TECNOLOGIA e LEGISLAZIONE FARMACEUTICA I Prof. Cerchiara ART. 32 della Costituzione della Repubblica italiana: “LA REPUBBLICA TUTELA LA SALUTE COME FONDAMENTALE DIRITTO DELL’INDIVIDUO E INTERESSE DELLA COLLETTIVITA’, E GARANTISCE CURE GRATUITE AGLI INDIGENTI. NESSUNO PUO’ ESSERE OBBLIGATO A UN DETERMINATO TRATTAMENTO SANITARIO SE NON PER DISPOSIZIONE DI LEGGE. LA LEGGE NON PUO’ IN NESSUN CASO VIOLARE I LIMITI IMPOSTI DAL RISPETTO DELLA PERSONA UMANA.” Evidenzia come la salute dei cittadini è un bene fondamentale e per questo motivo lo Stato ed a cascata le regioni e i comuni organizzano una complessa reti di servizi sanitari (medici di base, ospedali, varie cliniche). Il farmacista rientra in questo quadro perché la farmacia ed il farmacista riveste un ruolo di intermediario tra il paziente ed il sistema sanitario. Quindi il farmacista, in quanto operatore sanitario, è responsabile della tutela della salute della collettività. Ovviamente, tutelare la salute è importante perché permette di garantire il benessere delle persone e quindi una qualità della vita migliore. SALUTE BENESSERE QUALITA’ della VITA Inoltre, la farmacia ed il farmacista rappresentano il primo punto di riferimento, il primo interlocutore che il paziente contatta per piccoli incidenti (ad es. un banale raffreddore). Il farmacista, in base alla competenza e professionalità, valuta se è il caso di indirizzare il paziente al medico o ad altre strutture. Può anche risolvere al paziente alcuni dubbi sulla modalità di assunzione di alcuni farmaci, sul dosaggio e sulla prevenzione della salute = rappresenta un PRESIDIO di SALUTE sul TERRITORIO. La farmacia di oggi, rispetto alla farmacia del passato, si è evoluta proprio per venire incontro alle esigenze dei diversi pazienti e per tutelare al massimo la salute della collettività. Infatti, è diventata la FARMACIA DEI SERVIZI = possibilità di svolgere delle operazioni in farmacia, come ad esempio la misurazione della pressione, elettrocardiogrammi o analisi di laboratorio. Il farmacista può essere definito come ALLENATORE DELLA SALUTE poiché si presta a guidare il paziente nel caso in cui debba seguire una terapia, e prevenire e mantenere il benessere delle persone che vogliono mantenere un buono stato di salute. In futuro (2030 descritto da alcuni farmacisti dell’Unione Europea) il farmacista deve: - Assicurare la qualità della cura e la sicurezza del paziente aumentando i servizi e comunicando con il paziente, guidandolo alla somministrazione corretta dei diversi medicinali che gli vengono consegnati 1 - - Migliorare la salute pubblica effettuando screening sanitari o migliorare la gestione dei farmaci Garantire l’accesso ai farmaci, disponibilità in alcuni Paesi europei di far accedere ai farmacisti alla cartella clinica del paziente in modo tale che si possano monitorare e controllare i diversi farmaci che il paziente sta assumendo Contribuire alla sostenibilità del sistema sanitario nazionale fornendo servizi farmaceutici innovativi ed efficaci in maniera tale da sgravare gli ospedali da alcuni impegni Requisiti che verranno sempre richiesti al farmacista: COMPETENZA e PROFESSIONALITA’: i pazienti entreranno perché sono sicuri di trovarsi di fronte una figura competente e professionale che li sappia aiutare e guidare nella scelta del medicinale (in caso di un banale raffreddore) o che li guidi nella somministrazione di farmaci particolare che gli sono stati prescritti. Questi requisiti si acquisiscono studiando = competenze nell’area biologica, chimica, tecnologia farmaceutica ed in farmacologia. Tutte le materie che noi stiamo studiando possono essere immaginate come delle tessere che ci permetteranno di costruire e realizzare un puzzle dinamico, non definitivo. La laurea non sarà il punto finale, ma sarà il punto di partenza per i futuri aggiornamenti poiché la scienza si evolve e va avanti. Tecnologia farmaceutica sarà la materia che ci accompagnerà tutti i giorni nella professione di farmacista. È una materia che si trova ogni qualvolta si dispensa un medicinale e si va a leggere il foglietto illustrativo dove ci sarà una parte che riguarda appunto la tecnologia farmaceutica. La parte che interessa la tecnologia farmaceutica più da vicino comprende la COMPOSIZIONE, la FORMA FARMACEUTICA E CONTENUTO ed il TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE. 2 La TECNOLOGIA FARMACEUTICA si occupa della preparazione di una forma farmaceutica e dei relativi controlli. La parte di LEGISLAZIONE FARMACEUTICA ci aggiornerà su tutte le leggi che regolamentano i medicinali, quindi sia la legislazione italiana che europea. Il linguaggio della tecnologia comprende: MEDICINALE o PRODOTTO MEDICINALE: ogni sostanza o associazione di sostanze presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane oppure ogni sostanza o associazione di sostanze che può essere utilizzata sull’uomo o somministrata all’uomo allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un’azione farmacologica, immunologica o metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi medica. DECRETO LEGISLATIVO 24 aprile 2006, n. 219 (Entrato in vigore il 6-7-2006). Attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonché della direttiva 2003/94/CE. (GU n.142 del 21-62006 - Suppl. Ordinario n. 153). Questo decreto legislativo non menziona per niente la parola farmaco, quindi bisogna parlare in termini di medicinale. 3 Ogni medicinale è costituito da una forma farmaceutica, da un contenitore primario, da un foglietto illustrativo e da un contenitore secondario. FORMA FARMACEUTICA: a sua volta è costituita dal principio attivo o farmaco e da uno o più eccipienti. La forma farmaceutica ci permette di ottimizzare l’effetto terapeutico del principio attivo, ci permette di ridurre gli effetti collaterali e ci permette di direzionare il principio attivo al sito d’azione. È la presentazione del farmaco in seguito a trasformazione che lo rende idoneo ad un certo tipo di somministrazione. Alcuni esempi di forme farmaceutiche sono: capsule, compresse, granulati, ovuli, sospensioni, supposte, sciroppi e compresse rivestite con film. - PRINCIPIO ATTIVO o FARMACO o SOSTANZA MEDICINALE: è la sostanza che possiede l’attività terapeutica, diagnostica o preventiva. - ECCIPIENTI: sostanze inerti dal punto di vista farmacologico (non hanno quindi attività terapeutica), sono dei componenti che vengono utilizzati per poter realizzare la forma farmaceutica. La loro funzione è quella di poter operare come veicolo del principio attivo, facilitando l’allestimento della preparazione, contribuendo alle caratteristiche del prodotto. Infatti, grazie alla presenza degli eccipienti, è possibile proteggere il principio attivo, migliorarne la stabilità del profilo biofarmaceutico e le proprietà organolettiche. Classificazione delle forme farmaceutiche 4 Ci sono forme farmaceutiche che rilasciano il principio rapidamente (voltaren fast) oppure forme farmaceutiche retard in quanto il principio attivo viene rilasciato più lentamente nel tempo. Un’altra classificazione può essere fatta in base al rilascio del principio attivo: Forme farmaceutiche CONVENZIONALI a RILASCIO IMMEDIATO Forme farmaceutiche NON CONVENZIONALI o a RILASCIO MODIFICATO: a rilascio prolungato, a rilascio ritardato (ripetuto o pulsante) e a rilascio accelerato Un’ulteriore classificazione è: Forma farmaceutica a SINGOLA DOSE: suddivisioni unitarie del prodotto medicinale che possono essere realizzate dal farmacista o su scala industriale. Vantaggi: precisione del dosaggio, facilità d’impiego, protette e conservate individualmente e facile identificazione di ciascuna unità. Un esempio sono le varie compresse presenti nel blister. Forma farmaceutica a DOSI MULTIPLE: misurazione diretta della dose prescritta da parte dell’utilizzatore. Es.: sciroppi, soluzioni, polveri. Vantaggi: possibilità di adattare la posologia a ogni individuo Svantaggi: mancanza di precisione della misurazione. Strumenti utilizzati per dosare: cucchiaini, contagocce o misurini inseriti direttamente nelle confezioni. Esiste un modo di classificare le forme farmaceutiche ufficiali ed è presente nella farmacopea italiana 12° edizione (edizione attualmente vigente). Forme farmaceutiche IN BASE A USO SPECIFICO: Forme farmaceutiche per USO CUTANEO: Preparazioni auricolari Preparazioni farmaceutiche pressurizzate Preparazioni nasali Preparazioni oftalmiche Preparazioni parenterali Preparazioni per inalazione Preparazioni per irrigazione Preparazioni rettali Preparazioni vaginali Tamponi medicati Bastoncini Cerotti transdermici Liquidi per applicazione cutanea Polveri per uso topico Schiume medicate Forme farmaceutiche ORALI: Capsule Compresse Gomme da masticare medicate Granulati Preparazioni a USO La direttiva europea parla di medicinali che possono essere Liquidi per uso orale VETERINARIO fabbricati sia dall’INDUSTRIA FARMACEUTICA sia dalla FARMACIA. Polveri per uso orale 5 In entrambi i casi ai medicinali deve essere assicurata EFFICACIA, SICUREZZA e QUALITA’. Dall’industria farmaceutica vengono prodotti dei medicinali pre-confezionati e per la produzione è richiesta l’autorizzazione alla produzione (AP) e l’autorizzazione all’immissione sul mercato (AIC). In farmacia possono essere allestiti due tipi di medicinali: Preparati MAGISTRALI: medicinali preparati direttamente in farmacia in base a prescrizione medica e destinati a un determinato paziente. Preparati OFFICINALI: preparati in farmacia, sia quelle aperte al pubblico che quelle ospedaliere, in base alle indicazioni riportate nella Farmacopea Ufficiale. Questi preparati sono quelli che noi prepareremo in laboratorio. FARMACOPEA UFFICIALE ITALIANA XII ed. Approvata con Decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali il 3 dicembre 2008 ed è in vigore dal 31 marzo 2009. Strumento per il controllo della qualità dei medicinali Disposizioni a regolare l’esercizio della farmacia Inserimento di Tabelle che riportano delle sostanze per le quali esistono delle normative specifiche per la loro dispensazione e per il loro utilizzo nelle preparazioni magistrali e officinali Norme di Buona Preparazione dei medicinali in farmacia Testo obbligatoriamente presente in farmacia ed ostensibile al pubblico. La Commissione permanente per la revisione e la pubblicazione della FU ha sede presso l’Istituto Superiore di Sanità. Il presidente di questa commissione è proprio il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità. Il compito di questa commissione è quello di interfacciarsi con la Commissione Europea di Farmacopea e con gli organismi nazionali e sopranazionali del Settore. Al tavolo possono partecipare anche i rappresentanti delle diverse commissioni dei farmacisti per poter revisionare, aggiornare e quindi pubblicare la FU. Viene stampato dal poligrafico dello stato e dovrebbe essere aggiornata ogni 5 anni. 6 7 Tabelle della FU XII ed. Oltre alle monografie, nella Farmacopea Ufficiale sono riportate delle tabelle. Al momento sono riportate 8 tabelle: Tabella 1: MASSE ATOMICHE RELATIVE. Riporta tutte le masse atomiche relative. È importante perché se il farmacista deve allestire un medicinale ed ha bisogno di fare dei calcoli, può fare riferimento alla farmacopea e quindi alla tabella 1 per conoscere il peso molecolare delle diverse sostanze. Tabella 2: TABELLA DELLE SOSTANZE MEDICINALI DI CUI LE FARMACIE DEVONO ESSERE PROVVISTE OBBLIGATORIAMENTE. Elenco di sostanze ampiamente utilizzate o di prodotti indispensabili in situazioni di emergenza su cui il medico può fare sempre affidamento. Questa tabella utilizza due caratteri: il carattere RETTO per fare riferimento alle sostanze che devono essere tenute in farmacia come 8 sostanza o dispositivo medico ed il carattere CORSIVO per sostanze che devono essere tenute in farmacia come sostanza o prodotto medicinale. Tabella 3: TABELLA DI SOSTANZE LE CUI MONOGRAFIE SONO NELLA FARMACOPEA UFFICIALE DA TENERE IN ARMADIO CHIUSE A CHIAVE. È un elenco non esaustivo ma indicativo poiché questo elenco può anche essere ampliato e qui è il farmacista che può decidere se inserire una determinata sostanza sotto chiave. Questa tabella veniva prima indicata come tabella dei veleni, ma a seguito dell’aggiornamento della tariffa dei medicinali non viene più classificata così poiché rientrano altre sostanze che sono state classificate dal GHS (organismo che valuta la pericolosità delle sostanze chimiche attribuendo alle sostanze dei codici di pericolosità). Le sostanze che sono letali per la salute umana sono codificate con H300 = sostanza letale se ingerita, H310 = sostanze letale a contatto con la pelle e H330 = sostanza letale per inalazione. La manipolazione di queste sostanze da parte del farmacista fa sì che nella compilazione delle etichette aggiunga, oltre al costo della preparazione, un diritto addizionale proprio per la manipolazione e l’utilizzo di queste sostanze. Tabella 4: ELENCO DEI PRODOTTI CHE IL FARMACISTA NON PUO’ VENDERE SE NON DIETRO A PRESENTAZIONE DI RICETTA MEDICA. Tabella 5: ELENCO DEI PRODOTTI CUI LA VENDITA S’ SUBORDINATA A PRESENTAZIONE DI RICETTA MEDICA DA RINNOVARE VOLTA PER VOLTA E DA RITIRARE DAL FARMACISTA. 9 Tabella 6: APPARECCHI ED UTENSILI OBBLIGATORI IN FARMACIA , quindi tutte le attrezzature. Tabella SOSTANZE AZIONE 7: E ELENCO DELLE PREPARAZIONE AD PSICOTROPA che è suddivisa in tabella I, II, III e IV. Contiene quindi tutte le sostanze sottoposte a vigilanza e controllo. È ulteriormente suddivisa in 5 sezioni: A, B, C, D ed E dove sono elencate le sostanze e preparazioni il cui uso terapeutico è lecito nel rispetto delle norme contenute nella legge. 10 Tabella 8: DOSI DEI MEDICINALI PER L’ADULTO OLTRE LE QUALI IL FARMACISTA NON PUO’ FARE LA SPEDIZIONE, SALVO IL CASO DI DICHIARAZIONE SPECIALE DEL MEDICO. Permette di controllare i dosaggi della prescrizione medica prima di spedire. Il farmacista deve controllare se il medico ha scritto la ricetta in modo corretto e consultando la tabella 8 si verifica se il dosaggio scritto dal medico è corretto, o comunque rientra in questa tabella. Altrimenti, non si può spedire la ricetta, a meno che il medico non riporta sulla ricetta il cosiddetto “sic volo”. La Farmacopea, oltre a monografie e tabelle, riporta le NORME DI BUONA FABBRICAZIONE DEI MEDICINALI IN FARMACIA: le linee guida tecniche che il farmacista deve seguire per poter allestire i medicinali che siano di qualità, efficaci e sicuri. Queste norme sono state aggiunte ufficialmente a partire dalla IX ed. I punti essenziali delle norme sono: - Generalità - Gestione della qualità in Farmacia - Personale - Laboratorio e attrezzature - Documentazione in Farmacia - Materie prime - Operazioni di preparazione - Controllo di qualità del preparato Confezionamento ed etichettatura - Stabilità del preparato: permette di stabilire la data di scadenza del preparato - Aspetti microbiologici dei preparati - Contratti esterni - Glossario Oltre alla Farmacopea Ufficiale italiana bisogna consultare la Farmacopea Europea poiché l’Italia ha deciso di mantenere la propria farmacopea, ma si deve consultare anche quella europea che è arrivata alla X ed. in vigore dal 1 gennaio 2020. Riporta 2426 monografie, 372 testi generali (incluse le monografie generali ed i metodi di analisi) e circa 2780 descrizioni di reagenti. - 11 Esempio di monografia di materia prima descritta nella farmacopea Europea Quindi i testi ufficiali che il farmacista può utilizzare nell’allestimento di un preparato sono la Farmacopea Europea, la Farmacopea Italia e altri testi come ad esempio il Medicamenta. Il Medicamenta è costituito da 7 volumi, una parte generale ed una parte monografica dove vengono descritte tutte le informazioni relative a principi attivi ed eccipienti (proprietà chimico-fisiche, saggi di purezza, proprietà farmacologiche, 12 farmacocinetica, indicazioni terapeutica, alcune ricette di preparazioni già riportate in passato). 13 La FORMA FARMACEUTICA è un sistema costituito da un principio attivo e da uno o più eccipienti. Il tecnologo farmaceutico valuta diversi fattori per arrivare alla forma farmaceutica sicura ed efficace. Bisogna valutare 3 diversi aspetti: 1. Fattori biofarmaceutici: sistema ADME e vie di somministrazione 2. Proprietà chimico-fisiche del principio attivo 3. Indicazioni terapeutiche per le quali la forma farmaceutica deve essere efficace (valuterà la malattia e gli aspetti relativi al paziente) BIOFARMACEUTICA Insieme dei processi che il farmaco subisce dopo essere stato somministrato. Il viaggio del principio attivo all’interno dell’organismo. ADME ASSORBIMENTO – DISTRIBUZIONE – METABOLIZZAZIONE - ESCREZIONE Insieme di tutti i processi che il principio attivo subisce dopo essere stato somministrato nell’organismo. 14 Attraverso la via endovenosa il principio arriva direttamente in circolo. Per tutte le altre vie il principio attivo deve superare delle barriere per poter arrivare poi al flusso sanguigno. Per la via orale e rettale i farmaci possono subire dei processi di metabolizzazione a livello del fegato dove vengono trasformati in composti attivi, meno attivi e non attivi. Quando il farmaco ha raggiunto il sistema circolatorio viene distribuito ed arriva al punto in cui esplica la sua attività terapeutica. Dopodiché viene metabolizzato ed eliminato attraverso i reni. All’acronimo ADME si aggiunge la lettera L che significa LIBERAZIONE, rilascio del principio attivo dalla formulazione (a cui dopo seguono gli altri processi) = L-ADME ASSORBIMENTO L’assorbimento è il passaggio del principio attivo attraverso le membrane biologiche costituite da un doppio strato fosfolipidico, da proteine, glicoproteine, da pori che permettono il passaggio di piccole molecole e colesterolo. L’assorbimento del farmaco può avvenire attraverso vari meccanismi: 15 Nell’ENDOCITOSI (a sx) la membrana si “introflette” per circondare le macromolecole da inglobare e in seguito si forma una vescicola contenente le macromolecole; questa vescicola penetra quindi all’interno della cellula (“staccandosi” dalla membrana), per poi liberare le sostanze che ha al suo interno. Nell’ESOCITOSI (a dx) una vescicola contenete il materiale da espellere (macromolecole) si avvicina alla membrana cellulare, si fonde con essa per poi riversare all’esterno il suo contenuto. DIFFUSIONE PASSIVA La diffusione consiste nel movimento della sostanza da una zona ad ALTA concentrazione a una zona a BASSA concentrazione. Non è saturabile Non è inibito da altri composti Non richiede energia La velocità di trasporto è determinata: - Proprietà chimico-fisiche del principio attivo (coefficiente di partizione) - Dalla natura della membrana - Gradiente di concentrazione attraverso la membrana 16 dm/dt = DS (K1C1) /x dm/dt = PSC1 D = coefficiente di diffusione C = concentrazione del principio attivo all’inizio della somministrazione In caso di somministrazione di una compressa il principio attivo deve essere liberato. Per poter raggiungere la circolazione sanguigna deve superare la membrana intestinale. Il farmaco si deve ripartire tra l’intestino e la membrana (1° partizione), poi tra membrana e sangue (2° partizione). La diffusione passiva si può schematizzare tramite la I LEGGE DI FICK: la velocità con cui il principio attivo viene assorbito nel tempo dipende da diversi fattori che vengono riassunti in una costante di permeabilità P. Questi fattori comprendono il coefficiente di diffusione, la superficie del farmaco che si dissolve, il gradiente di concentrazione iniziale del principio attivo e dalla concentrazione del farmaco che raggiunge il sangue. Tutto questo poi va diviso per lo spessore della membrana. Il viaggio del farmaco continua distribuendosi nei tessuti e organi. Dopo aver esplicato la sua attività il farmaco viene eliminato. METABOLISMO dei FARMACI 17 I farmaci sono esposti a reazioni catalizzate da enzimi che modificano la loro struttura. La maggior parte delle reazioni avvengono nel fegato. Le reazioni metaboliche di fase I comportano tipicamente l’addizione o lo smascheramento di un gruppo funzionale polare. Gli enzimi citocromo P450 presenti nel fegato svolgono importanti reazioni ossidative di fase I. Le reazioni metaboliche di fase II comportano tipicamente l’addizione di una molecola fortemente polare ad un gruppo funzionale. I coniugati risultanti sono più facilmente eliminati. ELIMINAZIONE dei FARMACI Sebbene l’eliminazione dei farmaci possa avvenire attraverso il sudore, l’aria esalata o la bile, è attraverso i reni che avviene la maggiore eliminazione. I reni filtrano il sangue in modo che i farmaci e i loro metaboliti entrino nei nefroni. Mentre le sostanze non polari sono riassorbite nel circolo sanguigno, le sostanze polari sono trattenute nei nefroni ed eliminate nell’urina. VIE di SOMMINISTRAZIONE Via RETTALE: supposte, capsule rettali di gelatina, micro e macroclismi. Risulta alternativa alla via orale quando questa sia sconsigliata a causa di nausea o vomito, malattie, modificanti l’assorbimento dei farmaci nel tratto GI superiore, degradabilità del farmaco nei fluidi, digestivi o interferenze del cibo con l’assorbimento, rilevante effetto di primo passaggio, caratteristiche organolettiche sfavorevoli. Via PARENTERALE: consente al principio attivo di arrivare rapidamente nella circolazione sanguigna determinando un'azione farmacologica rapida. Permette di evitare il passaggio dal tratto gastrointestinale, ed è quindi indicata per quei farmaci che vengono inattivati nello stomaco o nell'intestino. - endovenosa, intramuscolare e sottocutanea permettono di avere un effetto sistemico - intradermica, intrarteriosa, intratecale, interarticolare, intrapleurica e intracardiaca permettono di avere un effetto locale TRANSDERMICA: creme e paste Via RESPIRATORIA: I polmoni offrono un’eccellente superficie per l’assorbimento quando il farmaco è rilasciato in forma gassosa, nebulizzato o come particelle solide ultrafini. 18 Forme farmaceutiche: unguenti, VIA ORALE Forme farmaceutiche: sospensioni. polveri, capsule, compresse, gocce orali, sciroppi e È la via più conveniente per accedere alla circolazione sistemica, ma presenta alcuni svantaggi quali: eventuale metabolizzazione del farmaco dovuta all’effetto di primo passaggio possibile degradazione del farmaco ad opera dei fluidi e della flora batterica del tratto GI Influenza di altre variabili rilevanti nel tratto GI (variazioni del pH, concomitante presenza di cibo, peristalsi, etc.) sull’assorbimento del principio attivo È la più utilizzata per semplicità, sicurezza, basso costo richiede collaborazione da parte del paziente assorbimento: soprattutto a livello intestinale effetti: la comparsa dell’effetto dipende dalle caratteristiche del farmaco (principio attivo) Fattori fisiologici che influenzano l’assorbimento della via orale: 1. Area superficiale del tratto gastrointestinale: le superfici di assorbimento dello stomaco, dell’intestino tenue e del colon differiscono significativamente. Tali differenze producono variazioni nella velocità e nella quantità di farmaco assorbito dalle diverse regioni anatomiche. La presenza nella mucosa di pieghe, villi e microvilli è responsabile della maggior area superficiale effettiva disponibile all’assorbimento dell’intestino tenue. Di conseguenza in questa regione si realizza il massimo assorbimento per la maggior parte dei p.a., nonostante il pH dei fluidi intestinali non sempre risulti ottimale all’assorbimento di tutti i p.a. 2. Area superficiale del tratto gastrointestinale: l’intestino tenue è la regione più importante per assorbimento mediante trasporto attivo in quanto in esso si ha la maggior localizzazione di carrier. 3. pH dei fluidi gastrointestinali 4. Velocità di transito gastrointestinale 5. Influenza del cibo e della dieta: l’assunzione di cibo in concomitanza con la somministrazione di un p.a. può variarne in senso sia positivo che negativo la velocità e l’entità dell’assorbimento. 6. Stati patologici: patologie locali possono causare alterazioni del pH gastrico. Operazioni chirurgiche a carico dello stomaco possono causare variazioni nella biodisponibilità dei p.a. Le vie di somministrazione, insieme all’ADME, formano la biofarmaceutica. PROPRIETA’ CHIMICO-FISICHE dei principi attivi 19 Il tecnologo farmaceutico deve valutare nella preparazione della forma farmaceutica le proprietà chimico-fisiche dei principi attivi poiché influenzano la biodisponibilità una volta che viene somministrato e sono utili per ottenere prodotti stabili ed efficaci, da cui dipende appunto la biodisponibilità. Biodisponibilità dipende: dalla quantità totale di farmaco ceduto dalla forma farmaceutica che raggiunge inalterato il circolo sistemico a seguito dei fenomeni di assorbimento dalla velocità con cui la quota di farmaco disponibile arriva al sito d’azione (da cui dipende poi l’effetto del principio attivo) SOLUBILITA’: principio attivo più o meno solubile. Si valuta anche se si può migliorare la solubilità di un principio attivo con delle strategie oppure se si deve abbandonare l’idea di preparare una certa formulazione con quel principio attivo. DISSOLUZIONE: processo fisico con il quale una sostanza si scioglie in un dato solvente per formare una soluzione. È un processo visibile tutti i giorni, ad esempio quando si scioglie il sale o lo zucchero nell’acqua. Sono necessari dei dati per poter esprimere questo valore dal punto di vista matematico. La particella solida deve cominciare a dissolversi. Si forma lo strato diffusionale dove la concentrazione del farmaco è allo stato saturo. Poi le molecole si distribuiscono in tutta la soluzione di farmaco. Si avranno due concentrazioni: una vicina alla particella solida ed una più bassa a livello del fondo del recipiente. La concentrazione di saturazione permette di descrivere la velocità di dissoluzione = EQUAZIONE DI NOYES-WHITNEY. La velocità del principio attivo che dissolve nel tempo è uguale a K (costante di velocità di dissoluzione) ad S e a CS. Dalla velocità è possibile ricavarsi la massa che dipende dalla superficie e dalla concentrazione del principio attivo che dissolve. K = D / h costante di velocità di dissoluzione 20 S superficie del solido che dissolve Cs concentrazione di saturazione del principio attivo nell’ambiente di dissoluzione Il farmaco rilasciato dalla soluzione 1 dissolve più velocemente. Si può aumentare il valore giocando su questi due parametri e cioè superficie e concentrazione di saturazione. La superficie si può aumentare: micronizzando la polvere, riducendo le dimensioni della polvere che meglio dissolve utilizzando il principio attivo amorfo che è più solubile dello stesso principio attivo in forma cristallina preparando delle dispersioni solide = il principio attivo è disperso sulla superficie di materiali ad elevata area superficiale. - MACINAZIONE: il farmaco viene macinato assieme ad un materiale ad elevata area superficiale perdendo le sue caratteristiche di cristallinità ed adsorbendosi su tale supporto - EVAPORAZIONE DEL SOLVENTE: il farmaco viene depositato in forma micronizzata sulla superficie del supporto La concentrazione di saturazione si può aumentare: SALIFICAZIONE: un sale è più solubile di un acido e per questo è maggiormente preferibile utilizzarlo COMPLESSAZIONE: utilizzo di molecole particolari, dette CICLODESTRINE, oligosaccaridi ciclici prodotti dalla degradazione enzimatica. Sono caratterizzate dalla presenza di glucosi legate. Le tre naturali sono: che si differenziano tra di loro per le unità di glucosio. Da queste naturali sono state poi derivate le ciclodestrine sintetiche (per modificazioni chimiche dei gruppi OH) con particolari caratteristiche. 21 Per la loro caratteristica struttura permettono di aumentare la solubilità del principio attivo poco solubile. Le ciclodestrine assumono la forma di un toroide (a tronco di cono) in cui gli OH primari del glucosio sono posti nella parte terminale più stretta mentre gli OH secondari sono posizionati intorno all’apertura più ampia. La cavità interna è chirale ed ha proprietà idrofobiche, la superficie esterna invece ha caratteristiche idrofiliche. Hanno una forma a tronco di cono caratterizzata da una cavità idrofobica ed una superficie esterna idrofilica; per questo riescono a complessare, a formare il complesso di inclusione con un farmaco lipofilo (poco solubile). Lo intrappolano all’interno della cavità e si migliora la solubilità del principio attivo. Per vedere se la ciclodestrina migliora la solubilità del principio attivo, in laboratorio, il tecnologo farmaceutico deve fare delle prove = diagrammi di fase-solubilità. Si parte da una serie di matracci nei quali viene aggiunto il farmaco alla concentrazione di saturazione. Nel primo solo il farmaco, nel secondo farmaco e ciclodestrina e così via aumentando la concentrazione di ciclodestrina. Poi i matracci si mettono in agitazione per diverso tempo. Successivamente si va a titolare il principio attivo dei matracci che vengono riportati su un grafico (diagramma). Nel grafico viene indicato con L il legante o complessante (ciclodestrina). Nel caso in cui non si osserva alcun aumento della solubilità del farmaco si ha una retta parallela all’asse delle x e quindi non si è formato il complesso di inclusione tra farmaco e ciclodestrina. Si parte da F0 perché nel primo matraccio è presente solo il farmaco alla concentrazione di saturazione. 22 Nel diagramma di tipo A si riscontra un aumento della solubilità del farmaco in quanto si forma il complesso di inclusione tra farmaco e ciclodestrina. Questo complesso però non raggiungerà mai la concentrazione e si formerà un complesso solubile, sfavorevole poiché non si riesce ad isolare nello stato solido. Il diagramma di tipo B presenta un andamento diverso = formazione di un complesso a limitata solubilità. Nel tratto AB ci ricorda molto il diagramma di tipo A poiché si osserva un aumento della solubilità del principio attivo per formazione del complesso che non rimane solubile in soluzione per sempre. Nel tratto BC anche il complesso raggiunge la concentrazione di saturazione (retta parallela all’asse delle x). Al punto C finisce tutto il farmaco solido e comincia a precipitare il complesso che viene recuperato nel punto D dove scompare l’ultima molecola di farmaco in soluzione, a questo punto si può isolate e formare un preparato nella specifica forma farmaceutica. Il punto D si trova al di sopra del punto che indica la concentrazione di saturazione del farmaco, quindi del punto della solubilità iniziale del farmaco = il complesso ottenuto ha una solubilità maggiore rispetto al farmaco di partenza. Se si ottiene un punto D inferiore al punto A non si è migliorata la situazione del principio attivo → per il tecnologo farmaceutico è NECESSARIO CHE IL PUNTO D SIA AL DI SOPRA DEL PUNTO A, perché significa che il complesso che si è formato ha una solubilità maggiore del farmaco di partenza. 23 Una volta che il tecnologo è riuscito a preparare il complesso utilizzando una certa ciclodestrina per migliorare il principio attivo va a fare il SAGGIO DI DISSOLUZIONE (richiesto dalla farmacopea ufficiale) che permette di vedere come il farmaco viene rilasciato dalla forma farmaceutica. Svolgerà il saggio sul farmaco da solo, sul farmaco con la ciclodestrina e andrà a valutare la dissoluzione del complesso ottenuto. Il farmaco posto nell’ambiente di dissoluzione (provetta) viene lasciato per un certo tempo e poi titolato (analizzato) per riportare il dato in un grafico. Il farmaco da solo, nello strato diffusivo, raggiungerà la concentrazione di saturazione per poter poi essere distribuito nell’ambiente di dissoluzione ad una più bassa concentrazione. Se si va a valutare la solubilità del principio attivo è rappresentata dal solo farmaco alla concentrazione di dissoluzione (che deriva dal fatto che il farmaco solido passato in soluzione nello strato diffusivo si trova alla concentrazione di saturazione). Nello strato diffusivo la ciclodestrina rimane come tale e non raggiunge la concentrazione di saturazione. Nello strato diffusivo, aggiungendo la ciclodestrina, unendosi formano il complesso e la solubilità del farmaco + ciclodestrina sarà data dal farmaco alla concentrazione di saturazione più il complesso. Il complesso si avrà alla concentrazione di saturazione e poi si potrà dissociare in farmaco + ciclodestrina ed in questo caso si avrà la solubilità totale data dal complesso alla concentrazione di saturazione + il farmaco da solo. Volendolo rappresentare graficamente si hanno sempre gli assi cartesiani con massa in funzione del tempo e si avranno tre linee: la prima dal basso = farmaco F la centrale = F + L quella sopra maggiore = F-L farmaco complessato, che è più solubile rispetto al farmaco di partenza 24 In questo modo sono rappresentati i dati di uno studio di dissoluzione, quindi il complesso dissolve più velocemente rispetto ad F e ad F+L; quindi è vantaggioso utilizzare questo complesso. Questi profili di dissoluzione sono importanti per valutare i nuovi prodotti delle varie aziende. Il farmaco viene bloccato per formazione del complesso di inclusione che presenta la superficie esterna idrofilica ed il farmaco può essere assorbito. Il complesso, però, per le sue dimensioni non riesce a superare la membrana e per questo deve essere in grado di dissociarsi rilasciando il principio attivo vicino alla membrana. Bisogna determinare la costante di formazione del complesso Kf che si calcola dalla concentrazione del complesso. 25 Il numero risultante non deve essere né troppo basso né troppo alto. Se il numero è troppo basso significa che il complesso non si è formato, mentre se il numero è troppo alto significa che il complesso non è in grado di dissociarsi e quindi il farmaco non può essere assorbito in quanto la ciclodestrina non riesce a liberare il farmaco. MICELLAZIONE: la solubilità di un farmaco che è normalmente insolubile o poco solubile in acqua può essere migliorata dall’aggiunta di tensioattivi che lo inglobano, favorendo le interazioni soluto-solvente. I tensioattivi sono caratterizzati da una parte idrofila ed una parte lipofila. Quando vengono a contatto con l’acqua la parte idrofila si dispone verso l’acqua e quella lipofila verso l’aria. Questa disposizione si mantiene fino a quando il tensioattivo raggiunge la CONCENTRAZIONE MICELLARE CRITICA alla quale si forma la prima micella (forma sferica dove le code lipofile sono verso l’interno, mentre le teste idrofile sono verso l’esterno e quindi verso l’acqua). I tensioattivi vengono classificati dal punto di vista chimico in: IONICI, CATIONICI e NON IONICI. Essendo presente nel tensioattivo la coda lipofila e la testa idrofila è importante determinare il rapporto della presenza della parte lipofila e idrofila = HLB = BILANCIO IDROFILICO LIPOFILICO del tensioattivo. Si considera il peso molecolare della sola parte idrofila del tensioattivo diviso 5. È una scala di valori che va da 0 a 20 in modo da verificare se prevale la porzione lipofilica o idrofilica. 0-10 = tensioattivi LIPOFILI 26 10-20 = tensioattivi IDROFILI Il tecnologo farmaceutico prende una serie di matracci in cui metterà il farmaco alla concentrazione di saturazione, nel secondo il farmaco alla concentrazione di saturazione con il tensioattivo e successivamente aggiunge il tensioattiva a concentrazioni sempre crescenti. Lascerà in agitazione e titolerà. I dati vengono poi riportati in un grafico. Sull’asse delle ordinate c’è la concentrazione totale del farmaco, mentre sull’asse delle ascisse la concentrazione totale del tensioattivo (o micellante). Nel primo tratto la retta parallela all’asse delle ascisse significa che il tensioattivo ancora non aumenta la solubilità del farmaco poiché le micelle ancora non si sono formate in quanto il tensioattivo non ha raggiunto la concentrazione micellare critica (CMF). Nel secondo tratto la solubilità del farmaco aumento fino a un certo punto (CSF = concentrazione di separazione di fase) dove le micelle da sferiche si dispongono in doppio strato e non sono più in grado di aumentare la solubilità del farmaco. Infatti, nel terzo tratto la retta è parallela poiché si arresta l’aumento della solubilità per cambiamento della conformazione sterica della micella, da sferica a lamellare di doppio strato che non riesce più ad inglobare il farmaco. Successivamente il tecnologo va ad effettuare gli studi di dissoluzione per vedere se è migliorata la dissoluzione mettendo a confronto il farmaco da solo, il farmaco con il micellante ed il farmaco micellato. Quindi controlla se il farmaco dissolve maggiormente una volta micellato rispetto al farmaco da solo. 27 Farmaco da solo: è in equilibrio nello strato diffusivo con la sua forma alla concentrazione e la solubilità massima è data concentrazione del farmaco alla concentrazione di saturazione. Farmaco + micellante: nello strato diffusivo si avrà il farmaco che è in equilibrio con il la concentrazione di saturazione ed il micellante che è in equilibrio con la sua concentrazione. Farmaco micellato: sarà in equilibrio con il farmaco micellato alla concentrazione di saturazione e si può dissociare formando farmaco + tensioattivo. La solubilità totale sarà data dalla concentrazione del farmaco alla concentrazione di saturazione più il sistema farmaco-micellante. Se si va a rappresentare graficamente lo studio di dissoluzione ponendo la massa in funzione del tempo si ottiene che il farmaco micellato ha una velocità di dissoluzione maggiore rispetto al farmaco da solo e al farmaco con il tensioattivo = è MIGLIORATA LA DISSOLUZIONE POLIMORFISMO: Se si ha un principio attivo presente sia in forma amorfa che cristallina, il tecnologo prediligerà la forma amorfa poiché è quella più solubile. Questo riguarda per i farmaci che sono presenti in entrambe le formulazioni. La maggior parte delle forme farmaceutiche rilascia il principio attivo per dissoluzione per poi venire assorbito. Nel caso di somministrazione di un SOLUZIONE: il farmaco viene rapidamente assorbito e può manifestare l’effetto terapeutico. Nel caso di POLVERI E SOSPENSIONI le particelle vengono sospese e devono prima dissolvere. 28 Nel caso delle CAPSULE si deve dissolvere l’involucro che determina la liberazione degli aggregati (o granuli contenuti all’interno delle capsule) che possono dissolvere subito oppure possono de-aggregarsi (formando delle particelle solide sospese), poi subire il processo di dissoluzione e poi venire assorbite. Nel caso della COMPRESSA si ha formazione di aggregati o granuli che possono dissolvere rapidamente e quindi facilmente essere assorbiti, oppure si ha la disaggregazione con formazione di particelle solide sospese che vanno poi incontro al fenomeno della dissoluzione dopo di che vengono assorbite. Se la compressa subisce il processo di disaggregazione si migliore la velocità di dissoluzione poiché aumenta la superfice della polvere = più le particelle sono fini e più rapidamente passano in soluzione. I granuli già dissolvono meglio rispetto alla compressa integra poiché sta aumentando la superfice. Se i granuli vanno incontro a disgregazione migliora ancora di più la dissoluzione. Se nella compressa ci sono degli eccipienti come delle sostanze disaggreganti o disgreganti permette di aumentare l’area superficiale rendendo sempre più piccole le particelle per permettere di passare prima in soluzione e determinare il miglioramento della velocità di dissoluzione = rapido assorbimento e rapido effetto. Minori sono i fenomeni che il principio attivo deve subire e più rapido sarà l’assorbimento e quindi l’effetto terapeutico. Dovendo paragonare una soluzione con una compressa, la soluzione dà un effetto più rapido rispetto alla compressa perché nella soluzione il farmaco è già in soluzione ed è avvantaggiato perché passa nei fluidi gastrointestinali, viene rapidamente riassorbito e determina un rapido effetto. La compresse, invece, deve subire vari processi prima che il farmaco venga assorbito: si deve disaggregare, poi i granuli anch’essi si disaggregano e poi il farmaco viene assorbito. Ecco perché quando si somministra una compressa l’effetto è più ritardato rispetto alla soluzione. INFLUENZA del pH 29 STABILITA’ PROPRIETA’ ORGANOLETTICHE BIODISPONIBILITA’ Il prodotto farmaceutico deve essere SICURO, EFFICACE e DI QUALITA’. Studia l’influenza dei materiali (farmaco, eccipienti, contenitori), del processo di fabbricazione e della forma farmaceutica stessa sulla liberazione del farmaco e sulle relazioni fra liberazione e assorbimento. Biodisponibilità dipende: dalla quantità totale di farmaco ceduto dalla forma farmaceutica che raggiunge inalterato il circolo sistemico a seguito dei fenomeni di assorbimento e distribuzione e dalla velocità con cui la quota di farmaco disponibile arriva al sito d’azione. Obiettivo della formulazione è quello di rilasciare il principio attivo che viene assorbito raggiungendo il circolo sanguigno, dove viene distribuito per poi raggiungere il sito in cui determina l’effetto clinico, dopo di che verrà eliminato. L’effetto è dato dalla concentrazione del farmaco al sito d’azione e dalla concentrazione del farmaco nel plasma. biodisponibilità si rappresenta tramite le CURVE CONCENTRAZIONE PLASMATICA-TEMPO. Consiste nel riportare nelle ordinate la concentrazione del La farmaco nel plasma (determinata tramite prelievi su cui viene determinato il principio attivo) e nelle ascisse il tempo. FASE DI ASSORBIMENTO v assorbimento eliminazione > v distribuzione + v + v + v CONCENTRAZIONE DI PICCO v assorbimento eliminazione = v distribuzione FASE DI ELIMINAZIONE v assorbimento eliminazione < v distribuzione Nella prima parte della curva (tratto che viene indicato con la fase di assorbimento) la concentrazione del farmaco nel plasma aumenta ed è possibile paragonarla alla fase di assorbimento del farmaco nell’organismo, nonostante già la velocità di eliminazione sia presente (molto bassa). Nella seconda parte la concentrazione del farmaco comincia a diminuire nel tempo poiché prevale la fase di eliminazione. 30 La curva presenta un punto = CONCENTRAZIONE DI PICCO che indica la massima concentrazione del principio attivo. L’importanza va considerata all’interno dell’intervallo terapeutico. L’intervallo terapeutico è compreso tra la minima concentrazione efficace e la minima concentrazione tossica. Se la curva concentrazione plasmatica- tempo supera la concentrazione tossica non è consigliabile somministrarla, mentre se si mantiene al di sotto della minima concentrazione efficace significa che non determina l’effetto terapeutico. Tmax corrisponde al tempo impiegato dal farmaco per raggiungere la concentrazione massima. Tanto minore è il T max tanto più rapido sarà l’assorbimento e tanto più veloce sarà l’effetto. Tanto maggiore è il Tmax tanto più ritardato sarà l’assorbimento e quindi l’effetto terapeutico. La formulazione C ha un Tmax molto breve e quindi l’effetto sarà rapidissimo, ma lo svantaggio è che la concentrazione di picco supera la minima concentrazione tossica per cui una volta somministrata determinerà degli effetti tossici = formulazione non consigliabile. La formulazione A presenta la concentrazione di picco che rimane all’interno dell’intervallo terapeutico = formulazione da consigliare poiché l’effetto durerà per tutto il tempo in cui la concentrazione si manterrà nell’intervallo terapeutico. La formulazione B è da escludere poiché la concentrazione di picco non raggiunge la minima concentrazione efficace. L’AUC (area sottesa sotto la curva) permette di misurare la quantità totale di principio attivo che è stato assorbito ed è arrivato inalterato nella circolazione sistemica. Quindi rappresenta un dato che il tecnologo riesce a ricavare dall’area sottesa sotto la curva concentrazione plasmatica-tempo. biodisponibilità può essere valutata anche determinando le CURVE DI ESCREZIONE URINARIA CUMULATIVA per i farmaci per cui è largamente La dimostrato che vengono eliminati con le urine e la velocità di escrezione è proporzionale alla concentrazione di farmaco nel plasma. Assunzione non valida per farmaci debolmente acidi o basici poiché la velocità di escrezione dipende dal pH urinario. Analogamente alla curva concentrazione plasmatica-tempo, questa curva presenta una FASE DI ASSORBIMENTO ed una FASE DI ELIMINAZIONE. 31 Si possono mettere a confronto tre formulazioni che presentano la stessa dose di farmaco e che sono somministrate per la stessa via: l’AUC della formulazione A è uguale all’AUC della formulazione B, mentre l’AUC di C è la metà di quello di A. Sia la formulazione A che B manifestano l’effetto terapeutico all’interno dell’intervallo terapeutico; le differenze che si possono avere è che la A è più rapida rispetto alla B. La velocità di assorbimento è maggiore per A che per B che raggiungono lo stesso plateaux e per questo hanno la stessa via di eliminazione (la formulazione A assorbe più rapidamente e maggiormente della formulazione B), mentre la formulazione C ha una bassa velocità di assorbimento e quindi una capacità di assorbire una minore quantità di farmaco (rispetto alle formulazioni A e B). Per determinare la BIODISPONIBILITÀ ASSOLUTA si mettono a confronto i valori di due AUC quando si somministra tramite la via endovenosa ed un’altra via. Nella BIODISPONIBILITÀ RELATIVA si mettono a confronto due formulazioni, di cui una è già nota la sua efficacia mentre dell’altra deve essere testata, utilizzando sempre la stessa via di somministrazione. POLVERI “Polvere”: insieme di particelle solide, secche, libere, generalmente irregolari con dimensioni 0.5-1000 μm. Le dimensioni tengono conto di volume, forma e area superficiale. Da questi tre aspetti dipende la biodisponibilità e le caratteristiche tecnologiche. In farmacopea le polveri vengono suddivise in diversi intervalli a seconda delle dimensioni: GROSSOLANE: 350-1400 μm MODERATAMENTE FINI: 150-400 μm FINI: 100-200 μm MOLTO FINI: 70-150 μm FINISSIME: 10-100 μm MICRONIZZATE: 0,5-10 μm C’è un’altra classificazione più qualitativa cher si basa sulla forma delle particelle: AGHIFORME: a forma di ago (es: mentolo) ANGOLARE: dai bordi appuntiti CRISTALLINA: a forma geometrica sviluppata in mezzo fluido (es: cristalli di zuccheri) DENDRITICA: forma cristallina ramificata (es: a fiocco di neve) FIBROSA: a forma filiforme (es: crusca) PIATTA: a forma di piastrina GRANULARE: di forma irregolare equidimensionale IRREGOLARE: senza alcuna simmetria MODULARE: forma irregolare rotondeggiante SFERICA: forma circolare 32 Per ottenere le polveri si parte da un materiale solido che, attraverso un procedimento meccanico, viene polverizzato e ridotto a particelle di piccole dimensioni. Le proprietà dei materiali che influenzano la polverizzazione sono: - DUREZZA: viene calcolata tramite la scala di Mohs che va da 1 a 10; dove con 10 viene identificato il materiale più duro. Il diamante è il diamante più duro, mentre il talco è il materiale opposto. - - - ADESIVITA’: tipica di gomme e resine. Hanno la propensione ad adedire a pareti e strumenti di polverizzazione e, successivamente, tendono ad aderire tra di loro. Tuttavia, è possibile procedere alla macinazione di un materiale adesivo attraverso la co-macinazione del materiale con un eccipiente inerte tipo il talco. TEMPERATURA DI RAMMOLLIMENTO: tipica delle sostanze grasse e cerose. Durante il processo di polverizzazione si assiste ad un aumento della temperatura che può rendere difficile la polverizzazione di questo tipo di materiale poiché va ad ostacolare la polverizzaizone del materiale di partenza. In questo caso si procede attraverso il raffreddamento dell’apparecchio, oppure deraffreddando il materiale prima del processo di macerazione. CONTENUTO di UMIDITA’: alcuni materiali presentano caratteristiche che li rendono difficilmente macinabili a causa dell’alto contenuto di umidità che provoca un aumento del grado di elasticità e dell’adesività del materiale. In questo caso si interviene essiccando il materiale in modo tale da allontanare la maggiorparte di contenuto di umidità - PLASTICITA’: a questo materiale subisce una deformazione irreversibile, in caso di una forza. Un esempio di materiale è la canfora. Si effettua la macerazione o polverizzazione per intermedio aggiungendo un’altra sostanza che successivamente può essere eliminata. Si mette nel mortaio sia canfora che etanolo che nel tempo evaporerà. Nonostante queste proprietà rendano difficile la macinazione, questa può essere effettuata tramite degli escamotage. Per poter ottenere le polveri si utilizzano metodi (o processi) chimici-fisici o meccanici, partendo da un materiale solido. Noi ci occuperemo dei metodi meccanici prendendo in analisi tuttii vari strumenti che permettono di ottenere delle polvere. Si utilizzano degli strumenti che si basano su delle forze che permettono il processo della polverizzazione. Le forze sono 4: TAGLIO 33 COMPRESSIONE IMPATTO ATTRITO Passando da una all’altra si aumenta il grado di finezza della polvere che si ottiene. Queste forze, in uno strumento, posso essere singole o accoppiate. TAGLIO: le forze di taglio, esercitate da coltelli o lame sono impiegate per polverizzare materiali fibrosi quali radici, cortecce, legni, prima che vengano sottoposti a processi di tipo estrattivo. Le industrie, per effettuare questo processo, utilizzano il MOLINO A COLTELLI. All’interno sono presenti dei coltelli fissi e dei coltelli rotanti. Vengono quindi ridotte le dimensioni e le varie particelle vengono setacciate attraverso un trivello che permette di raccogliere il prodotto. COMPRESSIONE o PRESSIONE: si utilizza il MULINO A RULLI, che girando in senso inverso tra di loro comprimono al loro interno il materiale ottenendo delle particelle. IMPATTO: il MOLINO A MARTELLI è costituito da martelli rotanti che sbattono il materiale sulla superficie fissa del molino ed il trivello facilita l’uscita del materiale. Questo molino permette una rapida macinazione ma produce un riscaldamento del materiale. ATTRITO: è dato dall’azione combinata di pressione e frizione. Polveri fini dotate di buona biodisponibilità. MOLINO A PALLE: sfrutta principio dell’attrito e dell’impatto. Il recipiente cilindrico e le sfere contenute possono essere in porcellana o acciaio inox. Vantaggi: grande versatilità, polverizzazione di diversi materiali inclusi quelli tossici; raggiungimento di elevato grado di finezza Svantaggi: contaminazione prodotti in seguito a logoramento delle palle, formazione di depositi nella parete interna del cilindro, rumorosità. 34 La velocità di rotazione è importante ai fini della polverizzazione poiché influisce sulla caduta delle palle. Bassa velocità di rotazione: palle scorrono e ruotano l’una sull’altra. Polverizzazione scarsa. Alta velocità di rotazione: palle spinte contro pareti dalla forza centrifuga. Polverizzazione nulla. Velocità pari ai 2/3 di quella alla quale avviene la centrifugazione delle palle: caduta delle palle “a cascata” lungo il diametro del cilindro. Massima polverizzazione. Ci sono altri tipi di molino: Il MOLINO A GETTO DI FLUIDO (aria, azoto) funziona grazie a delle correnti d’aria che vengono inserite dal fondo che spinge in alto il materiale che incontra degli ugelli che aumentano la velocità delle particelle. Da qui le particelle di piccole dimensioni arrivano nel classificatore dove vengono eliminate insieme all’aria, mentre le particelle di più grandi dimensioni non passano il classificatore ripassano in circolo finché le loro dimensioni non vengono ridotte. MOLINO A GETTI D’ARIA CONTRAPPOSTI si utilizza quando si vuole micronizzare il materiale di partenza. Il meccanismo è basato su urto e sfregamento. Presenta due flussi d’aria laterali (1 e 1’) che trascinano le particelle le une contro le altre fino a polverizzarle. MOLINO COLLOIDALE che si basa sulla combinazione tra forza di attrito e forza di compressione. È necessario che il materiale sia premacinato. Il molino viene alimentato dall’alto ed il materiale viene poi recuperato dal basso. Questo molino permette di ottenere delle polveri micronizzate. La scelta del molino dipende da diversi fattori: - Caratteristiche del materiale di partenza (termosensibile, termolabile) Dimensioni del prodotto che si vuole ottenere Economici (costo del processo e dal tempo che necessità per ottenere la polvere) Tempo necessario per ripulire l’attrezzatura 35 I molini sono degli strumenti utilizzati a livello industriale o in laboratorio (per chi riesce ad acquistarli); altrimenti gli strumenti più utilizzati sono il mortaio ed il pestello. In base al materiale da polverizzare si utilizzeranno mortai e pestelli differenti; e anche in base alla forza applicata si otterranno polveri differenti e si userà un mortaio piuttosto che un altro. PROCEDIMENTI MANUALI CONTUSIONE: frantumazione masse grossolane per azione d’urto. Mortaio di elevata resistenza meccanica, ordinariamente metallico. Forma tronco-conica a base stretta e a pareti alte. Pestello allungato con base a calotta sferica. Frantumazione è effettuato mediante urto facendo cadere con forza il pestello sul materiale posto sul fondo del mortaio (pestare nel mortaio). Le pareti alte consentono di contenere i frammenti che a seguito della violenta frantumazione vengono proiettati intorno. Si ricorre alla contusione per frantumare droghe legnose friabili in frammenti grossolani (“droga contusa” sufficienti per sottoporle ad estrazione con solventi (decozione, macerazione ecc.). TRITURAZIONE: si comprime il materiale, già in polvere grossolana o in piccoli cristalli, fra il pestello e la parete interna del mortaio imprimendo al pestello un movimento circolare a spirale. Il meccanismo di frantumazione è fondamentalmente per attrito. Mortaio a base larga e a pareti basse, porcellana dura. Pestello a base di calotta sferica che si adegui geometricamente alla curvatura del mortaio per evitare formazione di spazi morti tra mortaio e pestello e triturazione perda efficacia. Polveri finissime si ottengono triturando a lungo la polvere con il pestello in un piccolo mortaio ( LEVIGAZIONE) o con un pestello a base piuttosto larga detto mola, su lastre di marmo (PORFIRIZZAZIONE). La polverizzazione è effettuata esclusivamente per attrito e consente di operare su piccole quantità di sostanze. Una volta polverizzato il materiale di partenza bisogna considerare le dimensioni del materiale ottenuto e si va ad effettuare l’ ANALISI GRANULOMETRICA. Si stabiliscono le dimensioni delle particelle e si va a valutare la distribuzione delle particelle fra le varie classi dimensionali. ANALISI con SETACCI gli STACCI o 36 Sono contenitori costituiti da fili metallici dove la distanza tra due fili metallici è definita distanza (apertura o ampiezza) della maglia. Si considerano da 6 a 8 setacci che vengono disposti partendo dall’ampiezza della maglia più grande a quella più piccola (in modo decrescente). Sul primo setaccio si pone il campione, solitamente 100 grammi. Questa pila di setacci viene chiusa con il coperchio e posta sullo strumento vibrovaglio che viene azionato ad una certa velocità per un certo tempo. Una volta finita la vibrazione si vanno ad analizzare le frazioni di polveri che si sono separate e depositate nei vari setacci. Questo tipo di determinazione è influenzato da: - Attrazione elettrostatica delle particelle o dall’igroscopicità del materiale, che portano alla formazione di aggregati Forma delle particelle e loro distribuzione nelle varie classi dimensionali Si riesce a risalire al diametro medio della frazione di polvere facendo la media aritmetica tra l’apertura della maglia del setaccio maggiore e l’apertura della maglia del setaccio su cui si è poggiato la polvere. Nella FU sono riportati 18 stacci. In campo farmaceutico quelli più utilizzati sono quelli che hanno una maglia che va da 1400 a 90 micron. Questi dati ottenuti possono essere riportati in un grafico per vedere il diametro delle particelle e quindi le dimensioni. Solitamente non si ottiene una bella gaussiana in quanto hanno sempre dimensioni irregolari. ANALISI per SEDIMENTAZIONE: utilizzata in caso di polveri costituite da particelle inferiori a 5 μm. Questa analisi si basa sulla LEGGE di STOKES su polveri con particelle irregolari. Per particelle irregolari si stabilisce il diametro che corrisponde a quello di particelle sferiche con identica densità e velocità di caduta (dst = diametro di Stokes). 37 D = diametro medio delle particelle η = viscosità del mezzo in poises h = distanza di caduta nel tempo t ρ = densità delle particelle ρo = densità del mezzo disperdente g = accelerazione di gravità La legge è valida per sospensioni diluite (0,5-2%) di corpi sferici e in condizioni di flusso laminare. Lo strumento che si utilizza è la pipetta di Andreasen. ANALISI con il MICROSCOPIO nel caso del microscopio ottico Intervallo di misura: 0.2- 100 mm In questo caso la misura rilevata può essere riferita a più di un diametro equivalente. Scelta una linea fissa arbitraria passante orizzontalmente attraverso il centro della particella si possono osservare: indipendenti - il diametro riferito al perimetro proiettato: dp dall’orientamento delle - il diametro riferito all’area proiettata: da particelle - il diametro di Martin: dM dipendenti sia dalla forma che dall’orientamento delle il diametro di Feret: dF particelle apparecchio Coulter - Misura del Utilizzo del Coulter counter (range 0.5-1000 mm) 38 volume delle particelle: - Riesce a contare fino a 4000 particelle/secondo. I dati possono essere rapidamente convertiti da distribuzione in volume a quella in peso. Campione sospeso in soluzione di NaCl o altro elettrolita. La sospensione viene posta in una cella contenente 2 elettrodi. Uno di questi elettrodi è situato in tubo di vetro con orifizio capillare attraverso il quale, mediante una pompa, viene aspirata un’aliquota della sospensione in condizione tali che le particelle sospese passano per l’orifizio una alla volta. Ogni particella, al suo passaggio sostituisce una quantità di elettrolita provocando una variazione nella resistenza elettrica. Da questa variazione si originano gli impulsi proporzionali al volume delle particelle. Le proprietà delle polveri vengono classificate in PROPRIETA’ FONDAMENTALI e PROPRIETA’ DERIVATE Le proprietà fondamentali sono: DIMENSIONE INTERVALLO DIMENSIONALE delle PARTICELLE FORMA: la forma ideale è quella sferica e si possono ricavare la dimensione, la superficie ed il volume. Visto che particelle presentano una forma irregolare si parla di diametro sferico equivalente. Area superficiale specifica di una polvere rappresenta l’area della polvere stessa per unità di volume (Sv) o per unità di peso (Sw). AREA SUPERFICIALE SPECIFICA delle singole particelle che costituiscono la polvere: rappresenta l’area della polvere per unità di volume o per unità di peso. Può essere determinata facendo l’adsorbimento di un gas su un campione di polvere o dalla velocità con cui un gas o un liquido passano attraverso un letto di polvere. 39 Tra le proprietà derivate (cioè che derivano dalle proprietà fondamentali) ci sono: ASSESTAMENTO: modo in cui le particelle si dispongono l’una rispetto all’altra. Possono assumere due diverse disposizioni limite: ROMBOEDRICA o CUBICA. Nella disposizione romboedrica le particelle sono molto vicine tra di loro e gli spazi vuoti sono minimi (intorno al 26%); mentre la disposizione cubica gli spazi vuoti tra le particelle aumentano (intorno al 48%). In presenza di particelle aventi dimensioni diverse, le particelle tenderanno ad assestarsi in una disposizione intermedia con una percentuale di spazi vuoti tra il 30% e il 50%. DENSITA’: possono esistere tre tipi di densità. Per definizione la densità è il rapporto tra massa e volume. Risulta, però, più difficile misurare il volume della polvere che tiene conto del volume del solido, degli spazi tra le particelle e delle particelle. - - Densità vera (ρp): rapporto fra il peso della particella e il suo volume vero (picnometro a elio che è in grado di entrare all’interno delle particelle). Densità granulare (ρg): rapporto fra il peso del solido e il suo volume vero sommato a quello dei pori presenti all’interno delle particelle (picnometro a mercurio perché per la sua tensione superficiale non è in grado di penetrare negli spazi vuoti intraparticellari inferiori a 10 micron) Densità apparente o bulk density (ρb) : densità della polvere tenendo conto degli spazi intra- e interparticellari. Nella FU viene riportata la procedura di come si misura questa densità apparente partendo dal volume al versamento. Si utilizza un cilindro graduato da 250 mL che viene fissato stabilmente allo strumento che conferisce al cilindro degli scuotimenti. Questo strumento è in grado di generare in 1min circa 250 colpi. La misurazione si effettua versando nel cilindro 100 grammi e si misura il volume occupato dalla polvere = V0. Si impartiscono 10, 500, 1250 colpi e si leggono i volumi che si ottengono a seguito di questi colpi riportandoli nella scheda tecnica delle polveri. POROSITA’ (Ꜫ): rappresenta il rapporto tra il volume degli spazi vuoti ed il volume apparente della polvere. Il valore della porosità dipende da: 1) Volume della polvere e dei pori, computato nell’insieme, escludendo per definizione gli spazi interparticellari, ed è chiamato volume granulare (Vg) 2) Volume occupato dai pori, dagli interstizi intra- e interparticellari e dalla polvere costituisce il volume apparente (Vb) 3) Volume vero (Vp) è dato dal solo spazio occupato dalla polvere, senza considerare gli spazi Quindi la porosità totale viene calcolata come: 40 FLUSSO di una POLVERE: viene anche detto scorrimento o scorrevolezza della polvere. È influenzato dalle proprietà fondamentali della polvere, ma anche da densità e umidità Nebulizzare in un particolare strumento una soluzione che incontra una corrente di acqua calda che permette di ottenere delle particelle sferiche Si determina calcolando l’angolo di riposo o angolo fi (angolo alla base del cono). L’angolo fi si determina utilizzando un imbuto su cui si fa scorrere la polvere. Alla fine dell’imbuto viene posta la carta millimetrata. Si calcola misurando l’altezza del cono ed il diametro della carta millimetrata da cui poi ri ricava il raggio. Quindi la tangente dell’angolo fi si calcola come rapporto tra altezza e raggio, poi si otterrà l’angolo fi. tgΦ = h/r Φ = 25-30 scorrimento agevole Φ = 31-35 buon scorrimento Φ = 36-40 discreto facilitazioni) Φ = 41-45 scorrimento passabile (con rischio di blocco) Φ = 46-55 notevoli difficoltà allo scorrimento scorrimento (non necessita Il flusso di una polvere rappresenta l’indice di comprimibilità detto indice di Carr (CI) che esprime la resistenza e la solidità delle interazioni all’interno del letto di polvere, costituite da archi e ponti fra le particelle, che condizionano negativamente il flusso della polvere. ρi = densità impaccamento apparente dopo ρv = densità del campione al versamento Maggiore è CI, minore è la scorrevolezza della polvere. Le caratteristiche di scorrimento di una polvere possono essere migliorate agendo su: 41 - Aumento delle dimensioni delle particelle, per esempio formando dei granulati modifica della forma delle particelle, ad esempio tramite la tecnica dello spraydrying Diminuzione dei fattori di aggregazione particellare se si ha una polvere che assorbe umidità, prima si essicca la polvere per evitare che le particelle si aggreghino tra di loro Aggiunta di glidanti (o regolatori di scorrimento). I glidanti più utilizzazti sono la silice colloidale e il talco che rientrano negli eccipienti delle compresse Le polveri possono essere il punto di partenza per la preparazione di specifiche forme farmaceutiche: compresse, sospensioni, paste e unguenti. Ma le polveri posso rappresentare già di per sé una forma farmaceutica e vengono distinte in: PREPARAZIONI MULTIDOSE PER USO INTERNO : la dose viene prelevata con un cucchiaio-dosatore e somministrata in cialde o disciolta/sospesa in un liquido PREPARAZIONI MONODOSE PER USO INTERNO: polvere suddivisa in singole dosi racchiuse in capsule gelatinose, cialdini (cachet), cartine POLVERI ASPERSORIE: preparazioni pluridose per uso topico (es: talco) La FU XII ed. e la FE X ed. definiscono le polveri. Le polveri vengono classificate in: PER USO ORALE: preparazioni costituite da particelle solide, non aggregate, asciutte e di vari gradi di finezza. Contengono uno o più principi attivi, con o senza eccipienti e, se necessario, coloranti autorizzati e aromatizzati. Sono generalmente somministrate in acqua o utilizzando un altro liquido adatto. Possono essere anche ingerite direttamente. Sono presentate come preparazioni a dose unica o multidose. Le polvere orali multidose richiedono la fornitura di un misurino in grado di dare la quantità prescritta. Ogni dose di una polvere a dose unica è racchiusa in un contenitore singolo, per esempio un sacchetto o un flaconcino. EFFERVESCENTI: preparazioni a dosi unica o multidose e generalmente contengono sostanze acide e carbonati o bicarbonati che reagiscono rapidamente in presenza di acqua liberando anidride carbonica. Sono preparate per essere disciolte o disperse in acqua prima della somministrazione. APPLICAZIONE CUTANEA: preparazioni costituite da particelle solide, non aggregate, secche, di vari gradi di finezza. Contengono uno o più principi attivi, con o senza eccipienti e, se necessario, coloranti autorizzati dall’autorità competente. Le polveri per applicazione cutanea si presentano come polveri a dose unica o come multidose; sono prive di granulosità. Le polveri indicate specificamente per l’uso su larghe ferite aperte o su cute gravemente lesa sono sterili. Le polveri per applicazione cutanea multidose possono essere dispensate in contenitori spargitalco, in contenitori dotati di spruzzatore meccanico o in contenitori pressurizzati. MISCELAZIONE DI POLVERI: permette di ottenere una distribuzione OMOGENEA di due o più polveri senza che esse subiscano mutamenti fisici o chimici. Ovviamente la miscelazione è più facile se uno dei componenti è colorato. Fattori che favoriscono una miscelazione omogenea: 1) Dimensioni delle particelle: poiché le polveri sono costituite da particelle che hanno dimensioni diverse e questo fa sì che le particelle più piccole possano disporsi tra le particelle più grandi 42 2) Forma delle particelle: se la forma fosse sferica saremmo nella soluzione ideale 3) Densità delle particelle: le particelle con densità più elevata tendono a scendere verso il fondo del recipiente, mentre quelle a densità minore tendono ad andare verso l’alto 4) Proporzione in peso dei componenti: attraverso il “ metodo delle diluizioni geometriche o progressive” si deve assicurare che il miscelamento avvenga con un rapporto di 1:1 (miscelazione uniforme). Gli strumenti da utilizzare sono il mortaio e il pestello. Immaginiamo di dover miscelare A (3 gr) e B (1 gr). Si parte dalla polvere in minore quantità (es: 1 grammo di B) e si inserisce la stessa quantità del componente in maggiore quantità (1 grammo di A). Dopodiché si aggiunge la restante parte del componente a maggiore quantità (2 grammi di A). Se si hanno quattro polveri da miscelare: A (3 gr), B (1 gr), C (5 gr) e D (10 gr). Si parte da 1 gr di B a cui si aggiunge 1 gr di A e si miscela. Poi si aggiungono i 2 gr di A. poi si diluisce con l’altro componente della miscela che è rappresentata dalla polvere C; quindi si inseriscono i 5 gr di C. Infine si diluisce con i 10 gr di D. METODO DELLE DILUIZIONI GEOMETRICHE O PROGRESSIVE: bisogna partire miscelando i componenti presenti in minore quantità, al quale viene addizionata una quantità di polvere uguale a quella giù presente, fino ad omogeneità della miscela. Polvere E di 1 gr e la polvere F di 20 gr. Si parte dalla polvere E e la si versa nel mortaio e poi si deve mettere una quantità più o meno uguale della polvere F (quindi 1 gr della polvere F e ne rimarranno 19 gr); la si va a pestare col pestello = si è formato il nucleo. A questo punto si vanno ad aggiungere porzioni crescenti di polvere F. Ora nel mortaio ci sono 2 gr (1 gr di E e 1 gr di F) e si aggiungono 2 gr di F in modo da ottenere 4 gr complessivi nel mortaio; mentre rimangono 17 gr di polvere F. Successivamente si vanno ad aggiungere 4 gr di polvere F in modo da avere nel mortaio 8 gr, mentre avanzano 13 gr di polvere F. A questo punto, quando si raggiunge un volume importante di miscela, si possono aggiungere in un colpo solo i 13 gr della polvere F e poi miscelare. Se si vuole essere ancora più precisi si aggiungono 8 gr di F e successivamente gli ultimi 5 gr. In farmacia è possibile avere anche uno strumento automatico rappresentato dalla TURBULA. È un apparecchio che permette di miscelare le polveri che vengono caricate direttamente nel contenitore. Qui, il materiale subisce un movimento complesso di rotazione attorno alle tre coordinate spaziale facendo continui capovolgimenti = le polveri vengono miscelate in modo omogeneo. La miscelazione è un processo dinamico poiché dipende da diverse forze: - Forze di compressione o assestamento: fanno avvicinare le particelle tra di loro Forze di tensione o espansione: tendono ad allontanare le particelle l’una dall’altra Forze di taglio: fanno muovere le polveri in varie direzioni 43 In base al movimento provocato da queste forze il processo può avvenire in tre meccanismi: A. Convettivo: masse di polvere sono spostate all’interno del sistema. La miscelazione convettiva tende a modificare rapidamente la distribuzione complessiva del sistema, senza raggiungere l’omogeneità nei singoli ammassi di materiale movimentato. B. Diffusivo: ogni singola particella si muove in maniera casuale rispetto alle altre. È un processo molto lento. C. Taglio (shear): interi piani (strati di particelle) si muovono sotto l’azione di una forza. La miscelazione convettiva da sola non consente di raggiungere l’omogeneità e quella diffusiva è un processo molto lento. La coesistenza di entrambi i meccanismi garantisce una soddisfacente miscelazione di solidi. Il giusto compromesso sarebbe l’unione dei meccanismi convettivi e diffusivi. MISCELATORI A CORPO ROTANTE a doppio cono aV a cilindro Sono dei contenitori di forma diversa che ruotano attorno ad un’asse orizzontale che permette la rotazione di questi contenitori. La miscelazione avviene secondo un meccanismo diffusivo e si utilizza per polveri con alta scorrevolezza e con componenti aventi dimensioni e densità simili. Vantaggi: facilità di pulizia Svantaggi: lentezza nella miscelazione e facilità alla de-miscelazione, capacità utilizzabile inferiore al 50% del volume totale. MISCELATORI A CORPO FISSO Utilizzano meccanismi convettivi e di taglio. La miscelazione è causata da degli organi meccanici che sono presenti all’interno del contenitori. Tra questi si ricorda: miscelatore planetario miscelatore a vite elicoidale miscelatore a vite elicoidale che si muove anche con movimenti planetari Questi miscelatori sono adatti per mescolare materiali pastosi. 44 Vantaggi: veloce e soddisfacente miscelazione, facilità di carico e scarico; possibilità di raffreddamento o di termoregolazione della camera di miscelazione Svantaggi: alcune difficoltà nella pulizia. Miscelatore a coclea o “in controcorrente” La camera di miscelazione è disposta obliquamente rispetto alla superficie di appoggio, la coclea tende a portare le polveri verso la parte più alta del miscelatore, mentre la miscela ottenuta tende a ricadere per gravità verso la parte più bassa. CONTENITORI per POLVERI Il contenitore ha fondamentale importanza per la buona conservazione, proteggendo il preparato dagli agenti ambientali (radiazioni solari, aria e umidità). Contenitori impermeabili dotati di efficace chiusura. Barattoli Flaconi con tappo forato Bustine GRANULATI I granulati sono una formulazione molto utilizzata. I granulati sono preparazioni solide costituite da aggregati solidi, secchi, di particelle di polvere, sufficientemente resistenti a manipolazioni energiche. Sono destinati alla somministrazione orale. Possono essere deglutiti come tali, masticati oppure disciolti o dispersi in acqua o altro liquido adatto prima di essere somministrati. Si possono distinguere varie categorie di granulati: EFFERVESCENTI: sono granulati non rivestiti contenenti generalmente sostanze acide e carbonati o bicarbonati che reagiscono rapidamente in presenza di acqua sviluppando anidride carbonica. Sono preparati per essere disciolti oppure dispersi in acqua prima della somministrazione. RIVESTITI: sono generalmente preparati multidose costituiti da granuli rivestiti da uno o più strati di miscele di vari eccipienti. A RILASCIO MODIFICATO: sono granulati rivestiti o non rivestiti, che contengono eccipienti speciali o che sono preparati con procedimenti speciali o entrambi, studiati per modificare la velocità, il sito o il tempo al quale il o i principi attivi sono rilasciati. GASTRORESISTENTI: sono granulati a rilascio ritardato preparati in modo che resistano al fluido gastrico e rilascino il o i principi attivi nel fluido intestinale. Queste proprietà si ottengono ricoprendo i granulati con una sostanza gastrointestinale (granulati a rivestimento enterico) o con altri mezzi idonei. I granulati sono ottenuti da miscele omogenee di polveri con vari metodi di “granulazione”: processo attraverso cui minute particelle delle polveri vengono aggregate in tanti granelli omogenei con maggiori dimensioni. Perché si ricorre alla granulazione? - Per migliorare le caratteristiche di scorrimento delle polveri. - Per evitare in un miscuglio di polveri i fenomeni di segregazione = eventuale processo di separazione dei componenti di una miscela che si verifica quando si 45 - cerca di miscelare polveri con forma, dimensione e densità diversa. Quindi la granulazione può evitare questi fenomeni di segregazione. Per migliorare la comprimibilità di una polvere qualora noi volessimo preparare delle compresse. Caratteristiche tecnologiche dei granulati per il loro sviluppo galenico: Esame granulometrico e morfologico: le dimensioni influenzano la friabilità, la scorrevolezza, la velocità di essiccamento del granulato e peso delle compresse da esso ottenuto. I metodi sono la setacciatura o l’indagine microscopica. Volume apparente e densità: caratteristiche che influenzano la comprimibilità Porosità: permette di determinare gli spazi vuoti intra granulari Area superficiale I granulati si ottengono a partire dalla miscelazione del principio attico con eccipienti. Poi si effettua il processo di granulazione che può essere a secco o a umido. Se la granulazione è a umido segue il processo di essiccamento. Poi si ha una setacciatura pe la selezione di una specifica frazione granulometrica ed una miscelazione con eccipienti extra-granulari se il granulato è una forma intermedia per la preparazione di altre forme farmaceutiche. MISCELAZIONE: deve sempre essere omogenea poiché si parte dal principio attivo e dagli eccipienti. Si utilizzano sempre gli stessi strumenti già visti per le polveri: MESCOLATORI A CORPO FISSO o A CORPO ROTANTE attraverso i quali si ottiene una miscelazione di tipo solidosolido che permette la distribuzione uniforme del principio attivo nella massa. I principali fattori che influiscono la miscelazione sono: dimensioni, forma e densità delle particelle, forze elettrostatiche, tempo e velocità di mescolamento. La miscela omogenea così ottenuta può subire il processo di granulazione. Metodi di GRANULAZIONE: GRANULAZIONE A SECCO: processo che non prevede l’uso di acqua e non sarà richiesta la fase di essiccamento. Nella granulazione a secco è la pressione esercitata sulla polvere che fa aderire fra loro le particelle formando grosse tavolette o fogli sottili. Questi devono essere poi frantumati e setacciati per ottenere i granuli. La miscela di polveri è spinta da un sistema a coclea, viene fatta passare attraverso due cilindri che ruotano in senso inverso e la comprimono trasformandola in un foglio sottile. I fogli vengono poi frantumati e setacciati. È un processo che si presta molto per granulare polveri molto voluminose o che contengono principi attivi poco stabili al calore o sensibili all’umidità (vitamina C o acido acetilsalicilico). GRANULAZIONE A UMIDO a cui segue l’essiccamento È il processo più utilizzato in campo farmaceutico ed è caratterizzato da passaggi nei quali si prevede l’utilizzo di una certa quantità di liquido (soluzione legante) che permette di formare dei legami tra le particelle. 46 Le soluzioni leganti sono soluzioni acquose di: - Zuccheri (glucosio, saccarosio) o polioli (sorbitolo) - Gelatina - Amido - Gomma arabica - Metilcellulosa Per la preparazioni di matrici a rilascio controllato si utilizzano: - Soluzioni leganti acquose o idroalcoliche a base HPMC (5-10%) - Soluzioni acquose di Na+ alginato (3-5%) Si distinguono 4 stadi: Stadio PENDOLARE: in corrispondenza dei punti di contatto fra le particelle si producono ponti liquidi più o meno sottili Stadio FUNICOLARE: aumentando la quantità del liquido si produce la coalescenza (iniziano ad ingrossarsi) fra i ponti con l’aumento della forza di coesione fra le particelle Stadio CAPILLARE: con un’ulteriore intervengono meccanismi interfacciali rafforzano l’adesione fra le particelle Stadio A GOCCIA: con l’apporto di altro liquido finiscono per scomparire gli spazi vuoti fra le particelle e la massa tende ad essere costituita da due sole fasi, una solida e una liquida che la ingloba quantità di liquido e di capillarità che A questo punto si è formato un impasto che viene prodotto con delle macchine particolari, dette impastatrici, e che possono essere di forma e dimensioni differenti. Queste impastatrici sono contenitori che presentano dei bracci rotanti = IMPASTATRICE A DOPPIA SIGMA e MESCOLATORE PLANETARIO. Questi strumenti permettono di ottenere un ottimo impasto che poi sarà forzato il passaggio dell’impasto attraverso dei granulatori. I GRANULATORI possono essere di tipo ROTATIVO o A BRACCIO OSCILLANTE. Le dimensioni del granulato dipendono dalle dimensioni dei fori dei granulatori. Il nuovo granulatore è detto GRANULATORE AD ALTA VELOCITA’ che è costituto da un contenitore cilindrico dove sul fondo è presente una pala rotante (impeller). All’interno, è presente anche un frantumatore (chopper) costituito da una lama rotante che ha il compito di rompere gli agglomerati più grandi. Infine si ha uno spruzzatore o nebulizzatore che permette di inserire la soluzione legante. Quindi si procede caricando il contenitore e si regola la velocità dell’impeller, sulla quale viene poi nebulizzata la soluzione legante e il chopper permette di rompere gli agglomerati. 47 Questo strumento impiega poco tempo e normalmente il processo richiede 1-10 minuti. Tempi più lunghi (20) minuti possono portare a una diminuzione della velocità di dissoluzione per la formazione di granuli più densi. Vantaggi: tempi brevi di lavorazione, minori quantità di liquido legante e possibilità di granulare polveri altamente coesive. Svantaggi: se si utilizzano alte velocità, queste possono causare la riduzione dimensionale delle particelle di partenza. Esiste anche il GRANULATORE A LETTO FLUIDO. Il liquido legante si nebulizza sopra la polvere che viene mantenuta in sospensione e in continuo movimento turbolento da una corrente di acqua calda che viene immessa dal fondo di un’apposita camera cilindrica. L’aggregazione avviene per adesione delle particelle di polvere intorno alle goccioline di liquido. La corrente d’aria calda provoca l’istantanea evaporazione del solvente e la formazione dei aggregazione fra le particelle. ponti di Durata: 60-90 minuti. Si possono ottenere granuli sferoidali e con granulometria uniforme. Oltre a questi due processi classici, esiste un ulteriore processo di granulazione. GRANULAZIONE PER FUSIONE: i granuli sono preparati per aggiunta di un legante fuso o di un legante solido che fonde durante il processo. Rappresenta un processo che non necessita di acqua o solventi organici, è un processo rapido e non necessita della fase di essiccamento. Il processo è condotto tramite: Granulatore ad alta velocità (melt granulation) Estrusore (melt extrusion) PELLETS I pellets sono piccole unità solide, di forma sferica o pseudo-sferica. Le dimensioni vanno dai 500 ai 1500 μm. Il processo di preparazione viene definito “INGROSSAMENTO” di singole particelle o aggregati di polveri, e vengono utilizzati per l’allestimento di forme farmaceutiche a rilascio modificato, definite a unità multipla. Si tratta di forme di dosaggio che, solo dopo la somministrazione, rendono disponibili un elevato numero di queste unità solidi ciascuna contenente una dose di principio attivo. I principali vantaggi delle forme di dosaggio a unità multipla riguardano il fatto di avere una forma farmaceutica sicura ed efficace. 48 Si parte da polveri o piccoli granuli, che poi subiscono i processi di ingrossamento. Il processo di ingrossamento può essere realizzato attraverso tre diverse tecniche che permettono di effettuare la cosiddetta “pellettizzazione”. AGGLOMERAZIONE per AGITAZIONE: tramite questa tecnica si formano degli aggregati di particelle con il loro successivo accrescimento della preparazione. si possono utilizzare dei liquidi leganti che favoriscono la formazione di legami interparticellari e quindi si ha una maggiore aggregazione delle particelle tra di loro. Inoltre, si aggiunge un’adeguata agitazione del materiale. Questa tecnica può avvenire per PALLOTTIZZAZIONE o GRANULAZIONE. AGGLOMERAZIONE per COMPATTAZIONE: le particelle vengono compattate tra di loro e questa tecnica può avvenire per COMPRESSIONE o ESTRUSIONE/SFERONIZZAZIONE. STRATIFICAZIONE su nuclei preformati: att GLOBULAZIONE: questa tecnica non è molto usata in campo farmaceutico. Le prime forze che entrano in gioco sono le forze di attrazione (ad esempio i legami di Van der Waals) che preparano le particelle alla formazione dei legami più solidi che andranno poi a determinare la resistenza meccanica finale del prodotto. A queste forze di attrazione iniziale, subentrano le forze interfacciali e la pressione capillari tra le particelle, grazie al liquido bagnante utilizzato = si formano dei ponti liquidi che varranno poi sostituiti da ponti soliti per precipitazione del soluto presente nella soluzione legante. Infine si arriva ai forti legami tra le particelle che aumentano con l’aumento della soluzione legante per arrivare ai ponti solidi che determinano la resistenza del prodotto finale. La pellettizzazione vera e propria consiste nella formazione degli aggregati le cui dimensioni aumentano a seconda del meccanismo utilizzato. Tuttavia, si possono distinguere i meccanismi che stanno alla base della formazione dei pellet. Il meccanismo base è cosiddetta NUCLEAZIONE: meccanismo attraverso il quale le prime particelle, in presenza del liquidi legante, si uniscono tra loro per formare aggregati che sono tenuti insieme tramite ponti liquidi di tipo pendolare. Segue la COALESCENZA o CONSOLIDAMENTO dove si formano degli agglomerati più grossi rispetto alle particelle iniziali, a seguito delle collisioni casuali che avvengono tra le particelle primarie ed i nuclei già formati. Poi si ha la STRATIFICAZIONE che è il meccanismo di ingrossamento che si verifica per aggiunta di materiale secco o umido ai nuclei già esistenti. 49 Si può avere anche il TRASFERIMENTO PER ABRASIONE che consiste nel passaggio di materiale da un nucleo ad un altro (senza incidere più di tanto sulle dimensioni del pellet). Tecniche di pellettizzazione Tecniche di AGGLOMERAZIONE PER AGITAZIONE: si basano sul processo di formazione degli aggregati per la presenza del liquido legante che bagna completamente le polveri mentre il materiale è in continua agitazione. PALLOTTIZZAZIONE: GRANULAZIONE (vera e propria): con questa i granuli vengono continuamente tenuti in movimento/agitazione collidendo tra di loro, in modo tale da formare i granuli. Si utilizzano le BASSINE, i TAMBURI o i CILINDRI. È una tecnica molto utilizzata a livello industriale, mentre in campo farmaceutico ha dei limiti per quanto riguarda le dimensioni, non si riescono ad ottenere dei pellet uniformi = il limite riguarda l’uniformità dell’analisi granulometrica. Quindi la ricerca ha cercato nuove tecniche per avere una migliore distribuzione per ottenere dei pellet che hanno una più simile granulometria → si preferisce la granulazione. tecnica si ottengono dei pellet di uguali dimensioni. I GRANULATORI sono caratterizzati dal fatto di avere lo svolgimento delle varie fasi (nucleazione, coalescenza e stratificazione) in un unico strumento. Tecniche di AGGLOMERAZIONE PER COMPATTAZIONE: queste tecniche si basano sull’applicazione di forze che promuovono la formazione di agglomerati di particelle o granuli. Si verifica a seguito di legami che coinvolgono le forze di attrazione e interconnessione meccanica. COMPRESSIONE: si applicano delle forze che promuovono l’unione di particelle o granuli. Quindi si formano dei legami che coinvolgono forze di attrazione o interconnessione meccanica. Si preparano pellet per compresse di piccole dimensioni (compresse bombate). ESTRUSIONE/SFERONIZZAZIONE: coinvolge dei processi che prevedono il meccanismo di accrescimento delle particelle. Quattro sono gli stadi che coinvolgono questo processo. Si parte da un impasto (FORMAZIONE dell’IMPASTO) che viene estruso (ESTRUSIONE), attraverso una serie di strumenti che hanno aperture differenti e definiti, viene sferonizzato (SFERONIZZAZIONE) ed infine essiccato (ESSICAZIONE) poiché si è partiti da un impasto. Questa tecnica prevede l’utilizzo di più materiali, quindi tempi più lunghi e costi maggiori. Il vantaggio è quello di ottenere dei pellet con elevato grado di sfericità, di superficie liscia e caratterizzati da un ridotto cambio dimensionale. 50 STRATIFICAZIONE DEI NUCLEI PREFORMATI: consiste nell’aggiunta ai nuclei di soluzioni che formano un film, o sospensioni, o delle sostanze che fondono e che si depositano sul granulo portando ad un aumento delle dimensioni. Aspetti formulativi COMPRESSE 51 Le compresse sono preparazioni solide contenenti ciascuna una dose unica di uno o più principi attivi e ottenute usualmente per compressione di volumi uniformi di particelle. Sono destinate alla somministrazione orale. Alcune vengono inghiottite intere, alcune dopo essere state masticate, altre sono disciolte o disperse in acqua prima della somministrazione e altre ancora sono tenute in bocca, dove viene liberato il principio attivo. Le particelle sono formate da uno o più componenti attivi con o senza eccipienti come diluenti, leganti, disaggreganti, sostanze atte a favorire lo scorrimento (glidanti), lubrificanti, sostanze in grado di modificare il comportamento della preparazione nel tubo digerente, coloranti autorizzati e aromatizzanti. Le compresse sono di norma cilindri solidi regolari, con le superfici di base piane o convesse e con i bordi che possono essere smussati. Possono avere linee o segni di rottura e possono portare un simbolo o altri marchi. Possono essere rivestite. Per ottenere compresse di qualità soddisfacente la sostanza o le sostanze attive sono quasi sempre miscelate con eccipienti di vario genere. Se nonostante questo fosse impossibile preparare compresse sufficientemente resistenti, occorre sottoporre preventivamente la miscela a uno dei procedimenti di granulazione. Vantaggi: Posseggono un vasto campo di impiego Possono essere monodose o pluridose Sono generalmente stabili, ben controllabili e all’esigenza rivestibili Si somministrano con facilità (fattore soggettivo del paziente) Svantaggi: Necessitano di attento studio degli eccipienti con riferimento a possibili modificazioni riguardanti la biodisponibilità del principio attivo (problematiche riguardati l’aspetto formulativo) Alcuni tipi di compresse presentano difficoltà di conservazione per le quali va valutata la stabilità nel tempo (es. le compresse effervescenti) Contatto diretto con mucosa gastrica, quando contengono sostanze irritanti possono più facilmente provocare irritazioni locali Requisiti delle compresse: sufficiente resistenza meccanica rapida disgregazione dopo l’assunzione uguale massa, diametro, aspetto (nell’ambito dello stesso lotto) uguale contenuto in principio attivo (nell’ambito dello stesso lotto) Affinché tutto questo possa essere realizzato la polvere compressa deve avere: - buona fluidità buona comprimibilità scarsa adesione alle pareti dei punzoni buona disgregabilità 52 In base alla composizione, al modo di preparazione e all’uso vengono distinti vari tipi di compresse: NON RIVESTITE (semplici): comprendono compresse a singolo strato, risultanti da una singola compressione di particelle e compresse multistrato da strati concentrici o paralleli ottenuti per successiva compressione di particelle di differente composizione. Gli eccipienti usati non sono specificamente intesi a modificare il rilascio del principio attivo nei fluidi digestivi. RIVESTITE: sono compresse ricoperte con uno o più strati di miscele di varie sostanze come resine naturali o sintetiche, gomme, gelatina, cariche inattive e solubili, zuccheri, plastificanti, polioli, cere, coloranti autorizzati e talvolta aromatizzanti e principi attivi, le sostanze usate some rivestimento sono di norma applicate come soluzione o sospensione in condizioni di cui si abbia evaporazione del veicolo. Quando il rivestimento è costituito da uno strato polimerico molto sottile, le compresse sono dette compresse rivestite con film. Le compresse rivestite hanno una superficie liscia che è spesso colorata e può essere lucidata; una sezione, esaminata mediante a una lente, mostra un nucleo circondato da uno o più strati continui con differente struttura. Generalmente si effettua un rivestimento per mascherare sapori (es: antrachinonici) o odori poco gradevoli. Le compresse semplici possono essere “confettate” in bassina mediante nebulizzazione con soluzioni o sospensioni di zuccheri, gomme ecc. EFFERVESCENTI: sono compresse non rivestite da sciogliersi in acqua prima della somministrazione. Contengono una sostanza acida (es: acido citrico) ed una basica (es: sodio carbonato) che a contatto con acqua reagiscono rapidamente liberando anidride carbonica (effervescenza) SOLUBILI: sono compresse non rivestite o rivestite con film. Sono destinate ad essere disciolte in acqua prima della somministrazione. La soluzione ottenuta può essere leggermente opalescente a causa degli additivi utilizzati nella produzione delle compresse. Devono disaggregarsi entro 3 minuti. DISPERSIBILI: sono compresse non rivestite o rivestite con film destinate ad essere disperse in acqua prima della somministrazione dando una dispersione omogenea. Devono disaggregarsi entro 3 minuti. ORODISPERSIBILI: sono compresse non rivestite destinate ad essere poste nella bocca dove si disperdono rapidamente prima di essere inghiottite. Devono disaggregarsi entro 3 minuti. A RILASCIO MODIFICATO (a cessione regolata): sono compresse rivestite o non, contenenti eccipienti speciali o preparate con procedimenti speciali che, separatamente o insieme, sono studiati per modificare la velocità, il sito o il tempo al quale il o i principi attivi sono rilasciati. Le compresse a rilascio modificato comprendono compresse a rilascio prolungato, a rilascio ritardato, a rilascio pulsatile. GASTRORESISTENTI: sono compresse a rilascio ritardato preparate per resistere al fluido gastrico e rilasciare il o i principi attivi nel fluido intestinale. Sono preparate rivestendo le compresse con una sostanza gastroresistente (compresse a rivestimento enterico) o da granuli o particelle già ricoperti con un rivestimento gastroresistente. Le compresse ricoperte con un rivestimento gastroresistente sono conformi alla definizione di compresse rivestite. Il rivestimento resistente all’azione dei succhi gastrici viene ottenuto con particolari sostanze, ad esempio cellulosa acetoftalato, copolimeri dell’acido matacrilico. DA UTILIZZARE NELLA CAVITA’ BUCCALE (buccali): sono di norma compresse non rivestite. Sono formulate in modo da dare un rilascio lento e 53 azione locale del o dei principi attivi o il rilascio e assorbimento in una zona definita della bocca. In pratica si possono distinguere in due tipi: - TAVOLETTE o PASTIGLIE: possono essere sciolte in bocca o masticate. Permettono una cessione lenta ed una azione locale dei principi attivi - COMPRESSE SUBLINGUALI: permettono la cessione e l’assorbimento di sostanze attraverso la mucosa orale La formulazione di una compressa inizia dallo studio preliminare della comprimibilità della miscela priva di eccipienti. Non tutte le sostanze sono comprimibili perché i materiali possono avere delle proprietà elastiche (una volta che il materiale ha subito un processo poi ritorna allo stato di origine) o plastiche (dopo essere stato sottoposto ad un certo processo, si mantiene nel tempo la forma nuova che ha assunto a seguito del processo e non ritorna allo stato iniziale). Es: compressione del plantago: a conclusione del processo di compressione, la compressa non si è formata, questo perché le particelle del plantago hanno caratteristiche “elastiche”, vale a dire che una volta terminata la compressione tornano al loro stato di origine (polvere). Prova di compressione dell’artiglio del diavolo: al termine del processo la compressa è formata e resistente, in questo caso le particelle della sostanza hanno subito una deformazione “plastica” durevole nel tempo. La PROVA DI COMPRESSIONE PRELIMINARE è determinante per valutare il minimo quantitativo di eccipienti necessari per la realizzazione della compressa. Bisogna, così, trovare il giusto quantitativo di eccipienti per far sì che la compressa rimanga stabile nel tempo. ECCIPIENTI per compresse Gli eccipienti rappresentano una grande famiglia che viene in aiuto al principio attivo per poter realizzare una compressa. Ognuno presenta un ruolo ben preciso per aiutare il principio attivo, ma gli eccipienti sono sostanze farmacologicamente inerti e si classificano in diverse classi. Quindi l’attività della compressa è da attribuire unicamente al principio attivo. DILUENTI: vengono aggiunti per raggiungere una corretta massa della compressa quando il principio attivo da somministrare è in quantità troppo piccola per dare origine a una compressa. Requisiti: Essere chimicamente inerte Essere non igroscopico Essere biocompatibile Avere buone proprietà relative all’aspetto biofarmaceutico (es. solubile in acqua o avere carattere idrofilo) Avere buone proprietà tecnologiche (compattabilità e capacità diluente) Avere un sapore gradevole Essere economico 54 LATTOSIO: solubile in acqua, sapore gradevole, non è igroscopico, chimicamente inerte e presenta buone proprietà di compattazione. Il limite di questo eccipiente è rappresentato dall’intolleranza al lattosio (svantaggio). Il lattosio esiste in due forme: AMORFO (ottenuto tramite la tecnica dello spraydrying = permette di ottenere delle particelle solide a partire da una soluzione. In questo caso si parte da una soluzione di lattosio che viene nebulizzata attraverso un ugello nella camera di essiccamento. Le goccioline incontrano un flusso di aria calda che fa evaporare il solvente e fa recuperare la particella solida di lattosio nel raccoglitore che, analizzate al microscopio a scansione elettronica si vede essere delle particelle perfettamente sferiche.) e CRISTALLINO (ottenuto per precipitazione). Si solubilizza più facilmente quello in forma amorfa e presenta una migliore compattabilità. La maggiore compattabilità deriva dal fatto che queste particelle di lattosio raccolte sono amorfe e più o meno sferiche. Diluenti alternativi al lattosio: zuccheri o polioli (glucosio, saccarosio, sorbitolo, mannitolo). CELLULOSE: biocompatibili, chimicamente inerti, buone capacità disaggreganti, FOSFATO DI CALCIO DIIDRATO: insolubile in acqua, non è igroscopico ed è AMIDO: è una sostanza polifunzionale poiché, oltre a fungere da diluente ha compatibili con la maggior parte dei principi attivi e buone caratteristiche per la preparazione di compresse (leganti a secco e disaggreganti) = eccipienti molto vantaggiosi da utilizzare per la preparazione delle compresse. Particelle presentano regioni sia cristalline sia amorfe. Il grado di cristallinità varia in base alla fonte dalla quale è estratta la cellulosa e in base alla procedura di estrazione e preparazione. Il grado di cristallinità influenza le proprietà fisiche e tecnologiche delle particelle, come igroscopicità e compattabilità della polvere. La cellulosa microcristallina è preparata per idrolisi della cellulosa seguita da spray-drying. Il nome commerciale della cellulosa microcristallina è AVICEL. idrofilo nel senso che viene bagnato facilmente dall’acqua. È debolmente alcalino e può essere incompatibile con principi attivi sensibili alle condizioni alcaline (svantaggio). proprietà aggreganti, assorbenti e disaggreganti. Si può utilizzare l’amido di mais o di patata. DISAGGREGANTI: sono aggiunti per garantire che la compressa, una volta somministrata e quindi a contatto con un liquido, si rompa in piccoli frammenti permettendo così una rapida dissoluzione del farmaco. 55 Possono essere distinti i tre sottoclassi: Disaggreganti che facilitano l’assorbimento dell’acqua : facilitare il trasporto di liquidi all’interno dei pori della compressa con la conseguenza che la compressa può rompersi e frammentarsi. Si utilizzano dei TENSIOATTIVI per rendere la superficie della particella più idrofila, favorendo la bagnabilità del solido e la penetrazione del liquido nei pori della compressa. Disaggreganti che frammentano la compressa : la frammentazione di una compressa può essere causata dal rigonfiamento delle particelle di disaggregante per effetto dell’assorbimento di acqua = AMIDO che ha la capacità di far entrare acqua attraverso i pori (meccanismo di canalizzazione) Disaggreganti in grado di produrre gas quando vengono a contatto con l’acqua : usati nelle compresse effervescenti. BIOSSIDO DI CARBONIO che è ottenuto per decomposizione di Sali di bicarbonato o carbonato quando questi vengono a contatto con soluzioni acide. Il pH acido è ottenuto incorporando nella formulazione un acido (acido citrico o tartarico). LEGANTI: utilizzati per mantenere coese le particelle di polvere nei granulati e i granuli nelle compresse. La quantità di legante all’interno della compressa va dal 2 al 10%. Soluzione legante: GELATINA, GOMME (adragante, arabica), SACCAROSIO o DERIVANTI DELLA CELLULOSA (HPMC) Legante a secco: CELLULOSA MICROCRISTALLINA o PVP reticolato AMIDO, Il legante viene scelto in base alla coesione delle particelle richieste ed alla compatibilità con il principio attivo. GLIDANTI: aumentano la scorrevolezza della polvere. TALCO (1-2%) STEARATO DI MAGNESIO (<1% in peso) SILICE COLLOIDALE (0,2% in peso) LUBRIFICANTI: sono sostanze in grado di interporsi tra due superfici in movimento per prevenire le frizioni delle particelle e l’usura degli strumenti. La loro azione è richiesta: durante la discesa del punzone superiore durante la fase di espulsione, quando è necessario ridurre la frizione fra la parete interna della matrice e la compressa. ACIDO STEARICO, STEARATO DI MAGNESIO, LUBRIFICANTI IDROFILI (PEG: polietilenglicole con pm di 4000/6000). Problemi collegati alla compressione: difficoltà di scorrimento del granulato o della polvere nella tramoggia e nella matrice adesione del materiale ai punzoni e alla matrice difficoltà d’espulsione della compressa dalla matrice al termine della compressione 56 ANTI-ADERENTI: riducono al minimo l’adesione fra la polvere e la superficie del punzone, prevenendo l’attaccamento delle particelle ai punzoni stessi. Vanno a risolvere i problemi di sticking e picking. Sticking: irregolarità dovute ad asportazione di polvere che rimane attaccata al punzone Picking: irregolarità in prossimità di segni e linee sulla superficie. L’adesione può portare alla formazione di un sottile strato di polvere sui punzoni che, a sua volta, porterà alla formazione di compresse con superficie irregolare e opacizzata, con segni e simboli non chiari. STEARATO DI MAGNESIO e TALCO. ADSORBENTI: sostanze in grado di trattenere quantità consistenti di fluidi mantenendo uno stato apparentemente secco. Quando si usano gli adsorbenti? Quando si includono principi attivi liquidi, oli, estratti vegetali o essenze all’interno di una compressa, è indispensabile adsorbire questi liquidi su sostanze solide, al fine di facilitare le operazioni farmaceutiche necessarie per la produzione delle compresse. GEL di SILICE COLLOIDALE, CARBONATO di CALCIO e di SODIO (soprattutto per liquidi oleosi), TALCO, AMIDO BENTONITE e CAOLINO. AROMATIZZANTI: sono aggiunti per dare alla compressa un sapore più gradevole o per mascherarne uno sgradevole. Sono usati soprattutto nelle compresse masticabili o in quelle buccali. Sono spesso termolabili e quindi non possono essere aggiunte prima di operazioni che prevedano l’uso del calore. Si utilizzano essenze singole o loro miscele (0,5% p/p). COLORANTI: sono aggiunti per - Motivo estetico Poter controllare il processo durante la produzione Distinguere un prodotto da un altro FDA ha stilato lista dei coloranti consentiti specificando i limiti di concentrazione raccomandati Solitamente si usano colorazioni pastello perché meno soggette al fenomeno del mottling (formazione di chiazze o screziature sulla superficie delle compresse) Coloranti più utilizzati sono quelli non solubili, in forma di adsorbato su alluminio idrossido, detti LACCHE. Vantaggio: colorazione più stabile Molto usati OSSIDI DI FERRO, insolubili chimicamente e fisiologicamente inerti Schema per la fabbricazione delle compresse 57 COMPRIMITRICI Le comprimitrici hanno in comune alcune parti: punzoni (inferiore e superiore), matrice, tramoggia con il prolungamento scarpa che serve per caricare la polvere nella matrice, affinché possa essere preparata la compressa. Comprimitrici A ECCENTRICO o ALTERNATIVE : Sono le macchine di più vecchia concezione, la cui caratteristica principale è costituita da una produzione discontinua, ossia tutte le fasi del processo di compressione devono essere portate a termine prima che inizi il ciclo successivo = si prepara una compressa alla volta. 58 I. Nella tramoggia con il prolungamento scarpa viene caricata la matrice. II. Si sposta la scarpa verso sinistra e comincia ad abbassarsi il punzone superiore III. Il punzone superiore si abbassa completamente per comprimere la polvere e formare la compressa IV. Si alza il punzone superiore e si inizia ad alzare anche il punzone inferiore, fino a portare a livello della matrice la compressa che si è appena formata V. La scarpa sposta la compressa appena formata per ricaricare la matrice VI. Ricomincia il ciclo per produrre un’altra compressa I punzoni e la matrice hanno un ruolo fondamentale e si devono trovare nella posizione corretta. Il al si punzone inferiore deve essere allineato livello massimo della matrice, poiché se trova leggermente al di sotto si otterranno delle compresse non idonee, è superiore la scarpa non riesce a caricare la matrice. Quindi è importante se che il punzone inferiore sia regolato. Con questa tipologia di comprimitrice la produzione è molto lenta. Comprimitrici PNEUMATICHE Comprimitrici ROTATIVA Le differenze sostanziali delle comprimitrici rotative nei confronti di quelle alternative sono: - Produzione continua. Nello stesso istante ogni coppia di punzoni si trova ad un certo stadio del processo di formazione della compressa. I punzoni inferiori e superiori partecipano entrambi avvicinandosi gradualmente, alla produzione della pressione sul materiale da comprimere. La compressa viene, quindi, formata per graduale pressione impressa da entrambi i punzoni. Sono presenti più coppie di punzoni, ottenendo la produzione di più compresse nello stesso momento. COMPRIMITRICE ROTATIVA COMPRIMA: è una comprimitrice rotativa di nuova generazione (costruita da un’azienda di Ozzano) riguardo all’alimentazione della polvere all’interno delle matrici e quindi dei punzoni. La polvere viene messa attraverso una spinta centrifuga provocata dalla rotazione di una torretta al centro della quale si trova la tramoggia di 59 carico della polvere. Una volta dosata, la polvere viene compressa tra i due punzoni. 1. Letto di polvere compatto, non fluidificato isolato dall’esterno 2. Riempimento per spinta centrifuga (provocata da forze meccaniche) e depressione dovuta alla separazione di punzoni 3. Dose di polvere compressa e spostata verso il basso dai punzoni 4. Compressione al fondo della matrice in direzione dell’espulsione 5. Espulsione dal basso: percorso breve e pulito MATRICI e PUNZONI - Le compresse possono avere forma e aspetto diverso; questo dipende dalla forma dei punzoni inferiori e superiori e dalla matrice (ovale, rotonda, rettangolare, ottagonale ecc.). A livello di laboratorio (e quindi anche della farmacia) è stato realizzato uno strumento, OPTIMA TABLET, che permette di ottenere delle compresse spatolate. Permette di preparare 100 compresse in maniera rapida, rispetto alle comprimitrici. Inoltre, garantisce un’accuratezza nel dosaggio. Nel mortaio si prepara il composto con la soluzione legate e poi lo si spatola all’interno degli alveoli dell’optima tablet. Poi si toglie la base e premendo con le mani sulla piastra inferiore si riescono a liberare le compresse che devono essere lasciate asciugare (poiché in partenza è stata utilizzata una soluzione legante). SAGGI sulle COMPRESSE Tutte le compresse devono soddisfare precisi requisiti di qualità e quindi bisogna effettuare dei controlli sui lotti preparati. 60 Il primo controllo che si può fare riguarda l’ASPETTO (forma – dimensione - colore). Quindi bisogna fare la valutazione sulla forma della compressa per verificare che non ci siano difetti estetici, che si liscia, brillante e che non ci siano zone in cui il colorante è più o meno concentrato. Eventuali difetti estetici ci danno informazioni sulla preparazione. Se le compresse presentano delle striature verticali sui bordi significa che si è utilizzata una quantità troppo ridotta di lubrificante. La dimensione della compressa dipende dal suo peso. La colorazione serve anche ad aiutare i pazienti che devono assumere più medicinali al giorno, quindi il colore può essere un fattore psicologico-stimolante per il paziente. Infatti, sono stati fatti degli studi su quale colore è meglio utilizzare per ogni categoria di farmaco; ad esempio per gli antidepressivi sono di colore giallo, mentre il bianco è stato associato al fatto di alleviare il dolore. Controllo di qualità delle compresse: Le compresse devono contenere una certa dose di principio attivo ed il primo controllo da verificare è che la compressa contenga la quantità giusta di principio attivo e questo lo si può fare pesando la compressa. SAGGIO dell’UNIFORMITA’ di MASSA: si effettua su 20 compresse pesate singolarmente e poi si fa il peso medio che deve rientrare in un valore limite stabilito dalla FU. Viene di solito applicato a compresse dove il contenuto di principio attivo sia > 2 mg. SAGGIO dell’UNIFORMITA’ di CONTENUTO: si effettua su 10 unità ed il contenuto del principio attivo viene determinato con il metodo più adatto, quindi dipende dal principio attivo che si ha a disposizione. Il saggio viene considerato soddisfatto se tutte le compresse rientrano nell’intervallo (85-115% medio di principio attivo) riportato sulla FU. Viene applicato a compresse dove il contenuto di principio attivo è < 2 mg. SAGGIO del TEMPO di DISAGGREGAZIONE: la disaggregazione è molto importante perché è un fenomeno che influenza la biodisponibilità della forma farmaceutica. Quindi la FU presenta uno specifico saggio che prevede l’utilizzo di uno specifico. Questo strumento è costituito da un cestello contente 6 tubi cilindrici che sono posizionati verticalmente. Sui cilindri viene posta una compressa (quindi 6 compresse in totale) e all’interno di ha il mezzo disaggregante adatto, poi il cestello viene sospeso ad una temperatura di 37° C. L’apparecchio viene fatto girare ed al termine il cestello viene sollevato e si osserva che tutte le compresse si siano disaggregate. Qualora si trovassero qualche compressa che galleggia, si deve inserire un disco che blocchi la compressa sul fondo. Il mezzo dove le compresse si devono disaggregare dipende dal tipo di compressa da analizzare. Per le compresse gastroresistenti, si termina la prova con HCl e tampone solfato per 2 h, mimando l’ambiente gastrico. Quindi in questo caso le compresse devono rimanere intatte per 2 h, dimostrando che il rivestimento gastroresistente è efficace. Per le compresse classiche non rivestite 61 il saggio viene effettuato su acqua depurata a 37° C e si devono disaggregare e solubilizzare entro 15 min in modo tale che il principio attivo venga rapidamente assorbito e determinare l’effetto terapeutico. Per le compresse solubili il saggio viene effettuato su acqua depurata a 15-25° C e si devono solubilizzare e disaggregare in 3 minuti. Per le compresse effervescenti non si riscalda il mezzo di dissoluzione, ma si effettua a temperatura ambiente proprio perché le compresse effervescenti vengono assunte a temperatura ambiente; e in quanto caso si introduce una compressa in 200 mL di acqua depurata e si deve osservare che, una volta finita l’effervescenza, deve essere completamente disaggregata e non devono essere presenti agglomerati di particelle. SAGGIO di DISSOLUZIONE: la FU prevede quattro strumenti, ma quelli più utilizzati sono: AGITATORE A PALETTA e APPARECCHIO A CESTELLO ROTANTE. Solo in casi più specifici la FU richiede l’uso dell’apparecchio a flusso continuo. L’agitatore a paletta è costituito da un recipiente cilindrico al cui interno si mette il mezzo di dissoluzione e la palette deve trovarsi ad una distanza di 25 mm dal fondo. Si procede all’aggiunta del mezzo di dissoluzione che viene mantenuto in movimento attraverso la paletta (entro il 4% della velocità riportata nella monografia), poi viene riscaldato a 37° C (per mimare le condizioni fisiologiche). Poi si fa il prelievo del mezzo di dissoluzione analizzando la quantità che va in soluzione. Poi si riporta in un grafico la massa in funzione del tempo = la quantità di principio attivo che passa in soluzione a seconda del tempo. Nell’apparecchio a cestello rotante la compressa viene messa in un cestello di rete rotante. SAGGIO della RESISTENZA: si vanno ad analizzare la friabilità e la rottura (durezza), utilizzando due strumenti: FRIABILOMETRO e MISURATORE DI DUREZZA DELLE COMPRESSE Friabilità delle compresse non rivestite: eseguito con il friabilometro, per compresse di massa unitaria inferiore o uguale a 650 mg, prelevare un numero di compresse, intere, corrispondenti, il più vicino possibile, ad una massa di 6,5 g pre compresse di massa superiore a 650 mg prelevare un campione di 10 compresse 62 intere. Prima del saggio le compresse devono essere accuratamente depolverate. Pesare accuratamente il campione di compresse e porlo nel tamburo. Far ruotare per 100 volte il tamburo e rimuovere le compresse. Eliminare, dalle compresse, la polvere che si è liberata operando come fatto precedentemente e pesarle di nuovo accuratamente. Se al termine delle rotazioni ci sono compresse incrinate, fissurate o rotte il campione non ha superato il saggio. Per la maggior parte dei prodotti è accettabile una perdita di massa dell’1%. Resistenza alla rottura delle compresse: il controllo della resistenza meccanica delle compresse viene effettuato su almeno 10 compresse scelte a caso fra quelle appartenenti a uno stesso lotto mediante l’apparecchio. In linea generale è accettabile una durezza compresa fra 4 e 10 newton. Rilascio della sostanza funzionale/principio attivo dalla compresse FORME FARMACEUTICHE RIVESTITE Processo tecnologico che implica l’applicazione di materiali rivestenti alla superficie esterna di nuclei allo scopo di conferire vantaggi e proprietà specifiche alla forma di dosaggio. 63 Il processo di rivestimento è un’operazione aggiuntiva alla produzione della forma farmaceutica già completa. Determina l’aumento dei costi finali ed offre molti benefici in campo farmaceutico. Il processo di rivestimento è utilizzato per: Benefici del processo di rivestimento - migliorare la presentazione del prodotto - mascherare odori e sapori sgradevoli - proteggere il principio attivo da luce e umidità e dare alle compresse una maggiore resistenza meccanica Il rivestimento può essere utilizzato per modificare la cinetica di rilascio del principio attivo: - produzione di compresse gastroresistenti - produzione di compresse a rilascio modificato Requisiti fondamentali delle forme farmaceutiche solide da rivestire: Forme farmaceutiche solide da rivestire Essere dure e resistenti all’abrasione (bassa friabilità per sopportare senza rotture effetti del rotolamento e degli urti tra i nuclei e contro le pareti dei contenitori) Avere una superficie convessa per minimizzare il contatto tra nuclei e facilitare la ricopertura in corrispondenza dei bordi e degli spigoli Consentire una buona adesione del materiale di rivestimento al nucleo COMPRESSE RIVESTITE Requisiti delle miscele da rivestire buona resistenza alla rottura (scarsa friabilità) bassa porosità per impedire la penetrazione all’interno della compressa dei liquidi utilizzati per preparare il rivestimento; infatti il primo passaggio è isolare la compressa buona disaggregabilità e quindi nella formulazione si aggiungono dei disaggreganti basso tenore di umidità per evitare che dell’acqua rimanga nelle compresse ricoperte forma adatta, quella ideale è la forma sferica (“b”: forma ellittica intermedia. La forma sferica, infatti, può essere ottenuta solo con punzoni di scarsa resistenza e quindi bisogna ricorrere ad un giusto compromesso tra la forma “a” e la forma “c”, per ottenere la forma “b”) Il rivestimento di una forma farmaceutica può essere effettuato con: CONFETTATURA o Sugar coating attraverso soluzioni zuccherine 64 Tecnica di rivestimento che comporta applicazione di soluzioni di zucchero (o sorbitolo per diabetici) su nuclei (prevalentemente compresse). Oltre lo zucchero è previsto l’uso di altri ingredienti quali bulking agent, opacizzanti, sostanze adesive, polimeri filmogeni, antiaderenti, tensioattivi, aromi, coloranti e sostanze lucidanti. Vantaggi: uso di materie prime facilmente accessibili e poco costose, uso di attrezzature semplici e a costi relativamente bassi, realizzazione di un prodotto gradevole al paziente. È meno utilizzata rispetto al rivestimento con film, che è una tecnica più costosa. Gli strumenti che si utilizzano per la confettature sono le BASSINE: recipienti di acciaio inox, di diversa forma e dimensione, che fanno ruotare al loro interno le compresse e sulle quali viene nebulizzata la soluzione di rivestimento con un ciclo di aria calda. Un tubo viene utilizzato per nebulizzare la soluzione di saccarosio, l’altro è un sistema che manda aria calda all’interno della bassina per far evaporare la soluzione di saccarosio sulla compressa. Processo di confettatura: 1. ISOLAMENTO(SEALING): rivestimento delle compresse con film polimerico che non permette la penetrazione dell’acqua nel nucleo e la migrazione dei componenti solubili del nucleo nel rivestimento zuccherino. Composizione film isolante: soluzioni contenenti sostanze di origine naturale (gomma lacca) o polimeri sintetici o semisintetici (HPMC = idrossipropilmetilcellulosa, CAP, Eudragit E100) 2. INGROSSAMENTO: fase in cui è depositata la maggior parte del rivestimento zuccherino con consistente aumento di peso dei nuclei. Sono aggiunti anche altri eccipienti (talco, caolino, calcio carbonato o biossido di titanio) per ingrossare il rivestimento e agenti adesivi (gomma arabica, gelatina, derivati della cellulosa) per mantenere integro il rivestimento dopo l’essiccamento = PASSAGGIO FONDAMENTALE 3. LISCIATURA: permette di arrotondare le compresse per rimuovere le scabrosità superficiali prima dell’applicazione del colorante. La lisciatura è ottenuta distribuendo sui nuclei solo sciroppo di zucchero (60- 70% di saccarosio) 4. COLORAZIONE: aggiunta nella soluzione zuccherina di coloranti solubili o pigmenti insolubili (lacche di alluminio e ossidi di ferro o di titanio) 5. LUCIDATURA: distribuzione sul confetto finito un sottile strato di sostanze lucidanti, cere naturali e sintetiche (cera d’api, cera carnauba, spermaceti), che è applicato dopo aver completato l’essiccamento dei confetti 65 RIVESTIMENTO con FILM o film coating Deposizione di una membrana polimerica relativamente sottile (da 20 a 200 μm), uniforme, sulla superficie di un’ampia varietà di substrati (compresse, pellets, granuli, capsule, polveri, cristalli). Vantaggi: - Minimo aumento di peso e volume della forma filmata con significativa riduzione dei tempi del processo - Migliore stabilità (igroscopicità dello zucchero rende i confetti instabili in climi umidi e caldi) - Maggiore resistenza meccanica alla rottura e all’abrasione - Possibilità di applicazione anche a nuclei di piccole dimensioni e a prodotti igroscopici - Possibilità di impiego di materiale filmogeno in grado di conferire specifiche caratteristiche di rilascio del farmaco (ritardato, prolungato) alla forma farmaceutica Bisogna nebulizzare, sulla superficie delle compresse, le soluzioni polimeriche. Poi le goccioline cominciano a spandersi, a bagnare la superficie e ad unirsi tra di loro (coalescenza), fino a formare uno strato continuo. Infine, si ha l’evaporazione del solvente che determina la formazione di un film secco sulla compressa. Eccipienti usati per rivestimento con film: I POLIMERI conferiscono caratteristiche meccaniche finali del film (elasticità, forza tensile, interazione con il nucleo). Polimeri per film non funzionali: Polimeri per il rilascio modificato: Eteri della cellulosa (HPMC: idrossipropil-metil-cellulosa, MC, HPC, HEC, NaCMC: carbossi-metil-cellulosa sodica) Polimeri acrilici PVP PVA PEG: polietilen glicole VEICOLI LIQUIDI: permettono di disperdere in soluzione o in sospensione i polimeri filmogeni e gli altri componenti della formulazione e di trasportarli sulla superficie dei nuclei da rivestire, consentendo una deposizione uniforme, con conseguente formazione del film. Acqua Metanolo Etanolo Isopropanolo Acetato di etile Acetone Diclorometano Esteri della cellulosa con l’acido ftalico (CAP: cellulosa acetoftalato, HPMCP) Esteri acrilici (Eudragit S, Eudragit L) PLASTICIZZANTI: interagendo con i polimeri influenzano i legami intermolecolari tra le catene polimeriche cambiando le proprietà fisiche del rivestimento. I plasticizzanti si differenziano per la solubilità in soluzioni acquose (glicerina, glicole propilenico, PEG, trietil citrato e gliceril triacetato) o in soluzioni organiche (monogliceridi acetilati, esteri del sorbitano ed olio di ricino idrogenato) Aumento della concentrazione ha l’effetto di: Diminuire la T di transizione vetrosa Ridurre la resistenza tensile Ridurre il modulo elastico Migliorare l’adesione del film al substrato 66 OPACIZZANTI: sostanze ANTIADERENTI COLORANTI: (talco, silice inorganiche insolubili in colloidale): permettono usati per risolvere di acqua e in solventi problemi migliorare di appiccicosità l’aspetto del e organici, il adesività prodotto che usati si quando generano rivestito Apparecchiature per il rivestimento: Le BASSINE sono contenitori di varia forma che ruotano sul proprio asse ad una velocità variabile APPARECCHIATURE A LETTO FLUIDO: vengono preferite soprattutto per il rivestimento di pellets e granuli. Non sono molto preferite per il rivestimento delle compresse perché queste vengono sottoposte a diversi movimenti di fluidizzazione attraverso cui subiscono diversi urti che possono avere come conseguente delle abrasioni e quindi dei danneggiamenti della forma farmaceutica. Esistono apparecchiature di diversi tipi: hanno una parte in comune ma differiscono per la posizione del dispositivo di spruzzo del liquido di rivestimento che può essere sopra, SPRUZZO DALL’ALTO o TOP SPRAY, sul fondo, SPRUZZO DAL FONDO o BOTTOM SPRAY, o tangenzialmente, SPRUZZO TANGENZIALE. Tutte e tre le apparecchiature sono costituite da un contenitore o camera, chiamato contenitore del prodotto, il cui fondo è costituito da una rete che permette il passaggio dell’aria calda in modo tale da impedire alle sostanze di ricadere sul fondo. Al contenitore del prodotto segue la camera di espansione (forma tronco-conica) dove il materiale è fluidizzato (grazie al passaggio del flusso d’aria il materiale acquista le caratteristiche dei fluidi e sta in movimento) e viene mantenuto sospeso nel flusso d’aria. Nella camera di espansione la velocità dell’aria tende ad aumentare, l’aria porta in alto le particelle che vengono bagnate dal dispositivo di spruzzo, divengono più pesanti, e ricadono sul fondo. Al di sopra del dispositivo di spruzzo è presente il dispositivo filtrante che serve a far fluire l’aria di fluidizzazione verso l’esterno, evitando la perdita di materiale. Uno degli inconvenienti cui potremmo andare incontro durante il processo di filmatura è la SFALDATURA: conseguenza di aver raggiunto sui nuclei la soluzione di rivestimento ad una velocità troppo elevata rispetto alla velocità con cui questa soluzione si deve essiccare, quindi i pellet si uniscono gli uni agli altri perché sono troppo bagnati e non si ha un’ottima filmatura. Un altro inconveniente che potrebbe verificarsi è la COPERTURA DELLE INCISIONI o DEI LOGHI PRESENTI SULLA SUPERFICIE DELLA COMPRESSA: il film non risulta sufficientemente plastico e si stacca dal substrato, cioè dalla compressa. Questo problema può essere risolto variando la quantità di plasticizzante o rivedendo le condizioni operative di tutto il processo. SOLLEVAMENTO del FILM dalla SUPERFICIE della COMPRESSA: bisogna rivedere la quantità di plasticizzante e le condizioni operative di tutto il processo. IL FILM PRESENTA UNA SUPERFICIE RUGOSA: dovuta ad un essiccamento prematuro della superficie di rivestimento. 67 COLORAZIONE NON UNIFORME: il colorante non si è disperso omogeneamente della soluzione di rivestimento INCRINATURA derivanti dalle sollecitazioni e degli scontri meccanici che si sviluppano all’interno del fil durante l’essiccamento. EROSIONI o SCHEGGIATURE dei NUCLEI: dovute alle condizioni troppo stressanti e forti del processo, quindi vanno riviste le condizioni di rivestimento del film. RIVESTIMENTO A SECCO: DOPPIA COMPRESSIONE o press coating; deposizione diretta o powder coating Strategia di rivestimento alternativa alla confettura, favorevole poiché si esegue a secco e permette di ottenere dei rivestimenti di un certo spessore. Si carica il materiale, che deve rivestire la compressa, nella matrice. Posizionamento della compressa (o nucleo) al centro della matrice per effettuare la pre-compressione Si effettua nuovamente il caricamento della matrice con l’ultima parte del materiale rivestente Infine si ha la compattazione finale dove la compressa è stata rivestita totalmente, e si ha l’espulsione della compressa rivestita → DOPPIA COMPRESSIONE: perché si comprima prima dal lato inferiore e poi si effettua sul lato superiore, quindi effettivamente ci sono due passaggi di compattazione. Uno svantaggio è legato al fatto che è una tecnica applicabile sono a nuclei di diametro non superiore a 10 mm. RIVESTIMENTO con LIQUIDI FUSI, quindi per FUSIONE o melt coating; solidificazione per atomizzazione o spray congealing Tecnologia utilizzata nella filmatura di pellets, granuli e particelle polvere utilizzando materiali termoplastici fusi e il loro consolidamento per raffreddamento. Apparecchiatura: letto fluido top-spray, dove il dispositivo di spruzzo del materiale rivestente si trova in alto. Permette di operare con la temperatura del prodotto più vicina alla temperatura di solidificazione del materiale fuso. Materiali usati sono termostabili e caratterizzati da punto di fusione relativamente basso: esteri di glicerolo, oli vegetali idrogenati, alcoli a lunga catena, cere naturali e sintetiche. Vantaggi: assenza di solventi (velocità di accrescimento è rapida e non è necessaria alcuna fase di essiccamento). Rivestimento ottenuto risulta molto denso con aspetto lucido. È possibile ottenere il mascheramento del sapore di principi attivi sgradevoli. RIVESTIMENTO con SPRAY-DRYING e SPRAY-CONGEALING 68 SPRAY DRYING: nebulizzazione di emulsioni o sospensioni preparate in una soluzione polimerica. Questa emulsione viene fatta passare attraverso l’ugello sottoforma di goccioline che, incontrando un flusso di aria calda che favorisce l’evaporazione del solvente, fanno evaporare il solvente e si recupera la microcapsula essiccata. SPRAY CONGEALING: si parte da un materiale termoplastico (basso fondente, come le cere e quindi materiali che hanno caratteristiche lipofile) che si fonde e nebulizzando, queste goccioline vengono raffreddate in modo tale che la cera fusa solidifichi, ottenendo quindi la microcapsula solidificata. Controlli sulle compresse rivestite: aspetto e dimensioni uniformità di massa uniformità di contenuto (quando previsto) tempo di disaggregazione (prima in H2O, poi, eventualmente, in HCl 0.1 N) tempo di disaggregazione per compresse gastroresistenti (prima in HCl 0.1 N, poi in tampone a pH=6.8 tempo di dissoluzione COMPRESSE GASTRORESISTENTI Si fa uso di rivestimenti gastroresistenti: 1) quando il principio attivo è inattivato dal succo gastrico 2) quanto il principio irrita la parete gastrica 3) per far giungere il principio attivo nell’intestino Esistono in commercio tre diversi tipi: EUDRAGIT E, EUDRAGIT L ed EUDRAGIT S. La lettera E (= end) indica che questa sostanza si utilizza nella fase finale di rivestimento delle compresse. È un polimero solubile nel succo gastrico per protonizzazione per la specifica formula chimica ed a pH>5 rigonfia diventando permeabile all’acqua. 69 Le lettere L ed S significano la diversa solubilità nell’intestino; L si solubilizza facilmente, mentre S si solubilizza difficilmente. L’Eudragit L contiene il 50% di acido libero, insolubile nel succo gastrico, solubile nel succo intestinale per deprotonazione a pH>6. L’Eudragit S contiene il 30% di acido libero e si scioglie a pH>7. CARDIOASPIRINA Il principio attivo è l’acido acetilsalicilico. Una compressa contiene 100 mg di acido acetilsalicilico. Gli altri componenti sono: polvere cellulosa, amido di mais, copolimeri dell’acido metacrilico (entrano in gioco per la gastroresistenza), sodio laurilsolfato, polisorbato 80, talco, trietile citrato (plasticizzante). Il contenuto della confezione è di 30, 60 o 90 compresse. SYNFLEX compresse rivestite 550 mg Ogni compressa contiene naprossene sodico 550 mg (principio attivo) ed eccipienti quali: cellulosa microgranulare (diluente), povidone (legante), talco (glidante e lubrificante per evitare di appiccicarsi alle pareti dei punzoni), magnesio stearato e acqua depurata. Il rivestimento è costituito da ipromellosa (HPMC = idrossipropilmetilcellulosa utilizzata come polimero per film), macrogol 8000 (polietilenglicole utilizzato come plasticizzante), titanio diossido (opacizzante), E110 (lacca che determina al colorante giallo/arancio). NORVASC Il principio attivo è l’amlodipina (come besilato). Gli eccipienti sono: calcio fosfato dibasico anidro, magnesio stearato, cellulosa microcristallina e amido glicolato sodico. 70 Le compresse da 5 mg e 10 mg sono compresse di colore da bianco a biancastro, ottagonali con impresso AML 5 o 10 e linea di incisione su un lato e logo Pfizer sull’altro lato. CIALDINI o CACHETS o CAPSULE AMILACEE I cialdini sono preparazioni solide costituite da un involucro duro contenente una dose unica di uno o più principi attivi. L’involucro del cialdino è fatto di pane azzimo usualmente di farina di frumento e consiste di due sezioni cilindriche appiattite preformate. Prima della somministrazione, i cialdini sono immersi in acqua per pochi secondi, posti sulla lingua e inghiottiti con un sorso d’acqua. Possono essere distinti in due tipi: CIALDINI A SECCO: costituiti da 2 cilindretti da inserire l’uno sull’altro, fungendo l’uno da contenitore e l’altro da coperchio e chiusura CIALDINI A UMIDO: costituiti da 2 semivalve con bordo piatto; introdotta la polvere in una semivalva vi viene sovrapposta l’altra con il bordo inumidito per farla aderire in modo permanente Sono forme farmaceutiche utilizzate, ormai, solo per preparazioni magistrali ed il loro uso è molto ridotto. Sono utilizzati per somministrare polveri ben secche e non igroscopiche. L’altezza dei cialdini è fissa (circa 7 mm) ed il diametro di 15-25 mm. Si distinguono vari formati “00”, “0”, “1” e “2”. Oggigiorno sono utilizzati quasi esclusivamente per preparazioni magistrali, spesso per medicamenti da assumersi in dosi molto alte (1-1,5 g). CAPSULE Le capsule sono preparazioni solide con involucri duri o molli di varie dimensioni e capacità, contenenti usualmente una dose unica di principio(i) attivo(i). sono destinate alla somministrazione orale. Gli involucri delle capsule sono fatti di gelatina (non utilizzata per motivi religiosi in quanto ha origine animale) o altre sostanze (HPMC o base di pullulano), la cui 71 consistenza può essere regolata per aggiunta di sostanze come glicerolo o sorbitolo (plasticizzanti). Possono essere aggiunti altri eccipienti come tensioattivi, cariche opache, conservanti antimicrobici, dolcificanti, coloranti autorizzati e aromatizzanti. Le capsule possono presentare sulla superficie delle marcature. I contenuti delle capsule possono essere di consistenza solida, liquida o pastosa; consistono di uno più principi attivi con o senza eccipienti come solventi, diluenti, lubrificanti e disaggreganti. I contenuti non devono causare alterazione dell’involucro. Questo, tuttavia, viene attivato dai digestivi così che siano liberati i contenuti. Si possono distinguere varie categorie di capsula: CAPSULE RIGIDE: hanno involucri costituiti da due sezioni cilindriche preformate (corpo e testa), un'estremità delle quali è arrotondata e chiusa, l'altra è aperta. Sono anche denominate “capsule dure” o opercoli (questo termine significa semplicemente coperchio e quindi non specifica tutta la composizione dell’involucro intero, ma solo una parte della capsula) o “capsule percolate”. Ottenute in passato con gli stessi costituenti di quelle molli, riducendo notevolmente la quantità di glicerina, adesso vengono preparate esclusivamente con gelatina o idrossipropilmetilcellulosa (HPMC = ipromellosa) contenenti 10-15% di umidità residua, più eventuali opacizzanti e coloranti. CAPSULE MOLLI: hanno involucri più spessi di quelli delle capsule dure. Gli involucri sono costituiti da un’unica parte e hanno diverse forme. Generalmente preparate secondo il brevetto Scherer, sono costituite da gelatina con aggiunta di glicerina fino al 30% (responsabile della elasticità). Quando hanno forma sferica o ovoidale sono denominate anche “perle”. CAPSULE A RILASCIO MODIFICATO: sono capsule rigide o molli in cui i contenuti o l’involucro o entrambi contengono eccipienti speciali oppure sono preparate con procedimento particolare che modifichi la velocità, il sito o il tempo al quale vengono rilasciati il o i principi attivi. Le capsule a rilascio modificato includono le capsule a rilascio prolungato e le capsule a rilascio ritardato. CAPSULE GASTRORESISTENTI: capsule a rilascio ritardato preparate in modo da resistere al fluido gastrico ed a rilasciare il o i loro principi attivi nel fluido intestinale. Sono usualmente preparate riempiendo le capsule con granulati o con particelle provviste di un rivestimento gastroresistente o, in certi casi, ricoprendo le capsule rigide o molli con un rivestimento gastroresistente (capsule enteriche). Solo le capsule rigide ed i cialdini possono essere acquisiti vuoti ed essere successivamente riempiti anche con attrezzature poco impegnative, pertanto sono facilmente utilizzabili anche in farmacia: occorre quindi soffermarsi in particolare su questi due tipi di capsule. Le capsule rigide possono eventualmente essere rese gastroresistenti o a rilascio modificato. Le capsule sono costituite essenzialmente da: PLASTICIZZANTI (glicerina, sorbitolo) Sostanze CONSERVANTI (ad es. Piccole quantità di anidride solforosa per prevenire la crescita di muffe e batteri sulla gelatina che costituisce un ottimo terreno di coltura) COLORANTI NATURALI (ossidi di ferro) ruolo importante nell’identificazione del prodotto e rendono più piacevole la formulazione 72 OPACIZZANTI (biossido di titanio) possono essere inclusi nella formulazione per rendere opaco il guscio in maniera da ottenere una certa protezione contro la luce o per nascondere il contenuto della capsula stessa GELATINA: sostanza non tossica, molto utilizzata in campo alimentare ed è accettata per il suo utilizzo in tutto il mondo, è facilmente solubile nei fluidi biologici alla temperatura corporea e presenta buone caratteristiche filmogene. Si trova in commercio come gel essiccato in forma di lamine rettangolari sottili e trasparenti, in scaglie o granuli (polvere di colore giallognolo). Può essere estratta attraverso un’idrolisi basica, ottenendo una gelatina di tipo B, o attraverso un’idrolisi di tipo acida, ottenendo una gelatina di tipo A. In commercio si utilizza un mix di tipo A e tipo B. Per ottenere la gelatina di tipo B si parte dalla polvere di ossa, questa deve essere purificata con una soluzione di HCl (al 5%) per 10-15 giorni, poi Per ottenere la gelatina di tipo A si parte dalle cotenne di maiale lavate, trattate per 10-30 ore con HCl (1-5%). L’industria farmaceutica ha dovuto trovare alternative all’utilizzo della gelatina; quindi oggi c’è la possibilità di preparare delle capsule con materiali alternativi: - CELLULOSA che contiene il 5% di umidità IDROSSIPROPILMETILCELLULOSA (5-7% di umidità) PULLULANO ottenuto dalla fermentazione del mais Produzione di capsule rigide: 1. Immersione: coppie di cilindretti in acciaio inossidabile opportunamente lubrificati, la cui temperatura è di 22° C, vengono immersi in una soluzione di gelatina a viscosità controllata e alla temperatura di 50° C per pochi secondi (la gelatina subisce una transizione gel-sol a circa 40° C). 2. Rotazione: una volta risaliti dall'immersione, i cilindretti vengono fatti ruotare per un certo periodo di tempo per rendere uniforme la distribuzione della gelatina. 3. Essiccamento: fase delicata poiché un errato livello di essiccamento provoca alterazioni nella consistenza finale. Volumi di aria molto secca e a temperatura di poco superiore a quella ambiente vengono fatti passare attraverso i cilindretti fino a raggiungere la percentuale di umidità desiderata. Un essiccamento troppo rapido è da evitare perché condurrebbe ad un indurimento della gelatina (umidità residua 12-15%). 4. Separazione dei film di gelatina dai cilindretti. 73 5. Aggiustamento lunghezza: Sia il corpo che il coperchio della capsula cadono, rimanendovi incastrati, in fori di dimensioni opportune, dove vengono livellati da lame affilate. 6. Riunificazione corpo-coperchio: Le due parti vengono riunite in maniera da poter pre-chiudere le capsule e trasportarle senza che si abbia una separazione dei due pezzi che le compongono. Produttori di capsule: Elanco Qualicaps (divisione della EliLilly Capsugel (divisione della Warner- Capsule rigide and Co.) LambertCo.) R.P. Scherer Hardcapsule Inc. CAPSULE RIGIDE Vantaggi rispetto alle compresse: Mascherano odori e sapori sgradevoli Sono facilmente disciolte a livello gastrico, liberando i principio attivo in meno di 15 min. Possono essere riempite con attrezzature poco costose e di facile manovrabilità La scelta degli eccipienti non richiede complessi studi, soprattutto quando si usano riempitrici manuali o semiautomatiche In base agli studi effettuati dal Prof. Max Luscher sull’effetto psicologico dei colori delle capsule nel successo terapeutico di un medicamento”, ogni preparazione può essere presentata nei colori corrispondenti al suo effetto: ne consegue una maggiore aspettativa nella sua efficacia e una migliore identificazione. Svantaggi rispetto alle compresse: Non è possibile suddividerle 74 Nonostante l’involucro sia costituito da pura gelatina, l’aspetto risulta talora poco naturale, simile a plastica Le aziende farmaceutiche hanno pensato di modificare un po’ la superficie del corpo e della testa, creando delle intercapedini. A. La superficie è completamente liscia B. La presenza delle intercapedini (sia su testa che su corpo) permette la chiusura e quindi eviti che la testa possa aprirsi e perdere la polvere = capsula SNAP-FIT Capsula CONI-SNAP: oltre ai solchi per chiusura definitiva presentano 6 tacchi (dimples) equidistanti tra loro lungo tutta la circonferenza della testa. La chiusura definitiva di queste capsule avviene per incastro dei solchi con quello del corpo. Capsule LICAPS: possono essere riempite con formulazioni liquide non acquose (perché altrimenti scioglierebbero la gelatina). Queste capsule devono essere saldate nel punto di sovrapposizione tra testa e corpo, spruzzando una piccola quantità di miscela alcol + acqua, per garantire la perfetta tenuta tra testa e corpo. In commercio ci sono diversi tipi di capsule suddivise in una serie di numeri da 000 a 5. Maggiore è il numero, minore è il volume della capsula. Quelle maggiormente utilizzare sono quelle 0 (zero) a cui corrisponde un volume di 0,68 ml. MISCELAZIONE Gli eccipienti vengono aggiunti principalmente per due scopi: 1) raggiungere la quantità necessaria per riempire le capsule 2) migliorare la scorrevolezza di alcune miscele di principi attivi Nel primo caso sono sufficienti eccipienti inerti; nel secondo caso sono necessari dei lubrificanti. Inerti Lattosio - ne esistono varie granulometrie; il più adatto, anche se leggermente più costoso è il tipo spray-dried, commercialmente noto come “tablettose”, che ha il vantaggio di una notevole scorrevolezza perché si ottengono delle particelle perfettamente sferiche (forma migliore e requisito che è favorevole a migliorare lo scorrimento). Cellulosa microcristallina - varie granulometrie, preferibile la T2; come il lattosio spray-dried scorre molto bene. Nomi commerciali “avicel”, “microcel”. 75 Lubrificanti Glidanti (migliorano lo scorrimento delle polveri): talco, magnesio stearato. Antiaderenti: talco, magnesio o calcio stearato. Lubrificanti veri: magnesio stearato, silice colloidale anidra, talco, silicato di alluminio o magnesio. Adsorbenti Silice colloidale anidra (silice amorfa, silice precipitata) nota commercialmente come “aerosyl”, talco, caolino, amido di mais, carbonato di calcio. Per il riempimento delle polveri il principio attivo non può essere utilizzato da solo. Quindi le capsule vengono classificate in base ad un numero alle quali corrisponde il volume. Si pone il principio attivo, perfettamente pesato, su un cilindro graduato e si va a verificare a quale volume corrisponde. Se il volume occupato dal principio attivo non corrisponde al volume delle capsule, bisogna ricorrere all’uso di eccipienti per poterle riempire correttamente. Poi si pone il contenuto del cilindro in un mortaio e poi si trasferisce la polvere nello strumento che ci permette di riempire le capsule rigide (opercolatrice o incapsulatrice manuale) Ci sono diverse tecniche per capire quanta miscela è necessaria per riempire le capsule. Ci sono dei grafici che riportano in ascisse il volume (ml) ed in ordinata le capsule. Se si vogliono preparare 50 capsule di tipo O, al quale corrisponde un volume di 0,68 ml, si deve raggiungere un volume di 34 ml (0,68 ml x 50 capsule = 34 ml). Questo grafico consente di sapere quale volume la polvere deve avere. Se si vogliono preparare 50 capsule di tipo 1, che hanno un volume di 0,50 ml, si deve raggiungere un volume di 25 ml (0,50 ml x 50 capsule = 25 ml). Le INCAPSULATRICI o OPERCOLATRICI MANUALI sono costituite da 2 parti: Caricatore (orientatore): per disporre le capsule, da riempire, nella corretta posizione Opercolatrice (riempitrice): per eseguire le operazioni di apertura (sollevamento della testa dal corpo), riempimento (con una spatola si riesce a distribuire tutta la polvere in modo tale da riempire tutti i corpi delle capsule), comprimitura e chiusura delle capsule (riposizionando le teste su ciascun corpo). Le incapsulatrici manuali consentono di preparare 100 capsule. 76 Le OPERCOLATRICI SEMIAUTOMATICHE sfruttano il medesimo principio di funzionamento delle opercolatrici manuali, ma sono facilitate molte delle operazioni. Queste incapsulatrici sono dotate di un caricatore-orientatore automatico, separato dall’incapsulatrice vera e propria, che permette di disporre già gli opercoli su una griglia forata, facilmente posizionabile sul piano di lavoro. Il piano di lavoro, che ha dimensioni solitamente più grandi rispetto a quello delle manuali, è progettato per impedire perdite accidentali di prodotto. Il dosaggio della miscela avviene manualmente ed un vibratore favorisce l’assestamento della polvere nel corpo delle capsule. Il contenuto può essere compresso grazie ad una pressa manuale dotata di appositi punzoni che agiscono in corrispondenza degli opercoli. Eseguito il riempimento, si appoggia il piatto contenente la testa degli opercoli e si preme in modo da richiuderli. 77 Secondo la F.U.I. XII ed. i SAGGI DI CONTROLLO richiesti sulle capsule sono: 1. Uniformità di massa delle dosi farmaceutiche a dose unica: si prelevano a caso da uno stesso lotto 20 capsule, si pesano singolarmente, si aprono togliendovi completamente il contenuto e si pesano singolarmente gli involucri (capsule), per differenza fra le due pesate si ottiene la massa dei singoli contenuti e si determina la massa media. Non più di due di tali masse individuali possono presentare uno scarto, rispetto alla media, superiore a +/- 10%, per le capsule di massa media inferiore a 300 mg, superiore a +/- 7,5% per le capsule di massa media maggiore o uguale a 300 mg. Nessuna unità può presentare uno scarto maggiore del doppio di tale percentuale. 2. Uniformità di contenuto delle forme farmaceutiche a dose unica: tale saggio non si applica ai preparati polivitaminici e alle preparazioni contenenti oligoelementi, e in altri casi giustificati autorizzati. È richiesto soltanto quando il principio attivo contenuto in ogni dose è inferiore a 2 mg o comunque inferiore al 2% del peso totale. Si prelevano a caso da uno stesso lotto 10 unità, titolandone singolarmente il principio attivo con un metodo analitico idoneo. Si calcola il titolo medio. La preparazione è accettabile (soddisfa il saggio) se non più di un contenuto in principio attivo è fuori dai limiti compresi fra l’85% e il 115% e nessuno è fuori dai limiti compresi fra il 75% e il 125%, ma compresi fra il 75% e il 125% si devono determinare i contenuti su altre venti unità prelevate a caso e la preparazione risulta accettabile se non più di 3 contenuti individuali dei 30 sono fuori dai limiti dell’85-115% e nessuno fuori dai limiti del 75-125%. 3. Disaggregazione delle capsule: escludendo il caso di interazioni fra i componenti, in pratica dipende soltanto dall’involucro gelatinoso, pertanto fa fede il dato riportato dal produttore. La farmacopea indica un tempo di disaggregazione non superiore a 30 minuti. 4. Dissoluzione In veicolo acquoso: Le soluzioni acquose sono isotoniche (no squilibri osmotici della mucosa nasale) pH neutro 78 Preparazioni multidose con antimicrobico (benzalconio cloruro 0.01%) in quanto l’acqua è facilmente contaminabile da muffe o batteri In veicolo oleoso: Olio vegetale (di mandorle, oliva, arachidi) Apprezzabile viscosità consente una maggiore permanenza a contatto con la mucosa nasale Fitonasal è un coadiuvante specifico ad azione lubrificante, emolliente e protettiva che attenua la sensazione di naso chiuso e favorisce indirettamente la rigenerazione della mucosa nasale irritata a causa di: malattie da raffreddamento; secchezza nasale anche dovuta a condizioni patologiche croniche (quali sinusiti e rinite allergica) o permanenza in ambienti secchi, polverosi e inquinati; sfregamento conseguente a frequenti starnuti, frequente soffiarsi il naso, presenza di croste nella cavità nasale; contatto con agenti irritanti esterni quali polvere, fumo, smog, pollini o microrganismi. La formulazione 100% naturale di Fitonasal, grazie alle resine presenti nell'estratto oleoso di Incenso e alle sostanze lipofile di Helydol: riveste la mucosa nasale di un film emolliente e protettivo che esplica su di essa un effetto barriera limitandone la disidratazione e il contatto con agenti esterni irritanti favorendone indirettamente la rigenerazione. mantiene l'idratazione, promuovendo un adeguata visco-elasticità del muco e facilitandone la corretta espulsione. Può favorire lo starnuto che concorre alla rimozione dei depositi di muco e di agenti irritanti, anche patogeni, dalle fosse nasali. Per la presenza di oli essenziali di Eucalipto e Menta, il prodotto esplica, inoltre, un rapido effetto rinfrescante che conferisce una sensazione di naso libero e favorisce la respirazione, attenuando la sensazione di naso chiuso dovuta a una o più delle condizioni sopra elencate. Per queste sue caratteristiche emollienti e non aggressive Fitonasal può essere utilizzato anche per trattamenti prolungati, in caso di irritazioni croniche. COMPOSIZIONE: Incenso estratto oleoso in olio di girasole; Oli essenziali di: Menta piperita, Eucalipto; Elicriso sommità fiorite estratto liofilizzato frazione lipofila (Helydol). GOCCE AURICOLARI (nel condotto uditivo): vengono generalmente indicate con il nome INSTILLAZIONI 79 “soluzioni, emulsioni o sospensioni di uno o più principi attivi in liquidi adatti per essere applicati nel meato uditivo senza esercitare pressione dannosa sul timpano (per esempio acqua, glicoli od oli grassi”. Dispensate in contenitore multidose di vetro o di adatto materiale plastico dotati di contagocce incorporato o con tappo a vite di materiali opportuni provvisto di contagocce con pompetta in gomma o plastica. Azione locale: dosi adeguate al trattamento. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA 100 ml di soluzione contengono: Principi attivi Polimixina B solfato U.I. 1.000.000 Neomicina solfato 0,500 g (pari a neomicina base 0,375 g) Lidocaina cloridrato 4 g FORMA FARMACEUTICA - Gocce auricolari. Eccipienti: Benzalconio cloruro, Glicole propilenico, Glicerolo, Acqua depurata Posologia e modo di somministrazione Adulti: 4-5 gocce, 2-4 volte al giorno Bambini: 2-3 gocce, 3-4 volte al giorno Instillare, tramite l'apposito contagocce, nel dotto auricolare tenendo la testa piegata di lato per alcuni minuti. Il periodo di trattamento è variabile in relazione alla rapidità della risposta terapeutica. Composizione: Studiate per proporre solo elementi e principi attivi provenienti dalla natura, le gocce auricolari otosan contengono: olio di mandorle dolci, olio di ribes nero, olio di borragine bio, olii essenziali bio di cajeput, geranio, ginepro e chiodi di garofano, propoli, bisabololo e vitamina e (che funge da antiossidante, in quanto gli oli possono andare incontro facilmente al processo di ossidazione). 80 SISTEMI DISPERSI Queste tre preparazioni sono caratterizzate dal fatto di essere costituite da una fase dispersa e da una fase disperdente. Sono preparazioni costituite da due fasi: fase dispersa che viene distribuita in un mezzo liquido che è la fase disperdente = sono sistemi BIFASICI. La fase dispersa è distribuita sotto forma di goccioline o particelle disperse nella fase disperdente. La fase dispersa è detta anche discontinua o interna, mentre la fase disperdente è detta continua o esterna. Le differenze riguardano le dimensioni e lo stato fisico delle particelle nella fase dispersa. La fase dispersa è un solido per le dispersioni colloidali e per le dispersioni, mentre è un liquido per le emulsioni. Possono essere classificate in base alle dimensioni delle particelle. Le dimensioni, passando dalle dispersioni molecolari a quelle colloidali e grossolane, aumentano. Inoltre, le tre formulazioni differiscono per le dimensioni della fase dispersa: il diametro per le dispersioni colloidali è 1-100 nm, per le Se si ha come fase disperdente un gas, la fase dispersa può essere un liquido o un solido. Se la fase disperdente è un liquido, la fase dispersa può essere un gas, un liquido (emulsione) o un solido (sospensioni). Se la fase disperdente è un solido, la fase dispersa può essere un gas, un liquido o un solido. La zona in cui le due fasi vengono a contatto viene definita interfaccia. Nel caso delle emulsioni è rappresentata dai due liquidi immiscibili, mentre per le sospensioni riguarda l’interfaccia tra solido e liquido. L’interfaccia avrà delle caratteristiche diversi delle due fasi singole, proprio perché si trova in questa zona di contatto. 81 SISTEMI COLLOIDALI Sono quei sistemi in cui le particelle hanno delle dimensioni comprese tra 1 nm e 500 nm. Queste particelle sono caratterizzate dall’avere un’elevata area superficiale e si deve a questa caratteristica le proprietà specifiche dei colloidi: tra cui il fenomeno di adsorbimento, dove è importante l’interfaccia. Queste particelle, sospese nel liquido, possono avere forme diverse e questo va a influenzare l’area superficiale. Quindi è importante valutare le dimensioni per avere una vasta area superficiale. Il processo di adsorbimento permette di formulare preparazione a forte potere adsorbente delle sostanze, come i disintossicanti e gli antidoti. COLLOIDI LIOFILI o LIPOFILI (nel caso in cui il solvente sia rappresentato dall’acqua) I colloidi idrofili impiegati in farmacia (generalmente in forma di mucillagini) contengono generalmente: gomme naturali (acacia, agar, adragante), PVP, derivati della cellulosa (metilcellulosa, CMC = carbossimetilcellulosa). La scelta è ricaduta su queste sostanze poiché sono caratterizzate dalla presenza di gruppi a carattere idrofilo (OH, COOH, NH 2) capaci di formare legami a idrogeno con le molecole di acqua. I colloidi idrofili aumentano notevolmente la viscosità dell’acqua in conseguenza dei legami che si instaurano fra fase dispersa e mezzo disperdente: proprietà usata per rendere più stabili le emulsioni e le sospensioni. In opportune condizioni, le molecole dei colloidi idrofili, intrecciandosi tra di loro, formano un reticolo nel cui interno restano racchiuse le molecole d’acqua = GEL Se la dispersione di un colloide idrofilo viene evaporata in modo da eliminare quasi tutto il mezzo disperdente, è possibile ottenere di nuovo un «sol» per semplice aggiunta di acqua. Per questo motivo (e cioè che riescono a ritornare alla struttura primaria) i colloidi idrofili sono detti «colloidi reversibili» = SOL Il metodo di preparazione dei colloidi liofili consiste nella dispersione del colloide idrofilo nel mezzo disperdente, che può essere solitamente acqua (ad esempio gelatina o gomma arabica). COLLOIDI LIOFOBI o IDROFOBI (nel caso in cui il solvente sia rappresentato dall’acqua) Sono colloidi idrofobi quasi tutti i colloidi inorganici, come i metalli, gli ossidi e i solfuri. Le particelle dei colloidi liofobi non si legano con il mezzo disperdente e quando questo viene evaporato non ritornano allo stato di «sol» per semplice aggiunta del mezzo disperdente; per questo sono chiamati «colloidi irreversibili». Metodi di preparazione per portare le dimensioni del colloide liofobo (che sono molto piccole) a dimensioni colloidali: 82 1) Metodi di dispersione: si tende a ridurre le particelle del colloide a dimensioni colloidali, si diminuiscono le dimensioni del colloide 2) Metodi di condensazione: si fanno riunire delle particelle più piccole fino a raggiungere le dimensioni dello stato colloidale COLLOIDI di ASSOCIAZIONE Il materiale di partenza è rappresentato da molecole anfifiliche come i tensioattivi, cioè testa idrofila e coda lipofila. La formazione dei colloidi d’associazione è spontanea, purché la concentrazione dell’anfifilo in soluzione superi la CMC (concentrazione micellare critica alla quale si forma la prima micella). Le micelle, poi, possono avere diverse forme. Nei sistemi bifasici è importante vedere l’interfaccia, in quanto influenza in qualche modo il sistema colloidale. Si parla, infatti, di PROPRIETÀ ELETTRICHE dell’INTERFACCIA = le particelle disperse in un mezzo liquido possono sviluppare una carica superficiale. Partendo da questo concetto è stata elaborata la teoria del doppio strato elettrico. La carica superficiale può derivare da due meccanismi: Adsorbimento di specie ioniche presenti in soluzione Ionizzazione di gruppi, come ad esempio i gruppi carbossilici, che sono presenti sulla superficie della particella 83 Intorno ad una particella solida vengono adsorbiti degli ioni che sono presenti nella soluzione disperdente del sistema: supponiamo che alcuni cationi vengano adsorbiti a livello della superficie della particella solida che acquisisce una carica positiva. Quindi sulla superficie ci sono cationi, mentre in soluzione sono presente sia cationi che anioni. Gli anioni, presenti in soluzione, saranno fortemente attratti dalla carica positiva presente sulla particella solida. Quindi formano il prima strato elettrico. Questo strato elettrico è costituito dalle molecole di solvente e dagli anioni attratti dai cationi presenti sulla superficie della particella solida. Poi, si forma un secondo strato elettrico costituito da ioni che hanno entrambe le cariche, quindi anioni e cationi. Tratto b-c prevalgono le cariche opposte a quelle presenti sulla superficie (quindi gli anioni). Nell’ultimo tratto (c-d) le cariche si eguagliano e quindi si raggiunge la stabilità elettrica. Il potenziale che si viene a creare sulla superficie della particella viene definito potenziale Z o di Nerst = differenza di potenziale tra la superficie della particella e la regione elettricamente neutra della soluzione. Questa misurazione consente di ottenere delle informazioni sulla stabilità del sistema. Inoltre, il potenziale Z indica se le particelle si attraggono o si respingono, proprio in funzione delle cariche elettriche che si vengono a formare all’interfaccia. Se si ha un potenziale Z alto significa che prevalgono le forze repulsive; mentre se il potenziale Z è basso significa che prevalgono le forze attrattive. STABILITÀ dei sistemi colloidali Nel caso della stabilità bisogna valutare quali sono i fattori che influenza i sistemi dispersi costituiti da collidi idrofobi e di colloidi idrofili. Per i colloidi idrofobi la stabilità si basa sulla TEORIA DLVO (iniziali dei cognomi dei ricercatori che hanno elaborato questa teoria): la stabilità dipende dall’energia potenziale netta (Et) che è presente nelle particelle. Questa energia, a sua volta, dipende da un bilancio dell’energia derivata dalle forze attrattive (Ea = forze di Van der Walls) e dalle forze repulsive (Er = derivano dalla sovrapposizione dei doppi strati elettrici). Et = Ea + Er Il massimo primario si verifica quando prevalgono le forze di repulsione. Mentre quando prevalgono le forze di attrazione si può verificare il minimo primario ed il minimo secondario = l’attrazione delle particelle si manifesta in due punti: minimo primario e minimo secondario. Se le particelle sono molto vicine tra di loro, quindi a distanza ravvicinata, si manifesta il MINIMO PRIMARIO. Se, invece, le particelle si trovano ad una grande distanza tra di loro, si verifica il MINIMO SECONDARIO. Si è visto che la formazione del minimo secondario avviene ad una distanza 84 interparticellare di 10-20 nm e dipende dalle dimensioni delle particelle il cui diametro non deve essere < 1 μm. Quindi, se le condizioni sono queste, le forze repulsive diminuiscono con la distanza più rapidamente di quelle attrattive = in questa condizione di verifica la FLOCCULAZIONE dei sistemi colloidali. Ad una distanza intermedia, se prevalgono le forze di repulsione (dovute al doppio strato elettrico) si presenta il massimo primario. Quindi a seconda di quali forze prevalgono si possono determinare delle specifiche condizioni. Per i colloidi idrofili la stabilità è influenzata sia dalla carica che dalla solvatazione nella soluzione disperdente. Mettendoli a confronto, sono più stabili i sistemi dispersi costituiti da colloidi idrofili, proprio per la natura chimica del colloide stesso che riesce ad avere delle cariche più nette per la presenza dei gruppi ionizzabili all’interno della soluzione (quindi è più facile che si creino delle interazioni tra la fase dispersa e quella disperdente, ed è più facile che vadano anche in soluzione). I sistemi colloidali sono utilizzati per modificare il rilascio di alcuni farmaci. SOSPENSIONI Le sospensioni sono sistemi dispersi bifasici costituiti da una fase interna/dispersa solida ed una fase esterna/disperdente liquida o semiliquida, acquosa (raramente oleosa). Le sospensioni possono essere impiegate per uso orale, per uso esterno o per uso parenterale; quindi questa formulazione, insieme agli sciroppi, è ben accettata da particolari fasce di popolazioni (bambini e anziani). Si prestano bene a mascherare il sapore sgradevole di un farmaco e, per alcuni tipi di farmaci (soprattutto gli antibiotici, ad esempio l’ampicillina), questo tipo di formulazione risulta più stabile rispetto alle soluzioni. A patto che la sospensione venga preparata estemporaneamente prima dell’uso. Le sospensioni farmaceutiche possono essere classificate in tre tipi: Orali Topiche Iniettabili Requisiti fondamentali richiesti per la preparazione farmaceutica: 1. Dispersione omogenea delle particelle solide nel liquido disperdente. 85 2. Non devono verificarsi fenomeni di sedimentazione (sul fondo del contenitore) o devo essere processi molto lenti. Nel caso in cui non si possa evitare, è necessario che il sedimento sia facilmente ri-disperdibile per agitazione (“agitare prima dell’uso”). 3. Dimensioni delle particelle che non devo alterarsi nel tempo, poiché si altererebbe la stabilità: più fini sono le polveri da sospendere, più stabile risulterà la sospensione 4. Viscosità della fase liquida: più viscosa è la fase esterna, più stabile risulta la sospensione. 5. Stabilità chimica della sospensione che dipende dalle dimensioni delle particelle e dalla viscosità della fase liquida. 6. Aspetto gradevole e odore e sapore accettabile dal paziente I solidi da sospendere nella fase disperdente liquida devono essere di carattere: LIOFILO: le particelle possono essere solvatate in superficie, cioè si lasciano bagnare dalla fase liquida e pertanto si lasciano facilmente sospendere. Sospensioni stabili. Eventuale sedimento è facilmente dispersibile per agitazione. LIOFOBO: le particelle solide non vengono solvatate e quindi non si lasciano bagnare mostrando difficoltà a essere sospese. Prodotto instabile. Il sedimento molto compatto (cake) che si forma sul fondo incontra difficoltà a risospendersi per semplice agitazione. La maggior parte delle volte, si preferisce utilizzare sostanze liofile rispetto alle sostanze liofobe. Etichetta di sospensioni: “Agitare bene prima dell’uso”. Bagnabilità delle particelle solide nel mezzo liquido Caratteristica molto importante nella preparazione delle sospensioni farmaceutiche. Si parla di bagnabilità quando una particella solida viene posta su una superficie orizzontale e poi bagnata dal liquido. Questa può distendersi ed assumere forme differenti. Si valuta se la particella è bagnabile, misurando un angolo θ (theta), l’angolo di contatto che è definito dal piano della superficie solida e dalla tangente che si stabilisce tra il piano solido e la particella. Questo angolo può avere diverse misure: θ < 90° significa che la particella si fa bagnare θ > 90° la fase disperdente fa fatica a bagnare la particella e la difficoltà massima si raggiunge con un angolo di 180° Se si hanno sostanze che non si lasciano bagnare facilmente ci sono sostanze che permettono di ovviare a questo inconveniente = agenti bagnanti tra i quali rientrano i tensioattivi, la carbossimetilcellulosa (CMC) e le gomme adraganti. 86 Anche la sedimentazione è un processo che deve essere valutato per la preparazione delle sospensioni. Sarebbe auspicabile che le particelle solide non sedimentassero sul fondo del contenitore, ma qualora non si riesca ad evitare questo fenomeno si può migliorare o prevenire conoscendo la velocità con la quale avviene il processo di sedimentazione. Si utilizza la legge di Stokes che regola la velocità di sedimentazione delle particelle solide. Questa legge mette in relazione i fattori che influenzano la velocità di sedimentazione: diametro delle particella, viscosità del sistema e la densità delle fasi (dispersa e disperdente). Se si riescono a gestire bene queste tre grandezze si riesce a ridurre o ad annullare il processo di sedimentazione. Quindi riducendo le dimensioni delle particelle sospese, si contribuisce al rallentamento del processo di sedimentazione o all’annullamento. Però, ci devono essere piccole differenze di densità tra le due fasi e la viscosità deve essere alta in modo tale da mantenere in sospensione le particelle fini. Per aumentare la densità della fase disperdente si può aggiungere uno zucchero, mentre se la si vuole diminuire si può aggiungere un solvente organico che si misceli con l’acqua (ad esempio un alcol). Un inconveniente che si può presentare durante la sospensione delle formulazione è l’aumento delle dimensioni delle particelle in quanto si avvicinano tra di loro. Questo processo di ingrossamento delle particelle, quindi, deve essere controllato nel tempo in quanto influenza la viscosità del sistema, si può verificare una rapida sedimentazione e può (in generale) cambiare le caratteristiche della formulazione finale che potrebbe non è essere più idonea e adatta alla formulazione. Spesso, vengono utilizzati degli agenti sospendenti, come il polivinilpirrolidone (PVP), per diminuire questo fenomeno. Le particelle disperse in un veicolo liquido sono soggette a delle forze elettriche che possono essere attrattive o repulsive. Le forze attrattive sono generalmente le forze di Van der Waals, mentre quelle repulsive dipendono dalle cariche elettriche presenti sulla superficie e che derivano dall’adsorbimento di ioni nella soluzione o dalla ionizzazione di molecole presenti sulla superficie. Queste cariche elettriche possono formare un doppio strato elettrico intorno alle particelle. La differenza di potenziale che si viene ad instaurare tra il primo strato di carica e la regione del solvente elettricamente neutra viene definita potenziale Z. Quindi, quello che vale per i sistemi dispersi, vale anche per le sospensioni, proprio perché si tratta di sistemi dispersi. Se il potenziale Z è alto, e prevalgono le forze repulsive, prevale il massimo primario e le particelle si respingono ed il SISTEMA è DEFLOCCULATO. Inoltre, nel sistema deflocculato la fase disperdente è torbida. Quando prevalgono le forze attrattive, le particelle si aggregano tra di loro per formare degli aggregati, definiti flocculi; quindi il SISTEMA è FLOCCULATO. Questi aggregati sono leggeri e si accumulano sul fondo del contenitore lasciando la fase liquida completamente trasparente; mentre il sedimento che si accumula sul fondo è voluminoso e spugnoso. Questa flocculazione è importante, sedimentazione che si può formare. anche perché la si collega al tipo di Se il sistema è deflocculato il sedimento è leggero e, per semplice agitazione, si può risospende. 87 Se il sistema è deflocculato, il sedimento si forma più lentamente e le particelle sono molto a contatto tra di loro e si compattano maggiormente = formazione del sedimento compatto (cake). Quindi, la ri-sospensione del sedimento è molto più difficoltosa. Si vanno a determinare il grado di sedimentazione ed il grado di flocculazione. Il GRADO DI SEDIMENTAZIONE (F) è definito come il rapporto tra il volume del sedimento (Vu) ed il volume totale della sospensione (V0). Può assumere valori che vanno da 0 a 1. Quindi più il grado di sedimentazione si avvicina a 1, più è alto il volume occupato dal sedimento e più la sospensione è flocculata. F = Vu/V0 Se F = 0,15 si è più vicino ad una sospensione deflocculata e si fa più fatica a risospendere il cake. Se F = 0,75 si è più vicini ad una sospensione flocculata e si riesce a ri-sospendere il flocculo che si è formato sul fondo, attraverso l’agitazione. Il GRADO DI FLOCCULAZIONE (β) è definito come il rapporto tra il volume finale del sedimento di una sospensione flocculata e il volume finale del sedimento di una soluzione deflocculata, per avere una valutazione quantitativa. β = Vu/Vꚙ Per calcolare il grado di flocculazione (β) si può utilizzare anche il rapporto tra il grado di sedimentazione di una sospensione flocculata ed il grado di sedimentazione di una sospensione deflocculata. β = F/Fꚙ Si è arrivati a questa relazione partendo dal grado di sedimentazione di una sospensione completamente deflocculata. Si possono aggiungere agenti flocculanti che vanno ad agire sul potenziale K e favoriscono la flocculazione. Questi agenti sono: elettroliti, tensioattivi ionici (laurilsolfato sodico), colloidi idrofili (gomme naturali: arabica, adragante. Derivati della cellulosa o gelatina). Per evitare fenomeni di caking si ricorre alla flocculazione controllata: aggregazione delle particelle in fiocchi espansi e porosi senza che ciascuna di esse perda la sua individualità. Tali formazioni si ottengono riducendo la carica sulle particelle con l’introduzione di quantità di elettroliti tali da farle attrarre e legare mediante ponti di contatto in fiocchi a struttura reticolare espansa. Si forma un sedimento in grado di essere riportato in uniforme dispersione per modica agitazione, talvolta soltanto capovolgendo il contenitore. SOSPENSIONI per USO ORALE Per le preparazioni orali, possiamo distinguere fra sospensioni già pronte e da preparare al momento dell'uso. Queste ultime sono confezionate, per motivi di stabilità, in modo che il solido sia 88 fisicamente separato dal veicolo liquido (due fiale separate, una con la polvere, l'altra con il solvente; oppure, tappo contenitore da premere al momento dell'uso, fig. a destra: sistema GePACK®); in questo caso, la data di scadenza riportata sulla confezione, si riferisce al prodotto non ancora ricostituito in quanto appena ottenuta la sospensione, la sua conservazione è garantita per periodi di tempo molto brevi. Fase liquida: acqua Agenti sospendenti: idrocolloidi naturali o semisintetici Preparazione: 1. Partendo dai singoli componenti: si miscela il principio attivo, preventivamente ridotto al voluto grado di finezza, con gli idrocolloidi ed eventualmente con l’emulsionante. Si aggiunge l’umettante e successivamente a poco a poco l’acqua in cui sono stati precedentemente disciolti i conservanti. 2. Partendo da un veicolo mucillaginoso già pronto: i principi attivi polverizzati vengono trattati con l’agente umettante, quindi si aggiunge a poco a poco la mucillagine già pronta e preservata. Sospensione orale Carbonato, Miele, a base di Sodio Alginato e Sodio Camomilla, Calendula, Propoli depollinata, Aloe Vera gel. Modalità d'uso Agitare il flacone prima dell'uso. Conservare a temperatura ambiente controllata (15-25° C); non refrigerare ed evitare l'esposizione a fonti di calore localizzate e ai raggi solari. Dopo l'apertura del flacone è bene consumare il prodotto entro 15 giorni (non contiene conservanti). Categoria farmacoterapeutica: antibatterici β-lattamici, penicilline. "Polvere per sospensione orale": modalità di preparazione e conservazione della sospensione. La preparazione (ricostituzione) della sospensione deve essere effettuata aggiungendo acqua fino al livello indicato dalla freccia sull'etichetta del flacone. Agitare. Dopo aver agitato, se occorre, aggiungere nuovamente acqua sino al suddetto livello. Agitare prima di ogni uso. Dopo questa preparazione, la sospensione ricostituita è stabile per 7 giorni a temperatura ambiente. Dopo tale periodo, ogni eventuale residuo di prodotto deve essere eliminato. Gaviscon 500 mg/10 ml + 267 mg/10 ml sospensione orale Gaviscon 500 mg/10 ml + 267 mg/10 ml sospensione orale aroma menta Gaviscon 500 mg/10 ml + 267 mg/10 ml sospensione orale aroma menta in bustine Adulti e bambini sopra i 12 anni: 10-20 ml (seconda-quarta tacca del misurino o 2-4 cucchiai dosatore o 1-2 bustine monodose) dopo i pasti e al momento di coricarsi. Agitare la sospensione prima dell’uso. 89 Sospensione orale: la sospensione viene ripartita in flaconi di vetro ambrato con tappo munito di sotto tappo in polietilene, confezionati in astucci di cartone litografato. Alla confezione è annesso un misurino dosatore in polipropilene naturale con tacche da 5, 10, 15 e 20 ml, oppure un cucchiaio dosatore (polistirene trasparente) da 5 ml. La confezione è da 200 ml di sospensione orale. Apparecchi elettrici utilizzati per le sospensioni: pestello rotante Primax corredato da due pestelli, uno cilindrico e l’altro “a piattino”. I controlli che si possono fare sulle sospensioni, partendo dal fatto che si disperde una polvere in una fase liquida sono: - Dimensioni delle polveri con un microscopio ottico o con il Culker = devono essere omogenee e fini Sedimentazione: si lascia sedimentare nel tempo la sospensione, utilizzando dei cilindri graduati, per vedere il volume che occupa il sedimento Viscosità della fase acquosa utilizzando dei viscosimetri Invecchiamento accelerato della sospensione per determinare quali sono le condizioni di conservazione delle conservazioni (a temperature elevate e a temperatura ambiente) Titolo della quantità di principio attivo che è contenuta e vedere se si mantiene per tutto il periodo di validità della sospensione 90 EMULSIONI Le emulsioni sono delle formulazioni con cui si è spesso a contatto, ad esempio in campo alimentare il latte e la maionese sono delle emulsioni. In campo farmaceutico è abbastanza diffusa: creme idratanti e nutrienti somministrate per via topica. L’emulsione è un sistema termodinamicamente instabile formato da almeno due fasi liquide non miscibili tra loro, una delle quali (fase dispersa o interna) è dispersa nell’altra (fase disperdente o continua) sotto forma di goccioline (o globuli) con diametro compreso tra 0,5 e 20 μm (emulsioni bianche ed opache). Un classico esempio è rappresentato dall’emulsione di olio ed acqua (due liquidi non miscibili tra di loro) che può essere: olio in acqua, o acqua in olio. Tipi di emulsioni (si descrive prima la fase dispersa e poi la fase disperdente): Emulsioni O/A (olio in acqua) Emulsioni A/O (acqua in olio) Emulsioni MULTIPLE A1/O/A1 (A1/O/A2) = emulsioni A/O disperse in fase acquosa Emulsioni MULTIPLE O1/A/O1 (O1/A/O2) = emulsioni O/A disperse in fase oleosa Un EMULSIONE ha un colore lattescente. Le dimensioni dei globuli sono superiori ai 1000 nm e, dal punto di vista termodinamico, non sono stabili (quando si agita e si fornisce energia si mischiano, mentre quando si ferma l’agitazione si separano nuovamente). EMULSIONI TRASPARENTI o MICROEMULSIONI sono delle emulsioni caratterizzate Le dal fatto che le goccioline hanno dimensioni molto più piccole (inferiori di 100 nm). L’apparenza, quindi, risulta trasparente (per la presenza di particelle molto più piccole). La formazione è spontanea e sono dei sistemi termodinamicamente stabili. SAGGI per stabilire il tipo di emulsione: SAGGIO di DILUIZIONE: se una data emulsione è diluibile in acqua (es: latte o creme idratanti) è di tipo O/A; nel caso contrario è di tipo A/O (es: burro o margarina o creme nutrienti). SAGGIO del COLORANTE: un’emulsione addizionata con un colorante idrosolubile (es: blu di metilene), risulterà uniformemente colorata se è di tipo 91 O/A. Se il colorante aggiunto all’emulsione è liposolubile (es: sudan) si avrà colorazione uniforme se l’emulsione è di tipo A/O. SAGGIO del CLORURO DI COBALTO: questo sale ha una colorazione azzurra se anidro e rosa se idrato. Si usa carta da filtro imbevuta di soluzione di cloruro di cobalto. Asciugata in stufa e conservata in essiccatore rimane di colore azzurro. Messa una strisciolina della carte a contatto con la superficie dell’emulsione, se rimane azzurra si tratta di emulsione A/O. se, invece, vira al rosa è O/A. il saggio può fallire se l’emulsione è instabile. Finché la fase dispersa è presente in piccola quantità, le goccioline si muovono tranquillamente nella fase disperdente. Man a mano che aumenta la fase dispersa, cominciano ad aumentare le goccioline che tendono a muovere sempre meno (per minor spazio) e tendono ad attaccarsi tra loro. Nelle emulsioni liquide le particelle hanno un buon spazio di movimento, man mano che i globuli aumentano, la libertà di movimento viene ridotta (ad esempio nelle creme dove le goccioline della fase dispersa hanno una libertà di movimento molto limitata rispetto a quando l’emulsione è allo stato liquido) Le emulsioni possono essere usate sia per via orale che topica. Per quanto riguarda le emulsioni orali si privilegiano quelle O/A, per il semplice fatto della palatabilità. Si possono, quindi, avere emulsioni di olio di ricino, di olio di fegato di merluzzo, di olio di paraffina e di olio di paraffina + fenolftaleina. Il maggior uso delle emulsioni di tipo O/A e A/O vengono utilizzate per via cutanea, dalle creme che possono essere idratanti (O/A) o nutrienti (A/O). un altro vantaggio è che sono preparazioni che permettono di veicolare sia farmaci lipofili che farmaci idrofili, proprio per la presenza delle due diverse fasi (olio e acqua). Le emulsioni sono dei sistemi termodinamicamente instabili = se si hanno due liquidi non miscibili, bisogna agitare e fornire dell’energia per poter disperdere l’olio nell’acqua. Nel momento in cui si sottrae energia, si ottengono di nuovo le due fasi distinte. Però, noi abbiamo bisogno di preparare un’emulsione che sia stabile nel tempo, e quindi c’è bisogno di un terzo componente che ha il ruolo di abbassare la tensione interfacciale che si viene a creare tra le due fasi, permettendo di preparare un’emulsione stabile. Ogni molecola di acqua all’interno del becher è attratta, in modo uguale, in tutte le direzioni e grazie alle forze attrattive, dalle molecole che le circondano (e con le quali si stabiliscono delle interazioni). Questa cosa, però, non accade a livello della superficie del liquido (punto in cui l’acqua viene a contatto con l’aria) poiché le forze non sono bilanciate e le molecole risentono delle forze attrattive delle molecole presenti all’interno del liquido. Nella parte superiore, invece, le molecole non presentano nessuna forza = le forze non sono ben bilanciate → queste molecole hanno delle forze libere che possono essere bilanciate spostandosi all’interno della massa liquida. In questo modo cercano di ridurre al minimo l’area superficiale. la forma sferica è quella che permette di avere meno 92 area superficiale (ecco perché le goccioline di acqua si dispongono in questa forma) = TENSIONE SUPERFICIALE. Si parla di TENSIONE INTERFACCIALE se si hanno due liquidi non miscibili, ad esempio acqua e olio. Per poter preparare un’emulsione è necessario che l’olio venga disperso nell’acqua (fase disperdente), per poterlo fase, è necessario fornire energia, agitando fortemente per favorire la dispersione sottoforma di goccioline. Dal punto di vista termodinamico, questa energia, è un lavoro W = γ x S, dove γ è la tensione interfacciale (poiché si ha una superficie di contatto tra due liquidi non miscibili tra loro) ed S corrisponde all’area superficiale della nostra fase (incremento dell’area superficiale). se questa tensione è elevata, il sistema è fortemente instabile; quindi deve essere bassa. Gli AGENTI EMULSIONANTI sono molecole in grado di formare un film attorno alle goccioline della fase dispersa creando una barriera interfacciale: previene la riaggregazione dei globuli durante la preparazione impartisce alle goccioline un adeguato potenziale elettrico, in modo che si abbia una mutua repulsione aumenta la viscosità dell’emulsione. In base al tipo di film che si produce all’interfaccia delle 2 fasi, si distinguono 3 tipi di emulsionanti: Idrocolloidi (sostanze macromolecolari idrofile): formano un film multimolecolare forte e rigido e vengono utilizzati per preparare emulsioni O/A. Solidi finemente suddivisi insolubili in entrambe le fasi (bentonite, magnesio idrossido): formano un film solido particellare stabile se sufficientemente bagnato da entrambe le fasi. Utilizzati per emulsioni O/A e A/O. Tensioattivi ionici e non-ionici: sono sostanze che hanno la proprietà di abbassare la tensione superficiale di un liquido, agevolando la bagnabilità delle superfici o la miscibilità tra liquidi diversi. In genere sono composti organici con un gruppo, testa, polare ed una coda non polare; i composti con tali caratteristiche sono detti più in generale "anfifilici" o "anfipatici". Convenzionalmente una molecola di tensioattivo viene schematizzata da una "testa" idrofila a cui è legata una "coda" idrofoba. Numerosi tensioattivi, superata 93 la concentrazione micellare critica (cmc), si organizzano in aggregati supramolecolari, chiamati micelle. Le micelle si respingono reciprocamente per via della repulsione elettrostatica delle loro "teste" ionizzate, ciò impedisce alle particelle di oli e grassi di riaggregarsi nuovamente mantenendole sospese nell'acqua e consentendone l'allontanamento. È stata creata la scala di Griffin che permette di classificare i tensioattivi, in base alla loro caratteristica HLB, se sono lipofili o idrofili = bilancio idrofilolipofilo (hydrophilic-lipophilic balance= HLB): rapporto esistente nella molecola fra gruppi idrofili e gruppi lipofili. Tensioattivo idrofilo al 100% → HLB = 20 HLB > 10 idrofili e quindi tendenzialmente solubili in acqua HLB <10 lipofili e quindi tendenzialmente solubili negli oli FATTORI che INFLUISCONO nel DETERMINARE il TIPO di EMULSIONE: Tensioattivo impiegato come emulsionante: si utilizza la regola di Bancroft (1913): la fase nella quale il tensioattivo è più solubile forma la fase esterna. Il film che il tenside forma all’interfaccia acqua/olio tende a piegarsi dalla parte dove la tensione interfacciale è maggiore e cioè la solubilità è minore: se prevale il carattere idrofilo le goccioline di olio si circonderanno di uno strato di tensioattivo e si formerà un’emulsione O/A; al contrario se nel tensioattivo prevale il carattere lipofilo il film monomolecolare si piegherà dalla parte dell’acqua (solubilità minore) e l’emulsione sarà A/O. gruppi idrofili > gruppi lipofili: maggiore solubilità in acqua e gruppi lipofili > gruppi idrofili: maggiore solubilità in olio Quantità relativa delle due fasi: il componente più abbondante tende a formare la fase esterna. Metodo di preparazione: unire le due fasi e mescolare (emulsione O/A) oppure versare A in O sotto agitazione continua (emulsione A/O). Viscosità delle due fasi: la fase che ha viscosità maggiore tende a formare la fase esterna. I principali fenomeni d’instabilità fisica delle emulsioni sono: SEDIMENTAZIONE e AFFIORAMENTO (creaming). La SEDIMENTAZIONE è quando la fase dispersa si concentra alla superficie e l’AFFIORAMENTO è quando si dispone sul fondo della preparazione. Il fenomeno è dovuto all'azione della forza di gravità sui globuli e sui flocculi della fase dispersa che, di norma, hanno densità diversa dalla fase continua; il suo andamento è indicato dalla legge di Stokes: d = diametro medio dei globuli η = viscosità del mezzo in poises ρ = densità della fase dispersa ρ0= densità del mezzo disperdente g = accelerazione di gravità e viene accelerato da un aumento di temperatura, che diminuisce la viscosità e dall'applicazione di una forza centrifuga che aumenta il valore di g 94 Nel creaming le goccioline della fase dispersa sono ancora circondate dal film di emulsionante ed è sufficiente un'accurata agitazione per riportare l'emulsione allo stato iniziale. FLOCCULAZIONE: aggregazione delle goccioline della fase dispersa in formazioni più o meno voluminose, senza che perdano la loro individualità e si fondano insieme rimanendo comunque separate da un film di fase disperdente. Gli aggregati possono assumere velocità notevoli con tendenza all’affioramento o alla sedimentazione. Il fenomeno è REVERSIBILE: agitazione per disgregare “fiocchi” e restituire omogeneità all’emulsione. COALESCENZA: si ha coalescenza quando il film del tensioattivo che circonda le goccioline disperse si rompe e queste si riuniscono per formare dei globuli più grandi che, a loro volta, si riuniscono (si fondono tra di loro) con altri fino a portare alla rottura totale dell'emulsione e cioè alla separazione delle due fasi. In questo caso non è possibile ottenere di nuovo un'emulsione stabile per semplice agitazione = processo irreversibile. Discontinuità del film di emulsionante alla superficie delle goccioline, lasciandone alcune zone scoperte. Entrando in collisione in corrispondenza di tali zone, si fondono in goccia più grossa. EMULSIONI PER USO ORALE sono emulsioni di tipo O/A. Le finalità sono: - rendere più palatabili medicamenti lipofili (oli o p.a. liposolubili). Fase lipofila, dispersa in quella acquosa non viene a contatto con le papille gustative, minimizzando la percezione del cattivo sapore; somministrare p.a. insolubili in acqua, mediante solubilizzazione in olio e successivo emulsionamento favorire un veloce e completo assorbimento di principi attivi lipofili: nell’emulsione O/A la fase oleosa è suddivisa in piccoli globuli con conseguente aumento della superficie di diffusione del principio attivo a contatto con la mucosa gastrointestinale. La fase oleosa è più rapidamente attaccata e “digerita” dagli enzimi dell’apparato gastroenterico. Requisiti degli emulsionanti: 1. Essere privi di tossicità 2. Non essere irritanti per le mucose gastrointestinali 3. Non interferire sull’assorbimento gastrointestinale 4. Non avere sapore sgradevole Idrocolloidi naturali: GOMMA ARABICA, gomma adragante, alginati, pectine, gelatina, agar-agar, glucomannano, carragenine. Idrocolloidi semisintetici: carbossimetilcellulosa sodica La GOMMA ARABICA è un polisaccaride neutro ottenuto dall’essudazione di Acacia Senegal e Acacia spp. Contiene ossidasi e perossidasi che sia dispersione acquosa a 80° C per un’ora. Le mucillaggini ottenute hanno debole viscosità, invariata fra pH 4 e 10, e modeste proprietà 95 tensioattive. Presenta un HLB = 7,5. Può essere presente sotto forma di cristalli, di granulato o di polvere. Le emulsioni possono essere preparate con due diversi metodi che differiscono per i passaggi della formazione del nucleo (la scelta dell’uno o dell’altro dipende dalla manualità del soggetto che ha nel preparare un nucleo piuttosto che un altro. Con entrambi i metodi si ottengono delle belle emulsioni di colore lattescente. Quando si devono preparare le emulsioni è fondamentale preparare bene il nucleo poiché si ha poi il rischio che l’emulsione impazzisca, cioè si vede la netta separazione tra olio e acqua. Metodo per sospensione continentale”: si o “metodo mescolano accuratamente 4 parti di olio (goccia a goccia), in un mortaio perfettamente asciutto, con 1 parte di emulsionante (gomma arabica) e si aggiunge in una sola volta le 2 parti di fase acquosa. Si mescola energicamente col pestello fino a formazione di una emulsione densa e biancastra detta nucleo. A questo punto si aggiunge la restante fase acquosa (tutta insieme oppure a piccole porzioni) mescolando. Metodo per soluzione o “metodo inglese” : col “metodo inglese” in 2 parti di fase acquosa viene dispersa 1 parte di emulsionante (triturando lungamente) quindi si aggiungono, a piccole porzioni, le 4 parti di olio triturando continuamente ed aggiungendo la porzione successiva solo quando la precedente è emulsionata. Anche in questo caso si ottiene il nucleo che può essere diluito con la restante fase acquosa esterna. Nel caso delle emulsioni è utile fare dei saggi sulla stabilità fisica: si ricorda il controllo che si effettua sottoponendo le emulsioni a forti sbalzi di temperatura per vedere se nel tempo l’emulsione rimane stabile = controllo di cicli termici alternati. Generalmente le O/A sono sensibili alle alte temperature, mentre le emulsioni A/O sono sensibili a basse temperature. Generalmente si utilizza la temperatura di 40° C per tre mesi. Un altro saggio è quello della sedimentazione che permette di verificare il comportamento dell’emulsione del tempo, se si forma del sedimento o l’affioramento. Con altri saggi si può determinare l’aspetto fisico e la stabilità del principio attivo (per tutto il tempo di validità dell’emulsione). Gli strumenti che si possono utilizzare per preparare le emulsioni sono abbastanza semplici: in laboratorio sicuramente mortaio e pestello, ma anche turboemulsore che permette di disperdere bene ed abbastanza velocemente la fase dispersa in quella disperdente. Inoltre, si ha la riempitrice per poter confezionare le emulsioni, in particolare quelle liquide per via orale, nei vari flaconi. PREPARAZIONI PER SOLUZIONI INIETTABILI 96 Solo preparazioni che vengono somministrate tramite la via endovenosa, con la quale il farmaco è introdotto direttamente nel circolo sistemico. Vantaggi: Rapida azione Adatta via di somministrazione per farmaci che per via gastrointestinale sono poco assorbiti, inattivati o distrutti (insulina, eparina, ormoni peptidici) Svantaggi: Maggior dispendio e impegno alla produzione (devono essere sterili, apirogene) Fastidio, in qualche caso anche psicologico, derivante al paziente dalla introduzione di un ago nei tessuti (non è molto preferita come via di somministrazione da parte dei pazienti) Le forme farmaceutiche che rientrano nelle preparazioni iniettabili sterili sono: 1. Soluzioni pronte per l’uso (si suddividono in base al volume: piccolo volume <50 mL e grande volume ˃50 mL) 2. Prodotti in polvere da solubilizzare con il solvente immediatamente prima dell’uso 3. Sospensioni pronte per l’uso 4. Prodotti in polvere da sospendere con un opportuno veicolo prima dell’uso 5. Emulsioni 6. Liquidi concentrati da diluire prima dell’uso Tutti questi prodotti possono essere somministrati per via intramuscolare, sottocutanea, intravenosa o intradermica; quindi si sceglierà il tipo di somministrazione in base alla preparazione. Componenti dei preparati iniettabili sterili Solvente acquoso (più utilizzato per la preparazione di forme iniettabili): in campo farmaceutico si hanno tre tipi di acqua: acqua depurata, acqua per preparazioni iniettabili ed acqua sterile per preparazioni iniettabili. L’acqua depurata si utilizza nella preparazione di tutti quei medicinali diversi da quelli che devono essere sterili ed apirogeni, come negli sciroppi. Si prepara e ha un pH compreso tra 5-7. L’acqua per preparazioni iniettabili (PPI) si prepara a partire dall’acqua potabile, addolcita o depurata per distillazione, e si utilizza unicamente per la preparazione di prodotti iniettabili. Questa acqua deve essere sterile ed apirogena (le sostanze pirogene sono endotossine di origine batterica che possono provocare, una volta nel nostro organismo, un innalzamento della temperatura corporea), ha un pH tra 6,7-7, e deve essere utilizzata entro 6-8 h dalla preparazione. L’acqua sterile per preparazioni iniettabili non è altro che l’acqua per preparazioni iniettabili che deve essere confezionata in contenitori e venduta in farmacia per tutte le preparazioni sterili. Solventi non acquosi: oli, ed in modo particolare l’olio di mais, l’olio idi semi di cotone, l’olio di arachidi e l’olio di sesamo. Oppure, se il principio attivo non è solubile nemmeno in olio possono essere utilizzati altri veicoli (polietilenglicole, glicerina, propilenglicole). Principi attivi Sostanze ausiliarie: solubilizzanti, stabilizzanti chimici, stabilizzanti microbiologici, antiossidanti (per prevenire eventuali reazioni di ossidazione del principio attivo. 97 Caratteristiche fondamentali dei preparati iniettabili: APIROGENI, STERILI, ASSENZA DI CONTAMINAZIONE PARTICELLARE. I pirogeni sono delle sostanze, come le endotossine, che possono provocare, una volta introdotti nel nostro organismo, un innalzamento della temperatura corporea. Sono prodotti di origine batterica e possono essere tossici. Tutti i prodotti iniettabili vengono riscaldati in stufa a secco, a 270°, per almeno 1 h, per poter eliminare queste sostanze pirogene. Questa temperatura può essere applicata solo sui contenitori (prima che vengano sottoposti al riempimento) che devono essere utilizzati per il confezionamento di questi prodotti, mentre l’applicazione delle norme di buona preparazione è lo strumento che permette di evitare le sostanze pirogene all’interno delle preparazioni, poiché descrivono le tecniche per evitare la contaminazione. Il controllo delle sostanze pirogene è riportato in tutte le Farmacopee, prima si effettuava il test del coniglio che permetteva di quantificare le endotossine che derivavano da batteri gram-negativi testati su un coniglio (test in disuso). Raggiungere la totale stabilità non è semplice. È stato fissato un limite, valido in tutto il mondo, che permette di stabilire se la sostanza è stabile. Il SAL (livello di sicurezza di stabilità) è un valore pari a 10-6. La sterilità si ottiene lavorando in ambienti sterili e sicuri, apparecchi controllati e personale addestrato per far si che la produzione delle preparazioni avvenga correttamente. Particelle provenienti da materiali estranei , per inquinamento in atto, per scorretta sterilizzazione del materiale o non rispetto delle norme di buona preparazione. queste particelle possono scaturire una reazione del nostro organismo, solitamente una reazione antinfiammatoria. Per questo devono sempre essere rispettate le norme di buona preparazione e vengono monitorati i locali ed i materiali. Un metodo che viene utilizzato per valutare se nel prodotto iniettabile sono presenti delle particelle, è il metodo della sperlatura. Si effettua agitando, o capovolgendo, la preparazione (evitando di introdurre bolle d’aria) e si vede se ci sono delle particelle tramite l’ispezione visiva per 5 secondi contro un pannello bianco. Si ripete, poi, lo stesso procedimento contro un pannello nero. Ovviamente vengono scartati i contenitori che presentano particelle visibili e sospese all’interno. Un’altra caratteristica dei preparati iniettabili è il VOLUME ESTRAIBILE: volume di riempimento dei contenitori leggermente più grande del dichiarato in etichetta in modo tale da permettere l’estrazione e la somministrazione al paziente della quantità dichiarata (o nominale) in etichetta = modo per assicurare che il paziente somministri la quantità corretta e completa, di quella dichiarata. Questo volume in eccesso, ovviamente, non deve mettere in pericolo la salute del paziente. 98 Il materiale che si preferisce per confezionare preparati iniettabili è il vetro. I contenitori possono avere la forma di una fiala a punta aperta, a punta chiusa o dei flaconcini (che contengono prevalentemente delle polveri liofilizzate che vengono solubilizzati. La PELLE La pelle è il sito sul quale vengono applicate tutte le preparazioni semisolide (creme, unguenti, gel). Funzione protettiva Impedisce accesso a microrganismi e sostanze tossiche o irritanti (ha il ruolo di preservare il nostro organismo dall’attacco esterno) Funzione idratante Funzione termoregolatrice Funzione di assorbimento Funzione sensoria La pelle è un organo costituito da diversi tessuti la cui funzione è quella di rivestire il corpo umano, assicurare la protezione all'organismo e permettere i rapporti con il mondo esterno. E’ costituita da un tessuto epiteliale (epidermide) e da un tessuto connettivo (derma) a cui fa seguito il tessuto connettivo sottocutaneo ( ipoderma), ricco di grasso, che giunge fino alle fasce che coprono i muscoli o le ossa. L’EPIDERMIDE è la parte della pelle direttamente a contatto con l'esterno, avente essenzialmente la funzione di protezione contro gli agenti esterni e la disidratazione. E’ un tessuto epiteliale pavimentoso pluristratificato in cui l’elemento cellulare predominante è il cheratinocita: 99 Man mano che la cellula passa dallo strato basale, nel quale sono presenti cellule vive in grado di riprodursi per la presenza del nucleo, allo strato corneo cambia conformazione e perde alcune caratteristiche, in particolare il nucleo, diventando una cellula morta (corneocita). In particolare gli strati basale, spinoso e granuloso rappresentano la parte vitale dell’epidermide, mentre gli strati lucido e corneo le cellule morte, prive di nucleo e organelli cellulari. Differenziazione dei cheratinociti ( cheratinizzazione) = processo che avviene ciclicamente ogni 28 giorni. Ogni volta che una cellula dello strato basale si divide, la nuova cellula generata si sposta ad un livello superiore, spinta verso l'alto dall'incalzare delle cellule sottostanti che continuano a moltiplicarsi. Il passaggio a strati sempre più superficiali comporta profonde modifiche della struttura cellulare: così una cellula dello strato basale si trasforma progressivamente in una cellula dello strato corneo, ormai priva di attività e pertanto destinata ad esfoliarsi e quindi ad essere eliminata. Le cellule responsabili del processo di cheratinizzazione sono i CHERATINOCITI, così chiamati perché capaci di sintetizzare CHERATINA, la proteina strutturale tipica dell’epidermide. Lo strato corneo è costituito da 15-20 strati di cellule pavimentose stratificate dette corneociti. Lo spessore dello strato corneo è variabile a seconda dei territori cutanei. Infatti nell’epidermide palmo-plantare risulta estremamente spesso (400-600 micron), mentre negli altri territori risulta più sottile (15 micron). Si può immaginare lo strato corneo come un muro di mattoni in cui i corneociti (mattoni) appaiono immersi in una continua matrice idrofobica (cemento) di lipidi. Perché l’epidermide non si disidrata? FUNZIONE BARRIERA: lo strato corneo, soprattutto quello compatto, impedisce all’acqua di disperdersi nell’ambiente, preservando le risorse idriche sottostanti (cutanee e sistemiche). Tale funzione è dovuta alla sua peculiare componente lipidica. WATER HOLDING CAPACITY (WHC): il potere idrofilo complessivo dello strato corneo, determinato dalla presenza di sostanze fortemente igroscopiche ad alto e 100 basso PM (lipidi anfofili del cemento multilamellare, proteine cheratiniche, NMF, glicerolo…), esercita sulle molecole d’acqua un richiamo elettrostatico. CELLULE “OSPITI” dell’EPIDERMIDE Cellule di Langherans Cellule di Merkel Linfociti T Melanociti: presentano un aspetto dendritico (hanno dei particolari prolungamenti, all’interno dei quali viene prodotta la melanina attraverso il processo di melanogenesi), cioè consistono di un corpo sferico od ovalare dal quale si dipartono prolungamenti di calibro decrescente che si biforcano più volte. Sono cellule capaci di dividersi (densità media: 1000 per mm 2 di superficie epidermica), sono privi di desmosomi e la loro funzione principale è la melanogenesi. MELANOGENESI: La melanina è una molecola derivata dalla ossidazione, dalla ciclizzazione e dalla polimerizzazione di un aminoacido, la tirosina; le prime tappe sono catalizzate da un apposito enzima, la tirosinasi, le successive sembrano avvenire spontaneamente. La tirosinasi viene sintetizzata dai melanociti nel corpo cellulare ed è immagazzinata in granuli citoplasmatici, detti melanosomi, che progressivamente si riempiono di melanina. I melanosomi maturi, detti anche granuli di melanina, migrano nei dendriti e vengono ceduti ai cheratinociti, probabilmente attraverso il distacco di porzioni dei dendriti e la loro fagocitosi da parte dei cheratinociti. L'insieme del melanocita e delle cellule basali che vengono raggiunte dai suoi prolungamenti (circa 36) costituisce l'unità melanica epidermica. Il COLORE della PELLE La densità numerica dei melanociti è indipendente dal colore della pelle, che dipende, per quanto riguarda la melanina, dall'attività dei melanociti stessi e dalla persistenza o meno della melanina nei cheratinociti. Nei soggetti di pelle bianca e in quelli di pelle gialla la melanina è limitata allo strato basale, in quelli di pelle nera si riscontra fino allo strato superficiale. I granuli di melanina, una volta fagocitati, possono rimanere in lisosomi, dove vengono digeriti (in particolare nei soggetti a cute poco pigmentata), oppure possono liberarsi nel citoplasma e perdurare per vario tempo (a lungo nei soggetti di pelle nera). 101 Nei melanociti possono essere presenti due tipi di melanosoma: eumelanosoma, piuttosto grande, ellittico, bastoncellare, tipico degli individui con capelli castani o biondi in cui è sintetizzata la eumelanina dal classico colore bronzeo; feomelanosoma, sferoidale, tipico dei soggetti con capelli rossi, che sintetizza la feomelanina di colorito rossastro. Il colore normale della pelle, oltre che dalla melanina, dipende da: - emoglobina del sangue che scorre nei vasi dermici - strato corneo, che è giallognolo ed è particolarmente spesso negli orientali - potere riflettente dell'epidermide ed è quindi condizionato dalla luce ambientale In condizioni patologiche possono entrare in gioco pigmenti di varia origine (biliare, ematica eccetera). Il DERMA costituisce il tessuto di sostegno della cute ed è caratterizzato da una struttura solida, flessibile ed elastica. È un tessuto connettivo fibroso denso attraversato da numerosi capillari sanguinei e terminazioni nervose ed inoltre è la sede degli annessi pilosebacei e sudorali. DERMA PAPILLARE (porzione più superficiale): fasci di fibre fini e a maglie strette. Abbondantemente vascolarizzato e innervato, metabolicamente attivo. In diretto rapporto con l’epidermide. DERMA RETICOLARE: fasci grossolani e a maglie relativamente larghe, ha prevalentemente funzione di sostegno. Composizione del derma: fitto intreccio di fibre (fibre collagene, fibre elastiche, fibre reticolari), che conferiscono tonicità all'epidermide soprastante denso gel idrofilo di mucopolisaccaridi (glicosaminoglicani): sostanza fondamentale amorfa poche cellule, distanziate le une dalle altre, denominate fibroblasti. Disperse negli strati più superficiali del derma, i fibroblasti sono cellule appiattite e allungate a forma di fuso fornite di caratteristici prolungamenti All'interno dei fibroblasti vengono sintetizzate le proteine che formano le fibre e la sostanza fondamentale del derma → molti trattamenti idratanti e/o antinvecchiamento si basano proprio sulla stimolazione dell'attività e della riproduzione dei fibroblasti del derma. 102 SOSTANZA FONDAMENTALE AMORFA È un sistema colloidale multifasico formato da una fase disperdente acquosa e da una fase dispersa. Le glicoproteine presentano un asse proteico al quale sono unite brevi catene glucidiche, talvolta ramificate. I proteoglicani presentano ugualmente un asse proteico (“core protein”), al quale sono uniti GAG, cioè catene glucidiche lunghe, rettilinee, contenenti gruppi acidi sia carbossilici sia solfonici. MACROMOLECOLE POLISACCARIDICHE CARICHE NEGATIVAMENTE (GAG) + ACQUA → STRUTTURA AMORFA GELOIDE La sostanza fondamentale amorfa permette la diffusione di gas e sostanze tra le cellule e i capillari, influenza l’orientamento delle fibre collagene e contribuisce alle reazioni di difesa dell’organismo, ostacolando la diffusione di microrganismi. I GAG (glicosamminoglicani) sono eteropolisaccaridi lineari, di alto peso molecolare, che si formano per polimerizzazione di unità saccaridiche ripetute, composte da una esosamina (glucosamina o galattosamina) e da un acido esuronico (D-glucuronico o/e L-iduronico) uniti con legame glicosidico. Sostituenti acetilici o solfati possono essere presenti su uno o entrambi i residui di polimero. Classificazione GAG A seconda della presenza o assenza di gruppi solfati: - GAG asolforati (acido ialuronico, condroitina) - GAG solforati (condroitin-4-solfato, condroitin-6-solfato, cheratansolfato, eparina, eparansolfato). dermatansolfato, In base alla struttura della esosamina: - glicosaminoglicani (acido ialuronico, cheratansolfato, eparina, eparansolfato) - galattosoaminoglicani (dermatansolfato, condroitin-4-solfato, condroitin-6solfato). Sulla base del carattere polianionico: - policarbossilati (acido ialuronico, condroitina) - polisolfati (cheratansolfato) 103 - policarbossisolfati (dermatansolfato, condroitin-4-solfato, condroitin-6-solfato, eparina, eparansolfato). ACIDO IALURONICO I GAG tipici della pelle, per lo più concentrati nella sostanza fondamentale del connettivo dermico, sono l’acido ialuronico, che costituisce circa l’1% in peso, accompagnato da % minori di dermatansolfato e condroitinsolfati. La presenza del condroitin-4-solfato e del condroitin-6-solfato, nel derma prenatale e giovane, decresce con l’età; inoltre si riduce la % di acido ialuronico e cresce quella del dermatansolfato. MUCOPOLISACCARIDE CON ELEVATA CAPACITÀ DI LEGARE LE MOLECOLE DI H 2O → CONTRIBUISCE A MANTENERE LA PELLE TURGIDA ED IDRATATA Il derma contiene il 70% di tutta l'acqua presente nella cute; con il passare degli anni però il contenuto di acido ialuronico del derma scende dal 78 al 30% e conseguentemente diminuisce il contenuto acquoso della pelle. Polimero ad elevato peso molecolare (3-8 milioni di daltons) costituito da unità disaccaridiche definite acido N-acetil ialobiuronico che si ripetono attraverso legami β-(1-4); a sua volta l’acido N-acetil ialobiuronico è composto da quantità equimolecolari di acido D-glucuronico legato in β-(1-3) con Nacetilglucosamina. VASCOLARIZZAZIONE della PELLE La complessa architettura vascolare della pelle, localizzata a livello del derma e dell'ipoderma, è necessaria per lo svolgimento di una delle sue principali funzioni: la regolazione della temperatura corporea. L'epidermide è invece priva di vasi sanguigni, e l'apporto di ossigeno e sostanze nutritive alle cellule epidermiche avviene per diffusione nei liquidi interstiziali presenti nei sottili spazi intercellulari. I vasi sanguigni provenienti dal cuore raggiungono la cute attraverso l'ipoderma, decorrendo all'interno dei setti che separano i lobuli di adipociti. Nel punto di connessione tra l'ipoderma e la parte profonda del derma le arterie formano una fitta rete di vasi parallela alla superficie cutanea (plesso profondo). Da qui, numerose arteriole più piccole si portano verticalmente verso la superficie del derma formando una ulteriore rete sotto le papille dermiche (plesso subepidermico). I vasi penetrano quindi nelle papille e si suddividono, diminuendo sempre più di calibro fino a dar luogo ad una ricca rete capillare superficiale che permette gli scambi nutritizi tra sangue e 104 tessuti cutanei (plesso papillare). I capillari delle papille dermiche sono chiusi a livello della lamina basale, ed il rifornimento di nutrienti ed ossigeno all'epidermide avviene per diffusione nei liquidi interstiziali. Il reflusso di sangue venoso e la circolazione linfatica seguono lo stesso percorso del sangue arterioso a ritroso, distribuendosi in modo analogo attraverso lo spessore dei tessuti. ANNESSI CUTANEI (Ghiandole Sudoripare, Ghiandole Sebacee, Peli e Capelli, Unghie) Le ghiandole sebacee costituiscono insieme al follicolo pilifero e al pelo l'unità pilosebacea. Sono distribuite sull'intera superfice corporea con l'eccezione delle sedi palmo plantari e sono particolarmente numerose e funzionalmente più attive su viso, cuoio capelluto, zona presternale e dorso. Queste ghiandole esocrine a struttura acinosa sono formate da cellule che producono una miscela di lipidi chiamata sebo. Il sebo fuoriesce all’esterno passando attraverso un dotto escretore che sbocca nel follicolo pilifero alla base del pelo, quindi si distribuisce sulla superficie cutanea e pilifera formando, in miscela con l'acqua prodotta attraverso la perspiratio insensibilis e il sudore, il film idrolipidico che lubrifica e protegge esternamente l'epidermide dalla disidratazione e da fattori aggressivi esterni. 1) 2) 3) 4) 5) corpo della ghiandola sudoripara apocrina dotto secretore ghiandola sudoripara apocrina ghiandola sebacea bulbo fibre nervose adrenergiche Principali funzioni della cute PREPARAZIONI SEMISOLIDE per APPLICAZIONE CUTANEA Fino alla X edizione della FU il termine utilizzato era POMATA. Dalla X edizione si utilizzava il termine preparazioni semisolide per uso topico; poi, a partire dalla XI edizione della FU, per potersi allineare con quello che veniva scritto nella Farmacopea Europea, si è iniziato a parlare di PREPARAZIONI SEMISOLIDE PER APPLICAZIONE CUTANEA. In queste preparazioni rientrano, distinte in base alle preparazioni utilizzate: UNGUENTI 105 CREME GEL PASTE Cataplasmi Impiastri medicatinoi non le tratteremo La pelle sana agisce come barriera fra il mondo esterno e l'interno del corpo. Le preparazioni semisolide per applicazione cutanea sono destinate al: rilascio locale trasporto transdermico ed esercitano sulla pelle: azione emolliente azione protettiva Alla base della preparazione ci sono degli eccipienti che devono essere compatibili con la pelle (compatibilità fisiologica degli eccipienti nelle preparazioni), ci deve essere assenza di interazioni degli eccipienti con il principio attivo e il composto deve essere di facile spalmabilità e deve essere agevole l’estrusione dal contenitore = comportamento reulogico. La REOLOGIA studia le proprietà di scorrimento della materia. È un termine che deriva dal greco. È una scienza molto importante in tutto il settore di studio dei materiali. Nel nostro caso specifico, viene studiata perché nella preparazione di queste forme farmaceutiche, bisogna considerare l’influenza della consistenza e della spalmabilità, quindi questi aspetti andranno ad incidere sulla stabilità nel tempo del prodotto. Quando si applica una forza esterna ad un corpo, questo può andare incontro ad un processo di deformazione che può essere reversibile o irreversibile (quando si rimuove la forza). Se, invece, la forza applicata provoca una deformazione irreversibile si parla di flusso. Quando al materiale si applica una forza, questo può sviluppare una certa resistenza che viene determinata tramite la viscosità = resistenza che un materiale oppone ad una forza a comportarsi come un fluido. La viscosità può essere influenzata da diversi fattori: composizione chimica del materiale, molecole di cui è costituito, legami che tengono insieme le molecole, ma soprattutto è influenzata dalla temperatura. Infatti, quando si effettuano le misure di reologia viene sempre riportata la temperatura. Immaginiamo di porre un cubetto di burro (costituito da tante lamine parallele poste una sull’altra, aventi tutte la stessa area) su un η =forza σ/D F, si genera piano fisso. Se si applica una un flusso di tipo laminare, e la velocità di scorrimento decresce passando dagli strati superficiali a quelli inferiori, formando il cosiddetto gradiente di velocità (dV). La viscosità è la resistenza di un materiale a fluire e a scorrere, quindi la viscosità (η) viene rappresentata come il rapporto tra la sollecitazione allo scorrimento o sforzo di taglio (σ= sigma) ed il gradiente di velocità di scorrimento (D = dV/dY). Ù7 A questo punto possiamo distinguere i fluidi in: NEWTONIANI: sono quei materiali in cui la viscosità varia soltanto in rapporto alla temperatura, ed il gradiente di velocità di deformazione rimane costante (D). 106 Volendo rappresentare graficamente il comportamento di questi fluidi in ascissa è riportato lo sforzo di taglio ed in ordinata lo sforzo di taglio (sigma) in funzione del gradiente di velocità D, e viene rappresentato come una linea retta che passa per l’origine (proprio per indicare che il gradiente di velocità è costante). Esempi di questi fluidi sono: liquidi semplici, emulsioni, soluzioni molto diluite. NON NEWTONIANI: la maggior parte dei fluidi hanno questo comportamento e, a loro volta, vengono classificati in diversi tipi: fluidi plastici, fluidi pseudoplastici e fluidi dilatanti. Ai fluidi plastici (Bingham plastico) appartengono a questo gruppo: gel e paste dentifricie. La grandezza che ci permette di descrivere questo comportamento è la misura della viscosità, attraverso i reometri, quindi si evidenzia un punto di scorrimento che è una proprietà importante per tutti quei prodotti che presentato un passaggio dallo stato solido o liquido. Quindi hanno bisogno di una certa forza prima. Quindi, un fluido plastico è associato alla presenza di particelle in grado di scorrere. Nel grafico, non si parte dall’origine, ma si deve raggiungere un punto di scorrimento (forza applicata) affinché il materiale possa fuoriuscire dal tubetto. Fluidi pseudoplastici: sistemi dispersi (emulsioni e dispersioni). In questi sistemi la viscosità non è costante, ma varia continuamente. Si assiste ad una fluidificazione sotto sforzo, poiché la viscosità diminuisce all’aumentare della sollecitazione. I fluidi dilatanti sono caratterizzati da un aumento della viscosità all’aumentare dello scorrimento. Sono caratterizzati dal fatto di avere un’elevata presenza della fase solida rispetto alla fase liquida (ad es. le paste). Quindi il mescolamento dei materiali dilatanti richiede particolare cura. Infine, ci sono dei materiali in cui la viscosità dipende anche dal tempo, e vengono indicati come MATERIALI TISSOTROPICI, e si parla quindi di tissotropia. La tissotropia può essere considerata come quel processo di trasformazione che subiscono i materiali passando dalla fase gel alla fase sol, ritornando alla fase gel. È un’analisi che deve essere effettuata, poiché fornisce informazioni sulla spalmabilità della preparazione = trasformazione reversibile. Questo avviene perché i materiali sono costituiti da una struttura reticolare e, quando il materiale non viene colpito dalla forza, la struttura è abbastanza rigida, quando invece si applica una forza di taglio la struttura perde la rigidità del gel e tende a frantumarsi per rottura dei legami tra le particelle. Se non si applica più la forza, il materiale ritorna alla condizione di partenza (gel). L’area di isteresi formata dalla curva, infatti, è tipica di questi materiali. Importanti perché influenzano le proprietà fisiche come la viscosità e possono dare informazioni sulla spalmabilità e quindi la stabilità del prodotto nel tempo. 107 Unguenti, creme, gel e paste sono costituiti da BASI = sistemi gelificati nei quali una frazione (per lo più solida in microscopiche particelle) si organizza in una struttura reticolare che trattiene nelle sue maglie la frazione liquida. Esempi di come si dispongono e distribuiscono le basi, per poter preparare le formulazioni. Funzione della base in unguenti, creme e geli: veicolo per il principio attivo. Funzione della base nella pasta: legante per la massa di polvere in modo da mantenere questa a contatto con la cute. Le basi sono distinte in quattro gruppi fondamentali in funzione delle loro caratteristiche idro-lipofile e strutturali: 1. BASI LIPOFILE: sono basi monofasiche (una singola fase), costituite da uno o più eccipienti lipofili, che in base alla composizione chimica si distinguono in: a) Idrocarburi in diverso stato fisico: liquido (paraffina liquida), semisolidi (vaselina), solidi (paraffina solida) La VASELINA è una miscela purificata e decolorata di idrocarburi ottenuti per trattamento dei residui della rettificazione del petrolio. E’ una massa bianca semisolida a comportamento “filante”. b) Gliceridi in diverso stato fisico: liquidi (oli vegetali diversi: di oliva, mandorla, arachidi ecc.; gliceridi di sintesi a media catena), semisolidi (grassi animali e vegetali), solidi (mono-, di-, e trigliceridi semisintetici e sintetici) c) Esteri di acid grassi: isopropile miristato e isopropile stearato d) Cere (cera d’api, cera carnauba, spermaceti, cetile palmitato) e) Alcoli e acidi grassi di provenienza vegetale o animale (alcol oleilico, acido stearico, alcol cetostearilico e altri) 2. BASI ASSORBENTI ACQUA: sono basi monofasiche costituite da basi lipofile contenenti tensioattivi lipofili (ecco perché sono definite assorbenti acqua). Gli eccipienti utilizzati sono: LANOLINA: sostanza cerosa purificata e anidra ottenuta dalla lana della pecora. Massa semisolida giallo pallido con odore caratteristico. Può essere utilizzata come tale nelle preparazioni. E’ una miscela complessa formata da alcoli alifatici, alcoli triterpenici, steroli, liberi o esterificati con acidi grassi saturi, insaturi. Si ottiene dal residuo del lavaggio della lana di pecora con solventi organici. L’insieme di alcoli e steroli, tensioattivi a basso valore di HLB, conferisce alla lanolina la capacità di incorporare stabilmente acqua sotto forma di emulsione A/O (ecco perché viene detta “base assorbente acqua”). 108 Alcoli di lanolina: miscela di steroli e alcoli alifatici superiori ricavati dalla lanolina. Massa friabile giallastra. Colesterolo: polvere cristallina bianca 3. BASI EMULSIONATE: sono basi bifasiche costituite da una fase lipofila e una idrofila, entrambe liquide, una delle quali è dispersa nell’altra in goccioline formando uno dei due fondamentali sistemi emulsionati, la cui fase disperdente è solitamente gelificata. 4. BASI IDROSOLUBILI: sono basi monofasiche costituite da eccipienti solubili in acqua oppure da dispersioni acquose o idroalcoliche di idrocolloidi in concentrazioni sufficienti a produrre un sistema gelificato di adeguata viscosità. Gli eccipienti idrofili utilizzati sono: Umettanti: sono composti poliossidrilici, che per la loro igroscopicità, aiutano a mantenere la plasticità, la lucentezza dei preparati e una volta applicati favoriscono l’idratazione cutanea. - Glicerina - Propilenglicole: presenta anche buona capacità solvente per oli essenziali e una discreta azione antifungina. Concentrazioni 5-10%. - Sorbitolo: si è visto che una soluzione acquosa al 70% mostra capacità idratanti addirittura superiori alla glicerina - Polietilenglicoli (PEG) o glicoli poliossietilenici (macrogol, Ph. Eur. 10): i numeri indicano il peso molecolare di queste sostanze. Più basso è il peso molecolare (e quindi il numero) più è liquida la sostanza. All’aumentare del peso molecolare cambia anche lo stato fisico della molecola (da stato liquido a stato solido). Inoltre, cambia anche la solubilità e sostanze a basso peso molecolare sono miscibili con acqua e alcol, quelli intermedi sono molto solubili in acqua e alcol; mentre quelli che si trovano in forma solida (da 3000 a 35000) sono molto solubili in acqua e molto poco solubili in alcol. Tutti i PEG (o macrogol), però, sono insolubili negli oli grassi e minerali. Modificatori reologici: la loro funzione è quella di aumentare la viscosità delle emulsioni (creme) - Idrocolloidi: sono composti macromolecolari (polimeri) capaci di formare gel con l’acqua. Possono essere di natura inorganica (bentonite, anidride silicica colloidale) o organica (amido, derivati della cellulosa, acidi poliacrilici, gelatina). 109 - Sistemi gelificati vengono ottenuti anche utilizzando il carbossipolimetilene o carbossivinilpolimero (in commercio CARBOPOL o CARBOMER). Polimero (sostanza sintetica) dell’acido acrilico, disperso in acqua allo 0.5-5% e successivamente neutralizzato con alcali. Forma geli trasparenti, notevolmente viscosi, solubili in alcol e glicerina. Al pH= 6-11 si ha la massima viscosità. Cere autoemulsionanti: sono basi per emulsioni O/A da tenersi pronte. Hanno un aspetto semisolido e sono formate da (poiché sono basi per emulsioni): fase oleosa emulsionante idrofilo poca acqua Queste preparazioni semisolide per applicazione cutanea si dividono in base agli effetti in: Preparazioni destinate a un’azione di superficie: antibiotiche o antimicotiche. Come basi si utilizzano quelle idrocarburiche (vaselina) o basi assorbenti acqua Preparazioni destinate ad agire nel derma: antistaminiche, antinfiammatoria, antiprurito. Come basi si utilizzano la lanolina e basi che emulsionano acqua Preparazioni destinate ad una penetrazione transdermica per effetto sistemico: antinfiammatorie e antireumatiche. Come basi si utilizzano quelle per la preparazione delle creme O/A e quelle a base di idrogel Classificazione delle preparazioni caratteristiche fisiche delle BASI. in relazione alla natura, composizione e UNGUENTI: preparazioni aventi una base monofasica, in base alla quale si distinguono in 3 tipi: Unguenti idrofobi quando si usano basi lipofile, quelle che essendo formate da eccipienti lipofili, sono miscibili con liquidi oleosi con la possibilità di incorporare acqua in piccole quantità. Tra gli aspetti negativi si riscontrano: immiscibilità con acqua, aspetto untuoso, difficile rimozione dalla zona di applicazione e scarsa aderenza alle mucose o piaghe umide. Mentre, tra gli aspetti positivi ci sono le proprietà emollienti e idratanti (poiché costituiti da basi lipofile) = gli svantaggi superano nettamente i vantaggi. Unguenti che emulsionano acqua quando utilizzano basi emulsionanti acqua, quelle che possiedono emulsionanti a basso valore HLB e possono incorporare stabilmente notevoli quantità di acqua sotto forma emulsione A/O. Presentano buone proprietà emollienti. Unguenti idrofili quando impiegano una base idrosolubile, specificamente una delle varie miscele di macrogol. Aspetti positivi: si emulsionano con facilità con gli essudati cutanei, si possono asportare dalla cute per semplice lavaggio con acqua e non hanno consistenza untuosa. La definizione della FU: “una base monofasica in cui possono essere disperse sostanze solide o liquide” Preparazione degli unguenti: a) Per incorporazione meccanica a freddo: piastra e spatola b) Per fusione: capsula di porcellana o 110 bagnomaria A livello industriale è presente il macinello per unguento e la macchina che permette di confezionare nei tubetti la preparazione. _______________________________________________________________________________________ CORTISON CHEMICETINA, 2,5% + 2% unguento 100 g contengono: - Principi attivi: idrocortisone acetato 2,5 g; cloramfenicolo 2 g - Eccipienti: paraffina liquida; lanolina anidra; vaselina bianca CORTISON CHEMICETINA 0,5% + 1% unguento oftalmico 100 g contengono: - Principi attivi: cloramfenicolo 1 g; idrocortisone acetato 0,5 g - Eccipienti: paraffina liquida; lanolina anidra; vaselina bianca Forma farmaceutica e contenuto: Unguento – Tubo in alluminio e capsula di chiusura in politene – Tubo 20 g Unguento oftalmico – Tubo in alluminio e capsula di chiusura in politene – Tubo 3 g CREME: secondo Ph. Eur. 10: “Le creme sono preparazioni multifase costituite da una fase lipofila e da una fase acquosa” e vengono distinte in: Creme idrofobe: hanno come fase continua la fase lipofila. Contengono Creme idrofile: hanno come fase continua la fase acquosa. Contengono emulsioni A/O come alcoli della lana, esteri del sorbitano e monogliceridi emulsioni O/A come saponi di sodio o di trietanolammina, solfati di alcoli grassi, polisorbati ed esteri di acidi grassi polinsaturi con alcoli grassi associati, e se necessario, con emulsioni A/O Le basi utilizzate nelle creme sono basi emulsionate. Un’emulsione è un sistema termodinamicamente instabile formato da almeno due fasi liquide immiscibili, una delle quali (fase dispersa o interna) è dispersa nell’altra (fase disperdente o continua) sotto forma di goccioline (o globuli) con diametro compreso tra 0.5 e 20 μm (emulsioni bianche od opache). L’agente emulsionante: si pone all’interfaccia tra le due fasi aumentandone la stabilità. La scelta del tensioattivo si basa sul Sistema di Griffin: bilancio idrofilo-lipofilo (hydrophilic-lipophilic balance= HLB) = rapporto esistente nella molecola fra gruppi idrofili e gruppi lipofili. Tensioattivo idrofilo al 100% → HLB = 20 HLB > 10 idrofili e quindi tendenzialmente solubili in acqua HLB <10 lipofili e quindi tendenzialmente solubili negli oli 111 Per “preparazione semisolida”, il sistema di per sé liquido deve subire un processo di gelificazione, come tutte le preparazioni del gruppo destinato all’applicazione cutanea. Per le emulsioni è la FASE DISPERDENTE che deve essere gelificata è la fase portante del sistema da cui dipende la viscosità e quindi consistenza del preparato. Inoltre, si assiste alla formazione di una struttura reticolare, nella quale le goccioline vengono imbrigliate, viene garantito il loro grado di dispersione e la stabilità del sistema. I gelificanti utilizzati si differenziano in base alla tipologia della crema: - CREME A/O: gelificanti lipofili (cere, gliceridi, idrocarburi solidi) - CREME O/A: alcoli alifatici (cetilico e stearilico), macrogol eteri ed esteri I componenti fondamentali per poter realizzare una CREMA A/O (idrofoba) sono: Un esempio di una prima crema idrofoba che è stata formulata: ACQUA DI ROSE = fase acquosa OLIO DI MANDORLE = fase oleosa CERA D’API = gelificante Manca il quarto elemento. In realtà l’emulsionante è contenuto nella cera d’aèi perché una piccola frazione viene idrolizzata in alcoli alifatici (cetilico e stearilico) che sono dei tensioattivi a basso HLB che garantiscono la formazione dell’emulsione I componenti fondamentali per poter realizzare una CREMA O/A sono: 112 _______________________________________________________________________________________ 100 g di crema contengono: - Principi attivi: gentamicina solfato 0,166 g corrispondenti a 0,1 g di gentamicina; betametasone 17-valerato 0,122 g corrispondenti a 0,1 g di betametasone - Eccipienti: clorocresolo, polietilenglicole monocetilere (Cetomacrogol 1000), alcool cetostearico, vaselina bianca, paraffina liquida, sodio fosfato, acido fosforico, acqua depurata Crema per uso cutaneo, tubo da 30 g. 113 GEL sono definiti dalla farmacopea: “Liquidi gelificati per mezzo di opportuni gelificanti”. Gel idrofili (idrogel): sono preparazioni le cui basi solitamente contengono acqua, glicerolo o glicole propilenico, gelificanti con adatte sostanze come poloxameri, amido, derivati della cellulosa, polimeri carbossivinilici, e silicati di magnesio-alluminio (da FUI XII e Ph Eur 10) → sono costituite da liquidi oleosi variamente gelificati. Si può avere la paraffina liquida gelificata con polietilene (la base è nota come Plastibase ®) oppure oli grassi gelificati con silice colloidale. Tra i vantaggi: non ungono (opposto rispetto agli unguenti idrofili), sono traslucidi, di facile spalmabilità, si asciugano rapidamente e non imbrattano gli indumenti. I gelificanti possono essere di natura sintetica o di origine naturale. Tra i gelificanti di origine sintetica un ruolo importante è assunto dal CARBOPOL, polimero col quale si possono preparare gel molto attraenti. È un polimero dell’acido poliacrilico. Vengono distinti con dei numeri per identificare la viscosità ed il più comune è il 940 ed insieme al 981 sono utilizzati per gel a bassa viscosità. Quelli ad alta viscosità sono 934 e 980. Si presenta sotto forma di polvere (quando si acquista) ed allo stato di polvere le catene polimeriche sono tutte raggomitolate tra loro e sono presenti dei gruppi carbossilici. Il primo step consiste nell’idratazione di queste catene polimeriche, l’acqua comincia ad aprire le catene (il gomitolo si apre). Successivamente, affinché il polimero assuma la conformazione di gel, bisogna neutralizzare le catene carbossiliche con una base (solitamente la trietanolammina) = assume la forma di gel. _______________________________________________________________________________________ ESSAVEN gel: tra i principi attivi contiene escina e fosfatidilcolina. Gli eccipienti sono: isopropanolo, glicerolo, trietanolammina, carbopol 940, acqua di colonia, rosmarino essenza, lavanda essenza ed acqua depurata. _______________________________________________________________________________________ Tra i gelificanti di origine vegetale troviamo: sodio alginato, glucomannani, carragenine (gel di Ahnfeldtia concinna), gomme naturali (adragante e xantana che dal punto di vista chimico sono delle molecole anioniche e la formazione del gel è dovuta alle reticolazioni che tengono unite le molecole di questi 114 polisaccaridi) e derivati della cellulosa (metilcellulosa, idrossietilcellulosa, carbossimetilcellulosa sodica). Gel idrofobi (oleogel): sono preparazioni le cui basi sono costituite da liquidi oleosi variamente gelificati. Si può avere la paraffina liquida gelificata con polietilene (la base è nota come Plastibase ®) oppure oli grassi gelificati con silice colloidale. Si ottengono per gelificazione di una miscela lipidica mediante aggiunta di additivi reologici (3-5%) come la silice micronizzata, gli stearati di calcio ecc. Rispetto agli unguenti sono stabili alle variazioni di temperatura e facilmente spalmabili sulla pelle. VEA LIPOGEL è un gel lipofilo contenente olio VEA (vitamina E acetato allo stato puro) “gelificato” con sostanze lipofile affini ai lipidi normalmente presenti nello strato corneo dell’epidermide. Non contiene acqua, conservanti, profumi, oli essenziali, coloranti, per minimizzare i rischi di allergia. Vea Lipogel GEL LIPOFILO BASE • NON COMEDOGENO Emolliente, idratante, protettivo • Antiossidante, antirughe, lenitivo del prurito e lenitivo per cicatrici clinicamente dimostrato: appaiono più morbide e lisce. LASONIL ANTIDOLORE Il principio attivo è ibuprofene sale di lisina. 100 g di gel contengono 10 g di ibuprofene sale di lisina. Gli altri componenti sono isopropanolo, idrossietilcellulosa, sodio p-ossibenzoato di metile, sodio p-ossibenzoato di etile, glicerolo, lavanda e acqua depurata. Emulgel o emulsion gel: questo termine indica una crema O/A dove tuttavia la fase acquosa esterna è praticamente gelificata. In genere sono di colore bianco come le creme e non trasparenti come la maggior parte dei gel. VOLTAREN EMULGEL 115 PASTE: preparazioni contenenti elevate proporzioni di materiali solidi in polvere fine. Possiedono una maggiore consistenza rispetto alle altre forme di applicazione cutanea. Le basi utilizzate possono essere sia lipofile che idrosolubili. Le azioni delle paste sono diverse e dipendono dalle caratteristiche dei componenti la massa di polvere e di quelle della stessa base. Possono svolgere azione protettiva, lenitiva, assorbente, astringente, idratante. La farmacopea le definisce “preparazioni semisolide per applicazioni cutanee che contengono, finemente dispersi nella base, solidi in grandi proporzioni”. Fase solida (fase dispersa): 30-60%, costituita da ossido di zinco, talco, argilla, amido, calcio carbonato. Spesso sono aggiunti medicamenti ad azione disinfettante (acido borico, fenolo e zolfo) o comunque capaci di svolgere un’azione topica (acido salicilico, resorcina, mentolo, acido tannico). Eccipiente (fase disperdente): liquido, semisolido, lipofilo o idrofilo. La fase disperdente ha la funzione di LEGANTE tra le particelle solide più che di veicolo come per le altre preparazioni per applicazione cutanea (base è destinata a mantenere in omogenea dispersione il farmaco) FUNZIONE PROTETTIVA sulla pelle formando una pellicola che isoli la pelle da agenti esterni che ne minacciano l’integrità o la funzionalità. L’alto contenuto di polveri consente anche la funzione di assorbente quando la pelle si presenta essudativa. Se la fase disperdente liquida: sono vere e proprie sospensioni nelle quali la fase solida in fini particelle è dispersa in una fase liquida. Se, invece, la fase disperdente semisolida: miscelare in modo omogeneo le polveri e poi, con spatola o pestello, incorporarle e levigarle a poco a poco nell’eccipiente posto rispettivamente su piastra o mortaio. A livello di laboratorio si utilizzano la spatola e la piastra. A livello industriale si utilizza l’impastatrice o il cito unguator, strumento di nuova generazione che consente di preparare direttamente la nostra preparazione nel contenitore finale che si consegnerà al cliente. Si pesano direttamente le sostanze nel contenitore (per ridurrei passaggi e l’eventuale inquinamento della preparazione e ridurre gli strumenti ed i contenitori), poi si pongono dentro delle alette che vanno a miscelare i vari componenti per un certo tempo (impostato nello strumento) ad una certa velocità. Infine, si 116 estrae l’aletta (frusta), si mette il tappo dosatore, si etichetta ed il prodotto viene consegnato al cliente. Tra i saggi, la farmacopea riporta sono quello di sterilità. Ovviamente a monte il tecnologo deve effettuare dei saggi: stabilità, comportamento reologico, conservazione ecc. _______________________________________________________________________________________ Pasta barriera con ossido di zinco. Per la pelle fragile e sottile del bambino e soggetti con cute molto sensibile. Regala un immediato sollievo alla pelle irritata e arrossata. Nel bambino applicare il prodotto ad ogni cambio di pannolino e dopo ogni lavaggio della cute della zona dei genitali e del sederino massaggiando con delicatezza specie tra le pieghe della pelle. Contiene: Amido di riso; betaglucano; olio di mandorle dolci; vitamina E; ossido di zinco; burro di karitè; glicerina. PREPARATI DA DROGHE VEGETALI F.U.I.XII: “piante intere, frammentate o tagliate, parti di piante, alghe, funghi, licheni in uno stato non trattato, generalmente in forma essiccata, ma talvolta fresche. Sono anche considerati droghe vegetali alcuni essudati che non sono stati sottoposti a un trattamento specifico. Le droghe vegetali vengono definite con precisione dal nome scientifico botanico secondo il sistema binomiale (genere, specie, varietà e autore). Si ottengono da piante coltivate o selvatiche e devono rispondere ai requisiti di qualità stabiliti dalla stessa F.U.I. Sono costituite da: Radici Tuberi Rizomi Cortecce Legni Gemme Foglie Sommità fiorite Fiori Frutti Semi 117 Gomme Gemmoresine Oleoresine Latici Pianta intera La droga vegetale può essere utilizzata allo stato fresco ed allo stato secco. STATO FRESCO: usata raramente, soprattutto per preparare tinture madri e gemmoderivati, polpe, succhi e per l’ottenimento di oli essenziali. Uso limitato per la presenza di acqua, che ostacola molti processi di lavorazione industriale e ne limita e condiziona la conservazione. L’uso di droga fresca (disponibile solo in determinati periodi stagionali) è limitato a pochi particolari casi, sia quando il recupero del p.a. può essere fatto con semplici operazioni meccaniche, sia quando il principio attivo rischi di venire degradato con l’essiccamento o perduto per volatilizzazione. STATO SECCO: l’essiccazione permette di avere a disposizione la droga tutto l’anno e di arrestare i processi fermentativi che solitamente si sviluppano dopo la raccolta. PROCESSI di ESTRAZIONE Obiettivo: separare dal tessuto vegetale le sostanze attive Ordinariamente l’estrazione viene effettuata su droga essiccata, che consente una buona conservazione e disponibilità in ogni periodo dell’anno. SPREMITURA: compressione della droga in modo da recuperare la frazione liquida. Processo che interessa la droga fresca: cellule, per effetto della pressione, vengono lacerate con la fuoriuscita del loro contenuto. I vari componenti cellulari sono mescolati agli enzimi, solitamente racchiusi in alcune strutture cellulari: i principi attivi possono così venire inattivati, componenti anche inattivi possono a loro volta essere trasformati con la formazione di polimeri colorati e sostanze resinose indesiderate. In passato, la spremitura è stata usata per ottenere il succo da determinati frutti (lamponi, mirtilli, more, ciliegie), utilizzati poi per preparare sciroppi mediante la dissoluzione di opportune quantità di zucchero, da utilizzare come veicolo di farmaci o come aromatizzanti in preparazioni liquide per via orale. Oggi è usata per l’estrazione dell’olio da semi di mandorle e ricino. In ambedue i casi, si realizza la separazione dell’olio da un componente tossico dei semi, nel primo caso 119 dall’amigdalina (dalla quale si può liberare acido cianidrico) e nel secondo caso dalla ricina altamente tossica. TRATTAMENTO CON SOLVENTI: è praticato su droga essiccata. Nel tessuto vegetale essiccato, le cellule si trovano disidratate per cui la loro parete si riduce a una membrana secca e porosa, all’interno della quale residua il contenuto citoplasmatico, anch’esso disidratato. Quindi il tessuto è fragile, e può essere frantumato in frammenti costituiti da aggregati di cellule sulla cui superficie rimangono esposte cellule fratturate. L’estrazione è una combinazione dei due meccanismi di dilavamento delle cellule fratturate alla superficie del frammento di droga e di diffusione dalle cellule rimaste integre. La scelta del solvente è condizionata dalla solubilità dei componenti la droga. I solventi maggiormente utilizzati sono: acqua, alcool etilico a diversa gradazione, glicerina, glicole propilenico, olio vegetale. A volte la droga viene prima trattata con un definito solvente che rimuova selettivamente alcuni componenti indesiderati o che possano ostacolare l’estrazione = pre-estrazione. Es.: i semi di strofanto vanno prima trattati con etere di petrolio o benzina per asportarne i lipidi che ostacolerebbero l’estrazione con alcol dei glucosidi. I processi di ESTRAZIONE si suddividono in: MACERAZIONE: a sua volta si suddivide in INFUSIONE e DECOZIONE. La droga viene adeguatamente frantumata, viene messa a contatto con il solvente prescelto a temperatura ambiente in un recipiente munito di idonea chiusura (per impedire perdita di solvente per evaporazione). Per favorire la diffusione dal tessuto vegetale è necessario riportare la droga in sospensione nel solvente agitando di tanto in tanto in modo da rimuovere gli strati concentrati a ridosso dei frammenti di droga e ripristinando così un gradiente di concentrazione fra droga e solvente utile alla ripresa della diffusione. Il prodotto di estrazione (macerato) viene recuperato per decantazione e successiva spremitura del residuo di droga. L’operazione richiede in generale 5 giorni. Sono stati messi in atto altri processi, oltre a quello classico: - Macerazione dinamica: la diffusione dei componenti estraibili viene facilitata mantenendo la droga in continua agitazione in modo da garantire costantemente un gradiente di concentrazione utile fra l’interno dei frammenti di droga e la soluzione estrattiva. - Digestione: con tessuti vegetali compatti (legni, cortecce, radici), l’estrazione accelerata portando la temperatura a 40-50° C. La dissoluzione dei componenti estraibili è più rapida, la viscosità del solvente è minore e la velocità di diffusione è maggiore. Si usano solventi con una certa viscosità e bassa volatilità: glicerina e oli vegetali. - Turboestrazione: estrazione rapida. Droghe tenere (foglie, fiori, erba). La droga è trattata con il solvente in un trituratore veloce. Si frantuma in sottili frammenti con aumento delle cellule lacerate e l’abbreviazione del cammino di diffusione dalle cellule interne dei frammenti. Durata: 5-10 min. 120 INFUSIONE: come solvente si utilizza acqua bollente. Si lascia macerare per un tempo da 5 a 15 min. in recipiente coperto, agitando di tanto in tanto. Il prodotto di estrazione, detto INFUSO, va filtrato (ovatta di cotone, tela) per separarlo dai frammenti di droga. La frazione di impregna il residuo recuperata facendo piccola quantità attraverso la droga filtro. infuso che di droga va passare una di acqua raccolta sul È adatta per droghe con tessuti teneri (foglie e fiori, droghe con p.a. termolabili o quelle con p.a. volatili) ad es. camomilla, tiglio, senna, valeriana, preparazione tè. DECOZIONE: la droga è fatta bollire in acqua per un tempo da 15 a 45 min. a seconda della compattezza del tessuto vegetale e la velocità di dissoluzione dei p.a. avendo cura di conservare costante il volume dell’acqua reintegrando quella via via evaporata. Il prodotto di estrazione, detto DECOTTO, va filtrato. L’andamento termico è più severo rispetto all’infuso ed è usata per droghe a tessuto legnoso. Non adatto per droghe con p.a. termolabili o per droghe con componenti volatili che andrebbero irrimediabilmente perduti. PERCOLAZIONE: consiste nel far seguire a una macerazione un flusso continuo di solvente attraverso lo strato di droga. Le fasi del processo di estrazione sono: 1. Umettamento della droga 2. Caricamento del percolatore (forma simile alla buretta) 3. Macerazione intermedia della droga 4. Percolazione È il processo di estrazione elettivo per droghe vegetali perché consente un recupero completo dei componenti estraibili. Non adatto per resine o oleoresine che nel corso dell’estrazione lasciano un residuo gommoso oppure per droghe che si rigonfiano in misura tale da impedire il flusso del solvente. 121 DISTILLAZIONE: si pratica per la separazione dei componenti volatili e si suddivide in: A. Distillazione in corrente di vapore: si usa droga fresca o droga essiccata preventivamente fatta reidratare. Nella camera del distillatore, uno strato di droga è fatto attraversare da una corrente di vapore d’acqua. Per effetto del calore i componenti volatili (per gli oli essenziali) formano un vapore misto con l’acqua. Condensato, il vapore consente di recuperare i componenti volatili, parte dei quali rimangono nella fase acquosa e, se insolubili o poco solubili nell’acqua come succede per gli oli essenziali, si separano in uno straterello oleoso (per lo più alla superficie del distillato, peso specifico minore dell’acqua). Si ha il recupero degli oli essenziali e si ottiene acqua aromatizzata saturata di essenze da usare come veicolo o aromatizzante in preparazioni acquose (acque distillate o idrolati). Esempio di estrazione effettuata in laboratorio = si tratta di una procedura di estrazione condotta direttamente sui fiori freschi di ginestra basata su un processo di flash distillazione in corrente di vapore autoalimentato. B. Distillazione previa macerazione in alcool: la droga sottoposta a macerazione con alcool permette di ottenere soluzioni estrattive a più alto contenuto in olio essenziale. Con droga fresca si usa alcool ad alta concentrazione, perché macerato risulterà a medio grado alcolico a seguito della diluizione con acqua della droga fresca. Con droga secca si usa alcool a media gradazione (50-70°). Il macerato separato dalla droga va poi distillato. Si ha separazione dei componenti volatili che sono condensati con l’alcool, mentre nel residuo della distillazione rimangono i componenti solubilizzati anch’essi dall’alcool, ma non volatili. Il prodotto ottenuto è chiamato spirito o alcoolato. Classici sono quelli di menta o di anice, oppure l’intramontabile “acqua” o “spirito di melissa”, prodotto ancora oggi dall’officina dei Carmelitani di Venezia. 122 Dal trattamento effettuato sulle droghe vegetali si possono ottenere le varie forme farmaceutiche POLVERI Le polveri possono essere semplici o composte. Si ottengono per polverizzazione della droga essiccata e devono essere setacciate per avere un preparato con granulometria omogenea. I metodi di polverizzazione sono in relazione alla consistenza, fibrosità e fragilità della droga. FRANTUMAZIONE: corpi duri. Si effettua con taglierine, macinini a coltelli rotanti, grattugie rotanti. TRITURAZIONE: droghe erbacee, gemme, bulbi, tuberi. Utilizza omogenizzatori a coltelli rotanti e taglierine di vario tipo. POLVERIZZAZIONE: si effettua con vari tipi di mortai e con molini di diverso tipo: a coltelli (taglio), a martelli (urto e impatto), a rulli (compressione), a cilindri (attrito), a palle (attrito e impatto) e a energia fluida (attrito e impatto). INFUSI Sono le forme più antiche e tradizionali di prodotto di estrazione di una droga o di una miscela di droghe di diretto impiego. Questa preparazione si usa quando la parte della pianta è poco consistente (foglie, fiori…). In passato aveva un uso terapeutico, oggi presenta finalità “salutistiche”. La Rosa canina (Rosa canina L.) fa parte della famiglia delle Rosaceae, la stessa a cui appartengono anche le più note rose da giardino. È un arbusto che vive allo stato selvatico ed è caratterizzato da grandi fiori di colore roseo o bianco e da un frutto di colore rosso cupo ricco in acidi organici. Grazie al contenuto di vitamine e sali minerali, è indicata sia in estate per le sue caratteristiche dissetanti e reidratanti, che in inverno. Per dare all'infuso un gusto più gradevole e il caratteristico colore rosso intenso, Aboca ha aggiunto i calici fiorali di Karkadè (Hibiscus sabdariffa L.). 123 Modo d'uso: un filtro è sufficiente per preparare una tazza di infuso. Versare l'acqua portata all'ebollizione in una tazza contenente la bustina filtro e mantenere in infusione dai 5 ai 7 minuti, avendo cura di tenere coperto il contenitore per non disperdere le sostanze più volatili. Per dolcificare, consigliamo l'uso del miele. DECOTTI Nella farmacopea viene definito come: “preparazioni liquide ottenute estemporaneamente facendo bollire in acqua le droghe opportunamente polverizzate, dalle quali si vogliono estrarre i principi attivi. L’operazione di decozione non si applica mai a droghe contenenti principi attivi volatili, poiché la preparazione consiste nella bollitura”. La quantità di droga da impiegare: “solitamente si impiegano cinque parti di droga per preparare 100 parti di decotto”. TINTURE Vengono definite: “preparazioni liquide ottenute generalmente da materie prime vegetali o animali essiccate”. Le tinture possono essere preparate per macerazione o per percolazione. Macerazione: si riduce la materia da estrarre in pezzi di grandezza appropriata, mescolare uniformemente con il solvente di estrazione prescritto e si lascia in riposo in un recipiente chiuso per un tempo appropriato. Il residuo è separato dal solvente di estrazione e, se necessario, pressato. In questo caso i due liquidi sono riuniti. Per percolazione: si riducono le materie prime in pezzi di grandezza appropriata. Si mescola uniformemente con una parte del solvente di estrazione prescritto e si lascia in riposo per un tempo appropriato. Si trasferisce la miscela in un percolatore e si lascia fluire il percolato lentamente. Il residuo può essere pressato e il liquido ottenuto riunito al percolato. ALCOLATURI Prodotti di estrazione con alcool di droghe fresche. Possono essere considerati analoghi alle tinture. Si effettua l’estrazione della droga fresca che viene a contatto con il l’alcol. Gli alcolaturi possono essere preparati per: Estrazione della droga fresca: come solvente si utilizza alcol a 96°. Per diluizione con acqua propria della droga si ottiene un grado alcolico analogo a quello delle tinture propriamente detto. Spremitura della droga fresca: il succo viene miscelato con ugual volume di alcool 96°. Dopo decantazione del materiale insolubilizzato si filtra. Alcolaturi di bucce fresche di agrumi (arancio, limone, mandarino) usati come aromatizzanti in preparazioni liquide per via orale. ESTRATTI Gli estratti possono essere classificati in base al solvente che si utilizza per la loro estrazione o in base alla consistenza fisica che questi hanno alla fine del processo di estrazione. 124 La classificazione in base al solvente vede: Estratti acquosi Estratti idroalcolici: miscela acqua-alcol Estratti eterei (raramente): si utilizza l’etere La classificazione in base alla consistenza fisica che questi hanno alla fine del processo di estrazione vede: Estratti secchi (E.S.): “sono preparazioni solide ottenute per evaporazione del solvente usato per la loro preparazione. Gli estratti secchi generalmente hanno una perdita all’essiccamento o un contenuto di acqua non superiore al 5% m/m”. Estratti molli (E.M): sono preparazioni semisolide ottenute per evaporazione o parziale evaporazione del solvente usato per l’estrazione. Estratti liquidi (o estratti fluidi, E.F.): “sono preparazioni liquide nelle quali, in generale, una parte di massa o in volume è equivalente a una parte in massa della droga vegetale o del materiale di origine animale essiccati”. Generalmente hanno un rapporto Droga/Estratto 1:1. Sono presenti anche gli ESTRATTI NEBULIZZATI: estratti concentrati che vengono preparati con lo spray-dryer. Questi estratti mantengono inalterati i principi attivi e si ottengono prodotti igroscopici che vengono conservati in busta o flaconi chiusi. Integratore alimentare a base di estratto secco di Ginseng (Panax ginseng C.A. Meyer) radici, titolato e standardizzato in componenti attivi. Si rivela utile in caso di affaticamento psico-fisico. Il Ginseng è da sempre utilizzato per le sue proprietà toniche sull'organismo. Inserito nell'ambito di una dieta adeguata può essere utile per l'affaticamento fisico. L'estratto secco è una delle forme farmaceutiche che più si allinea ai criteri di qualità richiesti dalla fitoterapia moderna, in quanto fortemente concentrato e quindi titolabile e standardizzabile. Gli estratti secchi Pharbenia sono ottenuti per nebulizzazione: mantengono quindi inalterati i componenti della pianta, sono prontamente assimilabili, offrono un prodotto costante nella qualità e nella quantità di principi attivi e rispettano completamente i parametri qualitativi richiesti dalla farmacopea. Contenuto per capsula: estratto secco 34 mg 150. Titolo in ginsenosidi min 20% pari a 20 mg di ginsenosidi per capsula. Eccipienti: Calcio fosfato, Maltodestrina, Magnesio stearato. Involucro esterno: capsula di gelatina naturale. _______________________________________________________________________________________ OLI ESSENZIALI Gli oli essenziali sono “prodotti odorosi, generalmente di composizione complessa, ottenuti da una materia prima vegetale botanicamente definita mediante distillazione in corrente di vapore, distillazione secca o idoneo procedimento meccanico senza riscaldamento. Gli oli essenziali sono generalmente separati dalla fase acquosa mediante processo fisico che non varia significativamente la loro composizione” (Ph. Eur. 9). Composizione chimica: idrocarburi, alcoli, eteri, fenoli, eteri fenolici, aldeidi, chetoni, esteri, acidi, composti solforati, ecc. Gli idrocarburi più caratteristici sono i terpenici (C10 H16) ed i sesquiterpenici (C15 H24) 125 Caratteri fisici: preparazioni lipofile, volatili, generalmente liquide, bruciano con fiamma fuligginosa. La maggior parte ha una densità relativa minore di quella dell'acqua. Molte sono otticamente attive e presentano alla luce UV un colore ed un grado di fluorescenza caratteristici. Le essenze si ossidano facilmente, specie all'aria ed alla luce: l'odore diventa meno gradevole ed il colore più scuro; la fluidità diminuisce, a volte, sino a giungere alla resinificazione. Vanno quindi conservate in recipienti riempiti e ben chiusi, in luogo fresco ed al riparo dalla luce. Per ottenere gli oli essenziali si parte da una droga fresca, solitamente dai fiori che contengono sostanze volatili ed aromatiche. Possono essere preparati per distillazione, per corrente di vapore o fluidi supercritici (tecniche per ottenere oli essenziali o acque aromatiche). Solitamente, gli oli essenziali sono presenti in piccole quantità e vengono separati utilizzando gli imbuti separatori (per separare l’acqua aromatica dall’olio essenziale). Essenze di cannella, chiodi di garofano e senape hanno densità maggiore si depositano sul fondo. ACQUE AROMATICHE o IDROLATI Sono acque arricchite, mediante distillazione di p.a. volatili delle piante. Sono usate per uso esterno (acque toniche, creme e colliri) o per la preparazione di pozioni o elisir. Acqua aromatica (acqua distillata) di Camomilla: antinfiammatoria Elicriso: antisettica, antinfiammatoria Eufrasia: antiallergica Fiordaliso: antinfiammatoria Tutte adatte per la preparazione di colliri. L’acqua aromatica di melissa e timo sono adatte per la preparazione di acque toniche di bellezza. 126 Sospensione Integrale di Pianta Fresca (SIPF) Preparazione: si tratta con azoto liquido (-196°C) la pianta fresca entro 6-12 ore (massimo 24 ore) dalla raccolta. Si ha un abbassamento della temperatura a circa -50° C: tutte le attività enzimatiche sono bloccate. Pianta surgelata → crio-frantumazione → Pasta omogenea → Soluzione-sospensione → Microsospensione stabile (Sospensione Ultrapressione Alcol (per Integrale di Pianta Fresca, SIPF) molecolare mantenere bloccata attività enzimatica a temperatura ambiente) Somministrazione: dose di 5 ml diluiti in acqua. Questa diluizione ripristina l’attività enzimatica e il preparato ha tutto quello che era contenuto nella pianta fresca, dagli enzimi ai fitormoni, dagli oli essenziali alle vitamine. Le SIPF sono stabili e si conservano per circa 3 anni. A causa del costo elevato, si preparano soltanto con droghe contenenti principi attivi poco stabili o poco solubili. Da una singola pianta si possono ottenete diversi prodotti per solvente di estrazione (nel caso di estratti) o per studi etnofarmacologici. Camomilla (Matricaria recutita L.) fiore: olio essenziale Se si sottopone la camomilla a distillazione in corrente di vapore si ottiene poco α(-)bisabololo che è il componente fondamentale dell’olio essenziale, mentre si ottiene un alto quantitativo di camazulene (molecola responsabile dell’attività antiflogistica ed antinfiammatoria della camomilla). Quindi la distillazione in corrente di vapore NON è un buon metodo per ottenere l’olio essenziale. Estrazione con solvente: Alcool etilico 96%: - estrazione completa di olio essenziale - no estrazione di flavonoidi 127 Estrazione con solvente idroalcolico al 70%: miglior metodo per ottenere il fitocomplesso nella sua totalità. Possono essere così ottenute TINTURE, ESTRATTI FLUIDI ed ESTRATTI SECCHI. Aglio (Allium sativum L.) bulbo Il bulbo dell’aglio contiene l’allina che, per azione dell’enzima allinasi, l’allicina. Distillazione in corrente di vapore: olio essenziale costituito da una miscela di oligosulfidi alchilici. Estrazione con acqua calda (infusione) o con alcol etilico: si ottengono ajoeni (efficaci come inibitori dell’aggregazione piastrinica). Estrazione con olio: importanti concentrazioni di vinilditiine, derivati dell’allicina. Rispetto al succo, agli estratti, all’oleolito e all’olio essenziale la POLVERE BEN ESSICCATA rappresenta la scelta migliore: sistema alliina/alliinasi Il principio attivo è fondamentale e l’enzima che consente la trasformazione nell’organismo, in condizioni fisiologiche normali, in tutti i derivati attivi responsabili dell’azione farmacologica dell’aglio. Valeriana (Valeriana officinalis L.) radice Ancora non è stato identificato a piene il principio attivo responsabile dell’azione della valeriana, anche se si pensa che sia contenuto nell’olio essenziale (monoterpeni, sesquiterpeni) o valepotriati, lignani ed alcaloidi/aminoacidi Estratto oleoso in olio d’oliva della radice: estrazione di tutti i componenti attivi in forma stabile. Forma estrattiva migliore. Estratti acquosi non estraggono i componenti lipofili, così come non sono efficaci i succhi concentrati. Tinture idroalcoliche tradizionalmente usate contengono i componenti dell’olio essenziale, ma i valepotriati e i valeranali si degradano. Finocchio (Foeniculum vulgare Mill.) frutto e/o seme Olio essenziale: - Infuso all’1,5 % dei frutti per 5 min: estrazione bassa (3 mg) di olio essenziale. Azione carminativa - L’impiego di olio essenziale puro a gocce produce un effetto opposto aumentando il gonfiore intestinale. L’estratto idroalcolico delle radici possiede attività diuretica, che è assente nel relativo estratto acquoso. Biancospino (Crataegus monogyna Jacq., C. oxyacantha L.) sommità fiorite Estratto secco acquoso: azione ipotermizzante e sedativa. No attività spasmolitica. Estratto secco metanolico: attività spasmolitica. No azione ipotermizzante e sedativa. INCOMPATIBILITA’ E SINERGIE L’associazione fra due o più estratti vegetali e alla loro eventuale combinazione con altre sostanze attive può portare a un’esaltazione di determinate proprietà fisiologiche o curative (SINERGISMO) oppure può portare a una diminuzione, se non addirittura alla scomparsa, di tali proprietà (INCOMPATIBILITA’). 128 L’incompatibilità può essere: Fisica: miscelando due o più derivati in forma liquida, l’incompatibilità può presentarsi sotto tre aspetti fondamentali: - INTORBIDAMENTO: due liquidi non sono ben miscibili (es. estratti idroalcolici a diverso grado alcolico, etere e acqua, etere e glicerina) oppure il solvente non è adatto (oli essenziali in soluzioni acquose, mentolo in acqua). - PRECIPITAZIONE: accade quando si miscelano due soluzioni ottenute con solventi che presentano capacità estrattive diverse. Es: unione di estratti o tinture a grado alcolico molto diverso. - CAMBIAMENTO DI COLORE: es.: la luce altera facilmente numerose sostanze producendo una variazione di colore dell’estratto e talora formazione di precipitati. Chimica: ad esempio le acque distillate sono incompatibili con alcaloidi o iodio per formazione di reazioni colorate. Terapeutica: risulta dall’associazione di sostanze attive ad azione contraria o antagonista e si manifesta con l’annullamento degli effetti fisiologici o curativi. Controlli specifici per gli estratti di piante Liquidi idroalcolici (tinture, tinture madri, macerati glicerici, estratti fluidi ecc.) 129 Contenuto di etanolo: il contenuto di etanolo soddisfa il valore prescritto. Non trattandosi semplicemente di una miscela idroalcolica, è impossibile eseguire tale determinazione direttamente con l’alcolometro centesimale di Gay-Lussac, pertanto viene effettuata mediate l’apparecchio. Esso è costituito da un pallone da 500 ml (A), collegato mediante un’allunga (B) a un refrigerante a bolle (C), terminante con un tubo affilato (D) inserito nel collo di una beuta di raccolta tarata (da 100-250 ml), posta per tutto il tempo della distillazione in un bagno di acqua e ghiaccio (E). Procedimento: 25 ml del liquido idroalcolico in esame si diluiscono a 100 ml con acqua e si pongono nel pallone (A). dopo aver aggiunto una piccola quantità di magnesio ossido, per neutralizzare gli acidi volatili, si distilla raccogliendo almeno 90 ml di distillato nella beuta tarata (E). il distillato, raggiunta la temperatura di 20° C, si porta a 100 ml con acqua, pure a 20° C. a questo punto è possibile misurare la densità del liquido con un alcolometro centesimale. Il valore ottenuto, moltiplicato per 4, darà la percentuale in volume di alcol della preparazione in esame (titolo alcolico volumetrico). Controlli specifici per gli estratti di piante: Residuo fisso: 2 g del liquido vengono velocemente pesati in una capsula a fondo piatto di circa 50 mm di diametro e 30 mm di altezza. Si evapora a secco su bagno maria continuando poi l’essicamento in stufa a 100-150° C per 3 ore. Si raffredda in essiccatore di anidride fosforica e si pesa. Il risultato viene espresso in percentuale (g/100 g). Metanolo e 2-propanolo: salvo diversa indicazione, non più dello 0,05 % V/V di metanolo e non più dello 0,05% V/V di 2-propanolo. Densità relativa: se del caso, gli estratti liquidi e le tinture soddisfano ai limiti prescritti nella monografia. Gli stessi saggi sarebbero auspicabile anche per gli estratti non riportati in Ph. Eur. Per gli estratti molli e secchi occorre effettuare il seguente saggio: Perdita all’essiccamento: si opera analogamente alla determinazione del residuo secco, ma pesando inizialmente soltanto 0,5 g di estratto anziché 2 g. Nel caso di estratti molli tale quantità viene prima stemperata in 5 ml di alcol a 60°, quindi posta a seccare. Il valore viene espresso in percentuale (g/100 g). Solventi: se del caso, la monografia di un estratto molle o secco prescrive un saggio limite per il solvente impiegato per l’estrazione. Residuo secco: richiesto solo per gli estratti molli. Determinazione dell’acqua: se del caso, l’estratto secco soddisfa ai limiti prescritti nella monografia. Gli stessi saggi sarebbero auspicabili anche per gli estratti non riportati in Ph. Eur. 130 PREPARAZIONI OFTALMICHE Le preparazioni oftalmiche sono preparazioni somministrare i farmaci nella zona oculare. steriche che permettono di Queste preparazioni oftalmiche vengono distinti in: Colliri: sia soluzioni che sospensioni (dipende dalle caratteristiche chimicofisiche del farmaco) Bagni oculari Polveri per colliri e per bagni oculari Preparazioni oftalmiche semisolide: unguenti e gel Inserti oftalmici: sono formulazioni solide Generalmente si instillazione topica. somministrano i colliri per Le preparazioni oftalmiche possono essere somministrate anche attraverso le iniezioni sottocongiuntivali, le iniezioni sottotenoniane e le iniezioni retrobulbari. Queste sono vie di somministrazioni che si utilizzano in casi ambulatoriali o pre-post operazione, permettono di far raggiungere grandi quantità di farmaco nell’occhio. Un requisito comune a tutte le preparazioni oftalmiche è la STERILITA’, questo perché hanno come sito di applicazione gli occhi, che hanno condizioni patologiche che ne possono ridurre od alterare i normali meccanismi di difesa contro gli attacchi esterni. La cornea è la via preferenziale per l’assorbimento di questi farmaci per applicazione oftalmica. Affinché il farmaco possa essere assorbito sono fondamentali alcuni fattori: - - 131 Struttura della cornea: è costituita da tre strati; epitelio, stroma ed endotelio. L’epitelio e l’endotelio sono ricchi di materiale lipidico, mentre lo stroma ha una struttura acquosa. Quindi bisogna bilanciare e trovare il giusto compromesso affinché il farmaco si ripartisca nella cornea per essere assorbito. Caratteristiche chimico-fisiche del farmaco - Tipo di formulazione attraverso la quale si vuole somministrare il farmaco Una suddivisione arbitraria, fatta per convenienza, vede: Farmaci terapeutici: antibatterici, antifungini, antiglaucoma, decongestionanti oculari, antinfiammatori e farmaci per il trattamento dell’occhio sesso (ora sintomatologia molto comune) Farmaci diagnostici COLLIRI Sono formulazioni che, rispetto alle altre, presentano dei vantaggi: a livello industriale sono facili da preparare poiché si tratta di soluzioni (quindi i macchinari e la strumentazione è semplice e poco costosa), dal punto di vista terapeutico sono formulazioni gradite dai pazienti poiché facili da instillare (anche medicinale di automedicazione), il farmaco si trova già in soluzione e quindi viene assorbito rapidamente (rispetto ad altre forme farmaceutiche) e quindi anche l’effetto terapeutico si manifesta più rapidamente. I colliri possono essere: In soluzione: in soluzione acquosa, quindi il solvente impiegato è l’acqua. Ci sono anche farmaci non solubili in acqua che possono essere solubilizzati in oli vegetali, anche se le soluzioni oleose sono in disuso e vengono utilizzate soltanto in rarissimi casi. In sospensione: il farmaco non si solubilizza completamente e quindi c’è la possibilità di somministrare il farmaco anche in sospensione (come seconda scelta, dovuta alle caratteristiche chimico-fisiche del farmaco che non si riesce a solubilizzare). Un esempio è rappresentato dagli antinfiammatori steroidei (indometacina). Le sospensioni sono costitute da particelle solide che sono in un solvente adatto, quindi riveste molta importanza le dimensioni delle particelle → è importante che le dimensioni delle particelle sospese abbia un diametro medio < 10 μm. Si deve rispettare questo limite poiché le particelle con dimensioni maggiori causano irritazione, con conseguente più rapida eliminazione delle particelle ad opera della lacrimazione. La farmacopea richiede proprio un saggio relativo alle dimensioni delle particelle nelle preparazioni oftalmiche: questo saggio si effettua su un campione di 10 μm di principio attivo solido. Su questo campione non più di 20 particelle devono avere una dimensione massima > 25 μm e non più di 2 particelle devono avere una dimensione > 50 μm, nessun a delle particelle deve avere una dimensione > 90 μm. I componenti fondamentali per poter preparare un collirio sono: - Farmaco responsabile dell’attività terapeutica Acqua: veicolo in cui il farmaco deve essere solubilizzato o sospeso. In questo caso si utilizza acqua depurata (o si può anche trovare scritto acqua per preparazioni iniettabili). Sia il farmaco che l’acqua sono componenti fondamentali. - Tamponi: acidi o basici 132 - Agenti conservanti (non sempre presenti, dato che spesso vengono somministrati in confezioni monodose) Agenti osmotici Sali Agenti viscosizzanti Agenti sospendenti Agenti solubilizzanti Tutte queste sostanze non devono influire negativamente sull’effetto del principio attivo, quindi ogni componente ha la sua importanza. Quando si prepara un collirio bisogna far si che presenti dei requisiti fondamentali: isotonia, pH adeguato, agenti conservanti ed agenti viscosizzanti. I farmaci vengono solubilizzati maggiormente in un veicolo acquoso (le soluzioni oleose sono raramente utilizzate e quindi si parlerà di colliri acquosi) dove vengono aggiunti dei Sali che tendono a garantire la soluzione tampone al pH ottimale nella zona oculare, che si aggira intorno a 7,4. Per poter somministrare il farmaco a questo pH bisogna formulare il collirio che si avvicini il più possibile. A volte si cercano di ottenere soluzioni di pH che garantiscano che il farmaco sia stabile in soluzione, ed allo stesso tempo si fa sì che il pH ottenuto sia il meno irritante possibile per le mucose oculari. Dagli studi effettuati, sembra che l’occhio umano sia in grado di sopportare meglio pH leggermente alcalini, rispetto a pH leggermente acidi. Quando viene instillato un farmaco con pH diverso, il fluido lacrimale non sempre è in grado di neutralizzare il pH, ma interviene la lacrimazione che cerca di diluire e neutralizzare questa variazione di pH che si è instaurata in seguito alla somministrazione del farmaco. Il tempo necessario varia da 2-3 min, a seconda del pH e del volume che viene instillato. L’altra caratteristica dei colliri è l’ISOTONIA. In molti colliri è presente nella formulazione il cloruro di sodio che ha il compito di portare la tonicità a valori fisiologici. Una soluzione oftalmica è considerata isotonica quando la sua tonicità è uguale alla concentrazione del cloruro di sodio allo 0,9% (uguale alla concentrazione della soluzione fisiologica) = il collirio deve contenere cloruro di sodio allo 0,9%. Soluzioni con concentrazione che varia da 0,5 a 1,8% di cloruro di sodio risultano ben tollerate dall’occhio. Il controllo dell’isotonicità rigorosa rimane per quelle soluzioni che sono destinate alla somministrazione intraoculare (dove si ha l’iniezione). I CONSERVANTI hanno un’azione o batteriostatica o battericida. Visto che i colliri devono essere applicati nell’occhio, il formulatore non ha a disposizione una vasta lista di conservanti che può utilizzare, proprio per la delicatezza della zona in cui il collirio deve essere applicato. In ogni caso le concentrazioni dei conservanti sono molto basse e, la scelta, viene fatta anche in base al pH. A volte, insieme ai conservanti, si può trovare l’EDTA (agente sequestrante) che ha lo scopo di complessare il calcio (ed alcuni metalli pesanti) che possono catalizzare reazioni ossidative. Quindi si sfrutta l’azione sinergizzante del cloruro di benzalconio (conservante molto utilizzato) con l’azione antiossidante per stabilizzare farmaci che sono sensibili all’ossidazione. 133 Gli AGENTI VISCOSIZZANTI, quali i polimeri, sono in grado di aumentare la viscosità del veicolo acquoso. L’aumentata viscosità, rispetto ad una soluzione, rallenta l’eliminazione della medicazione dall’area di applicazione, producendo così un aumento della biodisponibilità del farmaco. Inoltre, le soluzioni viscose sono meglio accettate dal paziente poiché la preparazione rimane più a contatto ed il paziente percepisce che la permanenza si converte in un effetto terapeutico migliore. I materiali che vengono utilizzati quali viscosizzanti sono: polimeri che derivano dalla cellulosa (carbossimetilcellulosa, idrossimetilcellulosa), alcol polivinilico, polivinilpirrolidone (PVP), carbopol (quindi i derivati dell’acido poliacrilico), acido ialuronico. Ci sono alcuni polimeri che vengono preferiti ad altri, perché oltre ad avere la funzione di aumentare la viscosità hanno anche la proprietà di essere muco adesivi, quale l’acido ialuronico, i derivati dell’acido poliacrilico (carbopol). Quindi si ha garantito un maggior contatto della preparazione con il sito con conseguente aumento della biodisponibilità. _______________________________________________________________________________________ Gli stessi principi attivi possono essere utilizzati in formulazioni differenti. (per stabilizzare il pH) PREPARAZIONI NASALI Le preparazioni nasali sono delle preparazioni che possono essere liquide, semisolide o solide e l’organo target è rappresentato dalle cavità nasali. Si usano sia per ottenere un effetto sistemico sia locale. I farmaci che solitamente si somministrano per via nasale sono: farmaci cortisonici, antinfiammatori, antistaminici, vasocostrittori. La via nasale, rispetto alla via orale e parenterale, presenta alcuni vantaggi: è più nuova (a partire dagli anni ’80 si è visto che anche la cavità nasale garantisce un buon assorbimento dei farmaci a seguito della loro somministrazione) il principio attivo non subisce l’effetto di primo passaggio epatico ed evita anche il metabolismo gastrointestinale il principio attivo viene assorbito velocemente grazie alla permeabilità ed alla ricca vascolarizzazione della mucosa nasale è una via di somministrazione non invasiva, facile ed indolore = molto apprezzata anche dal paziente Le caratteristiche che un farmaco deve avere per poter essere somministrato per via nasale sono: - buona solubilità in acqua - basso peso molecolare - essere attivo (deve svolgere l’attività farmacologica) a basse dosi - non deve essere irritante o dannoso per la mucosa nasale In commercio esistono già una serie di medicinali proprio per somministrazione nasale 134 Accanto al nome commerciale di ogni medicinale è presente la formulazione (soluzione o sospensione) ed il dispositivo che viene utilizzato per poter somministrare il farmaco nelle cavità nasali. I dispositivi per la somministrazione delle preparazioni nasali sono presenti sia per le preparazioni liquide che solide. L’obiettivo è quello di distribuire la preparazione in tutta la superficie della cavità nasale. Rispetto alle gocce, gli spray sono più facili da utilizzare e garantiscono una maggiore igiene. I dispositivi per poter somministrare delle preparazioni nasali liquide sono due. 1. Quelli più semplici sono costituiti da flaconcini di plastica facilmente comprimibili (squeeze bottle). 2. Le aziende hanno studiato anche un’altra modalità ed hanno preparato delle pompe spray multidose con un adattatore nasale che viene montato sul flaconcino di vetro. In altri casi la pompa può essere già inserita nel flaconcino di vetro. Questa pompa spray multidose permette di dosare la giusta quantità di soluzione da somministrare nella cavità nasale, è presente un meccanismo che misura il volume esatto che deve essere prelevato per poi essere somministrato. I dispositivi utilizzati per somministrare delle preparazioni solide vengono detti insufflatori nasali. I primi modelli di insufflatori di polveri nasali sono derivati da inalatori polmonari. Questi dispositivi vengono chiamati dray powder inhalers. Questi dispositivi sono facilmente maneggiabili, facili da utilizzare e garantiscono accuratezza e ripetibilità della dose. Questi dispositivi contengono preparazioni solide, quali polveri che devono essere micronizzate (più piccole sono le dimensioni delle polvere più facilmente possono essere assorbite e più facilmente si ha l’effetto terapeutico) e possono essere sospese in un propellente liquido mediante l’utilizzo di un tensioattivo per poter facilitare la fuoriuscita della polvere dall’insufflatore, o possono essere contenute in una capsula che viene messa nell’insufflatore all’interno del quale è presente un ago che buca la capsula facendo fuoriuscire la polvere. Gli insufflatori sono costituiti da un adattatore nasale, da un bulbo di gomma ed un serbatoio contenente la polvere predosata o la capsula. Nell’insufflatore di sx si apre la parte inferiore, si inserisce la capsula e con l’ago si buca la capsula per liberare la polvere. Esistono diversi tipi di preparazioni nasali, che possono essere sia liquide che solide. 135 Gocce nasali e spray nasali liquidi Polveri nasali: devono essere micronizzate per poter essere facilmente assorbite. Le polveri nasali sono miscele di uno o più principi attivi che sono associati a solventi Preparazioni semisolide nasali Lavaggi nasali (flaconcini contenenti acqua fisiologica per la pulizia nasale): soluzione acquose isotoniche destinate per lo più alla pulizia della cavità nasali Bastoncini nasali: preparazioni solide destinate ad una attività locale I componenti principali per le preparazioni nasali, soprattutto per quelle liquide sono: - Il veicolo deve avere un pH adatto e compatibile alla cavità nasale (5,5-7,5), deve essere isotonico, compatibile con le secrezioni nasali e stabile per tutto il periodo L’aggiunta di un co-solvente può modificare la viscosità della soluzione, quindi è un fattore di cui bisogna tenere conto. Le preparazioni liquide hanno anche un effetto umettante ed idratante e possono essere aggiunti agenti umettanti I tensioattivi vengono utilizzato nel caso di preparazione di sospensione con ruolo di bagnanti e stabilizzanti. Le preparazioni nasali devono essere isotoniche; cioè che i fluidi nasali hanno una concentrazioni simile a quella del cloruro di sodio allo 0,9%. Se si superano queste concentrazioni può venire compromessa la mucosa nasale ed il movimento ciliare Preparazioni ipertoniche devo essere evitate, mentre quelle con tonicità che variano dalla concentrazione di cloruro di sodio dallo 0,6 e 1,8% vengono ben tollerate. Vengono aggiunti anche degli antiossidanti, come ad esempio il tocoferolo, per prevenire la degradazione del principio attivo. Possono essere aggiunti complessanti, sempre per prevenire la degradazione del principio attivo. Possono essere utilizzati dei conservanti: benzalconio cloruro, potassio sorbato, metilidrossibenzoato Infine, possono essere utilizzati agenti viscosizzanti e gelificanti: cellulosa, CMC, carbopol; per aumentare il tempo di residenza della preparazione sulla mucosa nasale. Si preferisce, se c’è la possibilità, utilizzare la preparazione semisolida rispetto alla liquida poiché prolunga il tempo di contatto del principio attivo alla mucosa nasale. RINAZINA SPRAY NASALE 1 ml di soluzione contiene: - Principio attivo: nafazolina nitrato 1 mg, pari a nafazolina 0,77 mg 136