Biennio ABANA, Didattica e Mediazione Culturale del Patrimonio Corso: Progettazione Multimediale Docente: Studenti: Donato Maniello Alessia Vaccari (44670) Gabriella Ricci (45219) Massimiliano Bastardo (44617) “KROKÒDEILOS” NEL XXI SECOLO Il progetto ha lo scopo di essere un esempio di come il digitale possa essere un surrogato comunicativo d’eccellenza per oggetti poco documentati. La ricerca mira a contestualizzare le informazioni e valorizzare l’oggetto scelto. Il medium tecnologico ha lo scopo di rendere la visita museale più interattiva e coinvolgente, destando curiosità, meraviglia e piacere. L’accessibilità è imprescindibile: la semplicità dell’utilizzo e la chiarezza delle informazioni saranno fondamentali per il fruitore. Keywords: narrazione digitale; antico Egitto; coccodrillo; video mapping; accessibilità museale. 1. Introduzione La valorizzazione digitale di un oggetto museale è la chiave di lettura del seguente progetto. In questo nuovo millennio, le nuove tecnologie sono entrate a pieno diritto nel mondo artistico, sia nell’atto pratico che nella fruizione dei patrimoni culturali. La conseguenza di tali evoluzioni permette l’interazione degli oggetti con lo spettatore, da una narrazione più interattiva e coinvolgente, oltre che fornire ulteriori informazioni durante l’esperienza di visita. La digitalizzazione è un atto pratico volto alla conservazione e consegna di opere d’arte in prospettiva futura, con legittime visioni positive e altrettante criticità. Le istituzioni culturali e museali stanno adempiendo a questo compito innovativo, concentrandosi dapprima su reperti di lunga datazione, anche per ovviare ai lunghi tempi di restauro che necessitano la maggior parte delle opere d’arte. Un canale comunicativo molto influente in questo contesto è rintracciabile in tutti i sistemi tecnologici di ultima generazione, ovvero per la facilità di utilizzo messa a disposizione alla maggior parte della popolazione. Confluire questa compagine all’interno di esposizioni museali è un imperativo, soprattutto per l’aumento di possibilità di beneficio che il fruitore ha al suo interno e rendere il percorso di visita più interessante. Auspicabile è l’utilizzo di queste strategie per gli oggetti in esposizione di cui si hanno poche informazioni, cioè limitate in brevi didascalie. Questo caso non è criticabile all’istituzione o alla ricerca, ma alla difficile possibilità di comunicare le ulteriori informazioni che è possibile inserire. Ogni oggetto ha insignito in sè una storia che ha il dovere di esser contestualizzata, valorizzata e raccontata ai posteri. La soluzione risulta essere appunto l’impiego di nuove tecnologie e la miglior strategia comunicativa digitale. Il luogo, quindi lo spazio museale, gioca un ruolo fondamentale: è in esso che bisogna agire sul piano dell’allestimento affinché i dispositivi tecnologici possano contribuire a un’attiva partecipazione dello spettatore. Non devono essere soltanto dei supporti innovativi, ma dei supporti dagli esiti e utilizzi innovativi. La valorizzazione ha come elemento prioritario quello di permettere una completa accessibilità, non solo con strumenti multimediali di facile intuizione e utilizzo, ma anche e sopratutto all’aspetto interattivo e sociale. Valorizzare significa promuovere gli aspetti sulla diversità culturale, instaurando un dialogo interdisciplinare, per permettere una corretta coesione sociale, agevolando l’inclusione di un target misto di fruitori, senza creare alcun tipo di barriere. 2. Obiettivi del lavoro Il progetto ha come obiettivo quello di essere un luogo in cui il digitale e la fruizione fisica dello spettatore generino una relazione, ovvero un ambiente sensibile. «L’evoluzione del paradigma museale in rapporto alle nuove tecnologie e all’interazione comporta innanzitutto un primo scaricamento: vietato non toccare. Entrare in un museo e poter toccare e sperimentare cambia innanzitutto l’attitudine del visitatore nei confronti del museo e di conseguenza la sua relazione con l’istituzione» 1. Il ruolo dello spettatore diventa attivo perché è chiamato ad ampliare la sua esperienza di visita attraverso processi cognitivi e sensoriali. La narrazione che viene creata fa da ponte con l’oggetto e il suo contenitore, si creano sinestesie mediante l’utilizzo di nuovi linguaggi multimediali. Con queste modalità, emergono nuovi scenari di sviluppo e valorizzazione, non solo dell’esposizione museale, ma sopratutto per l’oggetto scelto in causa. Il progetto si basa su logiche di narrazioni volte ad ampliare l’esperienza di visita e fruizione con l’oggetto. Le informazioni verranno suddivise all’interno del sistema digitale, in netta concomitanza con ulteriori informazioni messe a disposizione su supporti analogici pre-visita. Grazie al supporto dei sistemi analogici è possibile dare informazioni che fanno da involucro all’oggetto preso in analisi, lo contestualizzano, dando al Dai musei di collezione ai musei di narrazione”, DisegnareCon - Dicembre 2011, Tecnologie per la comunicazione del Patrimonio Culturale, Paolo Rosa - Studio Azzurro, pg.135 1 fruitore nozioni in più da connettere a quelle apprese dal sistema digitale. In quest’ultimo, le informazioni sono separate e ripartire all’interno del device. La linearità e la sequenzialità vengono a mancare, per far spazio ad un tipo di narrazione frammentata e accumultata: sarà il fruitore a scegliere in quale modalità e tempistiche far proprie le informazioni pervenute, dando vita a infinite varianti di acquisizione che agevolano l’esperienza di visita. In questo modo lo spettatore può unire i diversi dati per associazione tra il sistema analogico e quello multimediale. La narrazione delle informazioni presenta un enorme potenziale di lettura all’interno del dispositivo. Esse verranno estrapolate mediante l’interazione dello spettatore con dei sensori che attivano il sistema e rendono l’impatto visivo plurisensoriale: infatti alla semplice lettura, si accumuneranno immagini e audio. Questa strategia permette di far proprio le informazioni mediate processi mnemonici, facilitati dall’ascolto del testo, nella quale sarà inoltre sottolineato gli aspetti di maggior rilievo. L’ipertesto che viene generato si ramifica all’interno dello spazio espositivo, è ripartito su diverse tipologie di contenuti e medium esplicativi. Lo spettatore è pienamente coinvolto, immerso in un nuovo paradigma estetico dettato dalla tecnologia: la sua relazione con l’oggetto cambia il proprio concetto di estetica culturale all’interno degli spazi espositivi. Gli ambienti sensibili creano un dialogo aperto tra elementi fisici e dimensioni immateriali mediato dal dispositivo interattivo. Il concetto di ambiente sensibile è inteso proprio come luogo di relazione tra una componente virtuale e una presenza fisica. Per questo motivo, si istaura una connessione attiva e dinamica fra il visitatore e l’opera, dove quest’ultima, attraverso la sua interfaccia, va a stimolare forme comunicative quali vista, tatto e udito. Una comunicazione interattiva di questo tipo all’interno di ambienti museali accentua l’elemento della narrazione che risulta avere un linguaggio più diretto sia con l’oggetto in questione sia con il fruitore proprio perché viene intrecciata con l’ambiente, con le storie che esso richiama e l’argomento affrontato. La peculiarità di ambienti di questo tipo sta proprio nel far relazionare gli oggetti con la loro storia, con il loro ambiente, senza che quest’ultimi rimangano isolati attraverso modalità poco coinvolgenti e passive. Di fatto, anche il ruolo del visitatore cambia perché viene data importanza al gesto che egli compie, al modo in cui si muove dentro l’ambiente, come si relaziona, fino al suo contributo. Tutti questi elementi si prestano a creare una giusta narrazione in grado di inglobare la storia e diffonderla in modo attivo, ma soprattutto a dar voce direttamente all’oggetto, rivoluzionando la sua natura “sacrale” e “intoccabile”. A questo proposito, da anni si cerca di instaurare, attraverso mezzi artistici, creativi ed espressivi, una relazione con l’oggetto o fra gli oggetti, quindi di dare maggiore rilievo al manufatto esposto. Oltre l’idea del rapporto vi è anche l’idea antropologica secondo cui l’oggetto deve rivelare la sua vera storia, che vale la pena essere raccontata, soprattutto a seconda del periodo in cui si vive e le modalità di diffusione che quest’ultimo richiede. «Ciascun oggetto, antico o contemporaneo, possiede una propria biografia, unica ed irripetibile, che non termina insieme all’epoca o alla civiltà dalle quali ha avuto origine, ma continua a registrare silenziosamente frammenti di nuove memorie, via via che l’oggetto attraversa il tempo e i mutamenti della storia.»2 A tal proposito, le evoluzioni tecnologiche del XXI secolo hanno agito in maniera consequenziale, creando un’estensione sensoriale virtuale che amplia il nostro modo di vedere le cose, lo modifica e lo meccanicizza, fino ad andare oltre la natura stessa delle cose, rendendo accessibile ciò che inizialmente non era previsto nell’ordine naturale. Questo nuovo approccio verte verso una sensibilità artificiale e virtuale che s’intreccia con i sensi naturali mettendo al centro dell’azione il corpo e la percezione. Come tutte, anche questa innovazione presenza elementi negativi che si manifestano tramite “effetti collaterali” e che spesso inducono all’isolamento, all’offuscamento della mente e all’immobilizzazione del corpo. In tal caso il progetto da grande valenza all’idea secondo cui lo spettatore debba distogliersi dal senso di immobilità museale suggerito dall’oggetto, tanto che è invitato a riattivare il proprio corpo percorrendo la stanza e ad attivare i sensi tramite la lettura dello stesso. La struttura del progetto si compone di diverse fasi lavorative che mirano perlopiù a destare attenzione su molti aspetti, criteri di valorizzazione e accessibilità, nonché sulla figura del fruitore, il quale si ritroverà coinvolto all’interno di un ambiente sensibile ideato e progettato interamente. Questo aspetto verrà maggiormente marcato dalla presenza del videomapping virtuale. 2 https://www.museoegizio.it/esplora/appuntamenti/la-biografia-delloggetto-christian-greco/ 3. Tematica e contesto storico Il reperto archeologico scelto per il progetto è la Mummia di Coccodrillo [fig. 1-2], situata nella sezione egizia del MANN, Museo Archeologico Nazionale di Napoli, collezione Hogg e risalente all’Epoca Tarda, intorno al 664 – 332 d.C. Il coccodrillo mummificato mostra notevolmente il suo bendaggio originale in tessuto e foglie di palma a trama larga, dove giacciono accanto al reperto due cuccioli di coccodrillo, che rappresentano la fecondità e la protezione del dio Sobek. 3 Nella seconda metà dell’ottocento, l’esploratore Giovanni Miani, durante uno dei suoi viaggi in Egitto alla ricerca delle sorgenti del Nilo, raccoglie una grande quantità di materiali provenienti principalmente dalla regione del Sud Nilotico, fra i quali una mummia umana e due mummie di coccodrillo. Nel suo diario l’esploratore racconta che le mummie recuperate durante la prima spedizione, furono trovate in una grande grotta sulla Catena Arabica nei pressi di Manfalut, dove moltissimi coccodrilli imbalsamati erano stati deposti assieme ad alcune mummie umane. Il corpo umano bendato e coperto da un grande lenzuolo non era contenuto in una cassa, ma semplicemente appoggiato su una tavola, fu spogliato e sbendato e si vide che aveva il viso dorato e che si trattava del corpo di una donna. L’esploratore afferma che il corpo era perfettamente conservato e pensava che potesse trattarsi di una delle sacerdotesse descritte da Erodoto 4, che nutrivano i sacri rettili e quando morivano venivano seppellite assieme a loro. La cura del coccodrillo nell’antico Egitto era un’esclusiva della sacerdotessa: ogni rettile era seguito da una donna differente. Questo legame era portato in rito fino alla morte, al punto che venivano seppelliti uno di fianco all’altro. In questo caso la sacerdotessa riceveva la stessa mummificazione del coccodrillo e le veniva coperto il viso con una maschera d’oro. Nell’antico Egitto si mummificavano i cadaveri dei defunti perché si conservassero integri nell’aldilà. Il corpo fungeva in questo modo da rifugio fisico per l’anima e il morto diventava un essere divino, capace di vivere eternamente; ma non erano solo le persone a essere mummificate: a questo processo venivano sottoposti anche alcuni animali appartenenti alle 3 Come d’uso anche in altri casi, ad esempio nella mummia di coccodrillo oggi conservata al British Museum, inv. EA38563. Lo storico greco Erodoto racconta che i coccodrilli in Egitto venivano temuti e cacciati in quanto creature legate al dio Seth. Il coccodrillo era tuttavia anche una manifestazione del dio Sobek, adorato soprattutto a Kom Ombo e nel Fayum. In questi centri di culto veniva scelto un coccodrillo, che poi era accudito, adornato con i gioielli e trattato con grande reverenza fino alla sua morte, per essere poi sepolto in terra sacra. 4 specie più diverse, dagli scarabei stercorari ai pesci, dai gatti ai coccodrilli e ai tori. «Esse sono davvero un'espressione della vita quotidiana, [...] animali domestici, cibo, religione, morte: queste mummie ci parlano di tutto ciò che interessava gli Egizi», conferma l'egittologa Salima Ikram, specialista di archeologia zoologica, cioè dello studio dei resti di antichi animali. La mummificazione è un processo di essiccazione ed eliminazione dei grassi per preservare un corpo dalla decomposizione. La stessa era una pratica che consentiva idealmente di portare il corpo integro nell’aldilà. Le raffinate tecniche non erano un’esclusiva dell’uomo, ma era fondamentale anche per l’animale sacro. L’intero processo durava 70 giorni, che si dividevano in: 40 giorni per eviscerare il defunto, lavarlo con vino di palma ed essiccarlo in composti di sale e 30 giorni per avvolgere il corpo e gli organi in bende di lino. Il corpo veniva posto nei sarcofagi, mente gli organi in urne funerarie chiamate “canopie”. Per gli animali il processo era lo stesso, ma non venivano tolti gli organi al suo interno, una pratica che voleva assolutamente evitare l’ira degli dei, poiché considerata un sacrilegio. La pratica della mummificazione di animali è attestata durante l’intero arco della storia egizia, ma è soprattutto durante l’Epoca Tarda e nei Periodi Tolemaico e Romano che si diffonde con enorme successo la pratica delle mummie votive, probabilmente qualche reazione alla minaccia straniera spinse gli Egizi a cercare nuovi modi con cui affermare il proprio senso di identità e ribadire la propria cultura e le proprie tradizioni religiose. I procedimenti di mummificazione si differenziavano poi a seconda delle zone e vennero modificati nel tempo. Le tecniche utilizzate con gli animali variavano a seconda delle dimensioni, del tipo di pelle e dell’eventuale presenza di piume o ali. La salma era avvolta in delle bende di lino e posto in un sarcofago, oppure sotterrato. Le indagini archeologiche hanno riportato alla luce interi cimiteri riservati agli animali, come la necropoli di Saqqara, dove sono state identificate, all’interno di una catacomba particolarmente estesa, ben otto milioni di mummie di animali. Un gruppo importante è costituito dagli animali domestici: cani, gatti ma anche manguste, scimmie, gazzelle e uccelli. Questi animali venivano spesso mummificati e sepolti con i loro proprietari o fuori la loro tomba, nel caso in cui la loro morte precedeva quella dell’individuo cui essi appartenevano. 5 C’erano poi alcuni animali sacri Le ricerche hanno rivelato che alcune di queste mummie votive erano “false”: venivano cioè bendate in modo da sembrare un animale specifico, ma di fatto contenevano le ossa di una specie diversa, i resti di più esemplari o soltanto una manciata di piume. A prima vista, sembrerebbe trattarsi di una pratica fraudolenta per ingannare i pellegrini. Ciononostante, bisogna considerare due caratteristiche del pensiero egizio: da un lato, l’idea che una parte potesse rappresentare il tutto, dall’altro, la convinzione che attraverso la parola fosse possibile trasformare un essere in un altro essere. Quindi, forse, per gli egizi quelle mummie non erano poi così “false”. 5 che venivano venerati in quanto manifestazioni degli dei in terra, siccome gli egizi credevano che le divinità potessero trasferire la propria “essenza” nel corpo di un animale accuratamente scelto, che i sacerdoti del dio identificavano a partire da qualche segno o macchia particolare sulla pelle. Il coccodrillo era associato al Dio Sobek, un uomo raffigurato con la testa del rettile. Sobek era la divinità dell’acqua, della fecondità delle terra mediante essa e in particolare dell’inondazione del Nilo. Per questo motivo la divinità era legata al culto sacro dell’animale. In genere, i coccodrilli venivano allevati in una vita di completo lusso, per questo venivano mummificati con oro e alti oggetti preziosi, come le persone di alto rango. Il rito dell’adorazione era emblematico durante i periodi di siccità o di violenti piogge: in entrambi i casi si credeva in una punizione divina, che comportava sacrifici e preghiere per ottenere la grazia terrena. In particolare i coccodrilli erano considerati animali sacri perché deponevano d'istinto le uova al di sopra del livello di piena del fiume. Un coccodrillo in media può essere lungo dal metro e mezzo fino ai cinque metri. Animali di acqua dolce, ne esistono di diverse specie sparsi in tutto il mondo. Un coccodrillo in media può deporre 100 uova in un unico ciclo riproduttivo, la femmina per proteggere le uova da possibili predatori, scava una buca nei pressi di un fiume o nel luogo d’appartenenza e vivono la maggior parte della loro vita insieme al proprio branco. Questo legame tra il coccodrillo e la prole era molto importante per il popolo egiziano che, al momento della sepoltura, ponevano quest’ultimi mummificati di fianco al capo dell’animale. Il gesto stava a significare quel legame profondo che si crea nel momento della nascita di una nuova vita. Prima dell'annuale inondazione del Nilo, evento cardine grazie al quale i campi così irrigati e arricchiti consentivano all'Egitto di rinascere un anno dopo l'altro e la notizia di una piena buona o cattiva era fondamentale in una terra di agricoltori. Nel corso della sua vita terrena l’animale sacro veniva adorato e accudito come fosse il dio stesso, una volta morto, veniva imbalsamato e sepolto solennemente in una catacomba mentre lo spirito divino si trasferiva in un altro esemplare. In diversi Musei di Storia Naturale, come nei Musei Egizi o sezioni museali dedicate, sono conservati i resti del popolo dell’antico Egitto. Vaste collezioni di mummie, sarcofagi, utensili, statue, reperti di templi, riempiono queste strutture per raccontare ai posteri la loro storia. Nel corso dei secoli sono stati molti i ritrovamenti di questi oggetti da parte di ricercatori e studiosi. Tutti gli oggetti ritrovati sono sottoposti a restauro per via della scarsa conservazione causata dal tempo. Enorme è la dose di lavoro che necessita per riportare in vita ogni singolo pezzo, guidati da esperti nel settore. Tra i vari restauri avvenuti nel corso del tempo, va citata quella avvenuta al Museo MANN. Nel 2016 è stata portata a termine l’intero restauro avvenuto per la collezione egizia, la più antica d’Europa, grazie alla Soprintendenza del Museo Egizio di Torino e la Sezione di Restauro del Suor Orsola Benincasa a Napoli.6 Nella sede piemontese, il 12 Marzo 2019, fu inaugurata la mostra “Archeologia Invisibile” che indaga, grazie all’uso della tecnologia più recente, le storie dei reperti archeologici più celebri del museo. Gli archeologi e i conservatori cercano di ricostruire le vicende di alcuni dei reperti più celebri del museo, andando oltre la semplice apparenza e servendosi delle tecnologie di ultima generazione per svelare ciò che altrimenti rimarrebbe nascosto e ignoto attraverso, appunto, la biografia degli oggetti, perché vi è la filosofia che ogni oggetto ha la sua storia. 4. Metodologia e Struttura del lavoro Il progetto “Krokòdeilos nel XXI secolo” segue una linea progettuale basata sui nuovi sistemi di comunicazione digitale, multimediale e di design. È stata intrapresa una narrazione di tipo frammentata, la quale racconta la biografia del bene culturale scelto con tutti gli aspetti annessi di tipo sociale, culturale e storico. La comunicazione verso il pubblico non è solo un mezzo utile al raggiungimento di obiettivi, ma è essa stessa un obiettivo, anzi ne rappresenta la ragion d’essere. È necessario porsi in relazione con il pubblico per educarlo, informarlo, renderlo edotto e fornire gli strumenti necessari a renderlo consapevole della propria storia e delle proprie responsabilità nella conservazione del patrimonio culturale. La comunicazione deve quindi fornire i mezzi per una comprensione quanto più ampia possibile dell’esperienza diretta di fruizione. Le nuove tecnologie permettono al museo di essere più vicino al proprio utente, la personalizzazione della visita si basa anche sulle esigenze personali e il coinvolgimento diretto 6 Articolo de “Il Mattino”, sezione Cultura e Società MACRO, 8 Ottobre 2016, pg.17 del visitatore per mezzo di installazioni interattive, al fine di creare una situazione di edutainment, che includa un vasto target di persone e che favorisca l’apprendimento con componenti ludiche, di compiere una valorizzazione del patrimonio al passo con i tempi, di avvicinare le nuove generazioni al patrimonio culturale. Inoltre le tecniche di modellazione tridimensionale sono in grado di simulare effetti di “immersione” e interazione. Il fruitore riceve stimoli di tipo visivo e motorio, tramite particolari interfacce, con cui è in grado di ricostruire la sensazione tattile e sarà possibile non solo vedere, ma anche toccare la ricostruzione del bene culturale, che in questo caso è stato riprodotto in scala con stampante 3D in materiale ecosostenibile. Il progetto ha l’obiettivo di sorprendere e istruire il fruitore, anche attraverso l’uso del videomapping, caratterizzato da un proiettore posto al di sopra del tavolo interattivo con la ricostruzione in scala del coccodrillo. Il pubblico è invitato a toccare parti del corpo come la testa, il dorso e la coda, ricevendo quelle informazioni utili ed essenziali in relazione al contesto e alla biografia dell’oggetto. Il progetto tende principalmente a suddividersi in due fasi: la prima riguarda la progettazione della stanza museale, la seconda si riferisce alla mappatura dell’oggetto. In questo caso, il sostantivo di oggetto si riferisce alla Mummia di coccodrillo di epoca tarda (664-332 a.C.) esposta in una delle stanze della sezione egizia del Museo Archeologico Nazionale di Napoli. La scelta di questo manufatto deriva da una fase di ricerca presso i maggiori musei Partenopei, secondo l’idea di voler offrire una buona valorizzazione dell’oggetto esposto, sia sotto il punto di vista didattico, sia sotto quello narrativo e plurisensoriale, fuoriuscendo dal semplice schema istituzionale della didascalia tradizionale. Il Concept del progetto presenta una prima fase ideativa che si focalizza sulla progettazione di un tavolo multimediale su cui fosse possibile ricavare informazioni sull’oggetto, con annesso uno spazio dedicato alla didascalia tradizionale e uno spazio destinato alla riproduzione in scala dell’oggetto. In un secondo momento, l’idea muta sulla realizzazione di un ambiente sensibile piramidale, abbozzato e schizzato a mano, all’interno del quale è possibile interagire con l’oggetto riprodotto in scala, attraverso la proiezione delle informazioni su pareti multimediali. Il terzo approccio, quello definitivo, prevede un’ambiente sensibile al cui interno sono collocati pannelli integrativi e tavolo interattivo. La stanza, progettata dapprima a mano e conseguentemente riportata in 2D su Autocad, presenta un’area di 54 mq e un perimetro di 29 m, con un’altezza di 4.10 m. 7 Le sue componenti principali sono: porta, parete divisoria, tavolo e pannelli. La porta, alta 2.10 m e larga 1.20m che equivale alla distanza minima per il passaggio di due persone. Inoltre, le sue ante vertono verso l’esterno data la questione centrale dell’emergenza. Di seguito vi è una parete divisoria a tutta altezza con uno spessore di 0,10 cm realizzato con materiale fonoassorbente atossico ed ecocompatibile, rivestito da una texture che richiama la pianta del “Cyperus Papyrus”8. Una volta passata la parete divisoria, si arriva davanti al tavolo interattivo, alto 70 cm, la cui superficie è di 1.66 cm di lunghezza per 0.90 cm di larghezza. Le misure del tavolo sono fondamentali per capire tutto il percorso di mappatura previsto. Il primo passo riguarda la funzione presentatrice del tavolo con l’applicazione di una ricostruzione del coccodrillo in scala 1:2, corrispondente ad una dimensione di 1.30 cm, basata su quella reale dell’oggetto che misura 2.60cm. La ricostruzione del coccodrillo consta di due parti: uno scheletro di supporto realizzato in stampa 3D e il corpo esterno realizzato in polipropilene termoformato collegato a sensori di pressione che attivano la proiezione delle informazioni, dando il via alla mappatura. La ricostruzione del coccodrillo è utilizzata come mezzo interattivo infatti, attraverso il tatto, le informazioni vengono visualizzate direttamente sul tavolo che ospita l’oggetto. La totale immersione nell’ambiente è favorita anche dalla funzione sonora che, insieme a quella tattile, accompagna il visitatore verso un tipo di percezione dell’oggetto ormai lontana dall’idea di staticità dei manufatti artistici all’interno dello spazio museale. In che modo l’informazione arriva al pubblico? Perno centrale, in risposta alla precedente domanda, è senz’altro la tecnica del videomapping. Questa modalità lavorativa si avvale di dispositivi digitali e software, grafici e video, per fare delle proiezioni mappate su una o più superfici, facendo coincidere il video con la forma geometrica del mondo fisico, creando livelli dinamici e ambienti immersivi. Lo spazio reale viene virtualizzato, così facendo la superficie su cui si proietta prende un altro aspetto, viene stravolta, rilasciando percezioni differenti. Con il cambio di aspetto anche l’informazione viene modificata perché diventa un elemento virtuale e fuggevole dove 7 Vedere Tavole di Progetto di Massima Pianta molto diffusa nel delta del Nilo dove ebbe il suo impiego come materiale di supporto alla scrittura e dove è ancora esistente in quantità piuttosto ridotte 8 numerose sono le varianti di un’immaginazione digitale che alcuni software permettono. La possibilità che danno questi software di poter alterare un’immagine o una superficie è infinita, così come sono infiniti i significati che gli si possono attribuire. Il mapping è anche un genere di realtà aumentata (augmented reality) poiché permette agli spettatori di testare la fruizione di ambienti di realtà virtuale che sostituiscono il mondo reale, con ambienti immersivi che si servono in maniera armoniosa sia del mondo reale che del mondo virtuale. L’espressione “realtà aumentata” non viene impiegata per specificare una nuova tecnologia, indica piuttosto una potenza rilasciata da una nuova forma di percezione sensoriale mediata dalle tecnologie. Il videomapping rappresenta il modo in cui uno spettatore può andare al di là del reale, rimanendo nel reale stesso. Muri, superfici, oggetti diventano schermi virtuali con cui è possibile interagire. Se si vuole considerare questa tecnica come una nuova tecnologia, vuol dire essere consapevoli di come questa possa subire innumerevoli cambiamenti e di come sia sempre in fase di sviluppo a seconda del periodo in cui si vive e dell’evoluzione della tecnologia. Uno degli aspetti fondamentali per la buona riuscita del videomapping sta proprio nell’ambiente, più è buio e più l’immagine proiettata viene fruita in maniera nitida. In riferimento a ciò, si può constatare come le uniche fonti di luce della stanza siano quelle relative all’illuminazione dei pannelli e al proiettore utilizzato. La scelta di quest’ultimo supporto è di estrema importanza: per fare un tipo di installazione con il videomapping diversi sono i proiettori da prendere in considerazione: ad esempio, la qualità della proiezione può variare a seconda del luogo scelto. Il progetto non si focalizza solo sulla realizzazione della mappatura dell’oggetto ma riguarda anche la scelta della stanza dove questo verrà posizionato. In particolar modo, per la scelta del proiettore si è avvalso di motori di ricerca su siti appositi9, in modo tale che sulla base delle misure della stanza e del tavolo, si è optato per il proiettore Canon LV-HD420 Projector 1920x1080 DLP, 4.200 lumens, 8:000:1 contrast, 1:50:1 zoom, 7,5 Ibs con un aspect ratio di 16:9 posto ad una distanza di 3.18m dalla superficie del tavolo su cui è posta la ricostruzione in scala in 3D del coccodrillo. Per quanto concerne il progetto, per creare le tavole di mappatura si è pensato di utilizzare il programma Adobe Photoshop, tramite il quale sono state frammentate le parti del coccodrillo a seconda dell’informazione da rilasciare al momento dell’interazione. Il coccodrillo è stato suddiviso primariamente in 3 parti: testa-busto-coda, e successivamente in altre 6, ognuna delle quali avente un’informazione differente. Ad un primo tocco sulla testa, quest’ultima ci fornisce delle informazioni basiche sulla sacralità degli animali nell’Antico Egitto, ad un secondo tocco la testa viene suddivisa in altre due parti: la prima, in alto, fornisce informazioni che riguardano la storia del coccodrillo, la seconda parte, in basso, si riferisce alla fecondità dei coccodrilli e alla loro riproduzione. Stesso procedimento avviene per il busto, dove un primo tocco ci fornisce elementi sul corpo del coccodrillo, dopodiché il busto si divide in 3 parti: la prima (da destra) rilascia indicazioni sul processo di mummificazione degli animali; il tocco sulla parte centrale si riferisce alla cura dei coccodrilli da parte delle sacerdotesse. Infine, la parte alta della coda rilascia notizie sulla conservazione dei resti dell’Antico Egitto nei musei, mentre la parte bassa della coda fa riferimento al restauro degli oggetti della sezione egizia, avvenuto al MANN nel 2016. A seconda di queste suddivisioni sono state realizzate le tavole di mappatura, tramite Photoshop e i suoi livelli, dove ad ogni elemento messo in evidenza viene associato un colore e la corrispondente informazione da rilasciare, così come anche un titolo che riassume l’informazione didascalica. Per rendere più marcato il tocco, attraverso il programma di editing, si è pensato bene di porre in evidenza la parte interessata, mettendo in penombra e in opacità quella restante non considerata così da favorire maggiormente la comprensione del piano strutturale del progetto e dell’informazione [fig.3]. Le interfacce generate sono seguite da testi didascalici che spiegano, in maniera lineare e concisa, differenti aspetti sulla storia del Coccodrillo, la sua mummificazione, collocazione geografica e storica. Il linguaggio utilizzato è semplice e di facile intuizione, cosicché il fruitore possa restituire un feedback positivo. Il suo essere “attivo” viene accentuato grazie alla lettura e all’ascolto, non solo sul tavolo interattivo, ma anche sui pannelli che lo avvolgono. In quest’ultimo caso, le didascalie offrono informazioni che approfondiscono i concetti emanati dalle interfacce. Infatti, oltre al tavolo su cui è posta la ricostruzione della mummia di coccodrillo, la stanza museale si presta a un altro genere di informazione di tipo analogica, grazie alla presenza di 3 pannelli esplicativi realizzati mediante i programmi del pacchetto Adobe. In questo caso, si è optato per l’uso di InDesign, che risulta essere uno dei migliori programmi per la progettazione grafica editoriale. I pannelli, una volta realizzati, vengono stampati sul materiale “Forex bianco”, la cui stampa del testo presenta un font lineare e maggiormente leggibile a tutti: Open Sans. Il primo pannello, quello centrale, posa a terra e ha dimensioni pari a 2.10 cm di altezza per 1.80 cm di lunghezza e presenta la stampa del titolo del progetto: “KROKÒDEILOS” NEL XXI SECOLO” insieme ad una grafica che riprende la silhouette del coccodrillo nera e opacizzata. Quelli laterali, invece, hanno una dimensione di 1.50 di altezza per 1.80 di larghezza e sono sostenuti da funi in alluminio alti quanto la stanza (4.10m), con un diametro pari a 5mm. Il pannello di destra rilascia delle informazioni specifiche sul processo di mummificazione degli animali nell’antico Egitto. Il pannello di sinistra, invece, mette in luce i culti degli animali sacri. Entrambi i testi sono accompagnati da immagini scrupolosamente selezionate, affinché si unisca una visione estetica di quanto viene spiegato. Il colore del pannello è un elemento fondamentale non solo per la lettura dell’opera ma anche per l’atmosfera stessa che si vuole dare all’esposizione. Spesso il cambiamento del colore della pannellistica può assumere un valore segnaletico autentico all’interno di un percorso espositivo. Il corretto posizionamento di questi supporti analogici è di fondamentale importanza, onde evitare distrazioni da parte dell’utente all’interno del percorso di visita.Il colore dello sfondo deve far risaltare la grandezza e il colore dei testi e quest’ultimo deve esser posizionato ad un’altezza d’occhio nella media. La loro illuminazione non deve alterare quella relativa all’oggetto principale, ma al contempo, non devono passare in secondo piano. Anche la presenza di immagini statiche o in movimento può causare distrazione allo spettatore, per questo motivo devono essere collocate nelle immediate vicinanze dei testi. Questo modus operandi permette di frammentare la narrazione e spalmarla su diversi supporti e la loro collocazione nello spazio espositivo restituisce allo spettatore le informazioni necessarie per apprezzare la visita. Con l’utilizzo di un altro programma di editing, Adobe Premiere, è stato creato un video con tre diverse tipologie di tavole raffiguranti una parte del coccodrillo. Sono stati inseriti effetti di dissolvenza per rimarcare il passaggio conseguenziale alla pressione tattile sull’oggetto e aggiunto un file audio che esplica la didascalia corrispondente. Il video è la proposta di riproduzione del videomapping sul tavolo interattivo seguito dal tocco da parte dell’utente generato dai sensori della struttura in 3D. Il video è stato realizzato mediante l’utilizzo delle tavole di mappatura, unite ad un file audio registrato che narra la didascalia corrispondente all’immagine in riproduzione. Ogni filmato è composto da immagini in HD, sormontate da un titolo che fa riferimento alla suddivisione del racconto. La proposta mostra tre varianti di come può essere interagito il videomapping e il tipo di risposta che genera: in una prima variante è possibile leggere l’intera didascalia; nella seconda la didascalia viene ascoltata, facendo risaltare parole chiavi; la terza variante unisce alla precedente delle immagini. Il video è esportato come formato “H.264 Blu Ray, HD1080i 29,97 fps”. Una volta progettata la pianta, la sezione e il prospetto dell’intera stanza su Autocad [fig.4], con tutte le sue componenti, si è passati all’utilizzo di programmi per la progettazione in 3D. In primis, l’intero progetto in 2D è stato trasferito sul programma “Rhinoceros”, un pacchetto software di modellazione 3D CAD che consente di modellare con precisione i progetti, che saranno pronti per la rappresentazione, l’analisi, la progettazione e la produzione. Rhinoceros con le sue icone intuitive e la sua interfaccia, permette all’utente di concentrarsi sul disegno tecnico e sulla visualizzazione sotto varie prospettive, in modo da semplificare il processo di progettazione. Il comando centrale utilizzato per la progettazione in 3D della stanza è stato “estrudiCrv” ovvero “estrudi curve”. Un ultimo approccio riguarda l’utilizzo di “Cinema 4D”, un software per la modellazione in 3D e rendering. Il programma supporta tecniche di modellazione procedurale, poligonale e solida, la creazione e l’applicazione di texture, la gestione dell’illuminazione, l’animazione e il rendering delle scene. Dopo aver realizzato e salvato in formato Obj il file in 3D su “Rhinoceros”, lo si è importato su Cinema 4D [fig.5]. Il programma offre 4 viste: prospettica, sopra, destra e frontale, che risultano essere essenziali nella fase di lavorazione poiché, grazie a quest’ultime, si può osservare l’oggetto e la sua modellazione sotto diversi punti di vista e angolazioni, ognuna delle quali tende a facilitare l’operazione di inserimento e la modifica a seconda del suo probabile posizionamento. Mediante l’utilizzo di questo programma è stato possibile inserire la grafica dei pannelli realizzati con InDesign sulle loro strutture, grazie anche ad un processo di adattamento della texture in base all’oggetto, a seguito della creazione di nuovi materiali a cui questa è stata precedentemente applicata. Di seguito all’inserimento della grafica dei tre rispettivi pannelli, si è passato alla pavimentazione: anche in questo caso, la texture aggiunta e associata all’oggetto è stata modellata in base alla struttura del pavimento. La texture scelta si presenta in “parquet rovere scuro”, perché in linea con i colori della stanza. Tuttavia, il processo di inserimento del nuovo materiale e di specifiche texture ha riguardato anche il coccodrillo per il tavolo interattivo e la parete divisoria che, come precedentemente affermato, riprende lo stile della pianta “Cyperus Papyrus” [fig.6], mentre le mura si presentano di color grigio antracite, così come le funi in alluminio scuro che sorreggono i pannelli laterali. Dopo aver inserito questi materiali utili al completamento del progetto, si è passato ad un altro fattore importante che riguarda nello specifico il concetto di illuminazione. Questo aspetto è fondamentale per la buona riuscita del videomapping: la stanza deve essere piuttosto buia affinché l’immagine proiettata risulti ben nitida, infatti, si è pensato bene di inserire delle luci a spot che vanno a illuminare concretamente i pannelli in modo tale che il fruitore possa avere una buona visuale anche di questi e non solo del tavolo. Oltre l’inserimento delle luci, nella ricostruzione 3D della stanza è stato inserito l’oggetto “Camera", utile per realizzare filmati e salvare fotogrammi. Una volta conclusa la stanza, la scena viene renderizzata: vengono calcolate le ombre e le luci, i riflessi e le reazioni dei materiali alla luce [fig.7]. A questo punto il file viene salvato come filmato o immagine statica. Per questo lavoro è stato possibile usufruire di entrambi i tipi di salvataggio. Per quanto riguarda le immagini statiche, queste sono state utili per la realizzazione delle tavole di progetto, mentre il filmato è stato realizzato attraverso la selezione di più fotogrammi che hanno ripreso ogni singolo movimento fatto all’interno della stanza. Il filmato è stato salvato a “30 fps con una risoluzione di 72 DPi”. 5. Aspetti innovativi e conclusioni Il progetto nasce in concomitanza con lo studio della mostra “Archeologia Invisibile” inaugurata al Museo Egizio di Torino nel Marzo 2019. La mostra ha come scopo principale quello di valorizzare la ricerca di reperti archeologici, partendo dagli scavi fino al restauro. Dall’intera mostra, l’indagine del seguente progetto si è soffermata al termine del percorso di visita. Nell’ultima sala, il videomapping su una riproduzione in stampa 3D del sarcofago dello scriba Butehamon, straordinario reperto di proprietà del Museo Egizio, prende vita sulle note della colonna sonora del film “Interstellar". Mentre sul sarcofago si alternano una dopo l’altra le immagini delle analisi condotte su di esso e della sequenza costruttiva e pittorica, sugli schermi laterali una nuvola prende gradualmente le sembianze degli artigiani che l’hanno costruito, in un continuo pendolo tra il cercare di prendere forma, il trascendere i confini dello spazio e del tempo e l’indeterminazione data dall’impossibilità di ricostruire perfettamente un contesto cancellato da migliaia di anni di storia. È un concetto non semplice da rappresentare con le immagini ma che, grazie al motion capture e all’emozione che la musica di Hans Zimmer è in grado di creare, riesce forse a instillare nello spettatore un piccolo barlume di consapevolezza del valore della memoria e del patrimonio della cultura materiale. La mostra è dunque riuscita a dimostrare l’estrema attualità e spettacolarità dell’archeologia. Oggi stiamo vivendo, come afferma lo stesso direttore del museo Christian Greco, un “umanesimo digitale” capace di ridare nuova vita a oggetti antichi, sepolti, dimenticati e poi riportati alla luce. Questa riscoperta, però, non è fine a sé stessa e il profondo lavoro di ricerca scientifica sull’invisibile, magistralmente documentato dalla mostra, rende visibile il filo al quale ogni essere umano di ogni tempo è appeso. 9 Cosa deve fare un museo archeologico rispetto alla rivoluzione digitale? «Il museo fa parte della società», afferma Christian Greco, paragonando la cultura orale alla cultura scritta come la cultura analogica sta alla cultura digitale, riprendendo una citazione di Socrate. Come può oggi un museo collocare gli oggetti delle sue vetrine con il pubblico che deve trovare risposta alle proprie domande? Attraverso la ”Archeologia Invisibile”. Il contesto è essenziale per far rivivere gli oggetti, ciò avviene attraverso la ricerca. Il museo non ha bisogno di scrivere didascalie per narrare, perché già inserire un oggetto in una vetrina è una narrazione ben definita. Gli oggetti hanno una relazione strana con le persone, perché sono loro a produrli, ma questi sopravvivono, sono parte della memoria perché sono essi stessi la memoria, hanno una 9 https://www.archeostorie.it/archeologia-invisibile-le-mummie-ai-raggi-x biografia, diverse vite, sono stati dimenticati, ma anche riscoperti e vivono nel museo una vita museale. L’oggetto non mi racconta solo un determinato contesto della vita che aveva, racconta anche dell’archeologo che l’ha trovato, del collezionista che l’ha collezionato e del perché il museo attiri così tanti visitatori all’anno. Uno dei più importanti egittologi viventi, Barry Camp, nell’ultimo capitolo del suo grande libro, afferma che noi non solo viviamo ancora nell’età del bronzo, ma afferma anche che la cultura egizia non è ancora morta, finché vedremo le file fuori ai musei. Questi oggetti ci comunicano qualcosa, sviluppando una relazione davvero importante fra le persone e gli oggetti; in antropologia ciò è denominato come la relazione fra soggetto e oggetto, fra le persone che hanno creato quegli oggetti, l’oggetto stesso e le persone che le hanno utilizzati e un museo lo fa attraverso la ricerca, ovvero prendersi cura degli oggetti del nostro patrimonio culturale per poterli connettere con la società. Oggetti reali e oggetti digitali non sono interscambiabili, si completano a vicenda e agiscono come un ponte che mette in contatto chi li ha prodotti allora con chi oggi li osserva e li interroga.10 Lo scopo del lavoro è stato principalmente quello di creare un ambiente sensibile, dove lo spettatore viene coinvolto all’interno di un insieme di elementi capaci di attivare la sua esperienza. Il tipo di narrazione proposto risente di un’esperienza intimistica dove il fruitore può personalizzare la propria visita scegliendo anche un approfondimento e un contatto immersivo con l’opera e i contenuti esposti. L’oggetto, attraverso questa narrazione, ha l’opportunità di rivelarsi pienamente, raccontando anche delle vicende che lo hanno attraversato, in modo da risultare accattivante e stimolante. Questo nuovo approccio museale ha contribuito a cambiare radicalmente le intenzioni dell’istituzione museale dove prima vigeva il “non toccare”. Questa evoluzione, in rapporto con le nuove tecnologie e l’interazione, comporta l’entrare in museo e toccare e sperimentare l’ambiente circostante e questo muta notevolmente l’approccio del visitatore nei confronti del museo e, di conseguenza, con l’istituzione che questo rappresenta. Sperimentazioni di questo tipo hanno dato il via a voler pensare il museo non più come luogo solamente da visitare, ma anche da vivere. In questo modo l’oggetto può essere maggiormente considerato, portando il fruitore al centro della 10 https://www.facebook.com/watch/live/?v=452698195436619&ref=watch_permalink narrazione e facendo in modo che questa narrazione venga arricchita dall’esperienza del visitatore. Perché questo cambio di rotta? Il museo contribuisce a tramandare un aspetto sensoriale dove vedere è sapere, e la visita diventa il tramite, anche se il sapere autentico si acquisisce attraverso il tatto. Il lavoro si propone come un’esperienza plurisensoriale che vuole coinvolgere lo spettatore, l’oggetto e, in egual modo, la sua narrazione in modo da valorizzare tutti questi aspetti. Il concetto di valorizzazione è fondamentale in quanto tiene conto del manufatto non solamente come oggetto ma anche come custode di una storia da raccontare nel modo più veritiero, efficace e accessibile. L’apparato tecnologico utilizzato è parte integrante dei passaggi narrativi ed espostivi e ha la funzione di raccontare questa storia in maniera attiva e coinvolgente, facilitando la comprensione. Nella fase di progettazione, infatti, è stata ben presente l’idea di come l’esperienza debba essere accessibile a quante più persone possibili, partecipativa attraverso un approccio museale di tipo inclusivo con la realizzazione di dispositivi tecnologici integrati nell’oggetto esposto e “Touch”, in modo da dare la possibilità di toccare e acquisire. La mediazione tra oggetto e visitatore e tra oggetto e spazio diventa uno dei soggetti principali del lavoro, con la consapevolezza che architettare la narrazione di un oggetto in modo comunicativo e rappresentativo, significa anche progettare la relazione tra individuo e oggetto. Lo spazio viene plasmato come una scultura e le soluzioni architettoniche diventano esse stesse centrali nell’attrarre la fruizione tanto quanto le opere esposte. Se prima l’allestimento era il mezzo per garantire le più adeguante condizioni di visione, ora, parafrasando il sociologo canadese McLuhan, il medium diviene esso stesso messaggio. Le tecniche di modellazione tridimensionale, sono in grado di simulare effetti di “immersione” e interazione del visitatore in una realtà interamente ricostruita. La nuova tecnologia della realtà virtuale riproduce la percezione del reale in modo molto più efficace del cinema e della fotografia, ma a differenza di questi, non ha bisogno di basarsi sulla realtà fisica e materiale delle immagini che permette di percepire. Come indica il nome stesso virtualis, “potenziale”, la realtà virtuale è una tecnologia il cui valore risiede nel mostrare come apparirebbe alla percezione di un osservatore libero di muoversi, qualcosa che non c’è in realtà, ma che potrebbe esistere. È quindi possibile restituire contesti perduti, ricostruire opere e monumenti distrutti, disporre le diverse opere d’arte nelle sedi di provenienza ammirandole, così, nel loro contesto originario. Il progetto multimediale “Krokódeilos nel XXI Secolo” ha lo scopo di restituire un valore storico ed estetico di un oggetto in un’unica esperienza di visita museale. L’obbiettivo principale non è quello di mettere l’oggetto scelto per la causa in primo piano rispetto all’intera collezione, ma piuttosto valorizzarne la storia contenuta in esso e accrescere la conoscenza nello spettatore. La strategia esplicata nella seguente relazione ha l’imperativo di comunicare con efficienza le informazioni, avvalendosi di strategie che soddisfino i bisogni e le aspettative di un vasto target di pubblico. L’accessibilità a questa tipologia di esperienza virtuale è senza prerogative. Il pubblico è libero di fruire con il sistema multimediale sfruttando la sua compagine di facile utilizzo e intuizione. La grandezza dello spazio espositivo permette inoltre di scegliere in completa autonomia quali gesti compiere e come. In questo caso, anche eventuali disabilità vengono colmate: ad esempio il sistema di ricostruzione 3D ha una funzionalità tattile fondamentale per persone affette da ipovedenza o completa cecità, e la loro fruizione con l’oggetto viene maggiormente ampliata grazie alle risposte audio che vengono generate. Dai più grandi fino ai piccini, il progetto utilizza un linguaggio semplice e di facile comprensione, grazie anche all’utilizzo di sistemi multimediali conosciuti dalla maggior parte degli utenti. Il risultato finale che il progetto si prefigge è quello di consegnare ai posteri la storia insita all’interno di un oggetto museale. La semplice didascalia tradizionale risulta essere solo la punta di un grandissimo iceberg che ha l’obbligo morale di emergere e mostrarsi nella sua magnificenza. Qui lo spettatore abbatte la distanza immateriale generata da qualsiasi oggetto esposto, diventa pienamente attivo, annulla il tempo storico e ne assapora l’essenza. Il reale si mescola al virtuale, le tracce degli esseri viventi prendono vita. La “Mummia di Coccodrillo” al MANN risponde con eleganza alle richieste che hanno dato vita a questo progetto. La maestosità della sagoma, solo apparentemente racchiusa in una teca di vetro, si riversa in una storia che infrange la collezione museale e chiede di esser narrata. Biografia - “Dai musei di collezione ai musei di narrazione”, P. Rosa - Studio Azzurro - “Design delle narrazioni per il patrimonio culturale”, R. Trocchianesi - “Violenza del Virtuale”, J. Baudrillard - “Quaderni della Valorizzazione”, NS 4, G. Cetorelli, M.R. Guido - “L’arte fuori di sé”, A. Balzola, P. Rosa Sitografia - https://www.museoegizio.it/esplora/appuntamenti/la-biografia-delloggetto-christian-greco/ - https://www.projectorcentral.com - https://www.archeostorie.it/archeologia-invisibile-le-mummie-ai-raggi-x - https://www.facebook.com/watch/live/?v=452698195436619&ref=watch_permalink Immagini Fig. 1 Fig. 2 Fig. 3 Fig. 4 Fig. 5 Fig. 6 Fig. 7