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GIACOMO LEOPARDI RIASSUNTO - Al centro del pensiero
di Leopardi c'è l'infelicità dell'uomo, che secondo il poeta è
causata dalla continua aspirazione ad un piacere infinito ma
impossibile da raggiungere. Secondo Leopardi, infatti, nessuno dei
piaceri particolari goduti dall'essere umano può arrivare a
soddisfare la sua aspirazione al piacere infiito. Da questa tensione
inappagata nasce un senso di insoddisfazione perpetua e di
infelicità, che porta ad un senso di nullità di tutte le cose (ciò va
inteso in senso puramente materiale). L’uomo è dunque
necessariamente infelice.
La natura, che in questa prima fase è concepita da Leopardi come
madre benigna, ha voluto sin dalle origini offrire un rimedio
all’uomo: l’immaginazione e le illusioni. Per questo gli uomini
primitivi e gli antichi Greci e Romani, più vicini alla natura, erano
felici. Il progresso della civiltà, opera della ragione, ha però
allontanato l’uomo da quella condizione privilegiata.
La prima fase del pensiero leopardiano è costruita su
questa antitesi tra natura e ragione, antichi e moderni.
Gli antichi erano più forti fisicamente e questo favoriva la loro forza
morale. La loro vita era più attiva e ciò contribuiva a far dimenticare
il vuoto dell’esistenza. La colpa dell’infelicità presente è dunque
attribuita all’uomo stesso, che si è allontanato dalla vita tracciata
dalla natura benigna. Leopardi dà un giudizio durissimo sulla civiltà
dei suoi anni, la vede dominata dall’inerzia e dalla noia. Ne deriva
un atteggiamento titanico: il poeta come unico difensore
dell’antichità si eleva per sfidare il crudele destino che ha colpito
l’Italia. Questa fase del pensiero leopardiano è
definita pessimismo storico, ovvero la condizione negativa del
presente viene vista come effetto di un processo storico, di una
decadenza e di un allontanamento progressivo da una condizione
originaria di felicità.
RIASSSUNTO PESSIMISMO COSMICO
LEOPARDI Questa concezione di natura benigna e
provvidenziale entra però in crisi: la natura infatti mira alla
conservazione della specie e quindi può anche sacrificare il
bene del singolo e generare sofferenza. Il male rientra quindi nel
piano stesso della natura. È la natura che ha messo nell’uomo quel
desiderio di felicità infinita, senza dargli i mezzi per soddisfarlo. Da
questo momento Leopardi non concepisce più la natura come
madre amorosa, ma come meccanismo cieco, crudele, in cui la
sofferenza degli esseri e la loro distruzione è legge essenziale, è una
concezione non più finalistica, ma meccanistica e materialistica. La
colpa dell’infelicità non è più dell’uomo stesso ma solo
della natura, l’uomo non è che vittima innocente della sua
crudeltà. Se causa dell’infelicità è la natura stessa, tutti gli uomini
sono infelici. Al pessimismo storico della prima fase subentra così
un pessimismo cosmico: l’infelicità è legata ad una condizione
immutabile di natura. Ne deriva, l’abbandono della poesia civile e
del titanismo: se l’infelicità è un dato di natura, vane sono la
protesta e la lotta. Subentra infatti in Leopardi un atteggiamento
contemplativo, ironico, distaccato e rassegnato. Suo ideale
non è più l’eroe antico, ma il saggio antico.
La poetica del vago e indefinito. La teoria del piacere è
fondamentale nel pensiero leopardiano: è il nucleo della sua
filosofia pessimistica e della sua poetica. Se nella realtà il piacere
infinito è irraggiungibile, l’uomo può figurarsi i piaceri infiniti
mediante l’immaginazione. La realtà immaginata costituisce la
compensazione, l’alternativa ad una realtà vissuta che non è che
infelicità e noia. Ciò che stimola l’immaginazione è tutto ciò che è
vago, indefinito, lontano, ignoto. Si viene a costruire una vera e
propria teoria della visione: è piacevole, per le idee vaghe e
indefinite che suscita, la vista impedita da un ostacolo, e
contemporaneamente viene a costruirsi anche una teoria del suono.
Leopardi elenca tutta una serie di suoni suggestivi in quanto vaghi.
Il bello poetico per Leopardi consiste dunque nel vago e
nell’indefinito, queste immagini evocano sensazioni che ci hanno
affascinati da fanciulli. La rimembranza diviene essenziale al
sentimento poetico. Indefinito e rimembranza si fondono: la
poesia non è che il recupero della visione immaginosa
della fanciullezza attraverso la memoria. Leopardi nella sua
produzione in versi segue puntualmente la poetica del vago e
dell’indefinito.
Leopardi e il Romanticismo. La teoria del vago e
dell’infinito è indispensabile per capire la posizione di Leopardi
nei confronti della nuova poetica romantica. La formazione di
Leopardi è stata rigorosamente classicista, pertanto nella polemica
tra classicisti e romantici Leopardi doveva inevitabilmente prendere
posizione contro le tesi romantiche. In realtà le sue posizioni
sono molto originali rispetto a quelle dei classicisti: per lui
la poesia è soprattutto espressione di una spontaneità originaria, di
un mondo interiore immaginoso e fantastico, proprio dei primitivi e
dei fanciulli. Leopardi rimprovera agli scrittori romantici
un’artificiosità retorica, nella ricerca dello strano, dell’orrido.
Rimprovera loro anche l’aderenza al vero che spegne ogni
immaginazione. I classici antichi sono per Leopardi un esempio
mirabile di poesia fresca, egli li ripropone quindi, come modelli, con
uno spirito schiettamente romantico. Si parla perciò di classicismo
romantico. Tra le varie forme poetiche Leopardi privilegia
soprattutto quella lirica, intesa come espressione immediata
dell’io, come canto.
RIASSUNTO GIACOMO LEOPARDI: LE
OPERE Il periodo successivo al 1819 è ricco di esperimenti
letterari. In questo fermento di prove, si concentrano due gruppi di
poesie: le Canzoni e gli Idilli. Le Canzoni sono state composte in
sei anni e si tratta di componimenti di impianto classicistico, che
impiegano il linguaggio aulico e sublime. Le prime cinque
affrontano una tematica civile. La base del pensiero è costituita dal
pessimismo storico che caratterizza la visione leopardiana. Sono
animate da spunti polemici contro l’età presente, pigra e corrotta,
incapace di azioni eroiche. Il pessimismo storico giunge a una
svolta: si delinea l’idea di una umanità infelice non solo per ragioni
storiche, ma per una condizione assoluta. Si incolpano gli dèi e il
fato, visti come forze malvagie che si impicciano di perseguitare
l’uomo. Ad esse si contrappone l’eroe singolo, che si oppone alla
forza crudele che l’opprime a afferma la propria libertà dandosi la
morte.
Un carattere molto diverso presentano gli Idilli, sia nelle
tematiche, intime e autobiografiche, sia nel linguaggio, più
colloquiale e di limpida semplicità. Leopardi ha definito gli idilli
come espressione di “sentimenti, affezioni, avventure storiche del
suo animo”. Negli Idilli dunque la rappresentazione della realtà
esterna è tutta soggettiva. Esemplare è l’Infinito, in cui compare una
meditazione lirica sull’idea di infinito creato dall’immaginazione, a
partire da sensazioni visive e uditive.
Le Operette morali. Chiusa la stagione delle canzoni e degli idilli,
comincia per Leopardi un silenzio poetico che durerà per qualche
anno. Egli lamenta la fine delle illusioni giovanili, lo sprofondare in
uno stato d’animo di aridità e di gelo che gli impedisce ogni
processo di immaginazione. Per questo, dopo la delusione subita nel
suo primo contatto con la realtà esterna alla “prigione” di Recanati,
nascono le Operette morali, prose di argomento filosofico.
Leopardi vi espone il sistema da lui elaborato, attingendo al vasto
materiale accumulato nello Zibaldone, ma lo espone attraverso una
serie di invenzioni fantastiche, miti, allegorie e paradossi. Molte
delle operette sono dialoghi, i cui interlocutori sono creature
immaginose, personificazioni, personaggi mitici o favolosi; in altri
casi si tratta di personaggi storici, oppure di personaggi storici
mescolati con esseri bizzarri o fantastici. In alcune operette
l’interlocutore principale è proiezione dell’autore stesso. Altre
hanno forma narrativa, altre ancora prose liriche o raccolte di detti
paradossali.
Da queste opere risulta la varietà dell’invenzione di Leopardi: anche
le invenzioni si concentrano intorno ai temi fondamentali del
pessimismo: l’infelicità dell’uomo, l’impossibilità del piacere, la
noia, il dolore, i mali materiali che affliggono l’umanità. Con tutto
ciò non si ha un’impressione di cupezza: questo grazie allo
sguardo fermo e lucido, all’assoluto dominio intellettuale e al
distacco ironico con cui Leopardi contempla il vero.
I grandi idilli. Il 2 maggio 1828 si conclude il lungo periodo
di silenzio poetico di Leopardi. Il poeta assiste ad un
risorgimento delle sue facoltà e lo saluta con un componimento che
chiama appunto "Il risorgimento". Seguiranno molte altre opere
quali "A Silvia", "La quiete dopo la tempesta", "Il sabato del
villaggio", "Passero solitario". Tutti questi componimenti
riprendono temi, atteggiamenti e linguaggio degli idilli degli anni
passati, caratterizzati dalle illusioni e dalle speranze proprie della
giovinezza, le rimembranze, la suggestione di immagini e suoni
vaghi e indefiniti. Per questo è nell’uso comune definirli
“grandi idilli”. Questi componimenti non sono solo la semplice
ripresa della poesia precedente: il moto della memoria ricupera e fa
rivivere il passato, ma a questo riaffiorare si accompagna sempre la
consapevolezza del vero. I grandi idilli sono percorsi da immagini
liete che al tempo stesso sono rarefatte, assottigliate, costantemente
accompagnate dalla consapevolezza del dolore. Tale consapevolezza,
però, non ha un potere distruttivo su quelle immagini, il vero è
richiamato con delicatezza e riserbo. La caratteristica che
individua i grandi idilli è quindi un sapiente equilibrio tra
due spinte contrastanti, il “caro immaginar” e il “vero”. Un'altra
differenza tra i primi e i grandi idilli è che in questi ultimi non
compaiono più gli slanci, i fremiti, gli impeti di disperazione e di
rivolta. Leopardi ha assorbito nelle poesie l’esperienza delle
Operette, quell’atteggiamento di lucido dominio dinnanzi a una
verità immutabile. Il linguaggio si fa più misurato sia nella
direzione della tenerezza e della dolcezza, sia nel senso
della desolazione. Il poeta non usa più l’endecasillabo sciolto, ma
una strofa di endecasillabi e settenari che si succedono liberamente.
Questa metrica asseconda perfettamente la vaghezza e indefinitezza
delle immagini e del movimento fantastico.
L’ultimo Leopardi. L’ultima stagione leopardiana segna una
svolta di grande rilievo rispetto alla poesia precedente. Leopardi
ristabilisce un contatto diretto con gli uomini, le idee, i problemi del
suo tempo; appare orgoglioso di sé, pronto e combattivo nel
diffondere le proprie idee. L’apertura si verifica anche sul
piano interpersonale. Nasce a Firenze l’amicizia con Antonio
Ranieri e la sua prima vera esperienza amorosa. La cocente
delusione subita in tale rapporto segna per Leopardi la fine
dell’inganno estremo: l’amore. Da questa esperienza nasce il “Ciclo
di Aspasia”, dal nome greco in cui il poeta designa in una poesia la
donna amata. Il ciclo consta di cinque componimenti. Si tratta di
una poesia profondamente nuova: nuda, severa, quasi
priva di immagini sensibili. Compaiono atteggiamenti energici
e combattivi, il linguaggio si fa aspro e antimusicale e la sintassi
complessa e spezzata. Una vera e propria nuova poetica.
Inizia un periodo di intensi rapporti con le correnti ideologiche del
tempo. Un impegno negativo e polemico contro tutte le ideologie
ottimistiche che esaltano il progresso. Egli ne contrappone le
proprie ideologie pessimistiche che escludono il
miglioramento della condizione umana. Questa polemica è
condotta attraverso varie opere: "La Paralinodia", una sorta di satira
pariniana nei confronti della società; "Ad Arimane", un abbozzo di
inno al principio del male secondo la religione persiana; "i
Paralipomeni", ampio poemetto satirico.
Una svolta essenziale si presenta con "La Ginestra",
componimento riproponente la dura polemica antiottimistica e
antireligiosa che chiude il suo percorso poetico. Qui Leopardi cerca
di costruire un’idea di progresso proprio sul suo pessimismo. La
consapevolezze della condizione umana, indicando la natura come
nemica, può indurre gli uomini ad unirsi per combattere la sua
minaccia. Tale legame può far cessare le sopraffazioni e le
ingiustizie della società. Questa filosofia apre qui una generosa
utopia basata sulla solidarietà degli uomini.
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