Uploaded by Donato Maniello

Relazione

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Biennio ABANA, Didattica e Mediazione Culturale del Patrimonio
Corso: Progettazione Multimediale
Docente:
Studenti:
Donato Maniello
Alessia Vaccari (44670)
Gabriella Ricci (45219)
Massimiliano Bastardo (44617)
“KROKÒDEILOS” NEL XXI SECOLO
Il progetto ha lo scopo di essere un esempio di come il digitale possa essere un surrogato
comunicativo d’eccellenza per oggetti poco documentati. La ricerca mira a contestualizzare le
informazioni e valorizzare l’oggetto scelto. Il medium tecnologico ha lo scopo di rendere la
visita museale più interattiva e coinvolgente, destando curiosità, meraviglia e piacere.
L’accessibilità è imprescindibile: la semplicità dell’utilizzo e la chiarezza delle informazioni
saranno fondamentali per il fruitore.
Keywords: narrazione digitale; antico Egitto; coccodrillo; video mapping; accessibilità
museale.
1. Introduzione
La valorizzazione digitale di un oggetto museale è la chiave di lettura del seguente progetto. In
questo nuovo millennio, le nuove tecnologie sono entrate a pieno diritto nel mondo artistico,
sia nell’atto pratico che nella fruizione dei patrimoni culturali. La conseguenza di tali
evoluzioni permette l’interazione degli oggetti con lo spettatore, da una narrazione più
interattiva e coinvolgente, oltre che fornire ulteriori informazioni durante l’esperienza di visita.
La digitalizzazione è un atto pratico volto alla conservazione e consegna di opere d’arte in
prospettiva futura, con legittime visioni positive e altrettante criticità. Le istituzioni culturali e
museali stanno adempiendo a questo compito innovativo, concentrandosi dapprima su reperti
di lunga datazione, anche per ovviare ai lunghi tempi di restauro che necessitano la maggior
parte delle opere d’arte. Un canale comunicativo molto influente in questo contesto è
rintracciabile in tutti i sistemi tecnologici di ultima generazione, ovvero per la facilità di
utilizzo messa a disposizione alla maggior parte della popolazione. Confluire questa
compagine all’interno di esposizioni museali è un imperativo, soprattutto per l’aumento di
possibilità di beneficio che il fruitore ha al suo interno e rendere il percorso di visita più
interessante. Auspicabile è l’utilizzo di queste strategie per gli oggetti in esposizione di cui si
hanno poche informazioni, cioè limitate in brevi didascalie. Questo caso non è criticabile
all’istituzione o alla ricerca, ma alla difficile possibilità di comunicare le ulteriori informazioni
che è possibile inserire. Ogni oggetto ha insignito in sè una storia che ha il dovere di esser
contestualizzata, valorizzata e raccontata ai posteri. La soluzione risulta essere appunto
l’impiego di nuove tecnologie e la miglior strategia comunicativa digitale.
Il luogo, quindi lo spazio museale, gioca un ruolo fondamentale: è in esso che bisogna agire sul
piano dell’allestimento affinché i dispositivi tecnologici possano contribuire a un’attiva
partecipazione dello spettatore. Non devono essere soltanto dei supporti innovativi, ma dei
supporti dagli esiti e utilizzi innovativi. La valorizzazione ha come elemento prioritario quello
di permettere una completa accessibilità, non solo con strumenti multimediali di facile
intuizione e utilizzo, ma anche e sopratutto all’aspetto interattivo e sociale. Valorizzare
significa promuovere gli aspetti sulla diversità culturale, instaurando un dialogo
interdisciplinare, per permettere una corretta coesione sociale, agevolando l’inclusione di un
target misto di fruitori, senza creare alcun tipo di barriere.
2. Obiettivi del lavoro
Il progetto ha come obiettivo quello di essere un luogo in cui il digitale e la fruizione fisica
dello spettatore generino una relazione, ovvero un ambiente sensibile. «L’evoluzione del
paradigma museale in rapporto alle nuove tecnologie e all’interazione comporta innanzitutto
un primo scaricamento: vietato non toccare. Entrare in un museo e poter toccare e
sperimentare cambia innanzitutto l’attitudine del visitatore nei confronti del museo e di
conseguenza la sua relazione con l’istituzione» 1. Il ruolo dello spettatore diventa attivo perché
è chiamato ad ampliare la sua esperienza di visita attraverso processi cognitivi e sensoriali. La
narrazione che viene creata fa da ponte con l’oggetto e il suo contenitore, si creano sinestesie
mediante l’utilizzo di nuovi linguaggi multimediali. Con queste modalità, emergono nuovi
scenari di sviluppo e valorizzazione, non solo dell’esposizione museale, ma sopratutto per
l’oggetto scelto in causa. Il progetto si basa su logiche di narrazioni volte ad ampliare
l’esperienza di visita e fruizione con l’oggetto. Le informazioni verranno suddivise all’interno
del sistema digitale, in netta concomitanza con ulteriori informazioni messe a disposizione su
supporti analogici pre-visita. Grazie al supporto dei sistemi analogici è possibile dare
informazioni che fanno da involucro all’oggetto preso in analisi, lo contestualizzano, dando al
Dai musei di collezione ai musei di narrazione”, DisegnareCon - Dicembre 2011, Tecnologie per la comunicazione del
Patrimonio Culturale, Paolo Rosa - Studio Azzurro, pg.135
1
fruitore nozioni in più da connettere a quelle apprese dal sistema digitale. In quest’ultimo, le
informazioni sono separate e ripartire all’interno del device.
La linearità e la sequenzialità vengono a mancare, per far spazio ad un tipo di narrazione
frammentata e accumultata: sarà il fruitore a scegliere in quale modalità e tempistiche far
proprie le informazioni pervenute, dando vita a infinite varianti di acquisizione che agevolano
l’esperienza di visita. In questo modo lo spettatore può unire i diversi dati per associazione tra
il sistema analogico e quello multimediale. La narrazione delle informazioni presenta un
enorme potenziale di lettura all’interno del dispositivo. Esse verranno estrapolate mediante
l’interazione dello spettatore con dei sensori che attivano il sistema e rendono l’impatto visivo
plurisensoriale: infatti alla semplice lettura, si accumuneranno immagini e audio. Questa
strategia permette di far proprio le informazioni mediate processi mnemonici, facilitati
dall’ascolto del testo, nella quale sarà inoltre sottolineato gli aspetti di maggior rilievo.
L’ipertesto che viene generato si ramifica all’interno dello spazio espositivo, è ripartito su
diverse tipologie di contenuti e medium esplicativi. Lo spettatore è pienamente coinvolto,
immerso in un nuovo paradigma estetico dettato dalla tecnologia: la sua relazione con l’oggetto
cambia il proprio concetto di estetica culturale all’interno degli spazi espositivi. Gli ambienti
sensibili creano un dialogo aperto tra elementi fisici e dimensioni immateriali mediato dal
dispositivo interattivo. Il concetto di ambiente sensibile è inteso proprio come luogo di
relazione tra una componente virtuale e una presenza fisica. Per questo motivo, si istaura una
connessione attiva e dinamica fra il visitatore e l’opera, dove quest’ultima, attraverso la sua
interfaccia, va a stimolare forme comunicative quali vista, tatto e udito. Una comunicazione
interattiva di questo tipo all’interno di ambienti museali accentua l’elemento della narrazione
che risulta avere un linguaggio più diretto sia con l’oggetto in questione sia con il fruitore
proprio perché viene intrecciata con l’ambiente, con le storie che esso richiama e l’argomento
affrontato. La peculiarità di ambienti di questo tipo sta proprio nel far relazionare gli oggetti
con la loro storia, con il loro ambiente, senza che quest’ultimi rimangano isolati attraverso
modalità poco coinvolgenti e passive. Di fatto, anche il ruolo del visitatore cambia perché
viene data importanza al gesto che egli compie, al modo in cui si muove dentro l’ambiente,
come si relaziona, fino al suo contributo. Tutti questi elementi si prestano a creare una giusta
narrazione in grado di inglobare la storia e diffonderla in modo attivo, ma soprattutto a dar
voce direttamente all’oggetto, rivoluzionando la sua natura “sacrale” e “intoccabile”. A questo
proposito, da anni si cerca di instaurare, attraverso mezzi artistici, creativi ed espressivi, una
relazione con l’oggetto o fra gli oggetti, quindi di dare maggiore rilievo al manufatto esposto.
Oltre l’idea del rapporto vi è anche l’idea antropologica secondo cui l’oggetto deve rivelare la
sua vera storia, che vale la pena essere raccontata, soprattutto a seconda del periodo in cui si
vive e le modalità di diffusione che quest’ultimo richiede. «Ciascun oggetto, antico o
contemporaneo, possiede una propria biografia, unica ed irripetibile, che non termina insieme
all’epoca o alla civiltà dalle quali ha avuto origine, ma continua a registrare silenziosamente
frammenti di nuove memorie, via via che l’oggetto attraversa il tempo e i mutamenti della
storia.»2 A tal proposito, le evoluzioni tecnologiche del XXI secolo hanno agito in maniera
consequenziale, creando un’estensione sensoriale virtuale che amplia il nostro modo di vedere
le cose, lo modifica e lo meccanicizza, fino ad andare oltre la natura stessa delle cose, rendendo
accessibile ciò che inizialmente non era previsto nell’ordine naturale. Questo nuovo approccio
verte verso una sensibilità artificiale e virtuale che s’intreccia con i sensi naturali mettendo al
centro dell’azione il corpo e la percezione. Come tutte, anche questa innovazione presenza
elementi negativi che si manifestano tramite “effetti collaterali” e che spesso inducono
all’isolamento, all’offuscamento della mente e all’immobilizzazione del corpo. In tal caso il
progetto da grande valenza all’idea secondo cui lo spettatore debba distogliersi dal senso di
immobilità museale suggerito dall’oggetto, tanto che è invitato a riattivare il proprio corpo
percorrendo la stanza e ad attivare i sensi tramite la lettura dello stesso.
La struttura del progetto si compone di diverse fasi lavorative che mirano perlopiù a destare
attenzione su molti aspetti, criteri di valorizzazione e accessibilità, nonché sulla figura del
fruitore, il quale si ritroverà coinvolto all’interno di un ambiente sensibile ideato e progettato
interamente. Questo aspetto verrà maggiormente marcato dalla presenza del videomapping
virtuale.
2
https://www.museoegizio.it/esplora/appuntamenti/la-biografia-delloggetto-christian-greco/
3. Tematica e contesto storico
Il reperto archeologico scelto per il progetto è la Mummia di Coccodrillo [fig. 1-2], situata
nella sezione egizia del MANN, Museo Archeologico Nazionale di Napoli, collezione Hogg e
risalente all’Epoca Tarda, intorno al 664 – 332 d.C. Il coccodrillo mummificato mostra
notevolmente il suo bendaggio originale in tessuto e foglie di palma a trama larga, dove
giacciono accanto al reperto due cuccioli di coccodrillo, che rappresentano la fecondità e la
protezione del dio Sobek. 3 Nella seconda metà dell’ottocento, l’esploratore Giovanni Miani,
durante uno dei suoi viaggi in Egitto alla ricerca delle sorgenti del Nilo, raccoglie una grande
quantità di materiali provenienti principalmente dalla regione del Sud Nilotico, fra i quali una
mummia umana e due mummie di coccodrillo. Nel suo diario l’esploratore racconta che le
mummie recuperate durante la prima spedizione, furono trovate in una grande grotta sulla
Catena Arabica nei pressi di Manfalut, dove moltissimi coccodrilli imbalsamati erano stati
deposti assieme ad alcune mummie umane. Il corpo umano bendato e coperto da un grande
lenzuolo non era contenuto in una cassa, ma semplicemente appoggiato su una tavola, fu
spogliato e sbendato e si vide che aveva il viso dorato e che si trattava del corpo di una donna.
L’esploratore afferma che il corpo era perfettamente conservato e pensava che potesse trattarsi
di una delle sacerdotesse descritte da Erodoto 4, che nutrivano i sacri rettili e quando morivano
venivano seppellite assieme a loro. La cura del coccodrillo nell’antico Egitto era un’esclusiva
della sacerdotessa: ogni rettile era seguito da una donna differente. Questo legame era portato
in rito fino alla morte, al punto che venivano seppelliti uno di fianco all’altro. In questo caso la
sacerdotessa riceveva la stessa mummificazione del coccodrillo e le veniva coperto il viso con
una maschera d’oro.
Nell’antico Egitto si mummificavano i cadaveri dei defunti perché si conservassero integri
nell’aldilà. Il corpo fungeva in questo modo da rifugio fisico per l’anima e il morto diventava
un essere divino, capace di vivere eternamente; ma non erano solo le persone a essere
mummificate: a questo processo venivano sottoposti anche alcuni animali appartenenti alle
3
Come d’uso anche in altri casi, ad esempio nella mummia di coccodrillo oggi conservata al British Museum, inv. EA38563.
Lo storico greco Erodoto racconta che i coccodrilli in Egitto venivano temuti e cacciati in quanto creature legate al dio Seth. Il
coccodrillo era tuttavia anche una manifestazione del dio Sobek, adorato soprattutto a Kom Ombo e nel Fayum. In questi centri di
culto veniva scelto un coccodrillo, che poi era accudito, adornato con i gioielli e trattato con grande reverenza fino alla sua morte,
per essere poi sepolto in terra sacra.
4
specie più diverse, dagli scarabei stercorari ai pesci, dai gatti ai coccodrilli e ai tori. «Esse sono
davvero un'espressione della vita quotidiana, [...] animali domestici, cibo, religione, morte:
queste mummie ci parlano di tutto ciò che interessava gli Egizi», conferma l'egittologa Salima
Ikram, specialista di archeologia zoologica, cioè dello studio dei resti di antichi animali.
La mummificazione è un processo di essiccazione ed eliminazione dei grassi per preservare un
corpo dalla decomposizione. La stessa era una pratica che consentiva idealmente di portare il
corpo integro nell’aldilà. Le raffinate tecniche non erano un’esclusiva dell’uomo, ma era
fondamentale anche per l’animale sacro. L’intero processo durava 70 giorni, che si dividevano
in: 40 giorni per eviscerare il defunto, lavarlo con vino di palma ed essiccarlo in composti di
sale e 30 giorni per avvolgere il corpo e gli organi in bende di lino. Il corpo veniva posto nei
sarcofagi, mente gli organi in urne funerarie chiamate “canopie”. Per gli animali il processo era
lo stesso, ma non venivano tolti gli organi al suo interno, una pratica che voleva assolutamente
evitare l’ira degli dei, poiché considerata un sacrilegio. La pratica della mummificazione di
animali è attestata durante l’intero arco della storia egizia, ma è soprattutto durante l’Epoca
Tarda e nei Periodi Tolemaico e Romano che si diffonde con enorme successo la pratica delle
mummie votive, probabilmente qualche reazione alla minaccia straniera spinse gli Egizi a
cercare nuovi modi con cui affermare il proprio senso di identità e ribadire la propria cultura e
le proprie tradizioni religiose. I procedimenti di mummificazione si differenziavano poi a
seconda delle zone e vennero modificati nel tempo. Le tecniche utilizzate con gli animali
variavano a seconda delle dimensioni, del tipo di pelle e dell’eventuale presenza di piume o ali.
La salma era avvolta in delle bende di lino e posto in un sarcofago, oppure sotterrato. Le
indagini archeologiche hanno riportato alla luce interi cimiteri riservati agli animali, come la
necropoli di Saqqara, dove sono state identificate, all’interno di una catacomba particolarmente
estesa, ben otto milioni di mummie di animali. Un gruppo importante è costituito dagli animali
domestici: cani, gatti ma anche manguste, scimmie, gazzelle e uccelli. Questi animali venivano
spesso mummificati e sepolti con i loro proprietari o fuori la loro tomba, nel caso in cui la loro
morte precedeva quella dell’individuo cui essi appartenevano. 5 C’erano poi alcuni animali sacri
Le ricerche hanno rivelato che alcune di queste mummie votive erano “false”: venivano cioè bendate in modo da sembrare un
animale specifico, ma di fatto contenevano le ossa di una specie diversa, i resti di più esemplari o soltanto una manciata di
piume. A prima vista, sembrerebbe trattarsi di una pratica fraudolenta per ingannare i pellegrini. Ciononostante, bisogna
considerare due caratteristiche del pensiero egizio: da un lato, l’idea che una parte potesse rappresentare il tutto, dall’altro, la
convinzione che attraverso la parola fosse possibile trasformare un essere in un altro essere. Quindi, forse, per gli egizi quelle
mummie non erano poi così “false”.
5
che venivano venerati in quanto manifestazioni degli dei in terra, siccome gli egizi credevano
che le divinità potessero trasferire la propria “essenza” nel corpo di un animale accuratamente
scelto, che i sacerdoti del dio identificavano a partire da qualche segno o macchia particolare
sulla pelle.
Il coccodrillo era associato al Dio Sobek, un uomo raffigurato con la testa del rettile. Sobek era
la divinità dell’acqua, della fecondità delle terra mediante essa e in particolare dell’inondazione
del Nilo. Per questo motivo la divinità era legata al culto sacro dell’animale. In genere, i
coccodrilli venivano allevati in una vita di completo lusso, per questo venivano mummificati
con oro e alti oggetti preziosi, come le persone di alto rango. Il rito dell’adorazione era
emblematico durante i periodi di siccità o di violenti piogge: in entrambi i casi si credeva in
una punizione divina, che comportava sacrifici e preghiere per ottenere la grazia terrena. In
particolare i coccodrilli erano considerati animali sacri perché deponevano d'istinto le uova al
di sopra del livello di piena del fiume. Un coccodrillo in media può essere lungo dal metro e
mezzo fino ai cinque metri. Animali di acqua dolce, ne esistono di diverse specie sparsi in tutto
il mondo. Un coccodrillo in media può deporre 100 uova in un unico ciclo riproduttivo, la
femmina per proteggere le uova da possibili predatori, scava una buca nei pressi di un fiume o
nel luogo d’appartenenza e vivono la maggior parte della loro vita insieme al proprio branco.
Questo legame tra il coccodrillo e la prole era molto importante per il popolo egiziano che, al
momento della sepoltura, ponevano quest’ultimi mummificati di fianco al capo dell’animale. Il
gesto stava a significare quel legame profondo che si crea nel momento della nascita di una
nuova vita. Prima dell'annuale inondazione del Nilo, evento cardine grazie al quale i campi
così irrigati e arricchiti consentivano all'Egitto di rinascere un anno dopo l'altro e la notizia di
una piena buona o cattiva era fondamentale in una terra di agricoltori. Nel corso della sua vita
terrena l’animale sacro veniva adorato e accudito come fosse il dio stesso, una volta morto,
veniva imbalsamato e sepolto solennemente in una catacomba mentre lo spirito divino si
trasferiva in un altro esemplare.
In diversi Musei di Storia Naturale, come nei Musei Egizi o sezioni museali dedicate, sono
conservati i resti del popolo dell’antico Egitto. Vaste collezioni di mummie, sarcofagi, utensili,
statue, reperti di templi, riempiono queste strutture per raccontare ai posteri la loro storia. Nel
corso dei secoli sono stati molti i ritrovamenti di questi oggetti da parte di ricercatori e studiosi.
Tutti gli oggetti ritrovati sono sottoposti a restauro per via della scarsa conservazione causata
dal tempo. Enorme è la dose di lavoro che necessita per riportare in vita ogni singolo pezzo,
guidati da esperti nel settore. Tra i vari restauri avvenuti nel corso del tempo, va citata quella
avvenuta al Museo MANN. Nel 2016 è stata portata a termine l’intero restauro avvenuto per la
collezione egizia, la più antica d’Europa, grazie alla Soprintendenza del Museo Egizio di
Torino e la Sezione di Restauro del Suor Orsola Benincasa a Napoli.6 Nella sede piemontese, il
12 Marzo 2019, fu inaugurata la mostra “Archeologia Invisibile” che indaga, grazie all’uso
della tecnologia più recente, le storie dei reperti archeologici più celebri del museo. Gli
archeologi e i conservatori cercano di ricostruire le vicende di alcuni dei reperti più celebri del
museo, andando oltre la semplice apparenza e servendosi delle tecnologie di ultima
generazione per svelare ciò che altrimenti rimarrebbe nascosto e ignoto attraverso, appunto, la
biografia degli oggetti, perché vi è la filosofia che ogni oggetto ha la sua storia.
4. Metodologia e Struttura del lavoro
Il progetto “Krokòdeilos nel XXI secolo” segue una linea progettuale basata sui nuovi sistemi di
comunicazione digitale, multimediale e di design. È stata intrapresa una narrazione di tipo
frammentata, la quale racconta la biografia del bene culturale scelto con tutti gli aspetti annessi
di tipo sociale, culturale e storico. La comunicazione verso il pubblico non è solo un mezzo
utile al raggiungimento di obiettivi, ma è essa stessa un obiettivo, anzi ne rappresenta la ragion
d’essere. È necessario porsi in relazione con il pubblico per educarlo, informarlo, renderlo
edotto e fornire gli strumenti necessari a renderlo consapevole della propria storia e delle
proprie responsabilità nella conservazione del patrimonio culturale. La comunicazione deve
quindi fornire i mezzi per una comprensione quanto più ampia possibile dell’esperienza diretta
di fruizione. Le nuove tecnologie permettono al museo di essere più vicino al proprio utente, la
personalizzazione della visita si basa anche sulle esigenze personali e il coinvolgimento diretto
6
Articolo de “Il Mattino”, sezione Cultura e Società MACRO, 8 Ottobre 2016, pg.17
del visitatore per mezzo di installazioni interattive, al fine di creare una situazione di
edutainment, che includa un vasto target di persone e che favorisca l’apprendimento con
componenti ludiche, di compiere una valorizzazione del patrimonio al passo con i tempi, di
avvicinare le nuove generazioni al patrimonio culturale. Inoltre le tecniche di modellazione
tridimensionale sono in grado di simulare effetti di “immersione” e interazione. Il fruitore
riceve stimoli di tipo visivo e motorio, tramite particolari interfacce, con cui è in grado di
ricostruire la sensazione tattile e sarà possibile non solo vedere, ma anche toccare la
ricostruzione del bene culturale, che in questo caso è stato riprodotto in scala con stampante 3D
in materiale ecosostenibile. Il progetto ha l’obiettivo di sorprendere e istruire il fruitore, anche
attraverso l’uso del videomapping, caratterizzato da un proiettore posto al di sopra del tavolo
interattivo con la ricostruzione in scala del coccodrillo. Il pubblico è invitato a toccare parti del
corpo come la testa, il dorso e la coda, ricevendo quelle informazioni utili ed essenziali in
relazione al contesto e alla biografia dell’oggetto.
Il progetto tende principalmente a suddividersi in due fasi: la prima riguarda la progettazione
della stanza museale, la seconda si riferisce alla mappatura dell’oggetto. In questo caso, il
sostantivo di oggetto si riferisce alla Mummia di coccodrillo di epoca tarda (664-332 a.C.)
esposta in una delle stanze della sezione egizia del Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
La scelta di questo manufatto deriva da una fase di ricerca presso i maggiori musei Partenopei,
secondo l’idea di voler offrire una buona valorizzazione dell’oggetto esposto, sia sotto il punto
di vista didattico, sia sotto quello narrativo e plurisensoriale, fuoriuscendo dal semplice schema
istituzionale della didascalia tradizionale.
Il Concept del progetto presenta una prima fase ideativa che si focalizza sulla progettazione di
un tavolo multimediale su cui fosse possibile ricavare informazioni sull’oggetto, con annesso
uno spazio dedicato alla didascalia tradizionale e uno spazio destinato alla riproduzione in
scala dell’oggetto. In un secondo momento, l’idea muta sulla realizzazione di un ambiente
sensibile piramidale, abbozzato e schizzato a mano, all’interno del quale è possibile interagire
con l’oggetto riprodotto in scala, attraverso la proiezione delle informazioni su pareti
multimediali. Il terzo approccio, quello definitivo, prevede un’ambiente sensibile al cui interno
sono collocati pannelli integrativi e tavolo interattivo. La stanza, progettata dapprima a mano e
conseguentemente riportata in 2D su Autocad, presenta un’area di 54 mq e un perimetro di 29
m, con un’altezza di 4.10 m. 7 Le sue componenti principali sono: porta, parete divisoria, tavolo
e pannelli. La porta, alta 2.10 m e larga 1.20m che equivale alla distanza minima per il
passaggio di due persone. Inoltre, le sue ante vertono verso l’esterno data la questione centrale
dell’emergenza. Di seguito vi è una parete divisoria a tutta altezza con uno spessore di 0,10 cm
realizzato con materiale fonoassorbente atossico ed ecocompatibile, rivestito da una texture che
richiama la pianta del “Cyperus Papyrus”8. Una volta passata la parete divisoria, si arriva
davanti al tavolo interattivo, alto 70 cm, la cui superficie è di 1.66 cm di lunghezza per 0.90 cm
di larghezza. Le misure del tavolo sono fondamentali per capire tutto il percorso di mappatura
previsto. Il primo passo riguarda la funzione presentatrice del tavolo con l’applicazione di una
ricostruzione del coccodrillo in scala 1:2, corrispondente ad una dimensione di 1.30 cm, basata
su quella reale dell’oggetto che misura 2.60cm.
La ricostruzione del coccodrillo consta di due parti: uno scheletro di supporto realizzato in
stampa 3D e il corpo esterno realizzato in polipropilene termoformato collegato a sensori di
pressione che attivano la proiezione delle informazioni, dando il via alla mappatura. La
ricostruzione del coccodrillo è utilizzata come mezzo interattivo infatti, attraverso il tatto, le
informazioni vengono visualizzate direttamente sul tavolo che ospita l’oggetto. La totale
immersione nell’ambiente è favorita anche dalla funzione sonora che, insieme a quella tattile,
accompagna il visitatore verso un tipo di percezione dell’oggetto ormai lontana dall’idea di
staticità dei manufatti artistici all’interno dello spazio museale. In che modo l’informazione
arriva al pubblico? Perno centrale, in risposta alla precedente domanda, è senz’altro la tecnica
del videomapping. Questa modalità lavorativa si avvale di dispositivi digitali e software,
grafici e video, per fare delle proiezioni mappate su una o più superfici, facendo coincidere il
video con la forma geometrica del mondo fisico, creando livelli dinamici e ambienti immersivi.
Lo spazio reale viene virtualizzato, così facendo la superficie su cui si proietta prende un altro
aspetto, viene stravolta, rilasciando percezioni differenti. Con il cambio di aspetto anche
l’informazione viene modificata perché diventa un elemento virtuale e fuggevole dove
7
Vedere Tavole di Progetto di Massima
Pianta molto diffusa nel delta del Nilo dove ebbe il suo impiego come materiale di supporto alla scrittura e dove è ancora
esistente in quantità piuttosto ridotte
8
numerose sono le varianti di un’immaginazione digitale che alcuni software permettono. La
possibilità che danno questi software di poter alterare un’immagine o una superficie è infinita,
così come sono infiniti i significati che gli si possono attribuire. Il mapping è anche un genere
di realtà aumentata (augmented reality) poiché permette agli spettatori di testare la fruizione di
ambienti di realtà virtuale che sostituiscono il mondo reale, con ambienti immersivi che si
servono in maniera armoniosa sia del mondo reale che del mondo virtuale.
L’espressione “realtà aumentata” non viene impiegata per specificare una nuova tecnologia,
indica piuttosto una potenza rilasciata da una nuova forma di percezione sensoriale mediata
dalle tecnologie. Il videomapping rappresenta il modo in cui uno spettatore può andare al di là
del reale, rimanendo nel reale stesso. Muri, superfici, oggetti diventano schermi virtuali con cui
è possibile interagire. Se si vuole considerare questa tecnica come una nuova tecnologia, vuol
dire essere consapevoli di come questa possa subire innumerevoli cambiamenti e di come sia
sempre in fase di sviluppo a seconda del periodo in cui si vive e dell’evoluzione della
tecnologia. Uno degli aspetti fondamentali per la buona riuscita del videomapping sta proprio
nell’ambiente, più è buio e più l’immagine proiettata viene fruita in maniera nitida. In
riferimento a ciò, si può constatare come le uniche fonti di luce della stanza siano quelle
relative all’illuminazione dei pannelli e al proiettore utilizzato. La scelta di quest’ultimo
supporto è di estrema importanza: per fare un tipo di installazione con il videomapping diversi
sono i proiettori da prendere in considerazione: ad esempio, la qualità della proiezione può
variare a seconda del luogo scelto.
Il progetto non si focalizza solo sulla realizzazione della mappatura dell’oggetto ma riguarda
anche la scelta della stanza dove questo verrà posizionato. In particolar modo, per la scelta del
proiettore si è avvalso di motori di ricerca su siti appositi9, in modo tale che sulla base delle
misure della stanza e del tavolo, si è optato per il proiettore Canon LV-HD420 Projector
1920x1080 DLP, 4.200 lumens, 8:000:1 contrast, 1:50:1 zoom, 7,5 Ibs con un aspect ratio di
16:9 posto ad una distanza di 3.18m dalla superficie del tavolo su cui è posta la ricostruzione in
scala in 3D del coccodrillo.
Per quanto concerne il progetto, per creare le tavole di mappatura si è pensato di utilizzare il
programma Adobe Photoshop, tramite il quale sono state frammentate le parti del coccodrillo a
seconda dell’informazione da rilasciare al momento dell’interazione. Il coccodrillo è stato
suddiviso primariamente in 3 parti: testa-busto-coda, e successivamente in altre 6, ognuna delle
quali avente un’informazione differente. Ad un primo tocco sulla testa, quest’ultima ci fornisce
delle informazioni basiche sulla sacralità degli animali nell’Antico Egitto, ad un secondo tocco
la testa viene suddivisa in altre due parti: la prima, in alto, fornisce informazioni che
riguardano la storia del coccodrillo, la seconda parte, in basso, si riferisce alla fecondità dei
coccodrilli e alla loro riproduzione. Stesso procedimento avviene per il busto, dove un primo
tocco ci fornisce elementi sul corpo del coccodrillo, dopodiché il busto si divide in 3 parti: la
prima (da destra) rilascia indicazioni sul processo di mummificazione degli animali; il tocco
sulla parte centrale si riferisce alla cura dei coccodrilli da parte delle sacerdotesse. Infine, la
parte alta della coda rilascia notizie sulla conservazione dei resti dell’Antico Egitto nei musei,
mentre la parte bassa della coda fa riferimento al restauro degli oggetti della sezione egizia,
avvenuto al MANN nel 2016. A seconda di queste suddivisioni sono state realizzate le tavole di
mappatura, tramite Photoshop e i suoi livelli, dove ad ogni elemento messo in evidenza viene
associato un colore e la corrispondente informazione da rilasciare, così come anche un titolo
che riassume l’informazione didascalica. Per rendere più marcato il tocco, attraverso il
programma di editing, si è pensato bene di porre in evidenza la parte interessata, mettendo in
penombra e in opacità quella restante non considerata così da favorire maggiormente la
comprensione del piano strutturale del progetto e dell’informazione [fig.3].
Le interfacce generate sono seguite da testi didascalici che spiegano, in maniera lineare e
concisa, differenti aspetti sulla storia del Coccodrillo, la sua mummificazione, collocazione
geografica e storica. Il linguaggio utilizzato è semplice e di facile intuizione, cosicché il
fruitore possa restituire un feedback positivo. Il suo essere “attivo” viene accentuato grazie alla
lettura e all’ascolto, non solo sul tavolo interattivo, ma anche sui pannelli che lo avvolgono. In
quest’ultimo caso, le didascalie offrono informazioni che approfondiscono i concetti emanati
dalle interfacce. Infatti, oltre al tavolo su cui è posta la ricostruzione della mummia di
coccodrillo, la stanza museale si presta a un altro genere di informazione di tipo analogica,
grazie alla presenza di 3 pannelli esplicativi realizzati mediante i programmi del pacchetto
Adobe. In questo caso, si è optato per l’uso di InDesign, che risulta essere uno dei migliori
programmi per la progettazione grafica editoriale. I pannelli, una volta realizzati, vengono
stampati sul materiale “Forex bianco”, la cui stampa del testo presenta un font lineare e
maggiormente leggibile a tutti: Open Sans. Il primo pannello, quello centrale, posa a terra e ha
dimensioni pari a 2.10 cm di altezza per 1.80 cm di lunghezza e presenta la stampa del titolo
del progetto: “KROKÒDEILOS” NEL XXI SECOLO” insieme ad una grafica che riprende la
silhouette del coccodrillo nera e opacizzata. Quelli laterali, invece, hanno una dimensione di
1.50 di altezza per 1.80 di larghezza e sono sostenuti da funi in alluminio alti quanto la stanza
(4.10m), con un diametro pari a 5mm. Il pannello di destra rilascia delle informazioni
specifiche sul processo di mummificazione degli animali nell’antico Egitto. Il pannello di
sinistra, invece, mette in luce i culti degli animali sacri. Entrambi i testi sono accompagnati da
immagini scrupolosamente selezionate, affinché si unisca una visione estetica di quanto viene
spiegato. Il colore del pannello è un elemento fondamentale non solo per la lettura dell’opera
ma anche per l’atmosfera stessa che si vuole dare all’esposizione. Spesso il cambiamento del
colore della pannellistica può assumere un valore segnaletico autentico all’interno di un
percorso espositivo. Il corretto posizionamento di questi supporti analogici è di fondamentale
importanza, onde evitare distrazioni da parte dell’utente all’interno del percorso di visita.Il
colore dello sfondo deve far risaltare la grandezza e il colore dei testi e quest’ultimo deve esser
posizionato ad un’altezza d’occhio nella media. La loro illuminazione non deve alterare quella
relativa all’oggetto principale, ma al contempo, non devono passare in secondo piano. Anche la
presenza di immagini statiche o in movimento può causare distrazione allo spettatore, per
questo motivo devono essere collocate nelle immediate vicinanze dei testi.
Questo modus operandi permette di frammentare la narrazione e spalmarla su diversi supporti e
la loro collocazione nello spazio espositivo restituisce allo spettatore le informazioni necessarie
per apprezzare la visita.
Con l’utilizzo di un altro programma di editing, Adobe Premiere, è stato creato un video con
tre diverse tipologie di tavole raffiguranti una parte del coccodrillo. Sono stati inseriti effetti di
dissolvenza per rimarcare il passaggio conseguenziale alla pressione tattile sull’oggetto e
aggiunto un file audio che esplica la didascalia corrispondente. Il video è la proposta di
riproduzione del videomapping sul tavolo interattivo seguito dal tocco da parte dell’utente
generato dai sensori della struttura in 3D. Il video è stato realizzato mediante l’utilizzo delle
tavole di mappatura, unite ad un file audio registrato che narra la didascalia corrispondente
all’immagine in riproduzione. Ogni filmato è composto da immagini in HD, sormontate da un
titolo che fa riferimento alla suddivisione del racconto. La proposta mostra tre varianti di come
può essere interagito il videomapping e il tipo di risposta che genera: in una prima variante è
possibile leggere l’intera didascalia; nella seconda la didascalia viene ascoltata, facendo
risaltare parole chiavi; la terza variante unisce alla precedente delle immagini. Il video è
esportato come formato “H.264 Blu Ray, HD1080i 29,97 fps”.
Una volta progettata la pianta, la sezione e il prospetto dell’intera stanza su Autocad [fig.4],
con tutte le sue componenti, si è passati all’utilizzo di programmi per la progettazione in 3D. In
primis, l’intero progetto in 2D è stato trasferito sul programma “Rhinoceros”, un pacchetto
software di modellazione 3D CAD che consente di modellare con precisione i progetti, che
saranno pronti per la rappresentazione, l’analisi, la progettazione e la produzione. Rhinoceros
con le sue icone intuitive e la sua interfaccia, permette all’utente di concentrarsi sul disegno
tecnico e sulla visualizzazione sotto varie prospettive, in modo da semplificare il processo di
progettazione. Il comando centrale utilizzato per la progettazione in 3D della stanza è stato
“estrudiCrv” ovvero “estrudi curve”.
Un ultimo approccio riguarda l’utilizzo di “Cinema 4D”, un software per la modellazione in
3D e rendering. Il programma supporta tecniche di modellazione procedurale, poligonale e
solida, la creazione e l’applicazione di texture, la gestione dell’illuminazione, l’animazione e il
rendering delle scene. Dopo aver realizzato e salvato in formato Obj il file in 3D su
“Rhinoceros”, lo si è importato su Cinema 4D [fig.5]. Il programma offre 4 viste: prospettica,
sopra, destra e frontale, che risultano essere essenziali nella fase di lavorazione poiché, grazie a
quest’ultime, si può osservare l’oggetto e la sua modellazione sotto diversi punti di vista e
angolazioni, ognuna delle quali tende a facilitare l’operazione di inserimento e la modifica a
seconda del suo probabile posizionamento. Mediante l’utilizzo di questo programma è stato
possibile inserire la grafica dei pannelli realizzati con InDesign sulle loro strutture, grazie
anche ad un processo di adattamento della texture in base all’oggetto, a seguito della creazione
di nuovi materiali a cui questa è stata precedentemente applicata. Di seguito all’inserimento
della grafica dei tre rispettivi pannelli, si è passato alla pavimentazione: anche in questo caso,
la texture aggiunta e associata all’oggetto è stata modellata in base alla struttura del pavimento.
La texture scelta si presenta in “parquet rovere scuro”, perché in linea con i colori della stanza.
Tuttavia, il processo di inserimento del nuovo materiale e di specifiche texture ha riguardato
anche il coccodrillo per il tavolo interattivo e la parete divisoria che, come precedentemente
affermato, riprende lo stile della pianta “Cyperus Papyrus” [fig.6], mentre le mura si
presentano di color grigio antracite, così come le funi in alluminio scuro che sorreggono i
pannelli laterali. Dopo aver inserito questi materiali utili al completamento del progetto, si è
passato ad un altro fattore importante che riguarda nello specifico il concetto di illuminazione.
Questo aspetto è fondamentale per la buona riuscita del videomapping: la stanza deve essere
piuttosto buia affinché l’immagine proiettata risulti ben nitida, infatti, si è pensato bene di
inserire delle luci a spot che vanno a illuminare concretamente i pannelli in modo tale che il
fruitore possa avere una buona visuale anche di questi e non solo del tavolo. Oltre
l’inserimento delle luci, nella ricostruzione 3D della stanza è stato inserito l’oggetto “Camera",
utile per realizzare filmati e salvare fotogrammi. Una volta conclusa la stanza, la scena viene
renderizzata: vengono calcolate le ombre e le luci, i riflessi e le reazioni dei materiali alla luce
[fig.7].
A questo punto il file viene salvato come filmato o immagine statica. Per questo lavoro è stato
possibile usufruire di entrambi i tipi di salvataggio. Per quanto riguarda le immagini statiche,
queste sono state utili per la realizzazione delle tavole di progetto, mentre il filmato è stato
realizzato attraverso la selezione di più fotogrammi che hanno ripreso ogni singolo movimento
fatto all’interno della stanza. Il filmato è stato salvato a “30 fps con una risoluzione di 72 DPi”.
5. Aspetti innovativi e conclusioni
Il progetto nasce in concomitanza con lo studio della mostra “Archeologia Invisibile”
inaugurata al Museo Egizio di Torino nel Marzo 2019. La mostra ha come scopo principale
quello di valorizzare la ricerca di reperti archeologici, partendo dagli scavi fino al restauro.
Dall’intera mostra, l’indagine del seguente progetto si è soffermata al termine del percorso di
visita. Nell’ultima sala, il videomapping su una riproduzione in stampa 3D del sarcofago dello
scriba Butehamon, straordinario reperto di proprietà del Museo Egizio, prende vita sulle note
della colonna sonora del film “Interstellar". Mentre sul sarcofago si alternano una dopo l’altra
le immagini delle analisi condotte su di esso e della sequenza costruttiva e pittorica, sugli
schermi laterali una nuvola prende gradualmente le sembianze degli artigiani che l’hanno
costruito, in un continuo pendolo tra il cercare di prendere forma, il trascendere i confini dello
spazio e del tempo e l’indeterminazione data dall’impossibilità di ricostruire perfettamente un
contesto cancellato da migliaia di anni di storia. È un concetto non semplice da rappresentare
con le immagini ma che, grazie al motion capture e all’emozione che la musica di Hans
Zimmer è in grado di creare, riesce forse a instillare nello spettatore un piccolo barlume di
consapevolezza del valore della memoria e del patrimonio della cultura materiale.
La mostra è dunque riuscita a dimostrare l’estrema attualità e spettacolarità dell’archeologia.
Oggi stiamo vivendo, come afferma lo stesso direttore del museo Christian Greco, un
“umanesimo digitale” capace di ridare nuova vita a oggetti antichi, sepolti, dimenticati e poi
riportati alla luce. Questa riscoperta, però, non è fine a sé stessa e il profondo lavoro di ricerca
scientifica sull’invisibile, magistralmente documentato dalla mostra, rende visibile il filo al
quale ogni essere umano di ogni tempo è appeso. 9
Cosa deve fare un museo archeologico rispetto alla rivoluzione digitale? «Il museo fa parte
della società», afferma Christian Greco, paragonando la cultura orale alla cultura scritta come
la cultura analogica sta alla cultura digitale, riprendendo una citazione di Socrate.
Come può oggi un museo collocare gli oggetti delle sue vetrine con il pubblico che deve
trovare risposta alle proprie domande? Attraverso la ”Archeologia Invisibile”. Il contesto è
essenziale per far rivivere gli oggetti, ciò avviene attraverso la ricerca. Il museo non ha bisogno
di scrivere didascalie per narrare, perché già inserire un oggetto in una vetrina è una narrazione
ben definita.
Gli oggetti hanno una relazione strana con le persone, perché sono loro a produrli, ma questi
sopravvivono, sono parte della memoria perché sono essi stessi la memoria, hanno una
9
https://www.archeostorie.it/archeologia-invisibile-le-mummie-ai-raggi-x
biografia, diverse vite, sono stati dimenticati, ma anche riscoperti e vivono nel museo una vita
museale. L’oggetto non mi racconta solo un determinato contesto della vita che aveva, racconta
anche dell’archeologo che l’ha trovato, del collezionista che l’ha collezionato e del perché il
museo attiri così tanti visitatori all’anno. Uno dei più importanti egittologi viventi, Barry
Camp, nell’ultimo capitolo del suo grande libro, afferma che noi non solo viviamo ancora
nell’età del bronzo, ma afferma anche che la cultura egizia non è ancora morta, finché vedremo
le file fuori ai musei. Questi oggetti ci comunicano qualcosa, sviluppando una relazione
davvero importante fra le persone e gli oggetti; in antropologia ciò è denominato come la
relazione fra soggetto e oggetto, fra le persone che hanno creato quegli oggetti, l’oggetto stesso
e le persone che le hanno utilizzati e un museo lo fa attraverso la ricerca, ovvero prendersi cura
degli oggetti del nostro patrimonio culturale per poterli connettere con la società.
Oggetti reali e oggetti digitali non sono interscambiabili, si completano a vicenda e agiscono
come un ponte che mette in contatto chi li ha prodotti allora con chi oggi li osserva e li
interroga.10
Lo scopo del lavoro è stato principalmente quello di creare un ambiente sensibile, dove lo
spettatore viene coinvolto all’interno di un insieme di elementi capaci di attivare la sua
esperienza. Il tipo di narrazione proposto risente di un’esperienza intimistica dove il fruitore
può personalizzare la propria visita scegliendo anche un approfondimento e un contatto
immersivo con l’opera e i contenuti esposti. L’oggetto, attraverso questa narrazione, ha
l’opportunità di rivelarsi pienamente, raccontando anche delle vicende che lo hanno
attraversato, in modo da risultare accattivante e stimolante. Questo nuovo approccio museale
ha contribuito a cambiare radicalmente le intenzioni dell’istituzione museale dove prima
vigeva il “non toccare”. Questa evoluzione, in rapporto con le nuove tecnologie e l’interazione,
comporta l’entrare in museo e toccare e sperimentare l’ambiente circostante e questo muta
notevolmente l’approccio del visitatore nei confronti del museo e, di conseguenza, con
l’istituzione che questo rappresenta. Sperimentazioni di questo tipo hanno dato il via a voler
pensare il museo non più come luogo solamente da visitare, ma anche da vivere. In questo
modo l’oggetto può essere maggiormente considerato, portando il fruitore al centro della
10
https://www.facebook.com/watch/live/?v=452698195436619&ref=watch_permalink
narrazione e facendo in modo che questa narrazione venga arricchita dall’esperienza del
visitatore. Perché questo cambio di rotta? Il museo contribuisce a tramandare un aspetto
sensoriale dove vedere è sapere, e la visita diventa il tramite, anche se il sapere autentico si
acquisisce attraverso il tatto.
Il lavoro si propone come un’esperienza plurisensoriale che vuole coinvolgere lo spettatore,
l’oggetto e, in egual modo, la sua narrazione in modo da valorizzare tutti questi aspetti. Il
concetto di valorizzazione è fondamentale in quanto tiene conto del manufatto non solamente
come oggetto ma anche come custode di una storia da raccontare nel modo più veritiero,
efficace e accessibile. L’apparato tecnologico utilizzato è parte integrante dei passaggi narrativi
ed espostivi e ha la funzione di raccontare questa storia in maniera attiva e coinvolgente,
facilitando la comprensione.
Nella fase di progettazione, infatti, è stata ben presente l’idea di come l’esperienza debba
essere accessibile a quante più persone possibili, partecipativa attraverso un approccio museale
di tipo inclusivo con la realizzazione di dispositivi tecnologici integrati nell’oggetto esposto e
“Touch”, in modo da dare la possibilità di toccare e acquisire. La mediazione tra oggetto e
visitatore e tra oggetto e spazio diventa uno dei soggetti principali del lavoro, con la
consapevolezza che architettare la narrazione di un oggetto in modo comunicativo e
rappresentativo, significa anche progettare la relazione tra individuo e oggetto.
Lo spazio viene plasmato come una scultura e le soluzioni architettoniche diventano esse stesse
centrali nell’attrarre la fruizione tanto quanto le opere esposte. Se prima l’allestimento era il
mezzo per garantire le più adeguante condizioni di visione, ora, parafrasando il sociologo
canadese McLuhan, il medium diviene esso stesso messaggio. Le tecniche di modellazione
tridimensionale, sono in grado di simulare effetti di “immersione” e interazione del visitatore
in una realtà interamente ricostruita. La nuova tecnologia della realtà virtuale riproduce la
percezione del reale in modo molto più efficace del cinema e della fotografia, ma a differenza
di questi, non ha bisogno di basarsi sulla realtà fisica e materiale delle immagini che permette
di percepire. Come indica il nome stesso virtualis, “potenziale”, la realtà virtuale è una
tecnologia il cui valore risiede nel mostrare come apparirebbe alla percezione di un osservatore
libero di muoversi, qualcosa che non c’è in realtà, ma che potrebbe esistere. È quindi possibile
restituire contesti perduti, ricostruire opere e monumenti distrutti, disporre le diverse opere
d’arte nelle sedi di provenienza ammirandole, così, nel loro contesto originario.
Il progetto multimediale “Krokódeilos nel XXI Secolo” ha lo scopo di restituire un valore
storico ed estetico di un oggetto in un’unica esperienza di visita museale. L’obbiettivo
principale non è quello di mettere l’oggetto scelto per la causa in primo piano rispetto all’intera
collezione, ma piuttosto valorizzarne la storia contenuta in esso e accrescere la conoscenza
nello spettatore. La strategia esplicata nella seguente relazione ha l’imperativo di comunicare
con efficienza le informazioni, avvalendosi di strategie che soddisfino i bisogni e le aspettative
di un vasto target di pubblico. L’accessibilità a questa tipologia di esperienza virtuale è senza
prerogative. Il pubblico è libero di fruire con il sistema multimediale sfruttando la sua
compagine di facile utilizzo e intuizione. La grandezza dello spazio espositivo permette inoltre
di scegliere in completa autonomia quali gesti compiere e come. In questo caso, anche
eventuali disabilità vengono colmate: ad esempio il sistema di ricostruzione 3D ha una
funzionalità tattile fondamentale per persone affette da ipovedenza o completa cecità, e la loro
fruizione con l’oggetto viene maggiormente ampliata grazie alle risposte audio che vengono
generate. Dai più grandi fino ai piccini, il progetto utilizza un linguaggio semplice e di facile
comprensione, grazie anche all’utilizzo di sistemi multimediali conosciuti dalla maggior parte
degli utenti.
Il risultato finale che il progetto si prefigge è quello di consegnare ai posteri la storia insita
all’interno di un oggetto museale. La semplice didascalia tradizionale risulta essere solo la
punta di un grandissimo iceberg che ha l’obbligo morale di emergere e mostrarsi nella sua
magnificenza. Qui lo spettatore abbatte la distanza immateriale generata da qualsiasi oggetto
esposto, diventa pienamente attivo, annulla il tempo storico e ne assapora l’essenza. Il reale si
mescola al virtuale, le tracce degli esseri viventi prendono vita.
La “Mummia di Coccodrillo” al MANN risponde con eleganza alle richieste che hanno dato
vita a questo progetto. La maestosità della sagoma, solo apparentemente racchiusa in una teca
di vetro, si riversa in una storia che infrange la collezione museale e chiede di esser narrata.
Biografia
- “Dai musei di collezione ai musei di narrazione”, P. Rosa - Studio Azzurro
- “Design delle narrazioni per il patrimonio culturale”, R. Trocchianesi
- “Violenza del Virtuale”, J. Baudrillard
- “Quaderni della Valorizzazione”, NS 4, G. Cetorelli, M.R. Guido
- “L’arte fuori di sé”, A. Balzola, P. Rosa
Sitografia
- https://www.museoegizio.it/esplora/appuntamenti/la-biografia-delloggetto-christian-greco/
- https://www.projectorcentral.com
- https://www.archeostorie.it/archeologia-invisibile-le-mummie-ai-raggi-x
- https://www.facebook.com/watch/live/?v=452698195436619&ref=watch_permalink
Immagini
Fig. 1
Fig. 2
Fig. 3
Fig. 4
Fig. 5
Fig. 6
Fig. 7
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