Sallustio nasce ad Amiternum in Sabina (odierna L’Aquila), il 1° ottobre 86 a. C., da famiglia facoltosa. Studia a Roma e si avvicina presto al mondo della politica: dapprima fra i populares, in seguito – nel 52 – diventa tribuno della plebe, ma a causa degli scontri avuti con Cicerone e Milone, viene espulso dal senato con l’accusa di indegnità morale. Durante la guerra civile parteggia per Cesare, che gli restituisce un certo slancio in politica: diventa pretore e poi governatore dell’Africa nova, una provincia derivante dal regno di Numidia, una volta del re Giuba. Accusato di corruzione, però, si ritira sotto consiglio di Cesare stesso. Così inizia a scrivere: il Bellum Catilinae e il Bellum Iugurthinum pubblicate tra il 43 e il 40, alle quali fa seguito l’opera incompiuta Historiae (opera cupa e disillusa, che copre il periodo dal 78 e il 67, cioè dalla morte di Silla alla fine della guerra contro i pirati). Sallustio attribuisce alla storiografia una precisa funzione nella formazione dell’uomo di Stato, negandole così un significato autonomo: lo scrittore, attraverso questo particolare genere, opera infatti un’indagine sulla crisi dello Stato romano (in ciò – e nell’esigenza neoterica di opere brevi e stilisticamente raffinate – risiede la motivazione della scelta assolutamente innovativa di un impianto monografico, in quanto si mette così a fuoco un singolo problema storico sullo sfondo di una visione organica della storia romana). Il Bellum Catilinae traccia il ritratto di Catilina: personaggio energico ma depravato, aristocratico ma rovinato dai debiti. Sallustio situa la sua congiura all’interno di uno spazio moralistico, individuando nella descrizione dell’aristocratico ribelle i motivi della crisi politica, ovvero la degenerazione morale della classe dirigente: i facinorosi alleati a Catilina cercano di sfuggire alla miseria o ai tribunali e sono spesso aristocratici corrotti dal dilagare del lusso e delle ricchezze: Catilina aveva infatti cercato di mobilitare i suoi elettori attraverso una logica radicalmente “populista” (per i nostri standard, un populismo di sinistra), intravedendo la possibilità di coalizzare un blocco sociale avverso al regime senatorio, accusato di monopolizzare cariche politiche e ricchezze, e di sfruttare i ceti più poveri e coperti di debiti. Nell’excursus iniziale (archeologia: cfr. Tucidide) Sallustio argomenta che la causa del degrado risiede nella fine del metus hostilis, ovvero il timore verso i nemici esterni, cessato con la distruzione di Cartagine, che tenendo insieme le forze statali aveva fino ad allora conservato gli antichi costumi infondendo paura nei romani. Un secondo excursus, al centro dell’opera, condanna la degenerazione morale a Roma dalla dominazione di Silla fino alla guerra civile fra Cesare e Pompeo: Sallustio condanna entrambe le parti, accusando una (i populares, non esplicitamente Cesare, sebbene ne fosse a capo; anzi: di lui lo storico dà un’immagine legalitaria, purgata da ogni aspetto potenzialmente catilinario, ricostruendo il suo compassionevole appello al senato – contrariamente a Catone, che però viene visto da Sallustio non come un nemico della Repubblica, ma come una forza complementare necessaria a Cesare, in quanto dotato di integritas, severitas, innocentia, qualità da appaiare a quelle più liberali, ovvero la munificentia e la misericordia, ma allo stesso tempo bramose del dittatore – a non condannare a morte i congiurati di Catilina, che secondo Sallustio sono stati mobilitati – sebbene da ragioni anti-aristocratiche comprensibili – da un’imperdonabile corruzione giovanile verso una congiura altrettanto imperdonabile) di essere demagogica nei confronti delle emozioni della plebe e l’altra (il senato) di coprirsi col velo di dignità della classe aristocratica per fare i propri interessi. Da Cesare, dopo la sua vittoria, Sallustio si aspetta una politica autoritaria che ponga fine alla conflittualità sociale rinsaldando la concordia fra i ceti possidenti e restituendo prestigio e dignità a un senato ampliato con uomini nuovi provenienti dall’élite di tutta l’Italia. Anche il Bellum Iugurthinum denuncia la classe dirigente, argomentando che la sua insolenza viene arginata per la prima volta nella guerra contro Giugurta (tra il 111 e il 105). Giugurta (personaggio energico, divenuto pian piano ingiustificabilmente tirannico), dopo essersi impadronito col crimine del regno di Numidia, corrompe l’aristocrazia romana inviata a combatterlo in Africa, concludendo così una pace vantaggiosa. Il luogotenente di Metello, però, e cioè Mario, eletto console per il 107, modifica la composizione delle truppe in Africa, sostituendole con dei capite censi, e – dopo che il re di Mauritania Bocco tradisce Giugurta – lo sconfigge. Sallustio identifica quindi nell’opposizione anti-nobiliare il merito della politica di espansione e della difesa del prestigio romano, indicando in un altro excursus il “regime dei partiti” come la causa della rovina della Repubblica. Ciò nonostante il quadro che definisce Sallustio è deformante: insiste troppo su una concezione negativamente monolitica della nobiltà e trascura l’ala aristocratica favorevole all’interventismo bellico imperialista. Dai discorsi che fa tenere al tribuno Memmio e a Mario, invece, lo storico esalta la “democrazia” romana nella sua lotta contro la classe nobiliare. È comunque importante notare che, nel discorso di Mario, emerge anche l’idea di un’instaurazione di una nuova aristocrazia, cioè della virtus, e non fondata sul sangue (il giudizio che Sallustio dà di Mario è però ambiguo: che con la sua scelta di arruolare dei proletari e di conferire loro sempre maggior potere si possa rischiare di inquinare l’aristocrazia della virtus appena esaltata? È ciò che infatti succederà in futuro). Da un punto di vista stilistico Sallustio condiziona in larga misura l’evoluzione del genere storiografico (come avrebbe voluto fare, ma invano, anche Cicerone): si serve di uno stile del tutto innovativo (inconcinnitas) per quanto concerne la sintassi (cfr. Tucidide; lo stile di Sallustio è infatti paratattico, sintetico, asindeticamente ossessivo e – a tratti – ridondante, antitetico, asimmetrico, variegato nei costrutti), però sempre controllata, producendo così una gravitas austera e maestosa, a cui contribuisce un lessico arcaizzante e la narrazione drammatica di personaggi tragici.