e le Regioni, di valenza triennale, in
merito alla spesa e alla programmazione del Servizio Sanitario Nazionale, finalizzato a migliorare la qualità dei servizi,
a promuovere l’appropriatezza delle prestazioni e a garantire l’unitarietà del sistema. Gli obbiettivi del Patto per la
Salute sono:
• Rendere il sistema sanitario sostenibile di fronte alle nuove sfide (invecchiamento della popolazione, nuovi
farmaci sempre più efficaci ma costosi, la medicina personalizzata)
• Lotta agli sprechi e alle inefficienze
• Garantire a tutti l'accesso alle cure
2
Aggiornare i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) con l’inserimento delle malattie rare
Il malato al centro (umanizzazione delle cure)
Riorganizzare la medicina del territorio con ruoli da protagonisti per i medici di medicina generale, pediatri di
libera scelta e farmacie di servizio
Nel Piano Nazionale della Prevenzione, di valore quadriennale, si punta invece su:
• Ridurre il carico di malattia
• Investire sul benessere dei giovani
• Rafforzare e confermare il patrimonio comune di pratiche preventive
• Rafforzare e mettere a sistema l’attenzione a gruppi fragili
• Considerare l’individuo e le popolazioni in rapporto al proprio ambiente
Il Piano Sanitario e Sociale Integrato della Regione Toscana costituisce lo strumento della programmazione regionale
in materia sanitaria, socio sanitaria e sociale. Assolve la funzione, prevista dal D.Lgs. 502/1992 (art. 1, comma 13), di
“piano strategico degli interventi per gli obiettivi di salute e il funzionamento dei servizi per soddisfare le esigenze
specifiche della popolazione regionale, anche in riferimento agli obiettivi del Piano Sanitario Nazionale”.
•
•
•
I Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) sono definiti essenziali perché necessari e appropriati per rispondere ai bisogni
fondamentali di tutela della salute e devono essere anche uniformi su tutto il territorio nazionale. L’individuazione dei
LEA è effettuata, per il periodo di validità del Piano Sanitario Nazionale, contestualmente alla individuazione delle
risorse finanziarie destinate al Sistema Sanitario Nazionale. Le prestazioni comprese nei LEA sono garantite dal
Sistema Sanitario Nazionale gratuitamente o con quota a carico del cittadino. Inoltre, la riforma del titolo V della
Costituzione ha poi previsto per le Regioni la possibilità di utilizzare risorse proprie per garantire servizi e prestazioni
aggiuntive (ma mai inferiori) a quelle incluse nei LEA.
La Sanità Pubblica rappresenta secondo nell’OMS “gli sforzi organizzati della società per sviluppare politiche per la
salute delle popolazioni, la prevenzione delle malattie, la promozione della salute e per favorire l’equità sociale
nell’ambito di uno sviluppo sostenibile”. Le funzioni essenziali della Sanità Pubblica sono:
• valutazione dello stato di salute e identificazione dei rischi della comunità
• promozione della salute
• prevenzione
• protezione
• programmazione
• comunicazione
• formazione dei professionisti
• attivazione di alleanze e risorse per programmi complessi di Sanità Pubblica
• gestione delle crisi in Sanità Pubblica
• ricerca
L’igiene è il settore scientifico disciplinare che ha lo scopo di formare i Medici e gli altri operatori di Sanità Pubblica.
L’epidemiologia è strumento della disciplina igienistica che ha lo scopo di valutare gli interventi di Sanità Pubblica.
L’Epidemiologia, dal greco “epi demos logos” (studio sulla popolazione), è la scienza che studia le malattie e i
fenomeni ad esse correlati, attraverso: l’osservazione della distribuzione e dell’andamento delle patologie nella
popolazione, l’individuazione dei fattori che possono condizionarne l’insorgenza e la diffusione, la programmazione
degli idonei interventi preventivi e curativi attraverso un’adeguata offerta sanitaria
Ogni evento negativo o indesiderato dell’esistenza può essere affrontato secondo due prospettive:
3
1.
cercare di evitare l’insorgere stesso del problema tentando di identificarne le cause e di eliminarle, o, quanto
meno, di contrastarne l’azione
2. concentrarsi sulle conseguenze sgradite dell’evento, sugli elementi negativi da esso introdotti cercando di
controllarli o di eliminarli
Tale diversità di atteggiamenti ha prodotto, in medicina, due aree e due filosofie ben differenziate: una prima area che
ha come obiettivo la tutela e la promozione della salute e la prevenzione della insorgenza dei fenomeni morbosi; la
seconda area, con l’obiettivo della cura delle malattie. Simboli di queste due impostazioni sono, rispettivamente, Igea
e Panacea, le due mitiche figlie di Esculapio (per i greci Asclepio), Dio patrono della medicina.
In epidemiologia gli studi sono rivolti a determinare il nesso di causalità. La valutazione dei risultati consente di
escludere o confermare il rapporto causale tra fattore e evento. Un evento che si manifesta più spesso nei soggetti
esposti rispetto ai non esposti si dice in associazione (RR=I esposti/I non esposti>1).
I cinque criteri di causalità secondo Sir Austin Bradford Hill (1965) sono:
1. consistenza → la stessa associazione è stata dimostrata in più studi
2. forza → quanto maggiore è il “rischio relativo” tanto più probabile è la relazione di causa-effetto; la forza
aumenta se si dimostra un gradiente dose-effetto
3. specificità → misura fino a che punto una specifica esposizione induce una specifica malattia
4. temporalità → l’esposizione al fattore deve precedere la comparsa della malattia
5. coerenza → consiste nella “plausibilità biologica”, da stabilire con metodi diversi
Gli studi epidemiologici si dividono in:
• sperimentali – lo sperimentatore compie interventi diretti applicando strategie terapeutiche o preventive a
due o più gruppi di soggetti (es. valutazione dell’efficacia di una terapia, di nuovi farmaci, di interventi
chirurgici, di una vaccinazione, etc.)
• non sperimentali o osservazionali – il ricercatore si limita ad osservare l’andamento dei fenomeni per poter
trarre conclusioni che forniscono dati utili (es. distribuzione delle malattie in una popolazione, indici di
natalità e mortalità, associazione tra un fattore di rischio e una patologia, etc.)
Gli studi osservazionali possono essere: ecologici (analisi di dati epidemiologici aggregati riferiti a incidenza,
prevalenza, mortalità e distribuzione dei fattori di rischio), trasversali (indagini istantanee su individui di intere
popolazioni o campioni per valutare la frequenza e la distribuzione di una o più variabili (malattie, fattori di rischio,
bisogni sanitari)), caso-controllo (selezione di soggetti malati (casi) e non malati (controlli) nei quali viene valutata
l’esposizione a uno o più fattori di rischio) o a coorte (selezione di soggetti sani esposti e non esposti a fattori di rischio
seguiti nel tempo per valutare l’incidenza o la mortalità di una o più malattie (prospettivi o retrospettivi).
• Gli studi ecologici sono ricerche epidemiologiche che riguardano intere popolazioni o comunità. Definiscono
la distribuzione delle malattie nella popolazione in rapporto al tempo e allo spazio, consentono di calcolare i
tassi di mortalità e di incidenza e permettono di fare ipotesi di associazione tra malattie e fattori di rischio.
Per questo tipo di studio si utilizzano dati già raccolti (censimento, schede di morte, schede di nascita,
notifica di malattie infettive, registri di strutture sanitarie, cartelle cliniche, etc.)
• Negli studi trasversali una popolazione (o un campione di essa) viene esaminata in un certo istante
(fotografia istantanea) per determinare uno stato di malattia, l’esposizione ad un certo fattore di rischio o
altri elementi di interesse sanitario. Consentono di valutare la prevalenza ossia la proporzione dei fenomeni
sanitari rispetto alla popolazione esaminata, nel momento in cui la rilevazione viene effettuata.
• Gli studi caso-controllo consentono di valutare il ruolo dei fattori di rischio nell’insorgenza di una malattia.
Per questi studi si selezionano soggetti malati (casi) e non malati (controlli) e nei due gruppi viene valutata
l’esposizione a uno o più fattori di rischio.
4
•
Gli studi a coorte prevedono la selezione di gruppi di soggetti sani, esposti e non esposti a fattori di rischio. In
questi gruppi, seguiti nel tempo, vengono registrati i casi della patologia che si ritiene associata al fattore di
rischio considerato.
Gli studi sperimentali si distinguono in: sperimentazioni cliniche (valutazione di un intervento terapeutico in uno o più
gruppi (sperimentazioni cliniche controllate) di pazienti affetti da patologie definite nel protocollo), sperimentazioni
sul campo (valutazione di interventi preventivi rivolti a uno o più gruppi di soggetti sani (es. profilassi antibiotica,
vaccinazioni)) e sperimentazioni su comunità (valutazione di interventi preventivi basati su approcci collettivi (es.
campagne di educazione sanitaria, interventi legislativi, fluorazione acque)).
• Le sperimentazioni cliniche valutano l’efficacia di trattamenti farmacologici o di procedure terapeutiche
(interventi chirurgici) nell’arrestare o rallentare un processo morboso.
• Le sperimentazioni sul campo valutano l’efficacia di interventi preventivi rivolti a soggetti sani, ma a rischio
di contrarre una determinata malattia. Poiché solitamente il rischio di contrarre la malattia è piuttosto basso,
le sperimentazioni sul campo, per essere efficaci, devono coinvolgere un ampio numero di soggetti (coorte).
• Le sperimentazioni su comunità sono simili alle precedenti, ma l’intervento non viene attuato sul singolo
soggetto, ma su un’intera comunità.
Cause della transizione epidemiologica:
• il miglioramento del tenore di vita (e in particolare i progressi nell'alimentazione), conseguente allo sviluppo
economico
• i progressi della biologia e della medicina, che hanno dapprima rivelato i meccanismi di trasmissione delle
principali malattie infettive, consentendo forme di difesa individuale o collettiva, mettendo quindi a
disposizione mezzi preventivi e terapeutici efficaci
• i mutamenti culturali e di comportamento, in gran parte legati al miglioramento dei livelli di istruzione, che
hanno reso possibile la diffusione delle conoscenze e delle norme igienico-sanitarie più rilevanti per la salute
individuale
Le più importanti cause di morte nei paesi industrializzati (2002):
• 38,24% malattie cardiovascolari
• 29,57% tumori maligni
• 4,29% broncopneumopatie
• 3,85% incidenti (lavorativi, stradali, domestici)
• 0,4% malattie infettive
Eliminando i maggiori fattori di rischio, si potrebbero evitare l’80% dei casi di malattie ischemiche del cuore, ictus
cerebrale e diabete tipo 2, oltre al 40% dei tumori. Nei paesi OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo
economico), solo il 3% della spesa sanitaria totale è investito in programmi di prevenzione e sanità pubblica rivolti
all’intera popolazione.
I fattori di rischio aumentano la probabilità di contrarre una malattia. Ne esistono varie tipologie, correlati a contesti
diversi: ambiente naturale (geo-orografici, biologici, fisici, chimici, …), ambiente prodotto (culturali, sociali,
istituzionali, lavorativi, economici, civili, costruiti, …) o ambiente individuale (genetici, costituzionali, comportamentali,
…).
5
Lo svantaggio economico per la stragrande maggioranza delle persone si traduce in problemi di salute, opportunità
scolastiche mancate e (sempre più spesso) nei sintomi tipici della depressione: alcolismo, obesità, gioco d’azzardo e
piccola criminalità. La conseguenza spesso è ansia e stress, per non parlare di malattie e decessi prematuri.
La prevenzione, avvalendosi delle indicazioni fornite dall’epidemiologia, ha il compito di impedire l’insorgenza delle
malattie e la loro progressione per mezzo di idonei interventi sulla popolazione e sull’ambiente di vita e di lavoro.
Esistono tre tipologie di prevenzione:
• prevenzione primaria: agire sui determinanti di salute per evitare o diminuire l’esposizione o la probabilità di
esposizione a fattori di malattia; si attua a livello del singolo e della popolazione sana (evita l’insorgenza delle
malattie attraverso l’eliminazione dei fattori di rischio o causali)
• prevenzione secondaria: agire per evitare o limitare la progressione di processi patogenetici prima
dell’instaurarsi della malattia; si attua a livello del singolo attraverso la diagnosi precoce (screening) e
l’intervento terapeutico
• prevenzione terziaria (o riabilitazione): agire per evitare complicanze, recidive, invalidità nelle malattie già in
atto ed irreversibili, per far acquisire funzioni perdute per reinserire i soggetti nella società (famiglia, lavoro,
ecc.)
La prevenzione (dal latino Praevenio = prevengo) riguarda le malattie non infettive, mentre la profilassi (dal greco
∏poΦvλασσω = prevengo) riguarda le malattie infettive.
Alcune infezioni causate da malattie croniche sono: Helicobacter pylori (ulcera peptica, tumore allo stomaco), Virus
dell’Epatite B e C (cirrosi, cancro epatico), Virus dell’Herpes Umano 8 (sarcoma di Kaposi), Virus del Papilloma Umano
(cancro alla cervice), virus Epstein-Barr (linfoma B-cellule), virus Coxsackie (miocarditi), Streptococco β emolitico
(valvulopatie).
Gli interventi di prevenzione primaria consentono di ridurre l’incidenza delle malattie; quanto più è efficace
l’intervento, tanto maggiore sarà la riduzione dell’incidenza. I metodi di intervento della prevenzione primaria sono
rappresentati da: potenziamento delle capacità difensive dell’organismo (vaccinazione, sieroprofilassi,
chemioprofilassi), rimozione dei comportamenti negativi (fumo, consumo di frutti di mare non cotti, rapporti sessuali
non protetti), promozione di comportamenti positivi (attività fisica, apporto adeguato di fibre con gli alimenti, utilizzo
di dispositivi di protezione individuale nell’attività lavorativa), interventi sull’ambiente di vita e di lavoro (riduzione
dell’inquinamento, alimentazione sana, approvvigionamento idrico adeguato).
La prevenzione secondaria ha come obiettivo la scoperta e il trattamento dei casi di malattia prima che si manifestino
clinicamente. Un adeguato intervento di prevenzione secondaria determina una riduzione della mortalità. Questo tipo
di prevenzione è efficace soltanto se la fase asintomatica (periodo di latenza) della malattia è sufficientemente lunga,
è disponibile un test diagnostico che consenta di differenziare le persone apparentemente sane, ma già malate, da
quelle effettivamente sane (es. Paptest/colposcopia, sangue occulto/colonscopia) ed è disponibile una terapia efficace
in grado di determinare la guarigione o di ritardare in modo significativo l’esito finale.
La prevenzione secondaria è importante per le malattie non infettive e, per individuare precocemente i soggetti
ammalati, ci si avvale di un controllo di massa che prende il nome di screening. Lo screening in gruppi a rischio si
effettua su gruppi particolari di soggetti esposti al rischio di contrarre malattia. Si applica, ad esempio, su lavoratori
esposti a particolari fattori nocivi in ambito lavorativo.
Anche se azioni di screening e procedimenti diagnostici possono essere effettuate impiegando lo stesso «test»,
tuttavia lo screening differisce dalla diagnosi. Il test diagnostico è generalmente più invasivo, più costoso, più
6
complesso da eseguire e viene eseguito su persone malate, cioè sintomatiche. Lo screening (dall’inglese “to screen” =
passare al vaglio), invece, si applica in altri ambiti:
• Malattia già in corso nella sua fase iniziale - miglioramento della prognosi (tumore del colon-retto, diabete,
fenilchetonuria, displasia dell’anca, talassemia) o possibilità di guarigione (carcinoma della mammella in fase
iniziale, carcinoma in situ della cervice uterina)
• Condizione predisponente o fortemente a rischio per lo sviluppo di una malattia (displasia grave del collo
dell’utero, poliposi del colon, ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia) in cui l’intervento precoce può
evitare la comparsa della malattia
I pazienti positivi al test di screening devono
essere sottoposti ad un esame diagnostico di
conferma.
I test di screening devono avere determinate caratteristiche:
• Riproducibilità (ripetitività): rappresenta la stabilità di un’osservazione, ossia l’assenza di variazione allorché
si ripeta la prova più volte sotto identiche condizioni (dipende da: operatore, strumento, instabilità
dell’attributo che viene misurato)
• Accuratezza o validità: è il grado di conformità della misura ottenuta rispetto al valore vero (probabilità con
cui un test consente di identificare correttamente i soggetti “affetti” e “non affetti” dalla malattia in studio)
• Sensibilità: è la capacità di identificare correttamente gli individui ammalati. In termini di probabilità, la
sensibilità è la probabilità che un individuo ammalato risulti positivo al test; si può anche dire che essa è la
proporzione degli individui ammalati che risultano positivi al test. Valuta la percentuale di falsi negativi: più
bassa la sensibilità più alta sarà la proporzione di falsi negativi
• Specificità: è la capacità di identificare correttamente gli individui sani. In termini di probabilità, la specificità
è la probabilità che un individuo sano risulti negativo al test; si può anche dire che essa è la proporzione degli
individui sani che risultano negativi al test. Valuta la percentuale di falsi positivi
• Valore predittivo positivo (VPP): questo valore indica la probabilità che un test-positivo sia ammalato, e si
calcola con la proporzione a/(a+b); il valore predittivo positivo dipende, come è lecito attendersi, dalla
sensibilità (>a) e dalla specificità del test (<b); in particolare, esso aumenta con l'aumentare di questi due
parametri. È però importante ricordare un altro aspetto più sorprendente: il valore predittivo positivo
dipende dalla prevalenza della malattia nella popolazione sottoposta a screening
• Valore predittivo negativo (VPN): questo valore indica la probabilità che un test-negativo sia sano, e si
calcola con la proporzione d/(c+d)
Esempi di screening di massa
• Screening per i tumori della cervice uterina: è rivolto alle donne di età compresa tra 25 - 64 anni; i test
utilizzati sono il Pap test, ripetuto ogni tre anni, per le donne di età compresa tra i 25 e i 33 anni, e il test HPV
(papilloma virus), ripetuto ogni cinque anni, per le donne di età compresa tra i 34 e i 64 anni
• Screening per i tumori alla mammella: rivolto alle donne tra i 45 e i 74 anni, il test impiegato è la
mammografia; per le donne di età inferiore ai 50 anni è annuale, mentre per quelle di età maggiore è ogni
due anni
• Screening per i tumori del colon-retto: rivolto a uomini e donne di età dai 50 ai 69/70 anni, consiste nella
ricerca del sangue occulto fecale, ripetuto ogni due anni; in caso di risultato positivo è necessario effettuare
una colonscopia
7
I requisiti dei programmi di screening sono:
• Rilevanza sociale (diffusione o gravità) della
patologia oggetto di screening
• Esistenza di uno stadio pre-clinico individuabile
• Disponibilità di un test attuabile e a rischio
accettabile
• Accettabilità del test da parte della popolazione
• Definizione di parametri di normalità
• Disponibilità di servizi di 2° livello per
approfondimento diagnostico
• Rapporto favorevole costi-benefici
• Disponibilità di trattamenti efficaci
• Attuazione continuativa del programma
A questo tipo di prevenzione non si presta la maggior parte delle malattie infettive a causa del breve periodo di
incubazione e del decorso acuto. Eccezioni sono rappresentate dalla somministrazione di: isoniazide in bambini con
recente conversione tubercolinica; penicillina nel reumatismo articolare per impedire nuove infezioni da streptococco
b-emolitico; terapia antiretrovirale nei sieropositivi per ritardare l’insorgenza della immunodeficienza; interferone
e/o farmaci antivirali nei soggetti con replicazione attiva del virus (HBeAg+) per ritardare l’evoluzione dell’epatite B in
cirrosi e/o epatocarcinoma; immuno-profilassi (vaccino- e siero-profilassi) in caso di esposizione al virus rabbico o al
Clostridium tetani.
La prevenzione terziaria ha l’obiettivo di allungare il periodo di sopravvivenza e soprattutto di migliorare la qualità
della vita, impedendo l’invalidità in soggetti già ammalati di malattie croniche e in portatori di handicap, attraverso la
riabilitazione. Gli interventi di prevenzione terziaria devono essere messi in atto precocemente per evitare
complicanze e per ottenere il massimo recupero funzionale dopo la guarigione o dopo che la malattia si è stabilizzata.
Sono interventi di prevenzione terziaria: la riabilitazione fisica e l’assistenza psicologica in soggetti affetti da
artropatie, negli infartuati, nei paraplegici, in soggetti che hanno subito interventi chirurgici per neoplasie, etc.
LE FONTI DEI DATI STATISTICO-EPIDEMIOLOGICI
I tipi di dati utilizzati nelle indagini epidemiologiche sono: informazioni sulla popolazione, informazioni sulle malattie,
informazioni sui fattori causali o di rischio, informazioni sul funzionamento dei servizi sanitari. Dal punto di vista della
disponibilità, questi dati possono essere disponibili, parzialmente disponibili o non disponibili, mentre per quanto
riguarda l’attendibilità si può andare incontro a sottostime o sovrastime.
Alcune informazioni sanitarie vengono raccolte per adempiere a obblighi di legge: con finalità sanitarie vengono
raccolte le denunce di malattie infettive, le schede di morte e i certificati di assistenza al parto, mentre con finalità
amministrative vengono raccolti i certificati di assistenza al parto, le schede di morte, le fonti ospedaliere (SDO,
registri, cartelle cliniche, ecc.), ministeri, assicurazioni, INAIL, INPS, associazioni, ecc.
Ci sono poi altre informazioni sanitarie che vengono raccolte con sistemi creati ad-hoc: i registri di patologia (es.
tumori) e i sistemi sentinella per finalità sanitarie, censimenti, statistiche anagrafiche e parametri ambientali per
finalità demografiche, socio-economiche e amministrative.
I vantaggi dell’uso di dati già disponibili sono l’economicità e la rapidità; al tempo stesso esistono, però, degli
svantaggi, quali la mancanza di dati individuali e l’incompletezza e la genericità dei dati (dovuta ai diversi sistemi di
raccolta regionali).
I dati non disponibili necessitano di un sistema di raccolta ad hoc per il singolo studio epidemiologico (informazioni su
alcuni fattori di rischio, sulle reattività individuali alle terapie, sulle percezioni individuali). Alcuni dati disponibili lo
sono solo in forma aggregata, quando descrivono un fenomeno in un gruppo o in una popolazione (tassi di mortalità,
prevalenza di un fattore di rischio, tipologia di prestazioni sanitarie fornite, ecc.). I dati non disponibili vanno raccolti
8
tramite questionari, esami fisici (altezza, peso, ecc.), esami ematochimici, misurazioni ambientali, osservazione diretta,
misurazione da parte di terzi, diari (es. alimentari).
La sorveglianza epidemiologica delle malattie infettive è uno strumento indispensabile per la loro prevenzione. Essa
implica il monitoraggio di tutti gli aspetti relativi alla loro comparsa e diffusione che siano utili per mettere in atto
efficaci misure di prevenzione e controllo. Le malattie soggette a notifica obbligatoria sono suddivise in 5 classi, con
tempi e modalità di segnalazione differenti, in base a:
• rilevanza epidemiologica e sociale
• gravità della malattia
• frequenza della malattia
• possibilità di intervento
• interesse sul piano nazionale ed internazionale
Secondo il Decreto Ministeriale del 15 dicembre 1990, “il medico che nell'esercizio della sua professione venga a
conoscenza di un caso di qualunque malattia infettiva e diffusiva o sospetta di esserlo, pericolosa per la salute
pubblica, deve comunque notificarla all'autorità sanitaria
competente.”
CLASSE PRIMA: malattie per le quali si richiede
segnalazione immediata o perché soggette al
Regolamento Sanitario Internazionale o perché
rivestono particolare interesse: (es: colera, febbri
emorragiche virali, poliomielite, ecc.)
CLASSE SECONDA: malattie rilevanti perché ad elevata
frequenza e/o passibili di interventi di controllo (es:
malattie esantematiche)
CLASSE TERZA: malattie per le quali sono richieste
particolari documentazioni (es: AIDS, Tubercolosi)
CLASSE QUARTA: malattie per le quali alla segnalazione
del singolo caso da parte del medico deve seguire la
segnalazione dell'Unità Sanitaria Locale solo quando si
verificano focolai epidemici (es: pediculosi,
dermatofitosi)
CLASSE QUINTA: malattie infettive e diffusive notificate
all'unità sanitaria locale e non comprese nelle classi
precedenti, zoonosi indicate dal regolamento di polizia
veterinaria di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 8 febbraio 1954, n. 320, e non
precedentemente menzionato.
Nella scheda di notifica di malattia infettiva della Classe I, vengono indicate: vaccinazione, soggiorno all’estero e
accertamento diagnostico.
Il Modello 16bis viene utilizzato dalle Regioni per inviare, per vie ordinarie, un riepilogo mensile delle notifiche delle
malattie di Classe II al Ministero, all'Istituto Superiore di Sanità (ISS) e all'Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT).
9
È stato stimato che solo il 10%-20% delle malattie a trasmissione sessuale vengono notificate. Anche le malattie
infettive dell’infanzia hanno una elevata sottostima. Nei periodi epidemici o in caso di calamità naturali la percentuale
di notificazioni risulta maggiore. È elevata la segnalazione di malattie infettive gravi o che richiedono
l’ospedalizzazione. Tutto questo sottolinea l’importanza di sistemi alternativi di raccolta dei dati, le reti sentinella.
Il SIMI è il sito di Epidemiologia delle Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS). È stato avviato per
divulgare i dati di frequenza di alcune malattie infettive (classe II) soggette, in Italia, a notifica obbligatoria, raccolte
con un sistema sperimentale di informatizzazione delle segnalazioni dal livello territoriale (distretto sanitario o ASL)
alla banca dati nazionale. Il SIMI è coordinato dall'ISS, ma alcune Regioni italiane hanno sistemi di segnalazione
differenti. Attualmente il sito fornisce principalmente informazioni sulle sorveglianze speciali, ovvero quei sistemi di
sorveglianza che affiancano il sistema di notifica routinario raccogliendo informazioni più specifiche su alcune
patologie:
• antibiotico-resistenza
• legionellosi
• malattia di Creutzfeldt-Jakob (MCJ) e sindromi correlate
• malattie batteriche invasive
• Micronet
• sindrome emolitico-uremica (SEU)
• Sistema Epidemiologico Integrato dell'Epatite Virale Acuta (SEIEVA)
• Rete Internazionale di Sorveglianza delle Infezioni enteriche (ENTERNET)
È possibile confrontare o paragonare i dati ottenuti dalla denuncia di malattia solo se sono stati utilizzati riferimenti
comuni. La Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD) è un sistema di classificazione stilato dall’OMS, nel
quale le malattie, incidenti e cause di morte sono ordinati in gruppi e sottogruppi tra loro correlati. Viene
periodicamente aggiornato da commissioni di esperti. La ICD-IX è stata adottata dal 2000 in Italia per la codifica delle
informazioni sanitarie contenute nelle SDO (D.M. 26.07.1993). Suddivide le malattie in 17 grandi gruppi, 909 categorie
e 5165 sottocategorie. È oggi alla decima edizione (ICD-X), approvata nel 1990 durante la 43° Assemblea mondiale
della sanità dell'OMS e utilizzata a partire dal 1994. A partire dall’anno 2003, l’Istat utilizza l’ICD-X per la codifica e la
classificazione delle cause di morte.
Con le varie revisioni, l’ICD va incontro ad una serie di modifiche:
• aggiunte e cancellazioni di termini usati per descrivere patologie o condizioni
• trasferimento di alcune patologie da un settore o categoria ad un altro
• aggiunta di nuove categorie per identificare patologie o condizioni (o loro complicazioni) che sono diventate
di interesse statistico-sanitario
• cambiamento di terminologia
La nuova Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD- 11) introduce una novità: l’utilizzo compulsivo di
videogiochi è stato incluso nella sezione dedicata alle dipendenze. L’ICD-11 verrà presentata a maggio 2019
all’Assemblea mondiale della sanità per l’adozione da parte degli stati membri ed entrerà in vigore dal 1° gennaio
2022. La versione presentata è un’anteprima che consente agli Stati di iniziare a conoscere la nuova classificazione,
preparare le traduzioni necessarie e formare gli operatori sanitari.
La scheda di morte → Viene compilata dal medico ed inviata all’Ufficio di stato civile del Comune e da qui alla Azienda
USL di residenza del defunto, alla Regione e infine all’Istituto Centrale di Statistica (ISTAT) che ne cura l’elaborazione e
10
la diffusione (annuale) in forma aggregata. Viene compilata anche dal medico necroscopo, il quale qualora non sia in
grado di determinare con certezza la causa di morte può richiedere l’autopsia. Esse hanno funzioni anagrafiche,
giudiziarie (accertamenti autoptici), di polizia sanitaria (autorizzazione alla sepoltura) e statistico-demografiche, oltre
che sanitarie (carico assistiti). Ne esistono 4 tipi (schede ISTAT D4, D5, D4bis e D5bis), divise in base al sesso e se sotto
o oltre il 1° anno di età. Nella parte A della scheda vengono fornite dal medico curante e/o necroscopo le notizie
relative al decesso, mentre nella parte B vengono riportate le informazioni di carattere demografico e sociale (Ufficio
di Stato Civile del Comune). Le schede di morte permettono di ottenere dati sulle cause iniziali, intermedie e terminali
di morbosità. Gli svantaggi relativi alle schede di morte sono:
• opposizione da parte dei parenti del defunto ad effettuare l’autopsia
• mancanza di segnalazione da parte del medico dei dati relativi alle cause iniziali o intermedie di morbosità
(importanti per le malattie come i tumori)
• generalizzazione nel porre la diagnosi (es: tumore dell’utero senza distinguere tra corpo e collo)
• errori nel confronto dei dati a causa della diversa classificazione delle malattie a distanza di anni (VIII
revisione malattie cerebrovascolari (Ictus) come malattie cardio-vascolari, IX revisione come malattie del
sistema nervoso)
Studio delle disabilità → I dati sulle cause di morte costituiscono una fonte di inestimabile valore per l’identificazione
delle patologie che portano a disabilità. Per ogni patologia disabilitante, infatti, è possibile studiarne l’impatto sulla
mortalità, ad esempio analizzando se la patologia è associata a una speranza di vita inferiore alla norma. La patologia
disabilitante può essere correlata alla morte, ma non essere la causa iniziale; inoltre la patologia disabilitante può non
apparire tra quelle descritte in quanto non correlata al decesso. Associando questo tipo di analisi allo studio della
ospedalizzazione relativamente alla stessa patologia, è possibile ricostruire un percorso che dalla malattia porta
all’eventuale ospedalizzazione, e da questa alla dimissione o alla morte. Il DALY (Disability Adjusted Life Year) è
indicatore quantitativo dell’impatto di una malattia in una popolazione e indica gli anni di vita in piena salute persi a
causa di disabilità.
Dati di natalità → Il certificato di assistenza al parto (CedAP) o scheda di nascita (DM 349/2001) fornisce
informazioni di carattere sanitario e socio-demografico su gravidanze, nascite, morti fetali e malformazioni congenite.
Viene compilato obbligatoriamente dall’operatore sanitario che assiste al parto e consente di registrare ufficialmente
la nascita quando viene depositato presso la Direzione Sanitaria o l’Ufficio di Stato Civile del Comune.
I vantaggi delle schede di nascita sono:
• come per le schede di morte, la percentuale di certificati compilati in Italia si avvicina al 100%
• nel 2003 il numero di parti segnalati al MdS tramite CedAP elettronico (iniziato nel 2000) è stato pari all’84%
di quelli rilevati con la SDO nello stesso anno e il numero di nati vivi è stato l’84% di quelli registrati presso le
anagrafi comunali
• l’attendibilità dei dati è ottima per alcune variabili sia di carattere amministrativo (dati anagrafici dei genitori,
ecc.) che di matrice sanitaria (peso alla nascita, tipo di parto, malformazioni, esami diagnostici, tipo di
procreazione)
• permette di ottenere dati di natimortalità e mortalità perinatale (sezione D)
Gli svantaggi, invece, sono:
• frequente omissione o scarsa qualità dei dati relativi a settimana di gestazione, indice di APGAR, tipo di
presentazione fetale.
Attraverso le informazioni rilevate nella fonte informativa del CedAP è possibile analizzare i parti secondo la
classificazione proposta da Robson, che consente di suddividere la popolazione delle partorienti in 10 gruppi
mutuamente esclusivi a diversa complessità assistenziale. I 10 gruppi sono definiti attraverso i principali parametri
utilizzati in ostetricia, rilevati al momento del parto:
•
•
•
•
•
•
la parità (parti precedenti)
il genere del parto (singolo/plurimo)
la presentazione fetale (cefalica,
podalica, etc.)
l’età gestazionale
la modalità del travaglio e del parto
(spontaneo, indotto, taglio cesareo
prima del travaglio)
pregresso taglio cesareo
11
Fonti ospedaliere → I dati derivati dalla documentazione clinica delle strutture sanitarie sono importanti sia per
ricerche epidemiologiche sulle malattie che richiedono ospedalizzazione, sia per studi di valutazione della qualità
dell’assistenza sanitaria, che per attività medico-legali.
• Cartella clinica: è la fonte dei dati anagrafici e delle informazioni sanitarie relative ad anamnesi, decorso
clinico, esami diagnostici effettuati e terapie somministrate. Vengono conservate per 20 anni dalle direzioni
sanitarie. Possono avere scarsa attendibilità per la frequente omissione di determinate informazioni e la
soggettività di determinate interpretazioni cliniche (i bias riguardano le omissioni di informazioni relative, per
esempio, all’esposizione a fattori di rischio, sviluppo di complicazioni, ecc. e la soggettività di determinate
interpretazioni cliniche – uso di criteri diversi per operare la diagnosi, uso di termini diversi per descrivere la
stessa condizione clinica o diagnosi)
• Registri ospedalieri: sono elenchi di prestazioni erogate in determinate Unità Operative che possono differire
da una Regione all’altra. Sono per esempio i registri operatori, i registri di sala parto, i registri di interruzione
volontaria di gravidanza, quelli di pronto soccorso, ecc.
• Scheda di dimissione ospedaliera (SDO): è una fonte di maggiore attendibilità e sintesi dei ricoveri. Ha
assunto una notevole rilevanza amministrativa dopo l’introduzione, con il D. Lgs. 502/92, del pagamento per
prestazione (DRG). Vengono inviate dalle Regioni al Ministero della Salute che ne cura l’elaborazione e la
pubblicazione dei dati attraverso vari organismi tra i quali l’Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali (ASSR). La
scheda contiene i dati anagrafici del paziente (ASL residenza), le caratteristiche della degenza e la diagnosi di
dimissione, oltre ad eventuali patologie concomitanti che abbiano in qualche modo contribuito ad impegnare
risorse (i bias sono le convergenze “occulte” verso diagnosi più remunerative per le aziende sanitarie
interessate al rimborso delle prestazioni erogate da parte della Regione e il fatto che i dati derivanti dalla
elaborazione sono in forma aggregata e non permettono di distinguere il numero di ricoveri per patologia dai
pazienti effettivamente colpiti, cioè i nuovi casi)
Il Diagnosis Related Groups (DRG, Raggruppamenti omogenei di diagnosi, 1967, Robert Fetter, Università di Yale, Stati
Uniti) è un sistema di classificazione isorisorse dei ricoveri ospedalieri. I ricoveri ospedalieri sono, cioè, raggruppati in
modo che tutti i ricoveri afferenti ad un medesimo DRG presentino approssimativamente un simile carico assistenziale
e consumo medio di risorse. Questo sistema viene attualmente impiegato in Italia come strumento di finanziamento
delle strutture ospedaliere nel sistema sanitario nazionale; infatti, ad ogni DRG è associata una tariffa che rispecchia
una stima del costo medio di ciascun ricovero, in base alla quale si remunera l’attività ospedaliera erogata. Tali
elementi avrebbero permesso di sviluppare e affinare programmi di verifica sull’utilizzo delle risorse (utilization
review) e di gestione della qualità dell’assistenza (quality assurance) a supporto delle attività di analisi e valutazione
della performance operativa degli ospedali.
Reti sentinella → Sono utilizzate in aggiunta o in alternativa agli altri sistemi di notificazione per la sorveglianza
epidemiologica di malattie infettive generalmente ad alta incidenza e a bassa frequenza di notificazione. Esse
consistono nel coinvolgimento, spesso su base volontaria, di medici o pediatri di famiglia che inviano periodicamente i
dati sugli eventi osservati a un centro di raccolta che li elabora e li diffonde. In Italia sono attivi presso l’ISS: la rete
sentinella per l’influenza e la rete sentinella per le malattie prevenibili in età pediatrica.
Registri di patologia → Sono stati creati per ricavare il numero di nuovi casi dai successivi ricoveri per la stessa causa o
per recidive, di tutte le malattie non infettive (non ottenibili dalle fonti ospedaliere perché forniscono dati aggregati,
né dalle schede di morte che possono essere utili solo nella stima dell’incidenza di malattie ad alta letalità (es: tumore
maligno del pancreas). Il registro tumori è presente su tutto il territorio nazionale in paesi quali Danimarca,
Inghilterra, Islanda e Norvegia. In Italia a partire dal ’70 sono attivi registri su base locale, che coprono circa il 20%
della popolazione italiana, e registri tumori specifici per singola patologia (es: tumori colon-rettali a Modena,
mesoteliomi a Genova, Firenze, ecc.). Richiedono la collaborazione di tutte le strutture sanitarie pubbliche e private
dell’area geografica interessata. Il registro nazionale AIDS, il registro nazionale degli ipotiroidei congeniti, il registro
nazionale della malattia di Creutzfeldt-Jakob, sono altri esempi di registri con sede presso l’ISS.
Riassumendo, le principali fonti di dati epidemiologici sono:
• Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO): raccolgono in sintesi le informazioni principali su ciascun ricovero
di un paziente. Il vantaggio di questa fonte è legato alla disponibilità di queste informazioni per qualsiasi
ricovero in strutture pubbliche o private effettuato su tutto il territorio italiano. La loro documentazione è
quasi sempre disponibile su supporto magnetico
• Archivi di anatomia e citologia patologica: Questi archivi garantiscono il più alto livello di precisione della
diagnostica del singolo caso secondo regole codificate a livello internazionale. Mediamente, in Italia, oltre
l’80% dei casi è corredato da conferma isto-patologica (morfologica e comportamento del tumore). La
12
•
•
•
•
•
•
•
•
crescente disponibilità di archivi informatizzati ha consentito non solo una più veloce consultazione dei dati,
ma anche una maggiore acquisizione di elementi caratterizzanti la neoplasia (morfologia del tumore, assetto
biologico, grading, stadiazione)
Cartelle cliniche: hanno un ruolo di precisazione e integrazione delle informazioni sui casi che spesso la
gestione automatica non riesce a garantire. In genere sono consultate presso le Aziende Ospedaliere
Certificati di morte: rappresentano storicamente una delle fonti principali della registrazione dei tumori.
Sono acquisibili tramite il flusso delle schede di morte ASL/ISTAT che contengono l’indicazione della causa di
morte. Tale fonte risulta essenziale per recuperare casi precedentemente sfuggiti alla rilevazione d’incidenza
INAIL: dati riferiti agli infortuni sul lavoro e alle malattie professionali, con flussi informativi che coinvolgono
le aziende USL, gli Ispettorati del Lavoro e le autorità giudiziarie
INPS e assicurazioni private: dati su invalidità temporanee e permanenti
Gli archivi dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta e dei medici competenti aziendali:
per informazioni individuali di varia natura
Sistema sanitario: per i dati relativi alle prescrizioni farmaceutiche e sulle esenzioni dai ticket
APAT e ARPA: per i dati ambientali
ISTAT: dati socio-economici
DEMOGRAFIA E INDICATORI
La demografia è il complesso delle analisi descrittive e investigative, condotte con metodo prevalentemente statistico,
intese a studiare le caratteristiche strutturali e dinamiche delle popolazioni umane nei loro aspetti biologici, nei loro
aspetti sociali e nelle loro interrelazioni. Le rilevazioni demografiche possono essere di stato (censimento) o di
movimento (cause naturali o sociali).
Il censimento è una rilevazione:
• diretta – i dati censuari non sono desunti da altri dati
• nominativa – ogni soggetto è censito e identificato
• universale – riguarda tutti i soggetti presenti sul territorio
• simultanea – “fotografa” la situazione della popolazione allo stesso momento
• periodica – viene ripetuta ad intervalli di tempo regolari (10 anni)
• che consente una corretta programmazione delle strutture socio-sanitarie
Il primo dato utile fornito dal censimento è l’ammontare della popolazione, costituito da popolazione presente,
popolazione residente e incremento annuo medio (quantità di aumento annuale, espresso in %, di una popolazione
rispetto al suo ammontare iniziale).
Il secondo dato utile fornito dal censimento è la distribuzione per sesso e per età.
Distribuzione per sesso
1. Percentuale di popolazione di ciascun sesso sulla popolazione complessiva →
2.
Rapporto tra l’ammontare della popolazione maschile e quella femminile →
mascolinità
𝑴
𝑴#𝑭
𝑴
𝑭
∗ 𝟏𝟎𝟎;
𝑭
𝑭#𝑴
∗ 𝟏𝟎𝟎
∗ 𝟏𝟎𝟎 = rapporto di
Distribuzione per età
1. Piramide dell’età
La piramide delle età può essere:
•
ad accento circonflesso - caratteristica del regime demografico con forte natalità e forte
mortalità a tutte le età. La base è larga, gli adulti sono di poco più numerosi dei giovani, il
numero degli anziani è assai limitato.
•
a bulbo - rappresenta la situazione dei paesi demograficamente senili. La base è stretta, il
numero assoluto delle nascite decresce continuamente. La sostituzione di una
generazione con la seguente non è più assicurata. È il caso delle popolazioni in fase di
regresso demografico.
•
a salvadanaio - indica una ripresa della natalità in un Paese che in precedenza aveva
conosciuto una decadenza demografica. La base si allarga sotto la strozzatura che indica il
rovesciamento di tendenza delle nascite. È la situazione tipica delle popolazioni in via di
ringiovanimento demografico.
•
a campana - dai contorni arrotondati e con base ridotta, caratteristica dei paesi
demograficamente maturi, nei quali la mortalità è molto diminuita a tutte le età e il tasso
di natalità ha subito una flessione, perché il numero assoluto delle nascite ha cessato di
crescere annualmente. Indica una situazione stazionaria.
13
+
2.
Età media (media ponderata dell’età degli individui che la compongono) → 𝑋 = ∑
3.
individui; p = popolazione)
Indice di vecchiaia (rapporto tra l’ammontare della popolazione senile (> 65 anni) e l’ammontare della
popolazione in età infantile-giovanile (< 15 anni)) → ./01
4.
,
(e = età dei singoli
-2034
Indice di dipendenza (mette in relazione l’ammontare della popolazione improduttiva (0-14 anni e > 65 anni)
#con l’ammontare della popolazione potenzialmente produttiva) → 𝐷 = 2034 ./01
-3/0.4
Altri dati utili forniti dal censimento sono: le dimensioni del centro di residenza, il luogo di nascita, lo stato civile, il
grado di istruzione, l’attività professionale, lo stato di non occupazione, il grado di pendolarismo, la composizione del
nucleo familiare.
Le cause naturali o biologiche di movimento demografico, che comportano un movimento naturale della
popolazione, sono le nascite e le morti, mentre le cause sociali, che portano ad un movimento migratorio della
popolazione, sono l’immigrazione e l’emigrazione.
Alcune misure di movimento naturale sono il tasso di natalità (n. nati vivi in un anno/popolazione residente x 1000), il
tasso di fecondità (n. nati vivi in un anno/popolazione femminile di 15-49 anni nello stesso anno x 1000), il tasso di
abortività (n. annuale di feti espulsi entro 28 settimane dal concepimento/n. totale gravidanze nello stesso anno x
1000) e il tasso di mortalità (n. morti in un anno/popolazione residente x 1000).
Un tasso è un particolare tipo di proporzione che include una specificazione di tempo. È la misura base della malattia
perché è la misura che esprime la probabilità o rischio di malattia in una data popolazione in un certo periodo di
tempo.
•
•
Tasso di mortalità neonatale precoce
= n. annuale di morti entro la prima
settimana di vita / n. nati vivi nello
stesso anno x 1000
Tasso di mortalità neonatale tardiva
= n. annuale di morti dalla II alla IV
settimana di vita / n. nati vivi nello
stesso anno x 1000
La speranza di vita è data dal numero medio di anni che una persona può aspettarsi di vivere al momento della sua
nascita in quel paese, in base ai tassi di mortalità registrati nell’anno considerato.
Possono favorire la morte perinatale cause endogene (malattie della madre, malattie ereditarie come l’emofilia,
anomalie della meiosi come le trisomie, isoimmunizzazione Rh), cause legate al parto o cause esogene (agenti
teratogeni o incidenti).
Tra gli agenti teratogeni noti abbiamo infezioni materne (lue, malattia da citomegalovirus, rosolia, toxoplasmasi,
varicelle herpes-zoster, listeriosi), malattie materne (diabete mellito insulino-dipendente, fenilchetonuria, les e
14
malattie autommuni, malattie tiroidee autoimmuni, tumori virilizzanti), agenti ambientali (metil mercurio, arsenico,
bifenil policlorurati), trattamenti farmacologici o radianti (acido valproico, antimitotici, antagonisti dell’acido folico,
fenitoinici, litio, metimazolo, talidomide, minoxidil, ormoni ad azione androgena, penicillamina, retinoidi,
streptomicina, tetracicline, warfarina ed altri derivati cumarinici, radiazioni ionizzanti terapeutiche 5-10 rad.) e
sostanze chimiche voluttuarie (alcool, fumo di sigaretta, cocaina).
L’Organizzazione Mondiale della Sanità, al fine di raccogliere dati sullo stato di salute delle popolazioni e di verificare i
risultati raggiunti dai programmi di intervento, ha distribuito agli Stati Membri (1990) un prospetto di Indicatori della
Salute con voci dettagliate e significative. Questi sono:
• Indicatori di sopravvivenza: speranza di vita alla nascita – per sesso; mortalità infantile; mortalità perinatale;
mortalità comparata in determinati gruppi di età per categorie socio-economiche ed occupazionali; tassi
specifici di mortalità per alcune cause (incidenti, suicidi, omicidi)
• Indicatori dello stile di vita: consumo di alcool pro-capite; consumo di tabacco pro-capite; uso di droga da
parte di adolescenti e giovani adulti; percentuale di gravidanze al di sotto dei 15 anni; numero di persone
iscritte ad associazioni sportive – per età
• Indicatori della qualità della vita: percentuale di invalidi in seguito a menomazioni permanenti (QALY,
Qualità Adjusted Life Year; rappresenta un indicatore dei benefici derivanti da un intervento sanitario);
incidenza delle malattie da inquinamento delle acque; percentuale di popolazione esposta a determinati
livelli di inquinamento; percentuale di bambini al di sotto di un determinato livello alimentare – per età; peso
alla nascita; assenteismo dal lavoro; assenteismo dalla scuola; tassi di criminalità
• Indicatori socio-economici: prodotto nazionale lordo pro-capite; percentuale del prodotto nazionale lordo
destinata al settore sanitario; distribuzione del reddito; percentuale della spesa sanitaria finanziata da
amministrazione pubblica (centrale o locale), sicurezza sociale (assicurazione obbligatoria), assicurazioni
private e paganti in proprio; percentuale di popolazione a “livello di povertà”; percentuale di popolazione
attiva in cerca di lavoro.
In campo sanitario gli indicatori rappresentano tutte quelle informazioni che possono essere utilizzate per la
programmazione e l'organizzazione dei servizi, tra i quali meritano particolare attenzione quelli facenti
capo agli ospedali. Infatti l'ospedale concentra in sé la maggior parte delle risorse sanitarie e costituisce la fonte
principale per l'analisi dello stato della popolazione.
Per misurare l'attività ospedaliera gli indicatori più significativi possono essere suddivisi in:
• Indicatori di struttura e di utilizzo: identificano la disponibilità delle risorse e la loro utilizzazione;
• Indicatori di processo: valutano le modalità di svolgimento delle diverse attività di prevenzione, diagnosi,
terapia e riabilitazione;
• Indicatori di esito: misurano il cambiamento della storia naturale del paziente o di una comunità, in termini
di efficacia e di soddisfazione degli utenti.
La degenza media (DM) è il tempo che un ospedale o una divisione impiega mediamente per completare un
trattamento. Si ottiene dividendo le giornate di degenza totale (GD) per il numero dei ricoverati (R): DM = GD/R. La
degenza media riflette le decisioni degli operatori sanitari durante la permanenza in ospedale e tiene conto di più
fattori: l’accessibilità ai mezzi diagnostici, la correttezza della diagnosi, l’efficienza del reparto e l’efficacia del
trattamento (intesa come qualità delle cure prestate). La miglior fonte per raccogliere le informazioni necessarie ad
ottenere la quota delle giornate di degenza è il movimento giornaliero dei degenti i cui dati affluiscono alla direzione
sanitaria.
Il posto letto (PL) costituisce un classico elemento di descrizione di una struttura: è il numero reale di posti letto che in
ogni valutazione statistica deve essere riferita, in quanto solo per questo esiste un impegno di risorse. Il numero di PL
costituisce un elemento di pianificazione del Servizio Sanitario Nazionale: la legge fino a ora prevede uno standard
nazionale di 6 PL per 1000 abitanti Il numero dei posti letto ospedalieri può essere rapportato alla dotazione in
organico di medici, di paramedici e di altro personale con i seguenti standard:
• 1 medico ogni 5/5.5 posti letto
• 1 paramedico ogni 1.1/1.3 posti letto
• 1 unità di altro personale ogni 7/8 posti letto
Altro importante indicatore ospedaliero è il tasso di utilizzo (TU) dei posti letto che considera le giornate di degenza
effettivamente coperte (GD, occupazioni giornaliere), rispetto alle giornate di degenza teoricamente possibili
(GDMax), che in un anno corrispondono al numero di PL per 365 gg.: TU% = GD / GDMAX * 100 = GD / PL * 365 *100 =
DM * R / PL * 365 * 100. Il Piano Sanitario Nazionale attualmente fissa tale indice al 70-75%.
La degenza media e il tasso di utilizzo sono due indici importanti, ma insufficienti, a rappresentare una realtà
estremamente complessa come quella ospedaliera: un elevato valore di TU non implica necessariamente la piena
15
utilizzazione del sistema considerato in quanto esso è direttamente proporzionale alla DM, quindi si può aumentare
l‘TU prolungando la DM. Un discorso analogo può essere fatto per la DM; un valore molto basso di degenza media può
essere dovuto a 3 motivi ugualmente frequenti:
• l'ospedale è in grado di far fronte, in tempi brevi, al carico di degenti, perché possiede servizi di diagnosi
efficienti
• l'ospedale dimette i pazienti prima che il decorso della malattia sia effettivamente concluso, perché ha
un'alta richiesta di ricovero
• i casi di ricovero sono, nella maggioranza, episodi di scarsa rilevanza clinica e quindi trattabili anche al di fuori
della struttura
Dai precedenti indicatori di base se ne possono ricavare altri più analitici, riguardanti il funzionamento dinamico del
servizio, in particolare l'intervallo di turnover e l'indice di rotazione. L'intervallo di turnover (It) è il periodo di tempo
intercorrente tra la dimissione di un paziente e la successiva ammissione di un altro paziente. Il periodo di tempo in cui
un posto letto rimane libero tra un ricovero e l'altro fornisce una misura diretta degli sprechi-utilizzazione dei letti
𝑮𝑫
=𝑮𝑫
ospedalieri. Tale intervallo non dovrebbe superare 3 giorni e si ottiene come: 𝑰𝒕 = 𝒎𝒂𝒙
.
𝑹
L'indice di rotazione annuo per posto letto (Ir) indica il numero di pazienti che ruotano sullo stesso letto in un anno e
𝑹
rappresenta una misura dell'intensità d'uso di un posto letto. 𝑰𝒓 = . Questo indice di rotazione si trova spesso
𝑷𝑳
indicato come indice di produttività (CF, dall'inglese “case-flow”): 𝑰𝒓 = 𝑪𝑭 =
𝑹
𝑷𝑳
=
𝟑𝟔𝟓
𝑫𝑴#𝑰𝒕
=
𝑶𝑴
𝑫𝑴
∗ 𝟑𝟔𝟓.
EPIDEMIOLOGIA GENERALE DELLE MALATTIE INFETTIVE
Le malattie infettive sono determinate da cause microbiche. In genere ognuna di esse è causata da uno specifico
agente infettivo che spesso prende il nome dalla malattia (es. tifo, pertosse, meningite, etc.). Esistono poi quadri
morbosi che possono essere provocati da agenti microbici diversi (es. cistite, polmonite, etc.).
Lo studio dell’epidemiologia delle malattie infettive ci consente di acquisire informazioni:
• sull’agente infettivo
• sulla sua presenza nell’ambiente
• sulle vie attraverso cui entra nell’ospite
• sui suoi rapporti con esso
• sulle modalità di trasmissione
• etc.
Tali informazioni vengono utilizzate per
individuare e mettere in atto adeguati
interventi di prevenzione a vari livelli.
16
Infezione = interazione tra un agente biologico e l’ospite suscettibile, con replicazione del microrganismo
Malattia infettiva = espressione clinica dell’infezione, con segni e sintomi
Quindi un’infezione può decorrere in maniera sub-clinica/asintomatica, solo segni microbiologici (isolamento
microrganismo) o sierologici, o clinicamente manifesta, con segni e sintomi.
I microrganismi svolgono un ruolo importantissimo nel mantenimento dell’equilibrio biologico a livello
dell’ecosistema nel quale vivono. Alcuni sono ubiquitari, cioè si ritrovano in tutti i continenti (virus dell’influenza e del
morbillo, meningococchi, etc.). Altri sono localizzati in aree geografiche ristrette e ben definite (virus della febbre
gialla, vibrione del colera, etc.) perché necessitano, per il loro sviluppo e la loro moltiplicazione, di particolari
condizioni ambientali o di ospiti (insetti e artropodi) che vivono soltanto in certe aree geografiche. In relazione alla
distribuzione geografica le malattie trasmissibili possono essere suddivise in cinque gruppi:
1. COSMOPOLITA o UBIQUITARIA - è una malattia distribuita in tutte o quasi tutte le regioni della Terra,
causata da microrganismi che circolano stabilmente in tutto il mondo e che quindi si sono adattati o possono
adattarsi a diverse condizioni ambientali
2. SPORADICA - è una malattia che si manifesta occasionalmente con un numero limitato di casi separati tra di
loro nello spazio e nel tempo, in una popolazione in cui tale malattia è assente da tempo (es. i casi di malaria
contratta all’estero, che si manifestano al rientro in Italia e che non danno luogo a casi secondari). Nel caso
della malattia sporadica l’agente patogeno non è presente in modo stabile nel territorio nel quale il caso si
manifesta oppure rimane confinato a livello dei serbatoi (tetano, botulismo)
3. ENDEMICA - in una certa area geografica è una malattia che si manifesta costantemente nella popolazione,
con un numero di casi più o meno elevato. In questo caso, l’agente responsabile, trovandosi in un contesto
ambientale favorevole, circola e persiste stabilmente nella collettività (es. colera in India). La condizione di
endemicità è caratterizzata da una condizione di equilibrio tra la capacità di diffusione del microrganismo e la
recettività della popolazione ed è influenzata da fattori che favoriscono (molti casi) o che ostacolano (pochi
casi) la trasmissione dell’infezione. Molte malattie endemiche si presentano con cicli stagionali, sono molto
frequenti in alcuni mesi dell’anno, lo sono molto meno in altri. Tale ciclicità è dovuta all’influenza di fattori:
metereologici (temperatura, umidità, etc.) e sociali (affollamento, attività scolastica, etc.), ad esempio
l’elevata frequenza delle infezioni respiratorie acute nei mesi invernali; biologici (ciclo riproduttivo di insetti),
per esempio l’elevata incidenza di malattie trasmesse da vettori. Alcune malattie endemiche esantematiche
(es. morbillo e rosolia) hanno tipici cicli epidemici poliennali: è necessario che si raggiunga un certo numero
di nuovi nati (recettivi) in modo che il virus possa diffondere agevolmente. Dopo un picco epidemico, il virus
continua a circolare grazie agli individui che non sono stati colpiti dalla malattia
4. ESOTICA è una malattia che non è presente in una certa area geografica ma che può esservi importata. È
generalmente provocata da un agente microbico che, per il suo sviluppo e la sua moltiplicazione, necessita di
particolari condizioni climatiche, ambientali e sociali come quelle che, ad esempio, si trovano nei paesi
tropicali
5. EPIDEMICA è una malattia che si manifesta in una stessa popolazione o gruppo di individui con un numero di
casi rilevante, in un periodo di tempo limitato (giorni o settimane), avendo tutti i casi una origine comune.
Quando la malattia epidemica oltrepassa i confini di uno stato e si diffonde anche ad altri paesi e continenti si
parla di PANDEMIA
I quattro punti necessari per confermare l’esistenza dell’epidemia sono:
• ≥2 persone che manifestano la stessa patologia dopo contatto con una sorgente d’infezione comune in un
luogo comune
• l’incidenza dei casi osservati supera l’incidenza attesa
• un’epidemia può manifestarsi in modo meno ovvio, se i casi sono dispersi in una vasta area geografica ed
appaiono, quindi, sporadici → l’epidemia può essere sospettata solo se è in atto un sistema di sorveglianza
efficace
• se la prevalenza dei casi rilevati nel periodo precedente al picco ha una distribuzione normale, allora è
anormale un valore al di fuori dell'intervallo media ± 2 volte la deviazione standard
In ogni epidemia il primo caso accertato viene detto “caso indice”, mentre tutti gli altri sono detti “casi secondari”. Il
periodo di tempo che intercorre tra l’inizio della malattia nel caso indice e nel primo dei casi secondari viene detto
intervallo seriale, mentre il tasso di attacco secondario è la percentuale di soggetti recettivi che ammalano a seguito
dell’esposizione al contagio con il caso indice. La propagazione di una epidemia è condizionata dall'esistenza di una
densità minima di ospiti suscettibili (livello soglia).
17
Fasi di un’indagine epidemiologica
• Orientare i dati in termini di tempo, luogo e persona: lo scopo è quello di organizzare i dati che si
acquisiscono in modo da attribuirgli un significato e rinforzare o eliminare le varie ipotesi. Un metodo
comune di orientamento dei dati è la curva epidemica, un grafico che mostrando la distribuzione temporale
dell’esordio dei sintomi nei casi aiuta a determinare se l’epidemia ha avuto origine da una fonte comune o
puntiforme (1) o da una fonte continua (2) oppure da contagio interumano (3).
•
L’andamento della curva epidemica dipende da: vie di escrezione e velocità di propagazione dell’agente
eziologico, densità della popolazione, proporzione di soggetti suscettibili. Una «epidemia a propagazione» è,
invece, quella causata da un agente che viene escreto inizialmente da uno o più casi primari, e quindi si
propaga nel tempo ad individui recettivi che costituiscono casi secondari.
Sviluppare un’ipotesi che spieghi quale o quali specifiche esposizioni possono aver causato la malattia (e
verificarla con appropriati metodi statistici): si possono stimare i tassi d’attacco, attraverso la stima
dell’incidenza della malattia tra le persone con una specifica esposizione. Si tratta di uno studio retrospettivo
dove viene calcolato l’odds ratio.
La trasmissione dell’influenza avviene per via aerea (da 100.000 a 1.000.000 di virioni per goccia) e per contatto
(mani).
Quando due diversi virus infettano la stessa
cellula può verificarsi un riassortimento dei
segmenti genici tra i due genomi con
formazione di un nuovo virus. Ospiti come il
maiale possiedono i recettori per i virus di
specie diverse e sono responsabili del
riassortimento genico. Il riassortimento genico
tra specie animali differenti è alla base delle
pandemie da virus dell’influenza A.
18
Il virus H1N1 responsabile della pandemia Spagnola possedeva tre geni aviari (Polimerasi PB1, Emoaglutinina e
Neuroaminidasi). I virus H1N1 e H3N2, che si sono evoluti dai ceppi che hanno causato le pandemie Russa e di Hong
Kong rispettivamente, continuano a circolare nell’uomo e producono le epidemie annuali. Dal 1997 ceppi di virus
dell’influenza aviaria (H5N1, H7N7 e H9N2) sono stati trasmessi all’uomo.
Il virus dell’influenza aviaria infetta gli uccelli perché la sua Emoaglutinina si lega a recettori specifici, NeuAc𝛂2,3Gal,
presenti sulle cellule delle vie aeree e dell’apparato intestinale. Nell’uomo i recettori specifici per i virus dell’influenza
umana sono diversi, NeuAc𝛂2,6Gal. Il virus aviario può infettare l’uomo perché trova lo stesso recettore su
pochissime cellule dell’epitelio tracheo-bronchiale umano.
I microrganismi svolgono un ruolo essenziale nel mantenimento dell’equilibrio biologico nei vari ecosistemi presenti
sulla terra. Alcune specie microbiche si sono adattate a vivere in simbiosi con l’uomo, con reciproco vantaggio, sulle
superfici corporee e sulle mucose. Altre hanno sviluppato la capacità di invadere, vivere e moltiplicarsi nell’ospite con
danno esclusivo dell’ospite stesso. Da un punto di vista che tiene conto dei rapporti con l’uomo, i microrganismi
possono essere divisi in:
• ambientali: il loro habitat naturale è l’ambiente; possono divenire patogeni-opportunisti
• commensali: vivono sui tegumenti (pelle, mucose dell’apparato digerente, respiratorio, genito-urinario,
congiuntive); possono divenire patogeni-opportunisti
• parassiti: sono i patogeni, in grado di aggredire l’ospite causandogli un danno
FATTORI ASSOCIATI ALLA DIFFUSIONE DELLE INFEZIONI
CARATTERISTICHE DELL’OSPITE
• Recettività (o suscettibilità) – la recettività è limitata ad una o poche specie, mentre la suscettibilità è estesa a
numerose specie. È la capacità di ospitare un agente patogeno e di permetterne lo sviluppo o la
moltiplicazione. La gamma di specie animali recettive ad una malattia viene detta, nel suo complesso,
«spettro d'ospite»
• Contagiosità – dipende dalla durata del periodo in cui l’ospite è infettante e dalla quantità di agente escreta
dall’ospite. La contagiosità è la propensione di una malattia o di un agente a diffondere all'interno di una
popolazione recettiva per vie naturali (contatto diretto o indiretto)
19
CARATTERISTICHE DELL’AGENTE
• Patogenicità – è la capacità del microrganismo di causare danno e si esprime con uno stato di malattia.
Dipende da invasività (capacità di invadere organi o apparati o tutto l’organismo) e tossigenicità (per
produzione di esotossine, endotossine, metaboliti tossici)
• Infettività – è la capacità di moltiplicarsi nell’ospite. È inversamente proporzionale al numero di
microrganismi necessari per dare infezione (dose infettante) ed è variabile nelle diverse specie. Può variare in
rapporto ai diversi ceppi (o stipiti) e può dipendere da altri fattori, quali la via d’infezione, l’età dell’ospite, la
resistenza innata, ecc.
• Virulenza – è il diverso grado di espressione della patogenicità. Esprime la capacità di causare danno
nell’ospite (misura il potere patogeno dell’agente)
• Contagiosità – è la capacità di un microrganismo di passare da un soggetto recettivo ad un altro
• Stabilità – misura il tempo di persistenza dell’infettività di un agente al di fuori dell’ospite
I microrganismi appartenenti a specie ambientali e commensali possono, in certe particolari situazioni, divenire
responsabili di infezione e per questo vengono definiti patogeni opportunisti. Tali organismi possono aggredire
l’ospite quando si verificano circostanze tali da consentire il loro impianto in distretti o tessuti normalmente sterili, o le
difese dell’organismo risultano notevolmente abbassate. Le infezioni da patogeni opportunisti rappresentano un
grave problema in ambiente ospedaliero per:
• sopravvivenza di soggetti in gravi condizioni (ustionati, immaturi, politraumatizzati, ecc.)
• uso di trattamenti immunosoppressori
• uso di strumentario che consente il raggiungimento di cavità o organi normalmente sterili (cateterismo
cardiaco, cateterismo vescicale, intubazione tracheale, ecc.)
• sviluppo di tecniche per l’impianto di protesi in cardiochirurgia, neurochirurgia, ecc.
Si definisce serbatoio o riserva di infezione una specie animale o vegetale o un substrato inanimato nel quale un
microrganismo patogeno vive e si moltiplica in condizioni normali. È l’habitat naturale del microrganismo.
Alcuni microrganismi sono parassiti esclusivi dell’uomo, il loro habitat naturale è l’uomo stesso e quindi la specie
umana rappresenta il loro serbatoio (es: Salmonella typhi).
Altri microrganismi, patogeni primariamente solo per gli animali, nel corso dell’evoluzione hanno sviluppato la
capacità di infettare anche l’uomo: in questo caso i serbatoi sono rappresentati dalle specie animali nelle quali tali
microrganismi vivono e si moltiplicano. Esempi:
• numerosi sierotipi del genere Salmonella (non S. typhi) hanno come serbatoio diverse specie di rettili dai
quali raggiungono gli animali domestici e da questi l’uomo
• Yersinia pestis ha il suo serbatoio nei roditori selvatici e raggiunge l’uomo in seguito ad una infezione casuale
di conigli e lepri o per l’ingresso accidentale di animali selvatici (ratti, scoiattoli) e delle loro pulci (Xenopsylla
cheopis) negli ambienti in cui vive l’uomo (gatti, cani)
Per alcuni microrganismi il serbatoio è rappresentato dall’ambiente esterno. Ad esempio:
• Legionella pneumophila, agente eziologico della malattia del legionario, vive e si moltiplica nell’acqua
• Yersinia enterocolitica vive e si moltiplica nell’acqua e nel suolo a temperature anche molto basse
La sorgente o fonte di infezione è rappresentata da un uomo (o un animale) che ospita un microrganismo patogeno,
lo elimina e lo può trasmettere a soggetti recettivi della stessa specie o di specie diversa. In alcuni casi la sorgente di
infezione può coincidere con il serbatoio di infezione. L’uomo ammalato di malattia infettiva, che elimina all’esterno
l’agente eziologico della malattia, rappresenta la principale sorgente di infezione.
Importante sorgente di infezione è il portatore, soggetto in cui non c’è segno clinico di infezione, ma che alberga nel
proprio organismo un microrganismo patogeno e lo elimina all’esterno con possibilità di infettare soggetti sani e
recettivi. Si riconoscono diversi tipi di portatori:
20
portatore sano è un soggetto non ammalato (senza segni clinici di malattia) che alberga microrganismi
patogeni nel proprio organismo (infezione inapparente) e li elimina all’esterno
• portatore precoce o in incubazione è un soggetto che elimina il microrganismo patogeno durante il periodo
di incubazione della malattia, periodo che intercorre tra la penetrazione dell’agente infettante nell’organismo
e la comparsa dei primi segni clinici della stessa
• portatore convalescente è il soggetto che, dopo la guarigione clinica, continua ad eliminare il microrganismo
agente causale dell’infezione. L’eliminazione è, in genere, limitata ad un periodo di tempo variabile tra pochi
giorni e qualche settimana
• portatore cronico è il soggetto che, dopo la guarigione clinica, elimina l’agente patogeno per un periodo di
tempo molto lungo, anche per tutta la vita. Il microrganismo si è localizzato in particolari siti anatomici, al
riparo dalla reazione immunitaria, dove si moltiplica e da dove raggiunge l’ambiente esterno con gli escreti.
Esempio - portatori cronici di Salmonella typhi nei quali il microrganismo spesso si localizza a livello della
colecisti o, più raramente, delle vie urinarie (situazione favorita dalla presenza di calcoli o di processi
infiammatori)
Il ruolo dei portatori, e dei portatori sani in particolare, è fondamentale per la circolazione degli agenti causali di molte
malattie infettive: sono sorgenti sconosciute, quindi non controllabili, di infezione che si muovono liberamente
all’interno di una popolazione diffondendo microrganismi.
•
L’eliminazione dei microrganismi avviene attraverso secrezioni o escrezioni con modalità diverse a seconda della
localizzazione del processo infettivo: via cutanea, genito-urinaria, intestinale, buccale, respiratoria. Le vie di
eliminazione possono essere più di una per la stessa infezione. Le due principali, per la frequenza con la quale
compaiono e per il tipo di infezione sono:
• via intestinale – con le feci vengono eliminati gli agenti eziologici delle infezioni che interessano l’apparato
digerente (tifo, salmonellosi, colera, parassitosi intestinale, poliomielite, ecc.)
• via respiratoria – attraverso secrezioni nasali, essudato faringeo, espettorato, vengono emessi gli agenti
eziologici delle infezioni delle vie respiratorie (polmonite, tubercolosi, influenza, pertosse, ecc.) e di altre
infezioni (malattie esantematiche, meningite cerebro-spinale, ecc.)
Le vie di penetrazione dei microrganismi sono:
• cute – la cute integra costituisce una barriera non facilmente superabile sia per la sua struttura che per il suo
pH acido (sudore e secrezioni sebacee). Lesioni anche minime o soluzioni di continuo agevolano il
superamento di questa barriera da parte dei microrganismi
• mucose – rappresentano una sorta di via preferenziale per la penetrazione dei microrganismi patogeni in un
organismo. Le mucose delle vie digerenti, respiratorie, genito-urinarie e la congiuntiva sono estremamente
vulnerabili. Piccole lesioni (traumi) o banali stati infiammatori le rendono più suscettibili alle infezioni. I
meccanismi di difesa delle mucose consistono, in genere, nell’azione antimicrobica di alcuni secreti (lisozima
contenuto nelle lacrime e saliva, e succo gastrico)
• placenta – attraverso di essa il microrganismo, e quindi l’infezione, passa direttamente dalla madre al feto. È
la via di penetrazione caratteristica di toxoplasma, listeria, virus della rosolia, virus citomegalico, virus
erpetico, ecc.
Le modalità di trasmissione delle malattie infettive dipendono dalla via di ingresso, obbligata o preferenziale, dei
microrganismi e dalla loro capacità di resistenza all’ambiente. Il passaggio dalla sorgente di infezione al soggetto sano
può avvenire attraverso due diverse modalità:
1. trasmissione diretta: malato o portatore → soggetto sano
2. trasmissione indiretta: malato o portatore → ambiente esterno → soggetto sano
21
TRASMISSIONE DIRETTA – Prevede un rapporto stretto tra sorgente di infezione e soggetto recettivo e può avvenire
per contatto e contagio. Può essere orizzontale (la malattia viene trasmessa da una sorgente di infezione ad un ospite
suscettibile) o verticale (la malattia viene trasmessa da una generazione all’altra attraverso l’infezione del feto).
• La trasmissione per contatto prevede un contatto fisico vero e proprio. È la modalità tipica delle infezioni
trasmesse sessualmente, gli agenti responsabili delle quali vengono rapidamente inattivati nell’ambiente
(passaggio diretto del microrganismo dalle mucose genitali del soggetto infetto a quelle del soggetto sano).
La trasmissione per contatto può avvenire anche tra animale e uomo, come nel caso della brucellosi (che può
essere trasmessa dall’animale al veterinario che interviene per un aborto ovino; trasmissione per via
cutaneo-mucosa in caso di lesioni della cute, della mucosa nasale o buccale) e della rabbia (in seguito ad
aggressione dell’uomo da animale infetto; introdotto con la saliva direttamente nella cute ferita)
• La trasmissione per contagio (trasmissione semi-diretta) interumano o rapporto di stretta vicinanza è tipica
delle infezioni respiratorie acute (influenza, raffreddore, ecc.) e di alcune malattie esantematiche (morbillo,
rosolia, ecc.). Gli agenti infettivi vengono espulsi dal soggetto infettato attraverso le goccioline (le particelle di
diametro superiore a 30 µm sedimentano per gravità; quelle di diametro compreso tra 30 e 10 µm sono
intercettate a livello delle vie aeree superiori; quelle comprese fra 5 e 10 µm si depositano preferibilmente
fra la faringe e la V/VI diramazione bronchiale; quelle di 1-5 µm raggiungono e si depositano a livello delle
diramazioni bronchiali più periferiche; quelle di diametro <1 µm tendono ad essere riespirate) che si
producono con fonazione, starnuti, tosse, e vengono inalate da coloro che si trovano nelle immediate
vicinanze (2-3 m nel caso di starnuto, 30-90 cm nel caso di tosse e fonazione) oppure penetrano
nell’organismo attraverso la congiuntiva.
TRASMISSIONE INDIRETTA – Il microrganismo, proveniente dalla sorgente di infezione, soggiorna, più o meno a
lungo, nell’ambiente esterno prima di raggiungere un organismo sano nel quale impiantarsi. La trasmissione indiretta
è supportata dall’intervento di elementi che consentono il passaggio dei microrganismi dall’ambiente al soggetto
sano: si parla di veicolo quando la trasmissione si compie tramite oggetti o substrati inerti o inanimati (aria, suolo,
acqua, alimenti, oggetti d’uso/fomiti); si parla di vettore quando la trasmissione avviene ad opera di organismi animati
(in genere insetti, artropodi) che dopo aver riassunto i microrganismi dalle sorgenti di infezione li portano, con
movimento proprio, a contatto con il soggetto sano.
Veicoli
•
•
•
Aria – le goccioline espulse dalle vie respiratorie possono essere veicolate dall’aria anche a distanza. Le più
piccole si essiccano rapidamente e restano in sospensione nell’aria come “nuclei delle goccioline” per lunghi
periodi e possono trasportare i microrganismi patogeni in esse contenuti, in stanze diverse dello stesso
appartamento o in piani diversi dello stesso stabile. Le goccioline di dimensioni maggiori si depositano
rapidamente, ma, dopo essiccamento, possono tornare volatili. Il rischio infettivo dipende dal numero di
microrganismi presenti nelle goccioline e dalla loro capacità di resistenza nell’ambiente
Acqua – è un veicolo di infezione molto importante per le malattie sostenute da microrganismi a bersaglio
enterico, che si trasmettono per via fecale-orale. I microrganismi patogeni eliminati con le feci, se arrivano a
contaminare l’acqua, possono arrivare alle mucose delle vie digerenti dell’ospite (colera, tifo, paratifo,
amebiasi, ecc.). L’acqua può veicolare anche microrganismi che provocano infezioni a livelli di cute,
congiuntive, mucose nasali, faringee e genitali, condotti uditivi, e che possono raggiungere queste sedi
durante la balneazione (congiuntivite da piscina, infezioni da piogeni e da microbatteri atipici, ecc.)
Alimenti – costituiscono un importante veicolo di microrganismi a bersaglio enterico. Ogni alimento può, in
teoria, veicolare qualsiasi tipo di microrganismo di natura batterica, virale, protozoaria perché preparato con
22
•
•
materie prime contaminate (contaminazioni primarie) o perché contaminato durante le fasi di preparazione,
manipolazione o conservazione (contaminazioni secondarie). In genere, però, l’infezione legata al consumo
di un alimento contaminato è funzione delle caratteristiche dell’alimento e di quelle del microrganismo
veicolato (latte e derivati veicolano spesso gli agenti eziologici di brucellosi, tubercolosi, listeriosi, ecc.; le
carni sono un importante veicolo di salmonelle; i frutti di mare hanno un importante ruolo nella trasmissione
di infezioni tifoidee, colera, epatite A). Gli alimenti possono costituire un substrato inerte per un
microrganismo (virus dell’Epatite A) o un substrato idoneo alla moltiplicazione dei batteri patogeni. Alcuni
alimenti come latte, crema, carni, ecc., a causa delle loro caratteristiche nutrizionali, favoriscono lo sviluppo
di diversi microrganismi quando esistono condizioni ambientali idonee. L’ingestione di alimenti
massivamente contaminati determina l’insorgenza delle forme morbose dette tossinfezioni alimentari.
Alimenti come mitili e ostriche, frutti di mare in genere, veicolano virus e batteri (HAV, Vibrio cholerae,
Salmonella spp., S. typhi) perché riflettono l’inquinamento dell’ambiente in cui vengono allevati o stabulati.
Il meccanismo di nutrizione dei molluschi bivalvi (filtrazione d 2-8 litri d’acqua/ora) determina la
concentrazione, nel loro apparato digerente, oltre che delle sostanze nutritive, anche degli eventuali
microrganismi contenuti nell’acqua in quantità estremamente basse e non sempre pericolose (ad eccezione
dei virus).
Suolo – contiene molti microrganismi patogeni di provenienza umana anche come conseguenza di un non
corretto smaltimento dei rifiuti. Le contaminazioni possono essere superficiali o interessare il terreno in
profondità con pericolo per la falda freatica. Riveste un ruolo importante nelle contaminazioni microbiche
delle acque e delle materie prime utilizzate per la produzione di alimenti e di mangimi. Un microrganismo
veicolato direttamente dal suolo è il Clostridium tetani (agente eziologico del tetano) le cui spore, spesso
presenti nel suolo, possono sopravvivere per lunghi periodi di tempo.
Oggetti d’uso – tutto ciò (stoviglie, oggetti vari, superfici, etc.) che viene a contatto con le sorgenti di
infezione e con i microrganismi che esse eliminano, può fungere da veicolo. Questo tipo di veicolo assume
un ruolo particolare in ambito sanitario: lo strumentario medico e chirurgico, se non opportunamente
sterilizzato o disinfettato, può veicolare microrganismi patogeni e patogeni opportunisti. Nella trasmissione
di alcune infezioni a ciclo fecale-orale (diarree virali, epatite A, shigellosi, etc.) hanno un ruolo importante la
biancheria e l’ambiente generale del bagno. Nell’ambito delle infezioni iatrogene il ruolo di veicolo viene
assunto da sangue ed emoderivati che possono contenere virus (HBV, HCV, HIV).
Vettori (organismi che trasmettono una malattia da un ospite ad un altro, come zanzare, acari, zecche, pulci e
pidocchi)
Molti insetti fungono da vettori di virus, batteri, protozoi. Alcuni compiono questa funzione occasionalmente e
passivamente e sono detti vettori meccanici o passivi. Esempio: la mosca comune attraverso le zampe, la proboscide,
il rigurgito, deposita sugli alimenti i microrganismi raccolti sostando su materiali contaminati (deiezioni di un soggetto
infetto). Altri, definiti vettori obbligati e di arricchimento, ospitano il microrganismo infettante nel loro organismo
dove esso si moltiplica e/o subisce importanti modificazioni. Senza il passaggio nell’organismo del vettore il
microrganismo infettante non è in grado di causare la malattia nell’uomo perché in una fase del suo ciclo di sviluppo
non infettante oppure numericamente insufficiente.
Le malattie trasmesse da vettori possono avere differente etiologia:
• Protozoaria (malaria, leishmaniosi, tripanosomiasi)
• Batterica (peste, febbre ricorrente, malattia di Lyme, Borrelia)
• Da Rickettsie (tifo esantematico – da pidocchio, febbre bottonosa – da zecca)
23
•
Virale (febbre gialla, altre infezioni da arbovirus)
Sono state le pulci a dare inizio alla terribile epidemia di peste che, nel XIV secolo, ha ucciso almeno un terzo della
popolazione europea. Tramite le pulci, il batterio Yersinia pestis era trasmesso dal ratto all’uomo, e a seguire tra esseri
umani. La peste non è completamente scomparsa, ma alcuni focolai isolati ancora esistono in zone di estrema povertà
in Africa e in Asia, e nel continente americano, limitatamente al sud ovest degli Stati Uniti, America centrale e in alcuni
stati del sud America.
La malaria è, invece, un esempio più attuale, che presenta 500 milioni nuovi casi clinici all’anno, soprattutto nei paesi
più poveri dell’Africa. È la seconda malattia infettiva al mondo per morbilità e mortalità dopo la tubercolosi. In Europa
e negli Stati Uniti le attività di prevenzione e di cura hanno sconfitto in modo sostanziale questa malattia circa 60 anni
fa (casi di malaria autoctona in Europa dal 1995 al 2007: Italia – 1 caso nel 1997; Francia – 1 caso nel 2006 in Corsica e
2 casi nel 2007; Germania – 2 casi nel 2001; Bielorussia – 2 casi nel 1998, 1 caso nel 1999 e 2 casi nel 2000; Moldavia –
2 casi nel 1996; Bulgaria – 11 casi nel 1995 e 7 casi nel 1996; Grecia – 4 casi nel 1994-5, 2 casi nel 1997-8 e 2 casi nel
2000). In Italia la malaria è stata eradicata alla fine degli anni ’40 del secolo scorso grazie alla cura dei malati (terapia
con il chinino), alla bonifica delle zone palustri, e all’impiego del diclorodietiltricloroetano (DDT) nella lotta al vettore,
la zanzara del genere Anopheles. La zanzara Anopheles labranchiae è ancora molto comune nel nostro Paese, cos’
come le altre specie potenziali vettori di malaria (altri culicidi zoofilici del complesso Anopheles maculipennis,
Anopheles superpictus), tuttavia le trasformazioni ecologiche e sanitarie intervenute ci proteggono da un possibile
ritorno di epidemie di malaria.
CICLO VITALE DELLA MALARIA
Le leishmanie sono trasmesse dalla puntura di ditteri ematofagi (pappataci femmine) dei generi Phlebotomus. I
serbatoi di infezione sono i roditori selvatici, i canidi e l’uomo.
Le filarie del cane sono endemiche in Italia e sono dovute a diversi agenti patogeni. Recentemente un gruppo di
ricercatori dell’ISS ha trovato zanzare tigre naturalmente infette con entrambe le filarie più importanti. Ciò vuol dire
che questa specie si è adattata benissimo nel nostro territorio e sta anche assumendo interesse sanitario.
24
Lo Zika-virus, della famiglia Flaviviridae, è un virus strettamente correlato a quelli che provocano la dengue, la febbre
gialla, ecc. Lo Zika-virus è trasmesso da numerose zanzare del genere Aedes (Aedes aegypti, Aedes albopictus). I
principali serbatoi sono i primati e alcuni grandi mammiferi (ippopotami, elefanti, leoni, ecc.). Se contratto da una
donna incinta nel primo trimestre, si ha trasmissione transplacentare al feto con effetto teratogeno.
LA PREVENZIONE DELLE MALATTIE INFETTIVE
La prevenzione ha lo scopo di impedire l’insorgenza e la progressione delle malattie nella popolazione. Nel caso delle
malattie infettive si riconosce essenzialmente una prevenzione di tipo primario. In pochi casi si può applicare una
prevenzione di tipo secondario. Soltanto in rari casi (es. poliomielite) è necessario intervenire con tecniche
riabilitative (prevenzione terziaria) per prevenire l’invalidità del soggetto colpito da infezione. La prevenzione primaria
delle malattie infettive ha come tre obiettivi principali:
Tali obiettivi vengono raggiunti con adeguati interventi a livello di:
• sorgenti di infezione – con lo scopo di inattivarle e impedire che da esse si diffondano i microrganismi
patogeni
• ambiente (intendendo per ambiente tutto ciò che può fare da tramite tra microrganismi e ospite) – con lo
scopo di ridurre al minimo le probabilità di incontro tra i microrganismi provenienti dalle sorgenti di infezione
ed i soggetti recettivi
• popolazione bersaglio dei microrganismi (individui sani e recettivi) – con lo scopo di proteggerli aumentando
la loro resistenza alle infezioni
25
INTERVENTI RIVOLTI AGLI ANIMALI
Riguardano l’individuazione ed abbattimento dei capi infetti per evitare che possano diffondere microrganismi
patogeni nell’ambiente, così come la sorveglianza veterinaria, che consiste nel controllo accurato degli animali, anche
utilizzando accertamenti di laboratorio, con lo scopo di impedire, negli allevamenti soprattutto, il diffondersi di
microrganismi. Un’adeguata sorveglianza veterinaria consente di individuare ed eliminare anche i serbatoi naturali.
Malattie infettive dovute ad animali:
• Febbre catarrale degli ovini o blue tongue
• Encefalopatie spongiformi trasmissibili bovine ed ovi-caprine
• Influenza aviare, salmonellosi e malattia di Newcastle negli allevamenti avicoli
• Malattia vescicolare, peste suina classica e malattia di Aujeszky negli allevamenti suini
• Altre malattie trasmesse da artropodi vettori fra cui la West Nile Disease e la leishmaniosi
• Malattie equine con particolare riguardo all'anemia infettiva equina
Per tutelare il consumatore è stato emanato il regolamento CE 1760/2000, relativo all’etichettatura delle carni
bovine e dei prodotti a base di carni bovine. Il sistema di etichettatura offre la possibilità di risalire dalle carni bovine
etichettate all'animale o agli animali di origine, garantendo quindi la tracciabilità della carne lungo tutta la filiera. Le
informazioni obbligatorie da riportare in etichetta sono: numero o codice di riferimento (che evidenzi il legame tra le
carni e l’animale), n° di approvazione e Paese del macello e n° di approvazione e Paese del laboratorio di
sezionamento (dal 01/09/2000), paese di nascita e paese di allevamento (dal 01/01/2002).
Sempre per la tutela del consumatore, in Italia, è stata emanata l’ Ordinanza Ministeriale del 26.08.2005 che introduce
il sistema di etichettatura obbligatorio delle carni avicole, di tutti i prodotti e preparazioni ottenuti dalle stesse.
La sicurezza delle carni commercializzate è attestata dall’apposizione sulle stesse del bollo sanitario che può essere
apposto direttamente o mediante etichetta sul prodotto, sulla confezione, sull’imballaggio oppure tramite una
targhetta o un sigillo in materiale resistente.
INTERVENTI RIVOLTI ALL’UOMO
Sul malato si effettua diagnosi, notifica, isolamento e terapia antibiotica.
Oltre che contribuire alla guarigione del soggetto, la terapia antibiotica
determina una riduzione del periodo di eliminazione dei microrganismi
patogeni.
La notifica consente di venire tempestivamente a conoscenza dei casi di malattie infettive che si verificano sul
territorio e di individuare rapidamente le sorgenti di infezione. Il medico che venga a conoscenza di un caso di
malattia infettiva o diffusiva, che rappresenti un potenziale pericolo per la salute pubblica, ha l’obbligo di notificarlo
all’Autorità Sanitaria ai sensi degli articoli 253 e 254 del Testo Unico delle Leggi Sanitarie del 1934 e del Decreto
Ministeriale 15 dicembre 1990 e s.m.i.
Definizione di caso (decisione Commissione CE 19/3/02) – Gli stati membri devono comunicare informazioni
sull’evoluzione epidemiologica e sulla comparsa di minacce per la salute pubblica dovute a malattie infettive allo
scopo di adottare le opportune misure preventive e di controllo a livello comunitario e nazionale. A partire dal 1
gennaio 2003 tali definizioni dei casi dovranno essere utilizzate per la segnalazione alla rete di sorveglianza
comunitaria. Salvo disposizioni contrarie, devono essere dichiarati solo i casi sintomatici; tuttavia le infezioni
asintomatiche devono essere considerati casi qualora l’infezione abbia conseguenze terapeutiche o sulla salute
pubblica. Un “caso con collegamento epidemiologico” è un caso che è stato esposto ad un caso confermato oppure
che ha avuto un’esposizione identica a quella di un caso confermato.
Il sistema adottato si articola su tre livelli:
• caso confermato – verificato da analisi di laboratorio
• caso probabile – quadro clinico chiaro, ovvero collegato epidemiologicamente a un caso confermato
• caso possibile – quadro clinicamente indicativo, ma non confermato o probabile
La procedura per la notifica delle malattie infettive fa riferimento al D.M. del 5.7.1975 e successivi aggiornamenti;
l’ultimo D.M. in materia è datato 15.12.1990 ed è entrato in vigore nell’aprile del 1991. Le malattie per cui esiste
l’obbligo di notifica sono 47, suddivise in 5 classi diverse a seconda della: importanza epidemiologica e sociale, gravità,
possibilità di intervento, interesse che rivestono sul piano nazionale ed internazionale.
Gli scopi della notifica sono la valutazione dell’andamento epidemiologico (inchiesta epidemiologica), la valutazione
di interventi preventivi e la scelta e attuazione di successivi interventi.
26
La notifica da l’avvio all’inchiesta epidemiologica che consente di ricostruire la catena di trasmissione che ha dato
origine al caso notificato e, molto spesso, di risalire alla sorgente di infezione, di individuare altri possibili casi di
malattia e di intervenire su di essi. Nel corso dell’inchiesta epidemiologica si accertano e rimuovono anche i fattori
ambientali che hanno favorito la diffusione del microrganismo patogeno, come nel caso delle infezioni trasmesse con
l’acqua (tifo, epatite A) e con gli alimenti (brucellosi, tossinfezioni alimentari). La notifica è quindi il punto di partenza
per tutta una serie di interventi preventivi (isolamento, contumacia, disinfezione, disinfestazione).
Nella circolare n°4 del 13 marzo 1998 del Ministero della Sanità sono riportate le malattie, raggruppate sulla base
della classe di notifica di cui al D.M. 15 dicembre 1990, per le quali sono applicabili misure di profilassi collettiva,
oltreché individuali. Ad ogni malattia è dedicata una scheda con le informazioni relative alla classificazione
Internazionale delle malattie (IX revisione), ai periodi di incubazione e contagiosità, ai provvedimenti da adottare nei
confronti dei malati, dei conviventi e dei contatti, nonché ad altre misure preventive, quando necessarie. Questi
provvedimenti possono includere: l’isolamento, la contumacia, la sorveglianza sanitaria.
L’isolamento è la separazione, per il periodo di effettiva contagiosità, delle persone infette, da tutte le altre persone
(ad eccezione del personale sanitario di assistenza), in ambiente e condizioni tali da evitare o limitare la trasmissione
diretta o indiretta dell’agente infettivo (Circolare del Ministero della Sanità n°4 del 13.3.98 “Misure di Profilassi per
esigenze di Sanità Pubblica”). Questa pratica non è applicabile a tutte le malattie infettive e allo stesso modo.
Per la maggior parte delle malattie infettive per le quali è previsto, si pratica un isolamento domiciliare (fiduciario o
coercitivo) che consiste nell’allontanamento del paziente da tutte le comunità che siano estranee all’ambito familiare
(scuola, ufficio, collegio, etc.). Si applica per malattie quali morbillo, parotite, pertosse, scarlattina, etc.
Nel caso di agenti altamente infettivi o particolarmente virulenti che possono essere trasmessi per via aerea o per
contatto diretto (difterite faringea, febbri emorragiche – Ebola, Marburg, Lassa – rabbia) è previsto un isolamento
stretto e cioè un isolamento fisico e funzionale del malato, in appositi reparti ospedalieri. È necessaria una stanza
separata (che però può accogliere soggetti con la stessa patologia: cohorting) con sistema di ventilazione a pressione
negativa e con almeno 12-14 ricambi orari dell’aria e filtrazione dell’aria in uscita, possibilmente provvista di
anticamera (zona filtro) e di porte con chiusura a tenuta. Il personale di assistenza che entra nella stanza deve usare
mezzi di barriera e indumenti protettivi.
In relazione al tipo di infezione distinguiamo diversi tipi di isolamento, applicati con diverse indicazioni operative.
• ISOLAMENTO DA CONTATTO – applicato in caso di infezioni che possono essere trasmesse per contatto
diretto o semidiretto. È indicata una stanza separata, nella quale possono essere ospitati pazienti con lo
stesso tipo di patologia. Per le persone che vengono in contatto con il paziente è indicato l’uso di guanti, e nel
caso di manipolazione di materiali contaminati, anche di indumenti protettivi quali i camici. È previsto per:
difterite cutanea, infezioni herpetiche (da Herpes simplex e zoster), rosolia, lebbra, scabbia, ulcere da
decubito infette, ascessi, ustioni
• ISOLAMENTO RESPIRATORIO – applicato per prevenire la trasmissione per via aerea a breve distanza.
Pazienti con la stessa patologia possono essere ospitati in una stessa stanza separata. E’ richiesto l’uso di
mascherine per tutti coloro che vengono in contatto con il paziente. Per pazienti con tubercolosi in fase
contagiosa è richiesto anche un sistema di ventilazione della stanza a pressione negativa e l’uso di maschere
dotate di respiratori per coloro che entrano nella stanza (FFP2S per attività normali. FFP3 per manovre ad
alto rischio di contaminazione. EN 149: 2001). È previsto per: difterite faringea, meningite meningococcica,
morbillo, parotite, pertosse, TBC polmonare
• ISOLAMENTO ENTERICO – applicato in caso di infezioni a trasmissione fecale-orale quali diarree acute,
epatite A, tifo addominale
• ISOLAMENTO PARENTERALE – applicato in caso di infezioni che possono essere trasmesse per contatto
diretto o indiretto con sangue e fluidi corporei infetti. È previsto per malattie quali AIDS, epatite B, epatite C
L’isolamento protettivo di pazienti immunocompromessi è una misura di prevenzione delle infezioni veicolate dall’aria
in soggetti ustionati gravi, affetti da neoplasie o da AIDS, sottoposti a terapie steroidee, radianti, antiblastiche, etc.
Sono stati proposti due sistemi di protezione:
• isolamento protettivo – consiste nel ricovero in stanza singola e nella utilizzazione di barriere (camici,
mascherine, etc.) da parte del personale sanitario, dei familiari e di chiunque sia autorizzato ad entrare nella
stanza
• ambiente protetto totale – consiste nell’isolamento in stanza dotata di sistema di ventilazione a pressione
positiva con filtri HEPA (High Efficiency Particulate Air) e prevede l’adozione di precauzioni e misure di
barriera (camici sterili, guanti, maschere, lavaggio e disinfezione delle mani). Si adotta per proteggere dalle
27
infezioni i pazienti leucemici profondamente neutropenici e quelli con anemia aplastica sottoposti a trapianto
di midollo
Per conviventi e contatti si applicano contumacia, sorveglianza sanitaria e sorveglianza clinica.
Per certe malattie infettive (colera, febbre tifoide, paratifo, difterite, etc.) gli interventi preventivi vengono estesi
anche a contatti e conviventi. Secondo la Circolare n°4 del Ministero della Salute del 13.3.98 riguardante “Misure di
Profilassi per esigenze di Sanità Pubblica”:
• contatto (in senso lato) è una persona (o un animale) che, in seguito ad una qualsiasi associazione con una
persona (o animale) infetta, possa aver avuto la possibilità di infettarsi
• contatti stretti sono le persone che frequentano regolarmente (ogni giorno) il domicilio del paziente, o
partner sessuali, i compagni di classe, i colleghi di lavoro che condividono la stanza, gli operatori sanitari
esposti
• conviventi sono tutte le persone che condividono l’abitazione con il soggetto infetto
La sorveglianza sanitaria consiste nel sottoporre queste persone, da parte dell’Autorità Sanitaria, a controlli
obbligatori per un periodo di tempo pari al periodo di incubazione della malattia. Durante tale periodo questi soggetti
non hanno limitazioni di movimenti. Si applica nel caso di: epatite B, febbre tifoide, legionellosi, meningite
meningococcica, tubercolosi, etc.
La sorveglianza clinica consiste nella ricerca giornaliera di segni e sintomi riferibili alla malattia. Si applica nel caso di:
difterite, poliomielite, lebbra, etc.
La contumacia o quarantena prevede l’isolamento o limitazione dei movimenti per un periodo di tempo della durata
del periodo di incubazione della malattia, che scatta solo nel caso di malattie molto particolari come le febbri
emorragiche virali (nel caso che contatti o conviventi presentino una temperatura > 38°C). Nel caso di febbre tifoide i
contatti vengono allontanati da attività che prevedono la manipolazione di alimenti.
Per il portatore, identificato con accertamento di laboratorio, sono previsti come interventi di prevenzione:
• Bonifica mediante farmaci (antibiotici – chemioprofilassi)
• Isolamento o allontanamento da comunità o da particolari attività che possono favorire la diffusione degli
agenti patogeni (es. manipolazione degli alimenti – salmonelle)
• Informazione sanitaria che permetta al portatore di acquisire comportamenti corretti e razionali tali da
eliminare o ridurre al minimo la possibilità di contagiare altri soggetti
PRECAUZIONI STANDARD PER IL PERSONALE SANITARIO (C.M. n°4 del 13.3.98)
Si tratta delle precauzioni igieniche che devono essere applicate nell’assistenza di tutti i pazienti, indipendentemente
dal fatto che siano infetti o colonizzati, quando è previsto il contatto con sangue, liquidi biologici, mucose, cute non
integra. Si basano essenzialmente sull’uso di barriere: guanti, camici, grembiuli, mascherine, occhiali protettivi,
schermi facciali.
Le mani del personale sanitario sono il veicolo più frequentemente implicato
nella trasmissione dei patogeni nosocomiali. La flora microbica delle mani è
costituita da microrganismi residenti, ovvero microrganismi abituali presenti
sulla superficie dell’organismo e che non sono causa di malattia per l’organismo
stesso, e da microrganismi transitori, cioè microrganismi acquisiti durante il
contatto con pazienti o con secrezioni contaminate e possono essere patogeni,
ma possono essere facilmente rimossi con il lavaggio di routine.
28
L’OMS ha rilasciato delle linee guida che indicano di lavarsi le mani:
• prima del contatto con il paziente (es: gesti di cortesia e di confort, contatto diretto, visita clinica), per
proteggere il paziente da germi patogeni, includi quelli appartenenti al paziente stesso
• dopo il contatto con il paziente (es: gesti di cortesia e di confort, contatto diretto, visita clinica), per
proteggere se stessi e l’ambiente sanitario da germi patogeni
• dopo il contatto con i liquidi biologici (es: contatto con membrane mucose, contatto con cute non integra,
contatto con presidi medici o con campioni clinici, operazioni di pulizia), per proteggere se stessi e l’ambiente
sanitario da germi patogeni
• prima di una manovra asettica (es: contatto con membrane mucose, contatto con cute non integra, contatto
con presidi medici), per proteggere il paziente dai germi patogeni presenti sulle tue mani
• dopo il contatto con l’ambiente circostante (es: cambiare le lenzuola, modificare la velocità di infusione,
monitorare un allarme, regolare una sponda del letto, pulire il comodino), per proteggere se stessi e
l’ambiente sanitario da germi patogeni
Il lavaggio sociale deve avvenire prima e dopo il contatto con pazienti/utenti; dopo il contatto con sangue, fluidi
corporei, secrezioni ed escrezioni; durante l’assistenza allo stesso paziente; quando si passa da una zona contaminata
ad una zona pulita; dopo il contatto con oggetti inanimati posti nelle immediate vicinanze del paziente; dopo la
rimozione dei guanti; prima della preparazione e somministrazione del cibo; dopo aver usato il bagno o dopo il cambio
del pannolino; tutte le volte che si avverte la sensazione di avere le mani sporche o quando visibilmente sporche.
Il lavaggio antisettico, invece, si compie prima di eseguire qualsiasi procedura invasiva (ad esempio, inserimento del
catetere vescicale); dopo il contatto con liquidi biologici.
Il sapone normale, frizionato bene ed in presenza di acqua abbondante, è efficace nel rimuovere la maggior parte dei
microrganismi. È raccomandabile nel lavaggio di routine/sociale delle mani.
Il sapone antisettico rimuove i microrganismi nella stessa maniera del sapone normale, ma in più inattiva i
microrganismi che restano dopo il lavaggio delle mani. È raccomandato per il lavaggio che precede le procedure
chirurgiche e cliniche nelle quali è molto importante ridurre la carica batterica al minimo possibile.
Le soluzioni antisettiche in gel si usano quando le mani non sono visibilmente sporche; in caso di contaminazione con
materiale organico, dopo il lavaggio delle mani con normale sapone; durante l’assistenza allo stesso paziente quando
si passa da un’area contaminata ad una pulita; quando il lavaggio delle mani non è possibile.
Modalità di lavaggio delle mani
1. Bagnare le mani con l’acqua
2. Applicare il sapone sulle mani (3-5 ml)
3. Strofinare energicamente
4. Risciacquare bene (> 5 sec)
5. Asciugare con salviette di carta
Le misure di protezione (guanti, maschere, camici, occhiali e visiere) si indossano per proteggersi da potenziali
infezioni trasmesse con il sangue ed i liquidi biologici (urine, vomito, liquido pleurico, ecc.)
I guanti (da preferire quelli in nitrile rispetto a quelli in lattice) vanno indossati quando si prevede un contatto con
sangue, liquidi organici, secrezioni, escrezioni, mucose e cute non integra; prima del contatto con pazienti colonizzati
o infetti da microrganismi trasmissibili per contatto; per la pulizia dell’ambiente e per la manipolazione di dispositivi
potenzialmente contaminati.
I guanti devono essere sostituiti in seguito a rottura, lacerazione o puntura; durante procedure effettuate sullo stesso
paziente, quando si passa da una zona contaminata a una pulita; dopo il contatto con materiale contaminato; tra un
paziente e l’altro.
Nuove evidenze confermano la necessità di decontaminare le mani dopo l’uso dei guanti, che devono essere smaltiti
immediatamente per evitare la contaminazione ambientale.
Per quanto riguarda maschere e occhiali, è possibile ricorrere a mascherine e occhiali in combinazione, a schermi
faciali che coprono interamente la faccia e la fronte, o a maschere con visiere per occhi. Le maschere FFP1 hanno
bassa efficienza, mentre le maschere FFP2, in grado di filtrare particelle inferiori ai 5 micron, hanno media efficienza,
le maschere FFP3, infine, hanno alta efficienza nella protezione degli operatori da polvere e agenti infettivi.
I limiti e problematiche legati ai respiratori facciali riguardano la durata della protezione (compresa tra 3 e 8 ore); la
tolleranza, che difficilmente è superiore a qualche ora; la necessità di sostituirli se inumiditi, contaminati o mal
posizionati; la formazione degli operatori.
29
Il degente deve essere collocato, possibilmente, in camera singola o in coorte dotata di servizi igienici.
La camera singola è necessaria quando il paziente-fonte è infetto da microrganismi altamente trasmissibili o
epidemiologicamente importanti, e non è in grado di mantenere un livello igienico adeguato (può potenzialmente
contaminare l’ambiente) e non è in grado di osservare le misure di controllo delle infezioni (ad esempio, bambini
piccoli e persone con stato mentale alterato).
Quando la camera singola non è disponibile, il paziente infetto va collocato in coorte di pazienti, dove più degenti con
la stessa patologia condividono la stessa stanza.
Se non è disponibile una stanza singola e la coorte non è ottenibile, è necessario considerare l’epidemiologia, il modo
di trasmissione del patogeno infettante e la popolazione dei pazienti da assistere.
È importante istruire il malato sulle norme igieniche da osservare per prevenire la diffusione di microrganismi ad altri
degenti o all’ambiente (educazione sanitaria). In particolare, quando un paziente presenta segni e sintomi di infezione
respiratoria (igiene respiratoria/cough etiquette), deve essere educato a:
• porre un fazzoletto davanti alla bocca mentre starnutisce o tossisce
• smaltire il fazzoletto nei contenitori per rifiuti
• lavarsi le mani subito dopo il contatto con le secrezioni
Bisogna disinfettare/sterilizzare i dispositivi e le attrezzature venute a contatto con i pazienti, prima di riutilizzarle su
un altro paziente. Inoltre, in aggiunta ad un’accurata detersione, è indicata un’adeguata disinfezione dell’unità del
paziente e delle superfici ambientali della stanza di isolamento ad alto contatto con le mani.
INTERVENTI DI PREVENZIONE RIVOLTI AI VEICOLI
La sterilizzazione è un processo fisico o chimico che determina la eliminazione di tutte le forme viventi (microrganismi
patogeni e no, comprese le spore): questa pratica rende privi di microrganismi gli oggetti e i materiali ai quali viene
applicata (definizione dell’OMS).
La disinfezione è l’eliminazione di microrganismi patogeni (che causano malattia) presenti o presumibilmente presenti
in ambienti, su oggetti e materiali, in modo da impedirne la diffusione e il contatto con soggetti recettivi nei quali
potrebbero causare infezione.
In medicina e chirurgia, la sterilizzazione ha lo scopo di evitare di introdurre microrganismi all’interno di tessuti o
organi (aghi, siringhe, guanti, ferri chirurgici, etc.). In questo ambito anche microrganismi non patogeni (patogeni
opportunisti) possono causare infezione se raggiungono sedi normalmente sterili oppure se vengono in contatto con
soggetti particolarmente sensibili (traumatizzati, immunocompromessi, trapiantati, etc.). In campo alimentare,
30
invece, viene applicata per impedire che la presenza di microrganismi patogeni renda alcuni alimenti pericolosi per il
consumatore; per conservare, cioè impedire che microrganismi ambientali provochino un’alterazione degli alimenti e
li rendano non più commestibili, alterandone i caratteri organolettici.
Il concetto di sterilità deve oggi essere definito su base statistica. La norma UNI (Ente Italiano di Unificazione) EN
(Norma Europea) 556/02, ai sensi della Direttiva CE 93/42, recepita in Italia con D.L. n°46 del 24 febbraio 1997,
concernente i dispositivi medici stabilisce che: “il livello di sicurezza di sterilità (Sterility Assurance Level) deve
-6
corrispondere alla probabilità inferiore a 1 su un milione (S.A.L.<10 ) di trovare un microrganismo vivo all’interno di
un lotto di sterilizzazione” (il lotto è sterile quando un solo oggetto su un milione è contaminato)”. L’UNI EN 14937/02
definisce la sterilizzazione come un processo validato utilizzato per rendere un prodotto privo di microorganismi vitali.
Un dispositivo medico è un qualsiasi strumento, apparecchio, impianto, sostanza o altro prodotto, utilizzato da solo o
in combinazione, compreso il software informatico impiegato per il corretto funzionamento e destinato dal
fabbricante ad essere impiegato nell'uomo a scopo di diagnosi, prevenzione, controllo, terapia o attenuazione di una
malattia o di una ferita o di un handicap. L’ospedale viene definito come responsabile di tutte le fasi di sterilizzazione
di dispositivi medici.
Fasi del processo di sterilizzazione
• Raccolta del materiale da sterilizzare
• Pulizia (decontaminazione con detergente enzimatico e/o disinfettante, lavaggio manuale o automatico con
detergente enzimatico neutro, risciacquo con acqua corrente e demineralizzata, asciugatura)
• Controllo manutenzione
• Selezione del metodo di sterilizzazione
• Confezionamento del materiale (tipo di carta: UNI EN 867, UNI 868. Containers)
• Sterilizzazione
• Stoccaggio: (30 giorni in carta medical grade; 60 giorni in carta kraft-polietilene)
Lo strumentario, dopo l’utilizzo, deve essere decontaminato in soluzione disinfettante di riconosciuta efficacia contro
l’HIV, come richiesto dal D.M. del 28/09/90 «Protezione degli operatori dal rischio di contagio».
Nella fase di allestimento della soluzione disinfettante bisogna attenersi alle indicazioni del produttore, mentre la
durata della fase di immersione dipende dalle caratteristiche della soluzione impiegata. La soluzione decontaminante
deve essere smaltita secondo le indicazioni della vigente normativa.
Nella sterilizzazione con calore, il calore agisce sui microrganismi mediante processi di ossidazione e denaturazione
delle proteine enzimatiche.
Le varie specie microbiche presentano una diversa resistenza al calore: i virus lipofili, i batteri in forma vegetativa (in
fase logaritmica), i miceti e i protozoi sono molto sensibili al calore. Le spore sono invece termoresistenti, in
particolare quelle dei batteri ambientali e dei batteri termofili.
La sensibilità dei microorganismi dipendente dalla struttura delle macromolecole (un maggiore numero legami ad alta
energia equivale ad una maggiore resistenza; i virus nudi hanno maggiore energia e quindi resistenza di quelli con
pericapside e le spore, grazie ai numerosi legami S-S, hanno un’elevata resistenza). Le spore di Bacillus
stearothermophilus vengono utilizzate come indicatori biologici per verificare l’efficacia dei processi di sterilizzazione.
31
STERILIZZAZIONE CON CALORE SECCO
• L’incenerimento o combustione diretta è un procedimento distruttivo che viene applicato solo per materiali
"a perdere" (ambiente ospedaliero) e nella prevenzione della diffusione di epidemie. I materiali da incenerire
vengono affidati a ditte specializzate che provvedono al trasporto a inceneritori controllati. Usata per oggetti
contaminati, quali bendaggi, carcasse di animali infetti e rifiuti classificati a rischio infettivo.
• Il flambaggio o arroventamento consiste nell’esposizione alla fiamma prodotta da un becco bunsen per la
sterilizzazione delle anse e delle spatole (semina campioni microbiologici): la fiamma crea un cono di sterilità
che permette il lavoro in asepsi.
• Per la sterilizzazione con aria calda si usano le stufe a secco dette forni di Pasteur, contenitori metallici con
sportelli, a doppia parete, all’interno dei quali si raggiungono temperature molto elevate attraverso un
sistema di resistenze e di ventilazione forzata. A causa della bassa conducibilità termica dell’aria e dello
scarso potere di penetrazione del calore secco, questa forma di sterilizzazione richiede il raggiungimento di
temperature elevate e tempi di contatto lunghi: 160°C per almeno 2 ore, 170°C per almeno 1 ora, 180°C per
almeno 30 minuti. La scelta del ciclo di sterilizzazione è condizionata dalla natura del materiale da trattare e
dalla sua resistenza al calore. L’aria calda è indicata per sterilizzare vetreria, aghi, oggetti metallici e materiali
impermeabili al vapore acqueo, nei quali il calore secco ha un elevato potere di penetrazione e cioè oli,
grassi. Polveri anidre che non possono essere sterilizzate con il vapore. Non deve essere mai usata per
oggetti con parti in plastica termosensibile o gomma, tessili, soluzioni acquose, materiali smaltati. I vantaggi
di questo metodo sono l’economicità, la facilità di esecuzione, la non ossidazione dei metalli, l’efficacia del
calore anche attraverso contenitori chiusi; gli svantaggi, invece, sono i tempi molto lunghi, il deterioramento
delle saldature e delle estremità dei taglienti.
STERILIZZAZIONE CON CALORE UMIDO
• Nella sterilizzazione con acqua bollente, l’ebollizione praticata a 85-90°C per 10-15 minuti è in grado di
distruggere tutte le forme vegetative dei batteri, ma non le spore o alcuni virus come HBV (almeno 20
minuti), per i quali i tempi devono essere notevolmente prolungati. Per aumentare il potere sterilizzate
dell’acqua bollente è possibile addizionarla di carbonato di sodio al 2% che, oltre ad innalzare il punto di
ebollizione dell’acqua, ha una certa azione disinfettante. La bollitura si può praticare riscaldando
direttamente i materiali liquidi, oppure immergendo gli oggetti da sterilizzare in acqua. Questa pratica va
utilizzata soltanto in condizioni di emergenza, poiché l’efficacia non è totale.
• Nella tecnica a vapore fluente si utilizza una caldaia cilindrica, detta "pentola di Koch", nella quale si pone sul
fondo l'acqua e, al di sopra, un ripiano forato sul quale si dispongono i materiali da sterilizzare. Il vapore
ottenuto dall'ebollizione (100°C) salendo verso l'alto viene così a contatto con gli oggetti e fuoriesce poi da un
foro praticato nel coperchio. Anche in questo caso, l’efficacia non è totale.
• La sterilizzazione frazionata o Tindalizzazione (da John Tyndall, 1820-1893) utilizza temperature minori o
uguali a 100°C e si applica ai liquidi che risentono della sterilizzazione ad alte temperature. I materiali da
sterilizzare vengono portati alla temperatura di 80°C-100°C per 30-60min per 3 giorni consecutivi. Durante
l’intervallo, incubazione a 30-35°C per consentire la germinazione delle spore, uccise poi dal successivo
trattamento termico.
• Il vapore saturo sotto pressione costituisce il miglior metodo di sterilizzazione tramite calore perché
l’aumento di pressione consente di raggiungere temperature superiori ai 100°C in grado di distruggere tutte
le forme viventi, incluse le spore. Il vapore sotto pressione attraversa gli imballaggi, penetra in tutte le cavità
degli oggetti da sterilizzare, venendo così in contatto con i microrganismi, che sono più sensibili in ambiente
umido (alta aw). Il vapore cede il calore latente di condensazione (1 grammo di vapore acqueo che condensa
libera una quantità di calore pari a 600 calorie (2500 joule). Per la sterilizzazione con vapore saturo sotto
pressione si utilizza un apparecchio a tenuta che prende il nome di autoclave, costituito da una camera
metallica, con pareti e fondo in acciaio capaci di resistere a pressioni elevate, e da un coperchio, anch’esso in
acciaio, a tenuta ermetica. L’autoclave è corredata, oltre che di valvole di sicurezza, di un manometro e di un
termometro, che indicano costantemente i valori di
pressione e di temperatura all’interno. L’acqua, portata ad
ebollizione tramite resistenze, produce vapore che fluisce
nella camera di sterilizzazione dove si trova il materiale, si
sostituisce all’aria e satura l’ambiente. Le fasi di questo
processo sono: 1) rimozione di aria dalla camera; 2)
saturazione della camera con vapore; 3) raggiungimento
della temperatura desiderata; 4) sterilizzazione; 5)
rimozione del vapore.
32
Gli apparecchi attuali sono automatici: caricati e impostati per quanto concerne temperatura, pressione e
tempo di sterilizzazione, compiono il ciclo senza alcun intervento esterno e sono provvisti di tutti i dispositivi
necessari per il controllo costante di questi tre parametri. Alcuni sono provvisti di un dispositivo per la
stampa delle caratteristiche del processo di sterilizzazione in corso con indicazione del numero di serie
dell’autoclave, data, ora, numero del lotto, descrizione e dati fase per fase del programma selezionato, etc.
Con il vapore saturo sotto pressione si sterilizzano: vetreria, strumenti chirurgici metallici, materiali da
medicazione, biancheria, strumenti con parti in gomma, guanti e drenaggi di gomma, terreni di coltura,
plastiche termoresistenti, etc. Non si utilizza per sterilizzare oli, grassi e polveri (impermeabili al vapore),
strumentario endoscopico termosensibile, materiali termosensibili in genere. Il tempo di sterilizzazione viene
calcolato in funzione della temperatura raggiunta che, a sua volta è funzione della pressione applicata al
vapore. I fattori che influenzano la sterilizzazione con vapore saturo sotto pressione sono la pressione
(aumenta il punto di ebollizione dell’acqua determinando l’aumento proporzionale della temperatura del
vapore), la temperatura (raggiunge valori sufficienti a garantire la distruzione dei microrganismi (anche in
forma sporale); il suo aumento è direttamente proporzionale all’aumento di pressione), il tempo di
esposizione (è inversamente proporzionale alla temperatura) e l’umidità (per un efficace processo di
sterilizzazione il vapore deve essere saturo, l’umidità relativa deve cioè essere del 100%). I vantaggi di questo
tipo di sterilizzazione sono rappresentati dall’efficacia e rapidità del processo, dalla facilità dei controlli, dalla
non tossicità e dall’economicità, mentre gli svantaggi sono il non essere utilizzabile per materiali termolabili,
il causare l’alterazione nel tempo del filo dei taglienti e il non penetrare del calore attraverso contenitori
chiusi.
STERILIZZAZIONE MEDIANTE RADIAZIONI
L’energia liberata dalle radiazioni è in grado di alterare la funzionalità delle macromolecole fondamentali. Si possono
utilizzare radiazioni non ionizzanti (es. Raggi UV, Microonde) e radiazioni ionizzanti (Raggi X, Raggi γ).
• I raggi UV (frazione UV-C; λ=200-280nm), prodotta da lampade a vapori di mercurio rarefatti, danneggiano in
modo irreversibile il DNA. Hanno azione germicida e virucida, uno scarso potere di penetrazione (rifrazione e
diffrazione) e un massimo rendimento a 20°. Sono attivi su M. tubercolosis e
sono utili per il controllo della contaminazione aria, piani d’appoggio. La loro
attività è limitata a superfici direttamente esposte e a breve distanza dalla fonte
(controllo sterilità cappe). Possono essere prodotti da lampade in quarzo,
contenenti mercurio elementare e un gas inerte (argon) che hanno UV-C 254nm
ed emissione continua, oppure da lampade a gas Xenon (PX-UV), con ampio
spettro di radiazioni UV-C (100-280nm) e radiazioni dello spettro visibile (380700nm), emissione pulsata ed elevata intensità. I vantaggi di questo metodo
sono: sistemi automatizzati mobili di facile collocazione, non richiedono
modifiche alla ventilazione del locale, non lasciano residui dopo il trattamento,
hanno ampio spettro di azione e tempi di esposizione rapidi, non inducono
resistenza; gli svantaggi: non penetrano plastica, vetro, superfici porose (ad
esempio lenzuola, tende), l’esposizione deve essere diretta o riflessa (più cicli in
luoghi diversi del locale), l’efficacia decade con la distanza, la compatibilità con i materiali deve essere
valutata, variazioni di temperatura e umidità e l’età del bulbo possono influenzare la dose emessa e/o
aumentare il tempo di esposizione richiesto. L’azione dei raggi UV viene inibita dalla presenza di polveri.
Poiché i raggi UV hanno azione lesiva su cute e mucose, è necessario evitare la presenza di persone durante il
funzionamento delle lampade germicide, oppure provvederli di opportuni schermi. Le radiazioni UV vengono
utilizzate anche nel settore alimentare (aree di confezionamento, locali di refrigerazione, celle frigorifere) e in
quello di imbottigliamento delle acque minerali per prevenire le contaminazioni aero-trasportate.
60
• I raggi 𝛄 sono radiazioni ionizzanti prodotte dal decadimento di nuclei radioattivi, generalmente il Co.
Hanno un alto potere di penetrazione (alterazione del DNA cellulare) e non inducono radioattività sui
33
•
materiali trattati. Questa procedura, effettuata solo in particolari strutture,
viene utilizzata per la sterilizzazione di materiale termosensibile monouso
(siringhe, cateteri, fili di sutura, ecc.) già confezionato, e di prodotti
farmaceutici (antibiotici, steroidi, disinfettanti). A causa dei problemi
relativi alla loro pericolosità e alla necessità di impianti molto costosi
(acceleratori di elettroni) l’utilizzo di queste radiazioni è solo di tipo
industriale. La irradiazione con raggi g si può utilizzare anche in campo
alimentare. Attualmente si utilizza per patate, cipolle, aglio, allo scopo di
inibire il germogliamento e prolungarne la conservazione. Le carni ad
elevato contenuto di grasso possono sviluppare odori sgradevoli; l'albume d'uovo può diventare lattescente e
liquido; le ostriche irradiate possono morire e questo accorcia sostanzialmente la loro vita commerciale.
I raggi 𝛃 sono elettroni accelerati ad alta velocità mediante microonde all'interno di una cavità sottovuoto,
per mezzo di magneti. Sono meno penetranti dei raggi gamma e sono deviati facilmente dagli atomi urtati.
Vengono utilizzati per prodotti biomedicali (dispositivi medici, come le tettarelle dei biberon), poiché di
piccole dimensioni (basso potere penetrante) e per la conservazione di alimenti e sterilizzazione dei loro
contenitori (per i quali l’UE vieta l’uso dell’ossido di etilene, consentito solo per i biberon dei reparti di
neonatologia, per neonati prematuri o con gravi patologie). La sorgente, al contrario dei raggi gamma, non è
radioattiva. I vantaggi di questa sterilizzazione sono: può essere utilizzata in presenza del paziente/operatore
2
ai livelli di irradiazione raccomandati (150-2000 J/m ), azione intracellulare con attivazione dello stress
ossidativo (anche nei confronti delle spore), non induce resistenza, l’efficacia non decade con la distanza,
elevata compatibilità con i materiali, può penetrare la plastica, il vetro e i tessuti.
STERILIZZAZIONE PER FILTRAZIONE
Questo processo si usa per sostanze termolabili in fase liquide o gassosa. Il filtro presenta una porosità che permette
di trattenere i microorganismi di dimensione superiore a 0,2μm, ma non consente di eliminare i virus. Spesso vengono
usate batterie filtranti a porosità decrescente.
Per la filtrazione assoluta dell’aria, si hanno due tipologie di filtri: i Filtri Assoluti HEPA, detti comunemente HEPA
Filters, che possono arrivare fino a 0,3 micron, e i Filtri Assoluti ULPA, detti comunemente ULPA Filters, che possono
arrivare fino a 0,12 micron.
STERILIZZAZIONE CON MEZZI CHIMICI
• Nella sterilizzazione con ossido di etilene i microrganismi vengono uccisi per il blocco di tutte le attività
enzimatiche e per demolizione delle proteine e dei componenti della membrana cellulare. L’ossido di etilene
è un gas incolore, molto diffusibile, solubile in acqua e nei comuni solventi organici, ha azione battericida
molto elevata. È esplosivo e infiammabile se miscelato con aria a concentrazioni superiori al 3,6%. È irritante
per la cute e le mucose, tossico e sperimentalmente mutageno e cancerogeno; per questa ragione il suo
utilizzo è regolamentato dal Ministero della Salute. Per ridurre la tossicità e il pericolo di esplosione viene
impiegato addizionato di CO2 al 90%. La sua attività dipende dalla concentrazione, dal tempo di esposizione,
dalla temperatura e dall’umidità. Viene utilizzato in apposite apparecchiature ermetiche installate in locali
adibiti esclusivamente a tale impiego, da personale altamente specializzato. L’efficacia della sterilizzazione
con ossido di etilene è dovuta alla sua elevata capacità di penetrazione. La elevata capacità di penetrazione
dell’ossido di etilene determina un assorbimento da parte del materiale sottoposto a sterilizzazione (ad
eccezione del metallo). Per questo motivo, dopo il trattamento, occorre procedere alla aerazione del
materiale sterilizzato con ventilazione forzata di aria sterile a 50-60°C allo scopo di evitare fenomeni tossici
ed irritativi dovuti a residui di gas nei materiali. I tempi di aerazione previsti sono: 4-8 ore per materiali che
34
•
•
vengono a contatto con la cute, 72 ore per materiali che vengono a contatto con le mucose, 6 giorni per uso
endovasale (es: catetere cardiaco). Questo tipo di sterilizzazione si utilizza per oggetti e materiali che non
tollerano temperature superiori a 60°C: oggetti in plastica e gomma, incubatrici, macchinari per emodialisi,
cateteri in PVC, tubi e guanti in caucciù, fibre ottiche, endoscopi, protesi, etc. Un’adeguata sterilizzazione
prevede: concentrazione di ossido di etilene di 800 – 1200 mg/l; temperatura intorno a 60°C (sterilizzazione
“a caldo” – esiste anche una sterilizzazione “a freddo” che prevede temperature di 30°C); umidità relativa
compresa tra il 20 e il 70%; tempo di sterilizzazione di circa 4 ore (da 3 a 6 ore).
L’aldeide glutarica è un disinfettante che può essere usato come sterilizzante chimico al 2-10% in soluzione
alcalina per tempi di contatto di 2 ore. Agisce a livello delle proteine microbiche ed ha azione germicida ad
elevato potenziale con effetto anche sporicida, fungicida e virucida. Veniva ampiamente usato come
sterilizzante liquido a freddo per materiali medico chirurgici sensibili al calore: endoscopi a fibre ottiche,
mastici, fibroscopi, tubi di aspirazione, etc. A causa della sua pericolosità l’utilizzo è limitato.
La sterilizzazione con gas plasma di perossido di idrogeno è un sistema alternativo abbastanza diffuso che ha
sostituito l’ossido di etilene. Il perossido di idrogeno viene vaporizzato e diffuso sottovuoto nella camera di
sterilizzazione. Già durante questa fase il perossido di idrogeno, noto biocida, può esercitare effetti letali sui
microrganismi; la sterilizzazione vera e propria si ha però in seguito all’applicazione di energia sotto forma di
campo elettrico, radiofrequenza, o microonde, che determina la produzione di plasma. Il gas plasma (o gas
ionizzato) è lo stato della materia gassosa nel quale la maggior parte degli atomi e delle molecole è presente
in ioni caricati positivamente o negativamente, e che si ottiene quando il gas si trova a temperature
elevatissime oppure viene sottoposto a potenti scariche elettriche o campi magnetici. In questa forma il
perossido di idrogeno reagisce con i microrganismi distruggendone le funzioni vitali. La temperatura di
questo sistema non supera i 45°C. Una volta interrotta l’erogazione di energia il plasma si trasforma in vapore
acqueo ed ossigeno. I vantaggi di questo sistema: non sono necessarie molte precauzioni; non sono necessari
requisiti particolari per la ventilazione; non si producono residui tossici a fine ciclo, ma solo vapore acqueo e
ossigeno; non è necessario che gli operatori utilizzino indumenti particolari, guanti o maschere protettive; si
ha una notevole riduzione del ciclo di sterilizzazione (54 minuti o 72 minuti) e un conseguente miglioramento
nella rotazione delle scorte.
La convalida del processo di sterilizzazione fa riferimento alle norme UNI EN 556-1: 2002, EN ISO 14160, EN ISO 1493,
UNI EN ISO 17664: 2005 (dispositivi medici) e consiste nel:
• L’accettazione in servizio è la procedura per ottenere e documentare l’evidenza che l’apparecchiatura è stata
fornita ed istallata in conformità alle specifiche e che funziona entro limiti predeterminati quando viene
utilizzata in conformità alle istruzioni di impiego (taratura)
• La quantificazione di prestazione è la procedura volta ad ottenere e documentare l’evidenza che
l’apparecchiatura, così come accettata in servizio, sarà in grado di fornire un prodotto accettabile quando
verrà utilizzata in conformità alle specifiche di processo. È prevista una quantificazione fisica volta a verificare
la riproducibilità dei parametri necessari alla sterilizzazione in ogni ciclo, effettuata mediante controlli fisici o
mediante l’utilizzo di indicatori chimici, e una quantificazione microbiologica, mediante l’utilizzo di indicatori
biologici di sterilizzazione
I controlli fisici di sterilizzazione si effettuano con la strumentazione fissa, quella cioè installata direttamente
sulle apparecchiature di sterilizzazione, ovvero i registratori, che riportano su appositi diagrammi i valori della
35
temperatura e della pressione, gli avvisatori elettrici, costituiti da termometri a contatto, i quali alla temperatura
stabilita, chiudono immediatamente un circuito elettrico mettendo in funzione una spia luminosa (avvisatore
elettrico) o una suoneria (avvisatore acustico), ma non consentono di accertare la durata del processo, e i
termometri a massima, che indicano la temperatura più alta che è stata raggiunta.
I più importanti tra questi controlli (UNI EN 285) sono il Vuoto test, che verifica la perfetta tenuta della camera di
sterilizzazione, il test di Bowie-Dick per la verifica della rimozione dell’aria e della penetrazione del vapore e la
prova di umidità residua per verificare la formazione eccessiva di umidità nel materiale e quindi non sicurezza di
avvenuta sterilizzazione.
• Il test di Bowie-Dick ha lo scopo di verificare la rimozione totale dell’aria dalla camera di sterilizzazione,
attraverso un pacco prova standard contenente teli chirurgici e indicatori chimici, divisi in indicatori di
processo (esterno al pacco) o indicatori di sterilizzazione (interno al pacco).
• L’HELIX-test si utilizza per valutare la capacità della sterilizzatrice di far arrivare il vapore (e quindi
sterilizzare) all'interno di piccole cavità (corpi cavi di tipo A secondo la normativa EN 13060)
I controlli chimici di sterilizzazione sono costituiti da un sistema chimico applicato ad un supporto (normalmente una
striscia di carta adesiva) il cui principio di funzionamento si basa sul viraggio di colore di gruppi cromofori (inchiostri o
cere) che reagiscono ai parametri della sterilizzazione.
Esistono vari indicatori chimici di sterilizzazione (ISO 11140: 2005)
• Classe 1 – Indicatori di processo: destinati all’uso su unità singole (es. pacchi, contenitori, ecc.) per indicare
che sono state sottoposte a sterilizzazione. Permettono di distinguere tra unità processate e non processate.
Devono reagire a una o più parametri critici dal processo. Es: nastro indicatore, etichette e bollini indicatori.
• Classe 2 – Indicatori per test specifici: es: test di Bowie-Dick per la penetrazione dal vapore.
• Classe 3 – Indicatori a singolo parametro: devono reagire a un parametro critico del processo. Es: vial
contenente un indicatore che fonde ad una certa temperatura. Poco usati nella pratica.
• Classe 4 – Indicatori multiparametro: devono reagire a due o più parametri critici del processo, indicando
l’avvenuta esposizione al processo di sterilizzazione caratterizzato da determinati valori dei parametri scelti.
Sono usati per i pacchi test.
• Classe 5 – Integratori: devono reagire a tutti i parametri critici del processo. I valori dei parametri sono
studiati per essere equivalenti o eccedere le richieste di performance della ISO 11138 per gli indicatori
biologici. La ISO 11140-1:2005 ha reso più severe le richieste di performance per gli integratori di classe 5,
che tra tutti gli indicatori chimici sono quelli maggiormente accurati. Sono generalmente usati per i pacchi
test.
• Classe 6 – Emulatori: sono indicatori di verifica del ciclo che devono reagire a tutti i parametri critici del
processo, con capacità di valutazione della qualità del vapore e con risposte alle varie fasi di uno specifico
ciclo di sterilizzazione. Sono generalmente usati per i pacchi test.
Controllo biologico per la sterilizzazione a vapore o mediante perossido di idrogeno: provetta pronta all’uso
contenente un dischetto di carta bibula imbibito di spore di Geobacillus stearothermophilus ATCC 7953 (popolazione
5
6
10 , 10 ) o fiala interna in vetro contenente terreno nutritivo e indicatore di pH Bromocresol porpora.
Controllo biologico per la sterilizzazione a calore secco o mediante ossido di etilene: spore di Bacillus subtilis var.
niger (ATCC 9372).
Tutti i controlli, il loro utilizzo e la frequenza devono essere
valutati e definiti secondo l’analisi del rischio/sistema qualità e
convalidati assieme all’intero processo.
36
La rintracciabilità del prodotto sterilizzato è una procedura che permette, attraverso una serie di dati riportati su ogni
tipo di confezione sottoposta a processo di sterilizzazione (data di sterilizzazione, numero dell’autoclave, numero del
ciclo giornaliero, operatore che ha effettuato il processo, ecc.) di individuare con precisione il processo di
sterilizzazione con il quale un dispositivo medico riutilizzabile è stato ricondotto alla condizione di sterilità e di risalire
all’operatore responsabile del processo. In base all’organizzazione interna della struttura, deve essere possibile
collegare il ciclo di sterilizzazione del dispositivo all’utente a cui è stata erogata la prestazione con quel dispositivo. Per
garantire la tracciabilità del dispositivo trattato è opportuno indicare sul print-out: nome, cognome e numero di
cartella clinica (se ricoverato) del paziente per cui si è processato il dispositivo, nonché modello e matricola dello
strumento trattato. Il print-out originale deve essere conservato presso il Servizio mentre una copia può essere
allegata alla cartella clinica o alla documentazione del paziente.
In base al rischio di infezione per il paziente, i dispositivi medici vengono classificati in (classificazione di Spaulding):
• Dispositivi critici: quelli che penetrano nei tessuti sterili o nel sistema vascolare o vengono a contatto con il
flusso sanguigno (es. aghi, cateteri vascolari, protesi valvolari)
• Dispositivi semicritici: quelli che vengono a contatto con mucose o cute non integra (es. broncoscopi,
endoscopi)
• Dispositivi non critici: quelli che vengono a contatto con cute integra (es. stetoscopi, manicotti per la
pressione, elettrodi per l’elettrocardiogramma)
I dispositivi critici devono essere sterilizzati, mentre i semicritici devono avere una disinfezione di alto livello, per i non
critici è sufficiente una disinfezione di basso livello.
L’asepsi è una condizione di assenza di microrganismi in un ambiente (es. sala operatoria, tavolo operatorio) che si
ottiene utilizzando strumentario sterile e adottando tutti gli accorgimenti necessari ad impedire l’introduzione di
microrganismi per evitare una successiva contaminazione e, quindi, l’insorgenza di infezioni, da microrganismi
opportunisti in particolare. In ambito ospedaliero, la pratica della asepsi comprende tutte le misure di protezione del
campo operatorio, quali l’uso di abbigliamento, di guanti, di mascherine, etc. ma anche di pratiche come il lavaggio
chirurgico delle mani, che ha caratteristiche particolari. La pratica della asepsi può interessare anche alcune attività
produttive come il settore dell’industria farmaceutica (sostanze iniettabili) e il settore alimentare.
La centrale di sterilizzazione deve Deve avere i requisiti minimi richiesti dal DPR 14 gennaio 1997 n.37 (requisiti
strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l'esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e
private). Nella centrale devono essere previsti spazi articolati in zone nettamente separate, delle quali una destinata al
ricevimento e lavaggio; una destinata a controllo e/o manutenzione ordinaria, confezionamento e sterilizzazione; una
per l’uscita del materiale sterile dall’autoclave e deposito; una nella quale posizionare i carrelli pronti per la
distribuzione dei materiali sterilizzati. Il percorso deve essere progressivo dalla zona più sporca a quella più pulita. Le
pareti, i pavimenti e i soffitti devono essere costruiti con materiali lavabili che permettano una facile pulizia e
sanificazione.
Ambienti potenzialmente contaminati o sporchi
Ambienti puliti
Condizioni corrette di stoccaggio:
• Il materiale sterilizzato deve essere conservato preferibilmente in
armadi chiusi in un ambiente pulito ad umidità e temperatura
controllate
• Conservare il materiale sterile separatamente dal materiale pulito
• Disporre le confezioni in ordine cronologico rispetto alla scadenza
37
•
•
Controllare la confezione prima dell’utilizzo
Riprocessare il materiale scaduto: lavaggio, confezionamento, sterilizzazione
Qualsiasi data di scadenza è comunque solo un elemento puramente indicativo: infatti il mantenimento della
sterilità non è in funzione solo del tempo, ma anche della modalità di conservazione del dispositivo confezionato.
In particolare i fattori da considerare sono: la rimozione della carica batterica presente sul dispositivo da
sterilizzare mediante decontaminazione e lavaggio efficaci; la rimozione totale dell’acqua mediante asciugatura
idonea; l’idoneità del sistema di confezionamento e delle modalità con cui è stato effettuato; l’integrità del
confezionamento; l’idoneità del processo di sterilizzazione; la specifica preparazione del personale preposto alla
sterilizzazione; l’idoneità della zona di stoccaggio del materiale sterile; la corretta modalità di trasporto; la
corretta modalità di manipolazione della confezione.
I dispositivi e gli strumenti trattati con sterilizzazione just in time possono essere utilizzati:
• Sterili: quando vengono utilizzati immediatamente dopo il processo (strumenti critici), senza essere stoccati
ma trasportati direttamente dal luogo di sterilizzazione al campo operatorio (in modo asettico, lungo tragitti
brevi e protetti)
• Puliti e stoccati secondo canoni definiti: quando i dispositivi (ad esempio endoscopi flessibili, strumenti
semicritici) sono conservati verticalmente in idonei armadi areati
• Puliti: quando dopo il processo di sterilizzazione i dispositivi vengono stoccati e conservati in ambienti puliti
DISINFEZIONE
La disinfezione è l’eliminazione di microrganismi patogeni (che causano malattia) presenti o presumibilmente
presenti in ambienti, su oggetti e materiali, in modo da impedirne la diffusione e il contatto con soggetti recettivi nei
quali potrebbero causare infezione. Si attua con mezzi fisici e chimici opportunamente scelti a seconda dei
microrganismi patogeni contro cui si vuole agire e del substrato in cui essi si trovano.
Il calore umido (acqua calda) viene applicato come sistema di disinfezione di livello elevato quando si utilizzano
temperature di 80–100°C per 30 minuti. In ambito ospedaliero si può utilizzare per il trattamento di:
• padelle a 80°C per 1 minuto
• biancheria a 65°C per 10 minuti, a 71°C per 3 minuti oppure a 93°C per 1 minuto
• stoviglie a 66°C per 10 minuti o a 82°C per 1 minuto
• tubi e cateteri di gomma o polietilene e di endoscopi a 75°C per 30 minuti
• accessori per anestesia a 93°C per 10 minuti
Per la disinfezione con acqua calda sono disponibili in commercio macchine automatiche dotate di cestelli speciali per
l’iniezione diretta dello strumentario a corpo cavo e di essiccatori ad aria calda sterile.
Un disinfettante chimico, per essere ideale, dovrebbe avere tutte le caratteristiche elencate:
• Efficacia – deve agire in breve tempo, deve avere un ampio spettro di azione e non deve indurre resistenze.
• Innocuità – non deve essere pericoloso per coloro che lo usano o per coloro che utilizzano gli oggetti e i
materiali trattati con esso; non deve essere tossico, allergenico, irritante.
• Compatibilità chimica – non deve alterare (corrodere o colorare) i materiali ai quale viene applicato e non
deve essere inattivato da essi, da loro componenti o da sostanze presenti sugli oggetti da trattare.
• Stabilità
• Limpidezza
• Odore gradevole
• Economicità
• Facile utilizzazione
Le variabili che influenzano l’attività di un disinfettante possono essere:
• Legate alle caratteristiche del prodotto – formulazione; spettro di attività; tipo di attività
• Legate alle caratteristiche della popolazione microbica – carica microbica (maggiore è il numero dei
microrganismi presenti su di un oggetto o una superficie, più lungo è il tempo necessario al disinfettante per
agire); specie microbica (vi sono sostanze che agiscono su certe specie microbiche, ma non su altre – es. virus
Polio1 e virus Coxachie B vengono inattivati dall’alcool etilico, ma non dall’alcool isopropilico); stadio
microbico (le forme vegetative sono molto più sensibili delle forme sporali)
• Legate alle condizioni di impiego – concentrazione (in genere la velocità di inattivazione microbica aumenta
con l’aumentare della concentrazione. Fanno eccezione l’alcool etilico ed isopropilico e gli iodofori. Devono
38
essere seguite attentamente le istruzioni d’uso e le concentrazioni raccomandate. Se si utilizzano
concentrazioni inferiori alla MIC (minima concentrazione inibente) si può favorire il fenomeno della
resistenza batterica); tempo di contatto (molto importante seguire scrupolosamente le indicazioni delle
etichette); temperatura (entro certi limiti all’aumentare della temperatura corrisponde una maggiore attività
del disinfettante. Temperature troppo elevate possono inattivare l’agente microbicida o ridurre la sua
concentrazione per evaporazione); pH (l’azione di molti disinfettanti è influenzata dai valori di pH della
soluzione. La attività del cloro e degli ipocloriti diminuisce con l’aumentare del pH; l’attività della
glutaraldeide è maggiore a pH alcalino); durezza dell’acqua (quando si utilizza l’acqua come solvente, la
presenza di sali di calcio e di magnesio può ostacolare o interferire con l’azione del disinfettante. L’acqua è
una delle più comuni cause di contaminazione degli antisettici/disinfettanti); sostanze organiche (sangue,
muco, feci, etc. presenti sui materiali e sugli oggetti da trattare possono ostacolare l’azione dell’agente
chimico).
Microrganismi diversi mostrano resistenza variabile agli agenti microbicidi. Le forme più resistenti sono le spore
batteriche, seguite dai bacilli acido-alcool resistenti (M. tuberculosis, M. bovis, etc.), dai virus idrofili privi di involucro
lipoproteico (Poliovirus, Rhinovirus, etc.), dai miceti, dai batteri in forma vegetativa e dai virus lipofili con rivestimento
lipoproteico (Herpes virus, Citomegalovirus, HIV, etc.). In base a tali caratteristiche i mezzi chimici di disinfezione sono
classificati come disinfettanti di livello:
• Elevato – la sostanza è attiva su spore, bacilli acido-alcool resistenti, batteri in forma vegetativa, virus idrofili,
virus lipofili, miceti (sterilizzanti chimici in base al tempo di contatto); 30 minuti
• Intermedio – la sostanza non ha attività sulle forme sporali; 10-20 minuti
• Basso – la sostanza non ha attività su spore, bacilli acido-alcool resistenti, virus idrofili e presenta scarsa
attività sui miceti; 10 minuti
Il meccanismo di azione dei disinfettanti sui microrganismi varia a seconda del tipo di sostanza: coagulazione delle
proteine; inattivazione dei gruppi funzionali (COOH, NH2, OH, ecc.) e conseguente blocco delle proteine enzimatiche;
alchilazione (formaldeide e glutaraldeide); liberazione di idrogeno dai gruppi SH e formazione di ponti S-S (ossidanti
come cloro, iodio); alterazione dell’integrità della membrana cellulare (clorexidina); azione sulla parete cellulare (es:
asportazione dei lipidi con i detergenti, gli alcool); inattivazione delle proteine del capside virale.
Raccomandazioni per il corretto utilizzo dei disinfettanti
• Il personale addetto deve essere qualificato e idoneo
• Si devono sempre usare prodotti a composizione nota (etichette)
• Non si devono mai usare preparazioni che non seguono le corrette
modalità d’uso
• I prodotti devono essere conservati in recipienti asciutti e sigillati,
costituiti da materiale che non può essere corroso. I recipienti
devono sempre essere corredati di etichetta e di istruzioni scritte,
non devono essere mantenuti a temperature elevate o alla luce e
non devono mai essere conservati in ambienti dove possono
venire in contatto con alimento o bevande
• Ogni volta che si apre una confezione scrivere sempre la data di
apertura (l’efficacia dopo l’apertura è stabilita dal produttore) Non
rabboccare mai le soluzioni antisettiche/disinfettanti
• Per evitare la contaminazione del prodotto evitare di portare a
contatto l’imboccatura del contenitore con mani, garze, cotone, ferite, ciotole o altro
• Si devono seguire scrupolosamente le modalità d’uso (concentrazione e scadenza)
39
•
•
Le soluzioni vanno rinnovate spesso per evitare che si inquinino
È buona norma alternare l’uso di prodotti diversi per evitare l’insorgenza di fenomeni di resistenza da parte
dei microrganismi
ACIDO PERACETICO È un disinfettante di livello elevato: denatura le proteine e inibisce la funzione chemiosmotica
della membrana cellulare. La soluzione concentrata, al 40%, è caustica ed irritante per le mucose congiuntivali e per
quelle delle vie respiratorie. La soluzione all’1% uccide batteri Gram +, batteri Gram -, Mycobacterium tubercolosis,
miceti, virus e spore batteriche in 10 minuti. I prodotti commerciali (soluzioni tamponate, stabilizzate, pronte per l’uso)
sono soluzioni allo 0,2% con pH 6,4. Come disinfettante di livello elevato è stato proposto per la disinfezione di
strumenti medico chirurgici e per la sterilizzazione dei pace-maker. Esiste un apparecchio automatico per la
disinfezione degli endoscopi e di altri strumenti che utilizza una soluzione tamponata di acido peracetico. Il ciclo si
compie in 12 minuti a 50–55°C ed è seguito da risciacqui in acqua sterile per un totale di 30 minuti. Poiché è corrosivo
per molti metalli (non per acciaio inossidabile e alluminio puro), sono state messe a punto formulazioni ad elevato
potere microbicida contenenti basse concentrazioni di acido acetico (<0,1%) e perossido di idrogeno a concentrazioni
<1%. Per la sua caratteristica di ossidante l’acido peracetico elimina e disincrosta eventuali depositi presenti sugli
oggetti sottoposti a trattamento disinfettante. Avvertenze: per inalazione provoca irritazione delle vie respiratorie,
tosse e difficoltà respiratorie; per contatto con gli occhi provoca danni rilevanti compresa la cecità; per contatto
cutaneo provoca severe ustioni essendo corrosivo; per ingestione è moderatamente tossico. Smaltimento: questo
sterilizzante chimico va diluito in un rapporto di 1:20 con acqua: acido acetico + acqua ossigenata può essere smaltito
nella rete fognaria se non utilizzato, altrimenti l’utilizzatore dovrà assegnare un codice CER.
ALCOLI Nella pratica vengono utilizzati soltanto l’alcool etilico e l’alcool isopropilico come disinfettanti di livello
intermedio. La loro azione battericida, piuttosto lenta, è massima a concentrazioni del 70 – 90%, mentre si riduce sia a
concentrazioni inferiori che a concentrazioni superiori. La loro azione microbicida avviene a livello delle proteine
(denaturazione e coagulazione) e la minore attività degli alcoli assoluti viene attribuita ad una maggiore resistenza alla
denaturazione in assenza di acqua. Alle concentrazioni ottimali, gli alcoli distruggono rapidamente batteri Gram + e
Gram - e virus lipofili, sono poco attivi sui funghi e sui virus idrofili (il virus Polio tipo 1 e il virus Coxsackie B vengono
inattivati in 10 minuti dall’alcool etilico ma non dall’alcool isopropilico), non hanno alcuna azione sulle spore
batteriche, agiscono rapidamente sul Mycobacterium tuberculosis in sospensione acquosa (il microrganismo risulta
più resistente quando si trova nell’escreato). Il virus dell’epatite B viene inattivato dall’alcool etilico all’80% in 2 minuti
e dall’alcool isopropilico al 70% in 10 minuti. Gli alcoli non sono tossici né irritanti per cute integra (danneggia i tessuti
della cute lesa) non danneggiano il materiale sul quale vengono applicati. La loro efficacia si riduce in presenza di
sostanze organiche. Si utilizzano per: disinfezione della cute (iniezioni, prelievi di sangue, cordone ombelicale) anche
se la loro rapida evaporazione rende incerta l’efficacia di questa applicazione; disinfezione dei termometri, per
immersione (10 minuti); disinfezione pre-operatoria delle mani, in condizioni di emergenza.
CLORO Il cloro elementare è un gas di colore verde giallastro, molto tossico ed irritante che si scioglie in acqua
formando acido ipocloroso ed acido cloridrico. In commercio si trovano soluzioni di ipoclorito ottenute sottoponendo
ad idrolisi parziale il cloruro di sodio. Ha azione microbicida a dosi molto basse (0,3 mg/l). Comunemente vengono
utilizzati i suoi composti organici ed inorganici come ipoclorito di sodio (NaClO), di calcio (Ca(ClO)2), di potassio,
biossido di cloro (ClO2), cloramine. Anche questi composti, in soluzione, danno luogo alla formazione di acido
ipocloroso. La sua conservazione deve essere al riparo dalla luce (fotosensibile) e dal calore. L’azione microbicida delle
soluzioni di cloro e dei suoi composti (agiscono rapidamente su batteri Gram + e Gram -, micobatteri, miceti, virus e
spore) è attribuita all’acido ipocloroso, che a sua volta, all’aumentare del pH, si dissocia in ioni ipoclorito, la cui azione
disinfettante è molto minore rispetto all’acido. La quantità di acido ipocloroso è in stretto rapporto con la quantità di
“cloro attivo” (quantità di cloro molecolare che si può ottenere da una data quantità di acido ipocloroso).
L’inattivazione dei batteri sembra dovuta all’ossidazione dei gruppi solfidrilici degli enzimi citoplasmatici (inibizione
delle reazioni metaboliche); quella dei virus a modificazioni del capside e alterazioni dell’acido nucleico. Il cloro e i suoi
composti sono tossici ed irritanti per cute e mucose: a contatto con gli occhi sciacquare abbondantemente, per
ingestione trattare con tiosolfato di sodio e non indurre il vomito. Il cloro aggiunto all’acqua reagisce formando acido
ipocloroso che a sua volta, all’aumentare del pH, si dissocia in ioni ipoclorito, la cui azione disinfettante è molto
minore rispetto all’acido. È l’acido ipocloroso non dissociato (HClO) che possiede l’azione battericida più elevata. La
cloro richiesta è la quantità di disinfettante da aggiungere all’acqua necessaria per l’ossidazione di specie riducenti
quali ioni metallici, solfuri e bromuri, per la formazione di composti cloro-organici e di cloroammine (mono-, di- e
tricloroammine) denominati cloro attivo combinato e infine per la parziale distruzione delle cloroammine formate;
solo dopo questa fase (break point) ha inizio l’abbattimento dei microrganismi patogeni ad opera del cloro libero
disponibile. Il cloro gassoso viene utilizzato per il trattamento delle acque. Il biossido di cloro, a seconda della
concentrazione e del tempo di esposizione, è classificato come disinfettante di livello elevato (sterilizzante chimico).
40
Le soluzioni degli altri composti vengono classificate come disinfettanti di livello intermedio se contengono da 500 a
1.000 mg/l di “cloro disponibile” (quantità di cloro richiesta per produrre una molecola di acido ipocloroso) o
disinfettanti di livello basso se contengono 100 mg/l di “cloro disponibile”.
• Alto: 1000-5000 mg/l (0,1-0,5% in 100 ml di cloro attivo)/30 minuti: spore batteriche
• Intermedio: 500-1000 mg/l (0,05-0,1 in 100 ml c.a.)/10 minuti: micobatteri, virus idrofili
• Basso: 200 mg/l (0,02% in 100 ml c.a.)/10 minuti: virus lipofili, forme batteriche vegetative, funghi
L’ipoclorito di sodio viene usato per la clorazione dell’acqua, per la disinfezione di stoviglie, biancheria, superfici, etc. è
contenuto, insieme ad altri ipocloriti, nelle candeggine.
L’ipoclorito di calcio si trova in commercio come polvere di cloruro di calce.
Le applicazioni dei composti del cloro in ambito sanitario e ospedaliero sono limitate dall’azione corrosiva sui metalli
(ferro, rame, acciaio, ecc.) e dalla inibizione dell’attività microbicida da parte delle sostanze organiche.
CLORAMINA T Derivato organico del cloro, che libera in acqua acido ipocloroso molto lentamente permettendo di
avere un azione microbicida prolungata nel tempo. Soluzione acquosa al 1%: antisepsi della cute. Va utilizzata entro
24h dal momento dell’allestimento.
DICLOROISOCIANURATO DI SODIO Derivato organico, in forma di compresse molto stabili nel tempo, utilizzato per la
disinfezione delle piscine, biberon, superfici. Il prodotto è classificato come nocivo, sull’etichetta il simbolo Xn e Xi
come indicazione di nocivo e irritante, a cui si associano delle frasi di rischio (come ad esempio: R36/37 irritante per gli
occhi e le vie respiratorie) e dei consigli di prudenza (ad esempio: S2 conservare fuori dalla portata dei bambini).
COMPOSTI DELL’AMMONIO QUATERNARIO Sono disinfettanti di livello basso (0,2%) molto attivi su batteri Gram +, su
miceti e su virus lipofili, meno su batteri Gram -. Non hanno invece nessun effetto su batteri acido-alcool resistenti,
spore e virus idrofili. Hanno un atomo di azoto al quale sono legati quattro radicali alchilici. Alterano la permeabilità
delle membrane cellulari con conseguente fuoriuscita di alcuni costituenti della cellula. Aumentandone la
concentrazione determinano anche la denaturazione delle proteine e l’inibizione dei sistemi enzimatici citoplasmatici.
Se usati molto diluiti hanno solo effetto batteriostatico (si contaminano facilmente). Vengono inattivati dalle sostanze
organiche, dai sali di calcio e di magnesio e dai saponi. Sono irritanti per la cute soltanto a concentrazioni molto
elevate che non sono quelle di uso comune. Non sono tossici né irritanti, sono inodori e insapori e vengono utilizzati in
campo medico e chirurgico e nell’industria alimentare. Vengono usati per la disinfezione di cute integra, stoviglie,
materiali sanitari non critici, macchinari, pavimenti, ecc. hanno anche un limitato effetto detergente.
IODOFORI a Lo iodio è molto solubile negli alcoli (alcool iodato 2%, tintura di iodio 7%), ma poco in acqua. Per
aumentare la sua solubilità in acqua viene addizionato di derivati organici tensioattivi, elementi di elevato peso
molecolare (veicoli: polivinil-pirrolidone). Si formano così dei complessi iodio-veicolo che prendono il nome di
iodofori. Quando si fa una soluzione acquosa di queste sostanze viene liberato iodio fino al raggiungimento di un
equilibrio tra lo iodio che si libera in soluzione o iodio libero e quello che rimane legato al veicolo. Mano a mano che lo
iodio libero scompare, altro se ne libera dai complessi iodio-veicolo che rappresentano quindi la riserva di iodio. La
liberazione graduale dello Iodio consente la diminuzione degli effetti indesiderati derivati dalle alte concentrazioni di
questo elemento quali irritazione e colorazione dei tessuti, corrosione di superfici metalliche. La quantità di iodio
libero presente nella soluzione concentrata è bassa, ma diluendo maggiormente si libera iodio dal complesso iodioveicolo e la sua quantità aumenta fino a raggiungere il valore massimo che corrisponde alla diluizione d’uso (0,007–
0,015%). Gli iodofori sono disinfettanti di livello intermedio-basso, sono degli ossidanti (denaturazione delle proteine,
reazione con i nucleotidi, ossidazione gruppi –SH) sono attivi sui batteri Gram + e Gram -, sul bacillo tubercolare, sui
virus. Alcuni miceti e le spore richiedono tempi di contatto assai lunghi. Hanno attività ridotta a pH basico. Resistenze
accertate: Pseudomonas cepacia, alcuni ceppi di Staphylococcus. Sono poco irritanti e poco tossici e, alle diluizioni
d’uso manifestano una scarsa azione corrosiva e ridotte proprietà coloranti sugli oggetti. Questi prodotti inattivano le
proteine enzimatiche e la loro azione viene inibita dalla presenza di sostanze organiche. Vengono utilizzati per cute,
strumenti, oggetti, superfici, termometri, vasche per idroterapia, etc. La loro azione viene inibita dalla luce e dal calore
(>45°C). Non vanno utilizzati in caso di pazienti con iperfunzionalità tiroidea diagnosticata e/o ipersensibilità accertata
allo iodio. Nel lattante fino al sesto mese di vita e in gravidanza evitare il trattamento di superfici estese per il rischio
di potenziale assorbimento.
IODOPOVIDONE In soluzione acquosa (Betadine soluzione 10%) indicato per antisepsi di ferite e mucose, ustioni,
lavaggi endocavitari, le piaghe da decubito. In soluzione idroalcolica (Betadine chirurgico 10%) idrosolubile utilizzato
per il lavaggio chirurgico delle mani distribuendo e strofinando per almeno 3-4 minuti.
TINTURA DI IODIO soluzione alcolica iodoiodurata, è usata come antisettico della cute integra.
41
GLUTARALDEIDE E’ un disinfettante di livello elevato. A temperatura ambiente (25°C a temperatura superiore
polimerizza, non più attiva), a pH 7,5–8,5 esplica la sua massima attività microbicida. La soluzione al 2%, alcalinizzata
con bicarbonato di sodio, distrugge: batteri Gram + e Gram – in 1-2 minuti, virus (compreso quello dell’epatite B) e
miceti in meno di 10 minuti, Mycobacterium tuberculosis in 10-20 minuti, spore batteriche in 3 ore. È irritante per le
mucose e la cute, tossico per inalazione e ingestione. Può dare sensibilizzazione (asma occupazionale). Non è
genotossica, ma è mutagena e embriotossica sulla cavia (test in vivo). La soluzione alcalina di glutaraldeide è stabile
per 14 giorni. Alcune recenti formulazioni possono mantenere la loro stabilità fino a 20 – 30 giorni. A seconda della
concentrazione e dei tempi di contatto può essere utilizzata come sterilizzante chimico. È un prodotto ottimale perché
ha un ampio spettro d’azione, agisce rapidamente, non ha tossicità elevata, non viene inibita dalle sostanze organiche,
non corrode i metalli e non danneggia gomma e plastica. È il disinfettante di elezione per oggetti semicritici
(disinfezione di alto livello) che non possono essere trattati con il calore (endoscopi a fibre ottiche, broncoscopi,
cateteri, accessori per anestesia, etc.). La soluzione al 2% deve essere fatta agire per almeno 20 minuti a temperatura
ambiente. Il prodotto è classificato come nocivo con il simbolo Xn, a cui si associano delle frasi di rischio (R20/22
nocivo per inalazione, R37/38 irritante per le vie respiratorie, R41 rischio di gravi lesioni oculari) e delle frasi di
sicurezza (S26 lavare con acqua in caso di contatto con gli occhi, S36/37/39 usare le protezioni nelle manipolazioni,
S61 non disperdere nell’ambiente). Va smaltita come rifiuto speciale pericoloso in base.
CLOREXIDINA E’ un composto biguanidico cationico, molecola base di molti prodotti di ampio utilizzo ospedaliero e
ottimo disinfettante di livello intermedio – basso. I suoi sali (gluconato e acetato) sono caratterizzati da una buona
solubilità in acqua o alcool. È attivo su batteri Gram + e Gram – e, in parte, sui miceti. Non ha attività microbica nei
confronti di bacilli acido-alcool resistenti, spore e virus. Blocca le funzioni della membrana citoplasmatica batterica
(con fuoriuscita di materiale citoplasmatico) e inattiva le proteine enzimatiche. Ha una elevata affinità per le proteine
dell’epidermide, che determina il suo rapido e persistente assorbimento a livello dello strato corneo della cute. Il pH
ottimale per sua attività varia da 5 a 7, che è l'intervallo corrispondente a quello delle superfici e dei tessuti corporei.
L’azione della clorexidina è duratura nel tempo, la tossicità molto bassa, ma il costo elevato. La sua attività battericida
diminuisce in presenza di sostanze organiche, ma è potenziata dalla associazione con i composti dell’ammonio
quaternario. Si utilizza a concentrazioni variabili tra 0,02% e 0,5% per la disinfezione delle mani (pratica chirurgica) e
della cute, di oggetti, pavimenti, superfici, pareti, mobili. E’ incompatibile con l’uso di saponi: la Clorexidina essendo
un composto cationico può essere inattivata o da tensioattivi anionici e non ionici (es. sapone) o da anioni inorganici
che possono essere presenti in elevate concentrazioni nell’acqua di rubinetto. Resistenze accertate: Pseudomonas
spp, Proteus spp, Serratia spp, Aspergillus spp. Il prodotto è classificato come nocivo con il simbolo Xn, a cui si
associano delle frasi di rischio (R20/22 nocivo per inalazione, R37/38 irritante per le vie respiratorie, R41 rischio di
gravi lesioni oculari) e delle frasi di sicurezza (S26 lavare con acqua in caso di contatto con gli occhi, S36/37/39 usare le
protezioni nelle manipolazioni, S61 non disperdere nell’ambiente).
PEROSSIDO DI IDROGENO È stato a lungo trascurato come disinfettante a causa della notevole instabilità delle
soluzioni diluite. Agisce su batteri Gram + e Gram -, su miceti, su virus. Sulle spore è attivo solo a concentrazioni
elevate. Es. le spore del genere Bacillus vengono inattivate in 60 minuti a 25°C da una soluzione al 10%. La sua azione
si esplica a livello della membrana cellulare e del DNA. Non è tossico, né cancerogeno né mutageno. Le soluzioni
concentrate sono irritanti per cute e mucose e corrosive per i metalli. Concentrazioni comprese tra il 6 e il 30% sono
considerate chemosterilanti; al 3–6% il perossido di idrogeno è da considerarsi un disinfettante di livello intermedioelevato (acqua ossigenata 3%, lenti a contatto morbide con un tempo di contatto di 10 minuti, seguito da accurato
42
risciacquo). L’attività di questa viene tradizionalmente espressa come volume totale di ossigeno che è in grado di
liberare (3%= 10 volumi, 6%= 20 volumi, 30%= 100 volumi).
Gli oggetti e i materiali utilizzati a scopo terapeutico o sanitario possono essere divisi in tre categorie, critica,
semicritica, non critica, in base all’entità del rischio di infezione che il loro utilizzo comporta. Una ulteriore categoria è
rappresentata dalle superfici ambientali.
• Categoria critica – A questa categoria appartengono tutti gli oggetti il cui utilizzo rappresenta un rischio
molto elevato di infezione se sono contaminati da qualsiasi tipo di microrganismo. Questo gruppo
comprende tutto ciò che penetra nei tessuti, nelle cavità normalmente sterili, nell’apparato cardiocircolatorio
(strumenti chirurgici, cateteri cardiaci, aghi, etc.). Questi oggetti devono essere sterilizzati con il calore
(autoclave, stufa a secco), con ossido di etilene oppure con un agente chimico che abbia le caratteristiche di
sterilizzante, con tempi di contatto lunghi (6–10 ore)
• Categoria semicritica – a questa categoria appartengono gli oggetti il cui utilizzo rappresenta un rischio di
infezione inferiore, rispetto a quelli della categoria precedente e per i quali si può tollerare la presenza di
qualche spora. Appartengono a questo gruppo tutti gli oggetti che vengono in contatto con le mucose o con
la cute non integra (laringoscopi, endoscopi a fibre ottiche, tubi endotracheali, etc.). Questi oggetti devono
essere sottoposti a disinfezione di livello elevato con il calore (acqua bollente a 80–100°C) o con agenti
chimici che siano anche sterilizzanti, con tempi di contatto più brevi (10–45 minuti). Per termometri e vasche
per idroterapia per pazienti con cute non integra si richiede una disinfezione di livello intermedio. Nel caso di
condizioni epidemiche o endemiche da C. difficile anche per la categoria semicritica è prevista la
sterilizzazione
43
•
•
Categoria non critica – questa categoria comprende gli oggetti il cui utilizzo rappresenta un basso rischio di
infezione e cioè quelli che vengono in contatto con la cute integra (stetoscopi, bracciali di sfigmomanometri,
elettrodi per elettrocardiografia, ecc.). Per questi oggetti si ritiene sufficiente una buona pulizia o una
disinfezione di livello basso. Nel caso di contaminazione con sangue o altri fluidi biologici si raccomanda una
disinfezione di livello intermedio.
Superfici ambientali – In reparti non critici, le pareti, pavimenti, tavoli, ripiani, non sono di regola considerati
importanti nella trasmissione delle infezioni e per essi è sufficiente una buona pulizia o una disinfezione di
livello basso. Se queste superfici sono contaminate con sangue o altri fluidi biologici è necessario un
trattamento con disinfettante di livello intermedio. Se il materiale organico infetto è presente in quantità
notevoli (rottura di provette contenenti sangue o altri liquidi biologici, rovesciamento di matracci o provette
contenenti colture batteriche, etc.) la disinfezione veloce non è sufficiente. Si deve versare il disinfettante (di
livello intermedio) direttamente sulla superficie, lasciarlo agire, provvedere poi alla pulizia e infine ad una
ulteriore disinfezione. Nei reparti critici (UTI, Grandi Ustionati, ecc.) la disinfezione delle superfici deve essere
accurata e con disinfettanti di livello intermedio-alto
L’antisepsi è un trattamento finalizzato alla inattivazione di microrganismi patogeni (capaci di provocare sepsi) che
possono essere presenti su cute, mucose, tessuti in genere. Si attua mediante l’impiego di antisettici, prodotti non
lesivi per i tessuti dell’ospite, che consentono la distruzione di microrganismi patogeni e di microrganismi ambientali
occasionalmente presenti e di una larga quota dei microrganismi commensali residenti, senza provocare lesioni.
Alcune di queste sostanze sono disinfettanti o hanno lo stesso principio attivo di sostanze utilizzate per la disinfezione;
sono comunque preparazioni commerciali formulate in modo da essere utilizzate per l’antisepsi sui tessuti viventi
senza danneggiarli.
• Antisepsi della cute integra – Nella pratica comune, prima di un prelievo di sangue, di una iniezione, di una
piccola incisione, va effettuata mediante strofinamento protratto con cotone imbevuto di alcool etilico o,
meglio ancora con alcool associato a composti dell’ammonio quaternario, con alcool iodato o clorexidina. Per
l’antisepsi della cute ai fini della preparazione del campo operatorio è opportuno utilizzare soluzioni colorate
dotate di potere battericida sicuro e prolungato nel tempo quali alcool iodato, soluzioni di iodopovidone
(polivinil-pirrolidone-iodio), clorexidina, esaclorofene.
• Antisepsi delle mucose – In caso di contaminazione delle mucose con materiale estraneo è indicata una
delicata pulizia con garze inumidite. È sconsigliato l’uso di antisettici aggressivi che potrebbero provocare
alterazioni locali con diminuzione dell’effetto barriera dell’epitelio nei confronti della penetrazione dei
microrganismi. Si possono usare soluzioni acquose di ioduri, di composti del cloro, clorexidina e composti
dell’ammonio quaternario.
• Antisepsi delle ferite – E’ importante una detersione con soluzione fisiologica sterile allo scopo di allontanare
sostanze estranee (terra, peli, fibre di tessuti, etc.) ed eventuali tessuti necrotici o devitalizzati. Gli antisettici
44
da utilizzare in questi casi non devono avere azione lesiva né irritante sui tessuti e non devono interferire con
la cicatrizzazione. Possono essere usate soluzioni di clorexidina, soluzioni acquose di composti dello iodio e
del cloro, acqua ossigenata a 10 volumi.
DISINFESTAZIONE
Per disinfestazione si intende un trattamento di eliminazione/riduzione di macroparassiti patogeni (che causano
malattia – es. acaro della scabbia, elminti intestinali); artropodi vettori di malattie infettive, obbligati e meccanici (che
fungono da collegamento tra l’ambiente e i soggetti recettivi – es. zanzara Anopheles, pidocchi, pulci, zecche,
mosche); ratti (che sono serbatoi e sorgenti di agenti patogeni).
Esistono vari metodi di disinfestazione con mezzi fisici:
• Calore secco: metodo “storico” per disinfestazione di Anoplura (pidocchi) di vesti e letterecci (80°C per 30’
fino a 4 ore)
• Calore umido: autoclave/ebollizione/vapore fluente
• Calore ottenuto da onde elettromagnetiche (disinfestazione elettromagnetica) o altre fonti, e areodisperso
(disinfestazione aerotermica)
• Disinfestazione criogenica (-75°C): applicata nel campo dei Beni Culturali
• Disinfestazione anossica: applicata nel campo dei Beni Culturali
SCABBIA (dermatosi parassitaria contagiosa) La scabbia è una malattia infettiva contagiosa, causata da un acaro
(Sarcoptes scabiei) che è in grado di vivere e di riprodursi solo su ospiti a sangue caldo: uomo e animali. La malattia è
diffusa in tutto il mondo con andamento epidemiologico irregolare. Può colpire persone di ogni ceto sociale,
indipendentemente dall’ igiene personale e non fa distinzioni di età o sesso, è endemica in molti paesi sviluppati; più
frequente d’inverno. Nell’ultimo decennio in Italia e nel nostro territorio si è riscontrato un progressivo incremento
dei casi, probabilmente a seguito della crescente diffusione dei viaggi turistici in paesi dove la malattia è molto diffusa,
per gli ingenti flussi migratori di recente intervenuti, nonché per l’accresciuta attenzione dei medici, che permette di
identificare casi che un tempo sarebbero passati inosservati.
Un caso probabile di scabbia è definito dalla presenza di sintomi clinici compatibili prurito (soprattutto notturno,
localizzato), lesione cunicolare e piccole papule o noduli con eritema perilesionale. Sedi elettive di localizzazione sono
le superfici volari dei polsi, le superfici laterali delle dita, spazi interdigitali (presenti nel 3/4 spazio interdigitale delle
mani), pieghe ascellari (pilastro anteriore) e zona periombelicali, presenza di lesioni da grattamento (specie ai polsi),
accompagnati o meno da esposizione documentata al contagio o presenza di sintomi suddetti in famiglia o in altri
ambiti comunitari negli ultimi due mesi.
Un caso confermato di scabbia è definito dal riscontro al microscopio dell’acaro, delle uova, o delle feci con esame
microscopico diretto di materiale grattato dalla superficie cutanea, in corrispondenza dei cunicoli, oppure da un
quadro clinico tipico, con la presenza della lesione patognomonica: il cunicolo.
Si deve sospettare una epidemia di scabbia quando in una struttura sanitaria vengono rilevati 2 o più casi
concomitanti che abbiano interessato i pazienti e/o i membri dello staff assistenziale.
Eziologia e ciclo biologico La femmina gravida dell’acaro penetrata nella cute scava nello spessore dello strato corneo,
cunicoli (che si evidenziano con caratteristiche lesioni) e vi depone le uova. Questi canali sono in rilievo e grigi per le
feci del parassita, che vi si accumulano. Dopo aver depositato un massimo di 50 uova la femmina muore. Dopo 3-4
giorni le uova si schiudono dando origine a giovani larve che subiscono successive metamorfosi, gli stadi successivi di
45
sviluppo sino al parassita maturo non si verificano nei cunicoli ma sulla superficie cutanea; questo spiega l’elevata
contagiosità della malattia.
La principale modalità di trasmissione è il contatto cutaneo diretto, da persona a persona (cute-cute), in persone che
dormono nello stesso letto, oppure meno frequentemente attraverso gli oggetti. Il contagio indiretto attraverso, per
esempio biancheria e lenzuola, si verifica solo se questi sono stati contaminati di recente da una persona infestata. Il
periodo di incubazione dalla contaminazione alla comparsa dei sintomi varia da 2 a 6 settimane per l’infestazione
primaria, ma può essere di sole 24-48 ore in caso di reinfestazione. La malattia ha una trasmissione per contatto
diretto (cute-cute) e/o indiretto (cute-effetti letterecci infestati da acari), pertanto devono essere applicate le
Precauzioni Standard e le precauzioni aggiuntive per le patologie trasmissibili per contatto. Applicare sulla porta della
stanza singola il cartello limitatore con indicate le precauzioni da contatto (“C”) da adottare. Dopo aver indossato i
mezzi di protezione, rimuovere con attenzione la biancheria del letto, evitando qualsiasi scuotimento, rifacimento
completo del letto ad ogni trattamento, inserire la biancheria senza scuoterla nell’apposito sacco idrosolubile che
dovrà essere chiuso ed inserito in un secondo sacco a sua volta opportunamente richiuso presso il letto del paziente
prima di inviano in lavanderia; eventualmente sostituire il materasso, il guanciale e coperte di lana dopo le prime 24
ore di trattamento insieme alla biancheria e sostituirle alla dimissione; il materasso, il guanciale e le coperte di lana
devono essere imbustati e sigillato all’interno della stanza. Gli abiti devono essere cambiati tutti i giorni, una volta
rimossi devono essere trattati con lavaggio a 60°, i capi che non possono essere lavati a tale temperatura vanno riposti
in sacchetti di plastica, chiusi ermeticamente per almeno 7 gg. oppure possono essere messi nel congelatore per
almeno 12 ore.
Gli insetticidi hanno azione a livello neuromuscolare per ingestione e/o contatto.
• Piretrine – naturali o di sintesi (più stabili perché non fotosensibili), prive di tossicità per l’uomo e per gli
animali domestici, agiscono per contatto modificando il potenziale trans-membrana dei neuroni tramite
interazione con i canali del sodio che causa un prolungamento del flusso di sodio durante l’eccitazione. Flit (in
disuso), soluzioni nebulizzabili in bombole spray, zampironi (spirali), compresse di piretroidi sintetici
(fornellini)
• Composti organici clorurati – effetto tossico per accumulo, molecola molto stabile a livello ambientale. Sono
usati in agricoltura come antiparassitari e nella lotta contro zanzare, pidocchi e acari. DDT (dicloro-difeniltricloroetano), metossicloro, lindano (o esaclorocicloesano, per i pidocchi), octaclor, dieldrin
• Composti organici fosforati – inibizione dell’acetilcolinesterasi, effetto tossico acuto, molecola
biodegradabile, azione residua di breve durata, tossici per l’uomo e gli animali a sangue caldo, largamente
impiegati in agricoltura, vendita e utilizzo regolamentati per legge. Meno tossici sono: diazinone, malathion,
dimethoate, fenthion, parathion
• Carbammati – inibizione dell’acetilcolinesterasi, bassa tossicità, utilizzo in ambiente domestico: propoxur
(scarafaggi, es. Baygon), sevin o carbaryl (zanzare e pidocchi)
• Tiocianati – agiscono per contatto e hanno rapido effetto abbattente (Thanite, l’unico ancora in uso)
• Composti arsenicali – sostanze in disuso. Aceto-arsenito di rame, miafonina (a base di arsenito di sodio o
potassio)
• Sistemi biologici – Il Bacillus thuringiensis è un batterio del suolo che produce una tossina insetticida viene
utilizzato in agricoltura biologica come un insetticida naturale, efficace e sicuro. Esso colpisce particolari
specie e viene usato in applicazioni occasionali, specialmente nei casi in cui si verifichi una seria infestazione.
Recentemente sono state prodotte piante OGM dotandole della capacità di produrre l'insetticida.
L’Heterorhabditis bacteriophora è un nematode entomopatogeno utilizzato per la lotta contro larve di
coleotteri ed insetti terricoli, portandoli a morte in 24-72 ore.
46
La resistenza agli insetticidi è dovuta per la maggior parte a meccanismi di inattivazione o di insensibilità che
compaiono nelle popolazioni a seguito di mutazioni. L'uso ripetuto di insetticidi con lo stesso meccanismo d'azione
seleziona gli individui resistenti che rapidamente raggiungono densità elevate nelle popolazioni, specie in ambienti
confinati (serre).
• Vera o fisiologica: dovuta a mutazioni genetiche che variano la sequenza amminoacidica dell’enzima
aceticolinesterasi, es. Anopheles gambiae e dieltrin. Frequente per organoclorurati, organofosforici e
piretroidi
• Tolleranza di vigore: resistenza alla dose media di insetticida
• Resistenza di comportamento: sensibilità/irritabilità al disinfestante tale da indurne l’allontanamento
E’ importante la formulazione dell’insetticida: durata commerciale, possibilità di ricostituzione del prodotto efficace
(soluzioni, polveri, tavolette, compresse, granuli, ecc.).
Esempio di un vasto programma di disinfestazione (per mezzo di insetticidi) atto a eliminare diverse specie di
Anopheles realizzato da L'Ente Regionale per la Lotta Anti-Anofelica in Sardegna (ERLAAS), dove la malaria era
endemica. Fu istituito il 12 aprile 1946 come ente speciale dell'Alto Commissariato Italiano per l'Igiene e la Sanità per
la lotta anti-anofelica. Con l'arrivo delle truppe alleate cominciò un massiccio uso del DTT
all’interno di un programma antilarvale e antialate con lo scopo di eliminare le larve della
zanzara anofele. Data la gravità del problema l'ERLAAS si occupò anche
dell'addestramento del personale non specializzato; servivano infatti persone che avessero
un minimo di conoscenze per la distinzione delle larve o degli adulti di zanzara anofele,
dagli altri insetti. Questo servizio si occupò inizialmente dello "sterminio" della zanzara
Anopheles adulta della specie Anopheles Labranchiae e, in tempi successivi, cominciò ad
intervenire sulle larve che si sviluppavano nelle paludi. La vegetazione tuttavia ostacolava
le operazioni antilarvali e laddove erano insufficienti attrezzi quali ascia, roncole, pale si preferì la dinamite e
l’intervento aereo (specie nei canneti più inaccessibili) che rilasciava miscele di DDT, nafta e larvicidi.
Il DDT (dicloro-difenil-tricloroetano), nato nel 1873, deve la sua fama a Paul Müller che ne dimostrò l’efficacia come
veleno da contatto contro molti artropodi.
Il meccanismo d'azione del DDT è multiplo:
• Mantenimento della depolarizzazione della cellula nervosa (stato eccitato), per modificazione permeabilità al
potassio, alterazione dei canali sodio, inibizione delle ATPasi, attivazione del legame tra calcio e la
calmodulina, proteina intracellulare che permette al calcio di andare a modificare il rilassamento e la
contrazione.
• A livello del SNC e del SNP si avranno quindi degli effetti che si manifestano con un esteso e generalizzato
tremore fino ad arrivare ad uno stato convulsivo e eccessiva risposta a stimoli normali.
Gli effetti cronici dovuti ad un contatto prolungato con gli organoclorurati sono possibili danni al fegato, al sistema
riproduttivo (funzione pro-estrogenica) e maggiore incidenza di tumori epatici (promotore del tumore). Emivita di 15
anni.
Oggi il DDT continua ad essere impiegato in nazioni (principalmente tropicali) in cui la malaria diffusa dalle zanzare ed
il tifo sono problemi ben più gravi ed immediati della potenziale tossicità del DDT. L'uso del DDT per la salute pubblica
consiste principalmente di irrorazioni mirate ed inclusione in prodotti per l'uso domestico; questo riduce ampiamente
l'impatto ambientale rispetto all'uso diffuso in agricoltura fatto nei decenni precedenti. Nel 1972, negli USA viene
bloccata la produzione. La Convenzione di Stoccolma, ratificata nel 2001, proibisce l'uso del DDT e di altri inquinanti
persistenti. La convenzione è stata firmata da 98 nazioni e trova l'appoggio della maggior parte dei gruppi
ambientalisti. Una completa eliminazione del DDT in nazioni infestate endemicamente dalla malaria è tuttavia poco
praticabile, principalmente per via del costo elevato degli insetticidi alternativi. Gli stati possono richiedere
un'esenzione dal divieto dell'uso del DDT per ragioni di salute pubblica, rinnovabile ogni tre anni, concessa
dall'Organizzazione Mondiale della Sanità e dal Programma Ambientale delle Nazioni Unite.
I fumiganti (gas/vapori che agiscono per inalazione) sono:
• Anidride solforosa (SO2) – bombole di gas liquido sotto pressione efficace e poco costoso, ma tossico per
congiuntiva e mucosa respiratoria (incolore)
• Acido cianidrico (HCN) – liquido incolore molto attivo su roditori e artropodi, ma molto tossico per l’uomo
(DL=30mg; DL=300 ppm), facilmente assorbito dagli alimenti
• 1,3 dicloropropene, cloropicrina, dazomet, metham sodio, metham potassio – la Cloropicrina o
tricloronitrometano (CCl3NO2) è un liquido a lento rilascio che persiste per lunghi periodi; se scaldato oltre il
suo punto di ebollizione si decompone in cloruro di carbonile
47
•
•
Bromuro di metile – dal 2008 è stato interdetto l’uso (Protocollo di Montreal) sia su derrate che su legname
Fumigante a base di tetracloruro di carbonio – usato comunemente per la protezione di grossi carichi di
cereali
Il rodenticida ideale dovrebbe essere selettivo, a bassa tossicità per fauna selvatica e animali domestici, con
persistenza limitata nell’ambiente, con indicatore (odore/sapore) per prevenire avvelenamento dell’uomo (bambini) e
animali domestici e non dovrebbe non indurre sospetto (bait shyness).
Sulla base del meccanismo di azione si dividono in rodenticidi ad azione non anticoagulante (effetto acuto) e
rodenticidi ad azione anticoagulante (effetto cronico o cumulativo).
I rodenticidi ad azione non-anticoagulante hanno effetto acuto e sono letali nel giro di poche ore. Tra questi
ricordiamo: Arsenico, Brometalina, Colecalciferolo, Ergocalciferolo, Fosfuro di zinco, Norbormide, Scilla rossa, Sodiomono-fluoroacetato, Solfato di Tallio, Stricnina. Sono caratterizzati da importanti inconvenienti che hanno
gradualmente ridotto l'impiego di queste sostanze, ovvero: non dispongono quasi mai di antidoti efficaci, rendendosi
assai pericolosi per la salute dell'uomo e delle altre specie non bersaglio, e anche nei pochi casi in cui esista un
antidoto, la rapida azione di questi principi attivi ne rende molto difficile la somministrazione in tempi utili; tendono a
sviluppare nei roditori una elevata diffidenza per le esche (bait shyness).
• Colecalciferolo e Ergocalciferolo: (vitamina D3, vitamina D2) determinano calcificazione dei tessuti
• Fosfuro di Zinco: rodenticida in disuso; commercializzato in alcuni paesi per la lotta contro talpe (fosfuro di
Al); pH acido libera fosfina (PH3) gas estremamente tossico
• Stricnina: tossina di origine vegetale, altamente tossica (effetti tetano-simili), persistente nell’ambiente;
utilizzata inizialmente come agente disinfestante, oggi il suo utilizzo è illegale.
I rodenticidi ad azione anticoagulante vanno ad inibire l’enzima epossido-reduttasi coinvolto nella reazione di
attivazione della vitamina K. La mancanza di vitamina K ridotta (forma attiva) impedisce di attivare i precursori proteici
della via intrinseca ed estrinseca della coagulazione. Sono composti che si trovano in esche preconfezionate con
l’aggiunta di sulfonamide che potenzia la loro attività anticoagulante inibendo a livello intestinale la crescita dei
microrganismi preposti alla sintesi di vitamina K. Sono polveri inodori e insapori che non inducono bait shyness e
hanno scarsa idrosolubilità. Presentano determinate caratteristiche cinetiche:
1. Assorbimento per osmosi lento ma elevato
2. Lunga persistenza ematica (elevato tenore di legame alle albumine, 98-99%); emivita plasmatica (nel cane) di
14.5 ore per quanto riguarda il warfarin e 140 per il brodifacoum
3. Lento metabolismo ossidativo detossificante
4. Elevata affinità per i recettori epatici
5. Lunga persistenza nel fegato; chlorophacinone ≈ 30gg, difenacoum ≈ 100gg, brodifacoum ≈ 180gg
6. Lenta eliminazione per via urinaria dei composti immodificati e dei metaboliti
Non essendoci nessun effetto diretto sui fattori già circolanti, la comparsa dei sintomi si verifica man mano che viene
consumata la vitamina K accumulata nel fegato, con un ritardo di circa 2-7 giorni dall'assunzione, in dipendenza dalla
quantità assunta e dalle condizioni dell'organismo stesso.
Le conseguenze degli anticoagulanti sono la riduzione progressiva della
concentrazione epatica di vitamina K attiva (esistono scorte sufficienti
per circa 24 ore), la diminuzione progressiva della concentrazione
plasmatica dei fattori PPSB (II, VII, IX e X) attivati (in rapporto all’emivita,
da 6 a 41 ore) ed emorragie gravi anche a seguito di traumatismi di lieve
entità (normali movimenti dell’animale) che si verificano o in seguito ad
esposizioni ripetute o dopo 2-3 giorni dall’ingestione di una singola dose
dei prodotti di seconda e terza generazione.
Le manifestazioni cliniche si hanno 2-10 giorni dopo l’ingestione.
Nella forma acuta, si ha morte improvvisa per emorragie cerebrali,
pericardiche, intratoraciche, addominali.
Nella forma subacuta o cronica, si va incontro ad anoressia,
abbattimento, prostrazione, pallore delle mucose, ipotermia, anemia,
difficoltà locomotorie (emartro, emorragie sottocutanee e intramuscolari), epistassi, ematemesi, melena, ematuria,
emorragie variamente localizzate. Si ha morte o remissione dalla sintomatologia entro 1-10 giorni.
48
Si attua la prevenzione nell’industria alimentare per i seguenti motivi:
• Per garantire la sicurezza per il consumatore e per la tutela del produttore
• L’elevata concentrazione di cibo
• Rimozione e accumulo giornaliero dei residui di lavorazione
• Accumulo di materiali in disuso nelle aree esterne e a ridosso dei muri perimetrali (pancali in legno)
• Complessità strutturali dell’azienda – presenza di passaggi facilitati dall’esterno verso l’interno, macchinari in
disuso, aree verdi nei pressi dell’azienda
• Complessità gestionali dell’azienda (formazione del personale) – deve essere adeguatamente informato e
sensibilizzato sull’importanza di assumere comportamenti che favoriscono l’igiene, la pulizia e l’operato di chi
e è preposto ai lavori di igienizzazione e disinfestazione dei locali
Riguardo alle derrate alimentari, si può parlare di danno
diretto se questo è dovuto al consumo delle derrate
alimentari stesse, o danno indiretto se questo è dovuto al
rilascio di inquinanti (feci, saliva, urine, peli).
Le azioni preventive dall’esterno hanno lo scopo di eliminare fonti di attrazione, siti di penetrazione e di annidamento
e riguardano:
• Il controllo della vegetazione spontanea con tagli frequenti o mediante diserbo chimico per ridurre gli spazi di
ricovero per topi e ratti
• La pavimentazione e il drenaggio delle aree perimetrali esterne in modo da evitare ristagni idrici che attirano
topi e ratti
• Il materiale stoccato provvisoriamente sui piazzali prima di essere portato all’interno dello stabilimento deve
essere ispezionato per evitare il trasporto passivo di topi e ratti
• Rimozione giornaliera dei residui di lavorazione
• Eliminazione di ogni forma di passaggio facilitato tra l’interno e l’esterno dell’azienda
• I macchinari o gli strumenti momentaneamente inutilizzati o fuori produzione devono essere puliti e
protetti onde evitare di diventare oggetto di infestazione
• Manutenzione e pulizia delle aree cortilizie
49
Le azioni preventive dall’interno hanno lo scopo di eliminare fonti di attrazione, siti di penetrazione e di annidamento
e riguardano:
• Eliminazione di ogni forma di passaggio facilitato tra i locali mediante sigillatura delle fessure, dei fori sulle
pareti, delle canaline passacavi; chiusura dei pozzetti di ispezione degli impianti sotterranei; sifonatura degli
scarichi
• I macchinari o gli strumenti momentaneamente inutilizzati o fuori produzione devono essere puliti e
protetti onde evitare di diventare oggetto di infestazione
• Informazione e sensibilizzazione del personale sull’adozione di comportamenti che favoriscono l’igiene e la
pulizia dei locali
• Manutenzione e pulizia ordinaria e straordinaria dei locali
Il monitoraggio degli infestanti si attua attraverso una sistematica ispezione visiva di tutte le aree e locali dello
stabilimento per verificare la presenza di insetti, ragnatele, topi e ratti o materiale rosicchiato, escrementi e altre
tracce di animali. Alla base dell'intero processo rimane il possesso di nozioni relative alla biologia e all’ecologia delle
varie specie, nonché una certa capacità nel riconoscimento visivo delle stesse (l’utilizzo di trappole permette anche la
quantificazione dell’infestante).
Se le misure previste dal metodo H.A.C.C.P. non si sono dimostrate efficaci, si dovranno intraprendere azioni
correttive, quali:
• Interventi di pulizia straordinaria, di manutenzione e ripristino strutturale
• Incremento del numero di trappole di cattura (metodi fisici)
• Trattamento chimico deve essere mirato all’infestante individuato, privilegiando l’uso di prodotti meno tossici
e con modalità atte ad evitare una contaminazione chimica dei prodotti alimentari.
• Dopo ciascun intervento di disinfestazione chimica dovrebbe essere effettuato un intervento di pulizia
straordinaria
IMMUNITA’ E VACCINAZIONE
L’immunità è lo stato di resistenza che un organismo può opporre ad una infezione. Può essere attribuito alla
presenza di anticorpi circolanti e/o di cellule immunocompetenti che possono agire in sinergia. Si distinguono una:
• Immunità naturale - capacità di difesa che un organismo manifesta, in maniera spontanea, nei confronti di
un agente estraneo, indipendentemente da precedenti contatti con esso ed è aspecifica (fagociti,
complemento, lisozima, batteriocine, etc.)
• Immunità acquisita – strettamente specifica (umorale: IgG, IgA, IgM, IgD, IgE – cellulare: linfociti T, linfociti
B). Deriva dall’aver superato una malattia infettiva e può essere ottenuta artificialmente mediante
somministrazione di vaccini, sieri immuni e immunoglobuline. Si chiama attiva quella ottenuta con il
superamento dell’infezione e l’uso dei vaccini e passiva quella ottenuta con la somministrazione di sieri
immuni e gammaglobuline
L’immunoprofilassi o profilassi immunitaria è un intervento di prevenzione delle malattie infettive che ha lo scopo di
proteggere l’individuo sano da determinate infezioni conferendogli uno stato di resistenza specifica nei confronti dei
microrganismi patogeni che le causano. Si divide in profilassi immunitaria attiva (si effettua mediante la
somministrazione di vaccini ed è definita attiva perché il sistema immunocompetente di chi la subisce viene stimolato
50
a produrre anticorpi) e profilassi immunitaria passiva (si effettua mediante la somministrazione di immunoglobuline e
sieri immuni ed è definita passiva perché, con questa pratica, l’organismo riceve anticorpi preformati).
La profilassi immunitaria attiva si identifica con la vaccinazione. I vaccini, somministrati con modalità diverse a
seconda del tipo, hanno lo scopo di attivare il sistema immunitario del soggetto vaccinato che produce anticorpi e
determina uno stato di resistenza specifica verso il microrganismo contro cui è stata eseguita la vaccinazione.
L’immunità si ottiene dopo circa tre settimane dall’assunzione del vaccino (il sistema immunocompetente deve avere
il tempo di riconoscere l’antigene e di predisporre la produzione di anticorpi nei suoi confronti) ma raggiunge il
massimo dopo alcuni mesi. La durata della protezione può variare da circa un anno (vaccino antinfluenzale) a 10 – 20
anni (vaccini contro poliomielite, morbillo, rosolia, etc.). Con il passare del tempo il tasso degli anticorpi circolanti
diminuisce, ma il sistema immunocompetente mantiene la memoria immunitaria e una dose di “richiamo” o dose
“booster” (amplificatore) è sufficiente a riportarlo a livelli ottimali. Dopo una dose di richiamo il massimo della
protezione si ottiene in pochi giorni. La vaccinazione deve essere eseguita quindi, a monte del contagio. La lunga
durata della protezione consente di vaccinare i soggetti subito dopo la nascita e di mantenere, con gli opportuni
richiami, la loro immunità per tutta la vita.
Esiste anche una vaccinazione post-esposizione; riguarda in genere, malattie caratterizzate da un lungo periodo di
incubazione. Esempi di vaccinazione post-esposizione sono:
• protezione dalla rabbia di soggetti che, in zona endemica (Sud Est Asiatico e Africa), sono stati morsicati da
mammiferi selvatici, lupi, volpi, cani randagi. Il lungo periodo di incubazione di questa malattia (quando la
morsicatura non riguarda il capo o i genitali) permette, con la vaccinazione post-esposizione, di ottenere una
risposta immunitaria sufficiente ad impedire che il virus raggiunga il sistema nervoso centrale
• protezione dall’epatite B di soggetti non vaccinati che siano venuti in contatto con sangue infetto o sospetto
tale. Nati da madre HBsAg positive
Nella prevenzione delle malattie infettive la vaccinazione può avere un ruolo decisivo (costituisce cioè la misura
preventiva più efficace – es. tetano, poliomielite, difterite, etc.) o un ruolo ausiliario (di supporto cioè ad altri
interventi di prevenzione. Nel caso, ad esempio, del colera, del tifo, della tubercolosi, la vaccinazione non è la misura
preventiva più efficace; lo sono molto di più gli interventi sulle sorgenti di infezione e sull’ambiente (veicoli). La
vaccinazione è un valido aiuto nel caso di gruppi di popolazione particolarmente a rischio).
La vaccinazione è un provvedimento di massa che può essere applicato estensivamente a tutta la popolazione (polio,
difterite, tetano, epatite B, etc.) oppure in forma selettiva a gruppi di popolazione a rischio (antitifica e antitetanica in
alcune categorie di lavoratori, anti-meningococcica nelle reclute, etc.).
I vaccini sono preparati biologici ad elevato potere antigenico la cui somministrazione determina, nel soggetto
vaccinato, uno stato di immunità attiva nei confronti di specifici microrganismi patogeni che lo protegge dalle
corrispondenti infezioni.
Il primo vaccino, utilizzato su base empirica, fu quello antivaioloso, messo a punto dal medico inglese Edward Jenner
alla fine del XVIII secolo (1796). Jenner aveva notato che i mungitori si ammalavano raramente di vaiolo (malattia che
all’epoca aveva una mortalità del 40%), ma si ammalavano spesso di vaiolo bovino, malattia molto meno grave.
Appurò inoltre che coloro che contraevano il vaiolo bovino non si ammalavano mai di vaiolo classico. In base a queste
osservazioni Jenner prelevò pus da una vescicola di una donna affetta da vaiolo vaccino e lo iniettò nel braccio di un
giovane adulto sano che non aveva mai contratto né il vaiolo classico, né il vaiolo vaccino. Dopo sei settimane allo
stesso soggetto iniettò del pus proveniente una vescicola di una persona affetta da vaiolo e verificò la mancata
insorgenza della malattia. Jenner aveva scoperto uno dei principi fondamentali della immunizzazione: aveva utilizzato
materiale poco virulento (pus del vaiolo vaccino) per indurre una risposta immunitaria in grado di proteggere da una
malattia più grave (vaiolo umano).
Da Jenner in poi si è mantenuto l’uso del termine “vaccinazione” per ogni pratica di immunizzazione attiva contro
specifiche infezioni e del termine “vaccino” per tutti i preparati biologici impiegati a tale scopo.
Jenner per sperimentare il nuovo vaccino decise di somministrarlo al proprio figlio, ma per i diciotto mesi successivi
alla nascita non vi furono casi di cow-pox (vaiolo vaccino), così Jenner decise di provare sul piccolo il grease (vaiolo
equino), ma con risultati non paragonabili a quelli che Jenner aveva ottenuto con l'iniezione del cow-pox. La
dimostrazione che in 23 soggetti era stata ottenuta l’immunizzazione contro lo smallpox (vaiolo), attraverso
l'inoculazione del cow-pox. L’infezione si presentava in forma lieve e durava solo qualche giorno senza gravi
conseguenze. Dalla pubblicazione di questo documento iniziò la pratica della vaccinazione e in soli dieci anni i casi di
vaiolo a Londra si ridussero da 18596 a 182.
È stato necessario arrivare a Louis Pasteur, un secolo dopo Jenner, per avere una spiegazione scientifica
dell’immunizzazione attiva. Con gli studi iniziati nel 1880 sui vaccini contro il colera dei polli, il carbonchio e la rabbia,
51
dimostrò che era possibile ottenere in laboratorio dei microrganismi attenuati nella loro virulenza che non
producessero danni apprezzabili nell’ospite, ma mantenessero la capacità di indurre immunità. Pasteur intuì che
poteva provocare una “malattia in miniatura” (infezione asintomatica) in grado di stimolare il sistema immunitario
come l’infezione naturale senza le conseguenze negative della malattia.
I vaccini a microrganismi vivi attenuati sono costituiti da microrganismi che, pur mantenendo inalterata la capacità di
moltiplicarsi nell’organismo e di stimolare quindi il sistema immunocompetente a produrre anticorpi, non sono in
grado di provocare le manifestazioni cliniche tipiche della malattia. L’attenuazione dei microrganismi e la selezione dei
mutanti avirulenti può essere ottenuta attraverso ripetuti passaggi in terreni colturali o in colture cellulari in
condizioni di sviluppo non ottimali.
Vaccini virali di questo tipo sono:
• Vaccino antipolio orale di Sabin preparato con sospensioni di virus attenuati mediante ripetuti passaggi in
colture cellulari di rene di scimmia. Questi virus perdono la patogenicità per il SNC, ma conservano inalterata
la capacità di moltiplicarsi nel tratto intestinale
• Vaccini contro il morbillo e contro la parotite
preparati con virus coltivati su cellule di tessuto
embrionale di pollo
• Vaccini contro la rosolia e contro la varicella
preparati con virus coltivati su cellule diploidi
umane
Vaccini batterici di questo tipo sono:
• Vaccino BCG (bacillo di Calmette e Guerin) contro
la tubercolosi. Il ceppo batterico utilizzato in
questo vaccino è stato ottenuto da uno stipite di
Mycobacterium bovis, coltivato per 254 passaggi
su patata biliata e glicerinata fino ad ottenere un
mutante attenuato che non è invasivo e si
moltiplica soltanto nel sito di inoculo
• Vaccino anti-tifico Ty 21a. Utilizzando tecniche di
ingegneria genetica è stato ottenuto un ceppo di Salmonella typhi privo dell’enzima galattosio-epimerasi.
Somministrato per via orale stimola l’immunità locale a livello intestinale senza provocare la malattia perché
le cellule batteriche vanno rapidamente incontro ad autolisi per accumulo di galattosio che non può essere
metabolizzato a causa della mancanza dell’enzima idoneo
Il vaccino anti-TBC Bacillus Calmette-Guerin (BCG) previene efficacemente la tubercolosi nei bambini, ma non sempre
negli adulti (efficacia 0-80%). Poiché il vaccino BCG si compone di numerosi ceppi batterici provenienti dalla medesima
fonte, ma cresciuti in differenti laboratori, alcuni ricercatori francesi hanno ipotizzato che le mutazioni genetiche
accumulate durante la coltura in laboratorio in tanti anni abbiano in qualche modo pregiudicato l’efficacia vaccinale: i
ceppi più simili geneticamente alla fonte – e quindi i più efficaci – sono poco utilizzati, a favore dei ceppi 'moderni'
lontanissimi geneticamente dalla fonte e quindi meno efficaci. Sono stati giudicati molto promettenti i risultati dei test
(fase I) condotti sull'uomo di nuovo vaccino contro la tubercolosi, chiamato MVA85A. La risposta immunitaria risulta
superiore del 30% rispetto agli altri vaccini (notevole quantità di cellule T e nessuna reazione avversa) e i risultati
ancora migliori tra i soggetti che in passato erano stati vaccinati con il BCG.
Quando l’attenuazione della virulenza di un microrganismo
risulta difficile da ottenere, si ricorre alla preparazione di vaccini
costituiti da virus o batteri uccisi con mezzi fisici (calore, raggi
UV) o con mezzi chimici (formolo, fenolo, acetone, betapropiolattone) che mantengono inalterata l’integrità antigenica.
Questi sono detti vaccini a microrganismi inattivati.
Sono vaccini virali di questo tipo:
• Vaccino antirabbico costituito da virus coltivati in uova
embrionate di anatra o cellule diploidi umane e
sottoposti ad essiccamento
• Vaccino antinfluenzale (non più in uso)
• Vaccino antipolio di Salk costituito da virus coltivati in
rene di scimmia e inattivati con formolo
• Vaccino antiepatite A costituito da virus coltivati su
cellule diploidi umane e inattivati con formalina (250mg/ml per 15 giorni a 37°C)
52
Sono vaccini batterici di questo tipo:
• Vaccino antipertossico (non più in uso)
• Vaccino anticolerico costituito da V. cholerae inattivato con calore e/o formolo
• Vaccino antitifo-paratifico ormai sostituito dal vaccino a batterei vivi attenuati e da quello costituito dal solo
antigene Vi
Alcuni vaccini inattivati provocano spesso reazioni indesiderate al punto di inoculo o reazioni di tipo generale. Si
utilizzano allora i vaccini “split” costituiti da microrganismi frammentati attraverso trattamenti chimici. Ne è un
esempio il vaccino antinfluenzale. Il vaccino “split” è meno reattogeno di quello a virus interi uccisi e sufficientemente
immunogeno: conserva tutte le proteine dotate di attività antigenica (emoagglutinina, neuraminidasi, proteina M e
nucleoproteine) elimina i lipidi dell'involucro virale garantendo una maggiore tollerabilità.
Per alcuni microrganismi, utilizzati nei vaccini ad antigeni microbici purificati, sono gli antigeni di superficie
(responsabili della virulenza) che stimolano il sistema immunocompetente dell’ospite a produrre anticorpi. L’uso di
questi antigeni purificati nella preparazione dei vaccini offre il vantaggio di poter utilizzare un prodotto nel quale
mancano tutte le altre componenti tossiche dei microrganismi (eliminate dalla purificazione). In questo modo si
riducono notevolmente le reazioni indesiderate. Fanno parte di questa categoria:
• Vaccino antinfluenzale a subunità – costituito da due antigeni di superficie purificati, emoagglutinina e
neuraminidasi, essenziali al virus influenzale per infettare l’epitelio delle vie respiratorie. L’emoagglutinina
permette alle particelle virali di aderire alle cellule dell’epitelio e di inoculare in esse il loro RNA; la
neuroaminidasi favorisce la liberazione delle nuove particelle virali riprodottesi a scapito delle cellule
epiteliali
• Vaccino anti-meningococcico – costituito da polisaccaridi capsulari di Neisseria meningitidis sierogruppo C (3
dosi nel primo anno) oppure sierogruppi A, C, W135, Y, (viaggi in aree endemiche) coniugato con la proteina
CRM 197 (tossina difterica mutata, non più capace di bloccare la sintesi proteica, fortemente immunogena)
del bacillo difterico per potenziare la stimolazione del sistema immunitario timo-dipendente. Eccipienti:
mannitolo, sodio fosfato, cloruro di sodio, idrossido di alluminio). È stato recentemente introdotto il vaccino
MEN-B (reverse vaccinology)
• Vaccino anti-pneumococcico – costituito da polisaccaridi capsulari di 13 sierogruppi di Streptococcus
pneumoniae (1,3,4,5,6A,6B,7F,9V,14,18C,19A,19F,23F = PVC13) responsabili della maggior parte delle
infezioni più gravi nei bambini, adiuvato con fosfato di alluminio e coniugato con la proteina CRM 197 (timodipendente) ha sostituito il PVC7 e viene somminoistrato in 3 dosi entro il primo anno. Il 23-valente è
utilizzabile soltanto nei bambini sopra i due anni e negli adulti (over 65), non coniugato, non timo-dipendente
• Vaccino anti-pertosse acellulare – contenente la tossina purificata detossificata associata ad uno o più
antigeni di superficie di Bordetella pertussis (emoagglutinina filamentosa, pertactina, fimbrie). Adiuvante Sali
di idrossido di alluminio
• Vaccino anti-epatite B – costituito dall’antigene di superficie del virus B dell’epatite, in passato
plasmaderivato, oggi ottenuto mediante la tecnica del DNA ricombinante
• Vaccino anti-Heamophilus influenzae tipo b – costituito dal polisaccaride capsulare purificato coniugato a
CRM197
• Vaccino antitifico – costituito dall’antigene di superficie Vi di Salmonella typhi può essere utilizzato in
alternativa al vaccino costituito da microrganismi vivi attenuati
Il tradizionale vaccino antinfluenzale preparato col virus intero ucciso è stato abbandonato per la tollerabilità poco
soddisfacente ed è stato sostituito da vaccini a virus inattivato e disgregato (split) o a virus inattivato e ridotto alle sole
proteine di superficie H ed N (sub-unità). Questi prodotti sono risultati meglio tollerati, anche se la purificazione può
incidere negativamente sul potere immunogeno del vaccino. In questo caso vengono utilizzati degli adiuvanti
(microemulsione in acqua di squalene).
I vaccini costituiti da anatossine o tossoidi vengono utilizzati per le
malattie sostenute da microrganismi produttori di esotossine. Le
anatossine sono i derivati formolati delle tossine; il formolo infatti è in
grado di privare le esotossine del loro potere tossico senza modificare
quello antigenico. Il metodo di preparazione delle anatossine prevede
un abbondante sviluppo in terreno liquido (brodocoltura) del
microrganismo con conseguente produzione di notevoli quantità di
esotossina. Questa viene separata dai corpi batterici per filtrazione e
addizionata di formolo (0,4%). Dopo un mese di incubazione della
53
miscela tossina+formolo a 38°–40°C la tossina avrà perso totalmente la tossicità, ma non il potere antigenico. Le
anatossine sono composti totalmente atossici, irreversibili, dotati di notevole stabilità che si conservano inalterate per
lungo tempo anche a temperatura ambiente. Comunemente utilizzate nella pratica vaccinale sono l’anatossina
difterica e l’anatossina tetanica, ottenute per inattivazione con formaldeide e purificazione delle tossine prodotte
rispettivamente da Corynebacterium diphteriae e da Clostridium tetani.
Le tecniche dell’ingegneria genetica consentono di individuare i determinanti genetici degli antigeni di superficie di
virus, batteri e protozoi, di clonarli e di produrli in grandi quantità e con qualità costante in ospiti diversi dal
microrganismo originale. Il vaccino anti-epatite B è stato il primo vaccino virale prodotto con queste tecniche: il gene
che codifica per la produzione dell’antigene HBs è stato introdotto attraverso plasmide in cellule di Saccharomyces
cerevisiae, lievito di facile coltura. L’antigene prodotto nel lievito, estraibile senza difficoltà, è del tutto identico
all’antigene HBs presente nel plasma di portatori cronici e utilizzato, in passato, nella preparazione dei vaccini antiepatite di prima generazione. Anche gli antigeni contenuti nel vaccino acellulare anti-pertosse si ottengono con
questo tipo di tecnica. Richiedono gli adiuvanti e dosi ripetute.
La capsula polisaccaridica del MenB è un “self antigen”, è un polimero dell’acido polisialico presente anche nelle
glicoproteine di adesione CAM (Cell Adhesion Molecules), espresse nel periodo pre-e post-natale e dai tessuti
neuronali adulti. Gli approcci per la creazione del vaccino basati su questo componente possono dare autoimmunità.
Vaccini preparati da altri antigeni purificati hanno dato immunità solo verso i ceppi specifici.
Il 14 gennaio 2013 la Commissione Europea ha rilasciato un’autorizzazione all’immissione in commercio per il nuovo
vaccino MenB. Questo è un vaccino multicomponente composto da tre proteine antigeniche ricombinanti purificate
di Neisseria meningitidis sierogruppo B e da vescicole della membrana esterna (OMV) del batterio.
In dettaglio, il vaccino contiene:
• Proteina legante il fattore H del complemento umano (fHbp o proteina 936-741) di MenB, ottenuta mediante
tecnologia di DNA ricombinante, fusa con la proteina accessoria GNA2091.
• Proteina di adesione A (NadA o proteina 961c) di MenB, ricombinante.
• Antigene di fusione legante l’eparina (NHBA o proteina 936-741) di MenB ricombinante, fusa con la proteina
GNA1030.
• Vescicole della membrana esterna di MenB, ceppo NZ98/254 misurate come quantità di proteina totale
contenente PorA P1.4.
L’efficacia non è stata direttamente valutata mediante sperimentazioni cliniche ma è stata dedotta attraverso l’analisi
delle risposte anticorpali (titolo Ab >1:4 in grado di uccidere più del 50% dei batteri, è un buon surrogato
dell’immunità protettiva associata con la malattia naturale).
Nei vari studi che sono stati condotti, la reazione avversa più rilevante è stata la febbre: nei bambini vaccinati a 2, 4 e
6 mesi di età, la febbre è stata riportata dal 69%-79% dei vaccinati con 4CMenB insieme ai vaccini di routine rispetto al
44%-59% nei gruppi che avevano ricevuto solo vaccini di routine. Alcuni bambini sono stati ricoverati in ospedale a
causa della febbre successiva alla vaccinazione con 4CMenB. Un indolenzimento grave in sede di iniezione, con
gonfiore e indurimento, è stato riportato nel 12%-16% dei bambini vaccinati rispetto all’1%-3% dopo le vaccinazioni di
routine. Le reazioni avverse gravi considerate potenzialmente correlate alla vaccinazione sono state: 4 crisi convulsive
(1 febbrile), 1 caso di sindrome di Kawasaki, 1 meningite asettica, 1 perdita transitoria di udito, 1 apnea transitoria, 1
sinovite transitoria dell’anca, 1 distrofia retinica, 1 ipotonia-iporesponsività.
Nel vaccino virosomale gli antigeni virali sono incorporati nel doppio strato lipidico di liposomi, particelle che si
formano per idratazione dei fosfolipidi e che consentono al vaccino di ottenere un effetto immunogenetico ottimale
senza particolari problemi di "reattogenesi". Mimano sia la morfologia virale che la presentazione naturale degli
antigeni al sistema immunitario, con conseguente elevata immunogenicità. I virosomi offrono il vantaggio di un'innata
assenza di tossicità; sono inoltre biologicamente degradabili, non contengono adiuvanti e consentono una
presentazione naturale degli antigeni al sistema immune.
Il vaccino antinfluenzale adiuvato con MF59 è costituito dalla combinazione di un vaccino a subunità con
un'emulsione in acqua di olio a base di squalene, denominata MF59. Questo agisce come adiuvante, stimolando la
risposta umorale e cellulare agli antigeni presenti nella sospensione (“immunizzazione attiva contro l'influenza negli
anziani > 65 anni d'età”). Il vaccino antinfluenzale virosomale, invece, è costituito da vescicole del diametro di 150 nm
ottenute dalla combinazione degli antigeni virali con fosfolipidi. Gli antigeni vengono intercalati nel doppio strato
fosfolipidico e vengono così presentati in modo più naturale rispetto agli altri adiuvati. In effetti è stato recentemente
dimostrato che questo vaccino è in grado di stimolare anche nell'anziano la risposta non solo di tipo umorale ma
anche di tipo cellulo-mediata (timo-dipendente), nonostante la sensibile riduzione di efficienza di questo tipo di
immunità nei soggetti di età avanzata.
54
Contro l’HPV (Human Papilloma Virus) sono due i vaccini disponibili,
costituiti da Virus-like particles (VLP):
• Contro i quattro tipi di papillomavirus (6, 11, 16, 18)
responsabili del 90% dei polipi uterini (condilomi) e del 70%
dei tumori del collo dell’utero
• L’altro protegge dai due virus più comuni e pericolosi (16 e
18)
• Prevalenza del 97-99.7% di DNA di HPV nei carcinomi della
cervice
• Il vaccino stimola la risposta immunitaria nei confronti delle oncoproteine virali con lo scopo di indurre
l’eliminazione dei virus in replicazione o di eradicare tumori indotti dall‘HPV (uso terapeutico)
L’HPV è un virus a DNA, circondato da un capside di natura proteica. Le proteine capsidiche maggiori (L1) dei genotipi
6, 11, 16 e 18 costituiscono il principio attivo della preparazione vaccinale. Le proteine purificate vengono raccolte in
particelle virus-simili (VLPs). La somiglianza è tale che l’organismo non ha difficoltà a riconoscerle e il vaccino,
iniettato, è in grado di suscitare gli anticorpi protettivi. Più esattamente, l’inoculazione delle proteine L1 purificate dei
4 genotipi (6, 11, 16, 18), assemblate in particelle virus-simili (VLPs), suscita la produzione di anticorpi protettivi contro
queste proteine. Gli anticorpi si allineano intorno alle cellule staminali nello strato più esterno del rivestimento della
cervice (dove il cancro inizia a svilupparsi), aggredendo l’HPV prima che possa infettarle.
Le virus-like particles, ottenute ricombinanti il lievito, Baculovirus/cellule di insetto, rappresentano l’attuale vaccino
profilattico: non sono né infettive né oncogeniche.
Per via orale vengono somministrati il vaccino antipolio di Sabin e quello antitifico Ty 21a, entrambi costituiti da
microrganismi vivi attenuati che si riproducono a livello della mucosa intestinale e stimolano l’immunità locale
cellulomediata e la produzione di IgA secretorie creando una immunità di barriera che impedisce, già in questa sede,
l’attecchimento dei patogeni.
La somministrazione per via parenterale prevede l’inoculazione intramuscolare (es. DTP, vaccino anti-epatite A e B,
vaccino anti-influenzale, etc.), sottocutanea (es. MPR, vaccino contro la febbre gialla, etc.) o intradermica (es. BCG,
etc.). Per l’inoculazione intramuscolare, il sito da preferire è il deltoide (la coscia nel lattante). La regione deltoidea è
indicata anche per l’iniezione sottocutanea negli adulti e nei bambini.
Alcuni vaccini richiedono l’assunzione di una sola dose per instaurare un adeguato stato di immunità; sono in genere
quelli costituiti da microrganismi vivi attenuati che hanno la possibilità di moltiplicarsi nell’organismo ospite e di
stimolare il sistema immunocompetente come un’infezione naturale. Per altri vaccini è necessaria la somministrazione
di più dosi ad intervalli di tempo stabiliti per ottenere una solida immunità.
Il sistema immunitario ha la capacità di riconoscere e di reagire contemporaneamente a diversi stimoli. È perciò
possibile somministrare preparazioni vacciniche combinate (= diversi antigeni somministrati assieme nella stessa
iniezione), contenenti antigeni diversi. Esempi:
• Vaccino combinato contro difterite + tetano + pertosse (DTP)
• Vaccino combinato contro difterite + tetano + pertosse + epatite B (DTP-HB)
• Vaccino combinato contro epatite B + epatite A (inattivato e purificato)
• Vaccino combinato contro morbillo + parotite + rosolia (MPR)
• Vaccino combinato contro difterite + tetano + pertosse (acellulare) + poliomielite (inattivato) + Haemophilus
influenzae tipo b
• Vaccino combinato contro difterite + tetano + pertosse (acellulare) + poliomielite (inattivato) + epatite B +
Haemophilus influenzae tipo b
I vaccini combinati permettono di somministrare più vaccini con una sola iniezione: riducendo il numero di iniezioni, si
ha una maggiore adesione ai vaccini raccomandati. A volte si applicano per la mancata disponibilità dei vaccini singoli
(es. rosolia) per fattori di mercato.
Quando vaccini diversi non possono essere combinati in un’unica preparazione perché incompatibili o perché
richiedono vie di somministrazione diverse, è possibile, in una stessa seduta, eseguire più vaccinazioni (vaccinazioni
associate o co-somministrazione = vaccini somministrati nella stessa sessione con iniezioni diverse).
Le co-somministrazioni più frequentemente utilizzate e per le quali sono presenti in letteratura dati specifici sono:
• Vaccino coniugato contro pneumococco + vaccini esavalenti,
• Vaccino coniugato contro pneumococco + vaccino MPR,
• Vaccino coniugato contro il meningococco C + vaccino esavalente,
55
• Vaccino coniugato contro il meningococco C + vaccino MPR,
• Vaccino MPR + vaccino esavalente,
• Vaccino coniugato contro pneumococco + vaccino coniugato contro il meningococco C
L’indicazione all’associazione di più vaccini nella stessa seduta deve essere il risultato di attenti studi, atti a stabilire il
mantenimento della stessa immunogenicità e della stessa reattogenicità che si riscontra quando i vaccini siano
somministrati separatamente. Ricorrere alla co-somministrazione di più vaccini, pur migliorando la compliance e
quindi aumentando la copertura vaccinale, rende necessario valutare la possibilità di un peggioramento della
tollerabilità (cioè una maggiore reattogenicità) e/o di una riduzione dell’immunogenicità di uno o più di essi.
Il successo di una vaccinazione dipende dalla immunogenicità del preparato utilizzato e dalla capacità del soggetto
vaccinato di rispondere allo stimolo vaccinale. L’intensità e la durata della risposta immunitaria dei vaccini che non
contengono microrganismi vivi (che possono replicarsi nel soggetto vaccinato) possono essere potenziate dagli
adiuvanti (idrossido o fosfato di alluminio, sostanze oleose, etc.), molecole che hanno la capacità di adsorbire gli
antigeni solubili (anatossine) e quelli virali. Queste sostanze legate
agli antigeni determinano la formazione di un deposito nel sito di
inoculazione dal quale l’antigene viene rilasciato molto
lentamente aumentando così la sua persistenza nell’organismo.
Gli adiuvanti, inoltre, stimolano direttamente l’attività e lo
sviluppo delle cellule immunocompetenti. Associare un adiuvante
ad un vaccino ha lo scopo di aumentare l’immunogenicità del
vaccino (capacità di conferire protezione) e potenziare la risposta
del soggetto vaccinato. In tal modo può essere ridotto il numero
delle inoculazioni e diminuire la frequenza delle dosi “booster”.
L’efficacia protettiva assicurata dai vaccini è simile a quella che segue il superamento della malattia; in alcuni casi (es.
tetano, forme invasive da Hib) è addirittura maggiore. La somministrazione di tutte le dosi previste da un ciclo
vaccinale, nonché di richiami a cadenza periodica, assicura la validità della risposta immunitaria conferita dalla
vaccinazione e la sua durata nel tempo. L’efficacia dei vaccini non è assoluta e nessun vaccino è efficace al 100%.
Anche quando tutte le dosi previste sono state regolarmente somministrate, non tutti i soggetti vaccinati risultano
completamente protetti contro la malattia. La maggior parte dei vaccini utilizzati risulta efficace nell’85-95% dei
riceventi. La vaccinazione, oltre a proteggere i soggetti immunizzati, determina una riduzione del numero di
suscettibili alla malattia e una diminuzione della circolazione dell’agente eziologico nella popolazione. I programmi di
vaccinazione determinano quindi anche una protezione della popolazione generale che viene definita “herd
immunity” o immunità di gruppo. Per effetto dell’immunità di branco le campagne di vaccinazione hanno un’efficacia
nettamente superiore alla efficacia protettiva data dalla vaccinazione del singolo.
La copertura vaccinale è la proporzione di soggetti vaccinati rispetto alla
popolazione da vaccinare (popolazione target). Un’elevata copertura
vaccinale per una specifica malattia riduce la circolazione dell’agente
eziologico della malattia: si ha una protezione di gruppo, e anche i non
vaccinati non vengono infettati.
L’innocuità consiste nella incapacità di provocare malattia. Nel caso di
vaccini contenenti microrganismi vivi attenuati, si deve avere la garanzia
che il microrganismo inoculato non possa riacquistare le sue
caratteristiche di virulenza e che non possa essere trasmesso da un
soggetto vaccinato ad uno non vaccinato. Nel caso di anatossine e di
vaccini contenenti microrganismi uccisi e antigeni purificati si deve avere la certezza che la loro inoculazione non
produca effetti tossici, fenomeni di sensibilizzazione, reazioni indesiderate tanto gravi da renderne pericoloso l’uso.
La somministrazione del vaccino non deve indurre effetti collaterali sproporzionati rispetto ai vantaggi. Questa
caratteristica del vaccino è detta tollerabilità.
La sicurezza dei vaccini si basa su alcuni parametri fondamentali:
• I vaccini vengono autorizzati dal Ministero della Salute dopo il superamento dei controlli di efficacia,
sicurezza, tollerabilità
56
•
•
•
I vaccini, prodotti in officine farmaceutiche autorizzate e ispezionate periodicamente, vengono preparati e
controllati secondo metodiche di fabbricazione validate a livello internazionale
I vaccini sono sottoposti a controllo di stato prima dell’immissione in commercio ed a controlli successivi ogni
volta si renda necessario
I vaccini devono essere somministrati da personale qualificato nel rispetto delle norme di buona pratica
(conservazione appropriata, utilizzo di materiale per iniezione sterile, rispetto delle vie e delle sedi di
inoculazione prescritte) e dopo un’attenta valutazione delle eventuali controindicazioni definitive o
temporanee
Le controindicazioni temporanee (= situazioni transitorie che fanno escludere la vaccinazione per il solo periodo di
tempo in cui sono presenti) alla somministrazione dei vaccini sono:
• Malattie acute con febbre di grado elevato
• Somministrazione nei 30 giorni precedenti di un vaccino a virus vivi attenuati (controindicazione alla
somministrazione di un altro vaccino a virus vivi attenuati)
• Terapia con farmaci che agiscono sul sistema immunitario o con cortisonici a dosi elevate
Le controindicazioni definitive, invece, riguardano i soggetti che:
• Hanno manifestato gravi reazioni a precedenti vaccini
• Sono affetti da malattie neurologiche in evoluzione
• Sono affetti da malattie congenite del sistema immunitario
• Sono allergici alle proteine dell’uovo (se il vaccino ne contiene)
• Sono allergici ad alcuni antibiotici quali streptomicina e neomicina (se il vaccino ne contiene)
Per i soggetti affetti da malattie quali leucemie, tumori, AIDS, la situazione deve essere valutata caso per caso.
Le precauzioni non rappresentano vere e proprie
controindicazioni, ma vanno tenute in debita considerazione
all’atto della vaccinazione:
• Reazioni febbrili importanti ad una precedente dose dello
stesso vaccino
• Episodi di irritabilità manifestati in seguito a precedenti
vaccinazioni
• Presenza, nella storia della famiglia, di convulsioni febbrili
• Somministrazione recente di immunoglobuline
I vaccini, pur preparati, controllati e somministrati correttamente, come tutti i farmaci possono essere responsabili di
effetti indesiderati. Si possono avere effetti collaterali oppure complicanze/reazioni avverse.
Gli effetti collaterali sono spesso inevitabili, ma, nella maggior parte dei casi, di entità molto lieve e durata limitata.
Possono essere:
• Reazioni locali dovute a componenti tossiche del vaccino, sono limitate al punto di inoculo e consistono in
gonfiore, arrossamento, dolenzia; sono relativamente frequenti con i vaccini costituiti da microrganismi uccisi
quali l’anticolerigeno, più rari dopo l’inoculazione di DTP
• Reazioni generali comprendono manifestazioni quali febbricola, anoressia, malessere generale, tumefazione
dei linfonodi
• Reazioni allergiche causate da residui di proteine estranee, antibiotici o sostanze stabilizzanti; sono molto
rare e possono essere evitate informandosi sulla eventuale ipersensibilità del soggetto da vaccinare
Secondo l’OMS, si definisce reazione avversa alla vaccinazione “qualsiasi situazione peggiorativa dello stato di salute
di un individuo che è stato recentemente sottoposto a vaccinazione”. Tale definizione comprende eventi coincidenti e
57
non causati dalla vaccinazione. Possono essere lievi e comuni o non comuni e gravi, e possono essere distinte
ulteriormente in locali o generali.
Secondo la Normativa Italiana (D.Lgs. n° 95 dell’8/04/03) si definisce come reazione avversa una risposta ad un
farmaco nociva e non intenzionale, mentre una reazione avversa grave è una qualsiasi reazione che provoca la morte
di un individuo o ne mette in pericolo la vita; una reazione avversa inattesa, infine, è una reazione avversa la cui
natura, gravità o conseguenza non è coerente con il riassunto delle caratteristiche del prodotto.
Le complicanze o reazioni avverse sono reazioni gravi, del tutto eccezionali (a 1 si 100.000 a 1 su 1.000.000 di dosi), e
comprendono encefaliti, meningiti, paralisi flaccide, convulsioni, shock anafilattico.
Il vaccino anti-polio Sabin è stato associato a paralisi da vaccino in 1 caso su 650.000 per la prima dose e 1 caso su
milioni per le dosi successive, per evitare tale rischio è stato introdotto il nuovo calendario vaccinale.
REAZIONI AVVERSE AL VACCINO MPR (Morbillo-Parotite-Rosolia)
• Eventi comuni dopo 7-14 gg: febbre 5-15%, rash cutaneo 5%, tumefazione parotidea 1-2%
• Eventi rari: convulsioni febbrili 1 su 30.000, trombocitopenia (entro 2 mesi) 1 su 30.000
Le reazioni avverse sono conseguenza della replicazione del virus vivo attenuato nei soggetti più suscettibili. In ogni
caso la frequenza di reazioni avverse è minore dopo somministrazione della seconda dose (4-5 anni) e i soggetti che
hanno già avuto la malattia, non hanno un rischio aumentato di reazioni avverse al vaccino.
Le controindicazioni all’uso di vaccini vivi attenuati secondo le direttive dell’OMS:
• Deficit immunitari come immunodeficienza combinata, agammaglobulinemia, ipogammaglobulinemia
• Immunosoppressione dovuta a patologie maligne come linfoma di Hodgkin, altri tumori del sistema reticoloendoteliale, leucemia
• Ai soggetti HIV positivi asintomatici o sintomatici possono essere somministrati vaccini a virus vivi come il
morbilloso perché in questi soggetti il rischio di contrarre la malattia è maggiore rispetto al rischio associato
al vaccino. Il vaccino antipolio orale può essere sostituito dal vaccino antipolio inattivato
• Nei soggetti HIV positivi sicuramente asintomatici il BCG è ammesso laddove il rischio di tubercolosi è
elevato. Ai soggetti HIV positivi sintomatici il BCG non dovrebbe essere somministrato
• Il BCG non dovrebbe essere somministrato a soggetti con altri difetti della immunità cellulo-mediata
• Nei bambini conviventi con soggetti affetti da immunodepressione deve essere evitata la vaccinazione con
antipolio di Sabin
Non ci sono controindicazioni per la vaccinazione della donna in gravidanza per vaccini inattivati o a subunità.
58
Le strategie di vaccinazione sono il calendario delle vaccinazioni, le vaccinazioni di massa, le giornate nazionali di
vaccinazioni (influenza), le vaccinazioni di recupero (catch up) e le vaccinazioni di contenimento (mopping up).
Vaccinazioni obbligatorie nell’età evolutiva in Italia:
• Antidifterica – obbligatoria con Legge 6.6.1939
• Antitetanica – già obbligatoria per i militari, fu resa obbligatoria per altre categorie a rischio con Legge
5.3.1963, obbligatoria per tutti i nuovi nati con Legge 20.3.1968 e modificata con Legge 27.4.81
• Antipolio – obbligatoria con vaccino Salk dal marzo 1964; utilizzazione del vaccino Sabin con Legge 4.2.1966,
DM 25.5.1967 e DM 14.1.1972; vaccinazione sequenziale (2 somministrazioni di vaccino inattivato seguite da
2 somministrazioni di vaccino attenuato) con DM 7.4.1999; somministrazione di 4 dosi di vaccino inattivato
con DM 18.6.2002
• Anti-Epatite B – obbligatoria con Legge 27.5.1991 per tutti i nuovi nati e per tutti i soggetti al 12° anno di età
limitatamente ai 12 anni successivi all’entrata in vigore della legge
Vaccinazioni raccomandate nell’età evolutiva:
• Vaccinazione contro la pertosse (vaccino acellulare contenente la tossina detossificata e antigeni di
superficie)
• Vaccinazione contro il morbillo (vaccino a virus vivi attenuati coltivati su cellule di tessuto embrionale di
pollo)
• Vaccinazione contro la parotite (vaccino a virus vivi attenuati coltivati su cellule di tessuto embrionale di
pollo)
• Vaccinazione contro la rosolia (vaccino a virus vivi attenuati coltivati su cellule diploidi umane)
• Vaccinazione contro le forme invasive da Haemophilus influenzae tipo b (Hib) (vaccino costituito da
polisaccaride capsulare purificato)
• Vaccinazione contro la varicella (vaccino a virus vivi attenuati)
• Vaccinazione contro le forme invasive da pneumococco (Streptococcus pneumoniae) (vaccino costituito dai
polisaccaridi capsulari)
• Vaccinazione contro le forme invasive di Neisseria meningitidis sierogruppo C, B (vaccino costituito da
polisaccaride capsulare)
I provvedimenti in caso di inosservanza delle vaccinazioni obbligatorie possono essere sanzioni amministrative (L.
689/81 – a coloro che risultano iscritti al registro degli inadempienti del Servizio Igiene e Sanità Pubblica; la sentenza
n. 132/92 della Corte costituzionale ha stabilito che il rifiuto per motivi ideologici a vaccinazioni obbligatorie per legge
deve dare adito a sanzioni amministrative), inammissibilità scolastica o segnalazione alla Magistratura Minorile.
D.Lgs. 81/2008: In tutte le categorie professionali per le quali la vaccinazione è obbligatoria per legge, ma anche in
ogni situazione in cui sia stata valutata dal datore di lavoro l'esistenza di un rischio, questi deve disporre ed imporre la
vaccinazione esattamente come per tutte le altre misure antinfortunistiche rispondendone, in caso di inadempienza
formare o di insorgenza di malattia, anche penalmente. La vaccinazione può essere eseguita direttamente dal datore
di lavoro a mezzo del Medico Competente o mediante le strutture degli uffici di igiene delle Asl locali (non più
gratuite). Fatta eccezione per alcune rare controindicazioni mediche (allergie specifiche al vaccino), il rifiuto di
sottoporsi alla vaccinazione comporta inevitabilmente la formulazione di un giudizio di non idoneità (temporanea o
permanente) alla mansione specifica e a tutte le mansioni in cui vi è rischio. Questo può costituire motivo di sanzioni
disciplinari idonee a convincere il lavoratore a sottoporsi alla vaccinazione ricorrendo, in caso dì persistenza nel
rifiuto, fino al licenziamento per giusta causa.
In Toscana c’è stato un allargamento dell’età previste nel calendario: dalla nascita alla fanciullezza, all’adolescenza,
all’adulto, fino all’anziano. La cultura vaccinologica, di cui il calendario è l’espressione diretta, non permette più di
considerare la vaccinazione come unico appannaggio dell’età evolutiva. Il calendario regionale deve pertanto
comprendere tutte le età, anche quelle fino a oggi inspiegabilmente trascurate. Oltre alla tabella riguardante i nuovi
nati e i bambini (0/14 anni), è stata predisposta la tabella per le vaccinazioni degli adolescenti, adulti ed anziani.
Sono state inserite tutte le vaccinazioni raccomandate che, per i nuovi nati, erano già presenti nel calendario
nazionale. È stata inoltre eliminata definitivamente la vecchia suddivisione delle vaccinazioni in obbligatorie e
raccomandate, priva oggi di ogni significato, sia teorico che pratico. Si ha una cadenza degli appuntamenti per l’offerta
dei vaccini combinati e per le co-somministrazioni.
Gli obiettivi dei programmi vaccinali sono il contenimento (riduzione della malattia a livelli tali da non costituire più
un problema per la sanità pubblica; può essere ottenuto vaccinando soltanto i soggetti a rischio), l’eliminazione
(scomparsa della malattia infettiva in un’area geografica determinata in seguito alla drastica riduzione della
59
circolazione dell’agente eziologico) e l’eradicazione (eliminazione permanente e definitiva della malattia e del suo
agente eziologico da tutto il mondo; possibile per malattie ad esclusivo serbatoio umano).
Fino ad ora sono stati raggiunti: l’eradicazione del vaiolo, l’eliminazione della poliomielite, l’eliminazione della difterite,
il controllo del tetano neonatale e il controllo dell’epatite B nell’infanzia.
• La vaccinazione antivaiolosa è stata abolita in Italia con Legge 6.8.1981 in seguito alla certificazione di
a
eradicazione mondiale del vaiolo presentata e approvata l’8 maggio 1980 alla 33 Assemblea dell’OMS.
• Il programma per l’eradicazione mondiale della poliomielite ha preso il via nel 1988 quando i casi di polio
paralitica erano più di 350.000 in 125 paesi del mondo. Tale programma ha consentito di ridurre
notevolmente la circolazione dei poliovirus selvaggi, che rimane oggi confinata a non più di 10 paesi
dell’Africa e del sub-continente indiano. Nel 2000 i casi di polio paralitica registrati a livello mondiale sono
stati 2979, ridotti a 784 nel 2003. La certificazione dell’eradicazione mondiale della polio potrebbe avvenire
entro breve tempo. Il 21 giugno 2002, nel corso del 14° Meeting della Commissione Regionale di
Certificazione a Copenaghen, presso la sede dell’OMS, è stato siglato l’atto finale che dichiara ufficialmente la
Regione Europea “polio-free”. Gli 837 milioni di persone che vivono nei 51 Stati Membri della Regione sono
infatti liberi da poliomielite da più di tre anni. L’ultimo caso è stato infatti registrato in Turchia nel 1998 in un
bambino di 33 mesi, non vaccinato. Questo importante risultato è stato ottenuto grazie alla messa in atto di
strategie basate sulla vaccinazione e sulla sorveglianza che hanno permesso di bandire i poliovirus selvaggi
dalla regione europea. La Regione Europea si affianca così alla Regione delle Americhe e alla Regione del
Pacifico Occidentale che sono state dichiarate libere da polio rispettivamente nel 1994 e nel 2000.
• L’ultimo caso di difterite in età pediatrica in Italia (peraltro in una bambina non vaccinata) risale al 1991.
• Copertura vaccinale media (a 2 anni) del tetano in Italia del 94.8%, con un minimo di 88.6% in Campania e un
massimo del 100% in Val d’Aosta
Gli obiettivi ancora da raggiungere sono: l’eradicazione della poliomielite, l’eliminazione/eradicazione del morbillo,
l’eliminazione della rosolia congenita, il controllo della parotite, il controllo della pertosse, il controllo delle infezioni
invasive da Hib, il controllo delle infezioni invasive da S. pneumoniae, il controllo dell’influenza.
Il calendario vaccinale è la successione cronologica con cui devono essere effettuate le vaccinazioni dei bambini e
degli adolescenti, a partire dalla nascita fino all’adolescenza. Nella stesura del calendario vaccinale bisogna tenere
conto dei seguenti fattori:
• Fattori epidemiologici – età di acquisizione della malattia, complicanze tipiche dell’età, effetti collaterali del
vaccino a seconda dell’età, aumento di sierotipi invasivi (anti-pneumococcico) non contenuti nel vaccino (es.:
nei paesi in via di sviluppo il vaccino contro il morbillo si somministra sotto l’anno di età perché la malattia
costituisce una importante causa di morte a questa età; le
conseguenze della malattia da Hib sono particolarmente
gravi nel primo anno di vita per cui si preferisce
somministrare tre dosi nel primo anno anziché una sola nel
secondo)
• Fattori immunologici – maturità sistema immunitario,
clearance anticorpi materni, numero di dosi e intervalli
necessari per ottenere una adeguata copertura, durata
della protezione, compatibilità dei diversi vaccini (es.: i
vaccini contro morbillo, parotite, rosolia, Hib, menC
conferiscono una migliore protezione se somministrati
dopo il primo anno di età)
• Fattori pratici – n° di vaccini da somministrare, disponibilità di vaccini combinati, n° di sedute
1999: MPR / 2008: MPRV
vaccinali, conservabilità del vaccino
Il calendario delle vaccinazioni deve essere uno strumento flessibile e continuamente aggiornato.
60
Dopo 3 anni dall’implementazione del vaccino tetravalente MPRV (Morbillo-Parotite-Rosolia-Varicella), entrato in
vigore il 1 luglio 2008, l’incidenza della varicella si è ridotta del 43%, passando da 2 su 1000 a 1 su 1000. Il vaccino è
sicuro ed è usato anche per la somministrazione della prima dose, tranne in caso di familiarità di convulsioni febbrili in
consanguinei di primo grado per cui la vaccinazione viene effettuata separatamente (MPR + V). La prima dose viene
somministrata a 13-15 mesi dalla nascita e il richiamo si ha a 5-6 anni. Nel periodo precedente alla vaccinazione, il
tasso di ospedalizzazione media per la varicella era di 3,6 su 100.000 casi, successivamente si è ridotto a 2,5 su
100.000. Complicanze della varicella: sovrainfezioni batteriche cutanee (celluliti, 36% dei pazienti), la
trombocitopenia, le artriti, le polmoniti, le epatiti, le meningoencefaliti e le cerebelliti.
Per quanto riguarda il morbillo, la copertura vaccinale media nazionale per una dose di vaccino M-MPR-MPRV entro i
24 mesi di età è del 90,6%, mentre l’incidenza media è di 3,6 su 100.000 abitanti. Gli adolescenti e i giovani adulti sono
il gruppo a maggior rischio di morbillo, con complicanze respiratorie e l’encefalite (l’encefalite è prevalente nei
bambini, 0.1% casi); rara la Panencefalite Subacuta Sclerosante (PESS).
La vaccinazione MCC (Meningococco) in Toscana nel 2003 veniva offerta ai soggetti a rischio in tutte le età ed era
accessibile a tutti i soggetti in co-pagamento. Nel 2005 è diventata la prima regione ad offrire un programma di
vaccinazione universale, con tre dosi a tutti i neonati a 3, 5 e 13 mesi di età ed un programma di catch up con una
singola dose fino all’età di 6 anni. Nel 2008 è stata attuata una modifica: la Regione offre una sola dose a 13 mesi di
età, ma continua il catch up fino ai 6 anni. Dal 2006 il numero annuo di casi N. meningitidis è rimasto inferiore ai 200
casi (compreso tra 141 e 187 casi) corrispondenti ai valori di incidenza 0,31 e 0,23 (per 100.000). In Italia, durante gli
anni Novanta fino al 2003 è stato osservato un cambiamento in prevalenza degli isolati dal sierogruppo C al
sierogruppo B. Negli anni 2004 e 2005 gli isolati del sierogruppo C hanno superato quelli del sierogruppo B.
Nel 2009 è entrato in calendario il vaccino contro lo Pneumococco, che, a partire dal 2010, ha ridotto la proporzione
di casi in età inferiore ai 24 mesi, arrivando a una totale assenza di casi nel 2012.
Il nuovo entrato è il vaccino anti-HPV. Sono due i vaccini disponibili, costituiti da virus-like particles (VLPs): uno contro
i quattro tipi di papillomavirus (6, 11, 16, 18), responsabili del 90% dei
polipi uterini (condilomi) e del 70% dei tumori del collo dell’utero
(Gardasil, Merck), l’altro protegge dai due virus più comuni e
pericolosi, 16 e 18 (GSK, GlaxoSmithKline). È stato visto che con tre
dosi di vaccino si raggiunge una copertura circa del 70%. Introdurre la
vaccinazione delle giovani donne adulte in concomitanza con la loro
prima chiamata allo screening (25 anni) potrebbe permettere di
raggiungere elevati tassi di copertura vaccinale in breve tempo. Il
vaccino funziona anche nei maschi: ad oggi è stata dimostrata in modo
statisticamente significativo l’efficacia nella prevenzione dei condilomi genitali. In una prospettiva di protezione
individuale, il vaccino potrebbe essere utilmente offerto in regime di co-pagamento. Avendo, però, a disposizione
risorse limitate, la riduzione massima dei casi si ottiene estendendo la vaccinazione ad un sempre maggior numero di
ragazze. Il Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2017-2019 ha introdotto la vaccinazione gratuita anche per i
maschi a partire dalla coorte dei nati nel 2006. La vaccinazione è su chiamata attiva. Per le femmine, durante il primo
screening per la citologia cervicale (Pap test), a 25 anni, sarà offerta gratuitamente la vaccinazione anti HPV, secondo
le indicazioni del Piano nazionale di prevenzione vaccinale 2017-2019.
Le vaccinazioni raccomandate nell’adulto riguardano le categorie professionali considerate a rischio di infezione; le
categorie di persone che, in caso di infezione, potrebbero andare incontro a serie complicazioni; viaggiatori per
turismo o per lavoro.
• Vaccinazione contro l’epatite B: tre dosi al tempo 0, dopo 1 mese e dopo 6 mesi dalla prima. Non sono
necessari richiami. È indicata per operatori sanitari e personale di assistenza di ospedali e case di cura;
61
conviventi di portatori cronici del virus
dell’epatite B; operatori di pubblica
sicurezza; politrasfusi ed emodializzati;
altre categorie indicate nel D.M. 4 ottobre
1991
• Vaccinazione contro l’influenza: è indicata
per tutte le persone di età superiore a 65
anni; soggetti con malattie croniche e
debilitanti a carico dell’apparato
cardiovascolare, broncopolmonare, renale, etc.; addetti ai servizi di pubblica utilità
• Vaccinazione anti-pneumococcica: è indicata per soggetti di età superiore a 65 anni; soggetti con malattie
croniche e debilitanti a carico dell’apparato cardiovascolare, broncopolmonare, renale, etc.
Le vaccinazioni antitifica, antiepatite A e B, antipolio, antitetanica, antirabbica possono essere indicate per i
viaggiatori che si rechino all’estero in zone endemiche o comunque considerate a rischio.
È importante vaccinare gli adulti e i soggetti a rischio perché potrebbero non aver ricevuto i vaccini nell’infanzia,
nuovi vaccini si sono resi disponibili, l’immunità può decadere, gli anziani e/o malati cronici possono essere più
suscettibili alle malattie prevenibili mediante vaccino (es. influenza e malattie pneumococciche).
Gli operatori sanitari sono un importante gruppo prioritario per la vaccinazione antinfluenzale. La vaccinazione degli
operatori sanitari non solo protegge l’individuo, ma preserva altresì l’operatività dei servizi sanitari durante le
epidemie influenzali, e protegge dall’infezione i pazienti vulnerabili.
Per le categorie di rischio individuate dal Ministero della Salute, i dati di copertura documentano livelli molto bassi:
• Il personale sanitario e socio-sanitario ha un livello di copertura vaccinale pari al 15%
• Le donne al secondo o terzo trimestre di gravidanza hanno livelli di copertura del 12%
• I soggetti con almeno una condizione di rischio tra 6 mesi e 65 anni hanno coperture del 13%
62
Interventi rivolti a migliorare la copertura vaccinale e la richiesta da parte della popolazione in previsione
dell’abbandono dell’obbligo vaccinale
Le vaccinazioni obbligatorie selettive in Italia sono:
• Vaccinazione antitetanica (L. 5 marzo 1963, n. 292 (1) “Vaccinazione antitetanica obbligatoria”. G.U. 27
marzo 1963, n. 83). Il DPR n. 464 del 7 novembre 2001 ha modificato la cadenza con cui effettuare i richiami
periodici della vaccinazione. È obbligatoria per le categorie di lavoratori dei due sessi più esposti ai rischi
dell'infezione tetanica (lavoratori agricoli, pastori, allevatori di bestiame, stallieri, fantini, conciatori, stradini,
minatori, operatori ecologici, operai addetti alla fabbricazione della carta e dei cartoni, lavoratori del legno,
metallurgici e metalmeccanici, etc.) e per gli sportivi all'atto della affiliazione alle federazioni del CONI
• Vaccinazione antitifica (D.C.G. 2 dicembre 1926 – D.P.R. 26 marzo 1980). È obbligatoria per gli addetti ai
servizi di approvvigionamento idrico, di raccolta e distribuzione del latte, di lavanderia, di pulizia e
disinfezione degli ospedali
• Vaccinazione antimeningococcica + antitifica + antidiftotetanica + antimorbillo-parotite-rosolia. È
obbligatoria per le reclute all’atto dell’arruolamento (Decreto del Ministro della Difesa del 19 febbraio 1997)
• Vaccinazione antitubercolare con BCG (L. 14 dicembre 1970, n. 1088). È obbligatoria per il personale medico
e infermieristico, persone conviventi con soggetti affetti da tubercolosi, ragazzi di età compresa tra i 5 e i 15
anni residenti in zone ad elevata morbosità tubercolare, reclute all’atto dell’arruolamento.
“Linee-guida per il controllo della malattia tubercolare, su proposta del Ministro della Sanità, ai sensi dell’art. 115,
comma 1, lettera b) del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112”
La vaccinazione antitubercolare con BCG è obbligatoria per le categorie individuate dalla L. 1088/70. Nell'attuale
situazione epidemiologica e di rischio, essa può essere considerata essenzialmente come una misura di protezione
individuale e pertanto è opportuno che si vada al superamento dell'obbligo vaccinale, limitandone l'indicazione alle
sotto elencate particolari situazioni. La vaccinazione può essere sicuramente utile per evitare le forme ematogene
tipiche della prima infanzia. Pertanto il BCG può essere indicato nei neonati e bambini di età inferiore 5 anni, con test
tubercolinico negativo, conviventi o contatti stretti di persone con tubercolosi in fase contagiosa, qualora persista il
rischio di contagio e nei neonati e bambini di età inferiore a 5 anni con test tubercolinico negativo, appartenenti a
gruppi ad alto rischio di infezione e per i quali la normale sorveglianza e i programmi di trattamento non sono risultati
operativamente efficaci, come ad esempio le persone provenienti dai Paesi ad alta endemia con difficoltà di accesso ai
63
servizi sanitari e in disagiate condizioni di vita. La vaccinazione dovrebbe inoltre essere considerata in quelle rare
situazioni in cui, per il controllo del rischio professionale, non si possa ricorrere al follow up e alla terapia preventiva,
come per gli operatori esposti a un documentato rischio di esposizione a batteri multifarmacoresistenti e gli operatori
esposti che presentino controindicazioni cliniche all'uso della terapia preventiva. In quest'ultimo caso deve essere
valutata anche l'opportunità' di trasferimento ad un reparto a basso rischio. La vaccinazione è ritenuta utile per il
personale sanitario, studenti in medicina, allievi infermieri e chiunque, a qualunque titolo, con test tubercolinico
negativo, operi esclusivamente in ambienti ad alto rischio di esposizione a ceppi multifarmacoresistenti o ambienti
ad alto rischio di tubercolosi e con controindicazioni cliniche all'uso della terapia preventiva, per cui non possa essere
sottoposto a chemioprofilassi (isoniazide) in caso di cuticonversione. La vaccinazione con BCG può costituire
un’opzione possibile per ridurre il rischio di malattia tubercolare in contatti di soggetti con tubercolosi
multifarmacoresistente.
D.P.R. 7 novembre 2001, n. 465 “Regolamento che stabilisce le condizioni nelle quali è obbligatoria la vaccinazione
antitubercolare, a norma dell'articolo 93, comma 2, della legge 23 dicembre 2000, n. 388” (G.U. n.7 del 9 gennaio
2002)
La vaccinazione antitubercolare è obbligatoria per:
• neonati e bambini di età inferiore a 5 anni, con test tubercolinico negativo, conviventi o aventi contatti stretti
con persone affette da tubercolosi in fase contagiosa, qualora persista il rischio di contagio
• personale sanitario, studenti in medicina, allievi infermieri e chiunque, a qualunque titolo, con test
tubercolinico negativo, operi in ambienti sanitari ad alto rischio di esposizione a ceppi multifarmacoresistenti
oppure che operi in ambienti ad alto rischio e non possa, in caso di cuticonversione, essere sottoposto a
terapia preventiva, perché presenta controindicazioni cliniche all’uso di farmaci specifici
Vaccinazione anti-epatite B L’epatite B rappresenta l’infezione per la quale il rischio professionale per l’operatore
sanitario è massimo, ed è quindi indispensabile che la vaccinazione sia effettuata a tutti, possibilmente prima di
iniziare le attività a rischio. Sono somministrate 3 dosi di vaccino ai tempi 0, 1 e 6-12 mesi. Qualora si sia
immediatamente esposti al rischio di infezione, è possibile effettuare la vaccinazione con una schedula rapida a 4 dosi
(0, 1, 2, 12 mesi), che garantisce elevate probabilità di risposta protettiva già dopo le prime 3 dosi. Si rammenta inoltre
la necessità di verificare l’avvenuta sieroconversione
Vaccinazione anti-influenzale Questa vaccinazione oltre la salvaguardia della salute del singolo ha il duplice scopo di
proteggere i pazienti e di evitare l’interruzione di servizi essenziali di assistenza in caso di epidemia influenzale.
Vaccinazione anti-morbillo, parotite, rosolia (MPR) L’età di incidenza di queste infezioni è progressivamente
aumentata negli ultimi anni, tanto che sono sempre più frequenti le descrizioni di epidemie nosocomiali da tali agenti
infettivi. La vaccinazione è indispensabile sia per evitare danni all’operatore stesso (pericolosità del morbillo
nell’adulto e della rosolia per le donne in età fertile), sia per evitare la possibile trasmissione ai pazienti e di sostenere
pertanto epidemie nosocomiali. La vaccinazione deve essere somministrata in due dosi distanziate di almeno 4
settimane, e che il ricordo di aver avuto la malattia non può essere considerato affidabile (per la rosolia è necessario
avere documentazione sierologica di immunità). La vaccinazione può essere effettuata anche in caso di suscettibilità
ad una soltanto delle 3 malattie prevenute dal vaccino MPR.
Vaccinazione anti-varicella La presenza di fasce di suscettibilità alla varicella tra gli adulti (età nella quale l’infezione
può assumere caratteri di maggiore gravità) e la descrizione dell’insorgenza di diverse epidemie nosocomiali rende
necessario proporre attivamente questa vaccinazione a tutti gli operatori sanitari suscettibili (in questo caso ci si può
64
affidare al ricordo di aver già avuto la malattia in passato). La vaccinazione va effettuata in due dosi distanziate di
almeno 4 settimane.
Vaccinazione anti-tubercolare (BCG) Il DPR 465/2001 ha drasticamente limitato le indicazioni di uso di questa
vaccinazione ai soli operatori sanitari ad alto rischio di esposizione a ceppi di bacilli tubercolari multi-farmacoresistenti, oppure che operino in ambienti ad alto rischio e non possano, in caso di cuticonversione, essere sottoposti
a terapia preventiva, perché presentano controindicazioni cliniche all’uso di farmaci specifici.
Vaccinazione anti-pertosse Per la protezione del neonato è consigliabile per gli operatori dei reparti ostetrici e del
nido un richiamo con dTaP, così come lo è per tutte le altre figure che accudiscono il neonato.
Epidemie nosocomiali di HBV
• 21 casi di Epatite B in 10 strutture diverse
• 33 epidemie (15 in strutture residenziali, 12 in strutture poliambulatoriali, 6 in centri di dialisi)
• 448 casi documentati (HBV + HCV)
• Trasmissione persona-persona per riuso di siringhe o lancette
Epidemie nosocomiali di influenza in degenze per acuti
• 184 casi documentati
• 4 reparti ICU e 1 reparto trapianti
• Tassi di attacco compresi fra il 25% e il 50%
Trasmissione nosocomiale di pertosse
• Gli OS hanno una probabilità 1,7 volte maggiore di contrarre la pertosse rispetto alla popolazione generale
• Agiscono come amplificatore nelle epidemie nosocomiale
• Un’epidemia nosocomiale di pertosse costa fra gli 85.000$ e i 97.000$ (costi diretti)
• Vista la difficoltà della diagnosi precoce, è importante adottare precauzioni universali (droplets)
IMMUNOPROFILASSI PASSIVA
L’immunoprofilassi passiva prevede la protezione del soggetto mediante inoculazione di anticorpi preformati
(immunoglobuline, sieri immuni). È una misura di emergenza, detta anche provvedimento individuale (in antitesi con
la definizione di provvedimento di massa, termine riservato alla vaccinazione) che viene utilizzata per proteggere
singoli soggetti esposti al rischio di contagio. Si utilizza quando non è disponibile un vaccino, oppure quando, pur
avendo a disposizione un vaccino, non si ha il tempo di indurre uno stato di resistenza attiva. Si attua con
immunoglobuline umane omologhe (prodotte nella stessa specie alla quale vengono somministrate) o sieri immuni
eterologhi (di derivazione animale). Questi preparati, rapidamente assorbiti al punto di inoculazione, raggiungono la
massima concentrazione in circolo entro 2-4 giorni. La protezione, ottenuta rapidamente, ha breve durata: 4-6
settimane per le immunoglobuline umane e 2 settimane per i sieri immuni eterologhi. Le immunoglobuline umane
restano in circolo più a lungo perché omologhe; la maggiore rapidità di eliminazione dei sieri eterologhi è legata anche
a meccanismi di tipo immunitario.
La profilassi immunitaria passiva deve essere considerata un intervento di emergenza cui ricorrere in casi particolari o
per soggetti che hanno trascurato di vaccinarsi. La vaccinazione è sempre la pratica di prima scelta.
Esempi di utilizzo dell’immunoprofilassi passiva:
65
•
•
soggetti non vaccinati contro il tetano con ferite contaminate da terra o altri materiali in cui si può sospettare
la presenza di spore di Clostridium tetani
donne in gravidanza che vengono in contatto con bambini affetti da rosolia
I sieri immuni eterologhi vengono preparati immunizzando animali di grossa taglia (es. cavallo). A causa delle
frequenti reazioni che provocano (shock anafilattico, malattia da siero) il loro utilizzo è limitato a due casi: per la
neutralizzazione delle tossine botuliniche A e B associate alla intossicazione alimentare da Clostridium botulinum,
patologia piuttosto grave con discreta mortalità dovuta al consumo di alimenti (principalmente insaccati e conserve
vegetali) che contengono tossina botulinica, e nel siero anti-ofidico che neutralizza il veleno della vipera.
La malattia da siero si manifesta dopo 7-12 giorni dall’inoculazione di siero in un individuo che non ha mai ricevuto
precedenti dosi e si presenta con orticaria, edemi, dolori articolari, adenopatie, febbre. Tali sintomi sono dovuti alla
formazione a livello dei vari organi e tessuti di complessi immuni tra le proteine eterologhe e gli anticorpi la cui
produzione esse stesse hanno stimolato.
Lo shock anafilattico, invece, si presenta soltanto in individui che hanno già subito precedenti inoculazioni di siero
eterologo e si manifesta entro pochi minuti o due ore al massimo dalla nuova inoculazione, con dispnea da
broncocostrizione e collasso cardiocircolatorio che possono rapidamente condurre a morte se non si è pronti a
inoculare adrenalina.
Le immunoglobuline standard (o normali, o polivalenti) contengono anticorpi nei confronti dell’agente eziologico di
molte malattie infettive, ottenuti o per vaccinazione o per superamento delle infezioni maggiormente diffuse nella
popolazione. Si preparano miscelando sangue venoso o placentare di un numero elevato di donatori. In tal modo è
garantita la presenza di anticorpi relativi ai microrganismi che causano infezioni molto frequenti e verso cui la maggior
parte delle persone è immunizzata naturalmente, e si riescono a livellare le variazioni individuali dei titoli anticorpali.
Hanno come unica indicazione il trattamento sostitutivo nelle sindromi da carenza di anticorpi in soggetti con
documentata immunodeficienza (negli agammaglobulinemici o negli ipogammaglobulinemici come prevenzione antiinfettiva generica). La loro somministrazione è ingiustificata a scopo terapeutico in soggetti che vanno incontro a
ripetuti episodi infettivi, dovuti a particolari condizioni epidemiologiche (es. bambini che frequentano asili nido o
scuole materne e che contraggono frequenti infezioni respiratorie acute). In passato venivano utilizzate per la
prevenzione del morbillo e la prevenzione dell’epatite A, tale impiego si è notevolmente ridotto con il diffondersi dei
corrispondenti vaccini.
Le immunoglobuline specifiche (o iperimmuni) disponibili sono numerose: IgG per epatite B, morbillo, rosolia,
parotite, rabbia, herpes zoster-varicella, tetano, etc. Molto importante è anche l’immunoglobulina anti-D, utilizzata
nei confronti dell’incompatibilità materno-fetale legata al fattore Rh. Entro 72 ore dal parto, in donne Rh negative che
abbiano partorito un neonato Rh positivo, si riduce l’incidenza di isoimmunizzazione Rh all’1.5-2%. Un ulteriore dose,
tra le 28 e le 32 settimane riduce ulteriormente l’incidenza allo 0.2%. Vengono prodotte utilizzando il plasma di
individui selezionati che possiedono un elevato tasso anticorpale nei confronti di uno specifico microrganismo come
conseguenza del superamento della relativa infezione naturale o della vaccinazione specifica recente.
La preparazione delle immunoglobuline (normali o iperimmuni) avviene con il metodo di Cohn che consiste nella
precipitazione frazionata con alcol etilico e garantisce la inattivazione di virus (compreso quello dell’epatite B)
eventualmente presenti nel miscuglio dei plasmi originali. Per legge il sangue utilizzato deve comunque essere HBsAg
negativo e anti-HIV negativo. Dal 1992 i controlli prevedono anche i test per HIV 2 ed epatite C.
66
Le immunoglobuline vengono somministrate per via intramuscolare. Solo eccezionalmente, nelle sindromi da carenza
di anticorpi, si ricorre alla somministrazione endovena utilizzando soluzioni al 5% di immunoglobuline normali
sottoposte ad un particolare trattamento che ne riduce il potere anticomplementare. La massima concentrazione nel
sangue si raggiunge dopo 2-4 giorni, la copertura è di 4-6 settimane, il dimezzamento del titolo si ha dopo 25 giorni.
La protezione da agenti infettanti è dovuta alla formazione di complessi antigene-anticorpo che vengono eliminati
dai fagociti. La somministrazione deve essere effettuata subito dopo il contagio in quanto la azione protettiva si
esplica soltanto se il microrganismo non è in fase intracellulare o se la tossina da esso prodotta non è ancora legata ai
recettori specifici.
La somministrazione contemporanea, in regioni separate del corpo (es. vaccino nel deltoide e immunoglobuline nel
gluteo), di vaccino e di immunoglobuline corrispondenti viene praticata a scopo preventivo quando è necessario
conferire una protezione immediata, quella delle immunoglobuline, ma anche duratura come quella che solo un
vaccino può dare. Esempi:
• prevenzione estemporanea del tetano, nel caso di ferite che si sospettano contaminate da spore di
Clostridium tetani, in soggetti non vaccinati o nei quali la vaccinazione risulta troppo remota. Se il soggetto
non è mai stato vaccinato dovranno essere somministrate tutte le dosi del vaccino secondo il ritmo previsto
per un ciclo vaccinale completo
• prevenzione della rabbia nel caso di morsicature da animali sicuramente affetti da rabbia o presunti tali
• prevenzione dell’epatite B
Nel caso dell’epatite B e del tetano si hanno a disposizione vaccini sicuri ed efficaci che consentono di evitare
condizioni di emergenza.
La chemioprofilassi è una misura di emergenza che viene utilizzata come protezione nei confronti di malattie per le
quali non sono disponibili vaccino o immunoglobuline oppure nei casi in cui non si ha il tempo di indurre uno stato di
resistenza attiva. È un trattamento a termine che consiste nella somministrazione di farmaci antimicrobici
(chemioterapici o antibiotici) a scopo preventivo, in soggetti esposti di recente al rischio di contagio. Ha lo scopo di
impedire lo sviluppo del processo infettivo distruggendo i microrganismi eventualmente penetrati nell’organismo,
prima che possano impiantarvisi e moltiplicarsi.
Si utilizza come misura preventiva individuale nel caso di soggetti che hanno avuto rapporti con ammalati, i cosiddetti
contatti (es. tubercolosi); come intervento di massa, nella popolazione, in caso di epidemie o in collettività nelle quali
si siano verificati casi di una determinata malattia (es. meningite in caserma o in una classe); per la bonifica dei
portatori (es. salmonelle) per impedire che continuino ad eliminare microrganismi e a diffonderli.
I problemi legati alla pratica di chemioprofilassi riguardano:
• Il pericolo di selezione di microrganismi resistenti; l’uso prolungato di sostanze antimicrobiche fa sì che i
microrganismi si adattino ad esse fino a diventare resistenti
• L’uso di sostanze antimicrobiche può impedire o attenuare la manifestazione dei sintomi delle malattie
• La prolungata somministrazione di farmaci antimicrobici può indurre la comparsa di fenomeni tossici
La chemioprofilassi può essere:
• Chirurgica o polivalente – consiste nell’uso di chemioantibiotici dopo un intervento chirurgico, ma anche
prima o durante (lavaggi cavità addominale). Ha lo scopo di impedire complicanze infettive, in particolare
quelle causate da microrganismi opportunisti. In genere si utilizzano antimicrobici a largo spettro di azione
• Specifica o monovalente – consiste nella somministrazione di antimicrobici specifici in soggetti a rischio che
sono stati contagiati o che hanno buone probabilità di infettarsi (es. conviventi o contatti di persone infette)
e in soggetti riconosciuti portatori sani
67
Profilassi anti-meningococcica (specifica) – È stata effettuata per lungo tempo con i sulfamidici; attualmente il
farmaco di elezione è la rifampicina (segnalazione di ceppi resistenti ai sulfamidici). Deve essere iniziata il più presto
possibile, preferibilmente entro 24 ore dalla identificazione del caso indice. È limitata ai componenti delle collettività
nelle quali si sia verificato un caso (nuclei familiari, classi scolastiche, caserme, operatori sanitari esposti direttamente
e senza di mascherina alle secrezioni del malato, etc.).
Profilassi anti-influenzale (specifica) – Si effettua con cloridrato di amantadina o con rimantadina, farmaci in grado di
inibire la penetrazione dei virus influenzali di tipo A nelle cellule. Si utilizza nel caso di epidemie in collettività come
enti di accoglienza per anziani in soggetti ad alto rischio nei quali è controindicato il vaccino, in soggetti non
immunizzati addetti alla cura di soggetti ad alto rischio e in soggetti immunodeficienti con scarsa risposta anticorpale
al vaccino.
Profilassi anti-tubercolare (specifica) – Si effettua con isoniazide e può essere primaria (chemioprevenzione) in
soggetti cuti- negativi esposti temporaneamente a rischio elevato ed immediato di infezione (neonati e bambini di età
inferiore ai 3 anni in contatto familiare con un tubercolotico attivo) o secondaria (chemioprotezione) in soggetti cutipositivi come bambini di età inferiore a 5 anni con alto rischio di evoluzione del processo tubercolare, giovani che
vivono in nuclei familiari o collettività in cui è presente una fonte di infezione, soggetti (compresi gli HIV-positivi) che
hanno avuto una conversione tubercolinica recente, soggetti sottoposti a trattamenti immunosoppressivi
(corticoterapie), soggetti con silicosi portatori di focolai fibrotici tubercolari esposti al rischio di ripresa evolutiva.
Profilassi anti-malarica (specifica) – La malaria è un a delle più importanti e gravi malattie parassitarie. È diffusa nella
maggior parte delle aree tropicali e zone ad alto rischio sono Africa Equatoriale, Sud-Est Asiatico, Amazzonia, America
Centrale, Regione Indiana. L’infezione è causata da un protozoo appartenente al genere Plasmodium di cui si
riconoscono 4 specie: P. vivax, P. falciparum, P. malarie, P. ovale. Plasmodium falciparum è la specie di gran lunga più
pericolosa; provoca la forma di malaria più grave che, se non riconosciuta e trattata, può anche essere mortale. Può
essere resistente ai farmaci antimalarici classici come la clorochina. Le altre specie di plasmodio danno origine a forme
meno gravi ma sono più difficili da eliminare completamente. Plasmodium vivax e Plasmodium ovale possono
rimanere a livello epatico per molto tempo. Plasmodium malarie può provocare attacchi malarici anche a distanza di
anni dall’infezione primitiva. Il plasmodio ha un ciclo riproduttivo complesso che richiede come ospite intermedio la
zanzara femmina del genere Anopheles. Il ciclo è composto da una fase sessuata che si completa nella zanzara e una
fase asessuata che si compie nell’uomo. Durante la fase sessuata i plasmodi raggiungono lo stadio di maturazione
nella cavità celomatica della zanzara e da qui si trasferiscono alle ghiandole salivari; al momento della puntura
vengono iniettati nell’uomo insieme alla saliva. Attualmente non è disponibile un vaccino contro la malaria. Il parassita
malarico, oltre ad essere organismo complesso con un ciclo vitale estremamente complicato, possiede antigeni che
hanno la capacità di variare costantemente e produrre un vaccino nei confronti di questi antigeni è estremamente
complicato. Non sono inoltre ancora del tutto chiari i meccanismi immunitari che proteggono l’uomo dalla malaria.
Molti ricercatori stanno comunque lavorando in questo settore perché la produzione di un vaccino antimalarico
efficace è considerata uno dei più importanti obiettivi di sanità pubblica mondiale. Poiché non è ancora disponibile un
vaccino contro la malaria, la chemioprofilassi è l’unico mezzo disponibile per la prevenzione della malattia anche se,
allo stato attuale, non esistono farmaci che sicuramente prevengono la malaria e privi di effetti collaterali. In più
Plasmodium falciparum sviluppa facilmente una resistenza nei confronti di farmaci classici come la clorochina o la
meflochina. Prima di procedere alla chemioprofilassi antimalarica è necessario conoscere in dettaglio l’itinerario del
viaggio in modo da valutare l’effettivo rischio di contrarre la malaria e la possibilità di venire in contatto con P.
falciparum farmaco resistenti.
Alcuni schemi di profilassi anti-malarica:
• clorochina – il trattamento deve essere iniziato 1 o 2 settimane prima della partenza, continuare per tutto il
periodo di permanenza in zona malarica e proseguire per 4 settimane dopo che la zona a rischio è stata
lasciata
• meflochina – il trattamento deve essere iniziato 1 o 2 settimane prima della partenza, continuare per tutto il
periodo di permanenza in zona malarica e proseguire per 4 settimane dopo che la zona a rischio è stata
lasciata
• doxiciclina – il trattamento deve essere iniziato 1 o 2 giorni prima della partenza, continuare per tutto il
periodo di permanenza in zona malarica e proseguire per 4 settimane dopo che la zona a rischio è stata
lasciata
• malarone – il trattamento deve essere iniziato 1 o 2 giorni prima della partenza, continuare per tutto il
periodo di permanenza in zona malarica e proseguire per 7 giorni dopo che la zona a rischio è stata lasciata
Tutti i farmaci antimalarici hanno controindicazioni e possono avere effetti collaterali anche pesanti.
68
Tenendo presente che nessuno schema di chemioprofilassi antimalarica conferisce una protezione completa e che la
possibilità di essere infettati è direttamente proporzionale al numero di punture che un soggetto riceve, sono di
fondamentale importanza alcune norme comportamentali da rispettare scrupolosamente durante il soggiorno in area
malarica:
• evitare le zone paludose e le boscaglie
• evitare di uscire dopo il tramonto (la zanzara punge dalle 19 alle 7)
• indossare abiti che coprano il più possibile la superficie corporea e che siano sufficientemente spessi
• indossare indumenti di colore chiaro perché i colori scuri attirano le zanzare e inoltre sugli abiti chiari le
zanzare si vedono meglio
• proteggere le zone di cute scoperta con repellenti per insetti (il DEET – N,N-dietilmetatoluammide è molto
efficace)
• applicare zanzariere alle finestre
• applicare zanzariere intorno ai letti, adeguatamente installate ed eventualmente nebulizzate con insetticida
(esistono in commercio zanzariere già impregnate di insetticida)
• prima di coricarsi nebulizzare insetticida nell’ambiente
• utilizzare fornellini elettrici a base di piretroidi sintetici o serpentine a combustione.
69
Download