tecnologia-farmaceutica-i

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TECNOLOGIA e LEGISLAZIONE FARMACEUTICA I
Prof. Cerchiara
ART. 32 della Costituzione della Repubblica italiana: “LA REPUBBLICA TUTELA LA
SALUTE COME FONDAMENTALE DIRITTO DELL’INDIVIDUO E INTERESSE DELLA
COLLETTIVITA’, E GARANTISCE CURE GRATUITE AGLI INDIGENTI. NESSUNO PUO’
ESSERE OBBLIGATO A UN DETERMINATO TRATTAMENTO SANITARIO SE NON PER
DISPOSIZIONE DI LEGGE. LA LEGGE NON PUO’ IN NESSUN CASO VIOLARE I LIMITI
IMPOSTI DAL RISPETTO DELLA PERSONA UMANA.”
Evidenzia come la salute dei cittadini è un bene fondamentale e per questo motivo lo
Stato ed a cascata le regioni e i comuni organizzano una complessa reti di servizi
sanitari (medici di base, ospedali, varie cliniche).
Il farmacista rientra in questo quadro perché la farmacia ed il farmacista riveste un
ruolo di intermediario tra il paziente ed il sistema sanitario. Quindi il farmacista, in
quanto operatore sanitario, è responsabile della tutela della salute della collettività.
Ovviamente, tutelare la salute è importante perché permette di garantire il benessere
delle persone e quindi una qualità della vita migliore.
 SALUTE
 BENESSERE
 QUALITA’ della VITA
Inoltre, la farmacia ed il farmacista rappresentano il primo punto di riferimento, il
primo interlocutore che il paziente contatta per piccoli incidenti (ad es. un banale
raffreddore). Il farmacista, in base alla competenza e professionalità, valuta se è il
caso di indirizzare il paziente al medico o ad altre strutture. Può anche risolvere al
paziente alcuni dubbi sulla modalità di assunzione di
alcuni farmaci, sul dosaggio e sulla prevenzione della
salute = rappresenta un PRESIDIO di SALUTE sul
TERRITORIO.
La farmacia di oggi, rispetto alla farmacia del passato, si
è evoluta proprio per venire incontro alle esigenze dei
diversi pazienti e per tutelare al massimo la salute della
collettività.
Infatti, è diventata la FARMACIA DEI SERVIZI =
possibilità di svolgere delle operazioni in farmacia, come ad esempio la misurazione
della pressione, elettrocardiogrammi o analisi di laboratorio.
Il farmacista può essere definito come ALLENATORE DELLA SALUTE poiché si presta a
guidare il paziente nel caso in cui debba seguire una terapia, e prevenire e mantenere
il benessere delle persone che vogliono mantenere un buono stato di salute.
In futuro (2030 descritto da alcuni farmacisti dell’Unione Europea) il farmacista deve:
-
Assicurare la qualità della cura e la sicurezza del paziente aumentando i servizi
e comunicando con il paziente, guidandolo alla somministrazione corretta dei
diversi medicinali che gli vengono consegnati
1
-
-
Migliorare la salute pubblica effettuando screening sanitari o migliorare la
gestione dei farmaci
Garantire l’accesso ai farmaci, disponibilità in alcuni Paesi europei di far
accedere ai farmacisti alla cartella clinica del paziente in modo tale che si
possano monitorare e controllare i diversi farmaci che il paziente sta assumendo
Contribuire alla sostenibilità del sistema sanitario nazionale fornendo servizi
farmaceutici innovativi ed efficaci in maniera tale da sgravare gli ospedali da
alcuni impegni
Requisiti che verranno sempre richiesti al farmacista:

COMPETENZA e PROFESSIONALITA’: i pazienti entreranno perché sono
sicuri di trovarsi di fronte una figura competente e professionale che li sappia
aiutare e guidare nella scelta del medicinale (in caso di un banale raffreddore) o
che li guidi nella somministrazione di farmaci particolare che gli sono stati
prescritti.
Questi requisiti si acquisiscono studiando = competenze nell’area biologica, chimica,
tecnologia farmaceutica ed in farmacologia.
Tutte le materie che noi stiamo studiando possono essere immaginate come delle
tessere che ci permetteranno di costruire e realizzare un puzzle dinamico, non
definitivo. La laurea non sarà il punto finale, ma sarà il punto di partenza per i futuri
aggiornamenti poiché la scienza si evolve e va avanti.
Tecnologia farmaceutica sarà la materia che ci accompagnerà tutti i giorni nella
professione di farmacista. È una materia che si trova ogni qualvolta si dispensa un
medicinale e si va a leggere il foglietto illustrativo dove ci sarà una parte che riguarda
appunto la tecnologia farmaceutica.
La parte che interessa la tecnologia farmaceutica più da vicino comprende la
COMPOSIZIONE, la FORMA FARMACEUTICA E CONTENUTO ed il TITOLARE
DELL’AUTORIZZAZIONE.
2
La TECNOLOGIA FARMACEUTICA si occupa della preparazione di una
forma farmaceutica e dei relativi controlli.
La parte di LEGISLAZIONE FARMACEUTICA ci aggiornerà su tutte le
leggi che regolamentano i medicinali, quindi sia la legislazione italiana
che europea.
Il linguaggio della tecnologia comprende:
 MEDICINALE o PRODOTTO MEDICINALE: ogni sostanza o associazione di
sostanze presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle
malattie umane oppure ogni sostanza o associazione di sostanze che può essere
utilizzata sull’uomo o somministrata all’uomo allo scopo di ripristinare,
correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un’azione
farmacologica, immunologica o metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi
medica.
DECRETO LEGISLATIVO 24 aprile 2006, n. 219 (Entrato in
vigore il 6-7-2006). Attuazione della direttiva 2001/83/CE
(e successive direttive di modifica) relativa ad un codice
comunitario concernente i medicinali per uso umano,
nonché della direttiva 2003/94/CE. (GU n.142 del 21-62006 - Suppl. Ordinario n. 153). Questo decreto legislativo
non menziona per niente la parola farmaco, quindi bisogna parlare in termini di
medicinale.
3
Ogni medicinale è costituito da una forma farmaceutica, da un contenitore primario,
da un foglietto illustrativo e da un contenitore secondario.

FORMA FARMACEUTICA: a sua volta è costituita dal
principio attivo o farmaco e da uno o più eccipienti. La
forma farmaceutica ci permette di ottimizzare l’effetto
terapeutico del principio attivo, ci permette di ridurre gli
effetti collaterali e ci permette di direzionare il principio
attivo al sito d’azione. È la presentazione del farmaco in
seguito a trasformazione che lo rende idoneo ad un certo
tipo di somministrazione. Alcuni esempi di forme farmaceutiche sono: capsule,
compresse, granulati, ovuli, sospensioni, supposte, sciroppi e compresse
rivestite con film.
-
PRINCIPIO ATTIVO o FARMACO o SOSTANZA MEDICINALE: è la
sostanza che possiede l’attività terapeutica, diagnostica o preventiva.
-
ECCIPIENTI: sostanze inerti dal punto di vista farmacologico (non hanno
quindi attività terapeutica), sono dei componenti che vengono utilizzati per
poter realizzare la forma farmaceutica. La loro funzione è quella di poter
operare come veicolo del principio attivo, facilitando l’allestimento della
preparazione, contribuendo alle caratteristiche del prodotto. Infatti, grazie
alla presenza degli eccipienti, è possibile proteggere il principio attivo,
migliorarne la stabilità del profilo biofarmaceutico e le proprietà
organolettiche.
Classificazione delle forme farmaceutiche
4
Ci sono forme farmaceutiche
che rilasciano il principio
rapidamente (voltaren fast)
oppure forme farmaceutiche
retard in quanto il principio
attivo viene rilasciato più
lentamente nel tempo.
Un’altra classificazione può essere fatta in base al rilascio del principio attivo:


Forme farmaceutiche CONVENZIONALI a RILASCIO IMMEDIATO
Forme farmaceutiche NON CONVENZIONALI o a RILASCIO MODIFICATO: a rilascio
prolungato, a rilascio ritardato (ripetuto o pulsante) e a rilascio accelerato
Un’ulteriore classificazione è:

Forma farmaceutica a SINGOLA DOSE: suddivisioni unitarie del prodotto
medicinale che possono essere realizzate dal farmacista o su scala industriale.
Vantaggi: precisione del dosaggio, facilità d’impiego, protette e conservate
individualmente e facile identificazione di ciascuna unità. Un esempio sono le
varie compresse presenti nel blister.

Forma farmaceutica a DOSI MULTIPLE: misurazione diretta della dose prescritta
da parte dell’utilizzatore. Es.: sciroppi, soluzioni, polveri. Vantaggi: possibilità di
adattare la posologia a ogni individuo Svantaggi: mancanza di precisione della
misurazione. Strumenti utilizzati per dosare: cucchiaini, contagocce o misurini
inseriti direttamente nelle confezioni.
Esiste un modo di classificare le forme farmaceutiche ufficiali ed è presente nella
farmacopea italiana 12° edizione (edizione attualmente vigente).
Forme farmaceutiche IN BASE
A USO SPECIFICO:
Forme farmaceutiche per USO
CUTANEO:
Preparazioni auricolari
Preparazioni farmaceutiche
pressurizzate
Preparazioni nasali
Preparazioni oftalmiche
Preparazioni parenterali
Preparazioni per inalazione
Preparazioni per irrigazione
Preparazioni rettali
Preparazioni vaginali
Tamponi medicati
Bastoncini
Cerotti transdermici
Liquidi per applicazione cutanea
Polveri per uso topico
Schiume medicate
Forme farmaceutiche
ORALI:
Capsule
Compresse
Gomme da masticare
medicate
Granulati
Preparazioni a USO
La direttiva europea parla di medicinali che possono essere Liquidi per uso orale
VETERINARIO
fabbricati sia dall’INDUSTRIA FARMACEUTICA sia dalla FARMACIA. Polveri per uso orale
5
In entrambi i casi ai medicinali deve essere assicurata EFFICACIA, SICUREZZA e
QUALITA’.
Dall’industria farmaceutica vengono prodotti dei medicinali pre-confezionati e per la
produzione è richiesta l’autorizzazione alla produzione (AP) e l’autorizzazione
all’immissione sul mercato (AIC).
In farmacia possono essere allestiti due tipi di medicinali:
 Preparati MAGISTRALI: medicinali preparati direttamente in farmacia in
base a prescrizione medica e destinati a un determinato paziente.
 Preparati OFFICINALI: preparati in farmacia, sia quelle aperte al pubblico
che quelle ospedaliere, in base alle indicazioni riportate nella Farmacopea
Ufficiale.
Questi preparati sono quelli che noi prepareremo in laboratorio.
FARMACOPEA UFFICIALE ITALIANA XII ed.
Approvata con Decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle
politiche sociali il 3 dicembre 2008 ed è in vigore dal 31 marzo
2009.




Strumento per il controllo della qualità dei medicinali
Disposizioni a regolare l’esercizio della farmacia
Inserimento di Tabelle che riportano delle sostanze per le quali
esistono delle normative specifiche per la loro dispensazione e
per il loro utilizzo nelle preparazioni magistrali e officinali
Norme di Buona Preparazione dei medicinali in farmacia
Testo obbligatoriamente presente in farmacia ed ostensibile al pubblico.
La Commissione permanente per la revisione e la
pubblicazione della FU ha sede presso l’Istituto
Superiore di Sanità. Il presidente di questa
commissione è proprio il presidente dell’Istituto
Superiore di Sanità. Il compito di questa
commissione è quello di interfacciarsi con la
Commissione Europea di Farmacopea e con gli
organismi nazionali e sopranazionali del Settore. Al
tavolo possono partecipare anche i rappresentanti
delle diverse commissioni dei farmacisti per poter
revisionare, aggiornare e quindi pubblicare la FU.
Viene stampato dal poligrafico dello stato e
dovrebbe essere aggiornata ogni 5 anni.
6
7
Tabelle della FU XII ed.
Oltre alle monografie, nella Farmacopea Ufficiale sono riportate delle tabelle.
Al momento sono riportate 8 tabelle:

Tabella 1: MASSE ATOMICHE RELATIVE. Riporta tutte le masse atomiche
relative. È importante perché se il farmacista deve allestire un medicinale ed ha
bisogno di fare dei calcoli, può fare riferimento alla farmacopea e quindi alla
tabella 1 per conoscere il peso molecolare delle diverse sostanze.

Tabella
2:
TABELLA
DELLE
SOSTANZE
MEDICINALI DI CUI LE FARMACIE DEVONO
ESSERE
PROVVISTE
OBBLIGATORIAMENTE.
Elenco di sostanze ampiamente utilizzate o di prodotti
indispensabili in situazioni di emergenza su cui il medico
può fare sempre affidamento. Questa tabella utilizza due
caratteri: il carattere RETTO per fare riferimento alle
sostanze che devono essere tenute in farmacia come
8
sostanza o dispositivo medico ed il carattere CORSIVO per sostanze che devono
essere tenute in farmacia come sostanza o prodotto medicinale.

Tabella 3: TABELLA DI SOSTANZE LE CUI MONOGRAFIE SONO
NELLA FARMACOPEA UFFICIALE DA TENERE IN ARMADIO CHIUSE
A CHIAVE. È un elenco non esaustivo ma indicativo poiché questo elenco può
anche essere ampliato e qui è il farmacista che può decidere se inserire una
determinata sostanza sotto chiave. Questa tabella veniva prima indicata come
tabella dei veleni, ma a seguito dell’aggiornamento della tariffa dei medicinali
non viene più classificata così poiché rientrano altre sostanze che sono state
classificate dal GHS (organismo che valuta la pericolosità delle sostanze
chimiche attribuendo alle sostanze dei codici di pericolosità). Le sostanze che
sono letali per la salute umana sono codificate con H300 = sostanza letale se
ingerita, H310 = sostanze letale a contatto con la pelle e H330 =
sostanza letale per inalazione. La manipolazione di queste sostanze da
parte del farmacista fa sì che nella compilazione delle etichette aggiunga, oltre
al costo della preparazione, un diritto addizionale proprio per la manipolazione e
l’utilizzo di queste sostanze.

Tabella
4:
ELENCO
DEI
PRODOTTI
CHE IL FARMACISTA NON PUO’ VENDERE SE NON DIETRO A
PRESENTAZIONE DI RICETTA MEDICA.

Tabella 5: ELENCO DEI PRODOTTI CUI LA VENDITA S’
SUBORDINATA A PRESENTAZIONE DI RICETTA MEDICA DA
RINNOVARE VOLTA PER VOLTA E DA RITIRARE DAL FARMACISTA.
9

Tabella 6: APPARECCHI ED UTENSILI OBBLIGATORI IN FARMACIA ,
quindi tutte le attrezzature.

Tabella
SOSTANZE
AZIONE
7:
E
ELENCO
DELLE
PREPARAZIONE
AD
PSICOTROPA che è
suddivisa
in
tabella I, II, III e IV.
Contiene quindi tutte le sostanze sottoposte a vigilanza e controllo. È
ulteriormente suddivisa in 5 sezioni: A, B, C, D ed E dove sono elencate le
sostanze e preparazioni il cui uso terapeutico è lecito nel rispetto delle norme
contenute nella legge.
10

Tabella 8: DOSI DEI MEDICINALI PER L’ADULTO OLTRE LE QUALI IL
FARMACISTA NON PUO’ FARE LA SPEDIZIONE, SALVO IL CASO DI
DICHIARAZIONE SPECIALE DEL MEDICO.
Permette di controllare i dosaggi della prescrizione medica prima di spedire. Il
farmacista deve controllare se il medico
ha scritto la ricetta in modo corretto e
consultando la tabella 8 si verifica se il
dosaggio scritto dal medico è corretto,
o comunque rientra in questa tabella.
Altrimenti, non si può spedire la ricetta,
a meno che il medico non riporta sulla
ricetta il cosiddetto “sic volo”.
La Farmacopea, oltre a monografie e tabelle, riporta le NORME DI BUONA
FABBRICAZIONE DEI MEDICINALI IN FARMACIA: le linee guida tecniche che il farmacista
deve seguire per poter allestire i medicinali che siano di qualità, efficaci e sicuri.
Queste norme sono state aggiunte ufficialmente a partire dalla IX ed.
I punti essenziali delle norme sono:
- Generalità
- Gestione della qualità in Farmacia
- Personale
- Laboratorio e attrezzature
- Documentazione in Farmacia
- Materie prime
- Operazioni di preparazione
- Controllo di qualità del preparato
Confezionamento ed
etichettatura
- Stabilità del preparato: permette
di stabilire la data di scadenza
del preparato
- Aspetti microbiologici dei
preparati
- Contratti esterni
- Glossario
Oltre alla Farmacopea Ufficiale italiana bisogna consultare la Farmacopea Europea
poiché l’Italia ha deciso di mantenere la propria farmacopea, ma si deve consultare
anche quella europea che è arrivata alla X ed. in vigore dal 1 gennaio 2020. Riporta
2426 monografie, 372 testi generali (incluse le monografie generali ed i metodi di
analisi) e circa 2780 descrizioni di reagenti.
-
11
Esempio di monografia di materia prima descritta nella farmacopea Europea
Quindi i testi ufficiali che il farmacista può utilizzare nell’allestimento di un preparato
sono la Farmacopea Europea, la Farmacopea Italia e altri testi come ad esempio il
Medicamenta. Il Medicamenta è costituito da 7 volumi, una parte generale ed una
parte monografica dove vengono descritte tutte le informazioni relative a principi attivi
ed eccipienti (proprietà chimico-fisiche, saggi di purezza, proprietà farmacologiche,
12
farmacocinetica, indicazioni terapeutica, alcune ricette di preparazioni già riportate in
passato).
13
La FORMA FARMACEUTICA è un sistema costituito da un principio attivo e da uno o più
eccipienti.
Il tecnologo farmaceutico valuta diversi fattori per arrivare alla forma farmaceutica
sicura ed efficace.
Bisogna valutare 3 diversi aspetti:
1. Fattori biofarmaceutici: sistema ADME e vie di somministrazione
2. Proprietà chimico-fisiche del principio attivo
3. Indicazioni terapeutiche per le quali la forma farmaceutica deve essere efficace
(valuterà la malattia e gli aspetti relativi al paziente)
BIOFARMACEUTICA
Insieme dei processi che il farmaco subisce dopo essere stato somministrato. Il viaggio
del principio attivo all’interno dell’organismo.
ADME
ASSORBIMENTO – DISTRIBUZIONE – METABOLIZZAZIONE - ESCREZIONE
Insieme di tutti i processi che il principio attivo subisce dopo essere stato
somministrato nell’organismo.
14
Attraverso la via endovenosa il principio arriva direttamente in circolo. Per tutte le
altre vie il principio attivo deve superare delle barriere per poter arrivare poi al flusso
sanguigno.
Per la via orale e rettale i farmaci possono subire dei processi di metabolizzazione a
livello del fegato dove vengono trasformati in composti attivi, meno attivi e non attivi.
Quando il farmaco ha raggiunto il sistema circolatorio viene distribuito ed arriva al
punto in cui esplica la sua attività terapeutica. Dopodiché viene metabolizzato ed
eliminato attraverso i reni.
All’acronimo ADME si aggiunge la lettera L
che significa LIBERAZIONE, rilascio del
principio attivo dalla formulazione (a cui
dopo seguono gli altri processi) = L-ADME
ASSORBIMENTO
L’assorbimento è il passaggio del principio attivo
attraverso le membrane biologiche costituite da un
doppio strato fosfolipidico, da proteine, glicoproteine, da
pori che permettono il passaggio di piccole molecole e
colesterolo.
L’assorbimento del farmaco può avvenire attraverso vari meccanismi:
15
Nell’ENDOCITOSI (a sx) la membrana si
“introflette” per circondare le macromolecole
da inglobare e in seguito si forma una
vescicola contenente le macromolecole;
questa vescicola penetra quindi all’interno
della cellula (“staccandosi” dalla membrana),
per poi liberare le sostanze che ha al suo
interno.
Nell’ESOCITOSI (a dx) una vescicola contenete il materiale da espellere
(macromolecole) si avvicina alla membrana cellulare, si fonde con essa per poi
riversare all’esterno il suo contenuto.
DIFFUSIONE PASSIVA
La diffusione consiste nel movimento della sostanza da una zona ad ALTA
concentrazione a una zona a BASSA concentrazione.




Non è saturabile
Non è inibito da altri composti
Non richiede energia
La velocità di trasporto è determinata:
- Proprietà chimico-fisiche del principio attivo (coefficiente di partizione)
- Dalla natura della membrana
- Gradiente di concentrazione attraverso la membrana
16
dm/dt = DS (K1C1) /x
dm/dt = PSC1
D = coefficiente di diffusione
C = concentrazione del principio attivo all’inizio della somministrazione
In caso di somministrazione di una compressa il principio attivo deve essere liberato.
Per poter raggiungere la circolazione sanguigna deve superare la membrana
intestinale. Il farmaco si deve ripartire tra l’intestino e la membrana (1° partizione), poi
tra membrana e sangue (2° partizione).
La diffusione passiva si può schematizzare tramite la I LEGGE DI FICK: la velocità
con cui il principio attivo viene assorbito nel tempo dipende da diversi fattori che
vengono riassunti in una costante di permeabilità P. Questi fattori comprendono il
coefficiente di diffusione, la superficie del farmaco che si dissolve, il gradiente di
concentrazione iniziale del principio attivo e dalla concentrazione del farmaco che
raggiunge il sangue. Tutto questo poi va diviso per lo spessore della membrana.
Il viaggio del farmaco continua distribuendosi nei
tessuti e organi. Dopo aver esplicato la sua attività
il farmaco viene eliminato.
METABOLISMO dei FARMACI
17
I farmaci sono esposti a reazioni catalizzate da enzimi che modificano la loro struttura.
La maggior parte delle reazioni avvengono nel fegato.
Le reazioni metaboliche di fase I comportano tipicamente l’addizione o lo
smascheramento di un gruppo funzionale polare. Gli enzimi citocromo P450 presenti
nel fegato svolgono importanti reazioni ossidative di fase I.
Le reazioni metaboliche di fase II comportano tipicamente l’addizione di una
molecola fortemente polare ad un gruppo funzionale. I coniugati risultanti sono più
facilmente eliminati.
ELIMINAZIONE dei FARMACI
Sebbene l’eliminazione dei farmaci possa avvenire attraverso il sudore, l’aria
esalata o la bile, è attraverso i reni che avviene la maggiore eliminazione. I reni
filtrano il sangue in modo che i farmaci e i loro metaboliti entrino nei nefroni. Mentre le
sostanze non polari sono riassorbite nel circolo sanguigno, le sostanze polari sono
trattenute nei nefroni ed eliminate nell’urina.
VIE di SOMMINISTRAZIONE

Via RETTALE: supposte, capsule rettali di gelatina,
micro e macroclismi. Risulta alternativa alla via orale
quando questa sia sconsigliata a causa di nausea o
vomito, malattie, modificanti l’assorbimento dei
farmaci nel tratto GI superiore, degradabilità del
farmaco nei fluidi, digestivi o interferenze del cibo con
l’assorbimento, rilevante effetto di primo passaggio,
caratteristiche organolettiche sfavorevoli.

Via PARENTERALE: consente al principio attivo di
arrivare rapidamente nella circolazione sanguigna
determinando
un'azione
farmacologica
rapida.
Permette di evitare il passaggio dal tratto
gastrointestinale, ed è quindi indicata per quei farmaci
che vengono inattivati nello stomaco o nell'intestino.
- endovenosa,
intramuscolare
e
sottocutanea
permettono di avere un effetto sistemico
- intradermica,
intrarteriosa,
intratecale,
interarticolare,
intrapleurica
e
intracardiaca
permettono di avere un effetto locale

TRANSDERMICA:
creme e paste

Via RESPIRATORIA: I polmoni offrono un’eccellente
superficie per l’assorbimento quando il farmaco è
rilasciato in forma gassosa, nebulizzato o come
particelle solide ultrafini.
18
Forme
farmaceutiche:
unguenti,

VIA ORALE
Forme farmaceutiche:
sospensioni.
polveri,
capsule,
compresse,
gocce
orali,
sciroppi
e
È la via più conveniente per accedere alla circolazione sistemica, ma presenta alcuni
svantaggi quali:



eventuale metabolizzazione del farmaco dovuta all’effetto di primo passaggio
possibile degradazione del farmaco ad opera dei fluidi e della flora batterica del
tratto GI
Influenza di altre variabili rilevanti nel tratto GI (variazioni del pH, concomitante
presenza di cibo, peristalsi, etc.) sull’assorbimento del principio attivo
È la più utilizzata per semplicità, sicurezza, basso costo



richiede collaborazione da parte del paziente
assorbimento: soprattutto a livello intestinale
effetti: la comparsa dell’effetto dipende dalle caratteristiche del farmaco
(principio attivo)
Fattori fisiologici che influenzano l’assorbimento della via orale:
1. Area superficiale del tratto gastrointestinale: le superfici di assorbimento
dello stomaco, dell’intestino tenue e del colon differiscono significativamente.
Tali differenze producono variazioni nella velocità e nella quantità di farmaco
assorbito dalle diverse regioni anatomiche.
La presenza nella mucosa di pieghe, villi e microvilli è responsabile della
maggior area superficiale effettiva disponibile all’assorbimento dell’intestino tenue.
Di conseguenza in questa regione si realizza il massimo assorbimento per la
maggior parte dei p.a., nonostante il pH dei fluidi intestinali non sempre risulti
ottimale all’assorbimento di tutti i p.a.
2. Area superficiale del tratto gastrointestinale: l’intestino tenue è la regione più
importante per assorbimento mediante trasporto attivo in quanto in esso si ha
la maggior localizzazione di carrier.
3. pH dei fluidi gastrointestinali
4. Velocità di transito gastrointestinale
5. Influenza del cibo e della dieta: l’assunzione di cibo in concomitanza con la
somministrazione di un p.a. può variarne in senso sia positivo che negativo la
velocità e l’entità dell’assorbimento.
6. Stati patologici: patologie locali possono causare alterazioni del pH gastrico.
Operazioni chirurgiche a carico dello stomaco possono causare variazioni nella
biodisponibilità dei p.a.
Le vie di somministrazione, insieme all’ADME, formano la biofarmaceutica.
PROPRIETA’ CHIMICO-FISICHE dei principi attivi
19
Il tecnologo farmaceutico deve valutare nella preparazione della forma farmaceutica le
proprietà chimico-fisiche dei principi attivi poiché influenzano la biodisponibilità una
volta che viene somministrato e sono utili per ottenere prodotti stabili ed efficaci, da
cui dipende appunto la biodisponibilità.
Biodisponibilità dipende:
 dalla quantità totale di farmaco ceduto dalla forma farmaceutica che
raggiunge inalterato il circolo sistemico a seguito dei fenomeni di assorbimento
 dalla velocità con cui la quota di farmaco disponibile arriva al sito d’azione (da
cui dipende poi l’effetto del principio attivo)
SOLUBILITA’: principio attivo più o meno solubile. Si valuta anche se si può migliorare
la solubilità di un principio attivo con delle strategie oppure se si deve abbandonare
l’idea di preparare una certa formulazione con quel principio attivo.
DISSOLUZIONE: processo fisico con il quale una sostanza si scioglie in un dato
solvente per formare una soluzione. È un processo visibile tutti i giorni, ad esempio
quando si scioglie il sale o lo zucchero nell’acqua.
Sono necessari dei dati per poter esprimere questo valore dal punto di vista
matematico.
La
particella
solida
deve
cominciare a dissolversi. Si forma
lo strato diffusionale dove la
concentrazione del farmaco è
allo stato saturo. Poi le molecole
si distribuiscono in tutta la
soluzione di farmaco.
Si avranno due concentrazioni:
una vicina alla particella solida
ed una più bassa a livello del
fondo del recipiente.
La concentrazione di saturazione
permette di descrivere la velocità
di dissoluzione = EQUAZIONE DI
NOYES-WHITNEY. La velocità del
principio attivo che dissolve nel
tempo è uguale a K (costante di
velocità di dissoluzione) ad S e a
CS. Dalla velocità è possibile
ricavarsi la massa che dipende
dalla
superficie
e
dalla
concentrazione
del
principio
attivo che dissolve.
K = D / h costante di velocità di
dissoluzione
20
S superficie del solido che dissolve
Cs concentrazione di saturazione
del principio attivo nell’ambiente
di dissoluzione
Il farmaco rilasciato dalla soluzione 1 dissolve più velocemente. Si può aumentare il
valore giocando su questi due parametri e cioè superficie e concentrazione di
saturazione.
La superficie si può aumentare:



micronizzando la polvere, riducendo le dimensioni della polvere che meglio
dissolve
utilizzando il principio attivo amorfo che è più solubile dello stesso principio
attivo in forma cristallina
preparando delle dispersioni solide = il principio attivo è disperso sulla
superficie di materiali ad elevata area superficiale.
- MACINAZIONE: il farmaco viene macinato assieme ad un materiale ad
elevata area superficiale perdendo le sue caratteristiche di cristallinità ed
adsorbendosi su tale supporto
-
EVAPORAZIONE DEL SOLVENTE: il farmaco viene depositato in forma
micronizzata sulla superficie del supporto
La concentrazione di saturazione si può aumentare:

SALIFICAZIONE: un sale è più solubile di un acido e per questo è
maggiormente preferibile utilizzarlo

COMPLESSAZIONE:
utilizzo di molecole
particolari,
dette
CICLODESTRINE,
oligosaccaridi
ciclici prodotti dalla
degradazione
enzimatica.
Sono
caratterizzate dalla
presenza di glucosi
legate.
Le
tre
naturali sono: che si differenziano tra di loro per le unità di glucosio. Da queste
naturali sono state poi derivate le ciclodestrine sintetiche (per modificazioni
chimiche dei gruppi OH) con particolari caratteristiche.
21
Per la loro caratteristica struttura permettono di aumentare la solubilità del principio
attivo poco solubile.
Le ciclodestrine assumono la forma di un toroide (a tronco di cono) in cui gli OH
primari del glucosio sono posti nella parte terminale più stretta mentre gli OH
secondari sono posizionati intorno all’apertura più ampia. La cavità interna è chirale ed
ha proprietà idrofobiche, la superficie esterna invece ha caratteristiche idrofiliche.
Hanno una forma a tronco di cono caratterizzata da una cavità idrofobica ed una
superficie esterna idrofilica; per questo riescono a complessare, a formare il complesso
di inclusione con un farmaco lipofilo (poco solubile). Lo intrappolano all’interno della
cavità e si migliora la solubilità del principio attivo.
Per vedere se la ciclodestrina migliora la solubilità del principio attivo, in laboratorio, il
tecnologo farmaceutico deve fare delle prove = diagrammi di fase-solubilità.
Si parte da una serie di matracci nei quali viene aggiunto il farmaco alla
concentrazione di saturazione. Nel primo solo il farmaco, nel secondo farmaco e
ciclodestrina e così via aumentando la concentrazione di ciclodestrina. Poi i matracci si
mettono in agitazione per diverso tempo. Successivamente si va a titolare il principio
attivo dei matracci che vengono riportati su un grafico (diagramma).
Nel grafico viene indicato con L il
legante
o
complessante
(ciclodestrina). Nel caso in cui non
si osserva alcun aumento della
solubilità del farmaco si ha una
retta parallela all’asse delle x e
quindi non si è formato il
complesso
di
inclusione
tra
farmaco e ciclodestrina. Si parte
da F0 perché nel primo matraccio è
presente solo il farmaco alla concentrazione di saturazione.
22
Nel diagramma di tipo A si riscontra un aumento della solubilità del farmaco in quanto
si forma il complesso di inclusione tra farmaco e ciclodestrina. Questo complesso però
non raggiungerà mai la concentrazione e si formerà un complesso solubile,
sfavorevole poiché non si riesce ad isolare nello stato solido.
Il diagramma di tipo B presenta un andamento diverso = formazione di un complesso
a limitata solubilità. Nel tratto AB ci ricorda molto il diagramma di tipo A poiché si
osserva un aumento della solubilità del principio attivo per formazione del complesso
che non rimane solubile in soluzione per sempre. Nel tratto BC anche il complesso
raggiunge la concentrazione di saturazione (retta parallela all’asse delle x). Al punto C
finisce tutto il farmaco solido e comincia a precipitare il complesso che viene
recuperato nel punto D dove scompare l’ultima molecola di farmaco in soluzione, a
questo punto si può isolate e formare un preparato nella specifica forma farmaceutica.
Il punto D si trova al di sopra del punto che indica la concentrazione di saturazione del
farmaco, quindi del punto della solubilità iniziale del farmaco = il complesso ottenuto
ha una solubilità maggiore rispetto al farmaco di partenza.
Se si ottiene un punto D inferiore al punto A non si è migliorata la situazione del
principio attivo → per il tecnologo farmaceutico è NECESSARIO CHE IL PUNTO D
SIA AL DI SOPRA DEL PUNTO A, perché significa che il complesso che si è
formato ha una solubilità maggiore del farmaco di partenza.
23
Una volta che il tecnologo è riuscito a preparare il complesso utilizzando una certa
ciclodestrina per migliorare il principio attivo va a fare il SAGGIO DI DISSOLUZIONE
(richiesto dalla farmacopea ufficiale) che permette di vedere come il farmaco viene
rilasciato dalla forma farmaceutica.
Svolgerà il saggio sul farmaco da solo, sul farmaco con la ciclodestrina e andrà a
valutare la dissoluzione del complesso ottenuto.
Il farmaco posto nell’ambiente di dissoluzione (provetta) viene lasciato per un certo
tempo e poi titolato (analizzato) per riportare il dato in un grafico.
Il farmaco da solo, nello strato diffusivo, raggiungerà la concentrazione di saturazione
per poter poi essere distribuito nell’ambiente di dissoluzione ad una più bassa
concentrazione. Se si va a valutare la solubilità del principio attivo è rappresentata dal
solo farmaco alla concentrazione di dissoluzione (che deriva dal fatto che il farmaco
solido passato in soluzione nello strato diffusivo si trova alla concentrazione di
saturazione).
Nello strato diffusivo la ciclodestrina rimane come tale e non raggiunge la
concentrazione di saturazione.
Nello strato diffusivo, aggiungendo la ciclodestrina, unendosi formano il complesso e la
solubilità del farmaco + ciclodestrina sarà data dal farmaco alla concentrazione di
saturazione più il complesso.
Il complesso si avrà alla concentrazione di saturazione e poi si potrà dissociare in
farmaco + ciclodestrina ed in questo caso si avrà la solubilità totale data dal
complesso alla concentrazione di saturazione + il farmaco da solo.
Volendolo rappresentare graficamente si hanno sempre gli assi cartesiani con massa in
funzione del tempo e si avranno tre linee:



la prima dal basso = farmaco F
la centrale = F + L
quella sopra maggiore = F-L farmaco complessato, che è più solubile rispetto al
farmaco di partenza
24
In questo modo sono rappresentati i dati di uno studio di dissoluzione, quindi il
complesso dissolve più velocemente rispetto ad F e ad F+L; quindi è vantaggioso
utilizzare questo complesso.
Questi profili di dissoluzione sono importanti per valutare i nuovi prodotti delle varie
aziende.
Il farmaco viene bloccato per formazione del complesso di inclusione che presenta la
superficie esterna idrofilica ed il farmaco può essere assorbito. Il complesso, però, per
le sue dimensioni non riesce a superare la membrana e per questo deve essere in
grado di dissociarsi rilasciando il principio attivo vicino alla membrana.
Bisogna determinare la costante di formazione del complesso Kf che si calcola dalla
concentrazione del complesso.
25
Il numero risultante non deve essere né troppo basso né troppo alto. Se il numero è
troppo basso significa che il complesso non si è formato, mentre se il numero è troppo
alto significa che il complesso non è in grado di dissociarsi e quindi il farmaco non può
essere assorbito in quanto la ciclodestrina non riesce a liberare il farmaco.

MICELLAZIONE: la solubilità di un farmaco che è
normalmente insolubile o poco solubile in acqua può essere
migliorata dall’aggiunta di tensioattivi che lo inglobano,
favorendo le interazioni soluto-solvente. I tensioattivi sono
caratterizzati da una parte idrofila ed una parte
lipofila. Quando vengono a contatto con l’acqua
la parte idrofila si dispone verso l’acqua e quella
lipofila verso l’aria.
Questa disposizione si mantiene fino a quando il
tensioattivo raggiunge la CONCENTRAZIONE
MICELLARE CRITICA alla quale si forma la prima
micella (forma sferica dove le code lipofile sono verso l’interno, mentre le teste
idrofile sono verso l’esterno e quindi verso l’acqua).
I tensioattivi vengono classificati dal punto di vista chimico in: IONICI, CATIONICI
e NON IONICI.
Essendo
presente
nel
tensioattivo la coda lipofila
e la testa idrofila è
importante determinare il
rapporto della presenza
della
parte
lipofila
e
idrofila
=
HLB
=
BILANCIO IDROFILICO
LIPOFILICO
del
tensioattivo. Si considera il
peso molecolare della sola
parte
idrofila
del
tensioattivo diviso 5. È
una scala di valori che va
da 0 a 20 in modo da verificare se prevale la porzione lipofilica o idrofilica.
0-10 = tensioattivi LIPOFILI
26
10-20 = tensioattivi IDROFILI
Il tecnologo farmaceutico prende una serie di matracci in cui metterà il farmaco
alla concentrazione di saturazione, nel secondo il farmaco alla concentrazione di
saturazione con il tensioattivo e successivamente aggiunge il tensioattiva a
concentrazioni sempre crescenti. Lascerà in agitazione e titolerà.
I dati vengono poi riportati in un grafico. Sull’asse delle ordinate c’è la
concentrazione totale del farmaco, mentre sull’asse delle ascisse la
concentrazione totale del tensioattivo (o micellante).
Nel primo tratto la retta parallela all’asse
delle ascisse significa che il tensioattivo
ancora non aumenta la solubilità del farmaco poiché le micelle ancora non si
sono formate in quanto il tensioattivo non ha raggiunto la concentrazione
micellare critica (CMF).
Nel secondo tratto la solubilità del farmaco aumento fino a un certo punto
(CSF = concentrazione di separazione di fase) dove le micelle da sferiche
si dispongono in doppio strato e non sono più in grado di aumentare la
solubilità del farmaco.
Infatti, nel terzo tratto la retta è parallela poiché si arresta l’aumento della
solubilità per cambiamento della conformazione sterica della micella, da
sferica a lamellare di doppio strato che non riesce più ad inglobare il farmaco.
Successivamente il tecnologo va ad effettuare gli studi di dissoluzione per vedere se è
migliorata la dissoluzione mettendo a confronto il farmaco da solo, il farmaco con il
micellante ed il farmaco micellato. Quindi controlla se il farmaco dissolve
maggiormente una volta micellato rispetto al farmaco da solo.
27
Farmaco da solo: è in equilibrio nello strato diffusivo con la sua forma alla
concentrazione e la solubilità massima è data concentrazione del farmaco alla
concentrazione di saturazione.
Farmaco + micellante: nello strato diffusivo si avrà il farmaco che è in equilibrio con il
la concentrazione di saturazione ed il micellante che è in equilibrio con la sua
concentrazione.
Farmaco micellato: sarà in equilibrio con il farmaco micellato alla concentrazione di
saturazione e si può dissociare formando farmaco + tensioattivo. La solubilità totale
sarà data dalla concentrazione del farmaco alla concentrazione di saturazione più il
sistema farmaco-micellante.
Se si va a rappresentare graficamente lo studio
di dissoluzione ponendo la massa in funzione
del tempo si ottiene che il farmaco micellato
ha una velocità di dissoluzione maggiore
rispetto al farmaco da solo e al farmaco con il
tensioattivo = è MIGLIORATA LA DISSOLUZIONE
POLIMORFISMO: Se si ha un principio attivo
presente sia in forma amorfa che cristallina, il
tecnologo prediligerà la forma amorfa poiché è quella
più solubile. Questo riguarda per i farmaci che sono
presenti in entrambe le formulazioni.
La maggior parte delle forme farmaceutiche rilascia il principio attivo per dissoluzione
per poi venire assorbito.
Nel caso di somministrazione di un
SOLUZIONE:
il
farmaco
viene
rapidamente
assorbito
e
può
manifestare l’effetto terapeutico.
Nel caso di POLVERI E SOSPENSIONI le
particelle vengono sospese e devono
prima dissolvere.
28
Nel caso delle CAPSULE si deve
dissolvere l’involucro che determina la
liberazione degli aggregati (o granuli
contenuti all’interno delle capsule) che
possono
dissolvere
subito
oppure
possono de-aggregarsi (formando delle
particelle solide sospese), poi subire il
processo di dissoluzione e poi venire
assorbite.
Nel caso della COMPRESSA si ha formazione di aggregati o granuli che possono
dissolvere rapidamente e quindi facilmente essere assorbiti, oppure si ha la
disaggregazione con formazione di particelle solide sospese che vanno poi incontro al
fenomeno della dissoluzione dopo di che vengono assorbite.
Se la compressa subisce il processo di disaggregazione si migliore la velocità di
dissoluzione poiché aumenta la superfice della polvere = più le particelle sono fini e
più rapidamente passano in soluzione.
I granuli già dissolvono meglio rispetto alla compressa integra poiché sta aumentando
la superfice. Se i granuli vanno incontro a disgregazione migliora ancora di più la
dissoluzione.
Se nella compressa ci sono degli eccipienti come delle sostanze disaggreganti o
disgreganti permette di aumentare l’area superficiale rendendo sempre più piccole le
particelle per permettere di passare prima in soluzione e determinare il miglioramento
della velocità di dissoluzione = rapido assorbimento e rapido effetto.
Minori sono i fenomeni che il principio attivo deve subire e più rapido sarà
l’assorbimento e quindi l’effetto terapeutico.
Dovendo paragonare una soluzione con una compressa, la
soluzione dà un effetto più rapido rispetto alla compressa
perché nella soluzione il farmaco è già in soluzione ed è
avvantaggiato perché passa nei fluidi gastrointestinali,
viene rapidamente riassorbito e determina un rapido
effetto. La compresse, invece, deve subire vari processi
prima che il farmaco venga assorbito: si deve disaggregare,
poi i granuli anch’essi si disaggregano e poi il farmaco
viene assorbito. Ecco perché quando si somministra una compressa l’effetto è più
ritardato rispetto alla soluzione.
INFLUENZA del pH
29
STABILITA’
PROPRIETA’ ORGANOLETTICHE
BIODISPONIBILITA’
Il prodotto farmaceutico deve essere SICURO, EFFICACE e DI QUALITA’.
Studia l’influenza dei materiali (farmaco, eccipienti, contenitori), del processo di
fabbricazione e della forma farmaceutica stessa sulla liberazione del farmaco e
sulle relazioni fra liberazione e assorbimento.
Biodisponibilità dipende: dalla quantità totale di farmaco ceduto dalla forma
farmaceutica che raggiunge inalterato il circolo sistemico a seguito dei fenomeni di
assorbimento e distribuzione e dalla velocità con cui la quota di farmaco disponibile
arriva al sito d’azione.
Obiettivo della formulazione è quello
di rilasciare il principio attivo che
viene assorbito raggiungendo il
circolo
sanguigno,
dove
viene
distribuito per poi raggiungere il sito
in cui determina l’effetto clinico,
dopo di che verrà eliminato. L’effetto
è dato dalla concentrazione del
farmaco al sito d’azione e dalla
concentrazione del farmaco nel plasma.
biodisponibilità si rappresenta tramite le CURVE CONCENTRAZIONE
PLASMATICA-TEMPO. Consiste nel riportare nelle ordinate la concentrazione del
La
farmaco nel plasma (determinata tramite prelievi su cui viene determinato il principio
attivo) e nelle ascisse il tempo.
FASE DI ASSORBIMENTO
v assorbimento
eliminazione
>
v
distribuzione
+
v
+
v
+
v
CONCENTRAZIONE DI PICCO
v assorbimento
eliminazione
=
v
distribuzione
FASE DI ELIMINAZIONE
v assorbimento
eliminazione
<
v
distribuzione
Nella prima parte della curva (tratto che viene indicato con la fase di assorbimento) la
concentrazione del farmaco nel plasma aumenta ed è possibile paragonarla alla fase
di assorbimento del farmaco nell’organismo, nonostante già la velocità di eliminazione
sia presente (molto bassa).
Nella seconda parte la concentrazione del farmaco comincia a diminuire nel tempo
poiché prevale la fase di eliminazione.
30
La curva presenta un punto = CONCENTRAZIONE DI
PICCO che indica la massima concentrazione del
principio attivo. L’importanza va considerata
all’interno dell’intervallo terapeutico.
L’intervallo terapeutico è compreso tra la minima
concentrazione efficace e la minima concentrazione
tossica.
Se la curva concentrazione plasmatica- tempo
supera la concentrazione tossica non è consigliabile
somministrarla, mentre se si mantiene al di sotto della minima concentrazione efficace
significa che non determina l’effetto terapeutico.
Tmax corrisponde al tempo impiegato dal farmaco per raggiungere la concentrazione
massima. Tanto minore è il T max tanto più rapido sarà l’assorbimento e tanto più veloce
sarà l’effetto. Tanto maggiore è il Tmax tanto più ritardato sarà l’assorbimento e quindi
l’effetto terapeutico.
La formulazione C ha un Tmax molto breve e quindi
l’effetto sarà rapidissimo, ma lo svantaggio è che la
concentrazione
di
picco
supera
la
minima
concentrazione tossica per cui una volta somministrata
determinerà degli effetti tossici = formulazione non
consigliabile.
La formulazione A presenta la concentrazione di picco
che rimane all’interno dell’intervallo terapeutico =
formulazione da consigliare poiché l’effetto durerà per
tutto il tempo in cui la concentrazione si manterrà
nell’intervallo terapeutico.
La formulazione B è da escludere poiché la concentrazione di picco non raggiunge la
minima concentrazione efficace.
L’AUC (area sottesa sotto la curva) permette di misurare la quantità
totale di principio attivo che è stato assorbito ed è arrivato inalterato
nella circolazione sistemica. Quindi rappresenta un dato che il
tecnologo riesce a ricavare dall’area sottesa sotto la curva
concentrazione plasmatica-tempo.
biodisponibilità può essere valutata anche determinando le CURVE DI
ESCREZIONE URINARIA CUMULATIVA per i farmaci per cui è largamente
La
dimostrato che vengono eliminati con le urine e la velocità di escrezione è
proporzionale alla concentrazione di farmaco nel plasma. Assunzione non valida per
farmaci debolmente acidi o basici poiché la
velocità di escrezione dipende dal pH
urinario.
Analogamente alla curva concentrazione
plasmatica-tempo, questa curva presenta
una FASE DI ASSORBIMENTO ed una FASE
DI ELIMINAZIONE.
31
Si possono mettere a confronto tre formulazioni che presentano la stessa dose di
farmaco e che sono somministrate per la stessa via:
l’AUC della formulazione A è uguale all’AUC della formulazione
B, mentre l’AUC di C è la metà di quello di A. Sia la formulazione
A che B manifestano l’effetto terapeutico all’interno
dell’intervallo terapeutico; le differenze che si possono avere è
che la A è più rapida rispetto alla B.
La velocità di assorbimento è maggiore per A che per B che
raggiungono lo stesso plateaux e per questo hanno la stessa via
di eliminazione (la formulazione A assorbe più rapidamente e
maggiormente della formulazione B), mentre la formulazione C
ha una bassa velocità di assorbimento e quindi una capacità di
assorbire una minore quantità di farmaco (rispetto alle formulazioni A e B).
Per determinare la BIODISPONIBILITÀ ASSOLUTA si mettono a confronto i valori
di due AUC quando si somministra tramite la via endovenosa ed un’altra via.
Nella BIODISPONIBILITÀ RELATIVA si mettono a confronto due formulazioni, di
cui una è già nota la sua efficacia mentre dell’altra deve essere testata, utilizzando
sempre la stessa via di somministrazione.
POLVERI
“Polvere”: insieme di particelle solide, secche, libere, generalmente
irregolari con dimensioni 0.5-1000 μm.
Le dimensioni tengono conto di volume, forma e area superficiale. Da questi tre
aspetti dipende la biodisponibilità e le caratteristiche tecnologiche.
In farmacopea le polveri vengono suddivise in diversi intervalli a seconda delle
dimensioni:






GROSSOLANE: 350-1400 μm
MODERATAMENTE FINI: 150-400 μm
FINI: 100-200 μm
MOLTO FINI: 70-150 μm
FINISSIME: 10-100 μm
MICRONIZZATE: 0,5-10 μm
C’è un’altra classificazione più qualitativa cher si basa sulla forma delle particelle:










AGHIFORME: a forma di ago (es: mentolo)
ANGOLARE: dai bordi appuntiti
CRISTALLINA: a forma geometrica sviluppata in mezzo fluido (es: cristalli di
zuccheri)
DENDRITICA: forma cristallina ramificata (es: a fiocco di neve)
FIBROSA: a forma filiforme (es: crusca)
PIATTA: a forma di piastrina
GRANULARE: di forma irregolare equidimensionale
IRREGOLARE: senza alcuna simmetria
MODULARE: forma irregolare rotondeggiante
SFERICA: forma circolare
32
Per ottenere le polveri si parte da un materiale solido che, attraverso un procedimento
meccanico, viene polverizzato e ridotto a particelle di piccole dimensioni.
Le proprietà dei materiali che influenzano la polverizzazione sono:
-
DUREZZA: viene calcolata tramite la scala di Mohs che va da 1 a 10; dove con
10 viene identificato il materiale più duro. Il diamante è il diamante più duro,
mentre il talco è il materiale opposto.
-
-
-
ADESIVITA’: tipica di gomme e resine. Hanno la propensione ad adedire a
pareti e strumenti di polverizzazione e, successivamente, tendono ad aderire tra
di loro. Tuttavia, è possibile procedere alla macinazione di un materiale adesivo
attraverso la co-macinazione del materiale con un eccipiente inerte tipo il talco.
TEMPERATURA DI RAMMOLLIMENTO: tipica delle sostanze grasse e
cerose. Durante il processo di polverizzazione si assiste ad un aumento della
temperatura che può rendere difficile la polverizzazione di questo tipo di
materiale poiché va ad ostacolare la polverizzaizone del materiale di partenza.
In questo caso si procede attraverso il raffreddamento dell’apparecchio, oppure
deraffreddando il materiale prima del processo di macerazione.
CONTENUTO di UMIDITA’: alcuni materiali presentano caratteristiche che li
rendono difficilmente macinabili a causa dell’alto contenuto di umidità che
provoca un aumento del grado di elasticità e dell’adesività del materiale. In
questo caso si interviene essiccando il materiale in modo tale da allontanare la
maggiorparte di contenuto di umidità
-
PLASTICITA’: a questo materiale subisce una deformazione irreversibile, in
caso di una forza. Un esempio di materiale è la canfora. Si effettua la
macerazione o polverizzazione per intermedio aggiungendo un’altra sostanza
che successivamente può essere eliminata. Si mette nel mortaio sia canfora che
etanolo che nel tempo evaporerà.
Nonostante queste proprietà rendano difficile la macinazione, questa può essere
effettuata tramite degli escamotage.
Per poter ottenere le polveri si utilizzano metodi (o processi) chimici-fisici o meccanici,
partendo da un materiale solido. Noi ci occuperemo dei metodi meccanici prendendo
in analisi tuttii vari strumenti che permettono di ottenere delle polvere.
Si utilizzano degli strumenti che si basano su delle forze che
permettono il processo della polverizzazione.
Le forze sono 4:
 TAGLIO
33
 COMPRESSIONE
 IMPATTO
 ATTRITO
Passando da una all’altra si aumenta il grado di finezza della polvere che si ottiene.
Queste forze, in uno strumento, posso essere singole o accoppiate.
TAGLIO: le forze di taglio, esercitate da coltelli o lame sono impiegate per
polverizzare materiali fibrosi quali radici, cortecce, legni, prima che vengano sottoposti
a processi di tipo estrattivo.
Le industrie, per effettuare questo processo, utilizzano il MOLINO A
COLTELLI.
All’interno sono presenti dei coltelli fissi e dei coltelli rotanti.
Vengono quindi ridotte le dimensioni e le varie particelle vengono
setacciate attraverso un trivello che permette di raccogliere il
prodotto.
COMPRESSIONE
o PRESSIONE: si utilizza il
MULINO A RULLI, che girando in senso inverso tra di
loro comprimono al loro interno il materiale ottenendo
delle particelle.
IMPATTO: il MOLINO A MARTELLI è costituito
da martelli rotanti che sbattono il materiale
sulla superficie fissa del molino ed il trivello
facilita l’uscita del materiale. Questo molino
permette una rapida macinazione ma produce
un riscaldamento del materiale.
ATTRITO: è dato dall’azione combinata di pressione e frizione. Polveri fini dotate di
buona biodisponibilità.
MOLINO A PALLE: sfrutta principio
dell’attrito e dell’impatto. Il recipiente
cilindrico e le sfere contenute possono
essere in porcellana o acciaio inox.
Vantaggi: grande versatilità, polverizzazione di diversi materiali inclusi quelli tossici;
raggiungimento di elevato grado di finezza
Svantaggi: contaminazione prodotti in seguito a logoramento delle palle, formazione di
depositi nella parete interna del cilindro, rumorosità.
34
La velocità di rotazione è importante ai fini della polverizzazione poiché influisce sulla
caduta delle palle.
Bassa
velocità
di
rotazione:
palle
scorrono
e
ruotano
l’una
sull’altra.
Polverizzazione scarsa.
Alta
velocità
di
rotazione: palle spinte
contro
pareti
dalla
forza
centrifuga.
Polverizzazione nulla.
Velocità pari ai 2/3 di quella alla quale
avviene la centrifugazione delle palle:
caduta delle palle “a cascata” lungo il
diametro
del
cilindro.
Massima
polverizzazione.
Ci sono altri tipi di molino:
Il MOLINO A GETTO DI FLUIDO (aria, azoto) funziona grazie a delle
correnti d’aria che vengono inserite dal fondo che spinge in alto il
materiale che incontra degli ugelli che aumentano la velocità delle
particelle. Da qui le particelle di piccole dimensioni arrivano nel
classificatore dove vengono eliminate insieme all’aria, mentre le
particelle di più grandi dimensioni non passano il classificatore
ripassano in circolo finché le loro dimensioni non vengono ridotte.
MOLINO A GETTI D’ARIA CONTRAPPOSTI si utilizza quando si vuole
micronizzare il materiale di partenza. Il meccanismo è basato su urto e
sfregamento. Presenta due flussi d’aria laterali (1 e 1’) che trascinano le
particelle le une contro le altre fino a polverizzarle.
MOLINO COLLOIDALE che si basa sulla combinazione tra forza di
attrito e forza di compressione. È necessario che il materiale sia premacinato. Il molino viene alimentato dall’alto ed il materiale viene
poi recuperato dal basso. Questo molino permette di ottenere delle
polveri micronizzate.
La scelta del molino dipende da diversi fattori:
-
Caratteristiche del materiale di partenza (termosensibile, termolabile)
Dimensioni del prodotto che si vuole ottenere
Economici (costo del processo e dal tempo che necessità per ottenere la
polvere)
Tempo necessario per ripulire l’attrezzatura
35
I molini sono degli strumenti utilizzati a livello industriale o in laboratorio (per chi
riesce ad acquistarli); altrimenti gli strumenti più utilizzati sono il mortaio ed il
pestello.
In base al materiale da polverizzare si utilizzeranno mortai e pestelli differenti; e anche
in base alla forza applicata si otterranno polveri differenti e si userà un mortaio
piuttosto che un altro.
PROCEDIMENTI MANUALI
CONTUSIONE: frantumazione masse grossolane per azione d’urto.
Mortaio di elevata resistenza meccanica, ordinariamente metallico. Forma
tronco-conica a base stretta e a pareti alte. Pestello allungato con base a
calotta sferica.
Frantumazione è effettuato mediante urto facendo cadere con forza il
pestello sul materiale posto sul fondo del mortaio (pestare nel mortaio). Le pareti alte
consentono di contenere i frammenti che a seguito della violenta frantumazione
vengono proiettati intorno.
Si ricorre alla contusione per frantumare droghe legnose friabili in frammenti
grossolani (“droga contusa” sufficienti per sottoporle ad estrazione con solventi
(decozione, macerazione ecc.).
TRITURAZIONE: si comprime il materiale, già in polvere grossolana o in piccoli
cristalli, fra il pestello e la parete interna del mortaio imprimendo al pestello un
movimento circolare a spirale. Il meccanismo di
frantumazione è fondamentalmente per attrito.
Mortaio a base larga e a pareti basse, porcellana dura.
Pestello a base di calotta sferica che si adegui
geometricamente alla curvatura del mortaio per evitare
formazione di spazi morti tra mortaio e pestello e
triturazione perda efficacia.
Polveri finissime si ottengono triturando a lungo la polvere con il
pestello in un piccolo mortaio ( LEVIGAZIONE) o con un pestello a
base
piuttosto
larga
detto
mola,
su
lastre
di
marmo
(PORFIRIZZAZIONE).
La polverizzazione è effettuata esclusivamente per attrito e consente di
operare su piccole quantità di sostanze.
Una volta polverizzato il materiale di partenza bisogna considerare le dimensioni del
materiale ottenuto e si va ad effettuare l’ ANALISI GRANULOMETRICA. Si
stabiliscono le dimensioni delle particelle e si va a valutare la distribuzione delle
particelle fra le varie classi dimensionali.
ANALISI con
SETACCI
gli
STACCI
o
36
Sono contenitori costituiti da fili metallici dove la distanza tra due fili metallici è
definita distanza (apertura o ampiezza) della maglia. Si considerano da 6 a 8 setacci
che vengono disposti partendo dall’ampiezza della maglia più grande a quella più
piccola (in modo decrescente). Sul primo setaccio si pone il campione, solitamente
100 grammi. Questa pila di setacci viene chiusa con il coperchio e posta sullo
strumento vibrovaglio che viene azionato ad una certa velocità per un certo tempo.
Una volta finita la vibrazione si vanno ad analizzare le frazioni di polveri che si sono
separate e depositate nei vari setacci.
Questo tipo di determinazione è influenzato da:
-
Attrazione elettrostatica delle particelle o dall’igroscopicità del materiale, che
portano alla formazione di aggregati
Forma delle particelle e loro distribuzione nelle varie classi dimensionali
Si riesce a risalire al diametro medio della frazione di
polvere facendo la media aritmetica tra l’apertura della
maglia del setaccio maggiore e l’apertura della maglia del
setaccio su cui si è poggiato la polvere.
Nella FU sono riportati 18
stacci.
In campo farmaceutico quelli più utilizzati sono quelli
che hanno una maglia che va da 1400 a 90 micron.
Questi dati ottenuti possono essere riportati in un grafico per vedere il diametro delle
particelle e quindi le dimensioni. Solitamente non si ottiene una bella gaussiana in
quanto hanno sempre dimensioni irregolari.
ANALISI per SEDIMENTAZIONE: utilizzata in caso di polveri costituite da particelle
inferiori a 5 μm. Questa analisi si basa sulla LEGGE di STOKES su polveri con particelle
irregolari.
Per particelle irregolari si stabilisce il diametro che corrisponde a quello di particelle
sferiche con identica densità e velocità di caduta (dst = diametro di Stokes).
37
D = diametro medio delle particelle
η = viscosità del mezzo in poises
h = distanza di caduta nel tempo t
ρ = densità delle particelle
ρo = densità del mezzo disperdente
g = accelerazione di gravità
La legge è valida per sospensioni diluite (0,5-2%) di corpi sferici e in condizioni
di flusso laminare.
Lo strumento che si utilizza è la pipetta di Andreasen.
ANALISI
con
il
MICROSCOPIO
nel caso del microscopio
ottico
Intervallo di misura: 0.2-
100 mm
In questo caso la misura rilevata può essere riferita a più di un diametro equivalente.
Scelta una linea fissa arbitraria passante orizzontalmente attraverso il centro della
particella si possono osservare:
indipendenti
- il diametro riferito al perimetro proiettato: dp
dall’orientamento delle
- il diametro riferito all’area proiettata: da
particelle
-
il diametro di Martin: dM dipendenti sia dalla forma che dall’orientamento delle
il diametro di Feret: dF particelle
apparecchio Coulter
-
Misura
del
Utilizzo del Coulter counter (range 0.5-1000 mm)
38
volume
delle
particelle:
-
Riesce a contare fino a 4000 particelle/secondo. I dati possono essere
rapidamente convertiti da distribuzione
in volume a quella in peso.
Campione sospeso in soluzione di NaCl o altro
elettrolita. La sospensione viene posta in una
cella contenente 2 elettrodi. Uno di questi
elettrodi è situato in tubo di vetro con orifizio
capillare attraverso il quale, mediante una
pompa, viene aspirata un’aliquota della
sospensione in condizione tali che le particelle
sospese passano per l’orifizio una alla volta.
Ogni particella, al suo passaggio sostituisce
una quantità di elettrolita provocando una
variazione nella resistenza elettrica. Da
questa variazione si originano gli impulsi proporzionali al volume delle particelle.
Le proprietà delle polveri vengono classificate in PROPRIETA’ FONDAMENTALI e
PROPRIETA’ DERIVATE
Le proprietà fondamentali sono:



DIMENSIONE
INTERVALLO
DIMENSIONALE
delle
PARTICELLE
FORMA: la forma ideale è quella sferica e si
possono ricavare la dimensione, la superficie ed il
volume.
Visto che particelle presentano una forma irregolare si parla di diametro
sferico equivalente. Area superficiale specifica di una polvere rappresenta
l’area della polvere stessa per unità di volume (Sv) o per unità di peso (Sw).

AREA SUPERFICIALE SPECIFICA delle singole particelle che costituiscono
la polvere: rappresenta l’area della polvere per unità di volume o per unità di
peso. Può essere determinata facendo l’adsorbimento di un gas su un campione
di polvere o dalla velocità con cui un gas o un liquido passano attraverso un
letto di polvere.
39
Tra le proprietà derivate (cioè che derivano dalle proprietà fondamentali) ci sono:

ASSESTAMENTO: modo in cui le particelle si
dispongono l’una rispetto all’altra. Possono
assumere
due
diverse
disposizioni
limite:
ROMBOEDRICA o CUBICA. Nella disposizione
romboedrica le particelle sono molto vicine tra di
loro e gli spazi vuoti sono minimi (intorno al 26%); mentre la disposizione cubica
gli spazi vuoti tra le particelle aumentano (intorno al 48%). In presenza di
particelle aventi dimensioni diverse, le particelle tenderanno ad assestarsi in
una disposizione intermedia con una percentuale di spazi vuoti tra il 30% e il
50%.

DENSITA’: possono esistere tre tipi di densità. Per definizione la densità è il
rapporto tra massa e volume. Risulta, però, più difficile misurare il volume della
polvere che tiene conto del volume del solido, degli spazi tra le particelle e delle
particelle.
-
-

Densità vera (ρp): rapporto fra il peso della particella e il suo volume vero
(picnometro a elio che è in grado di entrare all’interno delle particelle).
Densità granulare (ρg): rapporto fra il peso del solido e il suo volume vero
sommato a quello dei pori presenti all’interno delle particelle (picnometro a
mercurio perché per la sua tensione superficiale non è in grado di penetrare
negli spazi vuoti intraparticellari inferiori a 10 micron)
Densità apparente o bulk density (ρb) : densità della polvere tenendo conto
degli spazi intra- e interparticellari. Nella FU viene riportata la procedura di
come si misura questa densità apparente partendo dal volume al
versamento. Si utilizza un cilindro graduato da 250 mL che viene fissato
stabilmente allo strumento che conferisce al cilindro degli scuotimenti.
Questo strumento è in grado di generare in 1min circa 250 colpi. La
misurazione si effettua versando nel cilindro 100 grammi e si misura il
volume occupato dalla polvere = V0. Si impartiscono 10, 500, 1250 colpi e si
leggono i volumi che si ottengono a seguito di questi colpi riportandoli nella
scheda tecnica delle polveri.
POROSITA’ (Ꜫ): rappresenta il rapporto tra il volume degli spazi vuoti ed il
volume apparente della polvere.
Il valore della porosità dipende da:
1) Volume della polvere e dei pori, computato nell’insieme, escludendo per
definizione gli spazi interparticellari, ed è chiamato volume granulare (Vg)
2) Volume occupato dai pori, dagli interstizi intra- e interparticellari e dalla
polvere costituisce il volume apparente (Vb)
3) Volume vero (Vp) è dato dal solo spazio occupato dalla polvere, senza
considerare gli spazi
Quindi
la
porosità
totale
viene
calcolata come:
40

FLUSSO di una POLVERE: viene anche detto scorrimento o scorrevolezza
della polvere. È influenzato dalle proprietà fondamentali della polvere, ma
anche da densità e umidità
Nebulizzare
in
un
particolare
strumento una soluzione che incontra
una corrente di acqua calda che
permette di ottenere delle particelle
sferiche
Si determina calcolando l’angolo di riposo o angolo fi (angolo alla base del cono).
L’angolo fi si determina utilizzando un imbuto su cui si fa scorrere la polvere. Alla fine
dell’imbuto viene posta la carta millimetrata. Si calcola misurando l’altezza del cono
ed il diametro della carta millimetrata da cui poi ri ricava il raggio. Quindi la tangente
dell’angolo fi si calcola come rapporto tra altezza e raggio, poi si otterrà l’angolo fi.
tgΦ = h/r
Φ
= 25-30 scorrimento agevole
Φ
= 31-35 buon scorrimento
Φ
=
36-40
discreto
facilitazioni)
Φ
= 41-45 scorrimento passabile (con rischio di blocco)
Φ
= 46-55 notevoli difficoltà allo scorrimento
scorrimento
(non
necessita
Il flusso di una polvere rappresenta l’indice di comprimibilità detto indice di
Carr (CI) che esprime la resistenza e la solidità delle interazioni all’interno del letto di
polvere, costituite da archi e ponti fra le particelle, che
condizionano
negativamente
il
flusso della polvere.
ρi
=
densità
impaccamento
apparente
dopo
ρv = densità del campione al versamento
Maggiore è CI, minore è la scorrevolezza della polvere.
Le caratteristiche di scorrimento di una polvere possono
essere migliorate agendo su:
41
-
Aumento delle dimensioni delle particelle, per esempio formando dei granulati
modifica della forma delle particelle, ad esempio tramite la tecnica dello spraydrying
Diminuzione dei fattori di aggregazione particellare se si ha una polvere che
assorbe umidità, prima si essicca la polvere per evitare che le particelle si
aggreghino tra di loro
Aggiunta di glidanti (o regolatori di scorrimento). I glidanti più utilizzazti sono la
silice colloidale e il talco che rientrano negli eccipienti delle compresse
Le polveri possono essere il punto di partenza per la preparazione di specifiche forme
farmaceutiche: compresse, sospensioni, paste e unguenti.
Ma le polveri posso rappresentare già di per sé una forma farmaceutica e vengono
distinte in:

PREPARAZIONI MULTIDOSE PER USO INTERNO : la dose viene prelevata

con un cucchiaio-dosatore e somministrata in cialde o disciolta/sospesa in un
liquido
PREPARAZIONI MONODOSE PER USO INTERNO: polvere suddivisa in
singole dosi racchiuse in capsule gelatinose, cialdini (cachet), cartine
POLVERI ASPERSORIE: preparazioni pluridose per uso topico (es: talco)

La FU XII ed. e la FE X ed. definiscono le polveri. Le polveri vengono classificate in:



PER USO ORALE: preparazioni costituite da particelle solide, non aggregate,
asciutte e di vari gradi di finezza. Contengono uno o più principi attivi, con o
senza eccipienti e, se necessario, coloranti autorizzati e aromatizzati. Sono
generalmente somministrate in acqua o utilizzando un altro liquido adatto.
Possono essere anche ingerite direttamente. Sono presentate come
preparazioni a dose unica o multidose. Le polvere orali multidose richiedono la
fornitura di un misurino in grado di dare la quantità prescritta. Ogni dose di una
polvere a dose unica è racchiusa in un contenitore singolo, per esempio un
sacchetto o un flaconcino.
EFFERVESCENTI: preparazioni a dosi unica o multidose e generalmente
contengono sostanze acide e carbonati o bicarbonati che reagiscono
rapidamente in presenza di acqua liberando anidride carbonica. Sono preparate
per essere disciolte o disperse in acqua prima della somministrazione.
APPLICAZIONE CUTANEA: preparazioni costituite da particelle solide, non
aggregate, secche, di vari gradi di finezza. Contengono uno o più principi attivi,
con o senza eccipienti e, se necessario, coloranti autorizzati dall’autorità
competente. Le polveri per applicazione cutanea si presentano come polveri a
dose unica o come multidose; sono prive di granulosità. Le polveri indicate
specificamente per l’uso su larghe ferite aperte o su cute gravemente lesa sono
sterili. Le polveri per applicazione cutanea multidose possono essere dispensate
in contenitori spargitalco, in contenitori dotati di spruzzatore meccanico o in
contenitori pressurizzati.
MISCELAZIONE DI POLVERI: permette di ottenere una distribuzione OMOGENEA
di due o più polveri senza che esse subiscano mutamenti fisici o chimici. Ovviamente
la miscelazione è più facile se uno dei componenti è colorato.
Fattori che favoriscono una miscelazione omogenea:
1) Dimensioni delle particelle: poiché le polveri sono costituite da particelle che
hanno dimensioni diverse e questo fa sì che le particelle più piccole possano
disporsi tra le particelle più grandi
42
2) Forma delle particelle: se la forma fosse sferica saremmo nella soluzione ideale
3) Densità delle particelle: le particelle con densità più elevata tendono a scendere
verso il fondo del recipiente, mentre quelle a densità minore tendono ad andare
verso l’alto
4) Proporzione in peso dei componenti: attraverso il “ metodo delle diluizioni
geometriche o progressive” si deve assicurare che il miscelamento avvenga
con un rapporto di 1:1 (miscelazione uniforme). Gli strumenti da utilizzare sono
il mortaio e il pestello.
Immaginiamo di dover miscelare A (3 gr) e B (1 gr). Si parte dalla polvere in
minore quantità (es: 1 grammo di B) e si inserisce la stessa quantità del
componente in maggiore quantità (1 grammo di A). Dopodiché si aggiunge la
restante parte del componente a maggiore quantità (2 grammi di A).
Se si hanno quattro polveri da miscelare: A (3 gr), B (1 gr), C (5 gr) e D (10 gr).
Si parte da 1 gr di B a cui si aggiunge 1 gr di A e si miscela. Poi si aggiungono i
2 gr di A. poi si diluisce con l’altro componente della miscela che è
rappresentata dalla polvere C; quindi si inseriscono i 5 gr di C. Infine si diluisce
con i 10 gr di D.
METODO DELLE DILUIZIONI GEOMETRICHE O PROGRESSIVE: bisogna partire
miscelando i componenti presenti in minore quantità, al quale viene addizionata una
quantità di polvere uguale a quella giù presente, fino ad omogeneità della miscela.
Polvere E di 1 gr e la polvere F di 20 gr. Si parte dalla polvere E e la si versa nel
mortaio e poi si deve mettere una quantità più o meno uguale della polvere F (quindi 1
gr della polvere F e ne rimarranno 19 gr); la si va a pestare col pestello = si è formato
il nucleo. A questo punto si vanno ad aggiungere porzioni crescenti di polvere F. Ora
nel mortaio ci sono 2 gr (1 gr di E e 1 gr di F) e si aggiungono 2 gr di F in modo da
ottenere 4 gr complessivi nel mortaio; mentre rimangono 17 gr di polvere F.
Successivamente si vanno ad aggiungere 4 gr di polvere F in modo da avere nel
mortaio 8 gr, mentre avanzano 13 gr di polvere F. A questo punto, quando si raggiunge
un volume importante di miscela, si possono aggiungere in un colpo solo i 13 gr della
polvere F e poi miscelare. Se si vuole essere ancora più precisi si aggiungono 8 gr di F
e successivamente gli ultimi 5 gr.
In farmacia è possibile avere anche uno strumento automatico rappresentato dalla
TURBULA. È un apparecchio che permette di miscelare le polveri che vengono
caricate direttamente nel contenitore. Qui, il materiale subisce un movimento
complesso di rotazione attorno alle tre coordinate spaziale facendo continui
capovolgimenti = le polveri vengono miscelate in modo omogeneo.
La miscelazione è un processo dinamico poiché dipende da diverse forze:
-
Forze di compressione o assestamento: fanno avvicinare le particelle tra di loro
Forze di tensione o espansione: tendono ad allontanare le particelle l’una
dall’altra
Forze di taglio: fanno muovere le polveri in varie direzioni
43
In base al movimento provocato da queste forze il processo può avvenire in tre
meccanismi:
A. Convettivo: masse di polvere sono spostate
all’interno del sistema. La miscelazione convettiva
tende a modificare rapidamente la distribuzione
complessiva del sistema, senza raggiungere
l’omogeneità nei singoli ammassi di materiale
movimentato.
B. Diffusivo: ogni singola particella si muove in
maniera casuale rispetto alle altre. È un processo molto lento.
C. Taglio (shear): interi piani (strati di particelle) si muovono sotto l’azione di una
forza.
La miscelazione convettiva da sola non consente di raggiungere l’omogeneità e quella
diffusiva è un processo molto lento.
La coesistenza di entrambi i meccanismi garantisce una
soddisfacente miscelazione di solidi. Il giusto compromesso
sarebbe l’unione dei meccanismi convettivi e diffusivi.
MISCELATORI



A
CORPO
ROTANTE
a doppio cono
aV
a cilindro
Sono dei contenitori di forma diversa che ruotano attorno ad un’asse orizzontale che
permette la rotazione di questi contenitori.
La miscelazione avviene secondo un meccanismo diffusivo e si utilizza per polveri con
alta scorrevolezza e con componenti aventi dimensioni e densità simili.
Vantaggi: facilità di pulizia
Svantaggi: lentezza nella miscelazione e facilità alla de-miscelazione, capacità
utilizzabile inferiore al 50% del volume totale.
MISCELATORI A CORPO FISSO
Utilizzano meccanismi convettivi e di taglio.
La miscelazione è causata da degli organi meccanici che sono
presenti all’interno del contenitori. Tra questi si ricorda:
 miscelatore planetario
 miscelatore a vite elicoidale
 miscelatore a vite elicoidale che si muove anche con
movimenti planetari
Questi miscelatori sono adatti per mescolare materiali pastosi.
44
Vantaggi: veloce e soddisfacente miscelazione, facilità di carico e scarico; possibilità di
raffreddamento o di termoregolazione della camera di miscelazione
Svantaggi: alcune difficoltà nella pulizia.

Miscelatore a coclea o “in controcorrente”
La camera di miscelazione è disposta obliquamente
rispetto alla superficie di appoggio, la coclea tende a
portare le polveri verso la parte più alta del miscelatore,
mentre la miscela ottenuta tende a ricadere per gravità
verso la parte più bassa.
CONTENITORI per POLVERI
Il contenitore ha fondamentale importanza per la buona conservazione, proteggendo il
preparato dagli agenti ambientali (radiazioni solari, aria e umidità).
Contenitori impermeabili dotati di efficace chiusura.



Barattoli
Flaconi con tappo forato
Bustine
GRANULATI
I granulati sono una formulazione molto utilizzata. I granulati sono preparazioni solide
costituite da aggregati solidi, secchi, di particelle di polvere, sufficientemente
resistenti a manipolazioni energiche. Sono destinati alla somministrazione orale.
Possono essere deglutiti come tali, masticati oppure disciolti o dispersi in acqua o altro
liquido adatto prima di essere somministrati.
Si possono distinguere varie categorie di granulati:




EFFERVESCENTI: sono granulati non rivestiti contenenti generalmente
sostanze acide e carbonati o bicarbonati che reagiscono rapidamente in
presenza di acqua sviluppando anidride carbonica. Sono preparati per essere
disciolti oppure dispersi in acqua prima della somministrazione.
RIVESTITI: sono generalmente preparati multidose costituiti da granuli rivestiti
da uno o più strati di miscele di vari eccipienti.
A RILASCIO MODIFICATO: sono granulati rivestiti o non rivestiti, che
contengono eccipienti speciali o che sono preparati con procedimenti speciali o
entrambi, studiati per modificare la velocità, il sito o il tempo al quale il o i
principi attivi sono rilasciati.
GASTRORESISTENTI: sono granulati a rilascio ritardato preparati in modo che
resistano al fluido gastrico e rilascino il o i principi attivi nel fluido intestinale.
Queste proprietà si ottengono ricoprendo i granulati con una sostanza
gastrointestinale (granulati a rivestimento enterico) o con altri mezzi idonei.
I granulati sono ottenuti da miscele omogenee di polveri con vari metodi di
“granulazione”: processo attraverso cui minute particelle delle polveri vengono
aggregate in tanti granelli omogenei con maggiori dimensioni.
Perché si ricorre alla granulazione?
- Per migliorare le caratteristiche di scorrimento delle polveri.
- Per evitare in un miscuglio di polveri i fenomeni di segregazione = eventuale
processo di separazione dei componenti di una miscela che si verifica quando si
45
-
cerca di miscelare polveri con forma, dimensione e densità diversa. Quindi la
granulazione può evitare questi fenomeni di segregazione.
Per migliorare la comprimibilità di una polvere qualora noi volessimo preparare
delle compresse.
Caratteristiche tecnologiche dei granulati per il loro sviluppo galenico:




Esame granulometrico e morfologico: le dimensioni influenzano la friabilità, la
scorrevolezza, la velocità di essiccamento del granulato e peso delle compresse
da esso ottenuto. I metodi sono la setacciatura o l’indagine microscopica.
Volume apparente e densità: caratteristiche che influenzano la comprimibilità
Porosità: permette di determinare gli spazi vuoti intra granulari
Area superficiale
I granulati si ottengono a partire dalla miscelazione del
principio attico con eccipienti. Poi si effettua il processo di
granulazione che può essere a secco o a umido. Se la
granulazione è a umido segue il processo di essiccamento.
Poi si ha una setacciatura pe la selezione di una specifica
frazione granulometrica ed una miscelazione con eccipienti
extra-granulari se il granulato è una forma intermedia per
la preparazione di altre forme farmaceutiche.
MISCELAZIONE: deve sempre essere omogenea poiché si parte dal principio attivo
e dagli eccipienti.
Si utilizzano sempre gli stessi strumenti già visti per le polveri: MESCOLATORI A CORPO
FISSO o A CORPO ROTANTE attraverso i quali si ottiene una miscelazione di tipo solidosolido che permette la distribuzione uniforme del principio attivo nella massa. I
principali fattori che influiscono la miscelazione sono: dimensioni, forma e densità
delle particelle, forze elettrostatiche, tempo e velocità di mescolamento.
La miscela omogenea così ottenuta può subire il processo di granulazione.
Metodi di GRANULAZIONE:

GRANULAZIONE A SECCO: processo che non prevede l’uso di
acqua e non sarà richiesta la fase di essiccamento.
Nella granulazione a secco è la pressione esercitata sulla polvere
che fa aderire fra loro le particelle formando grosse tavolette o
fogli sottili. Questi devono essere poi frantumati e setacciati per
ottenere i granuli.
La miscela di polveri è spinta da un sistema a coclea, viene fatta
passare attraverso due cilindri che ruotano in senso inverso e la
comprimono trasformandola in un foglio sottile. I fogli vengono poi
frantumati e setacciati.
È un processo che si presta molto per granulare polveri molto
voluminose o che contengono principi attivi poco stabili al calore o sensibili
all’umidità (vitamina C o acido acetilsalicilico).

GRANULAZIONE A UMIDO a cui segue l’essiccamento
È il processo più utilizzato in campo farmaceutico ed è caratterizzato da passaggi
nei quali si prevede l’utilizzo di una certa quantità di liquido (soluzione legante)
che permette di formare dei legami tra le particelle.
46
Le soluzioni leganti sono soluzioni acquose di:
- Zuccheri (glucosio, saccarosio) o polioli (sorbitolo)
- Gelatina
- Amido
- Gomma arabica
- Metilcellulosa
Per la preparazioni di matrici a rilascio controllato si utilizzano:
- Soluzioni leganti acquose o idroalcoliche a base HPMC (5-10%)
- Soluzioni acquose di Na+ alginato (3-5%)
Si distinguono 4 stadi:

Stadio PENDOLARE: in corrispondenza dei punti di contatto fra le
particelle si producono ponti liquidi più o meno sottili

Stadio FUNICOLARE: aumentando la quantità del liquido si
produce la coalescenza (iniziano ad ingrossarsi) fra i ponti con
l’aumento della forza di coesione fra le particelle

Stadio CAPILLARE: con un’ulteriore
intervengono meccanismi interfacciali
rafforzano l’adesione fra le particelle

Stadio A GOCCIA: con l’apporto di altro liquido finiscono per
scomparire gli spazi vuoti fra le particelle e la massa tende ad
essere costituita da due sole fasi, una solida e una liquida che la
ingloba
quantità di liquido
e di capillarità che
A questo punto si è formato un impasto che viene
prodotto con delle macchine particolari, dette
impastatrici, e che possono essere di forma e
dimensioni differenti. Queste impastatrici sono
contenitori che presentano dei bracci rotanti =
IMPASTATRICE A DOPPIA SIGMA e MESCOLATORE PLANETARIO.
Questi strumenti permettono di ottenere un ottimo
impasto che poi sarà forzato il passaggio dell’impasto
attraverso dei granulatori. I GRANULATORI possono
essere
di
tipo
ROTATIVO
o
A
BRACCIO
OSCILLANTE. Le dimensioni del granulato dipendono
dalle dimensioni dei fori dei granulatori.
Il nuovo granulatore è detto GRANULATORE AD
ALTA VELOCITA’ che è costituto da un contenitore
cilindrico dove sul fondo è presente una pala
rotante (impeller). All’interno, è presente anche un
frantumatore (chopper) costituito da una lama
rotante che ha il compito di rompere gli
agglomerati più grandi. Infine si ha uno spruzzatore
o nebulizzatore che permette di inserire la soluzione legante.
Quindi si procede caricando il contenitore e si regola la velocità dell’impeller, sulla
quale viene poi nebulizzata la soluzione legante e il chopper permette di rompere
gli agglomerati.
47
Questo strumento impiega poco tempo e normalmente il processo richiede 1-10
minuti. Tempi più lunghi (20) minuti possono portare a una diminuzione della
velocità di dissoluzione per la formazione di granuli più densi.
Vantaggi: tempi brevi di lavorazione, minori quantità di liquido legante e possibilità
di granulare polveri altamente coesive.
Svantaggi: se si utilizzano alte velocità, queste possono causare la riduzione
dimensionale delle particelle di partenza.
Esiste anche il GRANULATORE A
LETTO FLUIDO. Il liquido legante si
nebulizza sopra la polvere che viene
mantenuta in sospensione e in continuo
movimento turbolento da una corrente
di acqua calda che viene immessa dal
fondo di un’apposita camera cilindrica.
L’aggregazione avviene per adesione
delle particelle di polvere intorno alle
goccioline di liquido. La corrente d’aria
calda
provoca
l’istantanea
evaporazione del solvente e la formazione dei
aggregazione fra le particelle.
ponti
di
Durata: 60-90 minuti. Si possono
ottenere granuli sferoidali e con
granulometria uniforme.
Oltre a questi due processi classici, esiste un ulteriore processo di granulazione.

GRANULAZIONE PER FUSIONE: i granuli sono preparati per aggiunta di un
legante fuso o di un legante solido che fonde durante il processo. Rappresenta un
processo che non necessita di acqua o solventi organici, è un processo rapido e
non necessita della fase di essiccamento.
Il processo è condotto tramite:
 Granulatore ad alta velocità (melt
granulation)
 Estrusore (melt extrusion)
PELLETS
I pellets sono piccole unità solide, di forma sferica o pseudo-sferica.
Le dimensioni vanno dai 500 ai 1500 μm. Il processo di preparazione
viene definito “INGROSSAMENTO” di singole particelle o aggregati di
polveri, e vengono utilizzati per l’allestimento di forme farmaceutiche
a rilascio modificato, definite a unità multipla. Si tratta di forme di
dosaggio che, solo dopo la somministrazione, rendono disponibili un
elevato numero di queste unità solidi ciascuna contenente una dose di principio attivo.
I principali vantaggi delle forme di dosaggio a unità multipla riguardano il fatto di
avere una forma farmaceutica sicura ed efficace.
48
Si parte da polveri o piccoli granuli, che poi subiscono i processi di ingrossamento. Il
processo di ingrossamento può essere realizzato attraverso tre diverse tecniche che
permettono di effettuare la cosiddetta “pellettizzazione”.

AGGLOMERAZIONE per AGITAZIONE: tramite questa tecnica si formano degli
aggregati di particelle con il loro successivo accrescimento della preparazione.
si possono utilizzare dei liquidi leganti che favoriscono la formazione di legami
interparticellari e quindi si ha una maggiore aggregazione delle particelle tra di
loro. Inoltre, si aggiunge un’adeguata agitazione del materiale. Questa tecnica
può avvenire per PALLOTTIZZAZIONE o GRANULAZIONE.

AGGLOMERAZIONE per COMPATTAZIONE: le particelle vengono compattate tra di
loro
e
questa
tecnica
può
avvenire
per
COMPRESSIONE
o
ESTRUSIONE/SFERONIZZAZIONE.

STRATIFICAZIONE su nuclei preformati: att

GLOBULAZIONE: questa tecnica non è molto usata in campo farmaceutico.
Le prime forze che entrano in gioco sono le forze di attrazione (ad esempio i legami di
Van der Waals) che preparano le particelle alla formazione dei legami più solidi che
andranno poi a determinare la resistenza meccanica finale del prodotto. A queste forze
di attrazione iniziale, subentrano le forze interfacciali e la pressione capillari tra le
particelle, grazie al liquido bagnante utilizzato = si formano dei ponti liquidi che
varranno poi sostituiti da ponti soliti per precipitazione del soluto presente nella
soluzione legante. Infine si arriva ai forti legami tra le particelle che aumentano con
l’aumento della soluzione legante per arrivare ai ponti solidi che determinano la
resistenza del prodotto finale.
La pellettizzazione vera e propria consiste nella formazione degli aggregati le cui
dimensioni aumentano a seconda del meccanismo utilizzato. Tuttavia, si possono
distinguere i meccanismi che stanno alla base della formazione dei pellet.
Il meccanismo base è cosiddetta NUCLEAZIONE: meccanismo attraverso il quale le
prime particelle, in presenza del liquidi legante, si uniscono tra loro per formare
aggregati che sono tenuti insieme tramite ponti liquidi di tipo pendolare.
Segue la COALESCENZA o CONSOLIDAMENTO dove si formano degli agglomerati più
grossi rispetto alle particelle iniziali, a seguito delle collisioni casuali che avvengono
tra le particelle primarie ed i nuclei già formati.
Poi si ha la STRATIFICAZIONE che è il meccanismo di ingrossamento che si verifica per
aggiunta di materiale secco o umido ai nuclei già esistenti.
49
Si può avere anche il TRASFERIMENTO PER ABRASIONE che consiste nel passaggio di
materiale da un nucleo ad un altro (senza incidere più di tanto sulle dimensioni del
pellet).
Tecniche di pellettizzazione
Tecniche di AGGLOMERAZIONE PER AGITAZIONE: si basano sul processo di
formazione degli aggregati per la presenza del liquido legante che bagna
completamente le polveri mentre il materiale è in continua agitazione.

PALLOTTIZZAZIONE:

GRANULAZIONE (vera e propria): con questa
i granuli vengono continuamente tenuti in
movimento/agitazione collidendo tra di loro, in modo tale da formare i granuli. Si
utilizzano le BASSINE, i TAMBURI o i CILINDRI. È una tecnica molto utilizzata a
livello industriale, mentre in campo farmaceutico ha dei limiti per quanto
riguarda le dimensioni, non si riescono ad ottenere dei pellet uniformi = il limite
riguarda l’uniformità dell’analisi granulometrica. Quindi la ricerca ha cercato
nuove tecniche per avere una migliore
distribuzione per
ottenere dei pellet che hanno una più simile
granulometria →
si preferisce la granulazione.
tecnica si ottengono dei pellet di uguali
dimensioni. I GRANULATORI sono caratterizzati
dal fatto di avere lo svolgimento delle varie fasi
(nucleazione, coalescenza e stratificazione) in un unico
strumento.
Tecniche di AGGLOMERAZIONE PER COMPATTAZIONE: queste tecniche si basano
sull’applicazione di forze che promuovono la formazione di agglomerati di particelle o
granuli. Si verifica a seguito di legami che coinvolgono le forze di attrazione e
interconnessione meccanica.

COMPRESSIONE: si applicano delle forze che promuovono l’unione di
particelle o granuli. Quindi si formano dei legami che coinvolgono forze di
attrazione o interconnessione meccanica. Si preparano pellet per compresse di
piccole dimensioni (compresse bombate).

ESTRUSIONE/SFERONIZZAZIONE: coinvolge dei processi che prevedono il
meccanismo di accrescimento delle particelle. Quattro sono gli stadi che
coinvolgono questo processo. Si parte da un impasto (FORMAZIONE
dell’IMPASTO) che viene estruso (ESTRUSIONE), attraverso una serie di
strumenti che hanno aperture differenti e definiti, viene sferonizzato
(SFERONIZZAZIONE) ed infine essiccato (ESSICAZIONE) poiché si è partiti da un
impasto. Questa tecnica prevede l’utilizzo di più materiali, quindi tempi più
lunghi e costi maggiori. Il vantaggio è quello di ottenere dei pellet con elevato
grado di sfericità, di superficie liscia e caratterizzati da un ridotto cambio
dimensionale.
50
STRATIFICAZIONE DEI NUCLEI PREFORMATI: consiste nell’aggiunta ai nuclei di
soluzioni che formano un film, o sospensioni, o delle sostanze che fondono e che si
depositano sul granulo portando ad un aumento delle dimensioni.
Aspetti formulativi
COMPRESSE
51
Le compresse sono preparazioni solide contenenti ciascuna una dose unica di uno o
più principi attivi e ottenute usualmente per compressione di volumi uniformi di
particelle. Sono destinate alla somministrazione orale. Alcune vengono inghiottite
intere, alcune dopo essere state masticate, altre sono disciolte o disperse in acqua
prima della somministrazione e altre ancora sono tenute in bocca, dove viene liberato
il principio attivo. Le particelle sono formate da uno o più componenti attivi con o
senza eccipienti come diluenti, leganti, disaggreganti, sostanze atte a favorire lo
scorrimento (glidanti), lubrificanti, sostanze in grado di modificare il comportamento
della preparazione nel tubo digerente, coloranti autorizzati e aromatizzanti. Le
compresse sono di norma cilindri solidi regolari, con le superfici di base piane o
convesse e con i bordi che possono essere smussati. Possono avere linee o segni di
rottura e possono portare un simbolo o altri marchi. Possono essere rivestite. Per
ottenere compresse di qualità soddisfacente la sostanza o le sostanze attive sono
quasi sempre miscelate con eccipienti di vario genere. Se nonostante questo fosse
impossibile preparare compresse sufficientemente resistenti, occorre sottoporre
preventivamente la miscela a uno dei procedimenti di granulazione.
Vantaggi:




Posseggono un vasto campo di impiego
Possono essere monodose o pluridose
Sono generalmente stabili, ben controllabili e all’esigenza rivestibili
Si somministrano con facilità (fattore soggettivo del paziente)
Svantaggi:



Necessitano di attento studio degli eccipienti con riferimento a possibili
modificazioni riguardanti la biodisponibilità del principio attivo (problematiche
riguardati l’aspetto formulativo)
Alcuni tipi di compresse presentano difficoltà di conservazione per le quali va
valutata la stabilità nel tempo (es. le compresse effervescenti)
Contatto diretto con mucosa gastrica, quando contengono sostanze irritanti
possono più facilmente provocare irritazioni locali
Requisiti delle compresse:




sufficiente resistenza meccanica
rapida disgregazione dopo l’assunzione
uguale massa, diametro, aspetto (nell’ambito dello stesso lotto)
uguale contenuto in principio attivo (nell’ambito dello stesso lotto)
Affinché tutto questo possa essere realizzato la polvere compressa deve avere:
-
buona fluidità
buona comprimibilità
scarsa adesione alle pareti dei punzoni
buona disgregabilità
52
In base alla composizione, al modo di preparazione e all’uso vengono distinti vari tipi
di compresse:

NON RIVESTITE (semplici): comprendono compresse a singolo strato,
risultanti da una singola compressione di particelle e compresse multistrato da
strati concentrici o paralleli ottenuti per successiva compressione di particelle di
differente composizione. Gli eccipienti usati non sono specificamente intesi a
modificare il rilascio del principio attivo nei fluidi digestivi.

RIVESTITE: sono compresse ricoperte con uno o più strati di miscele di varie
sostanze come resine naturali o sintetiche, gomme, gelatina, cariche inattive e
solubili, zuccheri, plastificanti, polioli, cere, coloranti autorizzati e talvolta
aromatizzanti e principi attivi, le sostanze usate some rivestimento sono di
norma applicate come soluzione o sospensione in condizioni di cui si abbia
evaporazione del veicolo. Quando il rivestimento è costituito da uno strato
polimerico molto sottile, le compresse sono dette compresse rivestite con film.
Le compresse rivestite hanno una superficie liscia che è spesso colorata e può
essere lucidata; una sezione, esaminata mediante a una lente, mostra un
nucleo circondato da uno o più strati continui con differente struttura.
Generalmente si effettua un rivestimento per mascherare sapori (es:
antrachinonici) o odori poco gradevoli. Le compresse semplici possono essere
“confettate” in bassina mediante nebulizzazione con soluzioni o sospensioni di
zuccheri, gomme ecc.

EFFERVESCENTI: sono compresse non rivestite da sciogliersi in acqua prima
della somministrazione. Contengono una sostanza acida (es: acido citrico) ed
una basica (es: sodio carbonato) che a contatto con acqua reagiscono
rapidamente liberando anidride carbonica (effervescenza)

SOLUBILI: sono compresse non rivestite o rivestite con film. Sono destinate ad
essere disciolte in acqua prima della somministrazione. La soluzione ottenuta
può essere leggermente opalescente a causa degli additivi utilizzati nella
produzione delle compresse. Devono disaggregarsi entro 3 minuti.

DISPERSIBILI: sono compresse non rivestite o rivestite con film destinate ad
essere disperse in acqua prima della somministrazione dando una dispersione
omogenea. Devono disaggregarsi entro 3 minuti.

ORODISPERSIBILI: sono compresse non rivestite destinate ad essere poste
nella bocca dove si disperdono rapidamente prima di essere inghiottite. Devono
disaggregarsi entro 3 minuti.

A RILASCIO MODIFICATO (a cessione regolata): sono compresse rivestite o
non, contenenti eccipienti speciali o preparate con procedimenti speciali che,
separatamente o insieme, sono studiati per modificare la velocità, il sito o il
tempo al quale il o i principi attivi sono rilasciati. Le compresse a rilascio
modificato comprendono compresse a rilascio prolungato, a rilascio ritardato, a
rilascio pulsatile.

GASTRORESISTENTI: sono compresse a rilascio ritardato preparate per
resistere al fluido gastrico e rilasciare il o i principi attivi nel fluido intestinale.
Sono preparate rivestendo le compresse con una sostanza gastroresistente
(compresse a rivestimento enterico) o da granuli o particelle già ricoperti con un
rivestimento gastroresistente. Le compresse ricoperte con un rivestimento
gastroresistente sono conformi alla definizione di compresse rivestite. Il
rivestimento resistente all’azione dei succhi gastrici viene ottenuto con
particolari sostanze, ad esempio cellulosa acetoftalato, copolimeri dell’acido
matacrilico.

DA UTILIZZARE NELLA CAVITA’ BUCCALE (buccali): sono di norma
compresse non rivestite. Sono formulate in modo da dare un rilascio lento e
53
azione locale del o dei principi attivi o il rilascio e assorbimento in una zona
definita della bocca.
In pratica si possono distinguere in due tipi:
- TAVOLETTE o PASTIGLIE: possono essere sciolte in bocca o masticate.
Permettono una cessione lenta ed una azione locale dei principi attivi
- COMPRESSE SUBLINGUALI: permettono la cessione e l’assorbimento di
sostanze attraverso la mucosa orale
La formulazione di una compressa inizia dallo studio preliminare della comprimibilità
della miscela priva di eccipienti.
Non tutte le sostanze sono comprimibili perché i materiali possono avere
delle proprietà elastiche (una volta che il materiale ha subito un processo poi ritorna
allo stato di origine) o plastiche (dopo essere stato sottoposto ad un certo processo, si
mantiene nel tempo la forma nuova che ha assunto a seguito del processo e non
ritorna allo stato iniziale).
Es: compressione del plantago: a conclusione del processo di
compressione, la compressa non si è formata, questo perché le
particelle del plantago hanno caratteristiche “elastiche”, vale a dire che
una volta terminata la compressione tornano al loro stato di origine
(polvere).
Prova di compressione dell’artiglio del diavolo: al termine del processo la
compressa è formata e resistente, in questo caso le particelle della sostanza
hanno subito una deformazione “plastica” durevole nel tempo.
La PROVA DI COMPRESSIONE PRELIMINARE è determinante per
valutare il minimo quantitativo di eccipienti necessari per la
realizzazione della compressa.
Bisogna, così, trovare il giusto quantitativo di eccipienti per far sì che la compressa
rimanga stabile nel tempo.
ECCIPIENTI per compresse
Gli eccipienti rappresentano una grande famiglia che viene in aiuto al principio attivo
per poter realizzare una compressa. Ognuno presenta un ruolo ben preciso per aiutare
il principio attivo, ma gli eccipienti sono sostanze farmacologicamente inerti e si
classificano in diverse classi. Quindi l’attività della compressa è da attribuire
unicamente al principio attivo.
DILUENTI: vengono aggiunti per raggiungere una corretta massa della compressa
quando il principio attivo da somministrare è in quantità troppo piccola per dare
origine a una compressa.
Requisiti:
Essere chimicamente inerte
Essere non igroscopico
Essere biocompatibile
Avere buone proprietà relative all’aspetto biofarmaceutico (es. solubile in acqua
o avere carattere idrofilo)
 Avere buone proprietà tecnologiche (compattabilità e capacità diluente)
 Avere un sapore gradevole
 Essere economico




54

LATTOSIO:
solubile in acqua, sapore gradevole, non è igroscopico,
chimicamente inerte e presenta buone proprietà di compattazione. Il limite di
questo eccipiente è rappresentato dall’intolleranza al lattosio (svantaggio).
Il lattosio esiste in due forme: AMORFO (ottenuto tramite la tecnica dello spraydrying = permette di ottenere delle particelle solide a partire da una soluzione.
In questo caso si parte da una soluzione di lattosio che viene nebulizzata
attraverso un ugello nella camera di essiccamento. Le goccioline incontrano un
flusso di aria calda che fa evaporare il solvente e fa recuperare la particella
solida di lattosio nel raccoglitore che, analizzate al microscopio a scansione
elettronica si vede essere delle particelle perfettamente sferiche.) e
CRISTALLINO (ottenuto per precipitazione). Si solubilizza più facilmente quello in
forma amorfa e presenta una migliore compattabilità. La maggiore
compattabilità deriva dal fatto che queste particelle di lattosio raccolte sono
amorfe e più o meno sferiche.
Diluenti alternativi al lattosio: zuccheri o polioli (glucosio, saccarosio, sorbitolo,
mannitolo).

CELLULOSE: biocompatibili, chimicamente inerti, buone capacità disaggreganti,

FOSFATO DI CALCIO DIIDRATO: insolubile in acqua, non è igroscopico ed è

AMIDO: è una sostanza polifunzionale poiché, oltre a fungere da diluente ha
compatibili con la maggior parte dei principi attivi e buone caratteristiche per la
preparazione di compresse (leganti a secco e disaggreganti) = eccipienti molto
vantaggiosi da utilizzare per la preparazione delle compresse.
Particelle presentano regioni sia cristalline sia amorfe. Il grado di cristallinità
varia in base alla fonte dalla quale è estratta la cellulosa e in base alla
procedura di estrazione e preparazione. Il grado di cristallinità influenza le
proprietà fisiche e tecnologiche delle particelle, come igroscopicità e
compattabilità della polvere. La cellulosa microcristallina è preparata per idrolisi
della cellulosa seguita da spray-drying. Il nome commerciale della cellulosa
microcristallina è AVICEL.
idrofilo nel senso che viene bagnato facilmente dall’acqua. È debolmente
alcalino e può essere incompatibile con principi attivi sensibili alle condizioni
alcaline (svantaggio).
proprietà aggreganti, assorbenti e disaggreganti. Si può utilizzare l’amido di
mais o di patata.
DISAGGREGANTI: sono aggiunti per garantire che la compressa, una volta
somministrata e quindi a contatto con un liquido, si rompa in piccoli frammenti
permettendo così una rapida dissoluzione del farmaco.
55
Possono essere distinti i tre sottoclassi:



Disaggreganti che facilitano l’assorbimento dell’acqua : facilitare il trasporto di
liquidi all’interno dei pori della compressa con la conseguenza che la compressa
può rompersi e frammentarsi. Si utilizzano dei TENSIOATTIVI per rendere la
superficie della particella più idrofila, favorendo la bagnabilità del solido e la
penetrazione del liquido nei pori della compressa.
Disaggreganti che frammentano la compressa : la frammentazione di una
compressa può essere causata dal rigonfiamento delle particelle di
disaggregante per effetto dell’assorbimento di acqua = AMIDO che ha la
capacità di far entrare acqua attraverso i pori (meccanismo di canalizzazione)
Disaggreganti in grado di produrre gas quando vengono a contatto con l’acqua :
usati nelle compresse effervescenti. BIOSSIDO DI CARBONIO che è ottenuto per
decomposizione di Sali di bicarbonato o carbonato quando questi vengono a
contatto con soluzioni acide. Il pH acido è ottenuto incorporando nella
formulazione un acido (acido citrico o tartarico).
LEGANTI:
utilizzati
per
mantenere coese le particelle di polvere nei granulati e i granuli nelle compresse. La
quantità di legante all’interno della compressa va dal 2 al 10%.


Soluzione legante: GELATINA, GOMME (adragante, arabica),
SACCAROSIO o DERIVANTI DELLA CELLULOSA (HPMC)
Legante a secco: CELLULOSA MICROCRISTALLINA o PVP reticolato
AMIDO,
Il legante viene scelto in base alla coesione delle particelle richieste ed alla
compatibilità con il principio attivo.
GLIDANTI: aumentano la scorrevolezza della polvere.



TALCO (1-2%)
STEARATO DI MAGNESIO (<1% in peso)
SILICE COLLOIDALE (0,2% in peso)
LUBRIFICANTI: sono sostanze in grado di interporsi tra due superfici in movimento
per prevenire le frizioni delle particelle e l’usura degli strumenti.
La loro azione è richiesta:
 durante la discesa del punzone superiore
 durante la fase di espulsione, quando è necessario ridurre la frizione fra la
parete interna della matrice e la compressa.
 ACIDO STEARICO, STEARATO DI MAGNESIO, LUBRIFICANTI IDROFILI (PEG:
polietilenglicole con pm di 4000/6000).
Problemi collegati alla compressione:
 difficoltà di scorrimento del granulato o della polvere nella tramoggia e nella
matrice
 adesione del materiale ai punzoni e alla matrice
 difficoltà d’espulsione della compressa dalla matrice al termine della
compressione
56
ANTI-ADERENTI: riducono al minimo l’adesione fra la polvere e la superficie del
punzone, prevenendo l’attaccamento delle particelle ai punzoni stessi. Vanno a
risolvere i problemi di sticking e picking.
Sticking: irregolarità dovute ad asportazione di polvere che rimane attaccata al
punzone
Picking: irregolarità in prossimità di segni e linee sulla superficie. L’adesione può
portare alla formazione di un sottile strato di polvere sui punzoni che, a sua volta,
porterà alla formazione di compresse con superficie irregolare e opacizzata, con segni
e simboli non chiari.
STEARATO DI MAGNESIO e TALCO.
ADSORBENTI: sostanze in grado di trattenere quantità consistenti di fluidi
mantenendo uno stato apparentemente secco.
Quando si usano gli adsorbenti? Quando si includono principi attivi liquidi, oli, estratti
vegetali o essenze all’interno di una compressa, è indispensabile adsorbire questi
liquidi su sostanze solide, al fine di facilitare le operazioni farmaceutiche necessarie
per la produzione delle compresse.
GEL di SILICE COLLOIDALE, CARBONATO di CALCIO e di SODIO (soprattutto per liquidi
oleosi), TALCO, AMIDO BENTONITE e CAOLINO.
AROMATIZZANTI: sono aggiunti per dare alla compressa un sapore più gradevole o
per mascherarne uno sgradevole. Sono usati soprattutto nelle compresse masticabili o
in quelle buccali. Sono spesso termolabili e quindi non possono essere aggiunte prima
di operazioni che prevedano l’uso del calore. Si utilizzano essenze singole o loro
miscele (0,5% p/p).
COLORANTI: sono aggiunti per
-
Motivo estetico
Poter controllare il processo durante la produzione
Distinguere un prodotto da un altro
FDA ha stilato lista dei coloranti consentiti specificando i limiti di concentrazione
raccomandati
Solitamente si usano colorazioni pastello perché meno soggette al fenomeno
del mottling (formazione di chiazze o screziature sulla superficie delle
compresse)
Coloranti più utilizzati sono quelli non solubili, in forma di adsorbato su alluminio
idrossido, detti LACCHE. Vantaggio: colorazione più stabile
Molto usati OSSIDI DI FERRO, insolubili chimicamente e fisiologicamente inerti
Schema per la fabbricazione delle compresse
57
COMPRIMITRICI
Le comprimitrici hanno in comune alcune parti: punzoni (inferiore e superiore),
matrice, tramoggia con il prolungamento scarpa che serve per caricare la polvere nella
matrice, affinché possa essere preparata la compressa.

Comprimitrici A ECCENTRICO o ALTERNATIVE : Sono le macchine di più
vecchia concezione, la cui caratteristica principale è costituita da una
produzione discontinua, ossia tutte le fasi del processo di compressione devono
essere portate a termine prima che inizi il ciclo successivo = si prepara una
compressa alla volta.
58
I. Nella tramoggia con il prolungamento scarpa viene caricata la matrice.
II. Si sposta la scarpa verso sinistra e comincia ad abbassarsi il punzone
superiore
III. Il punzone superiore si abbassa completamente per comprimere la polvere
e formare la compressa
IV. Si alza il punzone superiore e si inizia ad alzare anche il punzone inferiore,
fino a portare a livello della matrice la compressa che si è appena formata
V. La scarpa sposta la compressa appena formata per ricaricare la matrice
VI. Ricomincia il ciclo per produrre un’altra compressa
I
punzoni e la matrice hanno un ruolo
fondamentale e si devono trovare nella
posizione corretta.
Il
al
si
punzone inferiore deve essere allineato
livello massimo della matrice, poiché se
trova leggermente al di sotto si
otterranno delle compresse non idonee,
è superiore la scarpa non riesce a
caricare la matrice. Quindi è importante
se
che il punzone inferiore sia regolato.
Con questa tipologia di comprimitrice la produzione è molto
lenta.


Comprimitrici PNEUMATICHE
Comprimitrici ROTATIVA
Le differenze sostanziali delle comprimitrici rotative nei
confronti di quelle alternative sono:
-
Produzione continua. Nello stesso istante ogni coppia di
punzoni si trova ad un certo stadio del processo di
formazione della compressa.
I punzoni inferiori e superiori partecipano entrambi avvicinandosi
gradualmente, alla produzione della pressione sul materiale da comprimere.
La compressa viene, quindi, formata per graduale pressione impressa da
entrambi i punzoni.
Sono presenti più coppie di punzoni, ottenendo la
produzione di più compresse nello stesso momento.
COMPRIMITRICE ROTATIVA COMPRIMA: è una
comprimitrice
rotativa
di
nuova
generazione
(costruita da un’azienda di Ozzano) riguardo
all’alimentazione della polvere
all’interno delle matrici e quindi
dei
punzoni. La polvere viene messa
attraverso una spinta centrifuga provocata dalla rotazione di
una torretta al centro della quale si trova la tramoggia di
59
carico della polvere. Una volta dosata, la polvere viene compressa tra i due
punzoni.
1. Letto di polvere compatto, non fluidificato isolato dall’esterno
2. Riempimento per spinta centrifuga (provocata da forze meccaniche) e
depressione dovuta alla separazione di punzoni
3. Dose di polvere compressa e spostata verso il basso dai punzoni
4. Compressione al fondo della matrice in direzione dell’espulsione
5. Espulsione dal basso: percorso breve e pulito
MATRICI e PUNZONI - Le compresse possono avere forma e aspetto diverso;
questo dipende dalla forma dei punzoni inferiori e superiori e dalla matrice (ovale,
rotonda, rettangolare, ottagonale ecc.).
A livello di laboratorio (e quindi anche della farmacia) è stato realizzato uno
strumento, OPTIMA TABLET, che permette di ottenere delle compresse spatolate.
Permette di preparare 100 compresse in maniera rapida, rispetto alle comprimitrici.
Inoltre, garantisce un’accuratezza nel dosaggio.
Nel mortaio si prepara il composto con la
soluzione legate e poi lo si spatola
all’interno degli alveoli dell’optima tablet.
Poi si toglie la base e premendo con le mani
sulla piastra inferiore si riescono a liberare
le compresse che devono essere lasciate
asciugare (poiché in partenza è stata
utilizzata una soluzione legante).
SAGGI sulle COMPRESSE
Tutte le compresse devono soddisfare precisi requisiti di qualità e quindi bisogna
effettuare dei controlli sui lotti preparati.
60
Il primo controllo che si può fare riguarda l’ASPETTO (forma – dimensione - colore).
Quindi bisogna fare la valutazione sulla forma della compressa per verificare che non
ci siano difetti estetici, che si liscia, brillante e che non ci siano zone in cui il colorante
è più o meno concentrato.
Eventuali difetti estetici ci danno informazioni sulla preparazione.
Se le compresse presentano delle striature verticali sui bordi significa che si è
utilizzata una quantità troppo ridotta di lubrificante.
La dimensione della compressa dipende dal suo peso.
La colorazione serve anche ad aiutare i pazienti che devono assumere più medicinali
al giorno, quindi il colore può essere un fattore psicologico-stimolante per il paziente.
Infatti, sono stati fatti degli studi su quale colore è meglio utilizzare per ogni categoria
di farmaco; ad esempio per gli antidepressivi sono di colore giallo, mentre il bianco è
stato associato al fatto di alleviare il dolore.
Controllo di qualità delle compresse:
Le compresse devono contenere una certa dose di principio attivo ed il primo controllo
da verificare è che la compressa contenga la quantità giusta di principio attivo e
questo lo si può fare pesando la compressa.
SAGGIO dell’UNIFORMITA’ di MASSA: si effettua su 20 compresse pesate
singolarmente e poi si fa il peso medio che deve rientrare in un valore limite stabilito
dalla FU. Viene di solito applicato a compresse dove il contenuto di principio attivo sia
> 2 mg.
SAGGIO dell’UNIFORMITA’ di CONTENUTO: si effettua su 10 unità ed il contenuto
del principio attivo viene determinato con il metodo più adatto, quindi dipende dal
principio attivo che si ha a disposizione. Il saggio viene considerato soddisfatto se
tutte le compresse rientrano nell’intervallo (85-115% medio di principio attivo)
riportato sulla FU. Viene applicato a compresse dove il contenuto di principio attivo è
< 2 mg.
SAGGIO del TEMPO di DISAGGREGAZIONE: la disaggregazione è molto importante
perché è un fenomeno che influenza la biodisponibilità della forma farmaceutica.
Quindi la FU presenta uno specifico saggio che prevede l’utilizzo di uno specifico.
Questo strumento è costituito da un cestello contente 6 tubi cilindrici che sono
posizionati verticalmente. Sui cilindri viene posta una compressa (quindi 6 compresse
in totale) e all’interno di ha il mezzo disaggregante adatto, poi il cestello viene sospeso
ad una temperatura di 37° C. L’apparecchio viene fatto girare ed al termine il cestello
viene sollevato e si osserva che tutte le compresse si siano disaggregate. Qualora si
trovassero qualche compressa che galleggia, si deve inserire un disco che blocchi la
compressa sul fondo.
Il mezzo dove le compresse si devono disaggregare dipende dal tipo
di compressa da analizzare. Per le compresse gastroresistenti, si
termina la prova con HCl e tampone solfato per 2 h, mimando
l’ambiente gastrico. Quindi in questo caso le compresse devono
rimanere intatte per 2 h, dimostrando che il rivestimento
gastroresistente è efficace. Per le compresse classiche non rivestite
61
il saggio viene effettuato su acqua depurata a 37° C e si devono
disaggregare e solubilizzare entro 15 min in modo tale che il
principio attivo venga rapidamente assorbito e determinare l’effetto
terapeutico. Per le compresse solubili il saggio viene effettuato su
acqua depurata a 15-25° C e si devono solubilizzare e disaggregare
in 3 minuti. Per le compresse effervescenti non si riscalda il mezzo di
dissoluzione, ma si effettua a temperatura ambiente proprio perché
le compresse effervescenti vengono assunte a temperatura
ambiente; e in quanto caso si introduce una compressa in 200 mL di
acqua depurata e si deve osservare che, una volta finita
l’effervescenza, deve essere completamente disaggregata e non
devono essere presenti agglomerati di particelle.
SAGGIO di DISSOLUZIONE: la FU prevede quattro strumenti, ma quelli più utilizzati
sono: AGITATORE A PALETTA e APPARECCHIO A CESTELLO ROTANTE. Solo in casi più
specifici la FU richiede l’uso dell’apparecchio a flusso continuo.
L’agitatore a paletta è costituito da un recipiente cilindrico
al cui interno si mette il mezzo di dissoluzione e la palette
deve trovarsi ad una distanza di 25 mm dal fondo. Si
procede all’aggiunta del mezzo di dissoluzione che viene
mantenuto in movimento attraverso la paletta (entro il 4%
della velocità riportata nella monografia), poi viene
riscaldato a 37° C (per mimare le condizioni fisiologiche). Poi
si fa il prelievo del mezzo di dissoluzione analizzando la
quantità che va in soluzione. Poi si riporta in un grafico la
massa in funzione del tempo = la quantità di principio attivo
che passa in soluzione a seconda del tempo.
Nell’apparecchio a cestello rotante la compressa viene messa in un cestello di rete
rotante.
SAGGIO della RESISTENZA: si vanno ad analizzare la friabilità e la rottura (durezza),
utilizzando due strumenti: FRIABILOMETRO e MISURATORE DI DUREZZA DELLE
COMPRESSE
Friabilità delle compresse non rivestite: eseguito con il friabilometro, per
compresse di massa unitaria inferiore o uguale a 650 mg,
prelevare un numero di compresse, intere, corrispondenti, il più
vicino possibile, ad una massa di 6,5 g pre compresse di massa
superiore a 650 mg prelevare un campione di 10 compresse
62
intere. Prima del saggio le compresse devono essere accuratamente depolverate.
Pesare accuratamente il campione di compresse e porlo nel tamburo. Far ruotare per
100 volte il tamburo e rimuovere le compresse. Eliminare, dalle compresse, la polvere
che si è liberata operando come fatto precedentemente e pesarle di nuovo
accuratamente. Se al termine delle rotazioni ci sono compresse incrinate, fissurate o
rotte il campione non ha superato il saggio. Per la maggior parte dei prodotti è
accettabile una perdita di massa dell’1%.
Resistenza alla rottura delle compresse: il controllo della resistenza
meccanica delle compresse viene effettuato su almeno 10 compresse
scelte a caso fra quelle appartenenti a uno stesso lotto mediante
l’apparecchio. In linea generale è accettabile una durezza compresa fra
4 e 10 newton.
Rilascio della sostanza funzionale/principio attivo dalla compresse
FORME FARMACEUTICHE RIVESTITE
Processo tecnologico che implica l’applicazione di materiali rivestenti alla superficie
esterna di nuclei allo scopo di conferire vantaggi e proprietà specifiche alla forma di
dosaggio.
63
Il processo di rivestimento è un’operazione aggiuntiva alla produzione della forma
farmaceutica già completa. Determina l’aumento dei costi finali ed offre molti benefici
in campo farmaceutico.
Il processo di rivestimento è utilizzato per:
Benefici del processo di
rivestimento
- migliorare la presentazione del prodotto
- mascherare odori e sapori sgradevoli
- proteggere il principio attivo da luce e umidità e dare alle compresse
una maggiore resistenza meccanica
Il rivestimento può essere utilizzato per modificare la cinetica di rilascio del
principio attivo:
- produzione di compresse gastroresistenti
- produzione di compresse a rilascio modificato
Requisiti fondamentali delle forme farmaceutiche solide da rivestire:
Forme
farmaceutiche
solide da rivestire
 Essere dure e resistenti all’abrasione (bassa friabilità per sopportare
senza rotture effetti del rotolamento e degli urti tra i nuclei e contro le
pareti dei contenitori)
 Avere una superficie convessa per minimizzare il contatto tra nuclei e
facilitare la ricopertura in corrispondenza dei bordi e degli spigoli
 Consentire una buona adesione del materiale di rivestimento al nucleo
COMPRESSE RIVESTITE
Requisiti delle miscele da rivestire





buona resistenza alla rottura (scarsa friabilità)
bassa porosità per impedire la penetrazione all’interno della compressa dei
liquidi utilizzati per preparare il rivestimento; infatti il primo passaggio è isolare
la compressa
buona disaggregabilità e quindi nella formulazione si aggiungono dei
disaggreganti
basso tenore di umidità per evitare che dell’acqua rimanga nelle compresse
ricoperte
forma adatta, quella ideale è la forma sferica (“b”: forma ellittica intermedia. La
forma sferica, infatti, può essere ottenuta solo con punzoni di scarsa resistenza
e quindi bisogna ricorrere ad un giusto compromesso tra la forma “a” e la forma
“c”, per ottenere la forma “b”)
Il rivestimento di una forma farmaceutica può essere effettuato con:

CONFETTATURA o Sugar coating attraverso soluzioni zuccherine
64
Tecnica di rivestimento che comporta applicazione di soluzioni di zucchero (o sorbitolo
per diabetici) su nuclei (prevalentemente compresse). Oltre lo zucchero è previsto
l’uso di altri ingredienti quali bulking agent, opacizzanti, sostanze adesive, polimeri
filmogeni, antiaderenti, tensioattivi, aromi, coloranti e sostanze lucidanti.
Vantaggi: uso di materie prime facilmente accessibili e poco costose, uso di
attrezzature semplici e a costi relativamente bassi, realizzazione di un prodotto
gradevole al paziente.
È meno utilizzata rispetto al rivestimento con film, che è una tecnica più costosa.
Gli strumenti che si utilizzano per la confettature sono le BASSINE: recipienti di
acciaio inox, di diversa forma e dimensione, che fanno ruotare al loro interno le
compresse e sulle quali viene nebulizzata la soluzione di rivestimento con un ciclo di
aria calda.
Un
tubo
viene
utilizzato
per
nebulizzare la soluzione di saccarosio,
l’altro è un sistema che manda aria
calda all’interno della bassina per far
evaporare la soluzione di saccarosio
sulla compressa.
Processo di confettatura:
1. ISOLAMENTO(SEALING): rivestimento delle compresse con film polimerico che
non permette la penetrazione dell’acqua nel nucleo e la migrazione dei
componenti solubili del nucleo nel rivestimento zuccherino. Composizione film
isolante: soluzioni contenenti sostanze di origine naturale (gomma lacca) o
polimeri sintetici o semisintetici (HPMC = idrossipropilmetilcellulosa, CAP,
Eudragit E100)
2. INGROSSAMENTO: fase in cui è depositata la maggior parte del rivestimento
zuccherino con consistente aumento di peso dei nuclei. Sono aggiunti anche altri
eccipienti (talco, caolino, calcio carbonato o biossido di titanio) per ingrossare il
rivestimento e agenti adesivi (gomma arabica, gelatina, derivati della cellulosa)
per mantenere integro il rivestimento dopo l’essiccamento = PASSAGGIO
FONDAMENTALE
3. LISCIATURA: permette di arrotondare le compresse per rimuovere le scabrosità
superficiali prima dell’applicazione del colorante. La lisciatura è ottenuta
distribuendo sui nuclei solo sciroppo di zucchero (60- 70% di saccarosio)
4. COLORAZIONE: aggiunta nella soluzione zuccherina di coloranti solubili o
pigmenti insolubili (lacche di alluminio e ossidi di ferro o di titanio)
5. LUCIDATURA: distribuzione sul confetto finito un sottile strato di sostanze
lucidanti, cere naturali e sintetiche (cera d’api, cera carnauba, spermaceti), che è
applicato dopo aver completato l’essiccamento dei confetti
65

RIVESTIMENTO con FILM o film coating
Deposizione di una membrana polimerica relativamente sottile (da 20 a 200 μm),
uniforme, sulla superficie di un’ampia varietà di substrati (compresse, pellets, granuli,
capsule, polveri, cristalli).
Vantaggi:
- Minimo aumento di peso e volume della forma filmata con significativa riduzione
dei tempi del processo
- Migliore stabilità (igroscopicità dello zucchero rende i confetti instabili in climi
umidi e caldi)
- Maggiore resistenza meccanica alla rottura e all’abrasione
- Possibilità di applicazione anche a nuclei di piccole dimensioni e a prodotti
igroscopici
- Possibilità di impiego di materiale filmogeno in grado di conferire specifiche
caratteristiche di rilascio del farmaco (ritardato, prolungato) alla forma
farmaceutica
Bisogna nebulizzare, sulla superficie delle
compresse, le soluzioni polimeriche. Poi
le goccioline cominciano a spandersi, a
bagnare la superficie e ad unirsi tra di
loro (coalescenza), fino a formare uno
strato
continuo.
Infine,
si
ha
l’evaporazione
del
solvente
che
determina la formazione di un film secco
sulla compressa.
Eccipienti usati per rivestimento con film:
I POLIMERI conferiscono caratteristiche meccaniche finali del film (elasticità, forza
tensile, interazione con il nucleo).
Polimeri per film non funzionali:
Polimeri per il rilascio modificato:
 Eteri della cellulosa (HPMC: idrossipropil-metil-cellulosa, MC, HPC, HEC,
NaCMC:
carbossi-metil-cellulosa
sodica)
 Polimeri acrilici
 PVP
 PVA
 PEG: polietilen glicole
VEICOLI
LIQUIDI:
permettono
di
disperdere in soluzione o in sospensione i
polimeri filmogeni e gli altri componenti
della formulazione e di trasportarli sulla
superficie
dei
nuclei
da
rivestire,
consentendo una deposizione uniforme,
con conseguente formazione del film.







Acqua
Metanolo
Etanolo
Isopropanolo
Acetato di etile
Acetone
Diclorometano
 Esteri della cellulosa con l’acido
ftalico (CAP: cellulosa acetoftalato,
HPMCP)
 Esteri acrilici (Eudragit S, Eudragit L)
PLASTICIZZANTI: interagendo con i
polimeri
influenzano
i
legami
intermolecolari tra le catene polimeriche
cambiando le proprietà fisiche del
rivestimento.
I
plasticizzanti
si
differenziano per la solubilità in soluzioni
acquose (glicerina, glicole propilenico,
PEG, trietil citrato e gliceril triacetato) o in
soluzioni
organiche
(monogliceridi
acetilati, esteri del sorbitano ed olio di
ricino idrogenato)
Aumento della concentrazione ha l’effetto
di:
 Diminuire la T di transizione vetrosa
 Ridurre la resistenza tensile
 Ridurre il modulo elastico
 Migliorare l’adesione del film al
substrato
66
OPACIZZANTI:
sostanze
ANTIADERENTI
COLORANTI:
(talco,
silice
inorganiche
insolubili
in
colloidale):
permettono
usati per risolvere
di
acqua
e
in
solventi
problemi migliorare
di appiccicosità
l’aspetto del
e
organici,
il
adesività
prodotto
che usati
si quando
generano
rivestito
Apparecchiature per il rivestimento:
Le BASSINE sono contenitori di varia forma che ruotano sul proprio asse ad una
velocità variabile
APPARECCHIATURE A LETTO FLUIDO: vengono preferite soprattutto per il
rivestimento di pellets e granuli. Non sono molto preferite per il rivestimento delle
compresse perché queste vengono sottoposte a diversi movimenti di fluidizzazione
attraverso cui subiscono diversi urti che possono avere come conseguente delle
abrasioni e quindi dei danneggiamenti della forma farmaceutica.
Esistono apparecchiature di diversi tipi: hanno una parte in comune ma differiscono
per la posizione del dispositivo di spruzzo del liquido di rivestimento che può essere
sopra, SPRUZZO DALL’ALTO o TOP SPRAY, sul fondo, SPRUZZO DAL FONDO o BOTTOM
SPRAY, o tangenzialmente, SPRUZZO TANGENZIALE.
Tutte e tre le apparecchiature sono costituite da un contenitore o camera, chiamato
contenitore del prodotto, il cui fondo è costituito da una rete che permette il passaggio
dell’aria calda in modo tale da impedire alle sostanze di ricadere sul fondo. Al
contenitore del prodotto segue la camera di espansione (forma tronco-conica) dove il
materiale è fluidizzato (grazie al passaggio del flusso d’aria il materiale acquista le
caratteristiche dei fluidi e sta in movimento) e viene mantenuto sospeso nel flusso
d’aria. Nella camera di espansione la velocità dell’aria tende ad aumentare, l’aria
porta in alto le particelle che vengono bagnate dal dispositivo di spruzzo, divengono
più pesanti, e ricadono sul fondo. Al di sopra del dispositivo di spruzzo è presente il
dispositivo filtrante che serve a far fluire l’aria di fluidizzazione verso l’esterno,
evitando la perdita di materiale.
Uno degli inconvenienti cui potremmo andare incontro durante il processo di
filmatura è la SFALDATURA: conseguenza di aver raggiunto sui nuclei la soluzione di
rivestimento ad una velocità troppo elevata rispetto alla velocità con cui questa
soluzione si deve essiccare, quindi i pellet si uniscono gli uni agli altri perché sono
troppo bagnati e non si ha un’ottima filmatura.
Un altro inconveniente che potrebbe verificarsi è la COPERTURA DELLE INCISIONI o
DEI LOGHI PRESENTI SULLA SUPERFICIE DELLA COMPRESSA: il film non risulta
sufficientemente plastico e si stacca dal substrato, cioè dalla compressa. Questo
problema può essere risolto variando la quantità di plasticizzante o rivedendo le
condizioni operative di tutto il processo.
SOLLEVAMENTO del FILM dalla SUPERFICIE della COMPRESSA: bisogna rivedere
la quantità di plasticizzante e le condizioni operative di tutto il processo.
IL FILM PRESENTA UNA SUPERFICIE RUGOSA: dovuta ad un essiccamento
prematuro della superficie di rivestimento.
67
COLORAZIONE NON UNIFORME: il colorante non si è disperso omogeneamente
della soluzione di rivestimento
INCRINATURA derivanti dalle sollecitazioni e degli scontri meccanici che si sviluppano
all’interno del fil durante l’essiccamento.
EROSIONI o SCHEGGIATURE dei NUCLEI: dovute alle condizioni troppo stressanti e
forti del processo, quindi vanno riviste le condizioni di rivestimento del film.

RIVESTIMENTO A SECCO: DOPPIA COMPRESSIONE o press coating;
deposizione diretta o powder coating
Strategia di rivestimento alternativa alla confettura, favorevole poiché si esegue a
secco e permette di ottenere dei rivestimenti di un certo spessore.
Si carica il materiale, che deve rivestire la compressa,
nella matrice.
Posizionamento della compressa (o nucleo) al centro
della matrice per effettuare la pre-compressione
Si effettua nuovamente il caricamento della matrice con
l’ultima parte del materiale rivestente
Infine si ha la compattazione finale dove la compressa è
stata rivestita totalmente, e si ha l’espulsione della
compressa rivestita
→ DOPPIA COMPRESSIONE: perché si comprima prima dal lato inferiore e poi si effettua
sul lato superiore, quindi effettivamente ci sono due passaggi di compattazione.
Uno svantaggio è legato al fatto che è una tecnica applicabile sono a nuclei di
diametro non superiore a 10 mm.

RIVESTIMENTO con LIQUIDI FUSI, quindi per FUSIONE o melt coating;
solidificazione per atomizzazione o spray congealing
Tecnologia utilizzata nella filmatura di pellets, granuli e particelle polvere utilizzando
materiali termoplastici fusi e il loro consolidamento per raffreddamento.
Apparecchiatura: letto fluido top-spray, dove il dispositivo di spruzzo del materiale
rivestente si trova in alto. Permette di operare con la temperatura del prodotto più
vicina alla temperatura di solidificazione del materiale fuso.
Materiali usati sono termostabili e caratterizzati da punto di fusione relativamente
basso: esteri di glicerolo, oli vegetali idrogenati, alcoli a lunga catena, cere naturali e
sintetiche.
Vantaggi: assenza di solventi (velocità di accrescimento è rapida e non è necessaria
alcuna fase di essiccamento). Rivestimento ottenuto risulta molto denso con aspetto
lucido. È possibile ottenere il mascheramento del sapore di principi attivi sgradevoli.

RIVESTIMENTO con SPRAY-DRYING e SPRAY-CONGEALING
68
SPRAY
DRYING: nebulizzazione di emulsioni o
sospensioni preparate in una soluzione polimerica.
Questa emulsione viene fatta passare attraverso l’ugello
sottoforma di goccioline che, incontrando un flusso di
aria calda che favorisce l’evaporazione del solvente,
fanno evaporare il solvente e si recupera la
microcapsula essiccata.
SPRAY
CONGEALING:
si parte da un materiale
termoplastico (basso fondente, come le cere e quindi
materiali che hanno caratteristiche lipofile) che si fonde
e nebulizzando, queste goccioline vengono raffreddate
in modo tale che la cera fusa solidifichi, ottenendo
quindi la microcapsula solidificata.
Controlli sulle compresse rivestite:






aspetto e dimensioni
uniformità di massa
uniformità di contenuto (quando previsto)
tempo di disaggregazione (prima in H2O, poi, eventualmente, in HCl 0.1 N)
tempo di disaggregazione per compresse gastroresistenti (prima in HCl 0.1 N,
poi in tampone a pH=6.8
tempo di dissoluzione
COMPRESSE GASTRORESISTENTI
Si fa uso di rivestimenti gastroresistenti:
1) quando il principio attivo è inattivato dal succo gastrico
2) quanto il principio irrita la parete gastrica
3) per far giungere il principio attivo nell’intestino
Esistono in commercio tre diversi tipi: EUDRAGIT E, EUDRAGIT L ed EUDRAGIT S.
La lettera E (= end) indica che
questa sostanza si utilizza nella
fase finale di rivestimento delle
compresse. È un polimero
solubile nel succo gastrico per
protonizzazione per la specifica
formula chimica ed a pH>5
rigonfia diventando permeabile
all’acqua.
69
Le lettere L ed S significano la diversa solubilità nell’intestino; L si solubilizza
facilmente, mentre S si solubilizza difficilmente. L’Eudragit L contiene il 50% di acido
libero, insolubile nel succo gastrico, solubile nel succo intestinale per deprotonazione a
pH>6. L’Eudragit S contiene il 30% di acido libero e si scioglie a pH>7.
CARDIOASPIRINA
Il principio attivo è l’acido acetilsalicilico. Una
compressa contiene 100 mg di acido acetilsalicilico. Gli
altri componenti sono: polvere cellulosa, amido di mais,
copolimeri dell’acido metacrilico (entrano in gioco per
la gastroresistenza), sodio laurilsolfato, polisorbato 80,
talco, trietile citrato (plasticizzante).
Il contenuto della confezione è di 30, 60 o 90 compresse.
SYNFLEX compresse rivestite 550 mg
Ogni compressa contiene naprossene sodico 550 mg (principio
attivo) ed eccipienti quali: cellulosa microgranulare (diluente),
povidone (legante), talco (glidante e lubrificante per evitare di
appiccicarsi alle pareti dei punzoni), magnesio stearato e acqua
depurata. Il rivestimento è costituito da ipromellosa (HPMC =
idrossipropilmetilcellulosa utilizzata come polimero per film),
macrogol 8000 (polietilenglicole utilizzato come plasticizzante),
titanio diossido (opacizzante), E110
(lacca che determina al colorante
giallo/arancio).
NORVASC
Il principio attivo è l’amlodipina (come besilato). Gli
eccipienti sono: calcio fosfato dibasico anidro,
magnesio stearato, cellulosa microcristallina e amido
glicolato sodico.
70
Le compresse da 5 mg e 10 mg sono compresse di colore da bianco a biancastro,
ottagonali con impresso AML 5 o 10 e linea di incisione su un lato e logo Pfizer
sull’altro lato.
CIALDINI o CACHETS o CAPSULE AMILACEE
I cialdini sono preparazioni solide costituite da un involucro duro contenente una dose
unica di uno o più principi attivi. L’involucro del cialdino è fatto di pane azzimo
usualmente di farina di frumento e consiste di due sezioni cilindriche appiattite
preformate. Prima della somministrazione, i cialdini sono immersi in acqua per pochi
secondi, posti sulla lingua e inghiottiti con un sorso
d’acqua.
Possono essere distinti in due tipi:


CIALDINI A SECCO: costituiti da 2 cilindretti da
inserire l’uno sull’altro, fungendo l’uno da
contenitore e l’altro da coperchio e chiusura
CIALDINI A UMIDO: costituiti da 2 semivalve con
bordo piatto; introdotta la polvere in una semivalva
vi viene sovrapposta l’altra con il bordo inumidito
per farla aderire in modo permanente
Sono forme farmaceutiche utilizzate, ormai, solo per preparazioni magistrali ed il loro
uso è molto ridotto.
Sono utilizzati per somministrare polveri ben secche e non igroscopiche.
L’altezza dei cialdini è fissa (circa 7 mm) ed il diametro di 15-25 mm. Si distinguono
vari formati “00”, “0”, “1” e “2”. Oggigiorno sono utilizzati quasi esclusivamente per
preparazioni magistrali, spesso per medicamenti da assumersi in dosi molto alte (1-1,5
g).
CAPSULE
Le capsule sono preparazioni solide con involucri duri o molli di
varie dimensioni e capacità, contenenti usualmente una dose unica di principio(i)
attivo(i). sono destinate alla somministrazione orale.
Gli involucri delle capsule sono fatti di gelatina (non utilizzata per motivi religiosi in
quanto ha origine animale) o altre sostanze (HPMC o base di pullulano), la cui
71
consistenza può essere regolata per aggiunta di sostanze come glicerolo o sorbitolo
(plasticizzanti). Possono essere aggiunti altri eccipienti come tensioattivi, cariche
opache, conservanti antimicrobici, dolcificanti, coloranti autorizzati e aromatizzanti. Le
capsule possono presentare sulla superficie delle marcature.
I contenuti delle capsule possono essere di consistenza solida, liquida o pastosa;
consistono di uno più principi attivi con o senza eccipienti come solventi, diluenti,
lubrificanti e disaggreganti. I contenuti non devono causare alterazione dell’involucro.
Questo, tuttavia, viene attivato dai digestivi così che siano liberati i contenuti.
Si possono distinguere varie categorie di capsula:



CAPSULE RIGIDE: hanno involucri costituiti da due sezioni cilindriche
preformate (corpo e testa), un'estremità delle quali è arrotondata e chiusa,
l'altra è aperta. Sono anche denominate “capsule dure” o opercoli (questo
termine significa semplicemente coperchio e quindi non specifica tutta la
composizione dell’involucro intero, ma solo una parte della capsula) o “capsule
percolate”. Ottenute in passato con gli stessi costituenti di quelle molli,
riducendo notevolmente la quantità di glicerina, adesso vengono preparate
esclusivamente con gelatina o idrossipropilmetilcellulosa (HPMC = ipromellosa)
contenenti 10-15% di umidità residua, più eventuali opacizzanti e coloranti.
CAPSULE MOLLI: hanno involucri più spessi di quelli delle capsule dure. Gli
involucri sono costituiti da un’unica parte e hanno diverse forme. Generalmente
preparate secondo il brevetto Scherer, sono costituite da gelatina con aggiunta
di glicerina fino al 30% (responsabile della elasticità). Quando hanno forma
sferica o ovoidale sono denominate anche “perle”.
CAPSULE A RILASCIO MODIFICATO: sono capsule rigide o molli in cui i
contenuti o l’involucro o entrambi contengono eccipienti speciali oppure sono
preparate con procedimento particolare che modifichi la velocità, il sito o il
tempo al quale vengono rilasciati il o i principi attivi. Le capsule a rilascio
modificato includono le capsule a rilascio prolungato e le capsule a rilascio
ritardato.

CAPSULE GASTRORESISTENTI: capsule a rilascio ritardato preparate in modo
da resistere al fluido gastrico ed a rilasciare il o i loro principi attivi nel fluido
intestinale. Sono usualmente preparate riempiendo le capsule con granulati o
con particelle provviste di un rivestimento gastroresistente o, in certi casi,
ricoprendo le capsule rigide o molli con un rivestimento gastroresistente
(capsule enteriche).
Solo le capsule rigide ed i cialdini possono essere acquisiti vuoti ed essere
successivamente riempiti anche con attrezzature poco impegnative, pertanto sono
facilmente utilizzabili anche in farmacia: occorre quindi soffermarsi in particolare su
questi due tipi di capsule. Le capsule rigide possono eventualmente essere rese
gastroresistenti o a rilascio modificato.
Le capsule sono costituite essenzialmente da:



PLASTICIZZANTI (glicerina, sorbitolo)
Sostanze CONSERVANTI (ad es. Piccole quantità di anidride solforosa per
prevenire la crescita di muffe e batteri sulla gelatina che costituisce un ottimo
terreno di coltura)
COLORANTI NATURALI (ossidi di ferro) ruolo importante nell’identificazione del
prodotto e rendono più piacevole la formulazione
72

OPACIZZANTI (biossido di titanio) possono essere inclusi nella formulazione per
rendere opaco il guscio in maniera da ottenere una certa protezione contro la
luce o per nascondere il contenuto della capsula stessa

GELATINA: sostanza non tossica, molto utilizzata in campo alimentare ed è
accettata per il suo utilizzo in tutto il mondo, è facilmente solubile nei fluidi
biologici alla temperatura corporea e presenta buone caratteristiche filmogene.
Si trova in commercio come gel essiccato in forma di lamine rettangolari sottili e
trasparenti, in scaglie o granuli (polvere di colore giallognolo).
Può essere estratta attraverso un’idrolisi
basica, ottenendo una gelatina di tipo B, o
attraverso
un’idrolisi
di
tipo
acida,
ottenendo una gelatina di tipo A.
In commercio si utilizza un mix di tipo A e
tipo B.
Per ottenere la gelatina di tipo B si parte
dalla polvere di ossa, questa deve essere
purificata con una soluzione di HCl (al 5%)
per 10-15 giorni, poi
Per ottenere la gelatina di tipo A si parte
dalle cotenne di maiale lavate, trattate per
10-30 ore con HCl (1-5%).
L’industria farmaceutica ha dovuto trovare alternative all’utilizzo della gelatina; quindi
oggi c’è la possibilità di preparare delle capsule con materiali alternativi:
-
CELLULOSA che contiene il 5% di umidità
IDROSSIPROPILMETILCELLULOSA (5-7% di umidità)
PULLULANO ottenuto dalla fermentazione del mais
Produzione di capsule rigide:
1. Immersione: coppie di cilindretti in acciaio inossidabile
opportunamente lubrificati, la cui temperatura è di 22° C,
vengono immersi in una soluzione di gelatina a viscosità
controllata e alla temperatura di 50° C per pochi secondi (la
gelatina subisce una transizione gel-sol a circa 40° C).
2. Rotazione: una volta risaliti dall'immersione, i cilindretti
vengono fatti ruotare per un certo periodo di tempo per
rendere uniforme la distribuzione della gelatina.
3. Essiccamento: fase delicata poiché un errato livello di
essiccamento provoca alterazioni nella consistenza finale.
Volumi di aria molto secca e a temperatura di poco superiore a
quella ambiente vengono fatti passare attraverso i cilindretti
fino a raggiungere la percentuale di umidità desiderata. Un
essiccamento troppo rapido è da evitare perché condurrebbe
ad un indurimento della gelatina (umidità residua 12-15%).
4. Separazione dei film di gelatina dai cilindretti.
73
5. Aggiustamento lunghezza: Sia il corpo che il coperchio della
capsula cadono, rimanendovi incastrati, in fori di dimensioni
opportune, dove vengono livellati da lame affilate.
6. Riunificazione corpo-coperchio: Le due parti vengono riunite
in maniera da poter pre-chiudere le capsule e trasportarle
senza che si abbia una separazione dei due pezzi che le
compongono.
Produttori di capsule:
Elanco Qualicaps (divisione della EliLilly
Capsugel
(divisione
della
Warner-
Capsule rigide
and Co.)
LambertCo.)
R.P. Scherer Hardcapsule Inc.
CAPSULE RIGIDE





Vantaggi rispetto alle compresse:
Mascherano odori e sapori sgradevoli
Sono facilmente disciolte a livello gastrico, liberando i principio attivo in meno di
15 min.
Possono essere riempite con attrezzature poco costose e di facile manovrabilità
La scelta degli eccipienti non richiede complessi studi, soprattutto quando si
usano riempitrici manuali o semiautomatiche
In base agli studi effettuati dal Prof. Max Luscher
sull’effetto psicologico dei colori delle capsule nel
successo terapeutico di un medicamento”, ogni
preparazione
può
essere
presentata
nei
colori
corrispondenti al suo effetto: ne consegue una maggiore
aspettativa
nella
sua
efficacia
e
una
migliore
identificazione.
Svantaggi rispetto alle compresse:

Non è possibile suddividerle
74

Nonostante l’involucro sia costituito da pura gelatina, l’aspetto risulta talora
poco naturale, simile a plastica
Le aziende farmaceutiche hanno pensato di modificare un po’ la superficie del corpo e
della testa, creando delle intercapedini.
A. La superficie è completamente liscia
B. La presenza delle intercapedini (sia su testa che su corpo)
permette la chiusura e quindi eviti che la testa possa aprirsi e
perdere la polvere = capsula SNAP-FIT
Capsula CONI-SNAP: oltre ai solchi per
chiusura definitiva presentano 6 tacchi
(dimples) equidistanti tra loro lungo
tutta la circonferenza della testa. La
chiusura definitiva di queste capsule
avviene per incastro dei solchi con quello del corpo.
Capsule LICAPS: possono essere riempite con formulazioni
liquide non acquose (perché altrimenti scioglierebbero la
gelatina).
Queste capsule devono essere saldate nel punto di
sovrapposizione tra testa e corpo, spruzzando una piccola
quantità di miscela alcol + acqua, per garantire la perfetta
tenuta tra testa e corpo.
In commercio ci sono diversi tipi di capsule suddivise in
una serie di numeri da 000 a 5. Maggiore è il numero,
minore è il volume della capsula. Quelle maggiormente
utilizzare sono quelle 0 (zero) a cui corrisponde un
volume di 0,68 ml.
MISCELAZIONE
Gli eccipienti vengono aggiunti principalmente per due scopi:
1) raggiungere la quantità necessaria per riempire le capsule
2) migliorare la scorrevolezza di alcune miscele di principi attivi
Nel primo caso sono sufficienti eccipienti inerti; nel secondo caso sono necessari dei
lubrificanti.
Inerti
 Lattosio - ne esistono varie granulometrie; il più adatto, anche se leggermente più
costoso è il tipo spray-dried, commercialmente noto come “tablettose”, che ha il
vantaggio di una notevole scorrevolezza perché si ottengono delle particelle
perfettamente sferiche (forma migliore e requisito che è favorevole a migliorare lo
scorrimento).
 Cellulosa microcristallina - varie granulometrie, preferibile la T2; come il lattosio
spray-dried scorre molto bene. Nomi commerciali “avicel”, “microcel”.
75
Lubrificanti
 Glidanti (migliorano lo scorrimento delle polveri): talco, magnesio stearato.
 Antiaderenti: talco, magnesio o calcio stearato.
 Lubrificanti veri: magnesio stearato, silice colloidale anidra, talco, silicato di
alluminio o magnesio.
Adsorbenti Silice colloidale anidra (silice amorfa, silice precipitata) nota
commercialmente come “aerosyl”, talco, caolino, amido di mais, carbonato di calcio.
Per il riempimento delle polveri il principio
attivo non può essere utilizzato da solo.
Quindi le capsule vengono classificate in
base ad un numero alle quali corrisponde il
volume.
Si pone il principio attivo, perfettamente pesato, su un cilindro graduato
e si va a verificare a quale volume corrisponde. Se il volume occupato
dal principio attivo non corrisponde al volume delle capsule, bisogna
ricorrere all’uso di eccipienti per poterle riempire correttamente. Poi si
pone il contenuto del cilindro in un mortaio e poi si trasferisce la polvere
nello strumento che ci permette di riempire le capsule rigide
(opercolatrice o incapsulatrice manuale)
Ci sono diverse tecniche per capire quanta miscela è
necessaria per riempire le capsule.
Ci sono dei grafici che riportano in ascisse il volume (ml)
ed in ordinata le capsule. Se si vogliono preparare 50
capsule di tipo O, al quale corrisponde un volume di 0,68
ml, si deve raggiungere un volume di 34 ml (0,68 ml x 50
capsule = 34 ml). Questo grafico consente di sapere quale
volume la polvere deve avere.
Se si vogliono preparare 50 capsule di tipo 1, che hanno
un volume di 0,50 ml, si deve raggiungere un volume di 25
ml (0,50 ml x 50 capsule = 25 ml).
Le INCAPSULATRICI o OPERCOLATRICI MANUALI sono costituite da 2 parti:


Caricatore (orientatore): per disporre le capsule, da riempire, nella corretta
posizione
Opercolatrice (riempitrice): per eseguire le operazioni di apertura (sollevamento
della testa dal corpo), riempimento (con una spatola si riesce a distribuire tutta
la polvere in modo tale da riempire tutti i corpi delle capsule), comprimitura e
chiusura delle capsule (riposizionando le teste su ciascun corpo).
Le incapsulatrici manuali consentono di preparare 100 capsule.
76
Le OPERCOLATRICI SEMIAUTOMATICHE sfruttano il medesimo principio di
funzionamento delle opercolatrici manuali, ma sono facilitate molte delle operazioni.
Queste incapsulatrici sono dotate di un caricatore-orientatore automatico, separato
dall’incapsulatrice vera e propria, che permette di disporre già gli opercoli su una
griglia forata, facilmente posizionabile sul piano di lavoro. Il piano di lavoro, che ha
dimensioni solitamente più grandi rispetto a quello delle manuali, è progettato per
impedire perdite accidentali di prodotto. Il dosaggio della miscela avviene
manualmente ed un vibratore favorisce l’assestamento della polvere nel corpo delle
capsule. Il contenuto può essere compresso grazie ad una pressa manuale dotata di
appositi punzoni che agiscono in corrispondenza degli opercoli. Eseguito il
riempimento, si appoggia il piatto contenente la testa degli opercoli e si preme in
modo da richiuderli.
77
Secondo la F.U.I. XII ed. i SAGGI DI CONTROLLO richiesti sulle capsule sono:
1. Uniformità di massa delle dosi farmaceutiche a dose unica: si prelevano a caso
da uno stesso lotto 20 capsule, si pesano singolarmente, si aprono togliendovi
completamente il contenuto e si pesano singolarmente gli involucri (capsule),
per differenza fra le due pesate si ottiene la massa dei singoli contenuti e si
determina la massa media. Non più di due di tali masse individuali possono
presentare uno scarto, rispetto alla media, superiore a +/- 10%, per le capsule
di massa media inferiore a 300 mg, superiore a +/- 7,5% per le capsule di
massa media maggiore o uguale a 300 mg. Nessuna unità può presentare uno
scarto maggiore del doppio di tale percentuale.
2. Uniformità di contenuto delle forme farmaceutiche a dose unica: tale saggio non
si applica ai preparati polivitaminici e alle preparazioni contenenti
oligoelementi, e in altri casi giustificati autorizzati. È richiesto soltanto quando il
principio attivo contenuto in ogni dose è inferiore a 2 mg o comunque inferiore
al 2% del peso totale. Si prelevano a caso da uno stesso lotto 10 unità,
titolandone singolarmente il principio attivo con un metodo analitico idoneo. Si
calcola il titolo medio. La preparazione è accettabile (soddisfa il saggio) se non
più di un contenuto in principio attivo è fuori dai limiti compresi fra l’85% e il
115% e nessuno è fuori dai limiti compresi fra il 75% e il 125%, ma compresi fra
il 75% e il 125% si devono determinare i contenuti su altre venti unità prelevate
a caso e la preparazione risulta accettabile se non più di 3 contenuti individuali
dei 30 sono fuori dai limiti dell’85-115% e nessuno fuori dai limiti del 75-125%.
3. Disaggregazione delle capsule: escludendo il caso di interazioni fra i
componenti, in pratica dipende soltanto dall’involucro gelatinoso, pertanto fa
fede il dato riportato dal produttore. La farmacopea indica un tempo di
disaggregazione non superiore a 30 minuti.
4. Dissoluzione
In veicolo acquoso:



Le
soluzioni
acquose
sono
isotoniche (no squilibri osmotici
della mucosa nasale)
pH neutro
78
Preparazioni
multidose
con
antimicrobico
(benzalconio
cloruro 0.01%) in quanto l’acqua
è facilmente contaminabile da
muffe o batteri
In veicolo oleoso:


Olio vegetale (di mandorle, oliva,
arachidi)
Apprezzabile viscosità consente
una maggiore permanenza a
contatto con la mucosa nasale
Fitonasal è un coadiuvante
specifico ad azione lubrificante,
emolliente e protettiva che
attenua la sensazione di naso
chiuso
e
favorisce
indirettamente la rigenerazione
della mucosa nasale irritata a
causa
di:
malattie
da
raffreddamento;
secchezza
nasale anche dovuta a condizioni patologiche croniche
(quali sinusiti e rinite allergica) o permanenza in ambienti
secchi, polverosi e inquinati; sfregamento conseguente a
frequenti starnuti, frequente soffiarsi il naso, presenza di
croste nella cavità nasale; contatto con agenti irritanti
esterni quali polvere, fumo, smog, pollini o microrganismi.
La formulazione 100% naturale di Fitonasal, grazie alle resine presenti nell'estratto
oleoso di Incenso e alle sostanze lipofile di Helydol: riveste la mucosa nasale di un film
emolliente e protettivo che esplica su di essa un effetto barriera limitandone la
disidratazione e il contatto con agenti esterni irritanti favorendone indirettamente la
rigenerazione. mantiene l'idratazione, promuovendo un adeguata visco-elasticità del
muco e facilitandone la corretta espulsione. Può favorire lo starnuto che concorre alla
rimozione dei depositi di muco e di agenti irritanti, anche patogeni, dalle fosse nasali.
Per la presenza di oli essenziali di Eucalipto e Menta, il prodotto esplica, inoltre, un
rapido effetto rinfrescante che conferisce una sensazione di naso libero e favorisce la
respirazione, attenuando la sensazione di naso chiuso dovuta a una o più delle
condizioni sopra elencate.
Per queste sue caratteristiche emollienti e non aggressive Fitonasal può essere
utilizzato anche per trattamenti prolungati, in caso di irritazioni croniche.
COMPOSIZIONE: Incenso estratto oleoso in olio di girasole; Oli essenziali di: Menta
piperita, Eucalipto; Elicriso sommità fiorite estratto liofilizzato frazione lipofila
(Helydol).

GOCCE AURICOLARI (nel condotto uditivo): vengono generalmente indicate
con il nome INSTILLAZIONI
79
“soluzioni, emulsioni o sospensioni di uno o più principi attivi in liquidi adatti per
essere applicati nel meato uditivo senza esercitare pressione dannosa sul timpano (per
esempio acqua, glicoli od oli grassi”.
Dispensate in contenitore multidose di vetro o di adatto materiale plastico dotati di
contagocce incorporato o con tappo a vite di materiali opportuni provvisto di
contagocce con pompetta in gomma o plastica.
Azione locale: dosi adeguate al trattamento.
COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA
100 ml di soluzione contengono:
Principi attivi



Polimixina B solfato U.I. 1.000.000
Neomicina solfato 0,500 g (pari a neomicina base 0,375 g)
Lidocaina cloridrato 4 g
FORMA FARMACEUTICA - Gocce auricolari.
Eccipienti: Benzalconio cloruro, Glicole propilenico, Glicerolo,
Acqua depurata
Posologia e modo di somministrazione


Adulti: 4-5 gocce, 2-4 volte al giorno
Bambini: 2-3 gocce, 3-4 volte al giorno
Instillare, tramite l'apposito contagocce, nel dotto auricolare tenendo la testa piegata
di lato per alcuni minuti.
Il periodo di trattamento è variabile in relazione alla rapidità della risposta terapeutica.
Composizione:
Studiate per proporre solo elementi e principi attivi provenienti
dalla natura, le gocce auricolari otosan contengono: olio di
mandorle dolci, olio di ribes nero, olio di borragine bio, olii essenziali
bio di cajeput, geranio, ginepro e chiodi di garofano, propoli,
bisabololo e vitamina e (che funge da antiossidante, in quanto gli oli
possono andare incontro facilmente al processo di ossidazione).
80
SISTEMI DISPERSI
Queste tre preparazioni sono caratterizzate dal fatto di essere costituite da una fase
dispersa e da una fase disperdente. Sono preparazioni costituite da due fasi: fase
dispersa che viene distribuita in un mezzo liquido che è la fase disperdente = sono
sistemi BIFASICI.
La fase dispersa è distribuita sotto forma di goccioline o particelle disperse nella fase
disperdente.
La fase dispersa è detta anche discontinua o interna, mentre la fase disperdente è
detta continua o esterna.
Le differenze riguardano le dimensioni e lo stato fisico delle particelle nella fase
dispersa. La fase dispersa è un solido per le dispersioni colloidali e per le dispersioni,
mentre è un liquido per le emulsioni.
Possono essere classificate in base alle dimensioni delle particelle. Le dimensioni,
passando dalle dispersioni molecolari a quelle colloidali e grossolane, aumentano.
Inoltre, le tre formulazioni differiscono per le dimensioni della fase dispersa: il
diametro per le dispersioni colloidali è 1-100 nm, per le
Se si ha come fase disperdente un gas,
la fase dispersa può essere un liquido o
un solido.
Se la fase disperdente è un liquido, la
fase dispersa può essere un gas, un
liquido
(emulsione)
o
un
solido
(sospensioni).
Se la fase disperdente è un solido, la
fase dispersa può essere un gas, un
liquido o un solido.
La zona in cui le due fasi vengono a contatto viene definita interfaccia.
Nel caso delle emulsioni è rappresentata dai due liquidi immiscibili, mentre per le
sospensioni riguarda l’interfaccia tra solido e liquido. L’interfaccia avrà delle
caratteristiche diversi delle due fasi singole, proprio perché si trova in questa zona di
contatto.
81
SISTEMI COLLOIDALI
Sono quei sistemi in cui le particelle hanno delle dimensioni comprese tra 1 nm e 500
nm. Queste particelle sono caratterizzate dall’avere un’elevata area superficiale e si
deve a questa caratteristica le proprietà specifiche dei colloidi: tra cui il fenomeno di
adsorbimento, dove è importante l’interfaccia.
Queste particelle, sospese nel liquido, possono avere forme diverse e questo va a
influenzare l’area superficiale. Quindi è importante valutare le dimensioni per avere
una vasta area superficiale.
Il processo di adsorbimento permette di formulare preparazione a forte potere
adsorbente delle sostanze, come i disintossicanti e gli antidoti.

COLLOIDI LIOFILI o LIPOFILI (nel caso in cui il solvente sia rappresentato
dall’acqua)
I colloidi idrofili impiegati in farmacia (generalmente in forma di mucillagini)
contengono generalmente: gomme naturali (acacia, agar, adragante), PVP, derivati
della cellulosa (metilcellulosa, CMC = carbossimetilcellulosa).
La scelta è ricaduta su queste sostanze poiché sono caratterizzate dalla presenza di
gruppi a carattere idrofilo (OH, COOH, NH 2) capaci di formare legami a idrogeno con le
molecole di acqua.
I colloidi idrofili aumentano notevolmente la viscosità dell’acqua in conseguenza dei
legami che si instaurano fra fase dispersa e mezzo disperdente: proprietà usata per
rendere più stabili le emulsioni e le sospensioni.

In opportune condizioni, le molecole dei colloidi idrofili, intrecciandosi tra di loro,
formano un reticolo nel cui interno restano racchiuse le molecole d’acqua =
GEL

Se la dispersione di un colloide idrofilo viene evaporata in modo da eliminare
quasi tutto il mezzo disperdente, è possibile ottenere di nuovo un «sol» per
semplice aggiunta di acqua. Per questo motivo (e cioè che riescono a ritornare
alla struttura primaria) i colloidi idrofili sono detti «colloidi reversibili» = SOL
Il metodo di preparazione dei colloidi liofili consiste nella dispersione del colloide
idrofilo nel mezzo disperdente, che può essere solitamente acqua (ad esempio
gelatina o gomma arabica).

COLLOIDI LIOFOBI o IDROFOBI (nel caso in cui il solvente sia
rappresentato dall’acqua)
Sono colloidi idrofobi quasi tutti i colloidi inorganici, come i metalli, gli ossidi e i solfuri.
Le particelle dei colloidi liofobi non si legano con il mezzo disperdente e quando questo
viene evaporato non ritornano allo stato di «sol» per semplice aggiunta del mezzo
disperdente; per questo sono chiamati «colloidi irreversibili».
Metodi di preparazione per portare le dimensioni del colloide liofobo (che sono molto
piccole) a dimensioni colloidali:
82
1) Metodi di dispersione: si tende a ridurre le particelle del colloide a dimensioni
colloidali, si diminuiscono le dimensioni del colloide
2) Metodi di condensazione: si fanno riunire delle particelle più piccole fino a
raggiungere le dimensioni dello stato colloidale

COLLOIDI di ASSOCIAZIONE
Il materiale di partenza è rappresentato da molecole
anfifiliche come i tensioattivi, cioè testa idrofila e coda
lipofila. La formazione dei colloidi d’associazione è
spontanea, purché la concentrazione dell’anfifilo in
soluzione superi la CMC (concentrazione micellare
critica alla quale si forma la prima micella). Le micelle,
poi, possono avere diverse forme.
Nei sistemi bifasici è importante vedere l’interfaccia, in quanto influenza in qualche
modo il sistema colloidale. Si parla, infatti, di PROPRIETÀ ELETTRICHE
dell’INTERFACCIA = le particelle disperse in un mezzo liquido possono sviluppare
una carica superficiale.
Partendo da questo concetto è stata elaborata la teoria del doppio strato
elettrico.
La carica superficiale può derivare da due meccanismi:


Adsorbimento di specie ioniche presenti in soluzione
Ionizzazione di gruppi, come ad esempio i gruppi carbossilici, che sono presenti
sulla superficie della particella
83
Intorno ad una particella solida vengono adsorbiti degli
ioni che sono presenti nella soluzione disperdente del
sistema: supponiamo che alcuni cationi vengano adsorbiti
a livello della superficie della particella solida che
acquisisce una carica positiva. Quindi sulla superficie ci
sono cationi, mentre in soluzione sono presente sia
cationi che anioni.
Gli anioni, presenti in soluzione, saranno fortemente
attratti dalla carica positiva presente sulla particella
solida. Quindi formano il prima strato elettrico. Questo strato elettrico è costituito dalle
molecole di solvente e dagli anioni attratti dai cationi presenti sulla superficie della
particella solida.
Poi, si forma un secondo strato elettrico costituito da ioni che hanno entrambe le
cariche, quindi anioni e cationi. Tratto b-c prevalgono le cariche opposte a quelle
presenti sulla superficie (quindi gli anioni).
Nell’ultimo tratto (c-d) le cariche si eguagliano e quindi si raggiunge la stabilità
elettrica.
Il potenziale che si viene a creare sulla superficie della particella viene definito
potenziale Z o di Nerst = differenza di potenziale tra la superficie della particella
e la regione elettricamente neutra della soluzione. Questa misurazione consente di
ottenere delle informazioni sulla stabilità del sistema.
Inoltre, il potenziale Z indica se le particelle si attraggono o si respingono, proprio in
funzione delle cariche elettriche che si vengono a formare all’interfaccia.
Se si ha un potenziale Z alto significa che prevalgono le forze repulsive; mentre se il
potenziale Z è basso significa che prevalgono le forze attrattive.
STABILITÀ dei sistemi colloidali
Nel caso della stabilità bisogna valutare quali sono i fattori che influenza i sistemi
dispersi costituiti da collidi idrofobi e di colloidi idrofili.
Per i colloidi idrofobi la stabilità si basa sulla TEORIA DLVO (iniziali dei cognomi dei
ricercatori che hanno elaborato questa teoria): la stabilità dipende dall’energia
potenziale netta (Et) che è presente nelle particelle. Questa energia, a sua volta,
dipende da un bilancio dell’energia derivata dalle forze attrattive (Ea = forze di Van
der Walls) e dalle forze repulsive (Er = derivano dalla sovrapposizione dei doppi strati
elettrici).
Et = Ea + Er
Il massimo primario si verifica quando prevalgono le forze di repulsione.
Mentre quando prevalgono le forze di attrazione si può verificare il minimo primario ed
il minimo secondario = l’attrazione delle particelle si manifesta in due punti: minimo
primario e minimo secondario.
Se le particelle sono molto vicine tra di loro,
quindi a distanza ravvicinata, si manifesta il
MINIMO PRIMARIO.
Se, invece, le particelle si trovano ad una
grande distanza tra di loro, si verifica il MINIMO
SECONDARIO. Si è visto che la formazione del
minimo secondario avviene ad una distanza
84
interparticellare di 10-20 nm e dipende dalle
dimensioni delle particelle il cui diametro non
deve essere < 1 μm. Quindi, se le condizioni
sono queste, le forze repulsive diminuiscono con
la distanza più rapidamente di quelle attrattive
= in questa condizione di verifica la
FLOCCULAZIONE dei sistemi colloidali.
Ad una distanza intermedia, se prevalgono le
forze di repulsione (dovute al doppio strato
elettrico) si presenta il massimo primario.
Quindi a seconda di quali forze prevalgono si possono determinare delle specifiche
condizioni.
Per i colloidi idrofili la stabilità è influenzata sia dalla carica che dalla solvatazione
nella soluzione disperdente.
Mettendoli a confronto, sono più stabili i sistemi dispersi costituiti da colloidi idrofili,
proprio per la natura chimica del colloide stesso che riesce ad avere delle cariche più
nette per la presenza dei gruppi ionizzabili all’interno della soluzione (quindi è più
facile che si creino delle interazioni tra la fase dispersa e quella disperdente, ed è più
facile che vadano anche in soluzione).
I sistemi colloidali sono utilizzati per modificare il rilascio di alcuni farmaci.
SOSPENSIONI
Le sospensioni sono sistemi dispersi
bifasici
costituiti
da
una
fase
interna/dispersa solida ed una fase
esterna/disperdente liquida o semiliquida,
acquosa (raramente oleosa).
Le sospensioni possono essere impiegate
per uso orale, per uso esterno o per uso
parenterale; quindi questa formulazione,
insieme agli sciroppi, è ben accettata da
particolari fasce di popolazioni (bambini e
anziani).
Si prestano bene a mascherare il sapore
sgradevole di un farmaco e, per alcuni tipi
di farmaci (soprattutto gli antibiotici, ad
esempio l’ampicillina), questo tipo di
formulazione risulta più stabile rispetto alle soluzioni. A patto che la sospensione
venga preparata estemporaneamente prima dell’uso.
Le sospensioni farmaceutiche possono essere classificate in tre tipi:
 Orali
 Topiche
 Iniettabili
Requisiti fondamentali richiesti per la preparazione farmaceutica:
1. Dispersione omogenea delle particelle solide nel liquido disperdente.
85
2. Non devono verificarsi fenomeni di sedimentazione (sul fondo del contenitore) o
devo essere processi molto lenti. Nel caso in cui non si possa evitare, è
necessario che il sedimento sia facilmente ri-disperdibile per agitazione
(“agitare prima dell’uso”).
3. Dimensioni delle particelle che non devo alterarsi nel tempo, poiché si
altererebbe la stabilità: più fini sono le polveri da sospendere, più stabile
risulterà la sospensione
4. Viscosità della fase liquida: più viscosa è la fase esterna, più stabile risulta la
sospensione.
5. Stabilità chimica della sospensione che dipende dalle dimensioni delle particelle
e dalla viscosità della fase liquida.
6. Aspetto gradevole e odore e sapore accettabile dal paziente
I solidi da sospendere nella fase disperdente liquida devono essere di carattere:

LIOFILO: le particelle possono essere solvatate in superficie, cioè si lasciano

bagnare dalla fase liquida e pertanto si lasciano facilmente sospendere.
Sospensioni stabili. Eventuale sedimento è facilmente dispersibile per
agitazione.
LIOFOBO: le particelle solide non vengono solvatate e quindi non si lasciano
bagnare mostrando difficoltà a essere sospese. Prodotto instabile. Il sedimento
molto compatto (cake) che si forma sul fondo incontra difficoltà a risospendersi
per semplice agitazione.
La maggior parte delle volte, si preferisce utilizzare sostanze liofile rispetto alle
sostanze liofobe.
Etichetta di sospensioni: “Agitare bene prima dell’uso”.
Bagnabilità delle particelle solide nel mezzo
liquido
Caratteristica
molto
importante
nella
preparazione delle sospensioni farmaceutiche. Si
parla di bagnabilità quando una particella solida
viene posta su una superficie orizzontale e poi
bagnata dal liquido. Questa può distendersi ed
assumere forme differenti. Si valuta se la
particella è bagnabile, misurando un angolo θ
(theta), l’angolo di contatto che è definito dal
piano della superficie solida e dalla tangente che si stabilisce tra il piano solido e la
particella.
Questo angolo può avere diverse misure:


θ < 90° significa che la particella si fa bagnare
θ > 90° la fase disperdente fa fatica a bagnare la particella e la difficoltà massima
si raggiunge con un angolo di 180°
Se si hanno sostanze che non si lasciano bagnare facilmente ci sono sostanze che
permettono di ovviare a questo inconveniente = agenti bagnanti tra i quali rientrano
i tensioattivi, la carbossimetilcellulosa (CMC) e le gomme adraganti.
86
Anche la sedimentazione è un processo che deve essere valutato per la
preparazione delle sospensioni. Sarebbe auspicabile che le particelle solide non
sedimentassero sul fondo del contenitore, ma qualora non si riesca ad evitare questo
fenomeno si può migliorare o prevenire conoscendo la velocità con la quale avviene il
processo di sedimentazione.
Si utilizza la legge di Stokes che regola la velocità di sedimentazione delle particelle
solide. Questa legge mette in relazione i fattori che influenzano la velocità di
sedimentazione: diametro delle particella, viscosità del sistema e la densità delle fasi
(dispersa e disperdente).
Se si riescono a gestire bene queste tre grandezze si riesce a ridurre o ad annullare il
processo di sedimentazione. Quindi riducendo le dimensioni delle particelle sospese, si
contribuisce al rallentamento del processo di sedimentazione o all’annullamento. Però,
ci devono essere piccole differenze di densità tra le due fasi e la viscosità deve essere
alta in modo tale da mantenere in sospensione le particelle fini.
Per aumentare la densità della fase disperdente si può aggiungere uno zucchero,
mentre se la si vuole diminuire si può aggiungere un solvente organico che si misceli
con l’acqua (ad esempio un alcol).
Un inconveniente che si può presentare durante la sospensione delle formulazione è
l’aumento delle dimensioni delle particelle in quanto si avvicinano tra di loro.
Questo processo di ingrossamento delle particelle, quindi, deve essere controllato nel
tempo in quanto influenza la viscosità del sistema, si può verificare una rapida
sedimentazione e può (in generale) cambiare le caratteristiche della formulazione
finale che potrebbe non è essere più idonea e adatta alla formulazione.
Spesso, vengono utilizzati degli agenti sospendenti, come il polivinilpirrolidone
(PVP), per diminuire questo fenomeno.
Le particelle disperse in un veicolo liquido sono soggette a delle forze elettriche che
possono essere attrattive o repulsive. Le forze attrattive sono generalmente le forze di
Van der Waals, mentre quelle repulsive dipendono dalle cariche elettriche presenti
sulla superficie e che derivano dall’adsorbimento di ioni nella soluzione o dalla
ionizzazione di molecole presenti sulla superficie. Queste cariche elettriche possono
formare un doppio strato elettrico intorno alle particelle.
La differenza di potenziale che si viene ad instaurare tra il primo strato di carica e la
regione del solvente elettricamente neutra viene definita potenziale Z. Quindi, quello
che vale per i sistemi dispersi, vale anche per le sospensioni, proprio perché si tratta
di sistemi dispersi.
Se il potenziale Z è alto, e prevalgono le forze repulsive, prevale il massimo primario e
le particelle si respingono ed il SISTEMA è DEFLOCCULATO. Inoltre, nel sistema
deflocculato la fase disperdente è torbida.
Quando prevalgono le forze attrattive, le particelle si aggregano tra di loro per formare
degli aggregati, definiti flocculi; quindi il SISTEMA è FLOCCULATO. Questi
aggregati sono leggeri e si accumulano sul fondo del contenitore lasciando la fase
liquida completamente trasparente; mentre il sedimento che si accumula sul fondo è
voluminoso e spugnoso.
Questa flocculazione è importante,
sedimentazione che si può formare.

anche
perché
la
si
collega
al
tipo
di
Se il sistema è deflocculato il sedimento è leggero e, per semplice agitazione, si
può risospende.
87

Se il sistema è deflocculato, il sedimento si forma più lentamente e le particelle
sono molto a contatto tra di loro e si compattano maggiormente = formazione del
sedimento compatto (cake). Quindi, la ri-sospensione del sedimento è molto più
difficoltosa.
Si vanno a determinare il grado di sedimentazione ed il grado di flocculazione.
Il GRADO DI SEDIMENTAZIONE (F) è definito come il rapporto tra il volume del
sedimento (Vu) ed il volume totale della sospensione (V0). Può assumere valori che
vanno da 0 a 1. Quindi più il grado di sedimentazione si avvicina a 1, più è alto il
volume occupato dal sedimento e più la sospensione è flocculata.
F = Vu/V0
Se F = 0,15 si è più vicino ad una sospensione deflocculata e
si fa più fatica a risospendere il cake.
Se F = 0,75 si è più vicini ad una sospensione flocculata e si
riesce a ri-sospendere il flocculo che si è formato sul fondo,
attraverso l’agitazione.
Il GRADO DI FLOCCULAZIONE (β) è definito come il rapporto tra il volume finale
del sedimento di una sospensione flocculata e il volume finale del sedimento di una
soluzione deflocculata, per avere una valutazione quantitativa. β = Vu/Vꚙ
Per calcolare il grado di flocculazione (β) si può utilizzare anche il rapporto tra il grado
di sedimentazione di una sospensione flocculata ed il grado di sedimentazione di una
sospensione deflocculata. β = F/Fꚙ
Si è arrivati a questa relazione partendo dal grado di sedimentazione di una
sospensione completamente deflocculata.
Si possono aggiungere agenti flocculanti che vanno ad agire sul potenziale K e
favoriscono la flocculazione. Questi agenti sono: elettroliti, tensioattivi ionici
(laurilsolfato sodico), colloidi idrofili (gomme naturali: arabica, adragante. Derivati
della cellulosa o gelatina).
Per evitare fenomeni di caking si ricorre alla flocculazione controllata:
aggregazione delle particelle in fiocchi espansi e porosi senza che ciascuna di esse
perda la sua individualità. Tali formazioni si ottengono riducendo la carica sulle
particelle con l’introduzione di quantità di elettroliti tali da farle attrarre e legare
mediante ponti di contatto in fiocchi a struttura reticolare espansa. Si forma un
sedimento in grado di essere riportato in uniforme dispersione per modica agitazione,
talvolta soltanto capovolgendo il contenitore.
SOSPENSIONI per USO ORALE
Per le preparazioni orali, possiamo distinguere fra sospensioni già
pronte e da preparare al momento dell'uso. Queste ultime sono
confezionate, per motivi di stabilità, in modo che il solido sia
88
fisicamente separato dal veicolo liquido (due fiale separate, una con la polvere, l'altra
con il solvente; oppure, tappo contenitore da premere al momento dell'uso, fig. a
destra: sistema GePACK®); in questo caso, la data di scadenza riportata sulla
confezione, si riferisce al prodotto non ancora ricostituito in quanto appena ottenuta la
sospensione, la sua conservazione è garantita per periodi di tempo molto brevi.
Fase liquida: acqua
Agenti sospendenti: idrocolloidi naturali o semisintetici
Preparazione:
1. Partendo dai singoli componenti: si miscela il principio attivo, preventivamente
ridotto al voluto grado di finezza, con gli idrocolloidi ed eventualmente con
l’emulsionante. Si aggiunge l’umettante e successivamente a poco a poco
l’acqua in cui sono stati precedentemente disciolti i conservanti.
2. Partendo da un veicolo mucillaginoso già pronto: i principi attivi polverizzati
vengono trattati con l’agente umettante, quindi si aggiunge a poco a poco la
mucillagine già pronta e preservata.
Sospensione orale
Carbonato, Miele,
a
base
di
Sodio
Alginato
e
Sodio
Camomilla, Calendula, Propoli depollinata, Aloe Vera gel.
Modalità d'uso Agitare il flacone prima dell'uso.
Conservare a temperatura ambiente controllata (15-25° C);
non refrigerare ed evitare l'esposizione a fonti di calore
localizzate e ai raggi solari. Dopo l'apertura del flacone è bene
consumare il prodotto entro 15 giorni (non contiene conservanti).
Categoria farmacoterapeutica: antibatterici β-lattamici, penicilline.
"Polvere per sospensione orale": modalità di preparazione e
conservazione della sospensione. La preparazione (ricostituzione) della
sospensione deve essere effettuata aggiungendo acqua fino al livello
indicato dalla freccia sull'etichetta del flacone. Agitare. Dopo aver agitato,
se occorre, aggiungere nuovamente acqua sino al suddetto livello.
Agitare prima di ogni uso.
Dopo questa preparazione, la sospensione ricostituita è stabile per 7
giorni a temperatura ambiente. Dopo tale periodo, ogni eventuale residuo
di prodotto deve essere eliminato.
Gaviscon 500 mg/10 ml + 267 mg/10 ml sospensione orale
Gaviscon 500 mg/10 ml + 267 mg/10 ml sospensione orale aroma
menta
Gaviscon 500 mg/10 ml + 267 mg/10 ml sospensione orale aroma
menta in bustine
Adulti e bambini sopra i 12 anni: 10-20 ml (seconda-quarta tacca
del misurino o 2-4 cucchiai dosatore o 1-2 bustine monodose) dopo
i pasti e al momento di coricarsi.
Agitare la sospensione prima dell’uso.
89
Sospensione orale: la sospensione viene ripartita in flaconi di vetro ambrato con tappo
munito di sotto tappo in polietilene, confezionati in astucci di cartone litografato. Alla
confezione è annesso un misurino dosatore in polipropilene naturale con tacche da 5,
10, 15 e 20 ml, oppure un cucchiaio dosatore (polistirene trasparente) da 5 ml. La
confezione è da 200 ml di sospensione orale.
Apparecchi elettrici utilizzati per le sospensioni:
pestello rotante Primax corredato da due pestelli, uno
cilindrico e l’altro “a piattino”.
I controlli che si possono fare sulle sospensioni, partendo dal fatto che si disperde una
polvere in una fase liquida sono:
-
Dimensioni delle polveri con un microscopio ottico o con il Culker = devono essere
omogenee e fini
Sedimentazione: si lascia sedimentare nel tempo la sospensione, utilizzando dei
cilindri graduati, per vedere il volume che occupa il sedimento
Viscosità della fase acquosa utilizzando dei viscosimetri
Invecchiamento accelerato della sospensione per determinare quali sono le
condizioni di conservazione delle conservazioni (a temperature elevate e a
temperatura ambiente)
Titolo della quantità di principio attivo che è contenuta e vedere se si mantiene per
tutto il periodo di validità della sospensione
90
EMULSIONI
Le emulsioni sono delle formulazioni con cui si è spesso a contatto, ad esempio in
campo alimentare il latte e la maionese sono delle emulsioni. In campo farmaceutico è
abbastanza diffusa: creme idratanti e nutrienti somministrate per via topica.
L’emulsione è un sistema termodinamicamente instabile formato da almeno due fasi
liquide non miscibili tra loro, una delle quali (fase dispersa o interna) è dispersa
nell’altra (fase disperdente o continua) sotto forma di goccioline (o globuli) con
diametro compreso tra 0,5 e 20 μm (emulsioni bianche ed
opache).
Un classico esempio è rappresentato dall’emulsione di olio
ed acqua (due liquidi non miscibili tra di loro) che può essere:
olio in acqua, o acqua in olio.
Tipi di emulsioni (si descrive prima la fase dispersa e poi la fase
disperdente):


Emulsioni O/A (olio in acqua)
Emulsioni A/O (acqua in olio)


Emulsioni MULTIPLE A1/O/A1 (A1/O/A2) = emulsioni A/O disperse in fase acquosa
Emulsioni MULTIPLE O1/A/O1 (O1/A/O2) = emulsioni O/A disperse in fase oleosa
Un EMULSIONE ha un colore lattescente. Le dimensioni dei globuli sono superiori ai
1000 nm e, dal punto di vista termodinamico, non sono stabili (quando si agita e si
fornisce energia si mischiano, mentre quando si ferma l’agitazione si separano
nuovamente).
EMULSIONI
TRASPARENTI
o
MICROEMULSIONI sono delle emulsioni caratterizzate
Le
dal fatto che le goccioline hanno dimensioni molto più
piccole (inferiori di 100 nm). L’apparenza, quindi, risulta
trasparente (per la presenza di particelle molto più
piccole). La formazione è spontanea e sono dei sistemi termodinamicamente stabili.
SAGGI per stabilire il tipo di emulsione:
 SAGGIO di DILUIZIONE: se una data emulsione è diluibile in acqua (es: latte o
creme idratanti) è di tipo O/A; nel caso contrario è di tipo A/O (es: burro o
margarina o creme nutrienti).
 SAGGIO del COLORANTE: un’emulsione addizionata con un colorante
idrosolubile (es: blu di metilene), risulterà uniformemente colorata se è di tipo
91
O/A. Se il colorante aggiunto all’emulsione è liposolubile (es: sudan) si avrà
colorazione uniforme se l’emulsione è di tipo A/O.
 SAGGIO del CLORURO DI COBALTO: questo sale ha una colorazione azzurra
se anidro e rosa se idrato. Si usa carta da filtro imbevuta di soluzione di
cloruro di cobalto. Asciugata in stufa e conservata in essiccatore rimane di
colore azzurro. Messa una strisciolina della carte a contatto con la superficie
dell’emulsione, se rimane azzurra si tratta di emulsione A/O. se, invece, vira al
rosa è O/A. il saggio può fallire se l’emulsione è instabile.
Finché la fase dispersa è presente in piccola quantità, le
goccioline si muovono tranquillamente nella fase
disperdente. Man a mano che aumenta la fase dispersa,
cominciano ad aumentare le goccioline che tendono a
muovere sempre meno (per minor spazio) e tendono ad
attaccarsi tra loro. Nelle emulsioni liquide le particelle
hanno un buon spazio di movimento, man mano che i
globuli aumentano, la libertà di movimento viene ridotta
(ad esempio nelle creme dove le goccioline della fase
dispersa hanno una libertà di movimento molto limitata rispetto a quando l’emulsione
è allo stato liquido)
Le emulsioni possono essere usate sia per via orale che topica.
Per quanto riguarda le emulsioni orali si privilegiano quelle O/A, per il semplice fatto
della palatabilità. Si possono, quindi, avere emulsioni di olio di ricino, di olio di fegato
di merluzzo, di olio di paraffina e di olio di paraffina + fenolftaleina.
Il maggior uso delle emulsioni di tipo O/A e A/O vengono utilizzate per via cutanea,
dalle creme che possono essere idratanti (O/A) o nutrienti (A/O). un altro vantaggio è
che sono preparazioni che permettono di veicolare sia farmaci lipofili che farmaci
idrofili, proprio per la presenza delle due diverse fasi (olio e acqua).
Le emulsioni sono dei sistemi termodinamicamente instabili = se si hanno due liquidi
non miscibili, bisogna agitare e fornire dell’energia per poter disperdere l’olio
nell’acqua. Nel momento in cui si sottrae energia, si ottengono di nuovo le due fasi
distinte. Però, noi abbiamo bisogno di preparare un’emulsione che sia stabile nel
tempo, e quindi c’è bisogno di un terzo componente che ha il ruolo di abbassare la
tensione interfacciale che si viene a creare tra le due fasi, permettendo di preparare
un’emulsione stabile.
Ogni molecola di acqua all’interno del becher è attratta, in modo
uguale, in tutte le direzioni e grazie alle forze attrattive, dalle
molecole che le circondano (e con le quali si stabiliscono delle
interazioni). Questa cosa, però, non accade a livello della superficie
del liquido (punto in cui l’acqua viene a contatto con l’aria) poiché
le forze non sono bilanciate e le molecole risentono delle forze
attrattive delle molecole presenti all’interno del liquido. Nella parte
superiore, invece, le molecole non presentano nessuna forza = le
forze non sono ben bilanciate → queste molecole hanno delle forze
libere che possono essere bilanciate spostandosi all’interno della
massa liquida. In questo modo cercano di ridurre al minimo l’area
superficiale. la forma sferica è quella che permette di avere meno
92
area superficiale (ecco perché le goccioline di acqua si dispongono
in questa forma) = TENSIONE SUPERFICIALE.
Si parla di TENSIONE INTERFACCIALE se si hanno due liquidi non miscibili, ad
esempio acqua e olio.
Per poter preparare un’emulsione è
necessario che l’olio venga disperso
nell’acqua (fase disperdente), per poterlo
fase, è necessario fornire energia, agitando
fortemente per favorire la dispersione
sottoforma di goccioline. Dal punto di vista
termodinamico, questa energia, è un lavoro
W = γ x S, dove γ è la tensione
interfacciale (poiché si ha una superficie di
contatto tra due liquidi non miscibili tra loro)
ed S corrisponde all’area superficiale della
nostra
fase
(incremento
dell’area
superficiale). se questa tensione è elevata, il
sistema è fortemente instabile; quindi deve
essere bassa.
Gli AGENTI EMULSIONANTI sono molecole in grado di formare un film attorno alle
goccioline della fase dispersa creando una barriera interfacciale:
previene la riaggregazione dei globuli durante la preparazione
impartisce alle goccioline un adeguato potenziale elettrico, in modo che si abbia
una mutua repulsione
aumenta la viscosità dell’emulsione.



In base al tipo di film che si produce all’interfaccia delle 2 fasi, si distinguono 3 tipi di
emulsionanti:

Idrocolloidi
(sostanze
macromolecolari
idrofile): formano un film multimolecolare
forte e rigido e vengono utilizzati per
preparare emulsioni O/A.

Solidi finemente suddivisi insolubili in entrambe le fasi (bentonite, magnesio
idrossido): formano un film solido particellare stabile se sufficientemente
bagnato da entrambe le fasi. Utilizzati per emulsioni O/A e A/O.

Tensioattivi ionici e non-ionici: sono sostanze che hanno la proprietà di
abbassare la tensione superficiale di un liquido, agevolando la bagnabilità delle
superfici o la miscibilità tra liquidi diversi. In
genere sono composti organici con un gruppo,
testa, polare ed una coda non polare; i
composti con tali caratteristiche sono detti più
in
generale
"anfifilici"
o
"anfipatici".
Convenzionalmente
una molecola di
tensioattivo viene schematizzata da una
"testa" idrofila a cui è legata una "coda"
idrofoba. Numerosi tensioattivi, superata
93
la concentrazione micellare critica (cmc), si organizzano in aggregati
supramolecolari, chiamati micelle. Le micelle si respingono reciprocamente per
via della repulsione elettrostatica delle loro "teste" ionizzate, ciò impedisce alle
particelle di oli e grassi di riaggregarsi nuovamente mantenendole sospese
nell'acqua e consentendone l'allontanamento.
È stata creata la scala di Griffin che permette di classificare i tensioattivi, in
base alla loro caratteristica HLB, se sono lipofili o idrofili = bilancio idrofilolipofilo (hydrophilic-lipophilic balance= HLB): rapporto esistente nella molecola
fra gruppi idrofili e gruppi lipofili. Tensioattivo idrofilo al 100% → HLB = 20
HLB > 10 idrofili e quindi tendenzialmente solubili in acqua
HLB <10 lipofili e quindi tendenzialmente solubili negli oli
FATTORI che INFLUISCONO nel DETERMINARE il TIPO di EMULSIONE:

Tensioattivo impiegato come emulsionante: si utilizza la regola di
Bancroft (1913): la fase nella quale il
tensioattivo è più solubile forma la fase
esterna.
Il film che il tenside forma all’interfaccia
acqua/olio tende a piegarsi dalla parte dove
la tensione interfacciale è maggiore e cioè la
solubilità è minore: se prevale il carattere
idrofilo le goccioline di olio si circonderanno di uno strato di tensioattivo e si
formerà un’emulsione O/A; al contrario se nel tensioattivo prevale il carattere
lipofilo il film monomolecolare si piegherà dalla parte dell’acqua (solubilità
minore) e l’emulsione sarà A/O.
gruppi idrofili > gruppi lipofili: maggiore solubilità in acqua e gruppi lipofili >
gruppi idrofili: maggiore solubilità in olio



Quantità relativa delle due fasi: il componente più abbondante tende a formare
la fase esterna.
Metodo di preparazione: unire le due fasi e mescolare (emulsione O/A) oppure
versare A in O sotto agitazione continua (emulsione A/O).
Viscosità delle due fasi: la fase che ha viscosità maggiore tende a formare la
fase esterna.
I principali fenomeni d’instabilità fisica delle emulsioni sono:

SEDIMENTAZIONE e AFFIORAMENTO (creaming). La SEDIMENTAZIONE è
quando la fase dispersa si concentra alla superficie e l’AFFIORAMENTO è quando
si dispone sul fondo della preparazione. Il fenomeno è dovuto all'azione della
forza di gravità sui globuli e sui flocculi della fase dispersa che, di norma, hanno
densità diversa dalla fase
continua;
il
suo
andamento è indicato dalla
legge di Stokes:
d = diametro medio dei
globuli
η = viscosità del mezzo in
poises
ρ = densità della fase
dispersa
ρ0= densità del mezzo disperdente
g = accelerazione di gravità e viene accelerato da un aumento di temperatura,
che diminuisce la viscosità e dall'applicazione di una forza centrifuga che
aumenta il valore di g
94
Nel creaming le goccioline della fase dispersa sono ancora circondate dal film di
emulsionante ed è sufficiente un'accurata agitazione per riportare l'emulsione
allo stato iniziale.

FLOCCULAZIONE: aggregazione delle goccioline della fase dispersa in
formazioni più o meno voluminose, senza che perdano la loro individualità e si
fondano insieme rimanendo comunque separate da un
film di fase disperdente. Gli aggregati possono
assumere
velocità
notevoli
con
tendenza
all’affioramento o alla sedimentazione. Il fenomeno è
REVERSIBILE: agitazione per disgregare “fiocchi” e
restituire omogeneità all’emulsione.

COALESCENZA: si ha coalescenza quando il film del tensioattivo che circonda
le goccioline disperse si rompe e queste si riuniscono per formare dei globuli più
grandi che, a loro volta, si riuniscono (si fondono tra di loro) con altri fino a
portare alla rottura totale dell'emulsione e cioè alla separazione delle due fasi.
In questo caso non è possibile ottenere di nuovo un'emulsione stabile per
semplice
agitazione
=
processo
irreversibile.
Discontinuità del film di emulsionante alla
superficie delle goccioline, lasciandone
alcune zone scoperte. Entrando in collisione
in corrispondenza di tali zone, si fondono in
goccia più grossa.
EMULSIONI PER USO ORALE sono emulsioni di tipo O/A. Le finalità sono:
-
rendere più palatabili medicamenti lipofili (oli o p.a. liposolubili). Fase lipofila,
dispersa in quella acquosa non viene a contatto con le papille gustative,
minimizzando la percezione del cattivo sapore;
somministrare p.a. insolubili in acqua, mediante solubilizzazione in olio e
successivo emulsionamento
favorire un veloce e completo assorbimento di principi attivi lipofili:
nell’emulsione O/A la fase oleosa è suddivisa in piccoli globuli con conseguente
aumento della superficie di diffusione del principio attivo a contatto con la
mucosa gastrointestinale. La fase oleosa è più rapidamente attaccata e
“digerita” dagli enzimi dell’apparato gastroenterico.
Requisiti degli emulsionanti:
1. Essere privi di tossicità
2. Non essere irritanti per le mucose gastrointestinali
3. Non interferire sull’assorbimento gastrointestinale
4. Non avere sapore sgradevole
Idrocolloidi naturali: GOMMA ARABICA, gomma adragante, alginati, pectine, gelatina,
agar-agar, glucomannano, carragenine.
Idrocolloidi semisintetici: carbossimetilcellulosa sodica
La GOMMA ARABICA è un polisaccaride neutro
ottenuto dall’essudazione di Acacia Senegal e
Acacia spp. Contiene ossidasi e perossidasi che sia
dispersione acquosa a 80° C per un’ora. Le
mucillaggini ottenute hanno debole viscosità,
invariata fra pH 4 e 10, e modeste proprietà
95
tensioattive. Presenta un HLB = 7,5. Può essere presente sotto forma di cristalli, di
granulato o di polvere.
Le emulsioni possono essere preparate con due diversi metodi che differiscono per i
passaggi della formazione del nucleo (la scelta dell’uno o dell’altro dipende dalla
manualità del soggetto che ha nel preparare un nucleo piuttosto che un altro. Con
entrambi i metodi si ottengono delle belle emulsioni di colore lattescente. Quando si
devono preparare le emulsioni è fondamentale preparare bene il nucleo poiché si ha
poi il rischio che l’emulsione impazzisca, cioè si vede la netta separazione tra olio e
acqua.

Metodo per sospensione
continentale”:
si
o
“metodo
mescolano
accuratamente 4 parti di olio (goccia a
goccia), in un mortaio perfettamente
asciutto, con 1 parte di emulsionante
(gomma arabica) e si aggiunge in una sola
volta le 2 parti di fase acquosa. Si mescola
energicamente
col
pestello
fino
a
formazione di una emulsione densa e
biancastra detta nucleo. A questo punto si aggiunge la restante fase acquosa
(tutta insieme oppure a piccole porzioni) mescolando.

Metodo per soluzione o “metodo inglese” : col “metodo inglese” in 2 parti di
fase acquosa viene dispersa 1 parte di
emulsionante
(triturando
lungamente)
quindi si aggiungono, a piccole porzioni, le 4
parti di olio triturando continuamente ed
aggiungendo la porzione successiva solo
quando la precedente è emulsionata. Anche
in questo caso si ottiene il nucleo che può
essere diluito con la restante fase acquosa
esterna.
Nel caso delle emulsioni è utile fare dei saggi sulla stabilità fisica: si ricorda il controllo
che si effettua sottoponendo le emulsioni a forti sbalzi di temperatura per vedere se
nel tempo l’emulsione rimane stabile = controllo di cicli termici alternati.
Generalmente le O/A sono sensibili alle alte temperature, mentre le emulsioni A/O
sono sensibili a basse temperature. Generalmente si utilizza la temperatura di 40° C
per tre mesi.
Un altro saggio è quello della sedimentazione che permette di verificare il
comportamento dell’emulsione del tempo, se si forma del sedimento o l’affioramento.
Con altri saggi si può determinare l’aspetto fisico e la stabilità del
principio attivo (per tutto il tempo di validità dell’emulsione).
Gli strumenti che si possono utilizzare per preparare le
emulsioni sono abbastanza semplici: in laboratorio
sicuramente mortaio e pestello, ma anche turboemulsore che permette di disperdere bene ed
abbastanza velocemente la fase dispersa in quella
disperdente. Inoltre, si ha la riempitrice per poter
confezionare le emulsioni, in particolare quelle liquide
per via orale, nei vari flaconi.
PREPARAZIONI PER SOLUZIONI INIETTABILI
96
Solo preparazioni che vengono somministrate tramite la via endovenosa, con la quale
il farmaco è introdotto direttamente nel circolo sistemico.
Vantaggi:
 Rapida azione
 Adatta via di somministrazione per farmaci che per via gastrointestinale sono
poco assorbiti, inattivati o distrutti (insulina, eparina, ormoni peptidici)
Svantaggi:


Maggior dispendio e impegno alla produzione (devono essere sterili, apirogene)
Fastidio, in qualche caso anche psicologico, derivante al paziente dalla
introduzione di un ago nei tessuti (non è molto preferita come via di
somministrazione da parte dei pazienti)
Le forme farmaceutiche che rientrano nelle preparazioni iniettabili sterili sono:
1. Soluzioni pronte per l’uso (si suddividono in base al volume: piccolo volume <50
mL e grande volume ˃50 mL)
2. Prodotti in polvere da solubilizzare con il solvente immediatamente prima
dell’uso
3. Sospensioni pronte per l’uso
4. Prodotti in polvere da sospendere con un opportuno veicolo prima dell’uso
5. Emulsioni
6. Liquidi concentrati da diluire prima dell’uso
Tutti questi prodotti possono essere somministrati
per via intramuscolare, sottocutanea, intravenosa o
intradermica; quindi si sceglierà il tipo di
somministrazione in base alla preparazione.
Componenti dei preparati iniettabili sterili




Solvente acquoso (più utilizzato per la preparazione di forme iniettabili): in
campo farmaceutico si hanno tre tipi di acqua: acqua depurata, acqua per
preparazioni iniettabili ed acqua sterile per preparazioni iniettabili. L’acqua
depurata si utilizza nella preparazione di tutti quei medicinali diversi da quelli
che devono essere sterili ed apirogeni, come negli sciroppi. Si prepara e ha un
pH compreso tra 5-7. L’acqua per preparazioni iniettabili (PPI) si
prepara a partire dall’acqua potabile, addolcita o depurata per distillazione, e si
utilizza unicamente per la preparazione di prodotti iniettabili. Questa acqua
deve essere sterile ed apirogena (le sostanze pirogene sono endotossine di
origine batterica che possono provocare, una volta nel nostro organismo, un
innalzamento della temperatura corporea), ha un pH tra 6,7-7, e deve essere
utilizzata entro 6-8 h dalla preparazione. L’acqua sterile per preparazioni
iniettabili non è altro che l’acqua per preparazioni iniettabili che deve essere
confezionata in contenitori e venduta in farmacia per tutte le preparazioni
sterili.
Solventi non acquosi: oli, ed in modo particolare l’olio di mais, l’olio idi semi di
cotone, l’olio di arachidi e l’olio di sesamo. Oppure, se il principio attivo non è
solubile nemmeno in olio possono essere utilizzati altri veicoli (polietilenglicole,
glicerina, propilenglicole).
Principi attivi
Sostanze
ausiliarie:
solubilizzanti,
stabilizzanti
chimici,
stabilizzanti
microbiologici, antiossidanti (per prevenire eventuali reazioni di ossidazione del
principio attivo.
97
Caratteristiche
fondamentali
dei
preparati
iniettabili:
APIROGENI,
STERILI,
ASSENZA DI CONTAMINAZIONE PARTICELLARE.
I pirogeni sono delle sostanze, come le endotossine, che possono provocare, una
volta introdotti nel nostro organismo, un innalzamento della temperatura corporea.
Sono prodotti di origine batterica e possono essere tossici. Tutti i prodotti iniettabili
vengono riscaldati in stufa a secco, a 270°, per almeno 1 h, per poter eliminare queste
sostanze pirogene. Questa temperatura può essere applicata solo sui contenitori
(prima che vengano sottoposti al riempimento) che devono essere utilizzati per il
confezionamento di questi prodotti, mentre l’applicazione delle norme di buona
preparazione è lo strumento che permette di evitare le sostanze pirogene all’interno
delle preparazioni, poiché descrivono le tecniche per evitare la contaminazione. Il
controllo delle sostanze pirogene è riportato in tutte le Farmacopee, prima si
effettuava il test del coniglio che permetteva di quantificare le endotossine che
derivavano da batteri gram-negativi testati su un coniglio (test in disuso).
Raggiungere la totale stabilità non è semplice. È stato fissato un limite, valido in tutto
il mondo, che permette di stabilire se la sostanza è stabile. Il SAL (livello di sicurezza di
stabilità) è un valore pari a 10-6. La sterilità si ottiene lavorando in ambienti sterili e
sicuri, apparecchi controllati e personale addestrato per far si che la produzione delle
preparazioni avvenga correttamente.
Particelle provenienti da materiali estranei , per inquinamento in atto, per scorretta
sterilizzazione del materiale o non rispetto delle norme di buona preparazione. queste
particelle possono scaturire una reazione del nostro organismo, solitamente una
reazione antinfiammatoria. Per questo devono sempre essere rispettate le norme di
buona preparazione e vengono monitorati i locali ed i materiali. Un metodo che viene
utilizzato per valutare se nel prodotto iniettabile sono presenti delle particelle, è il
metodo della sperlatura. Si effettua agitando, o capovolgendo, la preparazione
(evitando di introdurre bolle d’aria) e si vede se ci sono delle particelle tramite
l’ispezione visiva per 5 secondi contro un pannello bianco. Si ripete, poi, lo stesso
procedimento contro un pannello nero. Ovviamente vengono scartati i contenitori che
presentano particelle visibili e sospese all’interno.
Un’altra caratteristica dei preparati iniettabili è il VOLUME ESTRAIBILE: volume di
riempimento dei contenitori leggermente più grande del dichiarato in etichetta in
modo tale da permettere l’estrazione e la somministrazione al paziente della quantità
dichiarata (o nominale) in etichetta = modo per assicurare che il paziente somministri
la quantità corretta e completa, di quella dichiarata. Questo volume in eccesso,
ovviamente, non deve mettere in pericolo la salute del paziente.
98
Il materiale che si preferisce per confezionare
preparati iniettabili è il vetro. I contenitori possono
avere la forma di una fiala a punta aperta, a punta
chiusa o dei flaconcini (che contengono
prevalentemente delle polveri liofilizzate che
vengono solubilizzati.
La PELLE
La pelle è il sito sul quale vengono applicate tutte le preparazioni semisolide (creme,
unguenti, gel).






Funzione protettiva
Impedisce accesso a microrganismi e sostanze tossiche o irritanti (ha il ruolo di
preservare il nostro organismo dall’attacco esterno)
Funzione idratante
Funzione termoregolatrice
Funzione di assorbimento
Funzione sensoria
La pelle è un organo costituito da diversi tessuti la cui funzione è quella di rivestire il
corpo umano, assicurare la protezione all'organismo e permettere i rapporti con il
mondo esterno.
E’ costituita da un tessuto epiteliale (epidermide) e da un tessuto connettivo
(derma) a cui fa seguito il tessuto connettivo sottocutaneo ( ipoderma), ricco di
grasso, che giunge fino alle fasce che coprono i muscoli o le ossa.
L’EPIDERMIDE è la parte della pelle direttamente a contatto con l'esterno, avente
essenzialmente la funzione di protezione contro gli agenti esterni e la disidratazione.
E’ un tessuto epiteliale pavimentoso pluristratificato in cui l’elemento cellulare
predominante è il cheratinocita:
99
Man mano che la cellula passa dallo strato basale, nel quale sono presenti cellule vive
in grado di riprodursi per la presenza del nucleo, allo strato corneo cambia
conformazione e perde alcune caratteristiche, in particolare il nucleo, diventando una
cellula morta (corneocita).
In particolare gli strati basale, spinoso e granuloso rappresentano la parte vitale
dell’epidermide, mentre gli strati lucido e corneo le cellule morte, prive di nucleo e
organelli cellulari.
Differenziazione dei cheratinociti ( cheratinizzazione) = processo che avviene
ciclicamente ogni 28 giorni.
Ogni volta che una cellula dello strato basale si divide, la
nuova cellula generata si sposta ad un livello superiore,
spinta verso l'alto dall'incalzare delle cellule sottostanti che
continuano a moltiplicarsi. Il passaggio a strati sempre più
superficiali comporta profonde modifiche della struttura
cellulare: così una cellula dello strato basale si trasforma
progressivamente in una cellula dello strato corneo, ormai
priva di attività e pertanto destinata ad esfoliarsi e quindi
ad essere eliminata. Le cellule responsabili del processo di
cheratinizzazione sono i CHERATINOCITI, così chiamati
perché capaci di sintetizzare CHERATINA, la proteina
strutturale tipica dell’epidermide.
Lo strato corneo è costituito da 15-20 strati di
cellule pavimentose stratificate dette corneociti.
Lo spessore dello strato corneo è variabile a
seconda
dei
territori
cutanei.
Infatti
nell’epidermide
palmo-plantare
risulta
estremamente spesso (400-600 micron), mentre
negli
altri
territori risulta più sottile (15 micron).
Si può immaginare lo strato corneo come un muro di
mattoni in cui i corneociti (mattoni) appaiono immersi
in una continua matrice idrofobica (cemento) di lipidi.
Perché l’epidermide non si disidrata?
FUNZIONE BARRIERA: lo strato corneo, soprattutto quello compatto, impedisce
all’acqua di disperdersi nell’ambiente, preservando le risorse idriche sottostanti
(cutanee e sistemiche). Tale funzione è dovuta alla sua peculiare componente lipidica.
WATER HOLDING CAPACITY (WHC): il potere idrofilo complessivo dello strato
corneo, determinato dalla presenza di sostanze fortemente igroscopiche ad alto e
100
basso PM (lipidi anfofili del cemento multilamellare, proteine cheratiniche, NMF,
glicerolo…), esercita sulle molecole d’acqua un richiamo elettrostatico.
CELLULE “OSPITI” dell’EPIDERMIDE




Cellule di Langherans
Cellule di Merkel
Linfociti T
Melanociti: presentano un aspetto dendritico (hanno dei particolari
prolungamenti, all’interno dei quali viene prodotta la melanina attraverso il
processo di melanogenesi), cioè consistono di un corpo sferico od ovalare dal
quale si dipartono prolungamenti di calibro decrescente che si biforcano più
volte. Sono cellule capaci di dividersi (densità media: 1000 per mm 2 di
superficie epidermica), sono privi di desmosomi e la loro funzione principale è la
melanogenesi.
MELANOGENESI: La melanina è una molecola derivata dalla ossidazione, dalla
ciclizzazione e dalla polimerizzazione di un aminoacido, la tirosina; le prime tappe
sono catalizzate da un apposito enzima, la tirosinasi, le successive sembrano avvenire
spontaneamente. La tirosinasi viene sintetizzata dai melanociti nel corpo cellulare ed è
immagazzinata in granuli citoplasmatici, detti melanosomi, che progressivamente si
riempiono di melanina. I melanosomi maturi, detti anche granuli di melanina, migrano
nei dendriti e vengono ceduti ai cheratinociti, probabilmente attraverso il distacco di
porzioni dei dendriti e la loro fagocitosi da parte dei cheratinociti. L'insieme del
melanocita e delle cellule basali che vengono raggiunte dai suoi prolungamenti (circa
36) costituisce l'unità melanica epidermica.
Il COLORE della PELLE
La densità numerica dei melanociti è indipendente dal colore della pelle, che dipende,
per quanto riguarda la melanina, dall'attività dei melanociti stessi e dalla persistenza o
meno della melanina nei cheratinociti.
Nei soggetti di pelle bianca e in quelli di pelle gialla la melanina è limitata allo strato
basale, in quelli di pelle nera si riscontra fino allo strato superficiale. I granuli di
melanina, una volta fagocitati, possono rimanere in lisosomi, dove vengono digeriti (in
particolare nei soggetti a cute poco pigmentata), oppure possono liberarsi nel
citoplasma e perdurare per vario tempo (a lungo nei soggetti di pelle nera).
101
Nei melanociti possono essere presenti due tipi di melanosoma:
 eumelanosoma, piuttosto grande, ellittico, bastoncellare, tipico degli individui
con capelli castani o biondi in cui è sintetizzata la eumelanina dal classico colore
bronzeo;
 feomelanosoma, sferoidale, tipico dei soggetti con capelli rossi, che sintetizza la
feomelanina di colorito rossastro.
Il colore normale della pelle, oltre che dalla melanina, dipende
da:
- emoglobina del sangue che scorre nei vasi dermici
- strato corneo, che è giallognolo ed è particolarmente
spesso negli orientali
- potere
riflettente
dell'epidermide
ed
è
quindi
condizionato dalla luce ambientale
In condizioni patologiche possono entrare in gioco pigmenti di
varia origine (biliare, ematica eccetera).
Il DERMA costituisce il tessuto di sostegno della cute ed è caratterizzato da una
struttura solida, flessibile ed elastica. È un tessuto connettivo fibroso denso
attraversato da numerosi capillari sanguinei e terminazioni nervose ed inoltre è la
sede degli annessi pilosebacei e sudorali.


DERMA PAPILLARE (porzione più superficiale): fasci di fibre fini e a maglie
strette. Abbondantemente vascolarizzato e innervato, metabolicamente attivo.
In diretto rapporto con l’epidermide.
DERMA RETICOLARE: fasci grossolani e a maglie relativamente larghe, ha
prevalentemente funzione di sostegno.
Composizione del derma:



fitto intreccio di fibre (fibre collagene, fibre elastiche, fibre reticolari), che
conferiscono tonicità all'epidermide soprastante
denso gel idrofilo di mucopolisaccaridi (glicosaminoglicani): sostanza
fondamentale amorfa
poche cellule, distanziate le une dalle altre, denominate fibroblasti. Disperse
negli strati più superficiali del derma, i fibroblasti sono cellule appiattite e
allungate a forma di fuso fornite di caratteristici prolungamenti
All'interno dei fibroblasti vengono sintetizzate le proteine che formano le fibre e la
sostanza fondamentale del derma → molti trattamenti idratanti e/o antinvecchiamento
si basano proprio sulla stimolazione dell'attività e della riproduzione dei fibroblasti del
derma.
102
SOSTANZA FONDAMENTALE AMORFA
È un sistema colloidale multifasico formato da una fase disperdente acquosa e da una
fase dispersa.
Le glicoproteine presentano un asse proteico al quale sono unite brevi catene
glucidiche, talvolta ramificate.
I proteoglicani presentano ugualmente un asse proteico (“core protein”), al quale sono
uniti GAG, cioè catene glucidiche lunghe, rettilinee, contenenti gruppi acidi sia
carbossilici sia solfonici.
MACROMOLECOLE POLISACCARIDICHE CARICHE NEGATIVAMENTE (GAG) + ACQUA →
STRUTTURA AMORFA GELOIDE
La sostanza fondamentale amorfa permette la diffusione di gas e sostanze tra le
cellule e i capillari, influenza l’orientamento delle fibre collagene e contribuisce alle
reazioni di difesa dell’organismo, ostacolando la diffusione di microrganismi.
I GAG (glicosamminoglicani) sono eteropolisaccaridi lineari, di alto peso molecolare,
che si formano per polimerizzazione di unità saccaridiche ripetute, composte da una
esosamina (glucosamina o galattosamina) e da un acido esuronico (D-glucuronico o/e
L-iduronico) uniti con legame glicosidico. Sostituenti acetilici o solfati possono essere
presenti su uno o entrambi i residui di polimero.
Classificazione GAG
A seconda della presenza o assenza di gruppi solfati:
- GAG asolforati (acido ialuronico, condroitina)
- GAG solforati (condroitin-4-solfato, condroitin-6-solfato,
cheratansolfato, eparina, eparansolfato).
dermatansolfato,
In base alla struttura della esosamina:
- glicosaminoglicani (acido ialuronico, cheratansolfato, eparina, eparansolfato)
- galattosoaminoglicani (dermatansolfato, condroitin-4-solfato, condroitin-6solfato).
Sulla base del carattere polianionico:
- policarbossilati (acido ialuronico, condroitina)
- polisolfati (cheratansolfato)
103
-
policarbossisolfati (dermatansolfato, condroitin-4-solfato, condroitin-6-solfato,
eparina, eparansolfato).
ACIDO IALURONICO
I GAG tipici della pelle, per lo più concentrati nella sostanza fondamentale del
connettivo dermico, sono l’acido ialuronico, che costituisce circa l’1% in peso,
accompagnato da % minori di dermatansolfato e condroitinsolfati. La presenza del
condroitin-4-solfato e del condroitin-6-solfato, nel derma prenatale e giovane, decresce
con l’età; inoltre si riduce la % di acido ialuronico e cresce quella del dermatansolfato.
MUCOPOLISACCARIDE CON ELEVATA CAPACITÀ DI LEGARE LE MOLECOLE DI H 2O →
CONTRIBUISCE A MANTENERE LA PELLE TURGIDA ED IDRATATA
Il derma contiene il 70% di tutta l'acqua presente nella cute; con il passare degli anni
però il contenuto di acido ialuronico del derma scende dal 78 al 30% e
conseguentemente diminuisce il contenuto acquoso della
pelle.
Polimero ad elevato peso molecolare (3-8 milioni di daltons)
costituito da unità disaccaridiche definite acido N-acetil
ialobiuronico che si ripetono attraverso legami β-(1-4); a sua
volta l’acido N-acetil ialobiuronico è composto da quantità
equimolecolari di acido D-glucuronico legato in β-(1-3) con Nacetilglucosamina.
VASCOLARIZZAZIONE della PELLE
La complessa architettura vascolare della pelle, localizzata a
livello del derma e dell'ipoderma, è necessaria per lo svolgimento
di una delle sue principali funzioni: la regolazione della
temperatura corporea. L'epidermide è invece priva di vasi
sanguigni, e l'apporto di ossigeno e sostanze nutritive alle cellule
epidermiche avviene per diffusione nei liquidi interstiziali presenti
nei sottili spazi intercellulari.
I vasi sanguigni provenienti dal cuore raggiungono la cute attraverso l'ipoderma,
decorrendo all'interno dei setti che separano i lobuli di adipociti. Nel punto di
connessione tra l'ipoderma e la parte profonda del derma le arterie formano una fitta
rete di vasi parallela alla superficie cutanea (plesso profondo). Da qui, numerose
arteriole più piccole si portano verticalmente verso la superficie del derma formando
una ulteriore rete sotto le papille dermiche (plesso subepidermico). I vasi penetrano
quindi nelle papille e si suddividono, diminuendo sempre più di calibro fino a dar luogo
ad una ricca rete capillare superficiale che permette gli scambi nutritizi tra sangue e
104
tessuti cutanei (plesso papillare). I capillari delle papille dermiche sono chiusi a livello
della lamina basale, ed il rifornimento di nutrienti ed ossigeno all'epidermide avviene
per diffusione nei liquidi interstiziali. Il reflusso di sangue venoso e la circolazione
linfatica seguono lo stesso percorso del sangue arterioso a ritroso, distribuendosi in
modo analogo attraverso lo spessore dei tessuti.
ANNESSI CUTANEI (Ghiandole Sudoripare, Ghiandole Sebacee, Peli e Capelli,
Unghie)
Le ghiandole sebacee costituiscono insieme al follicolo pilifero e al pelo l'unità
pilosebacea. Sono distribuite sull'intera superfice corporea con l'eccezione delle sedi
palmo plantari e sono particolarmente numerose e funzionalmente più attive su viso,
cuoio capelluto, zona presternale e dorso. Queste ghiandole esocrine a struttura
acinosa sono formate da cellule che producono una miscela di lipidi chiamata sebo. Il
sebo fuoriesce all’esterno passando attraverso un dotto escretore che sbocca nel
follicolo pilifero alla base del pelo, quindi si distribuisce sulla superficie cutanea e
pilifera formando, in miscela con l'acqua prodotta attraverso la perspiratio insensibilis
e il sudore, il film idrolipidico che lubrifica e protegge
esternamente l'epidermide dalla disidratazione e da fattori
aggressivi esterni.
1)
2)
3)
4)
5)
corpo della ghiandola sudoripara apocrina
dotto secretore ghiandola sudoripara apocrina
ghiandola sebacea
bulbo
fibre nervose adrenergiche
Principali funzioni della cute
PREPARAZIONI
SEMISOLIDE
per APPLICAZIONE CUTANEA
Fino alla X edizione della FU il termine utilizzato era POMATA. Dalla X edizione si
utilizzava il termine preparazioni semisolide per uso topico; poi, a partire dalla XI
edizione della FU, per potersi allineare con quello che veniva scritto nella Farmacopea
Europea, si è iniziato a parlare di PREPARAZIONI SEMISOLIDE PER APPLICAZIONE
CUTANEA.
In queste preparazioni rientrano, distinte in base alle preparazioni utilizzate:
 UNGUENTI
105
CREME
GEL
PASTE
Cataplasmi
Impiastri medicatinoi non le
tratteremo
La pelle sana agisce come barriera fra il mondo esterno e l'interno del corpo. Le
preparazioni semisolide per applicazione cutanea sono destinate al:
 rilascio locale
 trasporto transdermico





ed esercitano sulla pelle:
 azione emolliente
 azione protettiva
Alla base della preparazione ci sono degli eccipienti che devono essere compatibili con
la pelle (compatibilità fisiologica degli eccipienti nelle preparazioni), ci deve essere
assenza di interazioni degli eccipienti con il principio attivo e il composto deve essere
di facile spalmabilità e deve essere agevole l’estrusione dal contenitore =
comportamento reulogico.
La REOLOGIA studia le proprietà di scorrimento della materia. È un termine che deriva
dal greco. È una scienza molto importante in tutto il settore di studio dei materiali. Nel
nostro caso specifico, viene studiata perché nella preparazione di queste forme
farmaceutiche, bisogna considerare l’influenza della consistenza e della spalmabilità,
quindi questi aspetti andranno ad incidere sulla stabilità nel tempo del prodotto.
Quando si applica una forza esterna ad un corpo, questo può andare incontro ad un
processo di deformazione che può essere reversibile o irreversibile (quando si rimuove
la forza). Se, invece, la forza applicata provoca una deformazione irreversibile si parla
di flusso.
Quando al materiale si applica una forza, questo può sviluppare una certa resistenza
che viene determinata tramite la viscosità = resistenza che un materiale oppone ad
una forza a comportarsi come un fluido. La viscosità può essere influenzata da diversi
fattori: composizione chimica del materiale, molecole di cui è costituito, legami che
tengono insieme le molecole, ma soprattutto è influenzata dalla temperatura. Infatti,
quando si effettuano le misure di reologia viene sempre riportata la temperatura.
Immaginiamo di porre un cubetto di burro
(costituito da tante lamine parallele poste una
sull’altra, aventi tutte la stessa area) su un
η =forza
σ/D F, si genera
piano fisso. Se si applica una
un flusso di tipo laminare, e la velocità di
scorrimento decresce passando dagli strati
superficiali a quelli inferiori, formando il
cosiddetto gradiente di velocità (dV).
La viscosità è la resistenza di un materiale a fluire e a scorrere, quindi la viscosità (η)
viene rappresentata come il rapporto tra la sollecitazione allo scorrimento o sforzo di
taglio (σ= sigma) ed il gradiente di velocità di scorrimento (D = dV/dY).
Ù7
A questo punto possiamo distinguere i fluidi in:
 NEWTONIANI: sono quei materiali in cui la viscosità varia
soltanto in rapporto alla temperatura, ed il gradiente di velocità
di deformazione rimane costante (D).
106
Volendo rappresentare graficamente il comportamento di questi fluidi in ascissa
è riportato lo sforzo di taglio ed in ordinata lo sforzo di taglio (sigma) in funzione
del gradiente di velocità D, e viene rappresentato come una linea retta che
passa per l’origine (proprio per indicare che il gradiente di velocità è costante).
Esempi di questi fluidi sono: liquidi semplici, emulsioni, soluzioni molto diluite.

NON NEWTONIANI: la maggior parte dei fluidi hanno questo comportamento e, a
loro volta, vengono classificati in diversi tipi: fluidi plastici, fluidi pseudoplastici e
fluidi dilatanti.
Ai fluidi plastici (Bingham plastico) appartengono a questo
gruppo: gel e paste dentifricie. La grandezza che ci permette
di descrivere questo comportamento è la misura della
viscosità, attraverso i reometri, quindi si evidenzia un punto
di scorrimento che è una proprietà importante per tutti quei
prodotti che presentato un passaggio dallo stato solido o
liquido. Quindi hanno bisogno di una certa forza prima.
Quindi, un fluido plastico è associato alla presenza di
particelle in grado di scorrere. Nel grafico, non si parte dall’origine, ma si deve
raggiungere un punto di scorrimento (forza applicata) affinché il materiale possa
fuoriuscire dal tubetto.
Fluidi pseudoplastici: sistemi dispersi (emulsioni e dispersioni). In questi sistemi
la viscosità non è costante, ma varia continuamente. Si assiste ad una
fluidificazione sotto sforzo, poiché la viscosità diminuisce all’aumentare della
sollecitazione.
I fluidi dilatanti sono caratterizzati da un aumento della viscosità all’aumentare
dello scorrimento. Sono caratterizzati dal fatto di avere un’elevata presenza
della fase solida rispetto alla fase liquida (ad es. le paste). Quindi il
mescolamento dei materiali dilatanti richiede particolare cura.
Infine, ci sono dei materiali in cui la viscosità dipende anche dal tempo, e vengono
indicati come MATERIALI TISSOTROPICI, e si parla quindi di tissotropia.
La tissotropia può essere considerata come quel processo di
trasformazione che subiscono i materiali passando dalla fase gel alla
fase sol, ritornando alla fase gel. È un’analisi che deve essere
effettuata, poiché fornisce informazioni sulla spalmabilità della
preparazione = trasformazione reversibile. Questo avviene perché i
materiali sono costituiti da una struttura reticolare e, quando il
materiale non viene colpito dalla forza, la struttura è abbastanza
rigida, quando invece si applica una forza di taglio la struttura perde
la rigidità del gel e tende a frantumarsi per rottura dei legami tra le
particelle. Se non si applica più la forza, il materiale ritorna alla condizione di partenza
(gel).
L’area di isteresi formata dalla curva, infatti, è tipica di questi materiali.
Importanti perché influenzano le
proprietà fisiche come la viscosità
e possono dare informazioni sulla
spalmabilità e quindi la stabilità
del prodotto nel tempo.
107
Unguenti, creme, gel e paste sono costituiti da BASI = sistemi gelificati nei quali una
frazione (per lo più solida in microscopiche particelle) si organizza in una struttura
reticolare che trattiene nelle sue maglie la
frazione liquida.
Esempi
di
come
si
dispongono
e
distribuiscono le basi, per poter preparare le
formulazioni.
Funzione della base in unguenti, creme e geli: veicolo per il principio attivo.
Funzione della base nella pasta: legante per la massa di polvere in modo da
mantenere questa a contatto con la cute.
Le basi sono distinte in quattro gruppi fondamentali in funzione delle loro
caratteristiche idro-lipofile e strutturali:
1. BASI LIPOFILE: sono basi monofasiche (una singola fase), costituite da uno o
più eccipienti lipofili, che in base alla composizione chimica si
distinguono in:
a) Idrocarburi in diverso stato fisico: liquido (paraffina liquida),
semisolidi (vaselina), solidi (paraffina solida)
La VASELINA è una miscela purificata e decolorata di idrocarburi
ottenuti per trattamento dei residui della rettificazione del petrolio. E’ una
massa bianca semisolida a comportamento “filante”.
b) Gliceridi in diverso stato fisico: liquidi (oli vegetali diversi: di oliva, mandorla,
arachidi ecc.; gliceridi di sintesi a media catena), semisolidi (grassi animali e
vegetali), solidi (mono-, di-, e trigliceridi semisintetici e sintetici)
c) Esteri di acid grassi: isopropile miristato e isopropile stearato
d) Cere (cera d’api, cera carnauba, spermaceti, cetile palmitato)
e) Alcoli e acidi grassi di provenienza vegetale o animale (alcol oleilico, acido
stearico, alcol cetostearilico e altri)
2. BASI ASSORBENTI ACQUA: sono basi monofasiche costituite da basi lipofile
contenenti tensioattivi lipofili (ecco perché sono definite assorbenti acqua).
Gli eccipienti utilizzati sono:

LANOLINA: sostanza cerosa purificata e anidra ottenuta
dalla lana della pecora. Massa semisolida giallo pallido
con odore caratteristico. Può essere utilizzata come tale
nelle preparazioni. E’ una miscela complessa formata da
alcoli alifatici, alcoli triterpenici, steroli, liberi o esterificati
con acidi grassi saturi, insaturi. Si ottiene dal residuo del
lavaggio della lana di pecora con solventi organici.
L’insieme di alcoli e steroli, tensioattivi a basso valore di HLB, conferisce alla
lanolina la capacità di incorporare stabilmente acqua sotto forma di emulsione
A/O (ecco perché viene detta “base assorbente acqua”).
108

Alcoli di lanolina: miscela di steroli e alcoli alifatici superiori ricavati dalla
lanolina. Massa friabile giallastra.

Colesterolo: polvere cristallina bianca
3. BASI EMULSIONATE: sono basi bifasiche costituite da una fase lipofila e una
idrofila, entrambe liquide, una delle quali è dispersa nell’altra in goccioline
formando uno dei due fondamentali sistemi emulsionati, la cui fase disperdente è
solitamente gelificata.
4. BASI IDROSOLUBILI: sono basi monofasiche costituite da eccipienti solubili in
acqua oppure da dispersioni acquose o idroalcoliche di idrocolloidi in
concentrazioni sufficienti a produrre un sistema gelificato di adeguata viscosità.
Gli eccipienti idrofili utilizzati sono:

Umettanti: sono composti poliossidrilici, che per la loro igroscopicità, aiutano a
mantenere la plasticità, la lucentezza dei preparati e una volta applicati
favoriscono l’idratazione cutanea.
-
Glicerina
-
Propilenglicole: presenta anche buona capacità solvente per oli essenziali
e una discreta azione antifungina. Concentrazioni 5-10%.
-
Sorbitolo: si è visto che una soluzione acquosa al 70% mostra capacità
idratanti addirittura superiori alla glicerina
-
Polietilenglicoli (PEG) o glicoli poliossietilenici (macrogol, Ph. Eur. 10): i
numeri indicano il peso molecolare di queste sostanze. Più basso è il peso
molecolare (e quindi il numero) più è liquida la sostanza. All’aumentare
del peso molecolare cambia anche lo stato fisico della molecola (da stato
liquido a stato solido).
Inoltre, cambia anche la solubilità e sostanze a basso peso molecolare
sono miscibili con acqua e alcol, quelli intermedi sono molto solubili in
acqua e alcol; mentre quelli che si trovano in forma solida (da 3000 a
35000) sono molto solubili in acqua e molto poco solubili in alcol. Tutti i
PEG (o macrogol), però, sono insolubili negli oli grassi e minerali.

Modificatori reologici: la loro funzione è quella di aumentare la viscosità delle
emulsioni (creme)
-
Idrocolloidi: sono composti macromolecolari (polimeri) capaci di formare
gel con l’acqua. Possono essere di natura inorganica (bentonite, anidride
silicica colloidale) o organica (amido, derivati della cellulosa, acidi
poliacrilici, gelatina).
109
-

Sistemi
gelificati
vengono
ottenuti
anche
utilizzando
il
carbossipolimetilene o carbossivinilpolimero (in commercio CARBOPOL o
CARBOMER). Polimero (sostanza sintetica) dell’acido acrilico, disperso in
acqua allo 0.5-5% e successivamente neutralizzato con alcali. Forma geli
trasparenti, notevolmente viscosi, solubili in alcol e glicerina. Al pH= 6-11
si ha la massima viscosità.
Cere autoemulsionanti: sono basi per emulsioni O/A da tenersi pronte. Hanno
un aspetto semisolido e sono formate da (poiché sono basi per emulsioni):
 fase oleosa
 emulsionante idrofilo
 poca acqua
Queste preparazioni semisolide per applicazione cutanea si dividono in base agli effetti
in:

Preparazioni destinate a un’azione di superficie: antibiotiche o antimicotiche.
Come basi si utilizzano quelle idrocarburiche (vaselina) o basi assorbenti acqua

Preparazioni
destinate
ad
agire
nel
derma:
antistaminiche, antinfiammatoria, antiprurito. Come basi
si utilizzano la lanolina e basi che emulsionano acqua

Preparazioni destinate ad una penetrazione transdermica
per effetto sistemico: antinfiammatorie e antireumatiche.
Come basi si utilizzano quelle per la preparazione delle
creme O/A e quelle a base di idrogel
Classificazione delle preparazioni
caratteristiche fisiche delle BASI.

in
relazione
alla
natura,
composizione
e
UNGUENTI: preparazioni aventi una base monofasica, in base alla quale si
distinguono in 3 tipi:

Unguenti idrofobi quando si usano basi lipofile, quelle che essendo formate da
eccipienti lipofili, sono miscibili con liquidi oleosi con la possibilità di incorporare
acqua in piccole quantità. Tra gli aspetti negativi si riscontrano: immiscibilità
con acqua, aspetto untuoso, difficile rimozione dalla zona di applicazione e
scarsa aderenza alle mucose o piaghe umide. Mentre, tra gli aspetti positivi ci
sono le proprietà emollienti e idratanti (poiché costituiti da basi lipofile) = gli
svantaggi superano nettamente i vantaggi.

Unguenti che emulsionano acqua quando utilizzano basi emulsionanti acqua,
quelle che possiedono emulsionanti a basso valore HLB e possono incorporare
stabilmente notevoli quantità di acqua sotto forma emulsione A/O. Presentano
buone proprietà emollienti.

Unguenti idrofili quando impiegano una base idrosolubile, specificamente una
delle varie miscele di macrogol. Aspetti positivi: si emulsionano con facilità con
gli essudati cutanei, si possono asportare dalla cute per semplice lavaggio con
acqua e non hanno consistenza untuosa.
La definizione della FU: “una base monofasica in cui possono essere disperse
sostanze solide o liquide”
Preparazione degli unguenti:
a) Per incorporazione meccanica a freddo: piastra e
spatola
b) Per fusione: capsula di porcellana o
110
bagnomaria
A livello industriale è presente il macinello per
unguento e la macchina che permette di
confezionare nei tubetti la preparazione.
_______________________________________________________________________________________
CORTISON CHEMICETINA, 2,5% + 2% unguento
100 g contengono:
- Principi attivi: idrocortisone acetato 2,5 g; cloramfenicolo 2 g
- Eccipienti: paraffina liquida; lanolina anidra; vaselina bianca
CORTISON CHEMICETINA 0,5% + 1% unguento oftalmico
100 g contengono:
- Principi attivi: cloramfenicolo 1 g; idrocortisone acetato 0,5 g
- Eccipienti: paraffina liquida; lanolina anidra; vaselina bianca
Forma farmaceutica e contenuto:
Unguento – Tubo in alluminio e capsula di chiusura in politene – Tubo 20 g
Unguento oftalmico – Tubo in alluminio e capsula di chiusura in politene – Tubo 3 g
 CREME: secondo Ph. Eur. 10: “Le creme sono preparazioni multifase costituite da
una fase lipofila e da una fase acquosa” e vengono distinte in:

Creme idrofobe: hanno come fase continua la fase lipofila. Contengono

Creme idrofile: hanno come fase continua la fase acquosa. Contengono
emulsioni A/O come alcoli della lana, esteri del sorbitano e monogliceridi
emulsioni O/A come saponi di sodio o di trietanolammina, solfati di alcoli grassi,
polisorbati ed esteri di acidi grassi polinsaturi con alcoli grassi associati, e se
necessario, con emulsioni A/O
Le basi utilizzate nelle creme sono basi emulsionate.
Un’emulsione è un sistema termodinamicamente instabile formato da almeno due
fasi liquide immiscibili, una delle quali (fase dispersa o interna) è dispersa
nell’altra (fase disperdente o continua) sotto forma di goccioline (o globuli) con
diametro compreso tra 0.5 e 20 μm (emulsioni bianche od opache). L’agente
emulsionante: si pone all’interfaccia tra le due fasi aumentandone la stabilità.
La scelta del tensioattivo si basa sul Sistema di Griffin: bilancio idrofilo-lipofilo
(hydrophilic-lipophilic balance= HLB) = rapporto esistente nella molecola fra
gruppi idrofili e gruppi lipofili. Tensioattivo idrofilo al 100% → HLB = 20
HLB > 10 idrofili e quindi tendenzialmente solubili in acqua
HLB <10 lipofili e quindi tendenzialmente solubili negli oli
111
Per “preparazione semisolida”, il sistema di per sé liquido deve subire un processo
di gelificazione, come tutte le preparazioni del gruppo destinato all’applicazione
cutanea.
Per le emulsioni è la FASE DISPERDENTE che deve essere gelificata è la fase
portante del sistema da cui dipende la viscosità e quindi consistenza del
preparato. Inoltre, si assiste alla formazione di una struttura reticolare, nella quale
le goccioline vengono imbrigliate, viene garantito il loro grado di dispersione e la
stabilità del sistema.
I gelificanti utilizzati si differenziano in base alla tipologia della crema:
- CREME A/O: gelificanti lipofili (cere, gliceridi, idrocarburi solidi)
- CREME O/A: alcoli alifatici (cetilico e stearilico), macrogol eteri ed esteri
I componenti fondamentali per poter realizzare una CREMA A/O (idrofoba) sono:
Un esempio di una prima crema
idrofoba che è stata formulata:
ACQUA DI ROSE = fase acquosa
OLIO DI MANDORLE = fase oleosa
CERA D’API = gelificante
Manca il quarto elemento. In realtà
l’emulsionante è contenuto nella cera
d’aèi perché una piccola frazione
viene idrolizzata in alcoli alifatici
(cetilico e stearilico) che sono dei
tensioattivi
a
basso
HLB
che
garantiscono
la
formazione
dell’emulsione
I componenti fondamentali per poter realizzare una CREMA O/A sono:
112
_______________________________________________________________________________________
100 g di crema contengono:
- Principi attivi: gentamicina solfato 0,166 g corrispondenti a 0,1 g di gentamicina;
betametasone 17-valerato 0,122 g corrispondenti a 0,1 g di betametasone
- Eccipienti: clorocresolo, polietilenglicole monocetilere (Cetomacrogol 1000), alcool
cetostearico, vaselina bianca, paraffina liquida, sodio fosfato, acido
fosforico, acqua depurata
Crema per uso cutaneo, tubo da
30 g.
113

GEL sono definiti dalla farmacopea: “Liquidi gelificati per mezzo di opportuni
gelificanti”.

Gel idrofili (idrogel): sono preparazioni le cui basi solitamente contengono
acqua, glicerolo o glicole propilenico, gelificanti con adatte sostanze come
poloxameri, amido, derivati della cellulosa, polimeri carbossivinilici, e silicati di
magnesio-alluminio (da FUI XII e Ph Eur 10) → sono costituite da liquidi oleosi
variamente gelificati. Si può avere la paraffina liquida gelificata con polietilene
(la base è nota come Plastibase ®) oppure oli grassi gelificati con silice
colloidale.
Tra i vantaggi: non ungono (opposto rispetto agli unguenti idrofili), sono
traslucidi, di facile spalmabilità, si asciugano rapidamente e non
imbrattano gli indumenti.
I gelificanti possono essere di natura sintetica o di origine
naturale. Tra i gelificanti di origine sintetica un ruolo
importante è assunto dal CARBOPOL, polimero
col quale si possono preparare gel molto attraenti.
È un polimero dell’acido poliacrilico. Vengono distinti con dei numeri per
identificare la viscosità ed il più comune è il 940 ed insieme al 981 sono
utilizzati per gel a bassa viscosità. Quelli ad alta viscosità
sono 934 e 980.
Si presenta sotto forma di polvere (quando si acquista) ed
allo stato di polvere le catene polimeriche sono tutte
raggomitolate tra loro e sono presenti dei gruppi
carbossilici.
Il primo step consiste nell’idratazione di
queste catene polimeriche, l’acqua comincia
ad aprire le catene (il gomitolo si apre).
Successivamente,
affinché il polimero
assuma la conformazione di gel, bisogna
neutralizzare le catene carbossiliche con una
base (solitamente la trietanolammina) = assume
la forma di gel.
_______________________________________________________________________________________
ESSAVEN gel: tra i principi attivi contiene escina e
fosfatidilcolina. Gli eccipienti sono: isopropanolo, glicerolo,
trietanolammina, carbopol 940, acqua di colonia, rosmarino
essenza, lavanda essenza ed acqua depurata.
_______________________________________________________________________________________
Tra i gelificanti di origine vegetale troviamo: sodio alginato, glucomannani,
carragenine (gel di Ahnfeldtia concinna), gomme naturali (adragante e xantana
che dal punto di vista chimico sono delle molecole anioniche e la formazione del
gel è dovuta alle reticolazioni che tengono unite le molecole di questi
114
polisaccaridi) e derivati della cellulosa (metilcellulosa, idrossietilcellulosa,
carbossimetilcellulosa sodica).

Gel idrofobi (oleogel): sono preparazioni le cui basi sono costituite da liquidi
oleosi variamente gelificati. Si può avere la paraffina liquida gelificata con
polietilene (la base è nota come Plastibase ®) oppure oli grassi gelificati con
silice colloidale.
Si ottengono per gelificazione di una miscela lipidica mediante aggiunta di
additivi reologici (3-5%) come la silice micronizzata, gli stearati di calcio ecc.
Rispetto agli unguenti sono stabili alle variazioni di temperatura e facilmente
spalmabili sulla pelle.
VEA LIPOGEL è un gel lipofilo contenente olio VEA (vitamina
E acetato allo stato puro) “gelificato” con sostanze lipofile
affini ai lipidi normalmente presenti nello strato corneo
dell’epidermide. Non contiene acqua, conservanti, profumi, oli
essenziali, coloranti, per minimizzare i rischi di allergia.
Vea Lipogel GEL LIPOFILO BASE • NON COMEDOGENO
Emolliente, idratante, protettivo • Antiossidante, antirughe,
lenitivo del prurito e lenitivo per cicatrici clinicamente
dimostrato: appaiono più morbide e lisce.
LASONIL ANTIDOLORE
Il principio attivo è ibuprofene sale di lisina. 100 g
di gel contengono 10 g di ibuprofene sale di
lisina. Gli altri componenti sono isopropanolo,
idrossietilcellulosa,
sodio
p-ossibenzoato
di
metile, sodio p-ossibenzoato di etile, glicerolo,
lavanda e acqua depurata.
Emulgel o emulsion gel: questo termine
indica una crema O/A dove tuttavia la fase
acquosa esterna è praticamente gelificata. In
genere sono di colore bianco come le creme e non
trasparenti come la maggior parte dei gel.
VOLTAREN EMULGEL
115

PASTE: preparazioni contenenti elevate proporzioni di materiali solidi in polvere
fine. Possiedono una maggiore consistenza rispetto alle altre forme di applicazione
cutanea. Le basi utilizzate possono essere sia lipofile che idrosolubili. Le azioni
delle paste sono diverse e dipendono dalle caratteristiche dei componenti la
massa di polvere e di quelle della stessa base. Possono svolgere azione protettiva,
lenitiva, assorbente, astringente, idratante.
La farmacopea le definisce “preparazioni semisolide per applicazioni cutanee che
contengono, finemente dispersi nella base, solidi in grandi proporzioni”.
Fase solida (fase dispersa): 30-60%, costituita da ossido di zinco, talco, argilla,
amido, calcio carbonato. Spesso sono aggiunti medicamenti ad azione
disinfettante (acido borico, fenolo e zolfo) o comunque capaci di svolgere
un’azione topica (acido salicilico, resorcina, mentolo, acido tannico).
Eccipiente (fase disperdente): liquido, semisolido, lipofilo o idrofilo.
La fase disperdente ha la funzione di LEGANTE tra le particelle solide più che di
veicolo come per le altre preparazioni per applicazione cutanea (base è destinata a
mantenere in omogenea dispersione il farmaco)
FUNZIONE PROTETTIVA sulla pelle formando una pellicola che
isoli la pelle da agenti esterni che ne minacciano l’integrità o
la funzionalità. L’alto contenuto di polveri consente anche la
funzione di assorbente quando la pelle si presenta essudativa.
Se la fase disperdente liquida: sono vere e proprie sospensioni nelle quali la fase
solida in fini particelle è dispersa in una fase liquida.
Se, invece, la fase disperdente semisolida: miscelare in modo omogeneo le polveri e
poi, con spatola o pestello, incorporarle e levigarle a poco a poco nell’eccipiente
posto rispettivamente su piastra o mortaio.
A livello di laboratorio si utilizzano la spatola e la piastra.
A livello industriale si utilizza l’impastatrice o il cito unguator,
strumento di nuova generazione che consente di preparare
direttamente la nostra preparazione nel contenitore finale che si
consegnerà al cliente.
Si pesano direttamente le sostanze nel contenitore (per ridurrei
passaggi e l’eventuale inquinamento della preparazione e ridurre
gli strumenti ed i contenitori), poi si pongono dentro delle alette
che vanno a miscelare i vari componenti per un certo tempo
(impostato nello strumento) ad una certa velocità. Infine, si
116
estrae l’aletta (frusta), si mette il tappo dosatore, si etichetta ed il prodotto viene
consegnato al cliente.
Tra i saggi, la farmacopea riporta sono quello di sterilità. Ovviamente a monte il
tecnologo deve effettuare dei saggi: stabilità, comportamento reologico,
conservazione ecc.
_______________________________________________________________________________________
Pasta barriera con ossido di zinco. Per la pelle fragile e sottile del
bambino e soggetti con cute molto sensibile. Regala un immediato
sollievo alla pelle irritata e arrossata. Nel bambino applicare il prodotto
ad ogni cambio di pannolino e dopo ogni lavaggio della cute della zona
dei genitali e del sederino massaggiando con delicatezza specie tra le
pieghe della pelle.
Contiene: Amido di riso; betaglucano; olio di mandorle dolci; vitamina E;
ossido di zinco; burro di karitè; glicerina.
PREPARATI DA DROGHE VEGETALI
F.U.I.XII: “piante intere, frammentate o tagliate, parti di piante, alghe,
funghi, licheni in uno stato non trattato, generalmente in forma
essiccata, ma talvolta fresche. Sono anche considerati droghe vegetali
alcuni essudati che non sono stati sottoposti a un trattamento
specifico. Le droghe vegetali vengono definite con precisione dal nome
scientifico botanico secondo il sistema binomiale (genere, specie,
varietà e autore).
Si ottengono da piante coltivate o selvatiche e devono rispondere ai requisiti di qualità
stabiliti dalla stessa F.U.I.
Sono





costituite da:
Radici
Tuberi
Rizomi
Cortecce
Legni






Gemme
Foglie
Sommità fiorite
Fiori
Frutti
Semi
117





Gomme
Gemmoresine
Oleoresine
Latici
Pianta intera
La droga vegetale può essere utilizzata allo stato fresco ed allo stato secco.
 STATO FRESCO: usata raramente, soprattutto per preparare tinture madri e
gemmoderivati, polpe, succhi e per l’ottenimento di oli essenziali. Uso limitato per
la presenza di acqua, che ostacola molti processi di lavorazione industriale e ne
limita e condiziona la conservazione. L’uso di droga fresca (disponibile solo in
determinati periodi stagionali) è limitato a pochi particolari casi, sia quando il
recupero del p.a. può essere fatto con semplici operazioni meccaniche, sia quando
il principio attivo rischi di venire degradato con l’essiccamento o perduto per
volatilizzazione.
 STATO SECCO: l’essiccazione permette di avere a disposizione la droga tutto l’anno
e di arrestare i processi fermentativi che solitamente si sviluppano dopo la
raccolta.
PROCESSI di ESTRAZIONE
Obiettivo: separare dal tessuto vegetale le
sostanze attive
Ordinariamente
l’estrazione
viene
effettuata
su
droga
essiccata,
che
consente una buona conservazione e
disponibilità in ogni periodo dell’anno.

SPREMITURA:
compressione
della
droga in modo da recuperare la
frazione liquida.
Processo che interessa la droga fresca: cellule, per effetto della pressione, vengono
lacerate con la fuoriuscita del loro contenuto. I vari componenti cellulari sono
mescolati agli enzimi, solitamente racchiusi in alcune strutture cellulari: i principi attivi
possono così venire inattivati, componenti anche inattivi possono a loro volta essere
trasformati con la formazione di polimeri colorati e sostanze resinose indesiderate.
In passato, la spremitura è stata usata per ottenere il succo da determinati frutti
(lamponi, mirtilli, more, ciliegie), utilizzati poi per preparare sciroppi mediante la
dissoluzione di opportune quantità di zucchero, da utilizzare come veicolo di farmaci o
come aromatizzanti in preparazioni liquide per via orale.
Oggi è usata per l’estrazione dell’olio da semi di mandorle e ricino. In ambedue i casi,
si realizza la separazione dell’olio da un componente tossico dei semi, nel primo caso
119
dall’amigdalina (dalla quale si può liberare acido cianidrico) e nel secondo caso dalla
ricina altamente tossica.

TRATTAMENTO CON SOLVENTI: è praticato su
droga essiccata.
Nel tessuto vegetale essiccato, le cellule si trovano
disidratate per cui la loro parete si riduce a una membrana
secca e porosa, all’interno della quale residua il contenuto
citoplasmatico, anch’esso disidratato. Quindi il tessuto è
fragile, e può essere frantumato in frammenti costituiti da
aggregati di cellule sulla cui superficie rimangono esposte
cellule fratturate.
L’estrazione è una combinazione dei due meccanismi di dilavamento delle cellule
fratturate alla superficie del frammento di droga e di diffusione dalle cellule rimaste
integre.
La scelta del solvente è condizionata dalla solubilità dei componenti la droga. I solventi
maggiormente utilizzati sono: acqua, alcool etilico a diversa gradazione, glicerina,
glicole propilenico, olio vegetale.
A volte la droga viene prima trattata con un definito solvente che rimuova
selettivamente alcuni componenti indesiderati o che possano ostacolare l’estrazione =
pre-estrazione.
Es.: i semi di strofanto vanno prima trattati con etere di petrolio o benzina per
asportarne i lipidi che ostacolerebbero l’estrazione con alcol dei glucosidi.

I processi di ESTRAZIONE si suddividono in:
 MACERAZIONE: a sua volta si suddivide in INFUSIONE e DECOZIONE. La droga
viene adeguatamente frantumata, viene messa a contatto con il solvente prescelto
a temperatura ambiente in un recipiente munito di idonea chiusura (per impedire
perdita di solvente per evaporazione). Per favorire la diffusione dal tessuto
vegetale è necessario riportare la droga in sospensione nel solvente agitando di
tanto in tanto in modo da rimuovere gli strati concentrati a ridosso dei frammenti
di droga e ripristinando così un gradiente di concentrazione fra droga e solvente
utile alla ripresa della diffusione. Il prodotto di estrazione (macerato) viene
recuperato per decantazione e successiva spremitura del residuo di droga.
L’operazione richiede in generale 5 giorni.
Sono stati messi in atto altri processi, oltre a quello classico:
- Macerazione dinamica: la diffusione dei componenti estraibili viene facilitata
mantenendo la droga in continua agitazione in modo da garantire
costantemente un gradiente di concentrazione utile fra l’interno dei frammenti
di droga e la soluzione estrattiva.
- Digestione: con tessuti vegetali compatti (legni, cortecce, radici), l’estrazione
accelerata portando la temperatura a 40-50° C. La dissoluzione dei
componenti estraibili è più rapida, la viscosità del solvente è minore e la
velocità di diffusione è maggiore. Si usano solventi con una certa viscosità e
bassa volatilità: glicerina e oli vegetali.
- Turboestrazione: estrazione rapida. Droghe tenere (foglie, fiori, erba). La droga
è trattata con il solvente in un trituratore veloce. Si frantuma in sottili
frammenti con aumento delle cellule lacerate e l’abbreviazione del cammino di
diffusione dalle cellule interne dei frammenti. Durata: 5-10 min.
120
INFUSIONE: come solvente si utilizza acqua bollente. Si lascia macerare per un
tempo da 5 a 15 min. in recipiente coperto, agitando di tanto in tanto. Il prodotto
di estrazione, detto INFUSO, va filtrato (ovatta di cotone, tela) per separarlo dai
frammenti di droga.
La frazione di
impregna il residuo
recuperata facendo
piccola
quantità
attraverso la droga
filtro.
infuso che
di droga va
passare una
di
acqua
raccolta sul
È adatta per droghe con tessuti
teneri (foglie e fiori, droghe con
p.a. termolabili o quelle con p.a. volatili) ad es. camomilla, tiglio, senna, valeriana,
preparazione tè.
DECOZIONE: la droga è fatta bollire in acqua per un tempo da 15 a 45 min. a
seconda della compattezza del tessuto vegetale e la velocità di dissoluzione dei
p.a. avendo cura di conservare costante il volume dell’acqua reintegrando quella
via via evaporata. Il prodotto di
estrazione, detto DECOTTO, va
filtrato.
L’andamento termico è più
severo rispetto all’infuso ed è
usata per droghe a tessuto
legnoso. Non adatto per droghe
con p.a. termolabili o per droghe
con componenti volatili che andrebbero irrimediabilmente perduti.

PERCOLAZIONE:
consiste nel far seguire a una
macerazione un flusso continuo di solvente attraverso lo
strato di droga.
Le fasi del processo di estrazione sono:
1. Umettamento della droga
2. Caricamento del percolatore (forma simile alla buretta)
3. Macerazione intermedia della droga
4. Percolazione
È il processo di estrazione elettivo per droghe vegetali
perché consente un recupero completo dei componenti
estraibili. Non adatto per resine o oleoresine che nel corso
dell’estrazione lasciano un residuo gommoso oppure per
droghe che si rigonfiano in misura tale da impedire il flusso
del solvente.
121

DISTILLAZIONE: si pratica per la separazione dei componenti volatili e si
suddivide in:
A. Distillazione in corrente di vapore: si usa droga fresca o droga essiccata
preventivamente fatta reidratare. Nella
camera del distillatore, uno strato di droga
è fatto attraversare da una corrente di
vapore d’acqua. Per effetto del calore i
componenti volatili (per gli oli essenziali)
formano un vapore misto con l’acqua.
Condensato,
il
vapore
consente
di
recuperare i componenti volatili, parte dei
quali rimangono nella fase acquosa e, se
insolubili o poco solubili nell’acqua come
succede per gli oli essenziali, si separano in
uno straterello oleoso (per lo più alla
superficie del distillato, peso specifico minore dell’acqua).
Si ha il recupero degli oli essenziali e si ottiene acqua aromatizzata saturata di
essenze da usare come veicolo o aromatizzante in preparazioni acquose (acque
distillate o idrolati).
Esempio di estrazione effettuata in laboratorio = si tratta di una procedura di
estrazione condotta direttamente sui fiori freschi di ginestra basata su un processo di
flash distillazione in corrente di vapore autoalimentato.
B. Distillazione previa macerazione in alcool: la droga sottoposta a
macerazione con alcool permette di ottenere soluzioni estrattive a più alto
contenuto in olio essenziale. Con droga fresca si usa alcool ad alta
concentrazione, perché macerato risulterà a medio grado alcolico a seguito
della diluizione con acqua della droga fresca. Con droga secca si usa alcool a
media gradazione (50-70°). Il macerato separato dalla droga va poi distillato. Si
ha separazione dei componenti volatili che sono condensati con l’alcool, mentre
nel residuo della distillazione rimangono i componenti solubilizzati anch’essi
dall’alcool, ma non volatili. Il prodotto ottenuto è chiamato spirito o alcoolato.
Classici sono quelli di menta o di anice, oppure l’intramontabile “acqua” o
“spirito di melissa”, prodotto ancora oggi dall’officina dei Carmelitani di Venezia.
122
Dal trattamento effettuato sulle droghe vegetali si possono ottenere le varie forme
farmaceutiche
POLVERI
Le polveri possono essere semplici o composte. Si ottengono per polverizzazione della
droga essiccata e devono essere setacciate per avere un preparato con granulometria
omogenea.
I metodi di polverizzazione sono in relazione alla consistenza, fibrosità e fragilità della
droga.
 FRANTUMAZIONE: corpi duri. Si effettua con taglierine, macinini a coltelli rotanti,
grattugie rotanti.
 TRITURAZIONE: droghe erbacee, gemme, bulbi, tuberi. Utilizza omogenizzatori a
coltelli rotanti e taglierine di vario tipo.
 POLVERIZZAZIONE: si effettua con vari tipi di mortai e con molini di diverso tipo: a
coltelli (taglio), a martelli (urto e impatto), a rulli (compressione), a cilindri (attrito),
a palle (attrito e impatto) e a energia fluida (attrito e impatto).
INFUSI
Sono le forme più antiche e tradizionali di prodotto di estrazione di una droga o di una
miscela di droghe di diretto impiego. Questa preparazione si usa quando la parte della
pianta è poco consistente (foglie, fiori…). In passato aveva un uso terapeutico, oggi
presenta finalità “salutistiche”.
La Rosa canina (Rosa canina L.) fa parte della famiglia delle
Rosaceae, la stessa a cui appartengono anche le più note rose da
giardino. È un arbusto che vive allo stato selvatico ed è
caratterizzato da grandi fiori di colore roseo o bianco e da un
frutto di colore rosso cupo ricco in acidi organici. Grazie al
contenuto di vitamine e sali minerali, è indicata sia in estate per
le sue caratteristiche dissetanti e reidratanti, che in inverno. Per
dare all'infuso un gusto più gradevole e il caratteristico colore rosso intenso, Aboca ha
aggiunto i calici fiorali di Karkadè (Hibiscus sabdariffa L.).
123
Modo d'uso: un filtro è sufficiente per preparare una tazza di infuso. Versare l'acqua
portata all'ebollizione in una tazza contenente la bustina filtro e mantenere in
infusione dai 5 ai 7 minuti, avendo cura di tenere coperto il contenitore per non
disperdere le sostanze più volatili. Per dolcificare, consigliamo l'uso del miele.
DECOTTI
Nella
farmacopea
viene
definito
come:
“preparazioni
liquide
ottenute
estemporaneamente facendo bollire in acqua le droghe opportunamente polverizzate,
dalle quali si vogliono estrarre i principi attivi. L’operazione di decozione non si applica
mai a droghe contenenti principi attivi volatili, poiché la preparazione consiste nella
bollitura”. La quantità di droga da impiegare: “solitamente si impiegano cinque parti di
droga per preparare 100 parti di decotto”.
TINTURE
Vengono definite: “preparazioni liquide ottenute generalmente da materie prime
vegetali o animali essiccate”.
Le tinture possono essere preparate per macerazione o per percolazione.
 Macerazione: si riduce la materia da estrarre in pezzi di grandezza appropriata,
mescolare uniformemente con il solvente di estrazione prescritto e si lascia in
riposo in un recipiente chiuso per un tempo appropriato. Il residuo è separato dal
solvente di estrazione e, se necessario, pressato. In questo caso i due liquidi sono
riuniti.
 Per percolazione: si riducono le materie prime in pezzi di
grandezza appropriata. Si mescola uniformemente con una parte
del solvente di estrazione prescritto e si lascia in riposo per un
tempo appropriato. Si trasferisce la miscela in un percolatore e si
lascia fluire il percolato lentamente. Il residuo può essere
pressato e il liquido ottenuto riunito al percolato.
ALCOLATURI
Prodotti di estrazione con alcool di droghe fresche. Possono essere considerati
analoghi alle tinture. Si effettua l’estrazione della droga fresca che viene a contatto
con il l’alcol.
Gli alcolaturi possono essere preparati per:
 Estrazione della droga fresca: come solvente si utilizza alcol a 96°. Per diluizione
con acqua propria della droga si ottiene un grado alcolico analogo a quello delle
tinture propriamente detto.
 Spremitura della droga fresca: il succo viene miscelato con ugual volume di alcool
96°. Dopo decantazione del materiale insolubilizzato si filtra.
Alcolaturi di bucce fresche di agrumi (arancio, limone, mandarino) usati come
aromatizzanti in preparazioni liquide per via orale.
ESTRATTI
Gli estratti possono essere classificati in base al solvente che si utilizza per la loro
estrazione o in base alla consistenza fisica che questi hanno alla fine del processo di
estrazione.
124
La classificazione in base al solvente vede:
 Estratti acquosi
 Estratti idroalcolici: miscela acqua-alcol
 Estratti eterei (raramente): si utilizza l’etere
La classificazione in base alla consistenza fisica che questi hanno alla fine del processo
di estrazione vede:
 Estratti secchi (E.S.): “sono preparazioni solide ottenute per evaporazione del
solvente usato per la loro preparazione. Gli estratti secchi generalmente hanno
una perdita all’essiccamento o un contenuto di acqua non superiore al 5% m/m”.
 Estratti molli (E.M): sono preparazioni semisolide ottenute per evaporazione o
parziale evaporazione del solvente usato per l’estrazione.
 Estratti liquidi (o estratti fluidi, E.F.): “sono preparazioni liquide nelle quali, in
generale, una parte di massa o in volume è equivalente a una parte in massa
della droga vegetale o del materiale di origine animale essiccati”. Generalmente
hanno un rapporto Droga/Estratto 1:1.
Sono presenti anche gli ESTRATTI NEBULIZZATI: estratti concentrati che vengono
preparati con lo spray-dryer. Questi estratti mantengono inalterati i principi attivi e si
ottengono prodotti igroscopici che vengono conservati in busta o flaconi chiusi.
Integratore alimentare a base di estratto secco di Ginseng (Panax
ginseng C.A. Meyer) radici, titolato e standardizzato in componenti
attivi. Si rivela utile in caso di affaticamento psico-fisico. Il Ginseng è da
sempre utilizzato per le sue proprietà toniche sull'organismo. Inserito
nell'ambito di una dieta adeguata può essere utile per l'affaticamento
fisico. L'estratto secco è una delle forme farmaceutiche che più si
allinea ai criteri di qualità richiesti dalla fitoterapia moderna, in quanto
fortemente concentrato e quindi titolabile e standardizzabile. Gli
estratti secchi Pharbenia sono ottenuti per nebulizzazione:
mantengono quindi inalterati i componenti della pianta, sono
prontamente assimilabili, offrono un prodotto costante nella qualità e
nella quantità di principi attivi e rispettano completamente i parametri qualitativi
richiesti dalla farmacopea.
Contenuto per capsula: estratto secco 34 mg 150. Titolo in ginsenosidi min 20% pari a
20 mg di ginsenosidi per capsula.
Eccipienti: Calcio fosfato, Maltodestrina, Magnesio stearato.
Involucro esterno: capsula di gelatina naturale.
_______________________________________________________________________________________
OLI ESSENZIALI
Gli oli essenziali sono “prodotti odorosi, generalmente di composizione complessa,
ottenuti da una materia prima vegetale botanicamente definita mediante distillazione
in corrente di vapore, distillazione secca o idoneo procedimento meccanico senza
riscaldamento. Gli oli essenziali sono generalmente separati dalla fase acquosa
mediante processo fisico che non varia significativamente la loro composizione” (Ph.
Eur. 9).
Composizione chimica: idrocarburi, alcoli, eteri, fenoli, eteri fenolici, aldeidi, chetoni,
esteri, acidi, composti solforati, ecc. Gli idrocarburi più caratteristici sono i terpenici
(C10 H16) ed i sesquiterpenici (C15 H24)
125
Caratteri fisici: preparazioni lipofile, volatili, generalmente liquide, bruciano con
fiamma fuligginosa. La maggior parte ha una densità relativa minore di quella
dell'acqua. Molte sono otticamente attive e presentano alla luce UV un colore ed un
grado di fluorescenza caratteristici.
Le essenze si ossidano facilmente, specie all'aria ed alla luce: l'odore diventa meno
gradevole ed il colore più scuro; la fluidità diminuisce, a volte, sino a giungere alla
resinificazione.
Vanno quindi conservate in recipienti riempiti e ben chiusi, in luogo fresco ed al riparo
dalla luce.
Per ottenere gli oli essenziali si parte da una droga fresca, solitamente dai fiori che
contengono sostanze volatili ed aromatiche. Possono essere preparati per distillazione,
per corrente di vapore o fluidi supercritici (tecniche per ottenere oli essenziali o acque
aromatiche).
Solitamente, gli oli essenziali sono presenti in piccole quantità e vengono separati
utilizzando gli imbuti separatori (per separare l’acqua aromatica dall’olio essenziale).
Essenze di cannella, chiodi di garofano e senape hanno densità maggiore si
depositano sul fondo.
ACQUE AROMATICHE o IDROLATI
Sono acque arricchite, mediante distillazione di p.a. volatili delle piante. Sono usate
per uso esterno (acque toniche, creme e colliri) o per la preparazione di pozioni o elisir.
Acqua aromatica (acqua distillata) di
 Camomilla: antinfiammatoria
 Elicriso: antisettica, antinfiammatoria
 Eufrasia: antiallergica
 Fiordaliso: antinfiammatoria
Tutte adatte per la preparazione di colliri.
L’acqua aromatica di melissa e timo sono adatte per la preparazione di acque toniche
di bellezza.
126
Sospensione Integrale di Pianta Fresca (SIPF)
Preparazione: si tratta con azoto liquido (-196°C) la pianta fresca entro 6-12 ore
(massimo 24 ore) dalla raccolta. Si ha un abbassamento della temperatura a circa -50°
C: tutte le attività enzimatiche sono bloccate.
Pianta surgelata → crio-frantumazione → Pasta omogenea → Soluzione-sospensione →
Microsospensione stabile (Sospensione
Ultrapressione
Alcol (per
Integrale di Pianta Fresca, SIPF)
molecolare
mantenere bloccata
attività enzimatica
a temperatura
ambiente)
Somministrazione: dose di 5 ml diluiti in acqua. Questa diluizione ripristina l’attività
enzimatica e il preparato ha tutto quello che era contenuto nella pianta fresca, dagli
enzimi ai fitormoni, dagli oli essenziali alle vitamine.
Le SIPF sono stabili e si conservano per circa 3 anni. A causa del costo elevato, si
preparano soltanto con droghe contenenti principi attivi poco stabili o poco solubili.
Da una singola pianta si possono ottenete diversi prodotti per solvente di estrazione
(nel caso di estratti) o per studi etnofarmacologici.
Camomilla (Matricaria recutita L.) fiore: olio essenziale
Se si sottopone la camomilla a distillazione in corrente di vapore si ottiene poco α(-)bisabololo che è il componente fondamentale dell’olio essenziale, mentre si ottiene un
alto quantitativo di camazulene (molecola responsabile dell’attività antiflogistica ed
antinfiammatoria della camomilla). Quindi la distillazione in corrente di vapore NON è
un buon metodo per ottenere l’olio essenziale.
Estrazione con solvente: Alcool etilico 96%:
- estrazione completa di olio essenziale
- no estrazione di flavonoidi
127
Estrazione con solvente idroalcolico al 70%: miglior metodo per ottenere il
fitocomplesso nella sua totalità. Possono essere così ottenute TINTURE, ESTRATTI
FLUIDI ed ESTRATTI SECCHI.
Aglio (Allium sativum L.) bulbo
Il bulbo dell’aglio contiene l’allina che, per azione dell’enzima allinasi, l’allicina.
Distillazione in corrente di vapore: olio essenziale costituito da una miscela di
oligosulfidi alchilici.
Estrazione con acqua calda (infusione) o con alcol etilico: si ottengono ajoeni (efficaci
come inibitori dell’aggregazione piastrinica).
Estrazione con olio: importanti concentrazioni di vinilditiine, derivati dell’allicina.
Rispetto al succo, agli estratti, all’oleolito e all’olio essenziale la POLVERE BEN
ESSICCATA rappresenta la scelta migliore: sistema alliina/alliinasi
Il principio attivo è fondamentale e l’enzima che consente la trasformazione
nell’organismo, in condizioni fisiologiche normali, in tutti i derivati attivi responsabili
dell’azione farmacologica dell’aglio.
Valeriana (Valeriana officinalis L.) radice
Ancora non è stato identificato a piene il principio attivo responsabile dell’azione della
valeriana, anche se si pensa che sia contenuto nell’olio essenziale (monoterpeni,
sesquiterpeni) o valepotriati, lignani ed alcaloidi/aminoacidi
Estratto oleoso in olio d’oliva della radice: estrazione di tutti i componenti attivi in
forma stabile. Forma estrattiva migliore.
Estratti acquosi non estraggono i componenti lipofili, così come non sono efficaci i
succhi concentrati.
Tinture idroalcoliche tradizionalmente usate contengono i componenti dell’olio
essenziale, ma i valepotriati e i valeranali si degradano.
Finocchio (Foeniculum vulgare Mill.) frutto e/o seme
Olio essenziale:
- Infuso all’1,5 % dei frutti per 5 min: estrazione bassa (3 mg) di olio essenziale.
Azione carminativa
- L’impiego di olio essenziale puro a gocce produce un effetto opposto
aumentando il gonfiore intestinale.
L’estratto idroalcolico delle radici possiede attività diuretica, che è assente nel relativo
estratto acquoso.
Biancospino (Crataegus monogyna Jacq., C. oxyacantha L.) sommità fiorite
Estratto secco acquoso: azione ipotermizzante e sedativa. No attività spasmolitica.
Estratto secco metanolico: attività spasmolitica. No azione ipotermizzante e sedativa.
INCOMPATIBILITA’ E SINERGIE
L’associazione fra due o più estratti vegetali e alla loro eventuale combinazione con
altre sostanze attive può portare a un’esaltazione di determinate proprietà fisiologiche
o curative (SINERGISMO) oppure può portare a una diminuzione, se non addirittura alla
scomparsa, di tali proprietà (INCOMPATIBILITA’).
128
L’incompatibilità può essere:
 Fisica: miscelando due o più derivati in forma liquida, l’incompatibilità può
presentarsi sotto tre aspetti fondamentali:
- INTORBIDAMENTO: due liquidi non sono ben miscibili (es. estratti
idroalcolici a diverso grado alcolico, etere e acqua, etere e glicerina)
oppure il solvente non è adatto (oli essenziali in soluzioni acquose, mentolo
in acqua).
- PRECIPITAZIONE: accade quando si miscelano due soluzioni ottenute con
solventi che presentano capacità estrattive diverse. Es: unione di estratti o
tinture a grado alcolico molto diverso.
- CAMBIAMENTO DI COLORE: es.: la luce altera facilmente numerose
sostanze producendo una variazione di colore dell’estratto e talora
formazione di precipitati.

Chimica: ad esempio le acque distillate sono incompatibili con alcaloidi o iodio
per formazione di reazioni colorate.

Terapeutica: risulta dall’associazione di sostanze attive ad azione contraria o
antagonista e si manifesta con l’annullamento degli effetti fisiologici o curativi.
Controlli specifici per gli estratti di piante
Liquidi idroalcolici (tinture, tinture madri, macerati glicerici, estratti fluidi ecc.)
129

Contenuto di etanolo: il contenuto di etanolo soddisfa il valore prescritto. Non
trattandosi semplicemente di una miscela idroalcolica, è impossibile eseguire
tale determinazione direttamente con l’alcolometro centesimale di Gay-Lussac,
pertanto viene effettuata mediate l’apparecchio. Esso è costituito da un pallone
da 500 ml (A), collegato mediante un’allunga (B) a un refrigerante a bolle (C),
terminante con un tubo affilato (D) inserito nel collo di una
beuta di raccolta tarata (da 100-250 ml), posta per tutto il
tempo della distillazione in un bagno di acqua e ghiaccio
(E).
Procedimento: 25 ml del liquido idroalcolico in esame si
diluiscono a 100 ml con acqua e si pongono nel pallone (A).
dopo aver aggiunto una piccola quantità di magnesio
ossido, per neutralizzare gli acidi volatili, si distilla
raccogliendo almeno 90 ml di distillato nella beuta tarata
(E). il distillato, raggiunta la temperatura di 20° C, si porta a
100 ml con acqua, pure a 20° C. a questo punto è possibile
misurare la densità del liquido con un alcolometro
centesimale. Il valore ottenuto, moltiplicato per 4, darà la percentuale in volume
di alcol della preparazione in esame (titolo alcolico volumetrico).
Controlli specifici per gli estratti di piante:
 Residuo fisso: 2 g del liquido vengono velocemente pesati in una capsula a
fondo piatto di circa 50 mm di diametro e 30 mm di altezza. Si evapora a secco
su bagno maria continuando poi l’essicamento in stufa a 100-150° C per 3 ore.
Si raffredda in essiccatore di anidride fosforica e si pesa. Il risultato viene
espresso in percentuale (g/100 g).
 Metanolo e 2-propanolo: salvo diversa indicazione, non più dello 0,05 % V/V di
metanolo e non più dello 0,05% V/V di 2-propanolo.
 Densità relativa: se del caso, gli estratti liquidi e le tinture soddisfano ai limiti
prescritti nella monografia.
Gli stessi saggi sarebbero auspicabile anche per gli estratti non riportati in Ph. Eur.
Per gli estratti molli e secchi occorre effettuare il seguente saggio:
 Perdita all’essiccamento: si opera analogamente alla determinazione del residuo
secco, ma pesando inizialmente soltanto 0,5 g di estratto anziché 2 g. Nel caso
di estratti molli tale quantità viene prima stemperata in 5 ml di alcol a 60°,
quindi posta a seccare. Il valore viene espresso in percentuale (g/100 g).
 Solventi: se del caso, la monografia di un estratto molle o secco prescrive un
saggio limite per il solvente impiegato per l’estrazione.
 Residuo secco: richiesto solo per gli estratti molli.
 Determinazione dell’acqua: se del caso, l’estratto secco soddisfa ai limiti
prescritti nella monografia.
Gli stessi saggi sarebbero auspicabili anche per gli estratti non riportati in Ph. Eur.
130
PREPARAZIONI OFTALMICHE
Le preparazioni oftalmiche sono preparazioni
somministrare i farmaci nella zona oculare.
steriche
che
permettono
di
Queste preparazioni oftalmiche vengono distinti in:
 Colliri: sia soluzioni che sospensioni (dipende dalle caratteristiche chimicofisiche del farmaco)
 Bagni oculari
 Polveri per colliri e per bagni oculari
 Preparazioni oftalmiche semisolide: unguenti e gel
 Inserti oftalmici: sono formulazioni solide
Generalmente si
instillazione topica.
somministrano
i
colliri
per
Le
preparazioni
oftalmiche
possono
essere
somministrate
anche
attraverso
le
iniezioni
sottocongiuntivali, le iniezioni sottotenoniane e le
iniezioni
retrobulbari.
Queste
sono
vie
di
somministrazioni
che
si
utilizzano
in
casi
ambulatoriali o pre-post operazione, permettono di
far raggiungere grandi quantità di farmaco
nell’occhio.
Un requisito comune a tutte le preparazioni oftalmiche è la STERILITA’, questo
perché hanno come sito di applicazione gli occhi, che hanno condizioni patologiche
che ne possono ridurre od alterare i normali meccanismi di difesa contro gli attacchi
esterni.
La cornea è la via preferenziale per
l’assorbimento di questi farmaci per
applicazione oftalmica.
Affinché il farmaco possa essere
assorbito sono fondamentali alcuni
fattori:
-
-
131
Struttura della cornea: è costituita
da tre strati; epitelio, stroma ed
endotelio. L’epitelio e l’endotelio
sono ricchi di materiale lipidico,
mentre lo stroma ha una struttura
acquosa. Quindi bisogna bilanciare e
trovare il giusto compromesso
affinché il farmaco si ripartisca nella
cornea per essere assorbito.
Caratteristiche chimico-fisiche del
farmaco
-
Tipo di formulazione attraverso la
quale si vuole somministrare il
farmaco
Una suddivisione arbitraria, fatta per convenienza, vede:
 Farmaci terapeutici: antibatterici, antifungini, antiglaucoma, decongestionanti
oculari, antinfiammatori e farmaci per il trattamento dell’occhio sesso (ora
sintomatologia molto comune)
 Farmaci diagnostici
COLLIRI
Sono formulazioni che, rispetto alle altre, presentano dei vantaggi: a livello industriale
sono facili da preparare poiché si tratta di soluzioni (quindi i macchinari e la
strumentazione è semplice e poco costosa), dal punto di vista terapeutico sono
formulazioni gradite dai pazienti poiché facili da instillare (anche medicinale di
automedicazione), il farmaco si trova già in soluzione e quindi viene assorbito
rapidamente (rispetto ad altre forme farmaceutiche) e quindi anche l’effetto
terapeutico si manifesta più rapidamente.
I colliri possono essere:
 In soluzione: in soluzione acquosa, quindi il solvente impiegato è l’acqua. Ci sono
anche farmaci non solubili in acqua che possono essere solubilizzati in oli vegetali,
anche se le soluzioni oleose sono in disuso e vengono utilizzate soltanto in
rarissimi casi.
 In sospensione: il farmaco non si solubilizza completamente e quindi c’è la
possibilità di somministrare il farmaco anche in sospensione (come seconda scelta,
dovuta alle caratteristiche chimico-fisiche del farmaco che non si riesce a
solubilizzare). Un esempio è rappresentato dagli antinfiammatori steroidei
(indometacina). Le sospensioni sono costitute da particelle solide che sono in un
solvente adatto, quindi riveste molta importanza le dimensioni delle particelle → è
importante che le dimensioni delle particelle sospese abbia un diametro medio <
10 μm. Si deve rispettare questo limite poiché le particelle con dimensioni
maggiori causano irritazione, con conseguente più rapida eliminazione delle
particelle ad opera della lacrimazione.
La farmacopea richiede proprio un saggio relativo alle dimensioni delle particelle nelle
preparazioni oftalmiche: questo saggio si effettua su un campione di 10 μm di principio
attivo solido. Su questo campione non più di 20 particelle devono avere una
dimensione massima > 25 μm e non più di 2 particelle devono avere una dimensione
> 50 μm, nessun a delle particelle deve avere una dimensione > 90 μm.
I componenti fondamentali per poter preparare un collirio sono:
-
Farmaco responsabile dell’attività terapeutica
Acqua: veicolo in cui il farmaco deve essere solubilizzato o sospeso. In questo
caso si utilizza acqua depurata (o si può anche trovare scritto acqua per
preparazioni iniettabili).
Sia il farmaco che l’acqua sono componenti fondamentali.
-
Tamponi: acidi o basici
132
-
Agenti conservanti (non sempre presenti, dato che spesso vengono somministrati
in confezioni monodose)
Agenti osmotici
Sali
Agenti viscosizzanti
Agenti sospendenti
Agenti solubilizzanti
Tutte queste sostanze non devono influire negativamente sull’effetto del principio
attivo, quindi ogni componente ha la sua importanza.
Quando si prepara un collirio bisogna far si che presenti dei requisiti fondamentali:
isotonia, pH adeguato, agenti conservanti ed agenti viscosizzanti.
I farmaci vengono solubilizzati maggiormente in un veicolo acquoso (le soluzioni
oleose sono raramente utilizzate e quindi si parlerà di colliri acquosi) dove vengono
aggiunti dei Sali che tendono a garantire la soluzione tampone al pH ottimale nella
zona oculare, che si aggira intorno a 7,4. Per poter somministrare il farmaco a questo
pH bisogna formulare il collirio che si avvicini il più possibile. A volte si cercano di
ottenere soluzioni di pH che garantiscano che il farmaco sia stabile in soluzione, ed
allo stesso tempo si fa sì che il pH ottenuto sia il meno irritante possibile per le
mucose oculari.
Dagli studi effettuati, sembra che l’occhio umano sia in grado di sopportare meglio pH
leggermente alcalini, rispetto a pH leggermente acidi.
Quando viene instillato un farmaco con pH diverso, il fluido lacrimale non sempre è in
grado di neutralizzare il pH, ma interviene la lacrimazione che cerca di diluire e
neutralizzare questa variazione di pH che si è instaurata in seguito alla
somministrazione del farmaco. Il tempo necessario varia da 2-3 min, a seconda del pH
e del volume che viene instillato.
L’altra caratteristica dei colliri è l’ISOTONIA. In molti colliri è presente nella
formulazione il cloruro di sodio che ha il compito di portare la tonicità a valori
fisiologici. Una soluzione oftalmica è considerata isotonica quando la sua tonicità è
uguale alla concentrazione del cloruro di sodio allo 0,9% (uguale alla concentrazione
della soluzione fisiologica) = il collirio deve contenere cloruro di sodio allo 0,9%.
Soluzioni con concentrazione che varia da 0,5 a 1,8% di cloruro di sodio risultano ben
tollerate dall’occhio.
Il controllo dell’isotonicità rigorosa rimane per quelle soluzioni che sono destinate alla
somministrazione intraoculare (dove si ha l’iniezione).
I CONSERVANTI hanno un’azione o batteriostatica o
battericida. Visto che i colliri devono essere applicati
nell’occhio, il formulatore non ha a disposizione una
vasta lista di conservanti che può utilizzare, proprio per
la delicatezza della zona in cui il collirio deve essere
applicato.
In ogni caso le concentrazioni dei conservanti sono
molto basse e, la scelta, viene fatta anche in base al pH.
A volte, insieme ai conservanti, si può trovare l’EDTA (agente sequestrante) che ha lo
scopo di complessare il calcio (ed alcuni metalli pesanti) che possono catalizzare
reazioni ossidative. Quindi si sfrutta l’azione sinergizzante del cloruro di benzalconio
(conservante molto utilizzato) con l’azione antiossidante per stabilizzare farmaci che
sono sensibili all’ossidazione.
133
Gli AGENTI VISCOSIZZANTI, quali i polimeri, sono in grado di aumentare la viscosità del
veicolo acquoso. L’aumentata viscosità, rispetto ad una soluzione, rallenta
l’eliminazione della medicazione dall’area di applicazione, producendo così un
aumento della biodisponibilità del farmaco. Inoltre, le soluzioni viscose sono meglio
accettate dal paziente poiché la preparazione rimane più a contatto ed il paziente
percepisce che la permanenza si converte in un effetto terapeutico migliore.
I materiali che vengono utilizzati quali viscosizzanti sono: polimeri che derivano dalla
cellulosa
(carbossimetilcellulosa,
idrossimetilcellulosa),
alcol
polivinilico,
polivinilpirrolidone (PVP), carbopol (quindi i derivati dell’acido poliacrilico), acido
ialuronico.
Ci sono alcuni polimeri che vengono preferiti ad altri, perché oltre ad avere la funzione
di aumentare la viscosità hanno anche la proprietà di essere muco adesivi, quale
l’acido ialuronico, i derivati dell’acido poliacrilico (carbopol). Quindi si ha garantito un
maggior contatto della preparazione con il sito con conseguente aumento della
biodisponibilità.
_______________________________________________________________________________________
Gli stessi principi attivi
possono essere utilizzati
in
formulazioni
differenti.
(per stabilizzare il pH)
PREPARAZIONI NASALI
Le preparazioni nasali sono delle preparazioni
che possono essere liquide, semisolide o solide e l’organo target è rappresentato dalle
cavità nasali. Si usano sia per ottenere un effetto sistemico sia locale.
I farmaci che solitamente si somministrano per via nasale sono: farmaci cortisonici,
antinfiammatori, antistaminici, vasocostrittori.
La via nasale, rispetto alla via orale e parenterale, presenta alcuni vantaggi:
 è più nuova (a partire dagli anni ’80 si è visto che anche la cavità nasale
garantisce un buon assorbimento dei farmaci a seguito della loro
somministrazione)
 il principio attivo non subisce l’effetto di primo passaggio epatico ed evita anche
il metabolismo gastrointestinale
 il principio attivo viene assorbito velocemente grazie alla permeabilità ed alla
ricca vascolarizzazione della mucosa nasale
 è una via di somministrazione non invasiva, facile ed indolore = molto apprezzata
anche dal paziente
Le caratteristiche che un farmaco deve avere per poter essere somministrato per via
nasale sono:
- buona solubilità in acqua
- basso peso molecolare
- essere attivo (deve svolgere l’attività farmacologica) a basse dosi
- non deve essere irritante o dannoso per la mucosa nasale
In commercio esistono già una serie di medicinali proprio per somministrazione nasale
134
Accanto al nome commerciale di ogni
medicinale è presente la formulazione
(soluzione
o
sospensione)
ed
il
dispositivo che viene utilizzato per poter
somministrare il farmaco nelle cavità
nasali.
I dispositivi per la somministrazione delle preparazioni nasali sono presenti sia per le
preparazioni liquide che solide. L’obiettivo è quello di distribuire la preparazione in
tutta la superficie della cavità nasale. Rispetto alle gocce, gli spray sono più facili da
utilizzare e garantiscono una maggiore igiene.
I dispositivi per poter somministrare delle preparazioni nasali liquide sono due.
1. Quelli più semplici sono costituiti da flaconcini di plastica facilmente
comprimibili (squeeze bottle).
2. Le aziende hanno studiato anche un’altra modalità ed hanno preparato delle
pompe spray multidose con un adattatore nasale che viene
montato sul flaconcino di vetro. In altri casi la pompa può
essere già inserita nel flaconcino di vetro. Questa pompa
spray multidose permette di dosare la giusta quantità di
soluzione da somministrare nella cavità nasale, è presente
un meccanismo che misura il volume esatto che deve essere
prelevato per poi essere somministrato.
I dispositivi utilizzati per somministrare delle preparazioni solide vengono detti
insufflatori nasali. I primi modelli di insufflatori di polveri nasali sono derivati da
inalatori polmonari. Questi dispositivi vengono chiamati dray powder inhalers.
Questi dispositivi sono facilmente maneggiabili, facili da utilizzare e garantiscono
accuratezza e ripetibilità della dose. Questi dispositivi contengono preparazioni solide,
quali polveri che devono essere micronizzate (più piccole sono le dimensioni delle
polvere più facilmente possono essere assorbite e più facilmente si ha l’effetto
terapeutico) e possono essere sospese in un propellente liquido mediante l’utilizzo di
un tensioattivo per poter facilitare la fuoriuscita della polvere dall’insufflatore, o
possono essere contenute in una capsula che viene messa nell’insufflatore all’interno
del quale è presente un ago che buca la capsula facendo fuoriuscire la
polvere. Gli insufflatori sono costituiti da un adattatore nasale, da un
bulbo di gomma ed un serbatoio contenente la polvere predosata o la
capsula.
Nell’insufflatore di sx si apre la parte inferiore, si inserisce la capsula e
con l’ago si buca la capsula per liberare la polvere.
Esistono diversi tipi di preparazioni nasali, che possono essere sia liquide che solide.
135





Gocce nasali e spray nasali liquidi
Polveri nasali: devono essere micronizzate per poter essere facilmente
assorbite. Le polveri nasali sono miscele di uno o più principi attivi che sono
associati a solventi
Preparazioni semisolide nasali
Lavaggi nasali (flaconcini contenenti acqua fisiologica per la pulizia nasale):
soluzione acquose isotoniche destinate per lo più alla pulizia della cavità nasali
Bastoncini nasali: preparazioni solide destinate ad una attività locale
I componenti principali per le preparazioni nasali, soprattutto per quelle liquide sono:
-
Il veicolo deve avere un pH adatto e compatibile alla cavità nasale (5,5-7,5),
deve essere isotonico, compatibile con le secrezioni nasali e stabile per tutto il
periodo
L’aggiunta di un co-solvente può modificare la viscosità della soluzione, quindi è un
fattore di cui bisogna tenere conto.
Le preparazioni liquide hanno anche un effetto umettante ed idratante e possono
essere aggiunti agenti umettanti
I tensioattivi vengono utilizzato nel caso di preparazione di sospensione con ruolo di
bagnanti e stabilizzanti.
Le preparazioni nasali devono essere isotoniche; cioè che i fluidi nasali hanno una
concentrazioni simile a quella del cloruro di sodio allo 0,9%. Se si superano queste
concentrazioni può venire compromessa la mucosa nasale ed il movimento ciliare
Preparazioni ipertoniche devo essere evitate, mentre quelle con tonicità che variano
dalla concentrazione di cloruro di sodio dallo 0,6 e 1,8% vengono ben tollerate.
Vengono aggiunti anche degli antiossidanti, come ad esempio il tocoferolo, per
prevenire la degradazione del principio attivo. Possono essere aggiunti complessanti,
sempre per prevenire la degradazione del principio attivo.
Possono essere utilizzati dei conservanti: benzalconio cloruro, potassio sorbato,
metilidrossibenzoato
Infine, possono essere utilizzati agenti viscosizzanti e gelificanti: cellulosa, CMC,
carbopol; per aumentare il tempo di residenza della preparazione sulla mucosa nasale.
Si preferisce, se c’è la possibilità, utilizzare la preparazione semisolida rispetto alla
liquida poiché prolunga il tempo di contatto del principio attivo alla mucosa nasale.
RINAZINA SPRAY NASALE
1 ml di soluzione contiene:
-
Principio attivo: nafazolina nitrato 1 mg, pari a nafazolina
0,77 mg
136
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