UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA Dipartimento di Agronomia Animali Alimenti Risorse Naturali e Ambiente Dipartimento di Biologia Corso di laurea in Scienze e tecnologie agrarie Tecniche molecolari per la caratterizzazione di peptidi ormonali e loro recettori coinvolti nella maturazione di frutti di pesco Relatore Prof. Livio Trainotti Correlatore Dott. Umberto Salvagnin Laureando Pietro Carraro Matricola n. 1091626 ANNO ACCADEMICO 2016/2017 2 INDICE ABSTRACT ..........................................................................................................................................5 1. INTRODUZIONE ........................................................................................................................ 7 1.1. L’etilene e l’auxina nel processo di maturazione del frutto .......................................... 7 1.2. Gli ormoni vegetali e gli ormoni peptidici ....................................................................... 9 1.3. Gli ormoni peptidici ............................................................................................................ 9 1.4. I recettori degli ormoni peptidici..................................................................................... 11 1.5. La maturazione del pesco ................................................................................................. 13 1.6. I peptidi in pesco e i loro putativi recettori/co-recettori ............................................... 13 2. SCOPO DEL LAVORO ........................................................................................................... 17 3. MATERIALI E METODI........................................................................................................ 19 3.1. Soluzioni e terreni ............................................................................................................. 19 3.2. Ceppi batterici e materiale vegetale ................................................................................ 21 3.3. PCR ..................................................................................................................................... 21 3.4. Purificazione dei prodotti di PCR ................................................................................... 23 3.5. PCR Colony ....................................................................................................................... 23 3.6. SOE PCR ............................................................................................................................ 24 3.7. Aggiunta di adenine sporgenti a prodotti di PCR con estremità piatte ...................... 26 3.8. TA cloning, clonaggio dei prodotti di PCR in vettori Pcr8/GW/TOPO .................... 26 3.9. Digestione del DNA plasmidico ..................................................................................... 27 3.10. Trasformazione di Escherichia coli per elettroporazione ............................................ 28 3.11. Purificazione del DNA plasmidico (Miniprep) tramite lisi alcalina........................... 28 3.12. Clonazione con il sistema Gateway ................................................................................ 30 3.13. Creazione di vettori pBiFC .............................................................................................. 31 3.14. Trasformazione di Agrobacterium tumefaciens per shock termico ............................ 31 3.15. Trasformazione transiente di Nicotiana benthamiana ................................................. 32 3.16. BiFC .................................................................................................................................... 33 3.17. Trasformazione stabile di Nicotiana tabacum............................................................... 34 3.18. Trasformazione stabile di Solanum lycopersicum ........................................................ 34 3.19. Trasformazione stabile di Arabidopsis thaliana ........................................................... 35 3.20. Saggi istochimici GUS ..................................................................................................... 36 3 4. RISULTATI ................................................................................................................................ 37 4.1. Vettori ottenuti ................................................................................................................... 37 4.2. Linee vegetali trasformate ................................................................................................ 40 4.3. Test del protocollo di agroinfiltrazione .......................................................................... 41 5. CONCLUSIONI E PROSPETTIVE FUTURE .................................................................. 43 6. BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................................ 45 4 ABSTRACT Lo studio dei peptidi ormonali sembra fondamentale per comprendere i meccanismi biochimici che regolano la maturazione del frutto. Nel caso di Prunus persica sono stati identificati diversi peptidi ormonali (tra cui CTG134, CTG512 e CLEL27) che potrebbero essere coinvolti nel processo di maturazione della drupa, in particolare come regolatori del dialogo auxina-etilene. L’identificazione di tali peptidi è stata possibile in seguito ad esperimenti di microarray e qRTPCR che hanno evidenziato l’aumento dell’espressione di alcuni geni durante la fase finale di maturazione, in particolare durante le fasi S3II e S4I (Trainotti et al., 2003; 2006). L’espressione dei geni che codificano questi peptidi risponde positivamente a trattamenti separati con auxina e 1-MCP, una molecola che si complessa con i recettori dell’etilene e blocca l’effetto esercitato dall’ormone. Essendo sensibili tanto all’auxina, quanto alla mancanza di etilene, questi geni risultano essere degli ottimi candidati per una possibile funzione di cross-talk tra i due fitormoni. Nel laboratorio del professor Trainotti è in corso l’identificazione di un sistema a tre unità (recettore/co-recettore/ligando) in grado di percepire il peptide. Nel genoma di Prunus persica sono stati identificati i geni codificanti per tre peptidi ormonali, sette recettori e tre co-recettori, probabilmente coinvolti nel processo di maturazione della pesca. In questo lavoro sono stati clonati cinque recettori e tre co-recettori in vettori pBiFC e sono state create linee vegetali stabilmente trasformate esprimenti il peptide ormonale CLEL27. Le piante utilizzate per le prove in vivo sono state Arabidopsis thaliana, Nicotiana tabacum, Nicotiana benthamiana e Solanum lycopersicum. Tabacco e pomodoro appartengono alla famiglia delle Solanacee, il pomodoro in particolare viene utilizzato come modello per lo studio dei frutti climaterici, Arabidopsis invece appartiene al clade delle rosoidee ed è quindi evolutivamente più vicina al pesco nonostante non produca un frutto carnoso. In futuro verranno testate mediante fluorescenza diverse combinazioni di recettore, co-recettore e peptide per osservare se vi sia un’interazione dominio-specifica e, una volta identificata la tripletta funzionale, si andrà ad osservare cosa comporta una deregolazione del complesso in pianta. Il lavoro futuro sarà dunque costituito dal confronto fenotipico tra linee wild tipe e linee trasformate. 5 6 1. INTRODUZIONE 1.1 L’ETILENE E L’AUXINA NEL PROCESSO DI MATURAZIONE DEL FRUTTO L’etilene è un ormone vegetale di natura gassosa, fondamentale per molti processi fisiologici che regolano lo sviluppo delle piante. Questo fitormone è coinvolto nella maturazione dei frutti, nella risposta allo stress, nello sviluppo delle plantule (effetto noto come triplice risposta), nell’espansione radicale e nella senescenza ed abscissione di foglie, fiori e frutti (Johnson e Ecker, 1998). Per quanto riguarda la maturazione del frutto, il principale argomento discusso in questa tesi, è oggi noto che nei frutti (in particolar modo nei frutti climaterici) l’etilene svolge un’importante azione catalitica sulla reazione di respirazione, permettendo la conversione di amido in zuccheri semplici e attivando l’accumulo di sostanze aromatiche e di metaboliti secondari. Inoltre, l’etilene modifica l’espressione di molti geni codificanti per enzimi che determinano il rammollimento della polpa e l’accumulo di pigmenti, come carotenoidi e antociani (Giovannoni, 2004). La sintesi dell’etilene avviene a partire dall’amminoacido metionina, questo viene convertito in S-adenosil-L-metionina (SAM) e successivamente, grazie all’enzima ACC-sintasi (ACS), in Acido 1-ammino-ciclopropan1-carbossilico (ACC; questo è generalmente il passaggio limitante). L’ACC viene infine convertito in etilene grazie all’enzima ACC-ossidasi (ACO) (Figura 1). Figura 1. Schema semplificato della biosintesi dell’etilene (tratto da Van de Poel e Van Der Straeten, 2014). Questo processo è soggetto ad un gran numero di regolazioni tra cui autocatalisi e feedback positivo operate dallo stesso etilene, fattori ambientali (in particolar modo stress abiotico e 7 biotico) e livelli variabili di auxina. La regolazione della via inoltre avviene sia a livello trascrizionale che a livello post traduzionale. Nonostante sia nota in dettaglio la via biosintetica che porta alla formazione di etilene, la comprensione della via di segnalazione di questo ormone rimane ancora non completamente conosciuta. La prova che l’etilene è fondamentale nel processo di maturazione viene da Oeller et al (1991) che ha creato mutanti di pomodoro anti senso per il gene ACS. Le piante producevano molto meno etilene rispetto alle line wild type e mostravano un blocco della maturazione. Negli anni successivi sono stati isolati altri mutanti di pomodoro, omozigoti per i loci Ripening-inhibitor (Rin), Non-ripening (Nor), Never-ripe (Nr) e Green-ripe (Gr), che mostravano alterazioni nel processo di maturazione. Quasi tutte le loro mutazioni erano in geni legati all’etilene (soprattutto ai suoi recettori), tuttavia sono stati identificati alcuni geni (MADS-RIN e altri fattori di trascrizione) associati alla maturazione ed in parte indipendenti all’etilene (Giovannoni 2007). L’auxina è un altro fitormone che regola lo sviluppo dei frutti carnosi. Assieme all’etilene regola il processo di abscissione, controlla la divisione e l’espansione cellulare del frutto e recenti osservazioni hanno confermato che è in grado di stimolare la biosintesi dell’etilene aumentando la trascrizione dei geni ACS. Già nel 1987 venne osservato un aumento di produzione di auxina nel mesocarpo di pesca in concomitanza alla produzione di etilene (Miller et al.,1987). Seguendo l’ipotesi che l’auxina potesse svolgere un ruolo autonomo nel processo di maturazione, sono stati identificati diversi geni legati al metabolismo dell’auxina la cui espressione aumenta all’inizio della maturazione del frutto (Trainotti et al., 2007). Anche in pomodoro si è osservato un aumento d’espressione di geni codificanti per proteine IAA e ARF (Auxin Response Factors) durante il processo di maturazione, ad ulteriore conferma del ruolo centrale svolto da quest’ormone (Jones et al., 2002). Studi sulla repressione di un fattore di risposta all’auxina (SI-ARF4) in pomodoro hanno evidenziato come un’incapacità del frutto di percepire l’auxina porti ad una maggior rigidità strutturale del pericarpo e ad una durata di conservazione prolungata (Sagar et al., 2013), risultato che conferma il ruolo di quest’ormone nella regolazione della maturazione. Considerando che auxina ed etilene possono influenzare a vicenda la loro biosintesi e distribuzione, come nel caso dello sviluppo radicale di Arabidopsis (Clark et al., 1999) o lo sviluppo degli ipocotili di pisello (Yeong-Biau et al., 1978), è opportuno considerare che processi come la maturazione siano possibili grazie a complessi dialoghi ormonali, principalmente tra auxina e etilene, piuttosto che all’azione individuale di diversi ormoni. Dati preliminari raccolti nel laboratorio del professor Livio Trainotti sembrano individuare negli 8 ormoni peptidici apoplastici (PHs), simili ai già identificati geni di Arabidopsis ROOT GROWTH FACTOR/GOLVEN (RGF/GLV) (Matsuzaki et al., 2010; Whitford et al., 2012), i possibili mediatori del cross-talk tra auxina e etilene (Tadiello et al., 2016; Busatto et al., 2017). 1.2 GLI ORMONI VEGETALI E GLI ORMONI PEPTIDICI Gli organismi multicellulari utilizzano particolari molecole di segnalazione intercellulari, dette ormoni (dal greco hormân = stimolare), per coordinare il loro sviluppo, la loro crescita e il loro metabolismo. Nelle piante superiori i principali ormoni vegetali sono riconducibili a nove classi: auxine, gibberelline, citochinine, etilene, acido abscissico, jasmonati, brassinosteroidi, strigolattoni e acido salicilico. In passato si riteneva che l’insieme di queste corte molecole per lo più lipofile potesse regolare l’intero organismo vegetale, tuttavia a partire dagli anni novanta alcuni studi biochimici e genetici hanno individuato un’altra classe di ormoni, gli ormoni peptidici. Nel 1991 fu indentificata la Sistemina (Systemin), il primo ormone vegetale riconosciuto come polipeptide, implicato nella risposta alla ferita come attivatore di difese nelle Solanacee (Pearce et al., 1991). Più recentemente sono stati identificati altri importanti ormoni peptidici coinvolti in attività biochimiche come l’organizzazione meristematica, la crescita delle radici, l’auto-incompatibilità (SI), l’espansione fogliare, lo sviluppo degli internodi e l’abscissione degli organi (Matsubayashi et Sakagami, 2006). Il campo della ricerca sugli ormoni peptidici vegetali è quindi relativamente giovane e potrebbe essere la chiave per comprendere con più chiarezza i meccanismi che coordinano lo sviluppo vegetale. Una sostanziale quantità di questi peptidi viene secreta come segnale locale ed è riconosciuta dalla cellula bersaglio grazie a specifici recettori chinasici di membrana. Quest’ultimi sono la più grande famiglia di recettori delle piante, da ciò consegue che la segnalazione peptidica interviene nella regolazione di molteplici funzioni biochimiche fondamentali, possibilmente attribuite in passato agli ormoni vegetali tradizionali. 1.3 GLI ORMONI PEPTIDICI Come discusso nel paragrafo precedente, solo in tempi recenti è stato individuato il gruppo degli ormoni peptidici, piccole molecole composte da corte catene amminoacidiche che partecipano alla crescita e allo sviluppo delle piante. Oggi più di una dozzina di peptidi sono riconosciuti come ormoni vegetali (Matsubayashi, 2010) e tra gli innumerevoli compiti svolti da queste molecole, il loro ruolo nel processo di comunicazione cellula-cellula risulta il più studiato. I peptidi possono essere originati da precursori di natura proteica o tradotti 9 direttamente da RNA e, vista la difficoltà nel predire geni codificanti piccoli peptidi da sequenze genomiche, la classificazione di queste molecole si basa sulla natura del proprio precursore. Troviamo quindi tre grandi famiglie di ormoni peptidici: (a) non derivati da precursore proteico (tradotti direttamente da mRNA); (b) derivati da precursore funzionale; e (c) derivati da precursore non funzionale (Figura 2). Figura 2. Principali vie di biosintesi degli ormoni peptidici vegetali (tratto da Tavormina et al., 2015). Solitamente i peptidi che intervengono nella comunicazione intercellulare sono secreti e derivano da precursori proteici non funzionali, che necessitano di alcuni passaggi di maturazione (ad esempio tagli proteici) per raggiungere la conformazione finale attiva. La famiglia di peptidi derivati da precursori non funzionali comprende tre gruppi di molecole: i peptidi modificati post-traduzionalmente (PTM), i peptidi ricchi di cisteina (cys-rich) ed infine i peptidi non cys-rich e non PTM (Figura 2). La categoria dei PTM comprende il maggior numero di peptidi e risulta la più studiata; queste molecole partecipano alla comunicazione intercellulare, al mantenimento delle cellule meristematiche allo stato indifferenziato e alla risposta a stress abiotici e biotici. I PTM maturi sono in genere di ridotte dimensioni (entro le 20 unità) e per risultare attivi devono subire modifiche quali idrossiprolinazione, solfonazione della tirosina e glicosilazione (Matsubayashi e Sakagami, 2006). La sequenza amminoacidica del peptide maturo risulta altamente conservata 10 entro le varie famiglie, al contrario la sequenza della preproteina che non corrisponde al peptide maturo è poco conservata (sequenze segnale N-terminale o sequenze di ancoraggio vengono rimosse). Tra i PTM più importanti troviamo la famiglia dei RGF/GLV e la famiglia dei CLE. I peptidi RGF/GLV (ROOT GROWTH FACTOR/GOLVEN) sono stati scoperti grazie a mutanti di Arabidopsis che, incapaci di sintetizzare l’enzima tirosin-protein-sulfotransferasi (TPST), mostravano uno sviluppo radicale notevolmente limitato (Matsuzaki et al., 2010). Ulteriori studi hanno confermato il ruolo degli RGF/GLV nel mantenimento della nicchia staminale e nella divisione cellulare all’interno del meristema radicale (Zhou et al., 2010), tuttavia l’individuazione di geni RGF/GLV espressi anche in tessuti esterni al meristema radicale (Meng et al., 2012; Leasure e Zheng-Hui, 2012) complica la determinazione della loro funzione biologica. Gli ormoni vegetali CLV3 e ESR condividono una parte della loro sequenza peptidica con diverse proteine vegetali, 32 già identificate in Arabidopsis, e sono chiamati collettivamente famiglia CLE (CLAVATA-LIKE) (Cock et McCormick, 2001). I CLE sono molecole segnale utilizzate da entrambi i meristemi primari delle piante (sebbene quest’ultimi siano funzionalmente, morfologicamente ed evolutamente distinti) per organizzare la loro dimensione, posizione e funzione ed è stato osservato un loro ruolo anche in meristemi secondari, in particolare nel blocco dello sviluppo dei vasi xilematici (Hirakawa et al., 2008) e nell’embriogenesi (Fiume et Fletcher, 2012). Sembra che la segnalazione basata sui CLE sia un’antica via di comunicazione coinvolta nelle decisioni di differenziamento all’interno di gruppi di cellule staminali (Leasure e Zheng-Hui, 2012). 1.4 I RECETTORI DEGLI ORMONI PEPTIDICI Negli ultimi anni sono stati identificati recettori per tutti gli ormoni vegetali classici ed è stato raggiunto un enorme progresso nel chiarire i meccanismi della loro percezione. Tali studi hanno però riguardato solo in parte la percezione degli ormoni peptidici, ambito di studio ancora innovativo nella biochimica vegetale. I recettori dei peptidi ormonali sono proteine transmembrana appartenenti alla grande famiglia degli LRR-RLK (leucine-rich repeat receptor-like kinase). Questi recettori presentano una regione N-terminale extracellulare ricca in leucina (dominio LRR) e una Ser/Thr chinasi sul lato citoplasmatico (dominio RLK) (Figura 3). Per risultare funzionali, la maggior parte dei recettori peptidici devono presentare sia il dominio recettoriale LRR che il dominio per la trasduzione del segnale RLK. I domini LRR finora identificati sono sempre risultati coinvolti nell’interazione proteina-proteina o proteina11 peptide: la specificità di tali interazioni è dovuta alle divergenze delle sequenze al di fuori del consensus core dei motivi LRR, che permettono una grande eterogeneità delle strutture terziarie (Azfal et al., 2008). Figura 3. Struttura di un recettore appartenente alla famiglia RLK. SP = peptide segnale, LRRs = motivi ricchi di leucina, TM = dominio transmembrana (tratto da Matsubayashi et al., 2002). Si presume che la maggior parte delle centinaia di LRR-RK nelle piante agisca in modi simili: il ligando si lega al sito LRR del recettore e attiva il dominio chinasico che innesca una serie di risposte mediante la fosforilazione di proteine su residui di Ser o Thr (Shiu e Bleecker 2003). Figura 4. Modello dell’interazione recettore-ligando in proteine LRR-RK. A) WA-21 richiede una proteina accessoria per risultare stabile. B) RLK5 fosforila dopo la formazione di un dimero. C) CrRLK1 autofosforila senza la formazione di un oligomero. D) PTO non possiede un sito di legame extracellulare e si lega direttamente con AvrPTO. E) Gli RLKs funzionano in associazione tra loro. F) Gli RLPs possono funzionare tramite interazione diretta con un RLK. G) L’ipotesi “di guardia” propone un’interazione diretta tra la proteina di avirulenza e la proteina di resistenza R (tratto da Afzal et al., 2008). 12 Attraverso lo studio dei meccanismi d’interazione recettore-ligando si è giunti alla conclusione che il riconoscimento dei peptidi ormonali avvenga nella maggior parte dei casi grazie alla presenza di due o più recettori di tipo LRR-RK che formano un complesso nella membrana plasmatica. Un esempio è il meccanismo di riconoscimento dell’ormone CLV3 nel meristema apicale di Arabidopsis thaliana: il cui recettore è infatti formato da un complesso CLV1/CLV2 (Figura 4, riquadro F). 1.5 LA MATURAZIONE DEL PESCO Il frutto del pesco (Prunus persica) è una drupa climaterica che presenta un mesocarpo ben sviluppato e zuccherino a maturazione. La curva di sviluppo di una drupa segue un andamento a doppio sigmoide, con la distinzione di 4 fasi: 1. Fase S1: caratterizzata da una rapida divisione cellulare e da una successiva espansione cellulare che assieme determinano un aumento dimensionale del frutto. Durata media di 2 settimane; 2. Fase S2: in questa fase termina l’espansione cellulare e avviene l’indurimento dell’endocarpo, si forma quindi il nocciolo legnoso che contiene il seme. Anche questa fase dura circa 2 settimane; 3. Fase S3(I-II): riprende l’espansione cellulare, con particolare sviluppo del mesocarpo. Il frutto si porta alle dimensioni finali. 4. Fase S4(I-II): cessa lo sviluppo e si ha la maturazione. In S4I si ha il picco massimo di produzione di etilene da parte del frutto (evento chiamato climaterio, scatena la maturazione). Lo studio dell’espressione genica nel frutto durante le fasi di sviluppo, in particolare nelle fasi S3II e S4I, ha permesso d’identificare numerosi geni, codificanti piccoli peptidi, la cui espressione aumenta durante la maturazione. Successivi trattamenti con auxina ed etilene hanno mostrato variazioni nell’espressione di alcuni di questi geni, sensibili quindi sia allo stadio di maturazione del frutto che ai due fitormoni citati. Proprio questi geni potrebbero essere coinvolti nel processo di cross-talk tra auxina ed etilene. 1.6 I PEPTIDI IN PESCO E I LORO PUTATIVI RECETTORI/CO-RECETTORI Esperimenti di microarray svolti nel laboratorio del professor Trainotti hanno permesso di individuare un gene la cui espressione aumenta sia durante il processo di maturazione, sia in seguito a trattamenti con auxina e 1-MCP (1-metilciclopropene, molecola che blocca l’effetto 13 dell’etilene legandosi ai suoi recettori). Tale gene è il CTG134 (ppa012311) e codifica per un piccolo peptide appartenente alla famiglia dei RGF/GLV (Tadiello et al., 2016). Il profilo d’espressione di questo gene è stato dimostrato tramite qRT-PCR (PCR quantitativa). Poiché l’obbiettivo del progetto è identificare peptidi coinvolti nel processo di cross-talk auxina/etilene, è stato analizzato il profilo d’espressione di più geni codificanti peptidi ormonali, concentrandosi su quelli più espressi durante le fasi S3II-S4I (tra preclimaterio e climaterio). In seguito a questi studi, sono stati selezionati altri due candidati: il gene CTG512 (ppa022084) e il gene CLEL27 (ppa013758, simile ad alcuni CLE recentemente identificati in Arabidopsis). I candidati recettori e co-recettori di tali peptidi sono stati identificati tramite un lungo processo. Nel genoma di Arabidopsis è stata identificata una famiglia di circa 610 geni codificanti proteine RLK (di cui più di 400 putativi recettori transmembrana), suddivisa in sottofamiglie in base all’identità dei loro domini extracellulari (Shiu e Bleecker, 2001; Shiu e Bleecker, 2003) (Figura 5). Figura 5. Rappresentazione delle principali sottofamiglie di recettori RLK. La linea grigia verticale distingue i domini extracellulari dai domini intracellulari. Le sottofamiglie sono definite in base a studi filogenetici del dominio chinasico e sono rappresentate sulla base della struttura più frequente all’interno della sottofamiglia. Le sottofamiglie che presentano domini extracellulari differenti da quello rappresentativo con una frequenza maggiore del 30% sono rappresentate con un asterisco (Shiu e Bleecker, 2001). 14 Tra queste sottofamiglie vi sono geni codificanti recettori e co-recettori di tipo LRR-RK. Mediante la ricerca di sequenze simili a recettori per ormoni peptidici noti di Arabidopsis, è stato possibile trovare geni analoghi nel genoma di Prunus persica. Sono state svolte validazioni bioinformatiche dell’ortologia tramite costruzione e confronto di alberi filogenetici. Visto il notevole numero di geni selezionati in questo modo, sono stati scartati tutti i geni non espressi nel frutto e tra i rimanenti si è visto tramite PCR real-time e qRT-PCR quando e quanto venivano espressi durante il processo di maturazione. Tramite questo complesso sistema di selezione sono stati identificati 10 geni: tre codificanti i co-recettori ppa003078, ppa003444 e ppa002871; e sette codificanti i recettori: ppa000550, ppa001010, ppa002786, ppa023389, ppa001416, ppa025898 e ppa018789. Recentemente sono state osservate le strutture cristalline di complessi recettore-peptide che hanno permesso di comprendere in parte la natura di quest’interazione. Osservando la struttura cristallina di un peptide CLE legato al suo recettore (complesso PXY-TDIF, Figura 6B), si è visto che il loro sito di legame presenta diversi motivi comuni ad altri peptidi e recettori delle stesse famiglie, risultato che suggerisce la presenza di sequenze conservate all’interno dei recettori di tipo LRR-RK (Figura 6C). Questa teoria è rafforzata da precedenti osservazioni del complesso PSK-PSKR che mostravano sequenze altamente conservate addirittura tra specie diverse (Arabidopsis e carota; Wang et al., 2015). Sequenze amminoacidiche conservate potrebbero essere utilizzate per l’identificazione dei recettori di tipo LRR-RK all’interno del genoma di una pianta, risultato che permetterebbe di identificare le coppie recettore-peptide con più semplicità. Figura 6. Struttura cristallina del complesso PXY-TDIF (Zhang et al., 2016). 15 16 2. SCOPO DEL LAVORO Lo scopo della ricerca è iniziare a caratterizzare funzionalmente il peptide CLEL27 (ppa013758) e i rispettivi candidati recettori e co-recettori, con l’obiettivo di identificare la tripletta funzionale recettore/co-recettore/ligando. Nell’ambito del programma di ricerca del professor Livio Trainotti, riguardante la maturazione e la conservazione del frutto, si è proseguito quindi il progetto di creazione di linee vegetali stabilmente trasformate ed esprimenti i geni di peptidi ormonali. Si è inoltre proseguito con il clonaggio di recettori e co-recettori da cDNA di Prunus perscica in vettori pBiFC. Per lo sviluppo di queste fasi sono stati utilizzati materiali in parte già sviluppati nel laboratorio ed è stato possibile giungere alle fasi finali di progettazione prima della parte sperimentale. 17 18 3. MATERIALI E METODI 3.1 SOLUZIONI E TERRENI Terreno LB: − NaCl 10 g/L − Estratto di lievito 5 g/L − Peptone 10 g/L − Agar 15 g/L − pH 7 Terreno YEB: − Saccarosio 5 g/L − Peptone 1 g/L − Estratto di lievito 5 g/L − Estratto di manzo 5 g/L − Agar 20 g/L − MgSO4 (dopo l’autoclave) 0.049 g/L MS: − MS senza vitamine 4,4 g/L − Saccarosio 30 g/L − Plant Agar 6 g/L − pH 5,8 T210: − MS senza vitamine 4,4 g/L − Vitamine B5 112 mg/L − Glucosio 30 g/L − Plant Agar 6 g/L − Zeatina 1 mg/L − Auxina (IAA) 0,1 mg/L − pH 5,8 19 0MS: − MS senza vitamine 4,4 g/L − Vitamine Morel 1000x 1 mL/L − Mioinositolo 0,1 g/L − Glicina 2 mg/L − Glucosio 20 g/L − pH 5,5 MMA: − Sali MS 4,4 g/L − Saccarosio 20 g/L − MES 10 Mm − Silwet L-77 200 µL/L − pH 5,6 TAB1: − MS senza vitamine 2,5 g/L − 6-benzilamminopurina (6-BAP) 1 mg/L − Acido Indol-acetico (IAA) 0,2 mg/L − Saccarosio 30 g/L − Plant Agar 6 g/L − pH 5,8 TAB2: − MS con vitamine 4,4 g/L − 6-benzilamminopurina (6-BAP) 1 mg/L − Acido Indol-acetico (IAA) 0,2 mg/L − Saccarosio 30 g/L − Plant Agar 6 g/L − Kanamicina (dopo l’autoclave) 200 mg/L − Cefotaxime (dopo l’autoclave) 500 mg/L − pH 5,8 20 TAB3: − MS con vitamine 4,4 g/L − Saccarosio 30 g/L − Plant Agar 6 g/L − Kanamicina (dopo l’autoclave) 200 mg/L − Cefotaxime (dopo l’autoclave) 500 mg/L − pH 5,8 Tampone di reazione per il saggio istochimico GUS: − Tampone Sodio Fosfato pH 7 20 mM − EDTA pH8 0.5 M 20 ml/L − TritonX-100 0,1% − K3Fe(CN)6 0,5 mM − K4Fe(CN)6 0,5 mM − Metanolo 20% − X-Gluc (aggiunto prima dell’uso) 0,521 g/L 3.2 CEPPI BATTERICI E MATERIALE VEGETALE Agrobacterium tumefaciens: ceppo AtLBA4404 e GV3101. Escherichia coli: ceppo DH10B. Arabidopsis thaliana: cultivar Columbia 0. Nicotiana tabacum: cultivar Samsung NN. Solanum lycopersicum: cultivar Florida Petit. 3.3 PCR La reazione a catena della polimerasi o PCR è una tecnica che permette di ottenere rapidamente un elevato numero di copie di una sequenza di DNA, sfruttando l’attività catalitica della DNA polimerasi a cicli controllati di temperatura. La PCR amplifica un determinato tratto di un singolo filamento di DNA grazie a specifici inneschi denominati primers. La DNA polimerasi sintetizza DNA in direzione 5’-3’ e può aggiungere nucleotidi sfruttando un 3’-OH libero (reso disponibile dal primer), non può sintetizzare filamenti ex novo e, riconosciuto il primer, estende la sequenza generando un filamento a doppia elica. La PCR sfrutta un termociclatore 21 computerizzato che consente rapidi e precisi cambiamenti di temperatura; vengono svolti in successione più cicli di: denaturazione delle doppie eliche di DNA, annealing (appaiamento) dei primers al DNA ed estensione del DNA ad opera della DNA polimerasi. Le reazioni sono state svolte nel termociclatore GeneAmp PCRSystem 9700 (Applied Biosystems), il numero di cicli e le temperature venivano stabilite in base alla natura e alle dimensioni del prodotto da amplificare, indicativamente il programma era: − 95°C per 2’ − 95°C per 30” − appaiamento alle temperature ottimali per 30” k 35 cicli − 72°C, circa 1’ per ogni kbp − 72°C per 2’ − 20°C + ∞ Per ogni singola reazione di PCR è stata utilizzata la seguente miscela (Go Taq Invitrogen): − DNA (circa 150 ng se genomico, 1 ng se plasmidico) − Buffer 10x 5 µL − MgCl2 50mM 3 µL − dNTPs 1mM 1 µL − oligo For 10 µM 1 µL − oligo Rev 10 µM 1 µL − Taq 5 U/µL 0,125 µL − H20 mQ fino a un volume totale di 25 µL Nelle reazioni PCR per i clonaggi è stata la DNA polimerasi Phusion (New England biolabs) a differenza del tradizionale protocollo con la sola Taq polimerasi, al fine di ottenere amplificazioni più precise. Per verificare l’effettivo successo della PCR si caricano 10 µL della miscela di reazione su gel di agarosio e si esegue un’elettroforesi. Sfruttando la polarità del DNA e un campo elettrico si fanno correre i campioni e si verifica se il loro peso corrisponde a quello atteso. È possibile determinare il peso dei prodotti della PCR osservando il gel sotto raggi UV e confrontando la lunghezza della loro corsa elettroforetica con un marcatore di peso molecolare o Marker PCR. Il colorante fluorescente etidio bromuro, presente nel gel, rendere i campioni visibili sotto i raggi UV. I campioni vengono caricati in pozzetti nel gel di agarosio, con l’aggiunta di blu di bromofenolo per agevolare la loro precipitazione. Il gel di agarosio è immerso in una soluzione 22 tampone di corsa (TAE) e il DNA, sottoposto ad un campo elettrico tramite due elettrodi, migra dal polo – verso il polo +. I prodotti della PCR sono stati osservati con lo strumento Gel Doc XR. L’elettroforesi permette di determinare sia se i prodotti della PCR siano quelli attesi, sia in che quantità siano presenti in base allo spessore della banda fluorescente ottenuta. Essendo il DNA incolore, è necessario aggiungere una sostanza colorata (loading dye) per stabilire quando sia passato un tempo sufficiente per poter osservare chiaramente le bande del gel. 3.4 PURIFICAZIONE DEI PRODOTTI DI PCR Per purificare i prodotti ottenuti dalla PCR è stato utilizzato il kit commerciale EuroGOLD Gel Extraction Kit. Si trasferisce in un tubo da 1,5 mL una soluzione isovolumica di amplificato della PCR e Binding Buffer B2. Il contenuto del tubo viene versato nella colonnina (PerfectBind DNA Column, fornita dal kit) e si centrifuga a 10000 g per 1 minuto. La colonnina presenta una matrice DNA-affine composta da un polimero che si lega in maniera specifica ma reversibile al DNA, grazie ad un’interazione di cariche trattiene il DNA e permette di rimuovere contaminanti e proteine. Dopo aver eliminato la soluzione non trattenuta dalla colonnina, si procede con un lavaggio di 750 μL di CG Wash Buffer e si centrifuga a 10000 g per 1 minuto. Si ripete una seconda volta l’operazione di lavaggio e si asciuga la matrice centrifugando a 10000 g per 1 minuto (dry). Si pone la colonnina su un nuovo tubo da 1.5 mL e si esegue l’eluizione finale aliquotando 30-50 μL di Eluition Buffer. Si centrifuga a 5000 g per 1 minuto e si ottiene il DNA purificato nel tubo da 1,5 mL. 3.5 PCR COLONY La PCR colony è un metodo che consente di verificare la riuscita di un clonaggio analizzando direttamente la colonia, senza dover preparare una Miniprep. È sostanzialmente simile ad una PCR tradizionale, l’unica differenza è che come templato si usano le cellule batteriche stesse, che al primo ciclo di riscaldamento si lisano, liberando gli acidi nucleici in esse contenuti e quindi il DNA che funge da stampo per la polimerasi. Dopo aver fatto crescere le colonie trasformate su un substrato selettivo, si preleva un’aliquota della colonia (possibilmente ai margini) con un’ansa sterile e la si sospende in acqua sterile. Questa soluzione verrà utilizzata come campione della PCR e può essere posta direttamente nel mix di PCR. 23 Per ogni singola reazione di PCR è stata utilizzata la seguente miscela: − Aliquota di batteri − H2O mQ 11,8 µL − Buffer 5 µL − dNTPs 0,5 µL − MgCl2 3 µL − Primers 1 µL − Taq 0,125 µL Una volta terminato il processo, si caricano i campioni sul gel di agarosio come dopo una tradizionale PCR e si osserva il gel sotto raggi UV, verificando la presenza di amplificato. Solitamente non tutte le colonie risultano efficacemente trasformate (positive) e osservando la presenza e l’intensità della banda da elettroforesi si selezionano i cloni migliori. Le colonie che risultano positive alla trasformazione vengono inoculate in coltura liquida, per poter purificare il DNA plasmidico. Sul plasmide purificato verrà fatta un’ulteriore analisi di restrizione. 3.6 SOE PCR La Gene Splicing by Overlap Extension o SOE è una tecnica PCR che consente la creazione di frammenti di DNA ricombinanti in vitro, senza la necessità di siti di restrizione (Horton et al., 1990). I geni dei recettori e co-recettori clonati dal cDNA di Prunus persica avevano dimensioni eccessivamente grandi per poter essere clonati con una singola reazione di PCR, è stato dunque necessario tagliarli in 2 o 3 frammenti. Dopo aver clonato separatamente questi frammenti, si è proceduto alla loro fusione mediante SOE PCR. La SOE PCR è stata svolta utilizzando la DNA polimerasi Phusion (New England Biolabs) che ha attività esonucleasica 3’-5’. L’unione di due geni è possibile grazie all’utilizzo di primers Forward e Reverse disegnati appositamente per la reazione (Figura 7), le estremità 3’ di questi primers devono corrispondere sufficientemente bene all’estremità del templato per consentire l’estensione ad opera della DNA polimerasi. Si utilizzano dunque 2 normali primers esterni e 2 specifici primers interni con sequenze omologhe sovrapponibili. 24 Figura 7. Schema di funzionamento della SOE PCR (tratto da Horton et al., 1990). Miscela generica per ogni singola reazione di SOE PCR: − Phusion HF Buffer 5x 10 µL − dNTPs 10 mM 1 µL − Primer Foreward 1 µL − Primer Reverse 1 µL − DNA frammento 1 5 µL − DNA frammento 2 5 µL − Phusion 4 U/µL 0,5 µL − H2O milliQ fino a volume totale di 50 µL I prodotti di fusione della SOE PCR vengono caricati in un gel di agarosio e si esegue una corsa elettroforetica. Si isola fisicamente la banda d’interesse (tagliando il gel con un bisturi) e si diluisce in 1 mL di Binding Buffer per ogni grammo di gel isolato. Trascorsi 7 minuti a 55-65°C si procede come per una normale purificazione di prodotti di PCR (vedi sopra). 25 3.7 AGGIUNTA DI ADENINE SPORGENTI AI PRODOTTI PCR CON ESTREMITÀ PIATTE L’aggiunta di A terminali alle estremità dei prodotti di PCR è una tecnica utilizzata per consentire il TA-Cloning (tecnica di subclonaggio spiegata nel parafrago successivo). Sfruttando l’attività terminal-transferasica della Taq polimerasi si ottiene un frammento di DNA con una singola deossiadenosina all’estremità 3’-OH. L’aggiunta delle adenine è possibile fornendo come substrato esclusivamente dATPs (anziché i 4 nucleotidi o dNTPs) e prodotti di PCR purificati. La reazione viene preparata in un tubino da PCR: − DNA prodotto di PCR 5-15 µL − MgCl2 3 µL − Taq 0,1 µL − dATPs 3 µL − Buffer 5µ − H2O a volume TOTALE 25 µL L’attività di adenilazione della Taq polimerasi viene protratta per 15 minuti a 72°C nel termociclatore. 3.8 TA CLONING, CLONAGGIO DEI PRODOTTI DI PCR IN VETTORI Pcr8/GW/TOPO I prodotti di PCR addizionati con adenina all’estremità 3’ vengono utilizzati come inserti in vettori linearizzati con timidine sporgenti in posizione 3’-OH. La clonazione è stata realizzata con il kit pCR®8/GW/TOPO® TA Cloning® (Invitrogen) che sfrutta la complementarietà TA consentendo una ligazione rapida e precisa. L’attività ligasica tra inserto e vettore è garantita dall’enzima Topoisomerasi I. Questa proteina è legata alla timina sporgente del vettore con legame fosfodiesterico e, in condizioni opportune, rompe questo legame e utilizza l’energia sprigionata per catalizzare un legame fosfodiesterico tra le catene di DNA di inserto e plasmide, portate in prossimità grazie alle estremità sporgenti (tecnologia TOPO). Per la reazione di TA cloning è stata utilizzata la seguente miscela: − Prodotto di PCR con A sporgenti (inserto) 4 µL − Salt solution 1 µL 26 − Vettore pCR8/GW/TOPO 1 µL La reazione avviene in un tubo Eppendorf da 1,5 mL posto per 30 minuti a temperatura ambiente. Il Plasmide ottenuto tramite TA cloning verrà utilizzato per trasformare Escherichia Coli, ciò può avvenire appena terminato il periodo d’incubazione a temperatura ambiente o successivamente, previa conservazione a -20°C. Ai lati del sito di clonaggio del vettore pCR8/GW/TOPO (Figura 8) sono presenti delle sequenze AttL1 e AttL2 che permetteranno la reazione di ricombinazione LR (Gateway Technology), inoltre nel plasmide è presente un gene di resistenza alla streptomicina che consentirà la selezione delle colonie positive alla trasformazione (crescendo E. coli in un terreno selettivo). Figura 8. Mappa del plasmide pCR®8/GW/TOPO® (tratto dal sito della casa produttrice). 3.9 DIGESTIONE DEL DNA PLASMIDICO Le reazioni di digestione consentono di determinare la correttezza del costrutto grazie all’utilizzo di particolari endonucleasi chiamate enzimi di restrizione. Nel caso del plasmide pCR8::inserto è stato utilizzato l’enzima di restrizione EcoRI per verificare la presenza dell’inserto. Sono state svolte reazioni di digestione da 20 µL genericamente composte da: − Plasmide 8 µL − Buffer 2 µL 27 − Enzima 1 µL − H2O 9 µL La reazione avviene in tubetti da PCR poste nel digestore per circa 1 ora a 37°C (dipende dallo stato di avvolgimento del plasmide e dagli enzimi di restrizione utilizzati). In ogni digestione è presente un controllo negativo privo di enzimi di restrizione e, una volta terminata la reazione, i campioni vengono caricati su gel di agarosio sul quale esegue una corsa elettroforetica. Conoscendo le lunghezze attese di inserto e vettore è possibile verificare se il costrutto sia completo o meno. 3.10 TRASFORMAZIONE DI ESCHERICHIA COLI PER ELETTROPORAZIONE In seguito al TA cloning, i plasmidi ricombinanti ottenuti sono stati introdotti in cellule di E. coli elettrocompetenti DH10B tramite elettroporazione. Lo stock di E. coli viene conservato a -80°C, si preleva un’aliquota di circa 50 µL e la si scioglie lentamente in ghiaccio all’interno di un tubetto Eppendorf. Quando la coltura di batteri elettrocompetenti risulta allo stato liquido si addizionano 2µL del vettore pCR8: inserto e, dopo aver mescolato il contenuto con una pipetta, si pone la coltura in una cuvetta da elettroporazione (realizzata in policarbonato con due elettrodi in alluminio). L’elettroporazione per trasformare cellule elettrocompetenti DH10B di E. coli avviene a 100 Ω di resistenza elettrica e 2500 Volt di differenza di potenziale elettrico. Terminata la trasformazione è opportuno addizionare rapidamente un terreno liquido di crescita (SOC) nella cuvetta e trasferire il contenuto in un tubetto Eppendorf. Il tubetto viene posto in un incubatore a 37°C per circa 1 ora al fine di evitare la morte delle cellule trasformate, sottoposte ad un importante shock elettrico con l’elettroporazione. Terminato il periodo d’incubazione si piastrano differenti volumi della coltura su piastre Petri con terreni LB + spectinomicina, le Petri vengono lasciate nell’incubatore a 37°C per 24 ore e solo le colonie batteriche trasformate potranno accrescersi. Per verificare la correttezza della trasformazione il DNA plasmidico verrà purificato tramite tecnica Miniprep e inviato a sequenziare. Le cellule di E. coli trasformate vengono conservate in stock a -80°C in una soluzione di glicerolo sterile. 3.11 PURIFICAZIONE DEL DNA PLASMIDICO (MINIPREP) TRAMITE LISI ALCALINA La Miniprep è una tecnica che consente di estrarre piccole quantità di DNA plasmidico da batteri trasformati, viene utilizzata in protocolli di clonaggio per l’analisi delle colonie 28 batteriche. Questa tecnica sfrutta il processo di lisi alcalina, ovvero la rottura della parete cellulare batterica tramite l’applicazione di una soluzione con una base forte, in questo caso idrossido di sodio. L’NaOH oltre a lisare le pareti batteriche denatura il DNA alzando bruscamente il pH, il DNA cromosomico si separa completamente mentre gli anelli di DNA plasmidico restano in parte associati come anelli concatenati. La successiva applicazione di un tampone forte (in questo caso acetato di potassio) comporta la rinaturazione del solo DNA plasmidico, consentendo l’eliminazione del DNA cromosomico mediante precipitazione. Per ottenere DNA plasmidico puro si eseguono dei successivi lavaggi con una soluzione bifasica di fenolo:cloroformio:isoamilalcol (25:24:1), in modo che proteine e grassi vengono trattenuti dal solvente organico (fenolo e cloroformio) mentre il DNA resti nella fase acquosa. L’isoamilalcol viene utilizzato per aumentare la tesione superficiale del cloroformio e facilitarne il pipettaggio. La tecnica miniprep consta di 3 fasi: 1. Lisi alcalina: si pongono 2 mL di batteri trasformati in provette Eppendorf, si centrifuga per 5 minuti a 10000 G e si elimina il surnatante. I batteri precipitati (pellet) vengono sospesi in 200 µL di soluzione di risospensione P1 (100 μg/ml RNAsi A; 50 mM TrisHCl, 10 mM EDTA pH 8.0) e successivamente si aggiungono 200 μL di soluzione di lisi P2 (0.2 M NaOH, SDS 1%). Dopo aver agitato delicatamente il tubetto, si aggiungono rapidamente 200 μL di soluzione di neutralizzazione P3 (3.0 M CH3COOK, pH 5.5). Si centrifuga alla massima velocità per 10 minuti ed eliminando il pellet (visibile ad occhio nudo come una sostanza bianca mucillaginosa) si ottiene una soluzione acquosa di DNA plasmidico + impurità organiche. 2. Separazione-purificazione del DNA plasmidico: si preleva il surnatante e si aggiunge una soluzione isovolumica di fenolo e cloroformio:isoamilalcool (24:1). Dopo aver mescolato e centrifugato (13000 giri al minuto per 5 minuti) per separare le fasi, si preleva la fase superiore e si esegue un secondo lavaggio con cloroformio:isoamilalcool (24:1). Dopo aver centrifugato alla massima velocità per 5 minuti si trasferisce il surnatante in una nuova Eppendorf. 3. Precipitazione del DNA plasmidico (Salting out): si addizionano al surnatante 2,5 volumi di etanolo assoluto (EtOH 100%) e, trascorsi circa 15 minuti, si centrifuga a massima potenza per 15 minuti. Si elimina il surnatante e si effettua un lavaggio del pellet con 1 mL di EtOH 70%, dopo aver centrifugato a massima potenza per 5 minuti si elimina il surnatante e si secca il pellet lasciando la provetta aperta sotto cappa chimica. Il pellet portato a secco viene risospeso in 50 μl di H2O deionizzata. 29 Vengono effettuate PCR e digestioni di controllo sul DNA plasmidico purificato per verificare la presenza e la direzione dell’inserto. I campioni così selezionati sono stati inviati all’azienda BMR Genomics dell’Università di Padova per il sequenziamento. 3.12 CLONAZIONE CON IL SISTEMA GATEWAY La tecnologia Gateway® (Invitrogen) è un sistema che permette lo scambio di una specifica sequenza di DNA da un vettore (Entry Clone) ad un altro (Destination Vector), sfruttando le proprietà di ricombinazione sito-specifiche del batteriofago lambda (λ). Le sequenze di DNA da scambiare si trovano tra siti di ricombinazione denominati att, il complesso enzimatico del fago λ agisce proprio su questi siti permettendo il trasferimento delle sequenze. Esistono 2 tipologie di reazioni di ricombinazione con il sistema Gateway®: la BP clonasi, ovvero lo scambio tra siti attB x attP, e la LR clonasi, ovvero lo scambio tra siti attL x AttR. Nel caso del vettore pCR®8/GW/TOPO® l’inserto si trova tra 2 siti attL1 e attL2 e si è quindi effettuata una reazione di LR clonasi con un Destination Vector avente siti di ricombinazione attR1 e attR2. La clonazione è stata eseguita seguendo il protocollo fornito dal kit: in una provetta si addizionano 100 ng di DNA con l’inserto d’interesse, 1 µL di Destination Vector e TE Buffer pH 8 fino ad un volume di 8 µL. Alla miscela si aggiungono 2 µL di Gateway LR Clonase II Enzyme Mix, si agita al vortex e si lascia la provetta a temperatura ambiente per un’ora. Per disattivare gli enzimi e consentire la trasformazione di E.coli con il Destination Vector (definito Expression Clone dopo l’acquisizione dell’inserto d’interesse), si aggiunge 1µL di proteinasi K lasciandola agire per 10 minuti a 37°C. Si trasforma per elettroporazione il ceppo DH10B di Escherichia coli con la soluzione di Expression Clone. Per selezionare i batteri positivi alla trasformazione si esegue una doppia selezione: − Selezione positiva: nel Destination Vector è presente un gene che conferisce resistenza alla kanamicina, crescendo i batteri in terreno selettivo si eliminano i batteri contenenti pCR8. − Selezione negativa: nella sequenza di DNA tra i siti attR del Destination Vector è presente il gene ccdB (control of cell death) che risulta letale per il ceppo di E. coli utilizzato. Ciò consente di eliminare i batteri con vettori che non hanno subito ricombinazione. Dai cloni positivi è stato purificato il DNA plasmidico con tecnica Miniprep, verrà utilizzato per trasformare gli agrobatteri. 30 3.13 CREAZIONE DI VETTORI pBiFC Per creare Destination Vector agroinfiltrabili ed utilizzabili in esperimenti di BiFC sono stati creati vettori ibridi pBiFC tramite una classica reazione di ligazione, avvalendosi dell’enzima di restrizione T4 DNA ligasi (isolata da batteriofago T4). Questa reazione consente di inserire un inserto fosforilato in un plasmide, avvalendosi di estremità complementari e coesive ottenute grazie all’attività degli enzimi di restrizione. Utilizzando come inserto le cassette di 3000 e 3300 pb dei vettori pSAT4 e pSAT5 (definite BiFC-SAT4 e BiFCSAT5) e come scheletro il vettore pGreen sono stati creati i vettori ibridi pBiFC4 e pBiFC5 (Figura 9). I vettori pBiFC vengono utilizzati per esprimere transientemente i recettori e i co-recettori in pianta, al fine di testare tramite fluorescenza le loro interazioni con i peptidi ormonali. Figura 9. Mappa del vettore pBiFC4. 3.14 TRASFORMAZIONE DI AGROBACTERIUM TUMEFACIENS PER SHOCK TERMICO Sono state trasformate cellule batteriche di Agrobacterium tumefaciens (ceppi LBA4404 e GV3101) conservate in stock a -80°C nel congelatore del laboratorio. Le cellule vengono scongelate lentamente in ghiaccio e successivamente si addizionano 0,5-1 µg della soluzione 31 contenente i costrutti con il gene d’interesse. Dopo aver miscelato si procede con un’incubazione di 3 fasi: − 5 minuti in ghiaccio. − 5 minuti in azoto liquido. − 5 minuti in bagno caldo a 37°C. Questi bruschi cambi di temperatura consentono l’acquisizione del DNA plasmidico da parte degli agrobatteri grazie a microlesioni della parete. Terminato il processo d’incubazione si aggiunge 1 mL di terreno liquido YEB alla coltura batterica e si lascia in agitazione per 2-4 ore a 28°C al buio (poiché è un batterio presente nel suolo). Successivamente si piastrano 200 µL di coltura in Petri con un terreno YEB solido contenente gli antibiotici per la selezione dei batteri trasformati (sono state utilizzate kanamicina, gentamicina, rifampicina e tetraciclina). Trascorsi 2 giorni al buio a 28°C si prelevano delle aliquote dalle colonie cresciute e tramite PCR Colony si selezionano i cloni più adatti da utilizzare nelle trasformazioni. Vengono realizzati degli stock di agrobatteri trasformati conservati in glicerolo sterile a -80°C. 3.15 TRASFORMAZIONE TRANSIENTE DI NICOTIANA BENTHAMIANA È stata eseguita una trasformazione transiente in vivo in tabacco mediante agroinfiltrazione. Nel processo d’infiltrazione si è utilizzato un costrutto 35S::YFP per avere un controllo positivo della fluorescenza e testare il protocollo di infiltrazione in questa specie. L’agroinfiltrazione dei geni di recettori e co-recettori avverrà in futuro e consentirà di determinare quali coppie recettore/co-recettore hanno come ligando i peptidi ormonali di nostro interesse. Si preleva un’aliquota di agrobatteri da stock a -80°C (già competenti per il costrutto 35S::YFP) e si inoculano in terreno YEB selettivo. La coltura batterica viene analizzata con uno spettrofotometro per ottenere una coltura finale con un OD600 pari a 0,8 (nel caso di questo esperimento sono stati necessari 2 raddoppi incubando per 2 ore a 37°C). Raggiunta la densità ottimale, si centrifuga e si rispospende il pellet in un tubo Falcon con terreno MMA e acetosiringone 200 µmol/L. La coltura viene incubata per 2 ore a 22°C ottenendo così una coltura adatta all’agroinfiltrazione. Si carica una siringa ipodermica senz’ago con la coltura batterica e la si posiziona sulla pagina inferiore della foglia. Esercitando in modo continuo una lieve pressione sullo stantuffo e opponendo una resistenza con un dito sulla pagina opposta della foglia si fa penetrare la coltura attraverso gli stomi aperti e piccole lesioni. Per ottimizzare l’efficienza del processo è opportuno siringare tra le nervature fogliari di piante ben idratate, in 32 modo tale da ottenere la massima apertura stomatica. Le foglie più estese sono risultate più facili da agroinfiltrare, probabilmente per la presenza di un tessuto spugnoso più sviluppato ed una maggiore quantità di stomi. Le piante infiltrate sono messe a coltivare per almeno 72 ore a 22°C, ad un’umidità dell’80% ed un fotoperiodo di 16 ore di luce. Durante questo lasso di tempo avviene la transfezione ed è possibile verificare la riuscita del protocollo osservando le cellule fogliari al microscopio confocale (le YFP hanno il picco di assorbimento a 514 nm ed emettono una fluorescenza giallo-verde con massimo di emissione a 527 nm). 3.16 BiFC La BiFC (Biomolecular Fluorescence Complementation) è una tecnica che consente la visualizzazione diretta delle interazioni proteiche nelle cellule viventi. Il principio di funzionamento è che due frammenti non fluorescenti di una proteina fluorescente possono dare nuovamente fluorescenza se associati tra loro, e che tale interazione può essere facilitata fondendo i frammenti a due proteine che interagiscono tra loro (Kerppola, 2008). In questo esperimento si sostiene che il peptide CLEL27 sia percepito dalla pianta grazie ad un complesso di recettore/co-recettore/peptide e si sono creati appositi vettori codificanti per recettori e corecettori associati a frammenti di proteine YFP (Yellow Fluorescent Protein). Nelle cellule vegetali trasformate si osserverà una forte fluorescenza giallo-verde solo in caso di effettiva interazione, potendo determinare le triplette funzionali di recettore/co-recettore/peptide. I costrutti pBiFC realizzati durante questo progetto saranno utilizzati in futuro per studiare il meccanismo di percezione del peptide. Figura 10. Rappresentazione schematica della tecnica BiFC. A e B rappresentano i recettori e i co-recettori di cui si vogliono testare le interazioni e YN e YC corrispondono ai frammenti della YFP. 33 3.17 TRASFORMAZIONE STABILE DI NICOTIANA TABACUM Le cellule vegetali di tabacco sono state trasformate stabilmente seguendo il protocollo di Fisher e Guiltinan (1995). Da tabacchi coltivati in vitro sono state recise foglie non danneggiate di circa 5-7 cm di diametro e, lavorando sotto cappa biologica, sono stati rimossi i piccioli fogliari. Si sono poi effettuati dei tagli longitudinali con un bisturi sterile lungo la pagina fogliare (circa 6-8 tagli per foglia, paralleli alla nervatura centrale). Le foglie sono state immerse per 10 minuti in una coltura di agrobatteri trasformati (inserto con il peptide) e terreno MS liquido, successivamente sono state asciugate con carta sterile e poste sul terreno di coltivazione TAB1 in piastre Petri. Durante questo trasferimento è opportuno che tutta la superficie della pagina fogliare inferiore sia in contatto con il terreno e per questo si utilizzano delle pinzette sterili per scavare dei solchi in TAB1. Si incubano le Petri per 2 giorni a 25°C al buio e successivamente si trasferiscono le foglie in Petri con terreno TAB2, prestando nuovamente attenzione ad una perfetta adesione tra pianta e terreno. In TAB2 solo le cellule trasformate potranno accrescersi e formare un callo germogliante. Dopo aver trascorso alcune settimane in cella climatica a 25°C con 16 ore di luce e 8 ore di buio, vengono selezionati i calli germoglianti (altri circa 1-3 cm) e trasferiti in piastre con terreno di radicazione TAB3. Quando le plantule risultano sufficientemente sviluppate vengono travasate in terriccio e poste in serra. Si effettuano delle PCR di controllo per verificare se le piante esprimono il peptide. 3.18 TRASFORMAZIONE STABLE DI SOLANUM LYCOPERSICUM Per ottenere linee di pomodoro trasformate si sono seguite due strategie: l’inoculo di agrobatteri in cotiledoni e l’inoculo di agrobatteri in ipocotili. Per la semina di pomodoro in vitro, i semi sono stati sterilizzati in una soluzione di H2O deionizzata, candeggina e sapone. Dopo due lavaggi con H2O deionizzata, si asciugano i semi con carta assorbente sterile e si seminano in terreno MS. Nella prima trasformazione sono stati utilizzati cotiledoni di piante al quinto giorno postgerminazione. Due giorni prima della trasformazione gli espianti cotiledonari vengono trasferiti in Petri con terreno T210 fortificato con acetosiringone 200 µM. Le cellule ferite durante il taglio e gli stomi costituiranno i siti d’infezione batterica. Si centrifuga a 4000 giri per 15 minuti una coltura di agrobatteri e YEB liquido, si elimina il surnatante e si inocula il pellet in una soluzione di terreno liquido 0MS e acetosiringone. La coltura batterica viene posta in una piastra Petri e vi si immergono i cotiledoni per 3-5 minuti, successivamente si asciugano gli espianti con carta assorbente sterile e si pongono nuovamente in Petri con terreno T210 + 34 acetosiringone. Le piastre vengono incubate a 25°C al buio per 2 giorni, in seguito si trasferiscono i cotiledoni in terreno selettivo T210 + cetofaxime 500 mg/L + kanamicina 30 mg/L. Dopo circa 2 mesi si trasferiscono i calli germoglianti in terreno di radicazione, quando gli ipocotili risulteranno sufficientemente sviluppati saranno trasferiti in terriccio e posti in serra. La trasformazione degli ipocotili di pomodoro è sostanzialmente simile alla precedente ma la presenza di un’epidermide coriacea rende necessario siringare la coltura di agrobatteri all’interno dei tessuti, al fine di ottenere una trasformazione sufficientemente efficace. Dopo aver immerso gli ipocotili per 5 minuti in una coltura di agrobatteri, MS e acetosiringone, si eseguono 4-5 iniezioni in ogni ipocotile avvalendosi di una siringa da insulina, prestando attenzione a non inoculare bolle d’aria. Successivamente si procede come nel protocollo di trasformazione dei cotiledoni. 3.19 TRASFORMAZIONE STABILE DI ARABIDOPSIS THALIANA Per la trasformazione stabile di Arabidopsis è stata utilizzata la tecnica del Floral dip. (Clough & Bent, 1998). Questa tecnica prevede di immergere sotto vuoto le infiorescenze di A. thaliana in una coltura di agrobatteri. La pressione che si genera permette ai batteri di penetrare negli spazi intercellulari dei germogli fiorali, consentendo di trasformare la pianta direttamente a livello embrionale, senza la necessità di formare un callo germinativo. Le silique prodotte dai fiori inoculati produrranno semi trasformati e da questi si svilupperanno Arabidopsis transgeniche. Per la trasformazione sottovuoto si utilizzano piante di A. thalinana di circa 4 settimane d’età con molte gemme fiorali immature e poche silique, per favorire questa conformazione si pota la prima infiorescenza ottenendo una seconda infiorescenza alta 2-10 centimetri, ricca di gemme fiorali. Si immergono le infiorescenze per 2 minuti in una soluzione di saccarosio 5%, Silwet L-77 0.05% e A. tumefaciens con un OD600 pari a 0.8, all’interno di una campana da vuoto. Si rimuove il vuoto non troppo dolcemente (per favorire l’infiltrazione batterica) e si pongono le piante in sacchetti da autoclave per mantenere un’umidità elevata. Dopo 12-24 ore si rimuovono i sacchetti da autoclave e si pongono le piante in cella climatica fino all’ottenimento delle silique. A maturità si selezionano i semi di Arabidopsis avvalendosi di uno scolino e si sterilizzano in un bagno di EtOH al 70% per 10 minuti in agitazione. Si effettua una seconda sterilizzazione con EtOH al 100% per 5 minuti e si asciugano i semi su carta assorbente sterile. Si semina su Petri e una successiva crescita in terreno selettivo (con kanamicina 40 µg/L) consentirà di selezionare solo le piante trasformate. 35 3.20 SAGGI ISTOCHIMICI GUS I geni reporter sono sequenze di acidi nucleici codificanti per proteine facilmente quantificabili, vengono utilizzati nelle biotecnologie per studiare l’attività di sequenze regolative di un gene o per studiare la localizzazione di proteine. Il gene reporter GUS codifica per la β-glucuronidasi, un enzima che idrolizza glucuronidi incolori in prodotti di colore blu. Questo gene è ampiamente utilizzato come reporter in organismi vegetali poiché l’attività glucuronidasica è scarsa per la maggior parte delle specie, permettendo così di evitare artefatti. Per il saggio istochimico si sono immersi campioni di Nicotiana tabacum agroinfiltrati nel tampone di colorazione e, dopo un vuoto di 20 secondi, si lascia trascorrere la reazione overnight a 37°C. Il giorno seguente si procede alla decolorazione dei campioni immergendoli in una soluzione di acido acetico al 25% in metanolo, i pigmenti vegetali vengono progressivamente degradati e si osserverà una colorazione blu nei tessuti trasformati, di colore tanto più intesto quanto più elevata l’espressione del gene. 36 4. RISULTATI 4.1 VETTORI OTTENUTI I geni dei peptidi ormonali e dei relativi recettori/co-recettori sono stati estratti dall’mRNA del mesocarpo di Prunus persica (durante le fasi di maturazione S3II e S4) e retrotrascritti in cDNA. tramite primers specifici. I cDNA ottenuti sono stati clonati in differenti Destination Vector. Il gene del peptide ormonale CLEL27 è stato clonato nei vettori pHTOP e pGreen (Figura 11B-C) adatti per creare linee vegetali stabilmente trasformate mentre i geni di recettori e co-recettori sono stati clonati in vettori pBiFC (Figura 12B) per testare le loro intereazioni con i peptidi in pianta. Per il clonaggio di CLEL27, nella reazione LR è stato utilizzato il vettore pCR8 (Figura 11A) come Entry Clone e i vettori pHTOP e pGreen come Destination Vector. pHTOP e pGreen sono compatibili sia con E. coli che con A. tumefaciens e hanno differenti meccanismi d’espressione. In pGreen l’inserto viene controllato da un promotore forte e costitutivo (CaMV35S), mentre in pHTOP viene controllato dal promotore sintetico pOp6, un promotore sintetico che necessita dell’attivatore trascrizionale sintetico LhG4 per non risultare silente. Tale differenza è stata utilizzata nella trasformazione stabile delle piante per creare linee che sovra esprimono continuamente il peptide anche in fase di trasformazione/rigenerazione (inserto in pGreen) e linee che sovra-esprimeranno il peptide grazie ad un sistema di trans-attivazione pOp/LhG4 (inserto in pHTOP). 37 Figura 11. Mappe dei vettori CLEL27-pCR8 (A) e CLEL27-pGreen (B). Mappa della regione del T-DNA del vettore CLEL27 pHTOP (C). Per il clonaggio di recettori e co-recettori è stato necessario creare degli appositi vettori ibridi che permettessero di effettuare esperimenti di BiFC (Biomolecular Fluorescence Complementation) in pianta, al fine di testare le interazioni recettore/co-recettore/peptide. Anche in questo caso sono stati utilizzati vettori pCR8 come Entry Clone, mentre per ottenere Destination Vector adatti è stato necessario fondere le caratteristiche di vettori pSAT e pGreen. I vettori pSAT (Figura 12A) sono stati creati per permettere esperimenti di BiFC in pianta, tuttavia non sono utilizzabili in trasformazioni transienti per agroinfiltrazione in serra. Per questo motivo è stato creato un vettore ibrido inserendo la cassetta di espressione del pSAT all’interno del backbone di un pGreen, il vettore pGreen-derivato è stato nominato pBiFC (Figura 12B). 38 Figura 12. Mappa del vettore pSAT5 (A), la cui cassetta di espressione è stata inserita in un vettore pGreen, per creare il Destination Vector pBiFC5 (B). Nello specifico sono stati ottenuti i seguenti vettori: − Il recettore ppa018789 è stato clonato dal cDNA di Prunus persica in due frammenti (primer for1: 5’–ATGCCTGTATATCCATGGCCCCTC-3’; primer rev1: 5’–AATTG GAGAGACACGAGCTGATC-3’; primer for2: 5’–ATACCGCCAGAGATTGGAAA CTGC–3’; primer rev2: 5’-TGCTTGGGTTCCTGACAGATAACCAGCTG -3’) che sono poi stati uniti tramite la tecnica SOE descritta precedentemente. L’intera sequenza codificante è stata purificata da gel e quindi è stata inserita nel vettore pCR8/Topo/GW. Successivamente si è purificato il DNA plasmidico tramite tecnica Miniprep e si è eseguita una clonazione con il sistema Gateway, trasferendo il gene d’interesse da pCR8 ai vettori pBiFC. Si sono ottenuti i vettori ibridi pBiFC4 e pBiFC5 con il gene d’interesse ppa018789, compatibili con Agrobacterium tumefaciens. − I recettori ppa001010, ppa000550, ppa002786 e ppa023389 erano già stati clonati in vettori pCR8. Tramite una reazione di LR clonasi sono trasferiti tutti i geni d’interesse dei 4 recettori da pCR8 ai vettori pBiFC4 e pBiFC5. − Il co-recettore ppa03444 è stato clonato in vettori pBiFC4 e pBiFC5 analogamente al recettore ppa018789. I due frammenti sono stati amplificati da cDNA di pesco con i primer 1for: 5’–ATGTCTGGAGCATTTTCTAGCTGGCATC-3’ e 1rev: 5’–CCTCGG GTGAGCTTTGAGTG-3’ (frammento 1) e 2for: 5’-AACTTGTCACTGGTCAGCGT G-3’ e 2rev: 5’–TGCTCTTGCCTTGGACAATTGTATAGCTTCTTG-3’ (frammento 2). Anche in questo caso i due frammenti sono stati uniti tramite SOE. 39 − I co-recettori ppa002871 e ppa003078 erano già stati isolati e sono stati trasferiti in vettori pBiFC4 e pBiFC5. La conservazione dei vettori ibridi ottenuti avviene congelando a -80°C i ceppi batterici che li contengono, questi sono posti in stock da 1mL composti da 750 µL di coltura batterica trasformata e 250 µL di glicerolo. Rimangono da clonare i recettori ppa001416 e ppa02589 per disporre di tutti i candidati recettori selezionati durante fasi precedenti del progetto. 4.2 LINEE VEGETALI TRASFORMATE Sono state fatte trasformazioni stabili di Arabidopsis thaliana, Nicotiana tabacum e Solanum lycopersicum con la sequenza codificante l’ormone peptidico CLEL27 (ppa103758). La trasformazione è stata mediata da Agrobacterium tumefaciens e il vettore utilizzato è stato pGreen35S::CLEL27 (Figura 11B). Data la difficoltà nell’ottenere rigeneranti in tabacco e pomodoro (Figura 13A-B), o in Arabidopsis piante vitali dopo germinazione su terreno selettivo (Figura 13C), è stato ipotizzato che la sovra espressione costitutiva del gene CLEL27 interferisca con il processo di rigenerazione in vitro o che causi un arresto della crescita. A tale scopo sono state rifatte le trasformazioni di pomodoro e tabacco con il vettore CLEL27pHTOP, che manterrà silente l’espressione del gene finché nelle piante rigeneranti non verrà inserita (tramite incrocio) anche la cassetta codificante l’attore di trascrizione LhG4. L’analisi di queste piante potrà far luce sulla funzione del gene ppa013758 di pesco. Figura 13. Trasformazione di pomodoro e Arabidopsis con pGreen::35SCLEL27. Cotiledoni (A) e ipocotili (B) di pomodoro che non hanno dato rigeneranti. (C) Pianta trasformata di Arabidopsis in terreno selettivo fotografata all’arresto della sua crescita. 40 In futuro sarà possibile inoltre usare i vettori pBiFC contenenti i geni clonati per protocolli di agroinfiltrazione di Nicotiana benthamiana al fine di identificare la coppia di recettore e corecettore che percepisce il peptide CLEL27. In precedenza erano già state create linee stabilmente trasformate esprimenti i peptidi CTG134 e CTG512. 4.3 TEST DEL PROTOCOLLO DI AGROINFILTRAZIONE Essendo stati isolati quasi tutti gli elementi necessari a testare in pianta la percezione dei 3 ormoni peptidici, si è svolto un test del protocollo di agroinfiltrazione che verrà in futuro usato per i pBiFC. Si è agroinfiltrato un costrutto 35S::YFP in Nicotiana benthamiana seguendo il protocollo del paragrafo 3.15. Inizialmente è stato complicato osservare la fluorescenza YFP al microscopio confocale, poiché nelle cellule vegetali la presenza di clorofilla causa un segnale di fluorescenza di base. Selezionando finestre diverse di emissione di fluorescenza è stato possibile distinguere chiaramente la fluorescenza YFP dalla fluorescenza di base della clorofilla (Figura 14). Per validare ulteriormente la riuscita del protocollo si sono effettuati dei saggi istochimici GUS su alcune foglie di tabacco agroinfiltrate, anche questi hanno dato risultato positivo e hanno confermato la riuscita del tentativo di messa a punto. Figura 14. Vista al microscopio confocale di epidermide e mesofillo fogliare di Nicotiana benthamiana agroinfiltrato con un costrutto 35S::YFP. I cloroplasti ( nel mesofillo) sono visibili in rosso e la YFP è visibile in verde (nel citoplasma e nel nucleo cellulare sia dell’epidermide che del mesofillo). 41 42 5. CONCLUSIONI E PROSPETTIVE FUTURE Esperimenti svolti in precedenza nel laboratorio del professor Trainotti hanno permesso di formulare due ipotesi principali riguardo ad una possibile interazione tra etilene e peptidi ormonali selezionati. Linee di Arabidopsis thaliana e Nicotiana tabacum sovraesprimenti il peptide CTG134 hanno mostrato fenotipi ascrivibili all’effetto dell’etilene, implicandone una maggiore biosintesi o una maggiore sensibilità nei suoi confronti. Una maggiore biosintesi dell’etilene implicherebbe un’azione del peptide a monte del processo (stimolando la trascrizione o l’azione catalitica degli enzimi ACC sintasi o ACS e ACC ossidasi o ACO) mentre una maggiore sensibilità implicherebbe un’azione del peptide a valle del processo (a livello dei recettori dell’ormone o durante la via di trasduzione del segnale). Per verificare queste ipotesi saranno svolti esperimenti di gas-cromatografia sul dosaggio dell’etilene e delle qRT-PCR sui geni ACS e ACO, prima e dopo il trattamento di cellule selvatiche con il peptide purificato o confrontando linee wild type con linee che sovraesprimono il peptide. Sono stati clonati i geni degli ormoni peptidici CTG134, CTG512 e CLEL27, i geni dei recettori ppa001010, ppa000550, ppa002786, ppa023389 e ppa018789 e i geni dei co-recettori ppa018789, ppa002871 e ppa003078. Identificato il sistema recettore/co-recettore/peptide, sarà possibile determinare se i peptidi ormonali selezionati sono realmente coinvolti nel processo di cross-talk tra auxina e etilene. Dal punto di vista agronomico lo scopo del progetto è il miglioramento della conservazione post-raccolta dei frutti climaterici, in particolar modo della pesca. Tecniche quali l’anticipo della raccolta, l’utilizzo di atmosfera controllata e la refrigerazione consentono già un notevole prolungamento della shelf-life (letteralmente vita da scaffale) di questi prodotti; tuttavia spesso comportano una perdita delle qualità organolettiche del frutto e danni da freddo (Tanou et al., 2017). Le tecniche di conservazione mirano a rallentare i processi fisiologici e metabolici che portano ad un progressivo deperimento del frutto (in primis la respirazione cellulare). Anche se questi processi sono strettamente correlati alla quantità di ossigeno disponibile e alla temperatura, la loro regolazione è di natura ormonale e una riduzione della sensibilità o della biosintesi dell’etilene consentirebbe una prolungata conservazione. A tale scopo si sta cercando di identificare il principale responsabile del dialogo auxina-etilene nella pesca. 43 44 6. BIBLIOGRAFIA Afzal A. J., Wood A. J. e. Lightfoot D. A. 2008. Plant receptor-like serine threonine kinases: roles in signaling and plant defense. Molecular plant-microbe interactions: 21(5): 507517. Busatto N., Salvagnin U., Resentini F., Quaresmin S., Navazio L., Marin O., Pellegrini M., Costa F., Mierke D. F. e Trainotti L. 2017. 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