NÉ FRONTIERE NÉ DOCUMENTI - Raoul Vaneigem (No Border Camp: Bruxelles, 25 settembre - 3 ottobre 2010) C’è stato un tempo in cui l'anarchico Albert Joseph, detto “Libertad”, prevedendo lo sviluppo di una burocrazia kafkiana e della dittatura delle scartoffie amministrative, invitava i cittadini a bruciare le loro carte di identità e a ritornare a essere degli esseri umani che rifiutano di lasciarsi ridurre a dei numeri, debitamente repertoriati nel censimento statale e statistico degli schiavi. Le nostre esistenze sono oggi talmente pervase da queste cifre, che regolamentano indifferentemente i pagamenti bancari, gli stipendi, la previdenza sociale, i sussidi di disoccupazione e le pensioni, che esistere senza documenti sembra tanto impossibile e impraticabile quanto attuare la raccomandazione di Libertad di farla finita con la marchiatura infamante e poliziesca del bestiame sociale. Così siamo messi di fronte con una duplice e paradossale esigenza: da una parte, occorre che ciascuno, qualunque sia la sua etnia, il suo status sociale, la sua identità come persona, benefici di un diritto di accesso a quella giungla burocratica che è diventata la nostra società; dall’altra, è inammissibile che la sorte degli uomini sia a tal punto determinata da una gigantesca calcolatrice il cui carattere disumano è incompatibile con il diritto a una vita liberamente appagante. Aggiungiamo a ciò il processo di degrado dello Stato dovuto all'ascendente dei poteri bancari, essi stessi minacciati da un crollo monetario mondiale. Perché gli Stati hanno perso il privilegio, che si arrogavano, di gestire la cosa pubblica. Ancora ieri prelevavano il loro tributo sui cittadini a forza di tasse e imposte ma, in compenso, assicuravano il funzionamento dei servizi pubblici -insegnamento, salute, stazioni, trasporti, sussidi di disoccupazione, pensioni… Ma cosa ne è oggi? Gli Stati sono diventati i valletti delle banche e delle multinazionali. Tuttavia, queste sono messe di fronte al crollo di un denaro impazzito, a un turbine di miliardi investiti in speculazioni di Borsa dove girano a vuoto, invece di servire allo sviluppo delle industrie primarie e dei settori utili alla società. Miliardi che formano una bolla destinata a implodere e a provocare un formidabile crac finanziario. Siamo preda di gestori fallimentari, avidi di immagazzinare i loro estremi profitti a breve termine sfruttando fino all'eccesso dei cittadini che una demente politica di austerità invita a sacrificarsi per colmare il baratro senza fondo del deficit provocato dalle malversazioni bancarie. Non solo lo Stato non è più in grado di rispettare i propri obblighi in virtù del vecchio contratto sociale, ma taglia i bilanci dei servizi pubblici, manda in rovina tutto ciò che garantiva quantomeno la sopravvivenza, invece di permettere a ciascuno di condurre una vita autentica. E tutto ciò in nome di quella gigantesca truffa alla quale è stato dato il nome di debito pubblico. Lo Stato si è ripiegato sulla sola funzione che ancora richiama la sua esistenza: la repressione poliziesca. L'unica salvaguarda dello Stato è quella di diffondere la paura e la disperazione. Ci riesce abbastanza bene accreditando efficacemente una specifica prospettiva apocalittica: sparge la voce che domani sarà peggio di oggi. La saggezza consiste dunque, secondo lui, nel consumare, nello spendere prima della bancarotta, nel far fruttare tutto ciò che si può, anche a costo di rovinare la propria esistenza e il pianeta intero affinché la truffa generalizzata si perpetui. La lotta in favore degli immigrati clandestini dovrebbe tenere conto di un tale contesto. Sotto diversi aspetti. 1) Per dissimulare la gigantesca distrazione del bene pubblico, lo Stato è ridotto a creare un diversivo. Punta sul timore e sullo scoraggiamento, che mantiene accuratamente, per assumere il ruolo di guardiano della sicurezza. E come sempre, in simili casi, ricorre alla vecchia tattica del capro espiatorio. Ai cittadini impauriti dall’aumento della disoccupazione, dal calo del potere di acquisto, dalla precarietà crescente, indica dei gruppi “pericolosi” sui quali tenta di deviare un'aggressività che, senza questi palliativi, si ritorcerebbe contro i corrotti e gli approfittatori che ci governano. Tutto serve a mantenere la cortina di fumo che nasconde i veri problemi. Mentre in Belgio Valloni e Fiamminghi sono ugualmente vittime delle malversazioni di un Stato al servizio dei poteri finanziari, un nazionalismo mafioso tenta di farli insorgere gli uni contro gli altri. Una xenofobia mantenuta in modo subdolo si dà da fare per identificare arabi e terroristi islamici, trasforma in antisemitismo la giusta opposizione alla politica anti-palestinese del governo israeliano, lavora per opporre i disoccupati e gli immigrati clandestini, non ha paura di esalare il tanfo nazista che proviene dal disprezzo e dai maltrattamenti riservati agli zingari. Dobbiamo prendere coscienza che lo Stato corrotto fa di tutto per impedire che si stabilisca un’autentica solidarietà tra gli svantaggiati, che sono oggi colpiti dalla precarietà, e coloro che, godendo ancora di una certa sicurezza delle proprie condizioni di vita, domani la perderanno se continuano a rassegnarsi alla sorte che li attende. È dunque questa solidarietà che bisogna ripristinare, è su di essa che bisogna puntare prendendo la difesa comune degli immigrati clandestini, dei disoccupati ma anche dei salariati in lotta contro lo sfruttamento, delle associazioni che preparano l'autogestione e la soppressione del denaro, dei movimenti collettivi che rifiutano il degrado dei trasporti pubblici, dell'insegnamento, delle cure sanitarie, della posta, delle industrie primarie, dell'agricoltura... Scommettiamo sulla poesia della vita contro le leggi del profitto, che la degradano. 2) Rispondere alla politica repressiva dei governi corrotti, non è usare contro di essa la stessa violenza, ma è andare oltre i suoi diktat umilianti, è diffondere la disobbedienza civile. Come? Intervenendo per ristabilire la qualità di un’esistenza che lo Stato manda in rovina sotto la pressione delle mafie bancarie. Siamo tutti degli emarginati, sacrificati agli interessi sordidi di un sistema assurdo. Non abbiamo altra scelta che puntare su noi stessi per tirarci fuori dal malgoverno. Nella maggior parte delle donne e degli uomini esiste una ricchezza poetica e una creatività capaci di instaurare in tutti gli ambiti delle condizioni più umane. Molti, mezzi addormentati per la routine, le ignorano ancora. Ma in compenso, sono le principali, se non le uniche risorse per coloro che la politica delle democrazie corrotte emargina e condanna al ruolo di capri espiatori. Piuttosto che deprezzare un uomo, è meglio valorizzare ciò che ha in sé di umano e di creativo. Non è aberrante temere e cacciare gli zingari, mentre aiutarli a sviluppare le loro capacità artigianali e musicali farebbe diventare il loro passaggio un'occasione gradita? Invece di voler ipocritamente reintegrare i disoccupati in un mercato del lavoro compromesso dal moltiplicarsi delle chiusure delle aziende, perché non favorire delle strutture in cui l'inventiva di ciascuno possa avere libero corso? La lotta a favore degli immigrati clandestini si impantana troppo spesso in una difesa disperata, addirittura suicida. Ciononostante, l'offensiva è la migliore difesa. Non una risposta aggressiva, dello stesso tipo dell’intervento poliziesco telecomandato da una burocrazia affarista, che esalta cinicamente l'austerità nei confronti di coloro che manda in rovina. Ma un'offensiva che instaura ovunque dei territori liberati dall'ascendente della merce e del profitto, delle zone dove il diritto alla vita, alla gioia, alla creazione, alla bellezza, al godimento abolisca i diritti del commercio, della predazione, della barbarie. Dobbiamo impegnarci a supplire alle carenze di uno Stato sempre più lontano delle rivendicazioni dei cittadini. Siamo chiamati a prepararci fin da ora se non vogliamo più che le tasse servano a colmare il baratro delle malversazioni bancarie e delle speculazioni borsistiche. Il nostro compito prioritario è di riportare la poesia in una società dove la lusinga del guadagno e del potere ha privato di poesia ogni cosa. Si tratta, in un mondo di accecamento aggressivo, di designare, di reinventare, di privilegiare valori umani quali la generosità, la solidarietà, la gratuità, la creatività, il godimento, la vita sovrana. Diventare umani significa negarsi come schiavi del lavoro e del potere per affermare il proprio diritto alla felicità, creando le condizioni favorevoli alla felicità di tutti. (testo originale sul sito www.noborderbxl.eu.org) - traduzione a cura di Andrea Babini -