BIBLIOLOGIA an international journal of biblio gr aphy, libr ary science, history of typo gr aphy and the bo ok 7 · 2012 estr atto pisa · roma fabrizio serr a editore mmxii Direttore scientifico · Editor Giorgio Montecchi giorgio.montecchi@unimi.it * Comitato scientifico · Scientific Board James Clough · Politecnico di Milano Loretta De Franceschi · Università degli Studi di Urbino François Dupuigrenet Desroussilles · Florida State University Giovanni Lussu · Politecnico di Milano Giorgio Montecchi · Università degli Studi di Milano James Mosley · University of Reading Angela Nuovo · Università degli Studi di Udine Fabrizio Serra · Fabrizio Serra editore, Pisa · Roma Adriaan van der Weel · Universiteit Leiden Germán Vega García-Luengos · Universidad de Valladolid Fabio Venuda · Università degli Studi di Milano * Redazione · Assistant to the Editor Roberta Cesana · Università degli Studi di Milano Dipartimento di Scienze della Storia e della Documentazione storica, Cattedra di Bibliografia e Biblioteconomia, Università degli Studi di Milano, Via Festa del Perdono 7, i 20122 Milano, roberta.cesana@unimi.it Per la migliore riuscita delle pubblicazioni, si invitano gli autori ad attenersi, nel predisporre i materiali da consegnare alla Redazione ed alla Casa editrice, alle norme specificate nel volume Fabrizio Serra, Regole editoriali, tipografiche & redazionali, Pisa-Roma, Serra, 20092 (ordini a: fse@libraweb.net). Il capitolo Norme redazionali, estratto dalle Regole, cit., è consultabile Online alla pagina «Pubblicare con noi» di www.libraweb.net. * «Bibliologia» is a Peer-Reviewed Journal. The eContent is archived with Clockss and Portico. IL MANUALE DI SCRITTURA FRA CINQUECENTO E PRIMA METÀ DELL’OTTOCENTO* Fr ancesco Ascoli 1. Caratteristiche e specificità del manuale di scrittura I l manuale di scrittura si pone all’incrocio di tecniche e saperi diversi che concorrono in misura e modalità differenti a confezionare un prodotto editoriale che risulta quindi complesso e interpretabile a molti livelli. Non si tratta di una semplice somma di elementi disposti linearmente uno accanto all’altro, ma il risultato di una interazione fra le varie parti che lo compongono. La pubblicazione di un manuale è pertanto il risultato del concorso di una serie di elementi, fra cui i principali sono una motivazione pedagogica e un desiderio di autopromozione sia sociale sia economica per il suo autore e per il suo editore. Il manuale nacque nel Cinquecento in pieno fermento tipografico ed editoriale, dove il genere del trattato ebbe un particolare successo. Si pubblicavano infatti trattati di tutti i tipi, non solo per scrivere, ma anche per compilare lettere, per fare di conto, per tirare di spada, per fare i merletti e così via. Nell’insegnamento della scrittura, la pubblicazione del manuale era comunque un’eccezione: la norma era che il maestro vergava di sua mano gli esemplari che poi faceva circolare e ricopiare dai suoi allievi. Man mano che, dal Settecento in poi, gli stati nazionali organizzano, o cercano di organizzare, un sistema scolastico con criteri didattici e programmi il più possibile uniformi, si apre la via a tutta una produzione di manuali che sarà sempre più significativa quantitativamente, anche se diverrà al contempo meno accattivante esteticamente e sempre più povera editorialmente. Con la seconda metà dell’Ottocento, e soprattutto dopo la Legge Casati del 1859 relativa all’istruzione pubblica, i manuali cominciano ad assomigliarsi un po’ tutti, a farsi concorrenza fra di loro, dovendosi adeguare sempre di * Per quanto attiene alla storia della calligrafia in generale, rimando al mio testo: Francesco Ascoli, Dalla cancelleresca all’inglese, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2012. «bibliologia» · 7 · 2012 126 francesco ascoli più ai programmi didattici che, a loro volta, mutavano spesso le loro istruzioni costringendo gli editori e gli autori ad adeguarsi in fretta. Nell’insegnamento della scrittura e della calligrafia, i programmi poi diventavano anche sempre più dettagliati, anche qui obbligando i soliti editori e calligrafi a varie edizioni e a pubblicare anche manuali dedicati agli insegnanti o agli aspiranti tali. Ma anche questo processo non fu né omogeneo, né lineare come potrebbe sembrare: le particolarità territoriali, le abitudini, la presenza o meno di calligrafi importanti, e anche le loro personalità influivano sulla produzione editoriale dei manuali. Si può dire che i manuali dopo la l’Unità letteralmente esplodono: ogni scuola pubblica i suoi manuali, quasi ogni calligrafo chiede alla sua municipalità l’adozione del proprio testo nelle scuole e dichiara di aver inventato un proprio metodo assolutamente originale e che garantisce in breve tempo risultati straordinari. 2. Il progetto pedagogico In ciascun manuale esiste una parte dedicata all’insegnamento della scrittura, ma occorre evidenziare quale pedagogia della scrittura e con quali strumenti è messa in atto. Inoltre, alcune scelte sono già parlanti, e indicano delle precise strategie non solo editoriali, ma anche culturali, o politiche: l’utilizzo di insegnare un alfabeto piuttosto che un altro è già un indicatore di questo tipo, come l’adozione di un canone calligrafico piuttosto che un altro, come, per alcuni, la scrittura italiana invece dell’inglese o, ancora, l’utilizzo di un registro linguistico diverso, come nel caso di alcuni autori torinesi della prima metà dell’Ottocento che pubblicavano i loro manuali di calligrafia in francese anziché in italiano.1 Spesso il loro progetto pedagogico è affiancato o anticipato dalla diffusione di fogli pubblicitari dedicati alla loro attività o alla scuola in cui insegnano, e in cui si promette di riuscire a scrivere bene in poche lezioni, o si elenca il gran numero di scritture che il maestro è in grado di eseguire. Ciascuno avanza un proprio metodo, diverso e migliore di quello degli altri, e attraverso il suo utilizzo, vanta di aver ottenuto risultati strepitosi, allegando spesso lettere di ammirazione e di ex allievi che ringraziano. Non mancano quindi le 1 Come quelli di Angelo Audiffredi, Le calligraphie progressive o Le cours complet d’écritures, batarde, ronde et coulée di Paul Berthollet, pubblicati entrambi a Torino fra il 1831 e il 1834. manuali di scrittura tra ’ 500 e prima metà ’ 800 127 polemiche fra i maestri, i giudizi sferzanti, le diatribe apparentemente di natura pedagogica, ma spesso di natura economica e di mercato, in cui ogni sistema era buono per sottrarre allievi ad altri. Nei primi manuali a stampa, la didattica è discorsiva, e ad ogni istruzione segue immediatamente l’esempio pertinente («Non voglio però che caschino [le lettere] tanto, ma così feci l’essempio per dimostrarti meglio la via…»;1 «Adunque in questa altra considerazione sappi che tutti li corpi delle lettere de uno alphabeto, che sono numero diece cioe a b c d e f g h o p q voleno essere de una medesima grandezza…»2). È una conversazione fra un maestro e il suo allievo, ma si fornisce al contempo una metodica per l’apprendimento delle lettere e si strutturano delle gerarchie che creano un ambito didattico specifico, una grammatica. Non solo infatti esistono delle regole di scrizione [sic], di interventi diretti sui singoli elementi della notazione alfabetica (la a si fa così la b cosà) ma esistono regole di funzionamento dell’intero sistema della stessa. Il principio che sottende a queste regole è l’armonia, la proporzione; per questi autori è soltanto attraverso queste categorie che si accede a quella della leggibilità. La costruzione delle lettere tramite tratti fondamentali (due o più secondo gli autori, che saran detti poi radicali) serve a dare alla grafia una struttura per sorreggere un ritmo, anzi una euritmia. È importante, quindi, che lettere simili si costruiscano con procedure simili, che fra le lettere debbano regolarsi gli spazi in maniera proporzionale. Tuttavia non basta dare le regole di costruzione e di proporzionalità, la scrittura è anche nel movimento: è altrettanto importante fornire anche le istruzioni per la gestione dell’aspetto dinamico, fornendo quindi le regole per il ductus (punto di inizio e di fine della lettera), oltre che per i legamenti delle lettere. Con Giovan Francesco Cresci non cambia la sostanza, ma alcuni elementi assumono maggiore importanza rispetto ad altri, come l’aspetto professionale e la questione della velocità di scrittura; si deforma il disegno delle lettere per rendere più funzionale il loro legamento e quindi rendere più rapida la scrittura. Alcuni tratti vengono addirittura eliminati, alla ricerca non solo e non tanto di un principio di eleganza, ma di rapidità di esecuzione unita alla facilità di lettura. Ma non solo: iniziano le accese diatribe, i diverbi. Cresci si scaglia con1 Dall’Operina di Ludovico Vicentino Degli Arrighi, Roma, 1522. 2 Giovanni Antonio Tagliente, La vera arte de lo excellente scrivere, Venezia, 1524. 128 francesco ascoli tro quei maestri che vogliono insegnare a scrivere in poche lezioni, dichiara il Palatino superato, tratta di «infiniti inganni e false regole»1 e inizia ad avvertire la necessità che la materia sia inquadrata in maniera più generale e articolata. Nei trattati successivi, oltre che agli elementi decorativi tipici del periodo, se ne aggiungono altri che erano già presenti in quelli più antichi in minor misura, acquistando maggiore spessore ed importanza, come il modo di eseguire le intitolazioni delle lettere, le abbreviazioni, le dediche. Nella prima metà del secolo seguente, appare solo a Torino qualche testo, come quello di Antonio Peiraud2 e di Giuseppe Savant.3 La scrittura insegnata non è più la cancelleresca, ma l’italiana. Alcune novità didattiche sono «les lettres qui si lient du pied au milieu» le «lettres qui se lient de pied au tete»; le tavole sono prese evidentemente da esempi francesi che recano anche la dicitura «gravée par F. Baillard». 3. Verso una pedagogia della scrittura In quel periodo ci si rese sempre più conto che insegnare la calligrafia non era semplicemente offrire un modo di disegnare le lettere e di legarle fra loro, in altre parole rimanendo al livello di pure questioni formali, ci si iniziava anche a porre la questione di quali sarebbero state le condizioni ideali di apprendimento, come stabilire e verificarne la gradazione, e tutto questo avrebbe dovuto risolversi anche in strumenti e corredi didattici differenti dai vecchi manuali che non perdevano per questo la loro fisionomia e ragion d’essere, ma che ne avrebbero dovuto assumerne un’altra. In questo passaggio però i calligrafi avrebbero dovuto, per così dire, aggiornarsi ed ampliare gli orizzonti e decidere, in parte, di abdicare ad una autonomia educativa sulla scrittura, cosa che non sempre accadde. La risposta infatti dei calligrafi non fu in direzione di aggiornamento didattico, ma di fornire esempi di meraviglie calligrafiche, per far vedere di che cosa era capace ancora l’arte della scrittura. Queste però non colsero l’obiettivo, in un momento in cui si stavano organizzando le scuole e uniformando metodi e stili. In tal senso alcuni autori introducono nei loro manuali novità 1 Giovan Francesco Cresci, L’idea con le circostanze naturali…, Milano, 1622. 2 Nuovo libro di scrittura…, Torino, 1772. 3 Elements theorico-pratiques de l’art de bien écrire, Torino, 1812. manuali di scrittura tra ’ 500 e prima metà ’ 800 129 didattiche che reclamano essere di propria invenzione. Gaetano Giarrè nel Moderno scrittore consiglia l’utilizzo di «parole senza rilevazione» ossia senza alcun significato, perché in tal modo ci si può concentrare di più sulla forma e il disegno della lettera. Ignazio Contessi utilizza la «penna duplicata», un sistema di scrittura in cui si utilizza una penna con due punte particolarmente adatto, secondo l’autore, per i principianti. Si inizia anche a proporre dei corredi didattici di appoggio come falserighe, quaderni lineati o puntati incisi appositamente a parte, esercizi ‘per sciogliere la mano’. Gli elementi rappresentati sono molti, e ciò che ne soffre è proprio il metodo didattico. Ci si affretta a voler offrire più alfabeti possibili, nelle varie dimensioni, nelle versioni maiuscole e minuscole (con l’aggiunta delle maiuscole ‘a mano levata’), se ne aggiungono di fantasia, si utilizzano sistemi e particolarità nella convinzione che sono di aiuto, ma la preoccupazione non è tanto quella di prender per mano l’allievo e, piano piano, accompagnarlo verso i suoi obiettivi, quanto quello di dimostrare di essere in grado di offrire una ampia varietà di calligrafie, suffragata da metodi spesso solo empirici che, secondo i vari autori, garantiscono il successo.1 L’esperienza personale fa da garante più dello studio dei metodi degli altri maestri e, in generale, delle scienze dell’educazione. Sono molti i calligrafi, infatti, che, forti dei loro venti o trent’anni di insegnamento e di successi, offrono la loro esperienza didattica come l’unica in grado di offrire il raggiungimento degli obiettivi didattici. 4. L’offerta grafica Discorso a sé è quello relativo all’offerta presentata dai vari autori di differenti tipi di caratteri esibiti nei manuali. Già dai primi manuali, tale offerta si presenta varia ed originale a partire proprio da quelli di Arrighi, Tagliente e Palatino, dove, oltre alla cancelleresca, ai gotici e alla mercantesca, compaiono alfabeti ebraici, caldaici, greci, nonché altri di fantasia per puro scopo esibitorio. Nel frontespizio del Perfetto cancelleresco del Cresci si legge che esso è «adornato di bellissime, & vaghe Inuentioni di Caratteri». Marc’Antonio Rossi nel suo Giardino de scrittori del 1598, presenta, fra gli altri, una «lettera chaldea», una «lettera greca» e una «lettera ebraica». Nel Seicento i calligrafi indu1 Come quello dell’inglese Joseph Carstairs, che fu poi detto impropriamente ‘americano’. Su Carstairs e la diffusione del suo metodo in Italia vedere F. Ascoli, op. cit., pp. 169 sgg. 130 francesco ascoli giano più sugli eccessi decorativi che sul presentare alfabeti nuovi e particolari. Anche nei periodi successivi, ciascun autore cerca altresì di presentare una varietà di alfabeti che ritiene necessario o in qualche modo utile se non addirittura divertente, come i lapidari, i caratteri di stampa, caratteri più o meno ornati, vari tipi di gotico, alfabeti di propria invenzione come quelli di Riccardo Castellani (di Livorno, autore di un manuale pubblicato nel 1835) «ornato a capriccio», minuscolo «diafano», stampatello «aperto», carattere grosso naturale «a foglie», o il «carattere rovesciato» (cioè inclinato a sinistra). Alcuni aggiungono alfabeti stranieri come il greco, l’ebraico, l’arabo e così via. A volte qualche autore ripropone antiche scritture non più in uso, per esibizione o gusto personale, come Giuseppe Amiconi che nel suo Esemplare composti di varj caratteri del 1808 presenta una tavola intitolata «Abbecedario cancelleresco» con una riproposta di una cancelleresca nella sua versione secentesca. A queste tipologie si possono aggiungere le «maiuscole a mano alzata» o tavole specifiche che alcuni autori dedicano agli svolazzi e ai ghirigori e ai monogrammi. 5. Il progetto editoriale Lo statuto autoriale muta nel tempo non solo e non tanto secondo la consapevolezza delle proprie capacità grafiche e della propria capacità di iniziativa editoriale, ma anche e soprattutto dalla propria collocazione nella società e nel mercato. Quello che occorre rimarcare inoltre sono le capacità aggiunte rispetto alla maestria nel vergare caratteri. Nelle società di corte il maestro di scrittura sa anche disegnare o delineare carte, perché sono attività utili o richieste, e perché raramente il maestro ha il solo incarico di insegnare a scrivere, ma occupa anche altri incarichi collegati alla cultura grafica e le esigenze del tempo. Nel xvi secolo, sono le cancellerie, quelle papali anzitutto, ma non solo, a fornire le occasioni ai maestri per voler dare alle stampe i loro esemplari. I primi manuali, come quelli dell’Arrighi, del Tagliente o del Palatino sono diretti a segretari, cancellieri, ad un pubblico adatto che fa della scrittura, anzi, dello scrivere, una professione, e lo scrivere bene e in fretta è un’esigenza molto sentita. Non a caso la scrittura esibita è detta cancelleresca e certi manuali ‘segretari’. Questi autori, anche se sentono la loro professione in modo diverso (Arrighi è anche copista, Tagliente lavora alla cancelleria veneta) tutti al servizio di uffi- manuali di scrittura tra ’ 500 e prima metà ’ 800 131 ci pubblici e sentono su di sé la responsabilità e l’onore di una carica pubblica. Anzi, questo sentimento, col passar del tempo aumenta: la generazione successiva, quella di Cresci e di Marcello Scalini avverte ancor di più l’importanza del loro incarico e si avviano ad una professionalità dello scrivere nel quale la velocità assume un valore sempre più importante e decisivo. Così Cresci, altro funzionario del Vaticano, arriva a modificare il ductus della cancelleresca, a eliminare tratti superflui, e così pure Scalini (autore contemporaneo e suo antagonista), fino a disegnare una cancelleresca che fu chiamata ‘testeggiata’. Anche gli autori del secolo successivo, avvertono questa esigenza, ma si lasciano anche trasportare dal gusto barocco del tempo, riempiendo le loro tavole di svolazzi, tiri di penna, groppi, paraffi. Mentre altrove, come in Francia, i maestri erano riusciti ad organizzarsi in accademie o ad associarsi in qualche modo, in Italia, ognuno faceva per conto suo, sia per il basso tasso di alfabetismo che non suscitava una grande domanda di calligrafi, sia anche per le difficoltà di collegamento e spostamento fra le varie località italiane dovute al frazionamento territoriale degli antichi Stati con relative dogane, privative e concessioni editoriali limitate geograficamente e via dicendo. Nel manuale l’autore deve dare prova di sé in diverse direzioni: l’abilità grafica e inventiva anzitutto, deve essere capace sia di tracciare elegantemente le lettere, sia anche di apportare degli elementi di novità e di inventiva grafica o di pedagogia della scrittura, che portino i suoi potenziali lettori, o meglio, usufruitori, a preferire quell’autore anziché un altro. Deve essere poi anche in grado di dividere la materia in scansioni didattiche semplici ed efficaci, integrando la parte testuale e didascalica con quella più strettamente grafica. Ma non basta: deve utilizzare un linguaggio piano, semplice, per poter essere inteso dal pubblico meno esperto o più giovane, e deve conoscere le novità dei suoi concorrenti, le pubblicazioni più importanti sull’argomento. E per ultimo deve anche mostrare capacità manageriali, per promuovere il suo libro, per coordinare il lavoro con l’incisore e l’editore, per difendersi dal plagio e dalle copie pirata. Sono pertanto molte le soluzioni e i modi con cui i vari autori portano a compimento i loro progetti editoriali, più o meno consapevolmente, più o meno coraggiosamente. Come abbiamo accennato all’inizio, alcuni autori, presentano il loro testo giustificandone la pubblicazione affermando l’originalità e la necessità della propria. È solitamente nella pagina dedicata al ‘benigno lettore’ che il maestro di scrittura illustra le moti- 132 francesco ascoli vazioni della sua opera. Arrighi per la sua Operina è stato «Pregato, anzi, costretto da molti amici … volessi dar qualche esempio dello scrivere»; Cresci nell’Essemplare scrive «alli lettori» che «Molti si sono dilettati dell’antica e nobile arte dello scrivere … perciò non riputarete cosa indegna se ’l mio basso ingegno tenterà con questo mio Essemplare di mostrare un uero modo di scriuere Cancellaresco Corsiuo». Anche Sebastiano Zanella, un maestro di scrittura attivo a Padova (ma a quanto pare originario di Gozzano nel Novarese), nel suo Nuovo modo di scrivere cancellaresco del 1605 nella sua nota «L’Auttore a chi legge» conferma che «Benche molti sieno quelli, che con grande utilità, e forse stupore insieme del mondo, hanno dato in luce libri di varie forti, e maniere di lettere cancelleresche, corsive, e d’altre forme di carattere…», decide di pubblicare, come altri, «vinto da preghiere degli amici…». Nel Settecento, alcune autopresentazioni assumono dei contorni e degli aspetti più commerciali, esemplificando i vantaggi che si possono ottenere dall’utilizzo della pubblicazione che si offre in vendita, quasi come un proclama pubblicitario. Il Metodo facile per ben imparare a scrivere pubblicato a Firenze per Niccolò Pagni e Giuseppe Bardi mercanti di stampe della fine del secolo e inciso da Giuseppe Poggiali, nella tavola immediatamente seguente il frontespizio definisce il suo «Metodo per ben imparare a scrivere con buona formazione e correttamente» come «Operetta nuova, la qual contiene diversi alfabeti, varie sentenze morali, alcune formule per le sottoscrizioni, per le cambiali, per le polizze di mare, lettere di vettura, ed altre scritture di commercio, sullo stile d’oggigiorno, et in fine una tavola dei numeri romani». Giovanni Spirito Lemmi, maestro livornese, nella prefazione del suo Alfabeto in carattere mezzano e grosso del 1794, in cui presenta la novità della scrittura inglese, dopo aver esposto una breve storia della scrittura, dichiara che «L’impegno mio mi richiama piuttosto ad accennare quelle principali regole, le quali portano a ben formare uno Scritto, chiaro intelliggibile, armonico, quello in somma che sembra un’Originale dell’Inghilterra.». Alcuni, fanno precedere un discorso critico nei confronti di altri autori, i cui errori e manchevolezze hanno incoraggiato l’autore a porvi rimedio e a pubblicare il manuale. Francesco Bessier, ad es., nel suo Libro di caratteri scrive che Molti scrivani hanno fatto incidere degli Esemplari di Carattere, ma tutti sono ridotti a pure imitazione, senza stabilire un metodo solido né delle giuste regole né delle spiegazioni chiare per l’intelligenza del medesimo. Mosso da questa considerazione, mi applicar con la scorta dei più bravi maestri manuali di scrittura tra ’ 500 e prima metà ’ 800 133 di bel carattere, di Francia e d’Italia, a fissar delle regole generali, le quali servissero di basi fondamentali alla formazione di tutte le sorti di carattere. Altre volte sono spinti dalla pubblicazione in conseguenza al successo di una loro opera precedente, come lo stesso Bessier citato prima che, nella sua Calligrafia moderna del 1823 dichiara: Mosso pertanto dal benigno accoglimento dimostrato dal pubblico per il mio libro di carattere moderno, e per altri diversi esemplari i quali ho fatto imprimere su tal materia; e lusingato dalla speranza di essere sempre più utile alla gioventù che amo sinceramente, mi sono determinato a dare alla luce questo picciolo trattato sopra le regole della calligrafia, frutto di mature riflessioni che ho avuta occasione di fare sopra tal soggetto, e che una sperienza di più di 30 anni continui tanto in Francia, quanto in Italia mi ha dimostrate più atte ad agevolar l’avanzamento e la perfezione di un’arte, così gradevole ed utile ad ogni genere di persona. 6. L’editore Nei manuali autori ed editori spesso si scambiano o si sommano i ruoli: Arrighi è anche editore di se stesso, molte pubblicazioni sono «ad istanzia dell’autore».1 Il ruolo dell’editore si va affermando e precisando gradatamente, man mano che il mercante di stampe che faceva incidere, fra l’altro, tavole calligrafiche si trasforma in editore, come i Remondini di Bassano o i Reycends di Torino. È raro comunque che un editore intervenga direttamente nella compilazione del testo del manuale; più spesso anticipa la pubblicazione con avvisi a stampa con i quali presenta e dà ragione della sua iniziativa oppure attraverso inserzioni in gazzette o altre pubblicazioni periodiche di informazione bibliografica. Il trattato di Francesco Decaroli, Ammaestramenti teorico-pratici, Torino, 1772 merita attenzione anche perché si è conservata la lettera di presentazione della pubblicazione dei fratelli Reycends che ci mostra le ragioni e le modalità con cui questo esemplare è stato ideato. Nel Settecento inoltrato ormai lo scrivere bene è fattore di civiltà, oltre che di gusto, e il proporre opere che insegnino a scrivere bene e con corretti principi è quindi un’opera meritoria. Nella presentazione è infatti scritto: Senza dunque distendersi lungamente in parole circa la necessità dello scrivere con pulizia, e con franchezza di mano, persuasi che non vi è che non 1 Bartolomeo Ponzilacqua, Calligrafia moderna, Venezia, 1806. 134 francesco ascoli senta di quanto giovamento riuscir debba lo scrivere con nettezza di carattere, entriamo a far parola all’oggetto, che ci siamo proposti di dare alle stampe gli ammaestramenti teorici pratici … abbiamo con sommo studio recato a fine il nostro desiderio, impegnandolo a consegnarcelo, ed in seguito adoperati abbiamo i più valenti bulini di Parigi per inciderne in quarantasei rami in foglio. Un manuale in cui «…la chiarezza congiunta alla brevità, che in esso si ammira, è un pregio così raro che osiamo avanzare…» aggiungendo che di questo genere «l’Italia ne eravamo affatto sprovveduti». A ciascun esemplare è aggiunto anche un ritratto di Amedeo di Savoia. 7. L’incisione Gli studi sulla storia dell’incisione hanno generalmente privilegiato l’aspetto artistico del fenomeno, soffermandosi sul rapporto pitturastampe di traduzione o sul destino e la fortuna di un particolare artista, lasciando in ombra quello più legato alla storia della stampa e del libro che ha nell’incisione una componente importante. La stampa a piombo non poteva in molti casi essere utilizzata, non solo per disegno di carte geografiche, ma anche per la musica, per la stenografia, e, appunto, la calligrafia, dove trovava un suo terreno di coltura e di sviluppo assai fertile, e dove anche gli artisti più rinomati non disdegnavano di applicarsi. Consci del fatto che buona parte del successo editoriale di un manuale dipendeva spesso dalla bontà dell’incisione, molti autori si premuravano di procurarsi i migliori. Martin van Buyten, uno di questi di origine fiamminga, attivo a Roma verso la fine del Cinquecento, è responsabile dell’incisione di vari esemplari, fra cui quelli di Marcello Scalzini (o Scalini) del 1581, quelli della Notomia delle Cancelleresche corsive di Lodovico Curione del 1588 e di alcune tavole del Primo libro delli essemplari di Simone Verovio del 1587. Qualcuno si improvvisava anche incisore, come nel caso di Ambrosio Plati, autore di un rarissimo manuale, Esemplari cancellareschi e corsivi, pubblicato a Roma nel 1633. Nella lettera ai lettori dei suoi Esemplari cancellareschi corsivi, pubblicati a Roma, scriveva infatti: «tant’era il desiderio mio, che mi posi a scaramucciar con il bolino, non havendo imparato d’alcuno, ne meno intagliato altra volta ho fatto il presente libricciolo». Un maestro milanese del secolo seguente, nel pubblicare un manualetto dal titolo Istruzioni sull’arte della scrittura manuale del 1773, ometteva di allegare tavole incise dichiarando che «la difficoltà manuali di scrittura tra ’ 500 e prima metà ’ 800 135 di trovare un ottimo incisore mi ha fatto tralasciare di unirvi i rami de’ caratteri.». Anche se l’affidarsi a esperti incisori rappresentava un elemento importante, con una resa della scrittura più o meno fedele al calligrafo, vi poteva essere anche però motivo di attrito fra questi due personaggi, come nel caso dell’Operina del 1522 scritta da Ludovico degli Arrighi e incisa da uno dei migliori incisori silografi del suo momento, Ugo da Carpi, inventore anche di una tecnica detta del «chiaro-scuro». Fra i due sorse infatti un contrasto di interessi che portò Ugo da Carpi a compilare e pubblicare per conto suo un Thesauro de Scrittori nel 1525. Il Modo de temperare le penne dell’anno seguente dello stesso Arrighi è invece inciso da un altro artista, Eustachio Celebrino da Udine, responsabile anche dell’incisione di alcune tavole del manuale di Giovanni Antonio Tagliente, pubblicato a Venezia nel 1524. Anche quest’ultimo, a sua volta, come Ugo da Carpi, pubblica una raccolta, intitolata Il modo de imparare di scrivere lettera Merchantescha. La seconda metà del Cinquecento vede l’inizio e la fortuna dell’incisione in rame; dapprima utilizzata solo per alcune tavole, come nel caso di Cresci che, da un esemplare inciso in legno del 1560, (Essemplare) passa successivamente con il Perfetto Scrittore (Fig. 1) a utilizzare la nuova tecnica per il tramite di Francesco Aureri da Crema, ma è soltanto con il manuale del bolognese Giulio Antonio Ercolani del 1571, Essemplare varie di tutte le sorti di l’re cancellaresche correntissime, che si ha il primo manuale interamente intagliato in rame. Negli esempi incisi a bulino del Seicento può succedere che l’incisione sorpassi in bravura e in resa calligrafica l’originale, ma al contempo tradendone la freschezza con una certa artificiosità e il desiderio, da parte dell’incisore, di stupire il pubblico, in pieno spirito barocco, a detrimento però della spontaneità e anche della impossibilità della resa manuale precisa da parte dell’utilizzatore quel manuale per imparare a scrivere. Così l’incisore, le cui tavole erano particolarmente riuscite, poteva decidere di pubblicare un esemplare per conto suo, sperando in un successo tutto personale. Nel Settecento, è proprio l’incisore spesso anche autore del manuale, più che il calligrafo: è incisore-cartografo (come Decaroli), è incisore Marco di Pietro e tanti altri. Ma laddove l’incisione rappresenta l’aspetto principale, viene meno quello pedagogico. Sono incisori Antonio Baratti e sua moglie Valentina, specializzata nei caratteri, che intagliano (fra le altre) le tavole della voce calligrafia nell’edizione livornese dell’Encyclopédie. Gli incisori sono artisti, ma non maestri, e 136 francesco ascoli Fig. 1. Giovan Francesco Cresci, Il perfetto scrittore, Roma, 1570. finiscono per ricalcare i modelli di altri, riprendendone gli esempi e la didattica, o limitandosi tutt’al più a presentare solo una serie di alfabeti più o meno artistica, ma a volte non è facile distinguere: il calligrafo si fa anche incisore per gestire meglio e in autonomia le sue tavole, e l’incisore specializzato nell’incisione di caratteri cerca di rendersi anche lui autonomo. Nel frontespizio di un manuale pubblicato nel 1824 si evince che Gio. C. Castellini, La penna del maestro calligrafo «sculpsit» cioè incise, ma si dichiara contemporaneamente nello stesso frontespizio «maestro di scritto». Tuttavia i calligrafi che sono anche incisori sono una minor parte (Gaetano Giarrè di Firenze, Angelo Cominotti di Livorno, Giovanni Battista Cipriani di Venezia); la maggior parte di essi infatti impiega un incisore di professione per le sue tavole. Quello che comunque emerge è che anche i migliori bulini non disdegnano di incidere tavole di esemplari calligrafici, e che questi facevano comunque parte del loro orizzonte e bagaglio professionale. manuali di scrittura tra ’ 500 e prima metà ’ 800 137 8. La composizione del manuale Il frontespizio è il biglietto d’ingresso, la carta di presentazione dell’autore e della sua opera, la sua vetrina. I manuali calligrafici sono spesso caratterizzati da frontespizi incisi o con antiporta inciso e frontespizio a stampa,1 o viceversa, come nel caso del Modello di calligrafia di Ippolito D’Aste del 1840. Fino al Settecento, e in genere, fino a che il termine ‘calligrafia’ non cominciò ad apparire con una certa diffusione nei manuali di scrittura (e cioè dalla prima metà dell’Ottocento in poi), le intitolazioni dei frontespizi erano rappresentati da perifrasi o da sintagmi che richiamavano la pratica della bella scrittura: La Operina da imparare di scrivere littera cancellaresca (Arrighi), Lo presente libro insegna la vera arte dello scrivere (Tagliente), Libro … nel qual s’insegna a scrivere ogni sorte lettere (Palatino), Il perfetto scrittore (Cresci). Lo studio del frontespizio andrebbe affrontato sotto diversi aspetti, testuale, iconografico, bibliografico. Per quello che riguarda il primo, le ricorrenze più frequenti possono essere così riassunte: - intitolazioni che dichiarano una peculiarità esibitoria come: esemplari, raccolte, libri di carattere, modelli, alfabeti; - intitolazioni che pongono l’accento invece sulla didattica come: ammaestramenti, regole, metodo, guida; - intitolazioni diverse, che afferiscono ad altri ambiti culturali, come in epoca barocca, dove abbondano i frontespizi con titoli che si richiamano a metafore botaniche.2 Nel Cinquecento troviamo l’Essemplare di più sorti lettere (Cresci) o le ‘mostre’ come quelle di Scipione Leoni della fine dello stesso secolo. Altri termini utilizzati sono «regole» (Scalini), «avvertimenti» (Cresci, Scalini), «invenzioni» (Rocco Geronimi), o la «teorica» come quella di Sempronio Lancione del 1601. Altri ancora di questo periodo si richiamavano all’esperienza editoriale dei segretari, i manuali per imparare a scrivere lettere, così lo Scalini denomina il suo Il secretario. A volte queste due modalità si fondono (Giuseppe Amiconi: Esemplare … con facile metodo, Giuseppe Guerra: Regole ed esemplari). Dal punto di vista iconografico, poi, il frontespizio calligrafico offre una ricchezza di varietà davvero incredibile, da quelli del primo Cin1 Francesco Bessier, Calligrafia moderna, Roma, 1832. 2 Vedere F. Ascoli, op. cit., p. 33. 138 francesco ascoli quecento fino a quelli romantici finemente incisi della prima metà dell’Ottocento. A volte, ma più raramente, il frontespizio è solo tipografico, più spesso è preceduto da un’antiporta o da un occhietto. Altre volte ancora, il progetto editoriale comprende più parti, ciascuna con il suo frontespizio, come nel caso Ottavio Cupilli di Forlì, che nel 1837 pubblica un Nuovo metodo e collezione moderna di caratteri in quattro parti, ciascuna con il suo frontespizio. Rari sono i frontespizi soltanto tipografici, come quello del napoletano Gennaro Tronte del 1772, e quello di Nicolò Delia di Cosenza del 1813 o di Antonio Palaja del 1831 ca. Dal punto di vista bibliografico, i frontespizi calligrafici possono mancare di indicazione di luogo, di data o di editore, e anche di autore. Ciò mostra più che altro, la tipologia di circolazione ristretta del manuale, destinato magari soltanto agli allievi della scuola dove insegna l’autore stesso e che ben conoscono il loro maestro e il luogo dove insegna; se poi questi manuali sono stampati o in proprio o per conto dell’autore, l’editore non ha alcun interesse o motivazione a esplicitare questi riferimenti, anche perché magari deve seguire le indicazioni del suo committente. Tuttavia spesso questi elementi sono deducibili dalle tavole all’interno, dove può apparire un luogo, una data, il nome dell’incisore o del maestro stesso, anche se, in questi casi, deve essere effettuata una collazione con altri esemplari dello stesso periodo e della stessa località per non cadere in errori di attribuzione, particolarmente frequenti in questo genere di materiali, dove capita di trovare rilegati materiali di provenienza diversa, o dove l’autore ha collazionato tavole da esemplari differenti di autori differenti. 9. La dedica La dedica è un elemento strategico e rappresenta una prassi consolidata non priva di abusi e ormai ampiamente documentata da recenti studi, un circolo virtuoso che permetteva da una parte il rendere possibile un’opera d’ingegno, e dall’altra, munificare e rendere pubblico il lustro del mecenate aumentandone così il prestigio e la forza morale. La dedica ha le sue regole e le sue convenzioni, ma anche declinazioni proprie e caratteristiche peculiari che nel manuale di scrittura si rivelano ampiamente. Mentre l’Arrighi dedica la sua Operina «al benigno lettore», i successivi dedicano i loro trattati ad alti prelati, magnati o benefattori. Giovanni Battista Palatino dedica il suo al cardinale di Carpi Ridolfo Pio, noto mecenate delle arti; Giovanni Antonio Ta- manuali di scrittura tra ’ 500 e prima metà ’ 800 139 gliente a Hieronimo Dedo, segretario della Repubblica veneta; Cresci a Carlo Borromeo e successivamente ad un altro mecenate, Hippolito Agostini, balì di Siena. Non è difficile nei trattati secenteschi trovare ciascuna pagina dedicata ad un personaggio diverso. Con il passar del tempo e con il cambio di abitudini dedicatorie, anche il manuale si adegua, con dediche multiple (cioè a più dedicatari) o, a volte, ripetendo in più luoghi il dedicatario, ma la dedica a volte può anche mancare del tutto: nel Settecento, nei testi incisi e spacciati dai mercanti di stampe, la dedica è assente, in altri casi è generica come quelle «alla gioventù d’Italia» dall’Arte dello scrivere di Ignazio Contessi del 1815; «agli amatori dell’arte di scrivere bene» dal citato manuale di Francesco Decaroli del 1772; «per gli amatori del bene scrivere» dagli Esemplari di varj caratteri di Bernardino Olivieri, pubblicati a Roma nel 1792; «agli amatori della calligrafia» dal citato trattato del Ponzilacqua 1806; «alla gioventù amante del bel carattere» dal Libro di carattere secondo il gusto più moderno di Francesco Bessier, pubblicato a Roma nel 1841. A volte il manuale è dedicato a personaggi di un certo rilievo, anche femminili, come nobil donne o fanciulle aristocratiche, come nel caso del Memoriale di calligrafia di Giovanni Battista Cipriani, pubblicato a Roma nel 1828 e dedicato alla principessa Maria Luisa Orsini nata Torlonia, e dell’Esemplare di Gabriele De Sanctis scritto e dedicato alla virtuosa fanciulla Luisella Soco, pubblicato a Napoli nel 1824 oppure a proprie allieve, come nel caso di Pietro Tempestini di Prato che dedica nel 1854 il suo trattato «alla nobile giovinetta Pia Pacchiani per il ricordo di sua diligenza e per maggiore incitamento a continuare nel bene incominciato studio della calligrafia». Le dediche generiche come quelle per la «gioventù studiosa» stanno ad indicare un passaggio significativo, un cambio di valore sia per quello che riguarda la gioventù, vista come nuova categoria alla quale rivolgersi in maniera diretta in quanto tale, sia ribadendo il fatto che lo scrivere bello è fattore di civiltà, particolarmente adatto agli «amatori del bel carattere», delineando un genere di pubblico che può essere, non professionale, per un semplice arricchimento individuale, facendo sorgere la categoria del dilettante, dell’amatore sulla quale occorrerebbe riflettere maggiormente1 e per la quale non c’è frattura 1 Questa categoria appare anche precedentemente, come nella raccolta di Giacomo Franco che dedica il suo manuale «per servizio & dilettatione di tutti quelli, che sono amatori di così fatta professione.», ma è soltanto in questo periodo che assume con- 140 francesco ascoli significativa fra arti maggiori e minori, aggiungendo inoltre una questione di gusto personale. Il manuale di Marco di Pietro pubblicato a Roma nel 1794 recita Saggio di caratteri di moderno gusto, così come quello di Giovacchino Frosini, fiorentino del 1794, che porta lo stesso titolo; anche il manuale di Bernardino Olivieri pubblicato a Roma nel 1801 contiene i Saggi di caratteri di moderno gusto, e quello di Francesco Bessier del 1811 recita nel frontespizio secondo il gusto il più moderno. La dedica di Gaetano Giarrè a Raffaello Morghen è invece rivelatoria dello stretto rapporto fra calligrafia e incisione e di quanto la prima aspiri a collocarsi sullo stesso piano delle altre categorie artistiche. Le dediche successivamente negli autori più avvertiti nel periodo risorgimentale ai regnanti di casa Savoia. Ippolito D’Aste dedica il suo manuale genovese del 1840 a Carlo Alberto, Giovanni Piangerelli di Ancona della prima metà dell’Ottocento, dedica ben due tavole del suo a Vittorio Emanuele II re d’Italia, una nel frontespizio ed una con una epigrafe dedicatoria. Sempre più frequente, da questo periodo in poi, la dedica ai propri allievi: il trattato di Pasquale Martuscelli pubblicato a Napoli nel 1840 è dedicato «ai suoi cari allievi», ma la dedica come tale si perde sempre di più diventando una semplice indicazione di destinazione d’uso. È frequente infatti, con la scolarizzazione e il necessario adeguamento ai programmi didattici, la dicitura ‘ad uso degli allievi…’ con la specifica del tipo di scuola. In tal caso la destinazione d’uso non è più un elemento paratestuale, ma diventa parte integrante di un progetto editoriale a volte più complesso, dove il singolo manuale si trova inserito in una serie di quaderni ciascuno dedicato ad un particolare segmento scolastico ben identificato. 10. L’apparato testuale Con tale definizione intendiamo riferirci alle scelte testuali utilizzate come esempi nella didattica. Nei manuali del Cinque-Seicento sono spesso i testi di dedica che svolgono la funzione di esempi di scrittura. Le frasi sono spesso utilizzate come esempi calligrafici che riassumono quello che l’aspirante scrittore ha appena appreso nelle lezioni precedenti. Il ricorso ad un repertorio moraleggiante, a proverbi, a citazioni bibliche o esempi notati sociologici importanti, in cui categorie come quella del gusto individuale iniziano ad avere una certa consistenza. manuali di scrittura tra ’ 500 e prima metà ’ 800 141 classici come miti o favole di Esopo,1 è comune. «Meglio può conservarsi una Città senza fuoco, e senz’acqua, che senza Religione» scrive Aurelio Pitois nei suoi Caratteri diversi del 1745. «Volendo far male ad altri, il farai a te stesso. Zoppicar impara, chi con lo zoppo cammina» scrive Giovanni Spirito Lemmi nel suo Alfabeto in carattere mezzano e grosso, pubblicato a Livorno nel 1794. La raccolta torinese del Peiraud Nuovo libro di scrittura di fine Settecento contiene numerosi esempi, alcuni dei quali ripresi da altri, come il seguente «Abandonar il Lido senza biscotto2 è imprudenza di Marinaio, e abandonare la vita senz’opere buone è pazza risoluzione», che trovasi anche nel citato manuale di Aureglio Pitois. Alcune volte l’autore esalta il valore della scrittura, magari con una breve introduzione storica, o con allocuzioni che esaltano il valore della calligrafia, e un «viva la penna» posto in esergo. Ponzilacqua in una sua tavola dal suo manuale del 1814 descrive la calligrafia come «l’arte utilissima e necessaria del bello scrivere». Altrove, nel medesimo manuale: «La scrittura può ricevere ordine e avanzamento da un lungo esercizio, ma non mai né una forma regolare né una legatura facile e propria senza precetti». La destinazione professionale dei manuali è invece evidenziata dall’utilizzo di esempi di lettere, specialmente di genere commerciale, come quelle di cambio, o di particolari tipi di contratti come le polizze. Comune è anche il ricorso ad autori e glorie letterarie nazionali come il Manzoni ed altri; D’Aste 1840 cita alcuni versi della sua poesia alla Vergine Il nome di Maria; nello stesso manuale, sono citati anche Vittorio Alfieri e Ludovico Ariosto con estratti dal Saul e dall’Orlando Furioso. 11. L’apparato iconografico L’apparato iconografico non è necessariamente legato alla funzione pedagogica del manuale, anche se le decorazioni mettono comunque in mostra le capacità grafiche dell’autore. Naturalmente è il fronte1 Nella Raccolta di caratteri del Giarrè, ad es., in alcune tavole sono riportate brevi favole come La lièvre et la tortue o Le renard et le loup come esempi di scrittura francese; in Francia alcuni calligrafi pubblicarono testi di favole con esempi calligrafici; in particolare Giuseppe Monfort, Fables d’Esope, Paris, s.d. [ma fine Settecento-inizi Ottocento]; Tresse L’Ainè, Fables moralisées en quatraine, Paris, ca. 1831. 2 Vale a dire imbarcarsi senza aver fatto sufficienti provviste o preso i necessari provvedimenti per la navigazione. 142 francesco ascoli Fig. 2. Giovanni Barisoni, Il vero lume dell’arte dello scriuere, Venezia, 1607. Fig. 3. Gaetano Giarrè, Giarrè scrittor fiorentino inventò e incise questo nuovo metodo per formare un bel carattere, Firenze, post 1801. manuali di scrittura tra ’ 500 e prima metà ’ 800 143 Fig. 4. Francesco Bessier, Libro di caratteri, Roma, prima metà secolo xix. spizio quella parte in cui l’elemento decorativo gioca un ruolo importante, ma non è l’unico spazio in cui si manifestano le abilità dell’autore di questo tipo. Nei manuali del Cinque-Seicento e, in qualche caso anche nei periodi successivi, è possibile trovare il ritratto dell’autore o direttamente nel frontespizio, o in un’antiporta (Palatino, Cresci, Pisani, Ruinetti, Zanella e altri), o nella caratteristica posa al tavolino in una tavola dedicata, come nel caso di Giovanni Barisoni, Il vero lume del 1607 (Fig. 2), o di Gaetano Giarrè (Fig. 3) nel frontespizio del suo Gaetano Giarrè inventò e incise del 1801, o in una tavola di Francesco Bessier, Libro di caratteri del 1811 (Fig. 4), e infine nel frontespizio del manuale napoletano di Pasquale Martuscelli del 1840. È prassi molto comune che gli autori, quando presentano in una tavola la classica posa al tavolino, raffigurino con tutta probabilità se stessi. In queste illustrazioni, è anche facile che l’autore si contorni dei suoi giovani allievi (Giarrè). In altri casi invece, il ritratto riprodotto è quello del dedicatario, come nel caso dei fratelli Santerini di Cesena nel loro importante manuale in folio del 1838 con un ritratto del cardinale Oppizzoni. Nei frontespizi di età classica abbondano elementi iconografici come divinità mitologiche, putti alati, elementi architettonici caratte- 144 francesco ascoli Fig. 5. Angelo Garassino, Cahier des diverses écritures…, Torino, 1811. ristici e altro ancora. Gli Elementi di calligrafia moderna di Francesco Bertolotti incisi nei primi anni dell’Ottocento, presentano nel frontespizio una Minerva con un putto che trattiene in una mano dei fogli e manuali di scrittura tra ’ 500 e prima metà ’ 800 145 Fig. 6. Pietro Pellicciotti, Esemplari di diversi caratteri…, Chieti, 1830. in un’altra un boccale pieno di penne d’oca; analogamente in un manuale del Giarrè, la Raccolta di caratteri presenta nel frontespizio una Minerva svolazzante che trattiene una fascia con una parte dell’intitolazione dell’opera e un putto lì accanto. 12. Altri elementi: formati, legature, mise en page Un altro elemento di non secondaria importanza è il formato. I manuali del Cinquecento sono in genere di piccolo formato e verticali, così l’Arrighi, il Tagliente e il Palatino. Tuttavia, già con il Cresci e l’Amfiareo si inaugura la stagione dei manuali orizzontali, ad album, in oblungo che diverrà la norma di lì in poi. Nel Seicento il formato ad album si ingrandisce; nell’Ottocento tali album possono raggiungere dimensioni ragguardevoli. Dalla fine Settecento altri invece, influenzati dalla tradizione francese, manterranno il formato verticale: Decaroli, Garassino (Figg. 5-6), Martuscelli. Con l’avvento dei sistemi scolastici però, il manuale, pur rimanendo prevalentemente di formato oblungo, si rimpicciolisce, specialmente in altezza, fino a diventare un minuscolo album adatto per portare con sé a scuola tutti i giorni, di poco prezzo e pronto da essere utilizzato tutto sommato con poco riguardo. Al manuale classico per 146 francesco ascoli Fig. 7. Bartolommeo Ponzilacqua, Trattato teorico-pratico di calligrafia, Venezia, ca. 1820. gli studenti si affiancherà, oltre quel corredo didattico che abbiamo già accennato, il manuale guida dedicato agli insegnanti, con più testo e norme di comportamento sia per loro sia per i loro allievi, questo sì generalmente di formato verticale. Come è noto, fino ad epoca recente, le pubblicazioni in genere spesso non avevano rilegatura, una operazione che toccava poi all’acquirente di eseguire. Soltanto con la grande industrializzazione e la razionalizzazione dei sistemi produttivi, la rilegatura sarà un processo comune, definitivo e sistematico. Tuttavia, anche se rilegati, qualche manuale presenta alcune particolarità di legatura o di presentazione delle tavole. Si tenga presente che, fino a Ottocento inoltrato, e fino a che i processi produttivi non lo permetteranno, le tavole incise dei manuali presentavano il solo recto, lasciando libero il verso.1 1 Tranne qualche notevole eccezione come Le soprascritte del fiorentino Salvadore Gagliardelli, con tavole incise su entrambi i lati, probabilmente a causa dell’elevato numero delle stesse. manuali di scrittura tra ’ 500 e prima metà ’ 800 147 La divisione in colonne oppure in strisce riquadrate è una strategia di impostazione di pagina adottata frequentemente per suddividere la materia (alfabeti di caratteri o dimensioni diverse; frasi o proverbi distinti l’uno dall’altro). Anche i criteri di numerazione delle tavole hanno un loro preciso significato. Normalmente, le tavole sono numerate in maniera distinta e sequenziale o in caratteri arabi o talvolta in caratteri romani, comprendendo o tralasciando di numerare come prima tavola il frontespizio secondo i casi. Alcune volte i riquadri secondo cui la tavola è ripartita sono a loro volta numerati (vedi tavola 5 intitolata «Primi principi» del trattato del Martuscelli del 1840 con tredici riquadri numerati da 1 a 13 con l’aggiunta di altri due non numerati. Interessante il primo che riporta due misurazioni della radicale secondo due autori francesi differenti, di fine Settecento come Joseph Henry Defargues e Alexandre Bourgoin; vedi anche la tavola v del manuale del Ponzilacqua del 1814 – Fig. 7 – con le diciture «fig. 1», «2» …); altre volte ancora, invece, la stessa tavola porta più di una numerazione secondo quanti sono i riquadri in cui la tavola è ripartita, così che il numero delle tavole alla fine non coincide con quello riportato dal manuale: negli Esemplari di varj caratteri del 1792 incisi da Bernardino Olivieri le numerazioni dei primi sei fogli coincidono (ogni tavola riporta un solo numero), mentre i fogli seguenti riportano una numerazione doppia (lo stesso foglio segna come numerazione tavola 7 e tavola 8, in quello dopo la 9 e la 10, poi la 11 e la 12, negli ultimi sono segnate tre numeri di tavola 13, 14 e 15 e l’ultima 16, 17 e 18; anche nella Calligraphie progressive di Angelo Audifredi, i fogli riportano una numerazione doppia di tavole, questa volta in numeri romani: il primo foglio numera tavola i e ii e così via. La numerazione può anche mancare, specie nelle compilazioni dove si mettono insieme tavole provenienti da manuali differenti, come nel caso del Nuovo libro di scrittura di Antonio Peiraud. 13. La circolazione del manuale Fra la prima metà del Cinquecento e la prima metà del secolo successivo furono pubblicati i più importanti manuali di scrittura, che abbiamo già ampiamente citato, soprattutto fra Venezia e Roma,1 che ri1 Un elenco, anche se incompleto, è reperibile sul testo di Alfred Osley, Luminario, an introduction to the Italian writing books of the sixteenth and seventeenth century, Nieuwkoop, Miland, 1972, e, più recentemente, sul sito di James Mosley: http://typefoundry. blogspot.it/2006/01/italian-writing-masters-and.html. 148 francesco ascoli Fig. 8. Honorato Tiranti, L’interpuntione della lingua italiana, Torino?, 1657. mangono i luoghi di stampa privilegiati, ma anche Padova (Sebastiano Zanella), Ravenna (Antonio Sacchi), Pisa (Dario Pisani), Siena, Brescia e Genova, mentre Torino è presente solo verso dal 1640 in poi grazie alle pubblicazioni di Honorato Tiranti (Fig. 8). Gli editori più prestigiosi firmano i manuali del Cinquecento: Niccolò Zoppino e Valerio Dorico di Venezia, Antonio Blado di Roma e tanti altri, ma è soprattutto G. A. Rampazzetto a Venezia che pubblicano gli autori più noti come il Cresci, il Palatino, numerose edizioni del Tagliente, oltre che a pubblicare un esemplare di un autore poco conosciuto e non citato nelle bibliografie ufficiali, tale Cristoforo Barbetti, che pubblicò per il Rampazzetto a Venezia nel 15921 una Opera, et inventione non meno degna, che utile et necessaria … per imparare a scriuere con prestezza. Nel periodo successivo, tuttavia, come già osservava Stanley Morison «The most immediately striking fact is the collapse of the Rome-Venice axis, which so dominates the scene until 1640».2 Il giudizio degli 1 Unico esemplare conosciuto alla Biblioteca Universitaria Alessandrina di Roma. 2 Stanley Morison, Early italian writing books: Renaissance to Baroque, [ed. by Nicolas Barker], Verona, Valdonega, 1990, p. 147. manuali di scrittura tra ’ 500 e prima metà ’ 800 149 Fig. 9. Leopardo Antonozzi, De caratteri, Roma, 1638. stranieri contemporanei è ancora più drastico: secondo Paillasson, un celebre maestro di scrittura del Settecento, «Les italiens n’ont rien composé et gravé».1 Infatti, dopo la pubblicazione dell’Antonozzi (Fig. 9) del 1638, si hanno pochissime edizioni, e il nome che campeggia di più è quello del sunnominato Tiranti. Situazione anche peggiore per la prima metà del Settecento, mentre è verso la fine del secolo che, soprattutto con il manuale del Decaroli del 1772 e di Gennaro Tronte dello stesso anno, la pubblicazione dei manuali si intensifica. La modalità di circolazione era quasi sempre a carattere locale, vista anche la frammentazione territoriale italiana. Le grandi capitali primeggiano naturalmente, anche se con eccezioni e con necessarie puntualizzazioni: Roma, Torino, Firenze soprattutto. A Venezia primeggia la figura di Bartolommeo Ponzilacqua, i cui manuali, adottati per il Lombardo-Veneto diventano famosi ed apprezzati. Abbondano invece le pubblicazioni di manuali a Napoli, dove la Stamperia Reale, l’Officio Topografico, fucina di calligrafi, e la presenza della 1 Citazione riportata nel mio testo Dalla cancelleresca all’inglese, p. 44, dove esplicito la fonte e tutti i riferimenti bibliografici relativi a questa affermazione. 150 francesco ascoli stamperia del Fibreno contribuiscono in maniera determinante al proliferare di tali pubblicazioni: Gennaro Tronte (1772 e 1774), Gabriele (o Gabriello) De Sanctis, editi fra il 1824 e il 1834 e di Pasquale Martuscelli del 1840. Le modalità di spaccio si presentava con manuali non rilegati, o rilegati ‘alla rustica’ e, per le opere più impegnative economicamente o più prestigiose, ricorrendo alla pratica della sottoscrizione o dell’abbonamento. Significativo il caso di Luigi Petrarca, maestro pesarese che pubblica un manuale con questa modalità. La sua Nuova guida per imparare a scrivere del 1824 e pubblicata per i tipi della nota stamperia pesarese di Amnesio Nobili, annovera, alla fine del manuale, la lista dei sottoscrittori, permettendoci anzitutto di farci un’idea della tiratura (in questo caso 385) e di quale professione fossero i sottoscrittori. Da questo elenco ricaviamo che, a parte 238 sottoscrittori di cui non si specifica la professione, ci sono 37 ecclesiastici, 20 possidenti, 14 impiegati, 13 nobili e altrettanti legali e avvocati, 11 segretari comunali, 9 studenti, 8 medici e chirurghi, 5 governatori, 4 cancellieri e 4 notai, 3 seminaristi, 2 ingegneri, 1 archivista; in campo scolastico ci sono solo 7 maestri e un calligrafo. Come forse è naturale aspettarsi, una buona percentuale è formata da ecclesiastici, nobili e possidenti o impiegati nelle nascenti burocrazie: può meravigliare invece forse il fatto che vi siano relativamente pochi rappresentanti dei professionisti della scrittura. 14. Il collezionismo Il manuale di scrittura già dal Seicento è oggetto di collezione. Il caso più famoso ed emblematico è quello di Samuel Pepys della fine di quel secolo, che però non li collezionava interi, ma li smembrava e raccoglieva le singole tavole, secondo il suo gusto personale e in un’ottica di raccolta differente. Pepys raccoglieva anche esempi di stenografia e di micrografia, a voler testimoniare tutta una storia della scrittura, più che a raccogliere manuali. Nel Catalogue of the Pepys Library at the Magdalene College, pubblicato nel 1989 e relativo alla raccolta musicale, calligrafica e cartografica, a p. ix dell’introduzione i curatori così si esprimono: «All the books have been disbound, and none has been included entire. Pepys included none of the letterpress pages». I manuali italiani contenuti nella collezione sono pochi e tutti del Seicento, fra cui vale la pena segnalare forse quelli rarissimi di Gilberto Pasca da Napoli del 1635 e l’Alfabeto di lettere maiuscole di Luca Orfei, pubblicato manuali di scrittura tra ’ 500 e prima metà ’ 800 151 a Roma nel 1650. Sono i calligrafi comunque i primi veri collezionisti di manuali, anche se la loro raccolta aveva diciamo, un carattere professionale, documentario. Così certi grandi maestri di scrittura di corte avevano la loro collezione privata sia per passione, sia anche per rendersi conto di quale fosse lo stato dell’arte in quel momento. Importanti le collezioni di Eugène Valdruche venduta ad Amsterdam nel 1873 e quelle di Hippolyte Destailleur messa in vendita nel 1891. Furono anche professori di disegno e di architettura a raccoglierli, come l’insegnante svedese di disegno John Ekström (1858-1924), che ha lasciato un’importante collezione ora presso l’Università di Umeå. Molti librai antiquari si accorsero del fascino e anche del potere di attrazione del manuale e quindi inserirono nei loro cataloghi sezioni dedicate, come la Case londinesi Maggs Bros (importanti i cataloghi n. 509 del 1928 e 542 del 1928), e la Davis & Orioli e altre ancora. Importante la Collezione Ricketts che confluì alla Newberry Library di Chicago. Dopo le grandi vendite di fine Ottocento, vendite specifiche di soli manuali ve ne furono poche, possiamo ricordare della raccolta E. F. Hutton venduta da Sotheby’s nel 1972 o quella effettuata da parte della libreria Helmut Schumann di Zurigo del n. 511 intitolata Art of ornament and writing del 1976, e più recentemente quelle di Paul Jammes dal titolo Belles Ecritures del 1992. In queste raccolte era quasi sempre presente una parte dedicata ai manuali italiani, soprattutto del Cinque e Seicento che maggiormente interessavano i collezionisti. Il prima bibliofilo e collezionista italiano che raccolse, fra l’altro, anche manuali di calligrafia fu il conte Giacomo Manzoni di Lugo, autore degli Studi di bibliografia analitica, in cui tratta dei manuali del Cinquecento e la cui biblioteca fu messa all’incanto a Roma nel 1893. Per molto tempo in Italia il manuale non fu particolare oggetto di attenzione da parte di collezionisti e molti ne furono messi in vendita da librerie italiane, e presero il volo per finire in biblioteche straniere, specialmente americane, con le solite e debite eccezioni, fra cui meritano particolare attenzione le vendite della Casa Olschki di Firenze in cui, almeno in alcuni cataloghi della famosa serie «Choix» (spec. il i vol., nn. 177-190) e il cat. xci. Ornement – Arts Décoratifs, dove sono presentati diversi manuali cinque-secenteschi, ma non solo). Anche in Italia, molte librerie antiquarie, specie le più prestigiose, offrivano nei loro cataloghi, qualche manuale cinque-secentesco. La più importante raccolta italiana fu messa insieme da Timina Guasti di Taliedo (1902-1991) moglie del famoso ingegnere aero- 152 francesco ascoli nautico Giovanni Caproni e venduta all’asta da Sotheby’s a Milano nello stesso anno 1991; i suoi esemplari sono comunque riconoscibili dal suo ben noto ex libris. La più nota raccolta italiana, qualitativamente anche se non quantitativamente, fu quella acquisita dalla libraia milanese Carla Marzoli che redasse nel 1962 un importante e minuzioso catalogo, con la copertina disegnata da Max Huber e con la prefazione di Stanley Morison. Il catalogo, suddiviso per nazionalità e per secolo, descrive, quasi tavola per tavola, i manuali della collezione, partendo da quelli italiani del Cinquecento e proseguendo elencando i manuali dei periodi successivi. Anche questa collezione fu messa in vendita e acquistata da una biblioteca americana del Texas negli anni sessanta del secolo scorso. Un’altra importantissima collezione privata italiana fu quella di Renato Rabaiotti, che comprendeva diversi manuali del Cinquecento, alcuni rarissimi (ad es. uno del Seicento di Valerio Spada). Anche questa, come le altre, fu venduta all’asta da Christie’s di Londra nel 1992. 15. Biblioteche e raccolte pubbliche Naturalmente tutte le grandi biblioteche nazionali possiedono esemplari di calligrafia, pervenuti per lasciti od acquisti, ma non in quanto oggetto di una politica specifica di acquisizione. In tal senso la biblioteca che contiene la raccolta più importante qualitativamente e quantitativamente su questo soggetto è senza dubbio la Newberry Library di Chicago che possiede, oltre ai manuali, una collezione importante di manoscritti calligrafici e documentazione sull’argomento e la realtà italiana vi è ben rappresentata. La Bibliothèque Nationale de Paris, nel suo gabinetto delle stampe, ha un nutrito fondo di manuali calligrafici, così come l’Institut National de Recherche Pédagogique attualmente a Lione. Anche qualche museo del libro, come quello Gutenberg di Mainz o la Biblioteca di Stato di Berlino nel suo fondo di opere a carattere ornamentale possiedono manuali di scrittura, anche italiani. Nel catalogo di quest’ultimo, nella parte dedicata alla scrittura, figura una sezione dedicata, disposta cronologicamente, dove figurano nomi ed esemplari rarissimi, come il Fanti, l’Arrighi, il Cresci e molti altri, del Sei e Settecento. Un’altra importante biblioteca che possiede un fondo specializzato è quella del Victoria and Albert Museum di Londra, che nel 1980 propose una mostra retrospettiva sull’argomento dal titolo The Universal manuali di scrittura tra ’ 500 e prima metà ’ 800 153 Penman, a Survey of Western Calligraphy from the Roman Period to 1980. Anche in Italia, la maggior parte delle biblioteche più importanti, come la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, la Marciana di Venezia, la Braidense di Milano e così via posseggono manuali di calligrafia, senza però essere stati collocati in un fondo apposito o essere mai stati oggetto di acquisti sistematici. Sempre a Milano è importante la raccolta che si trova alla Civica Raccolta di Stampe Achille Bertarelli, specializzata in grafica e stampe, dove è collocata una serie di una settantina di opere calligrafiche. Oggi un fondo estremamente importante di questo tipo si trova attualmente ad Abbiategrasso, presso la Fondazione per Leggere, dove sono custoditi circa cinquecento manuali di tutte le epoche, in prevalenza italiani, ma non solo, e dove esiste anche un fondo documentario dove accanto al manuale, è possibile trovare gran parte della letteratura sull’argomento (bibliografie, cataloghi, ecc.). 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Carta, torchi e caratteri nelle pubbliche esposizioni dalla Restaurazione all’Unità d’Italia Francesco Ascoli, Il manuale di scrittura fra Cinquecento e prima metà dell’Ottocento Riccardo De Franceschi, 1925-1945: l’alba dei caratteri scritti moderni Ewan Clayton, The Burgert Handpresse Karel van der Waarde, Generic illustrations of the common press Abstracts 15 33 57 81 125 155 177 195 205