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Fa che non cadiamo in tentazione

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Matteo Munari
‘Fa’ che non cadiamo in tentazione’ (Mt 6,13a).
Interpretazione e traduzione della sesta petizione
del Padre Nostro
Μηδεὶς πειραζόμενος λεγέτω ὅτι ἀπὸ θεοῦ πειράζομαι·
ὁ γὰρ θεὸς ἀπείραστός ἐστιν κακῶν, πειράζει δὲ αὐτὸς οὐδένα
Nessuno, quando viene tentato, dica: Vengo tentato da Dio.
Dio infatti non può essere tentato da cose cattive
e lui stesso non tenta nessuno (Gc 1,13)1.
Se è vero che Dio non tenta nessuno, qual è il senso della sesta petizione
del Padre Nostro? Cosa chiediamo quando diciamo “non indurci in tentazione” (μὴ εἰσενέγκῃς ἡμᾶς εἰς πειρασμόν)? È opportuno abituare i fedeli a
pregare dicendo “non abbandonarci alla tentazione”, così come traduce la versione CEI del 2008? In realtà fin dai primi secoli di vita della Chiesa è nata la
necessità di riformulare o spiegare la petizione per mezzo di una parafrasi
“permissiva” che ancora oggi troviamo in alcune traduzioni moderne spagnole
(no nos dejes caer en la tentación) o portoghesi (não nos deixeis cair em tentação) “non lasciarci cadere in tentazione”2. Per decidere come tradurre la petizione e come spiegarla ai fedeli è necessario rispondere ad alcuni quesiti: in
La traduzione è di p. Giovanni Claudio Bottini (cf. Bottini, Giacomo, 72), al quale è dedicata questa edizione del LA. Colgo l’occasione per ringraziarlo per tutto il prezioso servizio
svolto presso lo Studium Biblicum Franciscanum, come ricercatore, docente e decano della facoltà. In particolare sono a lui grato per avermi prima accolto come studente e poi invitato
come docente. È anche grazie a lui che ho ricevuto il grande privilegio di poter spendere la vita
a servizio della Parola di Dio, qui a Gerusalemme.
2
Per i passi nella letteratura patristica che riportano questa tendenza, cf. Tournay, “Que signifie?”, 304-305; Fitzmyer, “And Lead Us Not”, 265-267. Un esempio di parafrasi permissiva
già si trova in Marcione καὶ μὴ ἀφῇς ἡμᾶς εἰσενεχθῆναι εἰς πειρασμόν “e non lasciare che
siamo indotti in tentazione”. Citazione da Seesemann, “πεῖρα”, 31.
1
Liber Annuus 64 (2014) xx-xx
2
Matteo Munari
questo passo πειρασμός significa prova (tribolazione) o tentazione (istigazione al peccato)? Chi è propriamente l’autore della prova o della tentazione?
Cosa significa εἰσφέρω εἰς πειρασμόν?
Prova o tentazione?
Il primo passo da compiere è quello di scegliere come interpretare
πειρασμός3. Nel greco biblico πειρασμός può avere essenzialmente due significati4. Il primo è quello di “prova”, intesa soprattutto come tribolazione e
il secondo è quello di “tentazione” nel senso di istigazione al male.
Per il primo significato, un esempio si trova in Lc 8,13 e riguarda l’immagine del seme caduto sulla pietra: alcuni hanno ascoltato la Parola e l’hanno
accolta con gioia ma “in un momento di prova (ἐν καιρῷ πειρασμοῦ) si tirano indietro”. I paralleli di Mt 13,21 e Mc 4,17, come corrispettivo di ἐν
καιρῷ πειρασμοῦ hanno γενομένης (δὲ Mt) θλίψεως ἢ διωγμοῦ διὰ τὸν
λόγον “giunta una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola”5.
Questo primo significato ha quindi un’accezione piuttosto neutra riguardo
all’aspetto morale della prova. Altri esempi possono essere trovati in Sir 6,7;
Il fatto che il sostantivo non abbia l’articolo (cf. Ap 3,10) può indicare che si tratti di una
generica prova o tentazione, senza che ci sia un particolare riferimento alla tribolazione escatologica come alcuni sostengono. Cf. Porter, “Matthew 6:13 and Luke 11:4”, 360; Marshall,
Luke, 461. Se da una parte l’assenza dell’articolo non basta per trarre conclusioni certe, dal momento che esso di frequente manca davanti a sostantivi astratti (cf. BDR, § 258), dall’altra è il
contesto prossimo alla petizione che non permette di restringere il campo alla sola prova finale.
Cf. Keener, Matthew, 224.
4
BDAG, 793. Nei Lxx si trovano anche esempi nei quali la “prova” (πειρασμός) ha il senso positivo di dimostrazione dell’intervento di Dio nella storia. Cf. Dt 4,34; 7,19; 29,2. In questi
passi πειρασμός traduce l’ebraico ‫מ ָסּה‬.
ַ In questo articolo non vengono analizzati i passi nei
quali è l’uomo a mettere alla prova Dio, perché non li considero strettamente pertinenti all’argomento trattato. Il sostantivo πειρασμός deriva dal verbo πειράζω il quale a sua volta è denominativo da πεῖρα “esperienza” o “esperimento/tentativo”. Cf. Beekes, Etymological Dictionary, II, 63. Nel greco profano l’uso di πειρασμός è molto raro. Cf. Seesemann, “πεῖρα”, 24.
5
Lc 22,28 riporta un detto di Gesù non presente negli altri sinottici: “voi siete quelli che
avete perseverato con me nelle mie prove (ἐν τοῖς πειρασμοῖς μου)”. Probabilmente in Lc
8,13 la prova indica principalmente la persecuzione (cf. At 20,19). Secondo Seesemann è chiaro che πειρασμός per Lc ha questo senso anche nella preghiera del Signore. Cf. Seesemann,
“πεῖρα”, 31. Per Porter, non solo in Mt 6,13 e Lc 11,4 ma anche in Lc 8,13 si tratta di tentazione più che di prova perché viene presa in considerazione la possibilità di perdere la fede. Cf.
Porter, “Matthew 6:13 and Luke 11:4”, 359. A mio avviso, dal momento che Lc utilizza il termine nelle due accezioni, non è possibile decidere con sicurezza in che modo egli lo abbia inteso in Lc 11,4.
3
̔Fa̓ che non cadiamo in tentazione̓ (Mt 6,13a)
3
27,5.7; Gal 4,14; Gc 1,2; 1Pt 1,6; 2Pt 2,9 e 4,12. Tra i passi citati, Gc 1,2 è
molto interessante perché tratta esplicitamente di prove di “diverso genere”
(ὅταν πειρασμοῖς περιπέσητε ποικίλοις)6. Nel v. successivo viene usato un
sinonimo (δοκίμιον) per chiarire in cosa consiste la positività della pazienza.
Il sostantivo δοκίμιον indica il procedimento mirato a verificare la genuinità
o il valore di ciò che è esaminato. A volte l’accento è posto più sul risultato
che sul processo7.
Il secondo significato di πειρασμός è quello di “tentazione”, intesa come
istigazione al male ed in particolare all’allontanamento da Dio e dalla sua volontà. Si tratta quindi di un’accezione decisamente negativa. In Lc 4,13, che
chiude il racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto, si trova un esempio
chiaro di questo uso. Altri luoghi nei quali πειρασμός sembra essere impiegato in questo senso nella Lxx sono Sir 33,1; 44,20 (l’ebraico nei due vv. è
‫ ;)ניסוי‬1Mac 2,528. Nel NT: Mt 26,41; Mc 14,38; Lc 22,40; 1Tm 6,9; Gc 1,12.
I due principali significati di πειρασμός possono rappresentare due aspetti
di un’unica realtà, la prova della persecuzione comporta anche la tentazione di
rinnegare la propria fede, così come l’istigazione al peccato può divenire
un’occasione per mostrare la propria fedeltà a Dio9.
Quando si tratta di interpretare la sesta petizione del Padre Nostro, diversi
autori scelgono il senso neutro di “prova”10. In questo modo la soluzione sembra teologicamente meno problematica, ma lo è soltanto in apparenza. Chiedere a Dio di non mettere alla prova i suoi figli infatti sembra non comportare
alcun problema per quanto riguarda la bontà del suo essere, risulta tuttavia
problematico rispetto al suo consueto modo di agire e rispetto al messaggio
del NT, secondo il quale la tribolazione pare essere un passaggio obbligato
In 1Pt 1,6-7 il linguaggio è lo stesso: “... è necessario che siate afflitti per mezzo di diverse
prove (ἐν ποικίλοις πειρασμοῖς) affinché la prova (ἵνα τὸ δοκίμιον = l’esito positivo della
prova) della vostra fede ...”. Riguardo alla dipendenza dei due scritti in una direzione o nell’altra cf. Bottini, Giacomo, 161-162.
7
Cf. BDAG, 256; Liddell - Scott, 442. In Gc 1,12 viene ripreso il discorso quando viene
proclamata la beatitudine di chi resiste alla prova/tentazione (ὑπομένει πειρασμόν). Colui che
ha superato la prova (δόκιμος) riceverà la corona della vita.
8
In Sir 44,20 e 1Mac 2,52 viene elogiata la fedeltà di Abramo di fronte alla tentazione. Nella tradizione giudaica si parla di dieci prove/tentazioni di Abramo (cf. m. Av 5,3), l’ultima delle
quali è la richiesta di sacrificare Isacco (cf. TN Gen 22,1). Anche in Eb 11,17 si fa menzione
della prova di Abramo per elogiarne la fede: Πίστει προσενήνοχεν Ἀβραὰμ τὸν Ἰσαὰκ
πειραζόμενος “Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco”.
9
Anche nel caso in cui sia Dio che Satana sono coinvolti, l’intenzione resta sempre opposta:
Dio vuole mostrare il valore dell’uomo, Satana lo vuole annullare. Cf. Allison, James, 147.
10
Cf. Nolland, Matthew, 291-293; Keener, Matthew, 224. Per Keener l’orante chiede che la
prova non conduca alla caduta e quindi che la persecuzione non abbia come esito l’apostasia.
6
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Matteo Munari
per entrare nel regno11. Diversi elementi inducono invece a pensare che vada
preferita l’interpretazione più negativa di πειρασμός12. Nei vangeli di Mt e di
Mc infatti, in tutte le altre occorrenze di πειρασμός e πειράζω, è riconoscibile una chiara connotazione negativa13. Si tratta cioè di passi nei quali il diavolo o gli avversari di Gesù tendono a lui una trappola per farlo cadere. Soltanto Lc impiega il sostantivo e il verbo nelle due accezioni neutra e negativa.
Un elemento ulteriore, a volte sottovalutato, è il fatto che la petizione precedente abbia come argomento la remissione dei peccati14. Chiediamo a Dio di
perdonare i nostri peccati, così come noi già li abbiamo perdonati a coloro che
hanno peccato contro di noi. Guardando poi al futuro chiediamo l’aiuto per
non peccare più, chiediamo cioè di non cadere in tentazione. Tentazione e
peccato sono naturalmente legati e ciò rappresenta un ulteriore elemento che
depone a favore dell’interpretazione di πειρασμός nella sua accezione più negativa di “istigazione al male”. Anche la seconda parte della sesta petizione
poi (Mt 6,13 “ma liberaci dal male/maligno”), sembra chiarire che il significa-
Cf. Mt 7,13-14; At 14,22.
Cf. Luz, Matthew 1-7, 322; Tournay, “Que signifie?”, 301-302. Alla nota n. 7 Tournay
elenca gli autori secondo i quali la tentazione implicita sarebbe principalmente l’apostasia di
fronte alla persecuzione.
13
Cf. Mt 4,1.3.7; 16,1; 19,3; 22,18.35; 26,41; Mc 1,13; 8,11; 10,2; 12,15; 14,38. Per questo
significato in alcuni passi della letteratura patristica cf. 2Clem 18,2: καὶ γὰρ αὐτὸς πανθαμαρτωλὸς ὢν καὶ μήπω φυγὼν τὸν πειρασμόν, ἀλλ᾿ ἔτι ὢν ἐν μέσοις τοῖς ὀργάνοις τοῦ
διαβόλου “Anche (io) stesso infatti, essendo tutto peccatore e non ancora fuggito alla tentazione ma ancora in mezzo agli strumenti del diavolo ...”. Cf. anche il parallelismo tra tentazione
e trasgressione nel Pastore di Herma (Herm 39,7): πάντως γὰρ διὰ πειρασμόν τινα ἢ
παράπτωμά τι, ὃ σὺ ἀγνοεῖς, βραδύτερον λαμβάνεις τὸ αἴτημά σου “è infatti sicuramente
a causa di una tentazione o di una trasgressione che tu ignori, il fatto che tu riceva più lentamente la tua richiesta”.
14
Riguardo al nesso tra Mt 6,12 e 6,13 cf. Betz, The Sermon on the Mount, 405. La petizione
riguardante la remissione dei peccati è quella che più chiaramente rivela l’origine aramaica del
Padre Nostro perché utilizza l’immagine del debito per indicare il peccato. Soltanto in aramaico
e non in ebraico infatti, il sostantivo ‫ חוב‬significa sia debito che peccato (cf. DJPA, 189). Il
doppio significato del termine sta alla base dell’interpretazione della parabola del servo spietato
in Mt 18,23-35. La ripresa del tema del perdono in Mt 6,14-15 e la conclusione della parabola
in Mt 18,35 servono chiaramente a spiegare ciò che in greco non è più evidente e cioè che i debiti di cui si parla sono peccati. Lc ha probabilmente scelto di rendere più chiara la petizione sostituendo i debiti di Mt 6,12 (τὰ ὀφειλήματα) con i peccati in Lc 11,4 (τὰς ἁμαρτίας), ha poi
però dovuto conservare l’immagine dei debitori nella seconda parte per evitare di dover riformulare completamente la frase. Secondo Drake invece Lc avrebbe utilizzato sia la terminologia
del peccato che quella del debito per mantenere i due aspetti inclusi nella richiesta (cf. Drake,
“Did Jesus Oppose the prosbul?”, 242-243). L’autore infatti è convinto che nella petizione si
tratti esplicitamente anche della remissione dei debiti.
11
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to da preferire nel tradurre πειρασμός sia quello di “tentazione”15. Se si accoglie quindi questa interpretazione più negativa di πειρασμός, il senso della
sesta petizione non può essere “non metterci alla prova”. Qual è dunque il suo
significato? Chiediamo a Dio di non tentarci? Gc 1,13, come si è visto, mira a
eliminare dal pensiero del credente l’immagine blasfema di un Dio che spinge
l’uomo al male. Si tratterebbe tra l’altro di un’interpretazione in contrasto con
immagine di Dio del discorso della montagna nel quale il Padre Nostro è
inserito16.
L’autore della tentazione
Diversi passi dell’AT affermano che Dio mette alla prova (‫ ;נסה‬Lxx
πειράζω) i suoi eletti (cf. Gen 22,1; Es 15,25; 16,4 etc.)17. In alcuni, come
Gdc 9,22-24 o 1Sam 16,14-15; 18,10, sembra addirittura che Dio per mezzo
di uno spirito cattivo inciti l’uomo al male18. Col passare dei secoli tuttavia,
almeno in alcune correnti del pensiero ebraico, si comincia ad attribuire la
tentazione a Satana e non più a Dio (cf. 2Sam 24,1 e 1Cr 21,1; Gen 22,1 e
Giub 17,6 etc.)19 e sempre più si distinguono i due sensi di ‫נסה‬/‫ נסי‬in ebraico e
in aramaico e di πειράζω in greco: se il soggetto del verbo è Dio, si tratta di
una prova mirata a saggiare o evidenziare il valore dell’uomo provato, se il
soggetto è Satana, si tratta invece di un incitamento al male e in particolare di
Dal momento che la seconda parte della sesta petizione manca nel parallelo di Lc, Fitzmyer ipotizza che essa rappresenti un primo tentativo di chiarimento della frase che precede.
Cf. Fitzmyer, “And Lead Us Not”, 272. Come risaputo, ἀπὸ τοῦ πονηροῦ può essere interpretato come maschile “dal maligno” (cf. Mt 13,19) o come neutro “dal male” e a sua volta il male
può avere una connotazione morale o semplicemente materiale. Cf. BDAG, 851-852. Quanto
detto vale anche per il termine aramaico ‫ ביש‬o ‫באיש‬, il quale come aggettivo può significare
“cattivo”, “triste”, etc. e come sostantivo “male” o, in stato determinato, “il maligno” cioè Satana, cf. DJPA, 102. Da sola quindi la seconda parte della petizione offre qualche elemento utile
per l’interpretazione ma non ne elimina la complessità.
16
In Mt 5,43-48 Dio è presentato come perfetto nella benevolenza e nell’amore anche verso i
malvagi e gli ingiusti. Ai discepoli è chiesto di imitare il Padre, imparando a dominare aggressività, lussuria, infedeltà, falsità, desiderio di vendetta per giungere ad amare perfino i nemici (Mt
5,21-48). L’immagine di un Dio che spinge al male è qui completamente fuori contesto.
17
Cf. in particolare Sal 26,2 dove è l’orante stesso che chiede di essere esaminato e provato
da Dio. In Gdt 8,25 si trova un invito a ringraziare il Signore perché “ci mette alla prova così
come (ha fatto) anche con i nostri padri” (πειράζει ἡμᾶς καθὰ καὶ τοὺς πατέρας ἡμῶν).
18
Per altri passi nei quali Dio può essere giudicato come il “mandante” del male, anche se
per un fine di bene susseguente, cf. Fitzmyer, “And Lead Us Not”, 262-263. Si noti però che nei
passi citati da Fitzmyer non vengono utilizzati i verbi ‫ נסה‬o πειράζω.
19
Cf. Davies - Allison, Matthew, I, 360.
15
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un suo tentativo di allontanare l’uomo da Dio e dalla sua volontà. Ora è importante notare che in Gc 1,13-14 l’origine della tentazione al male, almeno in
apparenza, non viene attribuita direttamente né a Dio, né a Satana: “ognuno
infatti è tentato dalla propria concupiscenza” (ἕκαστος δὲ πειράζεται ὑπὸ
τῆς ἰδίας ἐπιθυμίας)20. Gc sembra dunque contraddire una tradizione attestata nell’AT e nella letteratura peri-testamentaria secondo cui Dio “mette alla
prova” (πειράζει) i suoi fedeli. In realtà egli si oppone esplicitamente soltanto
all’attribuzione a Dio dell’accezione negativa del verbo πειράζω sottolineando che “Dio non può essere tentato dal male” (ὁ γὰρ θεὸς ἀπείραστός ἐστιν
κακῶν)21. “Dal male/al male” è probabilmente sottinteso nella seconda parte
del v.: πειράζει δὲ αὐτὸς οὐδένα “ed egli stesso non tenta nessuno (al
male)”. In questo modo egli non permette che Dio venga visto come “tentabile” o “tentatore”22.
Le tentazioni di Gesù possono essere interpretate come parte del disegno
divino dal momento che è lo Spirito a condurlo nel deserto. In Mt 4,1 si dice
che Gesù, dopo il battesimo al Giordano, viene condotto “dallo Spirito” (ὑπὸ
τοῦ πνεύματος) nel deserto “per essere tentato” (πειρασθῆναι) dal diavolo
(ὑπὸ τοῦ διαβόλου). In Mt 4,3 il diavolo è chiamato ὁ πειράζων “il tentatore”23, quindi anche se è lo Spirito a condurre Gesù nel deserto per essere tentato24, colui che tenta è il diavolo. In questo passo sembra evidente l’intenzione dell’evangelista di chiarire che la tentazione è parte del piano di Dio ma
che il tentatore è il diavolo. Non si tratta certo di un compromesso tra i due
In Col 3,5 tra gli elementi terreni da mortificare viene elencato anche il “desiderio cattivo”
(ἐπιθυμίαν κακήν). Cf. Herm 1,8: ἡ πονηρὰ ἐπιθυμία. Per una possibile identificazione di
ἐπιθυμία con il concetto di ‫ יצר‬nell’AT e nel giudaismo cf. Marcus, “The Evil Inclination”,
606-621. Riguardo alla storia del concetto rabbinico di inclinazione al bene e al male, cf. Cook,
“The Origin”, in particolare a p. 89 dove viene citato 11Q5 19,15-16 che tratterò più avanti.
Un’affermazione interessante per l’antropologia rabbinica si trova nelle varie recensioni del Tg
palestinese di Gen 4,7. Cf. TFrag ‫“ ובידך מסרית רשותיה דיצרא בישא‬ma ho messo nelle tue mani
(lett. nella tua mano) l’autorità sull’inclinazione al male”. Per possibili paralleli nella letteratura
patristica cf. Rosen-Zvi, Demonic Desires, 36-43 e per l’identificazione nel Talmud dello ‫יצר‬
‫ הרע‬con Satana e con l’angelo della morte cf. b. BB 16a e Milton, “Deliver Us ”, 58.
21
Letteralmente “da mali” quindi da tutto ciò che è male.
22
Sulla dipendenza del pensiero di Gc da Sir 15,11-20 cf. Betz, The Sermon on the Mount,
407-408.
23
Lc 4,3 ha ὁ διάβολος. Il titolo ὁ πειράζων nel NT si trova anche in 1Ts 3,5. Tale titolo
descrive l’attività caratteristica del diavolo (cf. 1Cor 7,5 e Ap 2,10).
24
Anche il participio congiunto πειραζόμενος di Mc 1,13 e Lc 4,2 ha probabilmente valore
finale, cf. Wallace, Greek Grammar, 637. Per altri passi nei vangeli dove il participio di
πειράζω ha valore finale, cf. Mt 16,1; 19,3; 22,35; Mc 8,11; 10,2; Lc 11,16; Gv 6,6; 8,6.
20
̔Fa̓ che non cadiamo in tentazione̓ (Mt 6,13a)
7
ma di un unico evento dal quale ognuno mira a ottenere un diverso risultato25.
Anche questo dato fa pensare che nella sesta petizione non si chieda tanto di
non avere tentazioni, quanto di poter vincere la tentazione nel momento essa
si presenta26. La richiesta seguente di essere liberati dal male/dal maligno
conferma questa interpretazione. La lotta col male è presupposta, il sostegno
nel combattimento è richiesto.
Da questi elementi si comprende che la sesta petizione evidentemente non
mira a placare il desiderio di Dio di tentare al male i suoi figli e che sicuramente non ha il significato di “non tentarci (al male)”. Se μὴ εἰσενέγκῃς
ἡμᾶς εἰς πειρασμόν non significa “non metterci alla prova” né “non tentarci”, cosa viene chiesto a Dio con queste parole?
Aspetto permissivo del causativo e significato
della sua negazione
Ha senso ricorrere a un ipotetico originale semitico per spiegare la difficoltà della sesta petizione? Alcuni autori giudicano tale procedimento come un
puro e semplice sotterfugio per eliminare il problema27, per altri, tra cui il sottoscritto, il fatto che il Padre Nostro sia stato insegnato ai discepoli in aramaico o in ebraico costituisce la soluzione più semplice e ciò è storicamente plausibile. Da qui nasce la necessità di ricercare il possibile senso della frase
prima della sua traduzione in greco. Il primo passo da compiere è quello di
vedere a quale verbo può corrispondere εἰσφέρω in ebraico o in aramaico.
Il verbo εἰσφέρω significa “portare dentro”, “introdurre”, “condurre”, sia
in senso materiale che figurato28. Nella Lxx traduce nella maggior parte dei
casi l’hiph‘il del verbo ‫בוא‬29. Nella versione θ di Dn 6,19 traduce l’haph‘el di
‫עלל‬. Negli altri casi, sia θ che i Lxx traducono l’haph‘el di ‫ עלל‬con εἰσάγω,
sinonimo di εἰσφέρω. Molti sono i casi nei quali l’hiph‘il del verbo ‫ בוא‬viene
tradotto con εἰσφέρω nei Lxx e con l’aph‘el di ‫ עלל‬o di ‫ אתי‬nei targumim. In
sintesi il verbo εἰσφέρω corrisponde quasi sempre a una forma causativa di
Cf. Gb 1,6-12.
Cf. Sir 2,1: Τέκνον, εἰ προσέρχῃ δουλεύειν κυρίῳ, ἑτοίμασον τὴν ψυχήν σου εἰς
πειρασμόν “Figlio, se ti presenti per servire il Signore, prepara la tua anima alla tentazione”.
27
Cf. Fitzmyer, “And Lead Us Not”, 271.
28
Cf. BDAG, 295. Per altri significati cf. anche Liddell - Scott, 497.
29
Secondo il calcolo di Luzarraga, su circa 80 occorrenze, εἰσφέρω traduce 75x l’hiph‘il del
verbo ‫בוא‬. Cf. Luzarraga, El Padrenuestro, 157.
25
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un verbo ebraico o aramaico30. Un verbo causativo può avere, tra le sue valenze, quella compulsiva, permissiva e concessiva31, molto dipende dal contesto e dal rapporto tra il soggetto del verbo e il soggetto dell’azione causata.
Anche in italiano in fondo l’espressione “far entrare” può avere molteplici significati: “introdurre”, “costringere ad entrare”, “permettere di entrare” etc.
Nell’aramaico biblico si trova un esempio in Dn 2,24: ‫ַה ֵע ְלנִ י ֳק ָדם ַמ ְל ָכּא‬
‫וּפ ְשׁ ָרא ְל ַמ ְל ָכּא ֲא ַחוֵּ א‬
ִ “permettimi di entrare dal re e mostrerò al re la spiegazione”. In questo caso l’haph‘el del verbo ‫ עלל‬può avere un carattere permissivo
ed è soltanto il contesto a indicarlo32. Daniele chiede ad Arioc il permesso di
comparire alla presenza del re e non tanto di essere condotto in un luogo a lui
sconosciuto o tanto meno di essere forzato ad entrare33. Arioc è il capo delle
guardie e ha l’autorità per far comparire Daniele alla presenza del re.
Il fatto che le forme causative in ebraico e aramaico possano avere diverse
sfumature non impedisce che esistano formule più chiare per esprimere alcuni
aspetti come quello della permissività. In Es 12,23 infatti si dice ad es. che “il
Signore passerà per colpire l’Egitto e vedrà il sangue sull’architrave e sugli
stipiti, allora il Signore passerà oltre la porta e non permetterà allo sterminatore di entrare (‫)וְ לֹא יִ ֵתּן ַה ַמּ ְשׁ ִחית ָלבֹא‬34 nelle vostre case per colpire”35. Questa
Cf. Luzarraga, El Padrenuestro, 152-162. In queste pagine si trova anche un’abbondate
letteratura sul tema. Luzarraga, come la maggior parte degli autori da lui citati, preferisce ‫ עלל‬al
verbo ‫ אתי‬e sottolinea come de Moor sia il solo a preferire ‫אתי‬. Cf. de Moor, “The Reconstruction”, 411-412. De Moor motiva la sua scelta citando b. Ber 56b: ‫באדרתא מיתת ולא אתית לידי‬
‫“ ניסיונא‬sei morto nella gloria e non sei giunto alla condizione di tentazione”. La scelta di uno
dei due verbi in ogni caso non cambia di molto il significato della petizione. Se dovessi tuttavia
optare per l’uno o per l’altro, preferirei ‫ אתי‬perché quest’ultimo, a differenza di ‫עלל‬, è usato
spesso in aramaico palestinese anche in senso figurato. Luzarraga ha tuttavia ragione nel dire
che dopo la negazione si richiede uno iussivo (‫ )ולא תיתינא‬e non un imperativo come propone
de Moor (‫)ולא איתינא‬. Syc traduce !)*+,-# %&'&‫"! ܬ‬#‫ ܘ‬in Mt 6,13 e !)*+,-# %./‫"! ܬ‬#‫ ܘ‬in Lc
11,4 così come traduce !)*+,-# ‫*ܢ‬./‫"! ܬ‬#‫* ܕ‬#‫“ ܘܨ‬e pregate per non entrare in tentazione”
in Lc 22,46. Questo dato mostra come in siriaco i verbi possano essere impiegati come sinonimi. SyL (Lezionario Siriaco Palestinese) traduce Mt 6,13 %)*+,-# ‫ &'ܢ‬3+/‫"! ܬ‬#‫ܘ‬.
31
Per l’ebraico cf. Waltke - O’Connor, An Introduction, 445-446; Joüon - Muraoka, A
Grammar, 150-152. Le stesse osservazioni credo possano essere applicate all’aramaico.
32
Cf. Jenni, “Kausativ”, 170. Tournay elenca una serie di autori che hanno trattato questo fenomeno in Tournay, “ Ne nous laisse pas ”, 441-442.
33
Normalmente il significato “permettere di entrare” per l’haph‘el di ‫ עלל‬non viene segnalato nei dizionari biblici (cf. BDB, 1106; HALOT V, 1949), Sokoloff invece riporta questa accezione per l’aramaico giudaico palestinese (aph‘el) e per l’aramaico giudaico babilonese
(pa‘‘el). Cf. DJPA, 409; DJBA, 866.
34
TO ‫“ ולא ישבוק מחבלא למיעל‬e non lascerà entrare il distruttore”; TN ‫ולא יתן רשו למחבלא‬
‫“ למיעול‬e non darà il permesso al distruttore di entrare”.
35
Cf. Gen 20,6; 31,7; Es 3,19; Nu 22,13; Gs 10,19 etc.
30
̔Fa̓ che non cadiamo in tentazione̓ (Mt 6,13a)
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costruzione esprime in modo univoco la negazione del permesso di fare qualcosa. Si tratta tuttavia di una costruzione analitica forse meno adatta a una
preghiera composta di petizioni sintetiche come il Padre Nostro.
Oltre alle diverse sfumature espresse da un verbo causativo in ebraico o
aramaico, è di particolare interesse per questo studio la sua negazione. La negazione di un verbo causativo si avvicina in alcuni casi all’idea espressa da un
verbum impediendi: “non permise che” = “impedì che”. Carmignac ha già mostrato, in modo a mio avviso convincente, come la negazione di un hiph‘il può
avere due significati, cosicché l’espressione ‫תוֹרד‬
ֵ ‫ לֹא‬può essere tradotta “non
farai scendere” o “non permetterai che scenda/farai che non scenda”36. Nel
primo caso la negazione è riferita all’omissione dell’azione causante, nel secondo caso si tratta invece di un intervento che impedisce l’azione causata. La
differenza è sostanziale nel caso in cui il soggetto sia Dio e l’azione abbia una
chiara valenza negativa. Tra gli esempi che seguono, alcuni sono già stati analizzati da Carmignac, penso tuttavia che sia bene riportarli e integrarli con alcune osservazioni sulla loro traduzione nei Lxx.
‫וֹתי ָך׃‬
ֽ ֶ ‫אַל־תּ ְשׁ ֗ ֵגּנִ י ִמ ִמּ ְצ‬
ַ֝
‫ל־ל ִ ֥בּי ְד ַר ְשׁ ִ ֑תּי ָך‬
ִ ‫ ְבּ ָכ‬Sal 119,10
Ti ho cercato con tutto il mio cuore; fa’ che non mi allontani dai tuoi
comandamenti.
Letteralmente ‫וֹתי ָך‬
ֶ ‫אַל־תּ ְשׁגֵּ נִ י ִמ ִמּ ְצ‬
ַ
può essere tradotto “non farmi errare lontano dai tuoi precetti”. In questo caso tuttavia è chiaro che la preghiera non è
finalizzata a bloccare l’intenzione di Dio di allontanare l’orante dai suoi precetti. Essa chiede invece l’aiuto di Dio affinché l’orante non si allontani dalla
sua volontà. La Lxx traduce ‫וֹתי ָך‬
ֶ ‫אַל־תּ ְשׁגֵּ נִ י ִמ ִמּ ְצ‬
ַ
con μὴ ἀπώσῃ με ἀπὸ τῶν
ἐντολῶν σου “non respingermi dai tuoi comandamenti”, e in questo modo
sembra non condividere il ragionamento di Carmignac. È possibile tuttavia
che la scelta di un verbo come ἀπωθέω, che non esprime l’idea di deviazione
contenuta in ‫שגה‬, corrisponda ad un tentativo di rendere la frase più
accettabile37.
36
Cf. Carmignac, “Fais que nous n’entrions pas”, 218-226; Id., Recherches, 236-304; Luzarraga, El Padrenuestro, 158. Cf. 1Re 2,6 dove Davide sul letto di morte chiede a Salomone di
vendicarsi di quanto Ioab ha commesso contro di lui: ‫א־תוֹרד ֵשׂ ָיבתוֹ ְבּ ָשֹׁלם ְשׁאֹל‬
ֵ
ֹ ‫“ וְ ל‬non lascerai
scendere la sua canizie in pace nell’oltre tomba”, che significa “dovrai farlo morire di morte
violenta”. Salomone farà infatti uccidere Ioab per mano di Benaià (cf. 1Re 2,34). Davide non
chiede a Salomone di astenersi da un’azione ma di agire per evitarla.
37
In Sal 119,21, la stessa espressione, con ‫ שגה‬al qal, è tradotta con il verbo ἐκκλίνω che
esprime, tra le altre, anche l’idea di perversione. In Dt 27,18 e Pr 28,10, l’hiph‘il di ‫ שגה‬è tra-
10
Matteo Munari
‫ט־בּי ָכל־אָֽוֶ ן׃‬
֥ ִ ‫אַל־תּ ְשׁ ֶל‬
ַ
‫ ְפּ ָע ַמי ָה ֵכ֣ן ְבּ ִא ְמ ָר ֶ ֑ת ָך ְ ֽו‬Sal 119,133
Rendi i miei passi stabili nella tua parola e fa’ che nessuna iniquità abbia
potere su di me.
Letteralmente ‫ט־בּי ָכל־אָוֶ ן‬
ִ ‫אַל־תּ ְשׁ ֶל‬
ַ
ְ‫ ו‬può essere tradotto “e non far dominare
su di me nessuna iniquità”. La preghiera tuttavia non mira evidentemente a
placare il desiderio di Dio di consegnare l’orante al potere dell’iniquità.
Anche in questo caso si tratta piuttosto di una richiesta di assistenza e protezione. La Lxx traduce la seconda parte del v. καὶ μὴ κατακυριευσάτω μου
πᾶσα ἀνομία “e (fa’ che) nessuna iniquità abbia potere su di me”. Si tratta di
una diversa Vorlage o semplicemente di un tentativo di rendere la negazione
dell’hiph‘il in modo diverso? È certo che i Lxx non compresero il doppio significato che può avere la negazione di un verbo causativo?38 Questo potrebbe
essere uno dei passi nei quali il traduttore ha reso il senso della frase cambiando il soggetto del verbo (dalla seconda alla terza singolare)39.
‫אַל־תּ ְשׁ ֵכּ֖ן ְבּא ָֹה ֶל֣י ָך ַעוְ ָ ֽלה׃‬
ַ
ְ‫ ִאם־אָ֣וֶ ן ְ ֭בּיָ ְד ָך ַה ְר ִחי ֵ ֑קהוּ ו‬Gb 11,14
Se c’è iniquità nella tua mano, allontanala e fa’ che l’ingiustizia non abiti nelle
tue tende.
La Lxx traduce ‫אַל־תּ ְשׁ ֵכּן‬
ַ
ְ‫ ו‬con un imperativo aoristo passivo di terza persona singolare (μὴ αὐλισθήτω) ponendo l’accento della negazione sull’azione
causata. Anche in questo caso è possibile che il traduttore abbia voluto esprimere il diverso valore della negazione del causativo cambiando il soggetto del
verbo40. Nella prima parte del v., l’imperativo hiph‘il di ‫“ רחק‬allontana” viene
tradotto πόρρω ποίησον “rendi lontano”. Nella seconda parte, l’hiph‘il iussivo negato viene reso in greco con la negazione dell’imperativo di terza persona singolare, sottintendendo così l’azione causante e descrivendo l’azione
causata: “(fa’ che) l’ingiustizia non alloggi nella tua abitazione”. Traducendo
in questo modo è chiaro che la negazione è riferita non più all’azione causante
dotto con il verbo πλανάω “portare fuori strada, ingannare”.
38
Cf. Tournay, “Ne nous laisse pas”, 441.
39
Anche la Syp ha la terza persona singolare (4#'5)) ma potrebbe trattarsi dell’influenza
della Lxx. Tov, tra gli esempi nei quali i Lxx hanno cambiato il soggetto del verbo, riporta Is
39,4; 43,26 e 49,26. Cf. Tov, “The Representation”, 423-424.
40
L’alternativa è che il traduttore abbia letto ‫ תשכן‬come qal di terza persona femminile e non
come hiph‘il, interpretando così ‫ ַעוְ ָלה‬come soggetto della proposizione.
̔Fa̓ che non cadiamo in tentazione̓ (Mt 6,13a)
11
ma all’azione causata. In altre parole, non viene richiesta l’astensione da
un’azione ma viene comandata un’azione che ne impedisca un’altra.
In 11Q5 19,15-16 si trova una richiesta che sembra essere ispirata a Sal
119,133b. L’inclinazione al male (‫ )יצר רע‬è messa in parallelo con Satana e gli
spiriti immondi: ‫“ אל תשלט בי שטן ורוח טמאה מכאוב ויצר רע אל ירשו בעצמי‬fa’
che Satana non abbia potere su di me, né uno spirito immondo, dolore e inclinazione al male non prendano possesso su di me”.
Per una frase simile in aramaico cf. 4Q213a f1,17: ‫“ ֯אל תשלט בי כל שטן‬fa’
che nessun avversario (Satana) abbia potere su di me”41. Nella preghiera di
Levi in greco (PrLev 10) si trova la stessa frase ma il verbo è alla terza persona: καὶ μὴ κατισχυσάτω με πᾶς σατανᾶς “e (fa’ che) nessun Satana abbia
potere su di me”. Non si tratta anche in questo caso della stessa idea espressa
in aramaico e in greco? La negazione dell’aph‘el non mira a placare il desiderio di Dio di consegnare l’orante al dominio di Satana ma esprime la richiesta
di protezione affinché ciò sia impedito. La sensibilità linguistica di chi traduce
può condurre al cambio del soggetto, così come si è visto per il Sal 119,133.
Un passo che spesso viene citato come parallelo alla sesta petizione del
Padre Nostro è 11Q5 24,10: ‫“ זכורני ואל תשכחני ואל תביאני בקשות ממני‬ricordati
di me e non dimenticarmi e fa’ che io non giunga (non farmi giungere) in difficoltà (troppo grandi) per me”42. Segue la richiesta rivolta a Dio di allontanare
il peccato della giovinezza e di non permettere che gli venga ricordata la sua
colpa (‫)חטאת נעורי הרחק ממני ופשעי אל יזכרו לי‬43. Anche in questo caso si tratta
di una richiesta di intervento attivo e di protezione. Se Dio lo dimenticasse,
egli verrebbe a trovarsi in una difficoltà insormontabile, l’aiuto divino al
contrario impedirà tale insostenibile situazione. Viene chiesto dunque un intervento che impedisca l’azione causata e non un’astensione da essa, altrimenti converrebbe che Dio dimenticasse l’orante e non avrebbero così senso le
due prime petizioni ‫זכורני ואל תשכחני‬.
Nonostante la distanza spazio-temporale, il parallelo più vicino alla sesta
petizione si trova indubbiamente in b. Ber 60b: ‫ואל תביאני לא לידי חטא ולא לידי‬
‫“ נסיון‬e fa’ che io non giunga né in condizione di peccato né di tentazione”44.
Per quanto riguarda la possibile personificazione dell’inclinazione al male e la sua identificazione con una forza demoniaca a Qumran, cf. Rosen-Zvi, Demonic Desires, 47.
42
Cf. Sal 131,1; 1Cor 10,13.
43
Cf. Sal 103,12: ‫ת־פּ ָשׁ ֵעינוּ‬
ְ ‫“ ִה ְר ִחיק ִמ ֶמּנּוּ ֶא‬ha allontanato da noi le nostre colpe”.
44
La frase è ripetuta due volte nella pagina. Per le varianti cf. Goldschmidt (ed.), Der Baby41
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Matteo Munari
Si può discutere sulla pertinenza di tale parallelo vista la distanza di tempo e
spazio rispetto all’ambiente del NT45. Di fatto questo passo resta nella formulazione il più vicino alla sesta petizione del Padre Nostro. Anche qui, come in
11Q5 24,10, ‫ ואל תביאני‬può essere tradotto “e non farmi giungere/e non portarmi” oppure “e fa’ che io non giunga”. Mi sembra più logico pensare anche
in questo caso che non si chieda tanto a Dio la sua astensione dal condurre
l’orante in una situazione di peccato e di tentazione, quanto il suo intervento
per evitare tale condizione. Cf. anche b. Ber 56b: ‫באדרתא מיתת ולא אתית לידי‬
‫“ ניסיונא‬sei morto nella gloria e non sei giunto nella condizione di tentazione”46. Si tratta dello stesso concetto espresso in aramaico senza però
l’aspetto della causalità (cf. Mt 26,41)47.
Riguardo a Mt 6,13 e 26,41, è da notare che non c’è alcuna espressione
che corrisponda letteralmente a ‫לידי‬, né le antiche traduzioni siriache mostrano
la necessità di aggiungere qualcosa di simile48. Non ho trovato esempi
contemporanei o precedenti al NT nei quali ricorra la costruzione ‫ בוא לידי‬o
‫אתי לידי‬, credo tuttavia che ‫ אל תביאני ב‬di 11Q5 24,10 e ‫ אל תביאני לידי‬di b.
Ber 60b siano espressioni sinonime, perché nel loro uso sembrano esprimere
lo stesso concetto. In 4Q504 f1-2Rv,17-18 si trova un altro parallelo nel quale
‫ בוא ב‬ha il senso figurato “entrare nella situazione di”: ‫עים‬
ׄ [‫ונבו֯ אה בצרות ]ונגי‬
‫“ ונסויים בחמת המצי֯ ק‬e siamo giunti in difficoltà e afflizioni e prove/tentazioni,
nell’ira dell’oppressore”49. Nell’ebraico della Mishnah già si trova l’espreslonische Talmud, I, 224. Nella traduzione in tedesco viene accolta l’interpretazione permissiva:
“lasse mich nicht zur Sünde kommen, noch zur Versuchung”.
45
Cf. Fitzmyer, “And Lead Us Not”, 267-268.
46
Normalmente questa frase viene tradotta al futuro, anche se i verbi sono al perfetto, perché
si tratta dell’interpretazione di un sogno.
47
In b. San 107a, oltre alla forma idiomatica ‫ בוא לידי‬si trova il concetto applicato alla narrazione: ‫“ לעולם אל יביא אדם עצמו לידי נסיון שהרי דוד מלך ישראל הביא עצמו לידי נסיון ונכשל‬nessuno
induca mai se stesso in condizione di tentazione, poiché Davide re d’Israele indusse se stesso in
condizione di tentazione e fallì”. Successivamente viene menzionato il peccato di Davide con
Betsabea (2Sam 11) e lo si collega a Sal 26,2 dove Davide dice ‫“ ְבּ ָחנֵ נִ י יְ הוָ ה וְ נַ ֵסּנִ י‬esaminami Signore e mettimi alla prova”. Nonostante questa preghiera sia indirizzata a Dio, è Satana che si
presenta sotto forma di uccello per tentare Davide il quale lancia una freccia per colpirlo ma la
freccia raggiunge il velo oltre al quale Betsabea si sta lavando i capelli. Davide vede Betsabea e
dalla visione nasce il desiderio e poi il peccato. L’episodio narrato in questo modo descrive
bene il paradigma secondo il quale l’istigazione al male da parte di Satana costituisce un’occasione in cui l’uomo può cadere in tentazione o “provare” la sua fedeltà a Dio.
48
L’eccezione è in Syc Lc 22,40: !)*+,) '+6# ‫*ܢ‬./‫"! ܬ‬#‫* ܕ‬#‫“ ܨ‬pregate per non entrare
‘nella casa’ della tentazione”.
49
Anche se ‫ נסוי‬può avere il significato di “tentazione” (cf. Sir 33,1; 44,20), in questo caso,
̔Fa̓ che non cadiamo in tentazione̓ (Mt 6,13a)
13
sione ‫ בוא לידי‬in modo abbastanza diffuso50. Un parallelo che per il contenuto
si avvicina a Mt 26,41 è m. Av 2,1 ‫אַתּה ָבא ִל ֵידי ֲע ֵב ָירה‬
ָ ‫ֹלשׁה ְד ָב ִרים וְ ֵאין‬
ָ ‫ִה ְשׂ ַתּ ֵכּל ִבּ ְשׁ‬
“tieni lo sguardo fisso su tre cose e non giungerai in condizione di trasgressione (non cadrai nella trasgressione)”51.
In tutti i passi elencati si è visto come la negazione di un verbo nella sua
forma causativa, specialmente nel contesto di una preghiera, può avere il significato di “non fare compiere al soggezzo tale azione” oppure “fa’ che il
soggetto non con compia tale azione”. La negazione può essere dunque riferita all’azione causante o all’azione causata. Se si tiene conto della sfumatura
permissiva che la forma causativa può esprimere, è lecito tradurre “non permettere/lasciare che il soggetto compia tale azione”52 ma, come già detto,
“non permettere che ...”, nella mente di chi parla, corrisponde spesso a “fa’
qualcosa per impedire che ...”. Non si tratta quindi soltanto della negazione di
un permesso quanto della richiesta di un’azione che ne impedisca un’altra.
Nella maggior parte dei casi, la Lxx traduce i verbi di forma causativa con
verbi dello stesso significato in greco; sono pochi i casi nei quali si trova
visto il contesto, è più probabile che si tratti di prova intesa come tribolazione.
50
Cf. m. Shevi 8,7; Maas 3,2; Pes 8,7; Yom 2,2; Suk 4,4; Ket 5,5; Sot 9,15; Qid 4,14; BM 5,9;
Mak 1,2; Shevu 7,5; Av 2,1; 3,1; Zev 10,7; Kel 10,2; 25,9. In questi passi il verbo ‫ בוא‬seguito da
‫ לידי‬indica il raggiungimento di una condizione, sia essa negativa o positiva. La preposizione
composta ‫ לידי‬è una forma comune nell’ebraico della Mishnah, ed è impiegata anche nell’aramaico del Talmud Babilonese (cf. Azar, ‫תחביר לשון המשנה‬, 39; DJBA, 524). Una formulazione
simile ma retta da un verbo diverso si trova in Mt 17,22 (Mc 9,31; Lc 9,44): μέλλει ὁ υἱὸς τοῦ
ἀνθρώπου παραδίδοσθαι εἰς χεῖρας ἀνθρώπων “il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini (lett. in mani di uomini)”. Cf. BDAG, 1083; Liddell - Scott,
1983. La formula εἰς χεῖράς τινος traduce nei Lxx ‫“ ביד‬in mano di”, e in senso figurato significa “in potere di” (cf. 1Sam 23,4; 24,19; 1Re 22,12; 2Cr 18,14; Sal 9,35; 30,6; Ez 23,31). Cf.
anche Mt 26,45 (Mc 14,41) e Lc 24,7. Per l’uso di ‫ ליד‬nell’aramaico di Qumran col significato
“verso” o “di fianco” (ebraismo) cf. Fassberg, “Hebraism”, 65. Per ‫ לייד‬nell’aramaico galilaico
cf. Kutscher, Studies, 32. Per il significato “in possesso di” cf. 1Q20 20,7-8: ‫“ ודלידיהא יאא‬e
(tutto) ciò che le appartiene è bello”; 4Q343 f1R,7 ‫לידיך‬
“e lo consegnerà nelle tue mani”.
ׄ ‫ויעבר‬
ׄ
Nei targumim ‫ לידי‬è molto più raro. Per un esempio cf. TPsJ Dt 21,7 “è rivelato davanti al Signore che colui che ha versato questo sangue non è giunto in nostro potere (‫”)לא אתא לידינן‬. In
Gen 32,14 si dice che Giacobbe, volendo fare un regalo al fratello Esaù, prese da ciò che “gli
capitava tra mano” (CEI 2008). In ebraico abbiamo ‫ן־ה ָבּא ְביָ דוֹ‬
ַ ‫ ִמ‬, tradotto dai Lxx ὧν ἔφερεν
“da ciò che portava”. TO e TN traducono ‫מן דאיתי בידיה‬. Con buona probabilità si tratta semplicemente di una forma idiomatica piuttosto rara che indica il possesso (cf. TFragC ‫מן מה דהווא‬
‫)ביידיה‬. Cf. m. Ber 5,4 dove come in aramaico ‫ יד‬è al plurale.
51
La stessa frase si ritrova in m. Av 3,1, ma i tre elementi da ricordare sono diversi.
ܰ ‫! ܰܬ‬#‫ܘ‬
ܳ “And do not let us enter into
ܶ %./
ܳ ܽ -#
52
Magiera traduce infatti Syp Mt 6,13 !)*+,
trial”.
14
Matteo Munari
ποιέω + verbo e mai con il verbo negato53. Questo è un dato del quale bisogna
tener conto, quando si cerca di ricostruire il ragionamento del traduttore. Non
si può in ogni caso dire che καὶ μὴ εἰσενέγκῃς ἡμᾶς εἰς πειρασμόν sia una
traduzione errata di una frase del tipo di ‫ ;ולא תיתינא לנסיונא‬si tratta invece di
una traduzione sintetica54 della quale bisogna considerare la genesi con le possibili sfumature implicate.
Entrare o cadere in tentazione?
Ammesso che nella sesta petizione chiediamo al Padre di non permettere o
meglio ancora di agire per impedire che qualcosa di negativo ci avvenga, qual
è il significato preciso della nostra richiesta? Chiediamo a Dio di evitare che
ci siano tentazioni nella nostra vita? Già si è visto che una richiesta di tal genere non avrebbe molto senso alla luce del modo di agire di Dio descritto sia
nell’AT che nel NT. Le espressioni riscontrate in 11Q5 24,10, 4Q504
f1-2Rv,17-18, b. Ber 56b, b. Ber 60b e b. San 107a descrivono uno stato nel
quale l’individuo viene a trovarsi in potere di una forza superiore. Un passo
nella letteratura del Mar Morto fa pensare inoltre che ‫בוא ב‬, in senso figurato,
possa avere anche il significato di “acconsentire/aderire”. Si tratta di 4Q174
f1-2i,8, testo nel quale si afferma che i figli di Belial “sono entrati nel piano di
Belial (‫ )באו במחשבת] ב[ל]י[על‬per far inciampare i figli della luce”55. Rilevante è anche 4Q438 f3,3 dove l’espressione ‫“ וצוארי הביאו֯ תי בעולך‬e il mio
collo ho portato nel tuo giogo” esprime chiaramente l’adesione alla volontà
altrui. In b. San 107a invece, si evince dal contesto che ‫הביא עצמו לידי נסיון‬
non descrive tanto l’atteggiamento di chi acconsente alla tentazione, quanto
quello di chi conduce se stesso nelle mani del nemico.
Tov, “The Representation”, 422.
Cf. Jenni, “Kausativ”, 172.
55
Carmignac, citando questo testo, sostiene che certamente l’espressione εἰς πειρασμόν
εἰσφέρειν è di origine semitica e non significa “essere esposti a una tentazione” ma “acconsentire a una tentazione”. Cf. Carmignac, “Fais que nous n’entrions pas”, 225. Se da una parte i testi citati sembrano essere insufficienti per una conclusione certa, dall’altra credo sia doveroso
considerare la serietà della proposta di Carmignac. Oltre a questi passi cf. anche tutte le occorrenze nelle quali viene usata l’espressione entrare “nel patto” (‫“ ;)בברית‬nella regola della comunità” (‫“ ;)בסרך היחד‬nel consiglio della comunità” (‫“ ;)בעצת יחד‬nel consiglio della santità”
(‫“ ;)בעצת הקודש‬nell’assemblea” (‫“ ;)בקהל‬nella comunità” (‫)ביחד‬. Cf. anche 1QHa 15,32-33:
‫רחמיכה‬
֯ ‫“ וכול בני אמתכה תביא בסליחות לפניכה ֯ל ֯ט ֯ה ֯רם מפשעיהם ברוב טובכה ובהמון‬e tutti i figli
della tua verità conduci nel perdono alla tua presenza per purificarli dalle loro colpe, per mezzo
della grandezza della tua bontà e nell’abbondanza della tua misericordia”.
53
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̔Fa̓ che non cadiamo in tentazione̓ (Mt 6,13a)
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In Mt 26,41 Gesù ordina ai suoi discepoli di vegliare e pregare “per non
entrare in tentazione (ἵνα μὴ εἰσέλθητε εἰς πειρασμόν). Lo spirito è pronto
ma la carne è debole”. Il parallelo di Mc 14,38 ha ἵνα μὴ ἔλθητε εἰς
πειρασμόν “per non venire/giungere in tentazione”. Diversi autori pensano
che Mt abbia sostituito il verbo ἔρχομαι con εἰσέρχομαι per rendere il parallelo con Mt 6,13 più evidente56. È possibile tuttavia che Mt abbia preferito
εἰσέρχομαι semplicemente perché più adatto a esprimere l’idea di “entrare in
una situazione/in uno stato”57. Le due espressioni impiegate sono probabilmente un calco di quelle aramaiche o ebraiche viste precedentemente nei paralleli contemporanei e successivi al NT58. Esse descrivono una situazione nella quale la difficoltà o la tentazione hanno potere sull’uomo, poiché egli “è
entrato” in una trappola dalla quale da solo non potrà fuggire. Per questo motivo credo che la traduzione CEI del 1974 di Mt 26,41 “Vegliate e pregate, per
non cadere in tentazione” sia da preferire a quella della CEI del 2008 “Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione”. La seconda è più letterale, la
prima coglie meglio il senso della frase. “Entrare in tentazione”, in italiano, è
un’espressione sinonima a “avere una tentazione”, ma avrebbe senso pregare
nel Getsemani per non avere tentazioni? È chiaro che la tentazione del rinnegamento è presente in una tale situazione, ciò che si chiede è la forza e la lucidità per non cadere in suo potere, lo spirito infatti desidera seguire la volontà
di Dio, ma la natura umana è profondamente condizionata dalla paura della
sofferenza e della morte. Pregare per non cadere in tentazione significa
Cf. Nolland, Matthew, 1101; Davies - Allison, Matthew, III, 499.
Cf. l’espressione “entrare nel regno dei cieli/di Dio” in (Mt 5,20; 7,21; 18,3; 19,23-24;
23,13; Mc 9,47; 10,15.23-25; Lc 18,17.25; Gv 3,5; At 14,22); “entrare nella vita” (Mt 18,8-9;
19,17; Mc 9,43.45); “entrare nella gioia” (Mt 25,21.23); “entrare nella conoscenza” (Lc 11,52)
“entrare nella gloria” (Lc 24,26) “entrare nella fatica” (Gv 4,38). BDAG, 294. Anche in Lc
22,40.46 viene preferito εἰσέρχομαι εἰς. Mc ha probabilmente tradotto l’espressione aramaica
‫ אתי ל‬con ἔρχομαι εἰς, Mt ha poi tentato di migliorare la resa in greco con εἰσέρχομαι εἰς e per
tradurre la forma causativa è stato scelto εἰσφέρω εἰς. Il fatto che Syc Mt 6,13 abbia !"#‫ܘ‬
!)*+,-# %&'&‫ ܬ‬potrebbe essere eco della petizione nella sua prima formulazione aramaica.
58
In greco, se al posto di ἔρχομαι o εἰσέρχομαι ci fosse il verbo πίπτω o un suo composto,
il significato sarebbe chiaramente “pregate per non cadere in tentazione” mentre ἔρχομαι o
εἰσέρχομαι εἰς πειρασμὸν lascia spazio a diverse interpretazioni. Cf. la variante di Lc 22,40 in
f 13: ἐμπεσεῖν; 1Tm 6,9: ἐμπίπτουσιν εἰς πειρασμὸν “cadono in tentazione”. Durante le persecuzioni dei cristiani da parte dell’impero romano, l’espressione “cadere in tentazione” venne riferita in modo particolare all’apostasia, così come ci testimonia Eusebio di Cesarea nel suo racconto del dramma di Serapione (HE 6,44,2). Egli non riceveva più attenzione da nessuno
“essendo caduto in tentazione” (ἐν δὲ τῷ πειρασμῷ πεσών), infatti “aveva offerto un sacrificio” (ἐτεθύκει). Per la tentazione di rinnegare la fede nel contesto della persecuzione cf. anche
HE 4,15,47 dove il verbo impiegato è ὑποπίπτω.
56
57
16
Matteo Munari
dunque chiedere a Dio di poter vincere nella lotta col nemico, per giungere
così al grado più alto di santificazione e glorificazione del Nome (Mt 6,9; Lc
11,2; Gv 12,28) e cioè il martirio59.
Conclusione
I dati raccolti mostrano che il significato più probabile di πειρασμός nel
Padre Nostro è “tentazione” e non “prova”. L’autore della tentazione è propriamente il diavolo (ὁ πειράζων) e a Dio è chiesto di intervenire con il suo
aiuto per impedire che i suoi figli siano vinti dal male. Il verbo εἰσφέρω è
molto probabilmente il risultato della traduzione dell’aph‘el di ‫ אתי‬o di ‫ עלל‬e
la sua negazione può quindi essere interpretata con tutte le sfumature implicate nella negazione di un verbo causativo in aramaico. Se queste conclusioni
sono giuste, credo che il modo migliore per tradurre la sesta petizione sia “e
fa’ che non cadiamo in tentazione ma liberaci dal maligno”. La traduzione
CEI del 2008, “non abbandonarci alla tentazione”, costituisce un coraggioso
tentativo di traduzione a senso, anche se a mio avviso non mostra in modo
sufficientemente chiaro il cuore della petizione, la quale esprime non tanto il
timore di essere abbandonati da Dio, quanto la richiesta di un suo intervento
nell’ora della tentazione.
Matteo Munari, ofm
Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem
59
Cf. Moore, Judaism, II, 105.
̔Fa̓ che non cadiamo in tentazione̓ (Mt 6,13a)
17
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