Ventunesima Lezione Modernità e Tecnodiritto 13 maggio 2022 Il sapere tecnico al servizio della giustizia: dalle impronte digitali alla balistica In Italia: gli studi di Salvatore Ottolenghi In Italia il primo studioso di tecniche di investigazioni scientifica fu Salvatore Ottolenghi (1861-1934). Nel 1910 Ottolenghi diede alle stampe il suo Trattato di polizia scientifica in cui viene affrontato anche il tema delle impronte digitali. Così scrive l’autore: «Quale valore oggi si deve attribuire al segnalamento antropometrico? Incontestabile è il suo valore storico. Poiché in epoca nella quale il segnalamento empirico imperava quasi ovunque, le misure antropometriche si presentarono come connotati scientifici abbastanza precisi e facilmente classificabili. … l’applicazione della identificazione antropometrica offre indubitabilmente delle gravi difficoltà pratiche. Venne obiettato che non è tanto facile prendere le misure con quella precisione richiesta dalle norme del Bertillon, che sovente si hanno dati molto discordanti …. Vi sono poi misure, specialmente la statura, l’altezza del busto, che si modificano colla vecchiaia, colle malattie, colle professioni, col metodo di vita e anche per l’atteggiamento muscolare dell’individuo … Queste osservazioni attenuano notevolmente il valore del segnalamento antropometrico, ma anche indipendentemente da esse noi riteniamo che questo segnalamento non corrisponda alle esigenze attuali della polizia pratica … Alle funzioni di polizia occorre un segnalamento che si faccia rapidamente, che non abbisogni di speciali istrumenti misuratori, che conduca all’identificazione esatta» I connotati delle impronte digitali «L’epidermide della palma della mano in tutta la sua estensione, palma propriamente detta e dita, e più ancora in corrispondenza dei polpastrelli, presenta una serie di piccole linee in rilievo, o creste, separate da solchi, che decorrono paralleli gli uni agli altri … formando vari disegni differenti per ogni dito e diversi in ogni individuo …. Ogni impronta così formata offre a considerare i seguenti caratteri che costituiscono altrettanti connotati: il centro di figura, il delta, il numero delle linee papillari, la linea direttrice, i disegni formati dalle linee papillari» «Il disegno dell’impronta può subire variazioni pel metodo stesso in cui viene assunta secondo la direzione in cui l’operatore prende il polpastrello per premerlo contro la carta, secondo il modo in cui lo fa poggiare sulla carta. Secondo la maggior o minor pressione esercitata dal segnalando, le linee papillari possono deformarsi in una direzione e nell’altra, onde, per esempio, una figura a vortice può offrire una forma circolare … mutano le direzioni degli assi, l’apertura degli angoli e i raggi di curvatura delle anse» Il primo volume del Trattato di polizia scientifica di Salvatore Ottolenghi si trova al seguente indirizzo: https://books.google.it/books?id=z9SBAAAAIAAJ&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad= 0#v=onepage&q&f=false Le impronte digitali nella pratica «un primo quesito ci si presenta: data un’impronta, è possibile da questa riconoscere l’individuo al quale essa appartiene? La questione ha un grande interesse pratico, poiché può accadere di trovare in un sopraluogo, in un’arma, su un mobile, su un vetro, ecc., l’impronta di un dito, onde interessa da questa sorgere alla identificazione del colpevole, sia ricercandolo, sia confrontando le impronte riscontrate con quelle di persone sospette … vi sono casi tipici … nei quali l’impronta visibile o latente lasciata da un delinquente nel luogo del reato o su oggetti riferentisi ad esso valse a risalire al reo. Se la identificazione di un’impronta è possibile, non vuol dire che sia sempre agevole. Dipende la identificazione dal permettere o no l’impronta trovata un esame completo e dal rigore del metodo adoperato» «Quando si hanno delle impronte su qualche oggetto il primo compito sarà di conservarle, poi di fotografarle … Si passerà poi al confronto della impronta sospetta con quella della persona nota procedendo colla massima cautela: anzitutto si verifica la presenza di tutti i connotati nelle due impronte esaminate, appresso si cerca la corrispondenza di tutte le particolarità, le quali sole danno la certezza dell’identità quando si verificano in ambo le impronte. Se fa d’uopo si ricorre anche alla sovrapposizione delle lastre fotografiche delle due impronte o allo stereoscopio» Dal metodo Gasti all’AFIS Lo stesso anno in cui Ottolenghi dava alle stampe il suo Trattato, l’allora Ministro dell’interno Giolitti nominava Giovanni Gasti direttore della polizia scientifica. Giovanni Gasti (1869–1939) si era dedicato allo studio delle impronte digitali ed aveva elaborato un metodo di classificazione dattiloscopica modificando e adattando il sistema Galton – Henry. A partire dagli anni Venti del Novecento e nel corso dei decenni successivi, il metodo Gasti ha consentito una pronta comparazione delle impronte raccolte sulla scena del crimine con quelle già in possesso della polizia. Attualmente sono utilizzati diversi database per la rilevazione e la comparazione delle impronte digitali. Uno dei più noti è l’AFIS ossia l’Automatic Fingerprints Identification System. Il sistema AFIS è in funzione in Italia dal 1999. L’adozione di questo sistema ha consentito di ridurre i tempi di acquisizione e di catalogazione delle impronte e ha aumentato il numero dei riscontri positivi. Dall’Italia all’Inghilterra: tecniche investigative e armi da fuoco Tra metà Ottocento ed inizio Novecento si registra un progresso tecnologico anche nell’ambito degli esplosivi e delle armi da fuoco: come per le impronte digitali, anche questo tipo di studi hanno immediate ricadute in sede giudiziaria. Nella investigazione delle ferite connesse all’uso delle armi da fuoco un punto di riferimento importante è rappresentato dagli studi compiuti da Alfred Swaine Taylor (1806-1880), il padre della medicina forense in Inghilterra, che nel 1844 diede alle stampe A manual of medical jurisprudence. Nel suo manuale, Taylor spiega che l’aspetto della ferita può fornire indicazioni utili sulla direzione e sulla distanza dalla quale è stato sparato il colpo e quindi può dirci se si tratta di una ferita inflitta da un agente esterno che si trovava ad una certa distanza dalla persona offesa o se invece si tratta di una ferita auto – inflitta. Gli studi in questo campo furono supportati da molteplici esperimenti: di solito si utilizzavano cadaveri ai quali veniva sparato da distanze diverse usando differenti tipi di cartucce e prendendo nota delle caratteristiche delle ferite di volta in volta provocate. Lo studio dei risultati raggiunti consentiva di formulare schemi e classificazioni da utilizzare – con la dovuta cautela – nei casi che si verificavano nella realtà quotidiana. William Wilcox e Sidney Smith Sessant’anni più tardi (1907) il tossicologo William Willcox pubblicò uno studio sul tema dal titolo The Medico – legal importance of wounds produced by firearms. Willcox voleva fornire una guida utile a stabilire la distanza alla quale era stato sparato il colpo prendendo in considerazione il tipo di arma e di cartucce utilizzate. Ci si stava rendendo conto, tuttavia, che, nonostante i moltissimi esperimenti compiuti, non era possibile raggiungere risultati certi ed inequivocabili in questo ambito di indagine. Vent’anni più tardi lo scienziato forense Sidney Smith lo avrebbe detto chiaramente. Nel suo Forensic medicine rivolto a studenti e pratici (1925), Smith notava che i risultati raggiunti «are given merely as a working basis; they vary with each weapon and its charge, but they are the outcome of hundreds of experiments with different weapons and therefore have a certain value». Le incertezze che dividevano gli esperti si riflettevano inevitabilmente in sede processuale nel momento in cui si trattava di analizzare l’arma trovata sulla scena del (possibile) delitto e ricostruire la dinamica dei fatti al fine di accertare la responsabilità della persona sospettata. Un esempio emblematico in questo senso è il caso Merrett avvenuto in Scozia nel 1926. Per un approfondimento si rinvia a N. DUVALL, ‘If experts differ what are we to do in the matter?’ The medico – legal investigation of gunshot wounds in a 1927 Scottish murder trial: https://academic.oup.com/shm/article/30/2/367/2669707 Il caso Merrett John Donald Merrett viveva ad Edinburgo con sua madre Bertha. La mattina del 17 marzo 1926 la domestica stava pulendo la cucina quando all’improvviso sentì un colpo di pistola e un grido provenire dal salotto. Henrietta corse nella stanza e trovò Bertha a terra con una ferita da arma da fuoco nella nuca. La polizia si recò subito sul posto e prelevò la pistola rinvenuta in salotto (non viene precisato dove). La donna fu immediatamente portata in ospedale dove riprese momentaneamente conoscenza. Tuttavia, due settimane più tardi, Bertha morì. Inizialmente il fatto venne classificato come suicidio e nessuno nutrì alcun sospetto nei confronti di Donald. Le indagini subirono una svolta soltanto in autunno quando si scoprì che il figlio aveva incassato 29 assegni nei quali la firma della madre era stata falsificata. Donald quindi venne formalmente accusato di omicidio e di uso di assegni falsi. Il processo ebbe luogo nel mese di febbraio 1927. Il dibattimento verteva principalmente sul primo capo di imputazione: omicidio. Bertha durante il suo ricovero in infermeria aveva reso talune dichiarazioni che sembravano suggerire la responsabilità di Donald ma queste dichiarazioni non furono considerate attendibili perché la ferita subita dalla donna con ogni probabilità le aveva provocato «very serious mental changes including altered consciousness or disassociation». Si cercò dunque di ricostruire la dinamica dei fatti in altri modi, in particolare esaminando l’arma del (possibile) delitto. Indagini sulla pistola: i periti dell’accusa In sede processuale accusa e difesa nominarono due periti ciascuno. I periti dell’accusa condussero degli esperimenti sull’arma da fuoco, in particolare si soffermarono sull’assenza di annerimento intorno alla ferita riportata dalla donna. A loro parere l’assenza di annerimento dimostrava che la pistola si trovava ad una certa distanza quando era partito il colpo, quindi non poteva essersi trattato di suicidio. E dato che l’unica altra persona presente nella stanza al momento del fatto era Donald, questo significava che era stato Donald a sparare. La ferita però era stata pulita durante il tragitto verso l’ospedale: l’annerimento poteva quindi essere stato lavato via. Per verificare questa ipotesi, i periti dell’accusa condussero degli esperimenti creando dei bersagli artificiali con carta e pelle umana. Colpirono questi bersagli a diverse distanze e poi provarono a lavare via l’annerimento intorno al foro di entrata utilizzando una spugna. Come dimostravano i diversi esperimenti posti in essere, qualche traccia di polvere da sparo rimaneva sempre. I risultati ottenuti avvaloravano dunque la tesi dell’omicidio e, conseguentemente, smentivano l’ipotesi del suicidio. I periti della difesa e il verdetto della giuria I periti della difesa contestarono i risultati degli esperimenti effettuati dai periti dell’accusa. Gli esperimenti compiuti dalla difesa dimostravano infatti che le tracce di polvere da sparo intorno al foro di entrata erano molto facili da rimuovere. Secondo i periti della difesa, pertanto, l’annerimento, inizialmente presente, era stato completamente lavato via quando la donna era stata medicata e portata in infermeria. I loro studi conducevano ad un esito diverso perché i bersagli utilizzati per gli esperimenti in laboratorio erano stati realizzati utilizzando materiali diversi. I periti della difesa contestavano in particolare l’uso del cartone nella costruzione dei bersagli: infatti «gunpowder and other particles from the shot would be more likely to adhere to them than to human skin». La polvere da sparo aveva più possibilità di aderire al cartone rispetto alla pelle umana ed era per questo che i periti dell’accusa non erano riusciti ad eliminare completamente tutti i residui. Nel caso di specie pertanto sussisteva un conflitto di «skilled testimonies». Spettava ai giurati scegliere a chi dare credito: se ai periti dell’accusa e quindi alla tesi dell’omicidio o ai periti della difesa e quindi all’ipotesi del suicidio. Alla fine Donald venne ritenuto colpevole soltanto per uso di assegni falsi, mentre fu assolto dall’accusa di omicidio. I periti dell’accusa quindi non erano riusciti a fugare i dubbi della giuria. Alla luce di questo verdetto, l’imputato venne condannato solo a 12 mesi di carcere.