CASETTI DI CHIO-ANALISI DEL FILM

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Casetti – Di Chio - Analisi del film
1. Il percorso dell’analisi
1.1 Analizzare
Possiamo definire l’analisi come un insieme di operazioni compiute su un oggetto e consistenti in una sua
scomposizione e ricomposizione, al fine di individuarne meglio le componenti, l’architettura, i movimenti, le
dinamiche, ecc.
Si tratta quindi di un percorso alla fine del quale si guadagna una migliore intelleggibilità dell’oggetto
investigato.
1.2 La buona distanza
L’analisi testuale del film comporta necessariamente un distacco dalla situazione normale in cui
quest’ultimo viene percepito.
Il cinema costringe lo spettatore a rimanere sottomesso alla concatenazione delle immagini e dei suoni. La
scomposizione e ricomposizione propri dell’analisi sono possibili solamente disponendo del film al di fuori
del suo canale principe di distribuzione, ad es. attraverso le videocassette.
Ma il distacco non è solo la ratifica di una nuova forma di visione, ma anche la ricerca di una qualche
distanza dall’oggetto. Una “buona distanza” è quella che permette l’investigazione critica, e insieme quella
che non esclude un’investigazione appassionata. Essa serve a rendere il film disponibile e insieme
dominabile, presente nelle sue singole parti e nel tutto.
1.3 Analizzare, riconoscere, comprendere
L’analisi mira a:
riconoscimento: legato alla capacità di individuare quanto appare sullo schermo, è un’azione compiuta su
elementi singoli, volta a coglierne l’identità. A questo scopo la scomposizione procede ad una ricognizione
sistematica degli elementi del testo, un vero e proprio inventario.
comprensione: legata alla capacità di riportare quanto sullo schermo ad un insieme più vasto, le singole
componenti all’interezza del testo. La ricomposizione del testo mette in luce, oltre alla struttura e alle
dinamiche dell’oggetto, anche gli stessi meccanismi della comprensione.
Si tratta quindi di ripetere un meccanismo di fruizione “naturale” (riconoscimento-comprensione) in modo
“mediato”, distaccato, per lavorare con sistematicità e autocoscienza.
1.4 Analizzare, descrivere, interpretare
Ma l’analisi si rapporta anche ad altre due operazioni:
la descrizione: ripercorrere una serie di elementi, uno per uno, con accuratezza e fino all’ultimo
l’interpretazione: cercare di cogliere il senso del testo, andando al di là delle apparenze, impegnandosi in
una ricostruzione pur rimanendo fedeli all’opera.
Apparentemente, la prima operazione è vicina alla fase di scomposizione, la seconda alla ricomposizione. In
realtà entrambi i momenti dell’analisi hanno a che fare con i due processi. La scomposizione risponde
infatti comunque anche ad un punto di vista personale, mentre la ricomposizione in qualche modo deve
fare i conti con il testo originale.
1.5 La presenza dell’analista
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L’analista, davanti ad un film e più in generale ad un testo, si porta inevitabilmente dietro due condizioni:
la comprensione preliminare, ovvero il tipo di conoscenza che possiede dell’oggetto prima ancora di
cominciare a lavorarci
l’ipotesi esplorativa, ovvero la prefigurazione di ciò che sarà, o potrà essere, il risultato dell’analisi.
C’è dunque fin da subito nell’analisi una presenza idiosincratica dell’osservatore, che guida l’analisi e le dà
una certa meta. Ciò non deve comunque rappresentare un condizionamento, dato che tutte le ipotesi
devono continuamente essere messe a confronto con il testo e se necessario corrette.
Di questa esigenza di equilibrio tra la fedeltà al testo e le premesse dell’interpretazione risentono anche
altri tre passaggi:
La delimitazione del campo di analisi: ci si muove nell’ambito di un esame che fa i conti con il film in sé
stesso (immagini e suoni), senza tener conto di altri aspetti esterni (produzione, modi di consumo,
personalità dell’autore, storia, ecc.). In quest’ambito ci si può occupare di un campo di ampiezza più o
meno grande (un gruppo di film, un film, una sequenza, ecc.) , e si può procedere in senso generalizzante o
al contrario esemplificante. Ciascuna di queste scelte si giustifica in relazione a precise finalità, e quindi
orienta l’analisi.
La scelta del metodo: si può utilizzare la semiotica, ma anche la sociologia, la psicoanalisi, la storia, ecc.
La definizione degli aspetti: le componenti linguistiche, i modi della rappresentazione, la dimensione
narrativa, le strategie di comunicazione, ecc.
1.6 Disciplina e creatività
Distacco dal film e sovrapposizione della presenza dell’analista sono due aspetti fondamentali per iniziare il
percorso di analisi. Essi però non annullano la possibilità di un approccio effettivo al testo, che rimane a
portata di mano, in tutta la sua concretezza e disponibilità. Ma senza questi presupposti, questa
“disciplina”, l’osservazione si farebbe caotica, casuale, priva di pertinenza.
Ogni passo dell’analisi, comunque, comporta decisioni personali dell’analista, e dunque si apre alla sua
creatività, altrettanto indispensabile per raggiungere risultati produttivi.
2. I procedimenti dell’analisi
2.1 Come si analizza
2.1.1 Le tappe dell’analisi
Quali sono le tappe fondamentali del processo di analisi?
Segmentare: suddivisione dell’oggetto nelle sue diverse parti. Individuare in qualcosa di lineare l’esistenza
di confini. Fondamentale sapere “dove tagliare”
Stratificare: indagine trasversale delle parti individuate, disamina delle loro componenti interne e della loro
amalgama
Enumerare e ordinare: redigere una mappa descrittiva dell’oggetto che tenga conto di differenze e
somiglianze, di struttura e di funzione
Ricompattare e modellizzare: costruire una visione unitaria dell’oggetto che renda ragione, attraverso una
rappresentazione sintetica, dei suoi principi di costruzione e funzionamento.
2.1.2 Le regole del gioco
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Per disaggregare e riaggregare ci sono delle modalità consolidate, delle regole d’azione. Esse però non
devono essere considerate come vincolanti. Si opera con esse e all’interno di esse, ma le si applica
individualmente, creativamente.
L’analisi di un film non è semplicemente la decifrazione di un testo, ma anche la valorizzazione di un
proprio modo di accostarsi al cinema.
2.2 La scomposizione
2.2.1 Due tipi di scomposizione
Di fronte al testo filmico, l’analista si pone due serie di domande:
Come distinguere, nel continuum del testo, quelle porzioni precise, separate da confini, che sono tipiche
dell’operazione di segmentazione
Cosa distinguere all’interno delle parti individuate, allo scopo di indagare trasversalmente e individuarne le
componenti interne (stratificazione)
A queste due serie si dovrà rispondere con i propri criteri di intervento, in parte condizionati da regole
condivise, ed in parte determinati dalla creatività.
2.2.2 La scomposizione della linearità, o segmentazione
La scomposizione consiste nel dividere il testo in segmenti sempre più brevi che rappresentino unità di
contenuto sempre più piccole.
L’approccio immediato è quello di cominciare a suddividere il film in grandi unità di contenuto, per poi
continuare progressivamente a frammentare fino a che il contenuto si mostri passibile di ulteriori
suddivisioni Si avranno così segmenti di diversa grandezza:
gli episodi: più storie o fasi marcatamente diverse di una stessa storia. Di solito nei film ci sono marcatori
che indicano la fine di un’unità di questo tipo e l’inizio di un’altra. (titoli in sovrimpressione, voci fuori
campo, cambiamenti spazio-temporali importanti.
Le sequenze: più frequenti degli episodi, sono più brevi, meno articolate e delimitate, pur mantenendo il
carattere autonomo. Sono spesso delimitate da dissolvenze incrociate, su nero o dal nero, tendine, iris, ecc.
A volte però basta un semplice stacco. E si danno casi anche in cui i “segni di interpunzione forti” si situano
all’interno di unità di contenuto determinate. Sta allora all’analista valutarne la valenza semantica
(sottosequenza)
Le inquadrature: a livello tecnico corrisponde ad un segmento di pellicola girato in continuità, delimitato da
un fermo della macchina da presa, e a livello di montaggio da un taglio di forbice. Si distingue proprio per il
tipico “stacco”. Ma non sempre corrisponde ad un’unità di contenuto (vedi campo/controcampo)
Le immagini: questa ulteriore suddivisione si rende necessaria quando le singole inquadrature non si
limitano a rappresentare situazioni semplici e statiche, ma mettono in scena una pluralità di spazi, azioni,
visioni e situazioni che danno al tutto una dimensione eterogenea. Sono segmenti omogenei per il punto di
vista, lo spazio rappresentato, la distanza degli oggetti, il tempo della ripresa.
La scomposizione, in definitiva, serve per determinare la successione degli elementi del testo filmico, la loro
dimensione, la loro articolazione interna e il loro ordine. Essa traccia lo schema lineare del testo filmico, il
suo “indice generale”.
2.2.3 La scomposizione dello spessore, o stratificazione
La stratificazione consiste nello spezzare la compattezza del film e nel cogliere gli strati che lo compongono.
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Una volta ripartito il film in episodi, sequenze, inquadrature, immagini, se ne individuano le varie
componenti interne (spazio, tempo, azione, valori figurativi, commento musicale) e le si analizzano una alla
volta sia nel loro gioco reciproco all’interno di un dato segmento, sia nella diversità di forme e funzioni che
assumono durante tutto il film.
Questa seconda forma di scomposizione si articola in due fasi:
identificazione di una serie di elementi omogenei: fattori che ritornano all’interno del testo e che
appartengono ad una medesima area: stilistici (luci, movimenti di macchina, ecc.), tematici (luoghi,
situazioni), narrativi (azioni del protagonista o dell’antagonista). Essi rappresentano un asse che percorre in
modo trasversale il film, una sorta di partitura indipendente dalla successione delle immagini.
Articolazione della serie: Si individuano:
Le opposizioni di due o più realizzazioni stilistiche, nuclei tematici o snodi narrativi (dissolvenza vs. stacco,
notte vs. giorno, ecc.)
Le varianti di una stessa realizzazione (dissolvenza incrociata vs. dissolvenza in nero, interno luminoso vs,
interno buio, ecc.)
Opposizioni e varianti consentono di cogliere i diversi elementi che formano una serie: omogenei ma
distinguibili fra di loro.
Dopo l’individuazione degli assi e la specificazione degli elementi, si dovranno accorpare le due serie di
osservazioni e ricostruire un disegno unitario del testo in tutti i suoi strati.
Termina così la scomposizione del testo.
2.3 La ricomposizione
2.3.1 I quattro passi della ricomposizione
Si tratta di riaggregare gli elementi individuati e costruire un “modello” che metta in luce la logica che li
unisce. Le operazioni da compiere sono sostanzialmente quattro.
2.3.2 L’ Enumerazione
Si traccia un elenco sistematico delle presenze nel film
2.3.3 L’ Ordinamento
Si mette in evidenza il posto che ciascun componente occupa nell’insieme del film, sia rispetto al suo
svolgimento lineare (attribuzione alla sequenza, inquadratura, ecc.)che alla sua struttura profonda
(attribuzione ad un determinato livello espressivo o serie omogenea)
Con queste prime due operazioni si mette a nudo un sistema di relazioni, una trama complessiva, e si
chiude la fase di inventario e organizzazione.
2.3.4. Il Ricompattamento
Si comincia ad individuare la struttura portante del film. Per arrivarci si passa attraverso la sintesi, che
comprende:
l’unificazione per equivalenza od omologia
la sostituzione per generalizzazione o per inferenza
la gerarchizzazione.
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Tutte queste operazioni servono ad arrivare ad un’immagine quanto possibile ristretta del testo.
2.3.5 La modellizzazione
Il passo conclusivo è quello che ci porta ad una rappresentazione capace di sintetizzare e spiegare il
fenomeno investigato. Il modello è uno schema che dà una visione concentrata dell’oggetto
evidenziandone le linee di forza e gli andamenti ricorrenti.
Il modello è fondamentalmente un dispositivo che consente di mettere in luce l’intelleggibilità del
fenomeno. Deriva dall’oggetto di partenza, ma è anche una cosa completamente nuova, in cui ciò che
conta è la formalizzazione delle strutture e dei meccanismi più intimi dell’oggetto.
La prima grande scelta che si pone all’analista nell’elaborazione di un modello è quella tra:
modello figurativo: fornisce del testo una sorta di “immagine” complessiva, che ne concretizza andamenti e
strutture
modello astratto: è una formula, riduce gli andamenti e la composizione del testo ad un insieme di rapporti
puramente formali, esprimibili in un linguaggio logico-matematico.
Si ha poi la distinzione tra:
modelli statici: delineano i legami tra gli elementi del film, cogliendoli in una visione immobilizzata. Non si
guarda la processualità, ma l’articolazione generale.
Modelli dinamici: ordinano gli elementi significativi intorno all’avanzare stesso del testo: si tratta di
costruire un “diagramma” che tenga conto del movimento, dell’evoluzione.
Naturalmente si danno anche casi in cui le diverse tipologie di modello possono mischiarsi, dando origine a
modelli dinamici-figurati o statici-astratti.
2.4 Criteri di validità dell’analisi
Si tratta ora di stabilire in base a cosa un modello può risultare accettabile, perché si possa scegliere una
tipologia rispetto ad un’altra.
Innanzitutto un’analisi, per poter essere ritenuta valida, deve possedere almeno tre caratteristiche:
Coerenza interna (non deve mai contraddirsi)
Fedeltà empirica (aggancio con l’oggetto indagato)
Rilevanza conoscitiva (dire qualcosa di nuovo)
Al di là di questi parametri generali, ne esistono altri specifici, che giustificano le singole strade che si
vogliono imboccare, e quindi i singoli tipi di modelli. In particolare:
la profondità: un’analisi per essere valida deve essere in grado di cogliere il cuore nascosto del testo, il
nocciolo che al tempo stesso riassume il testo e ne illumina il senso. Presuppone una concezione del testo a
livelli. Il limite è legato al rischio di cercare un senso profondo anche dove non c’è.
L’estensione: si deve tener conto del maggior numero di elementi possibile. L'idea sottesa è quella di un
testo costituito di una trama di fili che si intrecciano in maniera complessa. Il rischio è quello di inseguire
una completezza irraggiungibile.
L’economicità: un’analisi deve puntare alla sintesi estrema, quanto più ridotta possibile. L’idea è quella che
il testo si possa “riassumere” nei suoi minimi termini, cogliendone meglio la natura. Il rischio è di non
trovare minimi comuni denominatori.
L’eleganza: Il testo come una sorta di gioco basato sul piacere dell’espressività, al quale l’analista è
chiamato a partecipare. Si rischia di escludere le valenze conoscitive e metaconoscitive dell’analisi.
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2.5 Istruzioni per l’uso
Non sempre nella pratica dell’analisi tutti i passaggi fin qui evidenziati vengono rispettati o esplicitati, per
esigenze di scorrevolezza dell’esposizione. Purtuttavia l’itinerario è corretto, e va almeno mentalmente
seguito in ogni sua fase.
Inoltre, anche se è vero che scomposizione e ricomposizione sono due momenti successivi, è altrettanto
vero che non si può cominciare a scomporre senza avere già in mente una qualche idea del modello. Si
tratta di avere un’ipotesi guida, che funga da criterio per la segmentazione e la stratificazione.
3. L’analisi delle componenti cinematografiche
3.1 La “linguisticità” del film
L’appartenenza del cinema alla grande area dei linguaggi è riconosciuta da (quasi) tutti.
Dal punto di vista semiotico, però, esso pone due problemi:
accorpa segni, formule, procedimenti, ecc. appartenenti ad altre aree espressive ed eterogenei fra di loro,
che fondono per assemblare un flusso complesso.
Non possiede la compattezza e sistematicità che permettono di far emergere regole ricorrenti e condivise
Dall’esigenza di superare queste difficoltà nascono diverse strategie di analisi. Fondamentalmente se ne
possono individuare tre:
la ricerca delle materie dell’espressione o significanti
il confronto con l’esistenza di una ben determinata tipologia di segni
il riferimento ad una ricca varietà di codici operanti nel testo filmico.
3.2 I significanti e le aree espressive
Anzitutto si individuano due grandi ordini di significanti:
visivi: immagini in movimento e tracce scritte
sonori: voci, rumori e musica
Ogni materia dell’espressione rimanda al suo specifico linguaggio: la lingua scritta e parlata, la pittura, la
fotografia, ecc. SU questa base il film mischia, sovrappone e articola linguaggi già consolidati in un
amalgama del tutto originale.
3.3 I segni
Questo secondo approccio mette in luce i modi di organizzazione della significazione, e più specificamente i
tipi di segni che un film utilizza. La tipologia dei segni attraversa le diverse aree espressive, superando i
confini tra dimensione visiva e sonora.
Una tipologia che ha avuto un certo successo nell’analisi filmica è quella di Peirce, che divide i segni in:
indici: segni che testimoniano l’esistenza di un oggetto, con il quale hanno un legame di implicazione, senza
tuttavia descriverlo. Ci dicono che l’oggetto esiste, ma non ci dicono nulla delle sue qualità
icone: segni che riproducono i “contorni” dell’oggetto. Ci dicono qualcosa delle qualità dell’oggetto, ma non
della sua effettiva esistenza
simboli: segni convenzionali, che stanno per qualcosa d’altro in base ad una corrispondenza codificata, una
“legge”. Non ci dicono nulla né dell’esistenza né delle qualità dell’oggetto.
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Il film ovviamente utilizza tutti e tre i tipi di segno: le immagini sono icone, musica e parole sono simboli, i
rumori sono indici. E in ogni caso all’interno di ogni linguaggio si possono ritrovare valenze iconiche,
indessicali e simboliche.
3.4 I codici
3.4.1 La nozione di codice
Un codice è sempre e comunque:
un sistema di equivalenze, in cui ogni elemento del messaggio ha un dato corrispettivo
uno stock di possibilità, grazie a cui le singole scelte attivate arrivano a far riferimento ad un canone
un insieme di comportamenti ratificati, grazie a cui mittente e destinatario possono operare su un terreno
comune.
E’ solo grazie alla presenza simultanea di questi tre aspetti che un codice è in grado di funzionare.
Il cinema non ha probabilmente codici “forti” come quelli delle lingue naturali. Tuttavia ci sono insiemi di
possibilità ben strutturati, in cui gli elementi hanno valori ricorrenti, e cui si può far riferimento comune.
3.4.2 Codici cinematografici e codici filmici
Il cinema è un linguaggio variegato che coniuga più tipi di significanti e di segni. Si dovrà parlare quindi
anche di molteplicità dei codici, in grado però di operare secondo una strategia di significazione
complessiva.
Si deve innanzitutto distinguere tra due tipi di codici:
cinematografici: quelli che sono parte tipica e integrante del linguaggio cinematografico
filmici: quelli che non sono legati al cinema in quanto tale, ma possono manifestarsi anche al di fuori di
esso.
3.4.3 Codici tecnologici di base (o del mezzo in quanto tale)
Sono i codici che determinano il tipo di conservazione e trasmissione dell’immagine cinematografica. In
particolare:
Il supporto: la sensibilità della pellicola (cambia la “grana” dell’immagine) e il suo formato (cambia la
risoluzione e quindi la “distanza” rispetto a quanto filmato)
Lo scorrimento: la cadenza (il numero dei fotogrammi al secondo, oggi 24) e la direzione di marcia della
pellicola
Lo schermo: superficie riflettente o trasparente (usata agli albori del cinema), luminosità, ampiezza.
Questi dati non sono estranei alla dimensione linguistica del cinema, soprattutto perché incidono sulla
“definizione”, sulla qualità e quantità dell’informazione e quindi sulla praticabilità o meno di alcune
soluzioni espressive.
3.4.4 Codici della serie visiva: Primo gruppo: l’iconicità
Si tratta di codici che non sono esclusivi del cinema, ma sono condivisi da altri linguaggi come la fotografia o
la pittura. Si parte dai codici che regolano l’immagine in quanto tale:
Codici della denominazione e riconoscimento iconico: sono quei sistemi di corrispondenza tra tratti iconici e
tratti semantici delle lingue che permettono agli spettatori di identificare le figure sullo schermo e ciò che
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rappresentano. Sono codici culturali, che rientrano nel cinema nella misura in cui questo tende a riprodurre
in alcuni suoi aspetti la nostra stessa percezione del mondo.
Codici della trascrizione iconica: assicurano una corrispondenza tra tratti semantici e artifici grafici
attraverso cui si restituisce l’oggetto con le sue caratteristiche (contorni, chiari-scuri, ecc.). Sono molto
convenzionalizzati. A quest’area appartengono anche i codici che regolano la deformazione dell’immagine.
Codici della composizione iconica: organizzano i rapporti tra i diversi elementi dell’immagine, e regolano la
costruzione dello spazio visivo. Si dividono in varie categorie
codici della figurazione: lavorano sul modo in cui gli elementi vengono raggruppati e disposti sulla
superficie dell’immagine (distribuzione)
codici della plasticità: lavorano sulla capacità di certe componenti di staccarsi dalle altre e imporsi
sull’insieme (rapporti tra “figura” e “sfondo”). Si usano precisi procedimenti per promuovere una
componente dell’immagine a figura (centralità, movimento, permanenza dell’inquadratura, ecc.)
codici iconografici: regolano la costruzione di figure complesse, ma fortemente convenzionalizzate e con un
significato fisso (fisionomica, comportamenti, abbigliamento dei personaggi)
codici stilistici: associano ai tratti che consentono la riconoscibilità altri tratti che rivelano la personalità e
l’idiosincrasia di chi ha operato la produzione. Si trovano nei film d’autore, ma anche in quelli medi nei
termini di una “non scelta” ben precisa.
3.4.5 Codici della serie visiva. Secondo gruppo: la composizione fotografica
Il cinema riproduce la realtà anche fotograficamente. Si devono quindi considerare i codici tipici della
composizione fotografica. Rispetto all’iconicità essi sono più specifici, anche se non esclusivi del cinema.
La prospettiva: la cinepresa riprende il modello di funzionamento della “camera oscura” e quindi eredita i
codici della prospettiva quattrocentesca, organizzata intorno ad un punto fisso centrale. Le conseguenze
sono:
la visione risulta “naturale”, ovvero risponde ai canoni normalmente in opera nella visione del reale
ci sono linee di fuga costanti e un’articolazione fissa della profondità di campo.
La prospettiva fa quindi guadagnare naturalezza e stabilità delle strutture visive di riferimento, a partire
dalle quali il cinema può operare tutta una serie di “trasgressioni” espressive.
L’inquadratura - i margini del quadro: innanzitutto ci sono i formati dell’immagine, generalmente
rettangolare con rapporti standard tra altezza e larghezza. Ma soprattutto ci sono i rapporti tra lo spazio
“in” (quello che sta dentro l’inquadratura) e lo spazio “off” (quello che sta fuori)
l’inquadratura - i modi della ripresa: filmare un oggetto significa anche decidere da quale punto guardarlo e
farlo guardare. Tra questi codici si trova la scala dei campi e dei piani, i gradi di inclinazione e angolazione.
Scala dei campi e dei piani:
Campo lunghissimo: intero ambiente, in cui personaggi e azioni si perdono
Campo lungo: intero ambiente, con personaggi e azioni riconoscibili
Campo medio: azione al centro dell’attenzione, ambiente sullo sfondo
Totale
Figura intera: inquadratura dell’intero personaggio
Piano americano: personaggio dalle ginocchia in su
Mezza figura: personaggio dalla cintola in su
Primo piano: volto, collo e spalle
Primissimo piano: bocca e occhi
Dettaglio: particolare ravvicinato
Gradi dell’angolazione:
inquadratura frontale: stessa altezza dell’oggetto
inquadratura dall’alto (plongée): sopra l’oggetto
inquadratura dal basso (contre-plongée): sotto l’oggetto
Gradi dell’inclinazione:
normale: base dell’immagine parallela all’orizzonte della realtà inquadrata
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obliqua: base e orizzonte divergenti, verso destra o sinistra
verticale: piano e orizzonte perpendicolari
Ovviamente ciascuna di queste scelte di ripresa presenta connotazioni diverse, non è solo questione di
“grammatica”, ma anche di “retorica”.
L’illuminazione: la scelta fondamentale è tra:
illuminazione neutra: attenta alla riconoscibilità degli oggetti inquadrati, e all’effetto realtà
illuminazione marcata: alterazione dei contorni, effetti antinaturalistici, accento sulla luce in quanto tale.
naturalmente ci può essere gradualità tra le due alternative. In generale, comunque, si possono applicare ai
codici dell’illuminazione cinematografica le suddivisioni già rintracciabili nelle arti figurative (realismo,
surrealismo, iperrealismo, ecc.)
Bianco&nero e colore: La scelta oggi tra queste due alternative si traduce in un rapporto tra preziosità e
consuetudine. La scelta del colore è infatti avvertita come neutra, legata alla natura riproduttiva del
cinema. Vengono avvertite come eccezioni le esperienze che invece attivano codici cromatici normalmente
trascurati o impiegati in modo casuale: le reazioni percettive, le tonalità, il riferimento ideologico, ecc. I
colori inoltre possono essere funzionali al racconto, offrendo codici supplementari a quelli della narratività
(associandosi ai personaggi, o alle diverse situazioni narrative).
3.4.6 Codici della serie visiva. Terzo gruppo: la mobilità
La mobilità è un tratto caratterizzante del linguaggio cinematografico, e i codici che la regolano sono quindi
più specifici di quelli del primo e secondo gruppo.
Innanzitutto si deve distinguere tra:
movimento profilmico: della realtà rappresentata
movimento di macchina
La distinzione, anche se a volte non è facilmente operabile, è essenziale per il richiamo a meccanismi
psicologici di riconoscimento diversi, e per il rinvio a meccanismi linguistici divaricati. Osservare da un
punto di vista fisso qualcosa che si muove comporta inevitabilmente un distacco dal reale, uno sguardo
oggettivo e assoluto. Viceversa, adottare un punto di vista mobile sugli oggetti provoca sempre un senso di
forte coinvolgimento, e dà l’idea di soggettività, precarietà, finitezza dello sguardo.
La grammatica cinematografica tradizionale ha elaborato una classificazione dei movimenti di macchina di
grande utilità pratica.
Panoramica: la macchina si muove sul proprio asse in senso orizzontale, verticale e obliquo, aggiungendo
porzioni di spazio nelle varie direzioni
Carrellata: la macchina è montata su un carrello dotato di binari, su una gru fissa o semovibile, su
un’automobile o sul corpo dell’operatore. In tutti i casi si ha la possibilità di eseguire movimenti fluidi in
tutte le direzioni, frontali o in profondità. Oppure si può simulare lo sguardo soggettivo umano, con grande
effetto realistico.
La panoramica è più spesso utilizzata in senso descrittivo, mentre il carrello è di preferenza soggettivo.
Si può distinguere inoltre tra movimenti reali di macchina e movimenti apparenti. Questi ultimi sono
rappresentati fondamentalmente dalla zoomata, che produce un’alterazione della profondità di campo
(“schiacciamento”) che annulla lo spazio invece di attraversarlo.
3.4.7 Le tracce grafiche e i loro codici
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Le tracce grafiche si possono suddividere in:
didascalie: servono a integrare le immagini, ne spiegano i contenuti, il passaggio da una all’altra, ecc. Si
possono trovare tra le immagini ma anche nelle immagini stesse.
sottotitoli: sovraimpresse di solito nella parte bassa delle immagini, servono di solito per la traduzione
titoli: in testa e coda al film
scritte: appartengono alla “realtà” rappresentata, e il film le riproduce fotograficamente. Possono essere:
diegetiche, cioè appartenenti al piano della storia (insegne, cartelli, titoli di giornale, ecc.)
non diegetiche, estranee al mondo narrato, appartenenti al mondo di chi narra
Le tracce grafiche sono direttamente legate ai codici della lingua con cui sono costruite. Nel cinema però
intervengono principi di costruzione particolari, legati ai codici narrativi (ad es. “Dieci anni dopo…”).
Esistono inoltre i codici stilistici e figurativi, che intervengono nel trattamento grafico, e fanno del titolo un
elemento composito, che si legge come un nome e si guarda come un’immagine. E infine si deve tener
conto delle connotazioni legate alla dimensione delle lettere, all’eventuale animazione o decorazione, ecc.
Ne nasce un sistema di intrecci e sovrapposizioni che può fare di una semplice scritta il luogo di un
complicato processo di significazione.
3.4.8 Codici sonori
I codici che regolano i fatti sonori sono molto ampi, e caratterizzano ogni forma di espressione: volume,
altezza, ritmo, colore, timbro, ecc.
Esistono però alcuni tratti che definiscono il sonoro in ambito cinematografico. In particolare sono quelli
che presiedono l’interazione del sonoro con il visivo, regolando la provenienza del primo rispetto al
secondo.
Innanzitutto il suono cinematografico può essere:
diegetico, se la fonte è presente nello spazio rappresentato, e a sua volta:
onscreen: dentro i limiti dell’inquadratura
offscreen: fuori dai limiti dell’inquadratura
interiore: se la sorgente è nell’animo dei personaggi
esteriore: se la sorgente ha una realtà fisica oggettiva
non diegetico, se la fonte non è presente
Il suono diegetico interiore e quello non diegetico si dicono anche suoni over, perché non provengono dallo
spazio fisico della vicenda.
La voce
Il primo codice che regola il parlato è sicuramente quello della lingua del parlante, ma i codici che
determinano la forma filmica del parlato sono altri.
La voce “in”: il primo problema è quello del doppiaggio, in cui la necessità di far corrispondere i movimenti
della bocca a quanto pronunciato può provocare alterazioni dei dialoghi o sensazioni di artificiosità. Il
procedimento della post-sincronizzazione può però anche produrre effetti significativi, quando si proponga
di alterare volutamente le caratteristiche delle voci degli attori. La “presa diretta”, invece, produce quasi
sempre un maggiore “effetto di realtà”.
La voce fuoricampo: occorre distinguere tra voce “off” e voce “over”. Quest’ultimo caso è il più
interessante. Può avere una funzione di collegamento temporale tra le diverse sequenze, di raccolta in
un’unità superiore di sequenze autonome, o anche di introduzione o “cornice”. In ogni caso si tratta
sempre di un intervento “forte”.
I rumori
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Anche qui bisogna distinguere tra:
rumore in campo (“in”): ha la funzione di rendere più verosimile la situazione audiovisiva, aumenta l’effetto
di realtà
rumore da fonte diegetica non inquadrata (“off”): può fungere da raccordo tra immagini facenti parte della
stessa realtà, oppure da “riempitivo” di una situazione visiva poco significativa (vedi film horror)
rumore proveniente da un fuori campo radicale (“over”): può avere una funzione narrativa più astratta, ad
es. da stacco tra una sequenza e l’altra.
La musica
Il suo intervento “in” o “off” è molto raro, diffusissimo invece la modalità “over”, tanto come
accompagnamento della scena quanto come conclusione in crescendo di una sequenza e accentuazione
dello stacco rispetto alla seguente.
La tipologia degli impieghi della musica è comunque assai varia: naturalismo, realismo più o meno “falso”,
enfasi retorica, accompagnamento discreto, stacco brusco, giunzione, ecc.
In conclusione, è evidente che la dimensione sonora, in tutte le sue manifestazioni, ha valenza
cinematografica quando intrattiene relazioni significative con la parte visiva, caricandola di ulteriore senso
e fungendo da tessuto connettivo.
3.4.9 Codici sintattici
Un principio generale del cinema è quello secondo cui le immagini si sviluppano lungo una continuità,
attraverso una durata. E questa molteplicità del visivo appare regolata dalla totalità dei mezzi espressivi
cinematografici.
I codici sintattici regolano l’associazione dei segni e la loro articolazione in unità più complesse. Tali codici
possono attivarsi a due livelli distinti:
dentro le immagini: in questo caso agiscono per simultaneità, collegando elementi copresenti nella stessa
immagine (si tratta della composizione, vedi prima)
tra le immagini: in questo caso agiscono per progressione, associando e organizzando elementi facenti
parte di immagini diverse, per lo più contigue. Quest’ultima modalità è quella che fa capo alla tecnica del
“montaggio”.
E ‘possibile delineare una tipologia delle associazioni rinvenibili tra le immagini:
Associazione per identità: avviene quando un’immagine ritorna uguale a sé stessa, o uno stesso elemento
ritorna da immagine a immagine. La relazione può riguardare sia elementi del contenuto (coreferenza) che
elementi del modo di rappresentazione (stessi schemi visivi, durate temporali, ecc.)
Associazione per analogia e associazione per contrasto: nel primo caso in due immagini contigue sono
rinvenibili elementi simili ma non identici, nel secondo caso elementi marcatamente differenti ma la cui
stessa differenza diventa fonte di correlazione. Questi due tipi di associazione sono spesso compresenti.
Associazione per prossimità: le immagini presentano elementi che si danno per contigui (ad es.
campo/controcampo, inseguitori/inseguiti, ecc.)
Associazione per transitività: la situazione presentata nell’inquadratura A trova prolungamento e
completamento nell’inquadratura B.
Vi è poi un’altra forma di collegamento, in antitesi all’associazione, che è l’”accostamento”, ovvero la
giustapposizione di due immagini che non hanno nessun elemento di raccordo.
I diversi tipi di legame danno luogo a grandi modelli di “andamento sintattico”, a modi di costruzione del
discorso ricorrenti:
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Il piano-sequenza: è una ripresa in continuità. Tutti i momenti che compongono una sequenza sono inclusi
in una sola inquadratura. La macchina da presa può passare da un elemento all’altro, includere tutti gli
elementi in uno sguardo complessivo, ecc. L’enfasi viene posta sulle associazioni di prossimità, transitività o
accostamento. In ogni caso il ruolo della macchina è primariamente quello di “tenere insieme” i vari
elementi.
Il decoupage: è l’associazione di una serie di immagini che si riferiscono ad una stessa situazione, di cui
sottolineano ciascuna un aspetto. La macchina opera con segmentazioni e riaccorpamenti, tagli e
riassociazioni volti a definire con precisione la situazione. L’enfasi è posta più sugli elementi che sui legami
che li uniscono. Le immagini si associano in forza dei loro contenuti. E’ un’unità che non si basa più sulla
permanenza della ripresa, ma nella capacità di amalgamarsi degli elementi in forza di associazioni di
identità, transitività e prossimità.
Il montage, o anche montaggio-re: lavora sulle associazioni di immagini che non hanno un legame diretto,
ma lo acquistano per il fatto di essere accostate. Viene evidenziato il contrasto fra gli elementi, ma anche la
nascita di nuovi significati grazie alla giustapposizione (blob!)
3.5 I regimi di scrittura
Ogni film è caratterizzato dalla messa in opera di solo alcune delle categorie che abbiamo visto. Ne deriva
un sistema di scelte coerente e motivato, articolato per addensamenti e rarefazioni intorno ad alcune
opzioni, che finisce per marcare l’individualità e organicità di un testo.
Ci sono fondamentalmente due ordini di scelte:
la scelta tra neutro e marcato: le possibilità “intermedie” o quelle più “estreme”
la scelta tra omogeneo e eterogeneo: tra la focalizzazione su un ristretto numero di opzioni (ad esempio di
campo o di montaggio) e l’allineamento di soluzioni di varia natura, mescolando scelte neutre a scelte
marcate. Oppure ancora collegare tra di loro le diverse scelte, o esplicitarne le differenze all’interno dello
stesso testo.
Proprio a partire dal posizionamento su queste due coordinate, si possono individuare tre grandi forme
principali di “scrittura” del film:
la scrittura classica: è definita da scelte che si pongono sul versante della neutralità e omogeneità, su cui si
permane con coerenza. Ne derivano grande equilibrio espressivo, funzionalità comunicativa e
impercettibilità della mediazione linguistica. Ciò significa:
a livello di piani, prevalenza di Totali e Figure Intere, che facilitano la lettura
a livello di montaggio, si costruisce una struttura sintattica che non permette errori nell’orientamento dello
spettatore, e accorgimenti che puntano ad ammorbidire qualsiasi fattore di discontinuità
(campo/controcampo, eyeline match, match on action, cheat cut, ecc.)
in ciascuna inquadratura prevalgono immagini “centrate” e riprese da un ben determinato punto di vista
la scrittura barocca: è definita da scelte linguistiche caratterizzate da marcatura e omogeneità: opzioni
estreme e radicali sulle quali però si lavora insistentemente e con esclusività. Ciò significa:
a livello di codici di trascrizione iconica, ci si muove dalla resa naturalistica da documentario e la distorsione
figurativa delle sembianze
a livello di codici prospettici, si oscilla tra immagini “piatte”, dove tutto è prossimo alla macchina da presa, e
immagini “profonde”, organizzate in prospettiva, con miriadi di oggetti, azioni, movimenti.
A livello di codici di illuminazione, cromatici e di mobilità si accavallano allo stesso modo soluzioni agli
estremi di gamma.
Quel che caratterizza questo tipo di scrittura è quindi il ricorso, sorprendente o distonico, a soluzioni
estreme, raccordate però tra loro con transizioni che rendono il tutto fluido e omogeneo. E’ tipico di molti
autori, come Fuller, Ray, Leone, Huston, Bresson, e soprattutto Welles.
la scrittura moderna: è definita da scelte linguistiche ed espressive caratterizzate dall’eterogeneità:
soluzioni medie ed estreme vi sono mescolate senza alcun disegno. E non vi sono transizioni che possano
costruire un andamento fluido e omogeneo. La scrittura moderna, in opposizione alla classica, esaspera la
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parzialità dei punti di vista, esalta le manipolazioni del montaggio, si rende avvertibile come esplicito filtro
della realtà.
Al “centering” si sostituisce il decentramento degli oggetti. Si usa lo scavalcamento di campo, modalità di
inquadramento drastiche che a volte compromettono la riconoscibilità degli oggetti.
Nel montaggio, al decoupage si oppone o una decisa frammentazione delle inquadrature o l’esibizione della
connessione.
Si usa il suono non sincronizzato per evidenziare ancora di più la mediazione linguistica e la manipolazione.
In questo caso l’unitarietà è solo di stile: il principio d’ordine c’è, ma è determinato di volta in volta.
Scrittura e lettura sono rese molto difficoltose.
4. L’analisi della rappresentazione
4.1 La rappresentazione
Il termine di rappresentazione sta ad indicare per un verso l’allestimento di una raffigurazione o di una
recita, per l’altro la raffigurazione o la recita stessa. Dato che il nostro approccio al cinema è di carattere
strutturale e categoriale, e non generativo, privilegeremo il risultato piuttosto che il processo, l’immagine
ottenuta più che i passaggi compiuti per ottenerla, anche se questi non saranno del tutto tagliati fuori
dall’analisi.
Inoltre, nella natura stessa della rappresentazione (“stare per”) risiedono le radici di un doppio percorso: da
un lato verso la ripresentazione e ricostruzione fedele del mondo, dall’altro verso la costruzione di un
“mondo a sé”.
Queste due ambiguità, di termine e di direzione, percorrono e rendono difficile il cammino dell’analisi.
4.2 I livello della rappresentazione
4.2.1 I tre livelli della rappresentazione
Davanti ad un’immagine filmica, abbiamo la sensazione che essa metta in gioco tre grandi piani di
funzionamento:
Il livello dei contenuti: ambienti, individui, oggetti, azioni
il livello della modalità di rappresentazione: ciò che vediamo e sentiamo si presenta in una forma specifica:
inquadrature, piani, voci fuori campo, ecc.
il livello dei legami: ciò che vediamo e sentiamo prosegue ciò che avevamo visto e sentito in precedenza, e
ci fa prefigurare ciò che avverrà in seguito. Sono le relazioni che le immagini intrattengono tra di loro.
Di solito questi tre livelli vengono riportati ad altrettante fasi del lavoro cinematografico:
il livello della messa in scena: allestimento del set (setting o impostazione)
il livello della messa in quadro: posizionamento della macchina, tracciamento dei percorsi (ripresa)
il livello della messa in serie: montaggio delle inquadrature
4.2.2 La messa in scena
Si tratta di “allestire” ed “arredare” l’universo raffigurato dal film. E’ qui che l’analisi fa i conti con il
contenuto dell’immagine:oggetti, persone, paesaggi, gesti, parole, situazioni, psicologie, ecc. Tutti questi
dati possono essere fondamentalmente classificati in:
informanti: elementi che definiscono letteralmente ciò che viene messo in scena (ad es. età , costituzione
fisica, carattere dei personaggi, ecc.). Offrono le indicazioni di base per comprendere il mondo messo in
scena.
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indizi: rinviano a qualcosa che rimane in parte implicito (ad es. i presupposti di un’azione, il lato nascosto di
un carattere, ecc.). Sono più difficili da identificare, ma importanti per afferrare anche quanto non
evidenziato dalla rappresentazione.
temi: definiscono il nucleo centrale della vicenda, sono il nucleo di contenuto attorno a cui il testo si
organizza (ad es. la ricerca della verità, il ritrovamento, ecc.)
motivi: unità di contenuto che ritornano lungo il testo. Situazioni o presenze ripetute, che rinforzano,
chiariscono e sostanziano la vicenda principale.
Un secondo modo di organizzare i dati di un film può invece puntare a ricostruire:
la cultura a cui fa riferimento: le unità di contenuto dovranno avere il valore di archetipo, ovvero far
riferimento ai grandi schemi simbolici che ogni società costruisce. L’archetipo può anche essere alla base di
un genere letterario.
la “poetica” di un certo autore: avremo a che fare con cifre o leitmotiv. Ogni autore manifesta
inevitabilmente dei motivi o dei temi attorno a cui coscientemente o no continua a ruotare.
il “sentimento” del cinema a cui contribuisce: si tratterà allora di individuare le figure, temi ossessivi che
investono il cinema in quanto tale.
4.2.3 La messa in quadro
Messa in scena e messa in quadro sono operazioni molto interdipendenti fra di loro: non si dà un contenuto
senza una modalità di espressione. Alcuni elementi del contenuto determinano le modalità di ripresa (ad
es. i protagonisti al centro dell’immagine). Ma anche le forme di ripresa (campo lungo piuttosto che primo
piano, ripresa frontale o dall’alto, ecc.) determinano la forma di realtà rappresentata, e quindi la messa in
scena. Spesso si deve ricorrere alla manipolazione degli elementi rappresentati in quanto essi, colti al
naturale, non vengono restituiti con la fedeltà ed evidenza sperate.
La messa in quadro, in ogni caso, definisce il tipo di sguardo che il film getta sul mondo. E a questo livello
pertengono temi di analisi quali la scelta del punto di vista, la selezione su cosa mettere dentro e fuori
l’inquadratura, i movimenti della macchina da presa, la durata delle inquadrature, ecc.
La modalità di messa in quadro può essere:
dipendente dai contenuti: l’immagine metterà in rilievo quanto intende rappresentare, senza riferimenti
all’atto della rappresentazione
indipendente dai contenuti: l’immagine sottolineerà l’atto di assunzione dei contenuti, metterà in luce la
propria natura.
stabile: la presentazione dei contenuti è definita una volta per tutte e mantenuta costantemente
variabile: il motivo dominante è proprio la varietà delle riprese e l’eterogeneità delle soluzioni
4.2.4 La messa in serie
A questo livello l’analisi deve passare dal considerare l’immagine singola a più immagini. Nel momento in
cui due immagini vengono fisicamente assemblate (montaggio) si instaurano delle relazioni tra i mondi
rappresentati e i rispettivi parametri di rappresentazione, che si intrecciano e moltiplicano per tutto il film.
In questo senso le diverse associazioni tipiche del montaggio definiscono diverse modalità di disposizione e
organizzazione dei “frammenti di mondo” delle singole inquadrature:
associazione per identità, prossimità o transitività: sullo schermo appare un universo compatto, fluido,
omogeneo e facilmente percorribile (i film classici hollywoodiani)
associazione per analogia o contrasto: universi movimentati, eterogenei, articolati, dove però ancora “tutto
si tiene” ed è facile orientarsi.
associazione neutralizzata o accostamento:universi frammentari, caotici, dispersi, labirinti di accumuli,
giustapposizioni e casualità (cinema moderno).
4.2.5 Centralità dello spazio-tempo
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Le precedenti categorie pongono rispettivamente in gioco la determinazione dei contenuti (messa in
scena), le modalità di presentazione (messa in quadro), e la loro articolazione nel film (messa in serie).
Tutte queste categorie in ogni caso rinviano ad una presenza unificante, che si ritrova trasversalmente: la
presenza di un mondo. E come tutti i mondi, anche quello sullo schermo è dotato di una dimensione spaziotemporale organica e unitaria. E' la presenza di questo “cronotopo” a unificare i tre livelli della
rappresentazione, a costituire l’elemento connettivo fra essi.
Ed è proprio la progressiva “elaborazione” di questo spazio-tempo tramite operazioni di rafforzamento,
distorsione, ecc., che rende chiaro il passaggio da un livello all’altro.
4.3 Lo spazio cinematografico
4.3.1 I tre assi dello spazio
Tre sono i principali assi attorno ai quali organizzare lo spazio filmico:
Opposizione in/off: dentro o fuori l’inquadratura
opposizione statico/dinamico: immobilità o movimento
opposizione organico/disorganico: connessione e unitarietà vs. deconnessione e dispersione
4.3.2 I bordi dell’immagine: campo e fuori campo
La dimensione “off”, ovvero di tutto ciò che è fuori dal quadro, è indagabile su due versanti:
La collocazione: la macchina da presa, inquadrando una porzione di spazio, ne nasconde al tempo stesso
altre sei, adiacenti e contigue: a destra, a sinistra, sopra e sotto l’immagine, dietro la scenografia e alle
spalle della cinepresa.
la determinabilità: ci sono tre condizioni possibili dello spazio off:
non percepito: è fuori dai bordi e non viene mai evocato
immaginabile: è evocato o recuperato da qualche elemento della rappresentazione (ad es. un primo piano
presuppone il corpo)
definito: è invisibile al momento, ma è già stato mostrato o lo sarà in seguito (ovviamente ciò riguarda più
la messa in serie che la messa in quadro)
ciò che si trova al di fuori dal campo visivo, in ogni caso, “preme” sui margini del quadro, fin quasi a
scardinarli, evidenziando i limiti dello sguardo della cinepresa e la parzialità della sua scelta.
La dimensione del fuori campo, però, non si definisce solo per ciò che è escluso alla vista. Essa è anche il
regno del suono. In particolare il suono “off” e “over” (suono diegetico interiore, esteriore da fonte non
inquadrata, e il suono non diegetico) mettono in gioco una ricchezza percettiva che l’immagine non può
raggiungere. Lo spazio abitato dal suono è più ampio di quanto non appaia, proprio perché questo suono si
può sentire. E’ un’apertura, uno “straripamento” dai margini dell’immagini.
Il suono inoltre gioca un ruolo importante per la determinazione supplementare dello spazio in scena (con
echi, riverberi, occlusioni), può rendere più fluido il montaggio con la sua continuità d’azione.
4.3.3 Lo spazio e il movimento
La macchina da presa agisce in pratica come un meccanismo in grado di registrare la continuità dinamica
del reale e di manipolarne le apparenze. Sullo schermo dunque noi vediamo un universo in movimento.
Quelle che in realtà sono posizioni statiche prendono vita all’atto della proiezione. Ecco quindi che
ritroviamo l’opposizione statico/dinamico alla radice stessa del meccanismo cinematografico.
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Si possono individuare quattro situazioni che rappresentano dei punti nodali:
Lo spazio statico fisso: inquadrature bloccate di ambienti immobili
Lo spazio statico mobile: staticità della macchina da presa e movimento delle figure entro i bordi
dell’immagine
lo spazio dinamico descrittivo: la macchina da presa si muove per meglio rendere il movimento delle figure
all’interno del quadro (personaggi, oggetti)
lo spazio dinamico espressivo: il movimento della macchina è in relazione dialettica e creativa con quello
delle altre figure. Questa capacità di andare oltre il movimento descrittivo conferisce ad alcuni movimenti
di macchina il carattere di vere e proprie didascalie, commenti, chiavi di lettura di interi film.
4.3.4 Organicità e disorganicità dello spazio filmico
Il massimo grado di connessione e unitarietà dello spazio filmico corrisponde ad uno spazio “organico”,
mentre il minimo grado corrisponde ad una rottura dell’organicità. Vediamo come si articola questa
categoria:
Spazio piatto/spazio profondo: lo spazio può apparire o come su una superficie dove si distribuiscono
uniformemente delle figure, o come un volume in cui le stesse figure si dispongono in profondità. La
profondità di campo in genere è sinonimo di disomogeneità, in quanto frammenta le zone rappresentate,
creando una visione di insieme composita, discontinua.
spazio unitario/spazio frammentato: uno spazio può presentare un alto grado di percorribilità, che porta le
diverse presenze ad accordarsi tra di loro, o presentare una serie di barriere interne che ne fanno un
aggregato di luoghi diversi.
spazio centrato/spazio eccentrico e spazio chiuso/spazio aperto: vi sono alcune forme di distorsione del
quadro (decadrages):
il quadro arbitrario, ovvero proveniente da un punto di vista anomale, che rompe la fluidità e naturalezza
(centrato/eccentrico) spazio personalizzato, la macchina da presa diventa protagonista
il quadro nomade, che pur rimandando ad un controcampo che lo integri, viene mantenuto incompleto,
isolato dall’insieme. Carica lo spazio inquadrato di una tensione verso i bordi, che rimane insoddisfatta
(chiuso/aperto)
In entrambi i casi si nota che il quadro non è più il centro di attenzione e organizzazione, ma rinvia
all’esterno, diventa centrifugo. C’è la necessità di un nuovo percorso (mentale) che ne integri le mancanze e
le frustrazioni.
L'articolazione dello spazio in organico/disorganico, pur nascendo all'interno dell'inquadratura, è subito
destinata a varcarne i confini e a svilupparsi a livello di messa in serie. Noteremo quindi che:
la preminenza di nessi per identità, prossimità e transitività darà in generale origine ad una dimensione
spaziale compatta, omogenea e percorribile.
la preminenza di nessi per analogia e per contrasto definisce uno spazio eterogeneo, articolato, composto
da parti autonome seppur connesse
la preminenza di nessi neutralizzati e accostamenti dà luogo ad uno spazio frammentario, dispersivo,
deconnesso e talvolta caotico.
4.4 Il tempo cinematografico
4.4.1 Collocazione e divenire
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Da un lato c'è un tempo-collocazione, ovvero che si risolve nella determinazione puntuale della datazione
di un evento. Dall'altro c'è un tempo-divenire, che invece si pone come flusso costante. Questo è il tempo
che ci interessa, in cui gli eventi si dispongono in un certo ordine, hanno una durata e una frequenza.
4.4.2 Categoria 1: L'ordine
L'ordine definisce lo schema di disposizione degli eventi nel flusso temporale. In base a ciò si distinguono
quattro forme della temporalità:
Il tempo circolare: è determinato da una successione di eventi ordinata in modo tale che il punto di arrivo
della serie risulti sempre identico a quello di origine. In base all’ordine delle cose che vedo (inizio con
cadavere, finisco con cadavere)
Il tempo ciclico: gli eventi sono ordinati in modo tale che il punto di arrivo risulti analogo a quello di origine,
ma non identico. Si ritorna all’inizio anche se non è esattamente lo stesso
Il tempo lineare: gli eventi sono ordinari in modo tale che il punto di arrivo risulta sempre diverso dal punto
di partenza. All'interno di questa categoria possiamo distinguere ulteriori configurazioni:
Tempo lineare vettoriale, quando segue un ordine continuo ed omogeneo, progressivo se la successione
procede in avanti, inverso se procede all'indietro
Tempo lineare non vettoriale, caratterizzato da un ordine disomogeneo, fratturato, con soluzioni di
continuità (i flash-back e flash-forward)
(Tempo palindromo, classico di Nolan: inizio e fine confluiscono al centro.)
Senza ordine: la rappresentazione si organizza allora in una sequenza del tutto anacronica, priva di relazioni
“crono-logiche” definibili.
4.4.3 Categoria 2: La durata
È l'estensione sensibile del tempo rappresentato. Si deve distinguere tra:
Durata reale, l'effettiva estensione del tempo
Durata apparente, la sensazione percettiva di questa estensione, che può variare in funzione del contenuto
e delle modalità di rappresentazione.
In particolare, a parità di durata reale, un'inquadratura sembrerà tanto più lunga quanto più il quadro è
ristretto e il contenuto uniforme e statico, e viceversa sembrerà tanto più breve quanto più il quadro è
ampio e il contenuto è complesso e dinamico. Questo in quanto lo sguardo impiegherà tempi diversi a
esplorarlo e percorrerlo.
Anche la messa in serie interviene a definire la sensazione della durata: se tra due momenti di una
medesima situazione viene inserita un'altra scena, la durata temporale apparente dell'intervallo tra le
prime due scene sarà direttamente proporzionale alla distanza spaziale della scena interposta, e
inversamente proporzionale al dinamismo di quest'ultima.
La nostra percezione cambia a seconda dello statico e del dinamico e dei dettagli che vediamo.
È comunque la durata apparente la più significativa, in quanto detta le regole della ricezione.
La durata può inoltre essere:
Normale, quando l'estensione temporale della rappresentazione di un evento coincide
approssimativamente con la durata dell'evento stesso. A questo proposito si utilizzano due forme di
rappresentazione:
Il piano-sequenza: è una ripresa in continuità dell'evento in cui la stessa continuità spaziale si fa garante
della coincidenza della temporalità rappresentata con quella (supposta) reale.
La scena: un insieme di inquadrature concepite e montate in modo tale da ottenere un'artificiosa
rispondenza del tempo della rappresentazione con quello del rappresentato.
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Abnorme: quando l'ampiezza temporale della rappresentazione dell'evento non coincide con quella
dell'evento stesso. In questo caso si hanno due modalità:
contrazione:
riassunto: ordinario: a carico del montaggio, con minime ellissi; marcato: attuato con procedimenti palesi di
abbreviazione temporale (calendario che si sfoglia, didascalie, narratore, ecc.)
ellissi: si attua per stacco netto, da una determinata situazione spazio-temporale ad un'altra, omettendo
completamente la porzione di tempo compresa tra le due. E' un'operazione che segna in modo più deciso il
ritmo della rappresentazione, e ha anche effetti ben diversi sulla dinamica percettiva e cognitiva dello
spettatore.
dilatazione:
pausa: si manifesta quando il flusso temporale si ferma. Il caso più evidente è il “fermo fotogramma”,
infrequente nei film.
estensione: il tempo della rappresentazione ha una durata maggiore rispetto al tempo (supposto) reale
dell'evento rappresentato. Numerose sono le soluzioni in questo senso:
rallentatore – tempo maggiore di quello reale
l'interpolazione di inserti diversi – immagini inserite nel montaggio che apparentemente non c’entrano
niente
il “ritorno indietro”, in cui si ripetono i movimenti o parti di essi in modo volutamente artificiale
l'indugiare in modo ossessivo su alcuni particolari o elementi dell'azione
la rappresentazione in successione di avvenimenti simultanei tramite il montaggio alternato
4.4.4 Categoria 3: La frequenza
La frequenza temporale della rappresentazione può assumere quattro configurazioni:
singola: si rappresenta una volta ciò che avviene una volta
multipla: si rappresenta più volte quanto è avvenuto più volte.
ripetitiva: la rappresentazione ritorna su uno stesso avvenimento, variando magari il punto di vista. Questa
operazione agisce anche sulla durata, dilatandola
iterativa: si rappresenta una volta quanto è avvenuto più volte. In questo caso il cinema non dispone di
soluzioni specifiche come quelle della letteratura (ad es. “tutti i giorni mi alzo alle sette”...)
4.5 I regimi della rappresentazione
4.5.2 Regimi e pratiche della rappresentazione
Gli addensamenti e le rarefazioni intorno alle scelte del rappresentare possono essere ordinate attorno
all'idea dell'analogia.
Il mondo possibile costruito dal film non è infatti privo di agganci con il mondo reale. E il fitto gioco di
elaborazioni e di richiami, ricreazioni e ripresentazioni che l'immagine filmica conduce, ha al centro proprio
la decisione di spingere più o meno sul pedale delle somiglianze o su quello delle differenze: una scelta tra
un'intenzionalità analogica forte e una debole.
Si possono quindi ipotizzare tre forme fondamentali del rappresentare al cinema:
L'analogia assoluta: si opera a ridosso della realtà, limitando il più possibile gli artifici e le manipolazioni
tecniche. Gli oggetti della messa in scena saranno caratterizzati dalla massima evidenza e fisicità, la messa
in quadro punterà alla riconoscibilità, la messa in serie sarà costituita da riprese lunghe e complesse, in cui
la macchina da presa possa “prendere in flagrante” il reale.
L'analogia negata: si opera a distanza dalla realtà, trascurando o addirittura evitando ogni legame con essa.
E' un agire finalizzato ad una espressività di tipo connotativo. Gli oggetti della messa in scena non varranno
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per loro stessi, ma per il senso che viene loro conferito dalla rappresentazione. La messa in quadro
sezionerà e isolerà frammenti di reale per farne materiale espressivo nuovo. I nessi fra le immagini
provocheranno una completa ristrutturazione dei dati.
L'analogia costruita: se si agisce ad una certa distanza dalla realtà, è solo per tornarvi nuovamente. La
falsificazione delle apparenze messe in scena, la loro composizione creativa e la selezione e manipolazione
dei frammenti sono operazioni funzionali alla costruzione di una realtà “altra”, meno prolissa e più efficace
e interessante del mondo usuale.
I regimi della rappresentazione si legano in maniera preferenziale con le “forme dell'associazione” proprie
della messa in serie-montaggio. In particolare:
Il piano-sequenza si lega al regime dell'analogia assoluta: si cerca di far avvertire nelle immagini riprese il
pulsare della realtà, proclamando l'intangibilità del reale da qualsiasi operazione manipolatoria e
falsificante. Si possono distinguere due pratiche distinte:
la rappresentazione in profondità: macchina ferma, focale corta, rispetto della dimensione spaziotemporale della porzione di reale ripresa
il piano-sequenza mobile: macchina in movimento lento e avvolgente, che cerca, percorre e svela la realtà.
Il montaggio-re si richiama al regime di analogia negata: esso rifiuta la connessione con la realtà e la
connessione fluida dei frammenti, puntando proprio sulla dimensione connotativa. Opera una serie di
rotture insanabili nel tessuto della continuità spazio-temporale ed esibisce queste rotture con forza. In
questo senso è alla base di ogni estetica del cinema che rifiuta la nozione di trasparenza e vuol svelare la
falsità della messa in scena (avanguardia russa, nouvelle vague, ecc.).
Il decoupage è connesso al regime dell'analogia costruita: pur essendo una pratica manipolatoria, resta
comunque finalizzato all'impressione di realtà, alla costruzione di un universo verosimile e funzionale alla
fiction, con una sua fluidità di spazio e tempo (i film hollywoodiani)
Ognuna di queste prassi è legata ad un'ideologia ben precisa, ma ovviamente in molti casi sono usate con
finalità diverse. Sta all'analista saper distinguere i valori in gioco, caso per caso.
5. L'analisi della narrazione
5.1 Le componenti della narrazione
La narrazione si può definire come un concatenarsi di situazioni, in cui si realizzano eventi, e in cui operano
personaggi calati in specifici ambienti.
Si mettono in luce quindi tre categorie:
gli “eventi” che accadono
i “personaggi” che provocano o sono coinvolti dagli eventi, e gli ambienti che li accompagnano (gli esistenti)
le “trasformazioni” che si attuano nel succedersi degli eventi e delle azioni, in termini di rottura rispetto ad
uno stato precedente, o come reintegrazione evolutiva del passato.
Questo approccio privilegia la “storia” rispetto al “racconto”, ovvero l'universo narrato piuttosto che le
modalità di rappresentazione. Ma ovviamente queste ultime rimangono molto importanti per l'influenza
che hanno sul profilo di quanto viene raccontato.
5.2 Gli esistenti
5.2.1 Criteri di distinzione tra personaggi e ambienti
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La categoria degli “esistenti” comprende tutto ciò che è dato e presente all'interno della storia, e si articola
in due sottocategorie: i personaggi e gli ambienti.
Distinguere tra questi due ambiti non è così intuitivo come sembra. Si possono individuare a tale scopo tre
criteri:
il criterio anagrafico: l'esistenza di un nome, un'identità ben definita. E' ciò che primariamente distingue il
personaggio dall'ambiente che lo circonda. Esistono anche casi intermedi: nomi generici, che identificano
zone di sovrapposizione.
Il criterio di rilevanza: il peso che l'elemento assume nella narrazione, la misura in cui esso si fa portatore
degli eventi e delle trasformazioni. Maggiore sarà il peso, tanto più l'esistente fungerà da “personaggio”
piuttosto che da “ambiente”. In questo senso il personaggio può anche non essere un individuo, ma
un'entità collettiva, un luogo, un fenomeno naturale. E la rilevanza può manifestarsi sia come incidenza e
iniziativa nei confronti degli eventi, sia come passività e sottomissione (cinema moderno).
Il criterio della focalizzazione: chiama in causa l'attenzione che viene riservata ai vari elementi dal processo
narrativo. Il personaggio è tale perché gli si dedica lo spazio in primo piano, o perché intorno ad esso si
concentrano tutti gli elementi della storia.
5.2.2 L'ambiente
L'ambiente è definito da tutti quegli elementi che ospitano la vicenda e che le fanno da sfondo. Rinvia
quindi all'intorno entro cui il personaggio agisce, ma anche alla sua collocazione spazio-temporale.
Per il primo caso, si potrà parlare quindi di ambiente ricco o povero, armonico o disarmonico. Per il
secondo aspetto, si parlerà di ambiente storico o metastorico (nessun riferimento ad epoche o luoghi
precisi), caratterizzato o tipico (con riferimento a una situazione canonica).
5.2.3 Il personaggio come persona
Analizzare il personaggio come “persona” significa assumerlo come individuo dotato di un proprio profilo
intellettivo ed emotivo, e di propri comportamenti, gesti, ecc. In base a questo possiamo distinguere
personaggi:
piatti (semplici e unidimensionali) o a tutto tondo (complessi e variegati)
lineari (uniformi e ben calibrati) e contrastati (instabili e contraddittori)
statici (stabili e costanti) e dinamici (in evoluzione continua)
Naturalmente le categorie possono riguardare anche gli aspetti caratteriali, comportamentali e fisici dei
personaggi, considerati come “simulacri” di una persona reale.
5.2.4 Il personaggio come ruolo
In questo caso si prende in considerazione il “tipo” che il personaggio incarna, e quindi i suoi atteggiamenti
e le sue azioni. Non avremo più di fronte un individuo, ma un elemento codificato, un “ruolo” appunto, che
punteggia e sostiene la narrazione. E qui potremo distinguere personaggi:
attivi (che operano in prima persona, fonti dell'azione) e passivi (che subiscono l'iniziativa altrui, terminali
dell'azione)
influenzatori (che “fanno fare” gli altri) e autonomi (che “fanno” direttamente)
modificatori (che lavorano per mutare le situazioni, in senso migliorativo o peggiorativo) e conservatori
(che lavorano per mantenere l'equilibrio delle situazioni o restaurare l'ordine)
protagonisti (che sostengono l'orientamento del racconto) e antagonisti (che sostengono l'orientamento
inverso).
Per definire i ruoli è importante richiamare i sistemi di valori di cui essi sono portatori. Inoltre ogni ruolo è
caratterizzato sia dall'estrema specificazione delle funzioni sia dalla combinazione di più tratti.
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I “tipi” canonici possono essere riportati a polarità ideali (quali il “Bene” e il “Male”), che si incarnano in
figure “integre” come l'eroe totalmente positivo o il maligno integrale, ma queste figure in genere non sono
mai al centro delle dinamiche narrative: chi si muove nella narrazione combina tendenze diverse e diversi
atteggiamenti, e può passare addirittura da un fronte all'altro.
5.2.5 Il personaggio come attante
Si può analizzare il personaggio non in termini fenomenologici né formali, ma piuttosto prendendo in
esame i nessi strutturali e logici che lo legano ad altre unità. In questo caso si parla, secondo la terminologia
narratologica, di “attante”. Esso è da un lato una “posizione” nel disegno globale del racconto, dall'altro
un'”operatore” che ne realizza alcune dinamiche.
La prima distinzione è quella tra Soggetto e Oggetto. Il Soggetto è colui che muove verso l'Oggetto per
conquistarlo, e allo stesso tempo agisce su di esso e il mondo che lo circonda.
Il rapporto Soggetto-Oggetto si sviluppa secondo quattro fasi:
performance: il movimento verso l'Oggetto e l'azione su di esso e il mondo
competenza: è l'intenzione, capacità, diritto ed obbligo di tendere verso l'oggetto e agire
mandato: l'acquisizione dell'oggetto è frutto di un incarico di qualcuno
sanzione: la retribuzione-ricompensa, o detrazione-punizione che stabiliscono la qualità dei risultati
raggiunti.
L'Oggetto è il punto di confluenza dell'azione del Soggetto, rappresenta ciò verso cui muovere e ciò su cui
operare. Esso può essere:
strumentale, quando il Soggetto tende o agisce su di esso in vista di qualcos'altro
finale, quando è la meta ultima del percorso
neutro, quando sia suscettibile di investimenti qualunque
di valore, se l'investimento deve seguire un'assiologia precisa.
Attorno all'asse Soggetto-Oggetto si dispongono assi ausiliari. Avremo:
Destinatore (punto di origine dell'Oggetto, fonte del mandato e della competenza del Soggetto) vs.
Destinatario (chi riceve l'Oggetto, e commina la sanzione)
Aiutante (soccorre il Soggetto nelle prove da superare per la conquista dell'Oggetto) vs. Oppositore
(ostacola il successo del progetto narrativo)
Questo schema astratto dà conto del funzionamento e dell'organizzazione delle strutture narrative più
tipiche. Esso inoltre suddivide la struttura del racconto in due percorsi distinti, quello dell'Eroe e quello
dell'Antieroe. Questo consente di sviluppare uno schema elementare fondato sulla struttura polemica in via
principale, e su quella contrattuale sul piano periferico.
All'interno dello schema narrativo generale, ciascun attante può distinguersi via via in alcuni tratti
supplementari. Esso può essere:
di stato o di fare, a seconda che il suo legame con gli altri attanti sia di “giunzione” o di “trasformazione”
pragmatico o cognitivo, a seconda che la sua azione sia diretta e concreta sulle cose, piuttosto che mentale
orientante o non orientante, a seconda che la sua prospettiva d'azione coincida o meno con quella
privilegiata dal discorso narrativo
5.3 Gli eventi
5.3.1 Azioni e avvenimenti
Gli eventi si possono dividere in due grandi categorie:
azioni, se l'agente che li provoca è animato
21
avvenimenti, se l'agente è un fattore ambientale o una collettività anonima
Gli avvenimenti quindi esplicitano l'intervento della natura o della società, rispetto al quale l'individuo non
è in grado di esercitare alcun controllo, ma solo un'azione di contrasto o di fuga.
Per quanto riguarda le azioni, si deve anche qui partire da una classificazione sulla base degli aspetti
fenomenologici, formali e astratti.
5.3.2 L'azione come comportamento
L'azione come comportamento è un agire attribuibile ad una fonte concreta e determinata, una reazione ad
uno stimolo o ad una situazione. Si può avere un comportamento:
volontario o involontario
cosciente o incosciente
individuale o collettivo
transitivo o intransitivo (a seconda se l'azione “passa” su altri o no)
unico o ripetitivo
ecc.
Quello che conta è comunque l'osservazione delle forme e delle manifestazioni concrete dell'azione, il suo
rilievo sociale, l'insieme dei gesti attraverso cui si esprime. Ovvero l'aspetto fenomenologico.
5.3.3 L'azione come funzione
Analizzare l'azione come funzione significa considerarla come occorrenza singola di una classe generale di
eventi. Si tratta di tipi standardizzati di azione che si ritrovano in ogni racconto, pur con infinite varianti.
Le grandi classi di azioni possono essere così sintetizzate:
la privazione: dà luogo ad una mancanza iniziale (la sottrazione di un bene, di un diritto), il cui rimedio
costituirà il motivo attorno a cui ruoterà tutta la vicenda
l'allontanamento: duplice funzione, che comporta una perdita (separazione dal luogo di origine) e la
conseguente ricerca di una soluzione
il viaggio: può essere uno spostamento di tipo fisico ma anche psicologico, lungo un itinerario punteggiato
di tappe decisive.
Il divieto: si manifesta come affermazione di limiti che non si possono varcare. Ad esso si possono
contrapporre due possibili risposte: il rispetto o l'infrazione
l'obbligo: è l'inverso del divieto, può essere un compito o una missione da compiere. Anche qui la risposta
può essere l'adempimento o l'evasione
l'inganno: si manifesta come tranello, travestimento, delazione, ecc. La risposta può essere la connivenza o
lo smascheramento
la prova: riguarda sia le “prove preliminari”, volte ad acquisire la competenza, sia la “prova definitiva” che
consentono al personaggio di affrontare la causa della mancanza iniziale
la rimozione della mancanza: dopo il successo nella prova definitiva, viene restaurata la situazione iniziale,
o reintegrati gli oggetti perduti
il ritorno: può consistere nel ritorno vero e proprio del personaggio al luogo lasciato, oppure
nell'installazione in un nuovo luogo ormai sentito come proprio
la celebrazione: il personaggio vittorioso viene identificato, ricompensato, trasfigurato, ecc.
Si tratta naturalmente di uno schema molto generale, tratto da quello proprio del racconto popolare, che
configura una sorta di racconto cinematografico canonico che possa fungere da base per ulteriori
approfondimenti.
22
5.3.4 L'azione come atto
L'azione può anche essere esaminata in quanto atto, ovvero in quanto pura struttura relazionale che lega
degli attanti.
Le relazioni tra attanti possono essere di due tipi (enunciati narrativi elementari):
enunciati di stato: rendono conto dello stabilirsi di un'interazione tra Soggetto e Oggetto. Questa
interazione può esprimere il possesso dell'Oggetto (S ∩ O) o la perdita di esso (S U O)
enunciati di fare: rendono contro del passaggio da uno stato all'altro, tramite operazioni di congiunzione e
disgiunzione, da parte del Soggetto.
In questo senso ogni funzione narrativa potrebbe essere tradotta in una serie di operazioni elementari,
perdendo in senso di concretezza e specificità dell'azione, ma guadagnando in estensibilità e
generalizzazione delle osservazioni.
L'atto, inoltre, possiede due dimensioni:
pragmatica: si esplica attraverso le operazioni effettive sugli esistenti
cognitiva: si esplica attraverso modificazioni interiori (sentimenti, volizioni, impulsi)
Sempre nella prospettiva astratta, possiamo poi cogliere l'atto in relazione agli altri che lo precedono e lo
seguono, individuando una concatenazione: la performance è in relazione con l'acquisizione di una
competenza e il conferimento di un mandato, e trova conferma o condanna nella sanzione che ad essa
segue.
Le quattro tappe dell'atto così individuate corrispondono ad altrettanti enunciati narrativi modalizzati:
la performance si manifesta come un “far essere”
la competenza è la sovrapposizione di un “saper fare”, un “voler fare”, un “poter fare” e di un “dover fare”
il mandato appare come un “far fare”
la sanzione si struttura come un “esser essere”
Anche questo schema può essere utilizzato per raggruppare classi di funzioni narrative (ad es. il mandato
comprende l'obbligo, il divieto e l'allontanamento, ecc.)
E' evidente, infine, come la classificazione dei personaggi e delle azioni, operata con criteri analoghi, possa
essere incrociata: il comportamento va a legarsi con la persona, la funzione con il ruolo, l'atto con l'attante.
5.4 Le trasformazioni
5.4.1 Dagli eventi alle trasformazioni
Gli eventi, nel momento stesso in cui hanno luogo, intervengono sul corso della vicenda, provocandone
l'evoluzione. L'evento è ciò che muove il racconto. E ogni azione produce un cambiamento di scenario, un
passaggio da una situazione ad un'altra, attraverso un processo di trasformazione.
5.4.2 Le trasformazioni come cambiamenti
Anche in questo caso si può partire, per analizzare le trasformazioni, da un punto di vista fenomenologico.
Ovvero, considerare le trasformazioni come cambiamenti.
In quest'ambito, la trasformazione può essere vista da due prospettive diverse:
a partire dal personaggio, che del cambiamento è l'attore fondamentale: si possono qui riconoscere
cambiamenti:
del modo di essere (carattere) o del modo di fare (atteggiamento)
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individuali (che riguardano un solo personaggio) o collettivi (che riguardano un sistema di personaggi)
impliciti o espliciti
uniformi (un singolo tratto della persona)o complessi
a partire dall'azione, che è il motore del cambiamento. Qui potremo distinguere cambiamenti:
lineari (uniformi e continui) o spezzati (contrastati o interrotti)
effettivi (che incidono sulla situazione) o apparenti (inconcludenti)
di necessità (logiche - che vengono da una concatenazione causale) o di successione (cronologiche - che
vengono semplicemente dal procedere temporale). A questo proposito, si potranno distinguere racconti
“del pensiero”, concatenati soprattutto per logica e necessità, e racconti “dello sguardo”, per lo più
organizzati per successione e accumulo. Ma va anche detto che l'opposizione tra i due tipi di
trasformazione risiede spesso più nei modelli interpretativi che nei testi esaminati. La prevalenza del
cronologico ha alla base un'idea della narrazione come “arte del tempo”, la prevalenza del logico invece
un'idea della narrazione come “schema di esplicazione del mondo”.
5.4.3 Le trasformazioni come processi
Sul piano formale, le trasformazioni si configurano come processi, cioè come forme tipizzate di mutamenti,
percorsi evolutivi ricorrenti, classi di modificazioni. Esse possono allora qualificarsi come migliorative o
peggiorative, naturalmente prendendo come riferimento la situazione di un personaggio “orientante”, dal
cui punto di vista sia osservata tutta la vicenda.
Un racconto infatti chiama in causa generalmente dei progetti, migliorativi o peggiorativi, che possono
manifestarsi o rimanere allo stadio di desideri. E una volta manifestati, possono o meno portare a dei
risultati. Il processo di trasformazione si svilupperà quindi attraverso una serie di scelte binarie secondo un
percorso logico ricorrente:
virtualità (miglioramento o peggioramento da ottenere)
attualizzazione (processo di miglioramento o peggioramento)
scopo raggiunto (miglioramento o peggioramento ottenuto)
scopo mancato (miglioramento o peggioramento ottenuto)
assenza di attualizzazione (nessun processo di miglioramento o peggioramento)
All'interno di questo schema è possibile ricavare dei percorsi. Dal punto di vista del beneficiario del
miglioramento, il processo porterà alla rimozione dell'ostacolo che provoca il suo stato di mancanza
iniziale, attraverso l'attualizzazione di certi mezzi possibili. L'attualizzazione può avvenire casualmente
(evento fortuito) oppure volutamente (missione da compiere). E in quest'ultimo caso il protagonista potrà
avvalersi di agenti-alleati, mentre sarà ostacolato da agenti-antagonisti.
Tutto questo può essere però letto anche dal punto di vista di chi persegue il peggioramento: alleati e
antagonisti si invertono. Ma anche dal punto di vista di chi patisce il peggioramento, ecc.
L'approccio formale rende quindi ben conto delle varie possibilità narrative e delle scelte conseguenti.
5.4.4 Le trasformazioni come variazioni strutturali
A questo livello, si intendono le trasformazioni come variazioni strutturali, ovvero come operazioni logiche
che sono a fondamento delle modificazioni del racconto. Le principali operazioni sono:
la saturazione: la situazione di arrivo rappresenta la conclusione logica e prevedibile delle premesse poste
dalla situazione iniziale.
l’inversione: la situazione iniziale si rovescia, all’arrivo, nel suo opposto (finale a sorpresa)
la sostituzione: lo stato di arrivo sembra non avere legami con quello di partenza, c’è una totale variazione
della situazione in gioco
la stasi: è una non-variazione, è caratterizzata dalla permanenza dei dati iniziali
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Queste forme di variazione a volte si intrecciano e si mescolano nel disegno narrativo.
Da quanto detto emerge con evidenza la carica dinamica della narrazione: il racconto si muove da uno stato
all’altro attraverso una serie di trasformazioni. Nell’analisi di questo percorso, assume un grande rilievo
l’osservazione dei due stadi estremi: la situazione di partenza e quella d’arrivo. Esse spesso contengono dati
importanti per l’analisi. Diversi possono essere gli approcci:
la narrazione come “ordine”: si può vedere l’inizio come un momento di “disequilibrio” e
conseguentemente la fine come la reintroduzione o restaurazione dell’equilibrio.
la narrazione come entropia: l’inizio come l’apertura di una matrice di elementi e di variabili i cui rinvii
relazioni si esauriscono nella fine
la narrazione come costruzione di un mondo “altro”: l’inizio e la fine sono considerati come due portali che
designano con forza l’ingresso e uscita dello spettatore.
5.5 I regimi del narrare
5.5.2 Narrazione forte, narrazione debole, anti-narrazione
Rispetto a quanto detto finora, tre sembrano essere i grandi regimi narrativi, le forme fondamentali del
narrare:
la narrazione forte: l’enfasi è posta su una serie di situazioni ben definite e concatenate fra loro. Un ruolo
fondamentale lo gioca l’azione, sia in quanto forma di risposta di un personaggio all’ambiente, sia in quanto
tentativo di modificare le cose. Vi sono poi alcuni tratti peculiari:
l’ambiente in cui il soggetto agisce è una dimensione inglobante, che circoscrive l’azione e la stimola
i valori espressi da ciascun personaggio sono iscritti in uno schema assiologico duale, organizzato per
opposti. E questi opposti giungono sempre ad un momento risolutore in cui l’incontro/scontro è inevitabile
tra la situazione di avvio e quella di conclusione c’è un grande scarto, che viene colmato progressivamente,
in contemporanea con l’acquisizione di competenza dell’eroe
la situazione di arrivo è il completamento prevedibile o il ribaltamento speculare di quella di partenza
(saturazione e inversione)
E’ lo schema classico del cinema hollywoodiano.
la narrazione debole: le situazioni narrative subiscono uno sbilanciamento, c’è un’ipertrofia degli esistenti
rispetto agli eventi. I personaggi e gli ambienti, senza azione, diventano enigmatici e perdono di
consistenza. E’ il territorio del dramma psicologico. Anche qui ci sono tratti specifici:
l’ambiente non è più inglobante ma “pervasivo”: occupa lo spazio dell’azione, non permettendole di
esplicarsi
le assiologie di valori sono caratterizzate da sincretismo e permeabilità: i punti di vista coesistono, il male e
il bene si confondono.
l’azione non conduce più a colmare lo scarto tra due situazioni, ma anzi può contribuire ad aumentarlo. I
dubbi e le paure non sono più incidenti di percorso, ma diventano modalità costruttive del comportamento
dell’”eroe”
Lo stato finale si presenta o come il ribaltamento di quello iniziale o come uno stato nuovo, slegato da
quello originario. La sorpresa è un elemento spesso dominante, e in certi casi potremmo avere la mancata
risoluzione della vicenda (sospensione)
l’anti-narrazione: il nesso ambiente-personaggio perde ogni tipo di equilibrio, e l’azione non ha più alcun
ruolo rilevante. Il disegno non appare dotato di struttura, e perde ogni valenza dinamica. Anche qui si
possono individuare delle costanti:
la situazione narrativa è frammentata e dispersa. I personaggi sono connessi tra loro e con l’ambiente da
legami labili, e oscillano continuamente tra il ruolo di protagonista e quelli secondari
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l’assiologia di riferimento non esiste, i valori si dissolvono
le relazioni causali e logiche tra gli avvenimenti sono sostituite da semplici giustapposizioni casuali, da
tempi morti e dispersivi. L’atto pragmatico del personaggio è sostituito dalla prevalenza del pensiero e dello
sguardo
le trasformazioni sono lente e non arrivano mai ad un punto compiuto. Dominano la sospensione e la stasi.
I tre regimi ovviamente sono tipi ideali, rappresentano dei modelli verso cui ciascun film può tendere. E
comunque queste tre tendenze hanno attraversato in senso cronologico l’evoluzione del cinema: dal
classico hollywoodiano alla nouvelle vague al cinema contemporaneo.
In tempi recenti poi si è fatto strada anche un altro tipo di racconto, trasversale rispetto ai tre evidenziati:
quello del “raccontare il proprio raccontare”, cioè esibire la propria azione di narratore, manifestare il testo
in quanto tale, rendere espliciti i meccanismi alla base dell’operazione.
6. L’analisi della comunicazione
6.1 Comunicare il film, comunicare nel film
6.1.1 Il testo filmico: oggetto e terreno della comunicazione
Comunicare significa far sì che un testo passi da un destinatore ad un destinatario. Parrebbe quindi che
siano i due partner con i loro comportamenti concreti, e non il testo con le sue strutture e dinamiche, ad
essere il vero fattore in gioco. In realtà ogni testo, compreso il film, non è indifferente al gioco in cui è
preso. Il destinatore e il destinatario, all’interno del proprio discorso, si rappresentano e rappresentano il
proprio interlocutore, e questa raffigurazione diventa poi principio regolativo per i comportamenti di
ognuno. Ed anche le finalità e i modi della comunicazione si rispecchiano nell’atto comunicativo.
La comunicazione, nel suo stesso svolgersi, per un verso fornisce una definizione dei partecipanti, delle
modalità e delle finalità che la sostengono; e per l’altro fa agire tali elementi quali veri e propri principi
regolatori. L’effetto è di riassorbire i termini e le condizioni dello scambio all’interno di quanto viene
scambiato: l’oggetto che si trasmette e attorno a cui si interagisce è anche il terreno della trasmissione e
dell’interazione.
Il film, allora, come ogni testo, si trova a iscrivere in sé la comunicazione nella quale è preso, rivelando da
dove viene e a chi vuole andare. Naturalmente sono sempre possibili letture perverse, decodifiche
aberranti o semplici fraintendimenti. Ma in ogni caso il testo simula la situazione comunicativa in cui
intende collocarsi, e vincola chi partecipa a questa immagine preventiva.
6.1.2 Seguendo le tracce
Possiamo cogliere nel testo filmico non solo il riflesso dei processi di scambio in cui è coinvolto, ma anche
gli effetti di questi processi sulla sua struttura e funzionamento. Dalla maniera in cui immagini e suono si
dispongono e operano possiamo dedurre sia il “farsi” del film (ovvero l’identità di un progetto organizzativo
e comunicativo, una provenienza), sia il suo “darsi” (ovvero un principio di interpretazione, un orizzonte di
attese, una destinazione).
6.2 Il quadro comunicativo
6.2.1 Figure reali e figure vicarie
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Il film procede da un destinatore concreto (il regista, il produttore, ecc.) ad un destinatario altrettanto
concreto (lo spettatore, il pubblico). Possiamo chiamare queste figure, esterne al testo, Emittente e
Recettore.
Esistono però all’interno del testo elementi che segnalano il punto da cui esso si origina, e il punto verso cui
si muove. Queste figure interne sono classificabili proprio in base al polo della comunicazione che
rappresentano: il destinatore o il destinatario. Esse non sono più realtà concrete come l’Emittente e il
Recettore, ma rimandano ad un ruolo, simulano all’interno del testo un rapporto comunicativo che
concretamente l’Emittente e il Recettore intrattengono grazie al testo stesso. E inevitabilmente finiscono
per ridefinire il profilo delle figure reali.
6.2.2 L’Autore implicito e lo Spettatore implicito
L’Autore implicito e lo Spettatore implicito (anche enunciatore/enunciatario) sono figure astratte che
rappresentano i principi generali che reggono il testo. Il primo rappresenta gli atteggiamenti, le intenzioni, il
modo di fare, ecc. di chi ha prodotto il film, così come si palesano nel film stesso. Il secondo rappresenta le
attese, le predisposizioni, le operazioni di lettura, ecc. proprie dello spettatore, sempre così come si
palesano nel film stesso. Da una parte un “progetto comunicativo”, dall’altra le “condizioni di lettura”.
In quanto figure astratte, Autore e Spettatore impliciti si manifestano nel modo stesso in cui il film si
organizza, nelle scelte espressive e nei riferimenti. Anche se non mancano riferimenti più espliciti.
6.2.3 Il narratore e il narratario
In alcuni casi Autore e Spettatore impliciti hanno “figurativizzazioni” più evidenti all’interno del testo,
elementi che ne manifesteranno più marcatamente la presenza. Avremo così le figure dell’emissione
(Narratore):
gli emblemi del costituirsi dell’immagine: finestre, specchi, schermi, riproduzioni, ecc.
le presenze extradiegetiche: cartelli, voci over, soluzioni stilistiche particolarmente espressive, ecc.
gli informatori: individui che raccontano, testimoni che parlano, presenze che ricordano (flash back) o che
prevedono (flash forward), ecc.
alcuni ruoli professionali: allestitori di spettacoli, fotografi, registi, ecc.
l’autore protagonista: chi fa il film che si mette in scena
Avremo poi le figure della ricezione (Narratario):
gli emblemi della ricezione: occhiali, o altri strumenti ottici
le presenze extradiegetiche: il rivolgersi a spettatori esplicitamente immaginati, con la voce over o lo
sguardo in macchina
le figure di “osservatori”: il detective, il giornalista, il viaggiatore, ecc., che interpretano, indagano, cercano
risposte e a volte scelgono percorsi imprevisti e alternativi
il cosiddetto “spettatore in studio”: chi sullo schermo fa la stessa cosa degli spettatori in sala.
6.3 Il punto di vista
6.3.1 L’origine e la destinazione
L’esercizio di una funzione comunicativa è strettamente connesso all’assunzione di un punto di vista: chi
mostra lo fa a partire da una determinata prospettiva, e chi riceve deve mettersi nelle stesse condizioni, o
perlomeno tener conto della parzialità di veduta.
Nei testi filmici, il punto di vista è quello dove è stata collocata la macchina da presa, e coincide con l’occhio
dell’Emittente.
Parallelamente, il punto di vista è quello in cui si colloca lo spettatore per seguire il film, e coincide con
l’occhio del Recettore.
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Ma il punto di vista non si limita ad identificare questa doppia collocazione concreta, è anche qualcosa di
più astratto, “dentro” l’immagine, che si può far risalire ad un Autore e a uno Spettatore impliciti.
Innanzitutto il punto di vista è la marca della nascita di un'immagine: l'immagine “si fa” quando c'è un
punto di vista che la determina. Parallelamente, il punto di vista è la marca della destinazione
dell'immagine: essa diventa visibile nella misura in cui costruisce una posizione ideale in cui mettere il suo
osservatore, “si dà” quando un punto di vista le offre una “sponda”.
Il punto di vista incarna da un lato la “logica” secondo cui è costruita l'immagine, dall'altro la “cifra” che
occorre possedere per ripercorrerla. Ovvero, identifica le istanze astratte alla base del gioco: l'Autore e lo
Spettatore impliciti.
Si può parlare di punto di vista dell'immagine (agisce localmente, cambia con il cambiare dell'inquadratura)
e di punto di vista del film (agisce globalmente, assommando o attraversando tutte le proposte).
Il punto di vista inoltre può incarnarsi in un personaggio (soggettive, flash back, sogni, ecc.), e allora si dovrà
distinguere tra il punto di vista dell'Autore e Spettatore impliciti e quello dei diversi Narratori e Narratari.
6.3.2 La triplice natura del punto di vista
Dell'espressione “punto di vista” si possono dare almeno tre significati:
letterale (attraverso gli occhi di qualcuno): accezione percettiva (vedere)
figurato (nella mente di qualcuno):accezione concettuale (sapere)
traslato (secondo l'ideologia o il vantaggio di qualcuno): accezione “dell'interesse” (credere)
In un immagine filmica sono presenti tutti e tre gli aspetti: il più evidente è quello ottico. Ma a seconda di
cosa mostra e cosa nasconde, l'immagine seleziona gli aspetti del visibile ed evidenzia determinati dati ed
informazioni (aspetto cognitivo). Inoltre, a seconda di come è costruita, evidenzia valori e ideologie di
riferimento. Mutare il punto di vista significa quindi l'individuazione di altre porzioni del visibile, altre
informazioni e altre assiologie.
6.3.3 Punto di vista e focalizzazione
Attraverso un punto di vista quindi si identifica una porzione di realtà piuttosto che un'altra. Questa
selezione mette anche in rilievo l'oggetto della scelta, dandogli uno statuto particolare, privilegiato. La
focalizzazione designa proprio questo doppio processo di selezione e valorizzazione.
Il film può essere quindi visto come un insieme di focalizzazioni. La cosa risulta ancora più evidente quando
vi sono più punti di vista.
6.3.4 L'ampiezza del punto di vista
Nel testo filmico ci possono essere elementi che, dotati di un punto di vista, fungono da veri e propri agenti
di focalizzazione, i focalizzatori. Questi personaggi possono assumere funzioni di Narratori o di Narratari.
Tre possono essere le configurazioni possibili:
Il punto di vista del Narratore e quello del Narratario si equivalgono: il vedere, sapere e credere dei due
fronti sono sovrapponibili
Il punto di vista del Narratore è “superiore” a quello del Narratario: vedere, sapere e credere del primo
sono più completi, o pesano di più nella comunicazione
Il punto di vista del Narratore è “inferiore” a quello del Narratario.
Si possono poi indagare i rapporti tra punti di vista chiaramente figurativizzati e punti di vista estranei alla
diegesi. Ci sono infatti focalizzatori extradiegetici (dichiarazioni d'intenti, commenti d'autore, morali finali,
ecc., espressioni del punto di vista dell'Autore e Spettatore impliciti) e omodiegetici (dichiarazioni, morali,
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commenti espressi dagli stessi personaggi della vicenda, espressioni del punto di vista di Narratori e
Narratari).
Anche qui, pur nella difficoltà di distinguere nel cinema l'extradiegetico dall'omodiegetico, si possono
individuare tre configurazioni:
il punto di vista dell'Autore implicito è “superiore” a quello del Narratore o del Narratario. Chi guida il testo
sa di più, legge nella mente dei personaggi, comprende ciò che essi non riescono a comprendere, ecc.. In
definitiva, nessuna figura nel testo ne incarna la logica. E' la soluzione tipica del racconto classico.
il punto di vista dell'Autore implicito è “equivalente” a quello del Narratore o del Narratario. Chi guida il
testo vede, conosce e giudica in correlazione con i personaggi. Il caso più comune è la narrazione in prima
persona.
Il punto di vista dell'Autore implicito è “inferiore” a quello del Narratore o del Narratario. Chi guida il testo
si limita a descrivere o testimoniare dei fatti. Nel cinema è il caso di molti documentari.
6.3.5 La conformità del punto di vista
Se ben osserviamo i focalizzatori omodiegetici, ci accorgiamo che non tutti i portatori di punto di vista sul
piano della storia sono portatori del punto di vista dell'Autore e dello Spettatore impliciti. Vi possono
essere personaggi il cui punto di vista non coincide con quello che attraversa il film.
I punti di vista espressi nel film, in particolare quelli specifici dei Narratori e Narratari, si caratterizzano
quindi spesso per un diverso grado di conformità rispetto al punto di vista che li ingloba e definisce (quello
dell'Autore e Spettatore impliciti). Si possono allora ipotizzare due casi opposti:
Narratore e Narratario fededegni: il loro punto di vista è perfettamente conforme a quello dell'Autore e
dello Spettatore impliciti.
Narratore e Narratario inattendibili: il loro punto di vista è del tutto difforme da quello dell'Autore e dello
Spettatore impliciti.
Naturalmente i due poli spesso si intrecciano anche all'interno dello stesso testo.
6.4 Forme di sguardo
6.4.1 I quattro tipi di atteggiamento comunicativo
Lo “sguardo” ingloba sia il vedere che il sapere che il credere. E' possibile identificarne quattro grandi
tipologie, che derivano da diverse combinazioni dei fattori comunicativi e da diversi gradi di esplicitezza che
questi fattori assumono.
6.4.2 L'oggettiva
L'immagine presenta una porzione di realtà in modo diretto e funzionale, senza mediazioni e senza
omettere alcuna informazione necessaria. Questa configurazione è detta oggettiva. Si manifestano un
Autore e uno Spettatore impliciti, ma nessun Narratore o Narratario. Ne discendono un vedere
“esauriente”, un sapere “diegetico” (tutto ciò di cui si viene a conoscenza è contenuto nell'immagine), un
credere “saldo”.
6.4.3 L'oggettiva irreale
L'immagine mostra una porzione di realtà in modo anomalo o apparentemente ingiustificato, segno di una
intenzionalità comunicativa che va oltre la semplice raffigurazione (riprese da luoghi “impossibili”,
movimenti di macchina vertiginosi, ecc.). Qui i punti di vista emissivo e ricettivo sono esplicitate in maniera
netta, l'autore e lo spettatore impliciti si calano in un Narratore (il protagonismo della macchina da presa) e
in un Narratario (il ruolo interpretativo dello spettatore). Ne discendono un vedere “totale” (onnipotenza
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visiva), un sapere “metadiscorsivo” (l'immagine informa anche sulle modalità della scrittura filmica), un
credere “assoluto”.
6.4.4 L'interpellazione
L'immagine presenta un personaggio, oggetto o soluzione espressiva la cui funzione primaria è di rivolgersi
allo spettatore, chiamandolo direttamente in causa (voci over, didascalie, sguardi in macchina, ecc.). Sono
perciò presenti un Autore implicito, un Narratore che lo incarna (l'elemento interpellante) e uno Spettatore
implicito (a cui però non corrisponde un Narratario). Ne derivano un vedere “parziale” (calamitato dalle
istruzioni provenienti dallo schermo), un sapere “discorsivo” (più attento al discorso che alla diegesi), un
credere “contingente” (legato solo alle assicurazioni fornite dall'interpellante).
6.4.5 La soggettiva
Quanto appare sullo schermo coincide con quanto un personaggio vede, sente, apprende, immagina, ecc..
Abbiamo un Autore implicito, ma soprattutto uno Spettatore implicito e un Narratario che lo rappresenta.
Lo spettatore assume una posizione per così dire attiva, entrando in campo attraverso gli occhi, la mente, le
credenze del personaggio. Ne derivano un vedere “limitato”, un sapere “infradiegetico” (calato
completamente nel vissuto di chi sta in scena), un credere “transitorio” (che dura finché dura la credibilità
di chi è in campo).
6.5 I percorsi dello sguardo
6.5.1 La costruzione dello sguardo
Un'indagine complementare a quella sulle tipologie dello “sguardo” è quella che analizza i modi in cui il
quadro comunicativo viene a costituirsi e a definirsi. In questo senso è utile servirsi delle categorie modali
già utilizzate per i ruoli narrativi: mandato, competenze, performanza, sanzione.
Il mandato si manifesta ogni qual volta qualcuno viene incaricato di intervenire nella comunicazione,
assumendo un ruolo, una parte.
la competenza segue immediatamente l'attribuzione del ruolo, è l'idoneità a svolgerlo, nelle sue quattro
condizioni modali.
la performanza è il momento in cui vediamo i diversi ruoli compiere le azioni per cui sono scesi in campo,
con determinate modalità.
la sanzione è il momento del giudizio, e di conseguenza della riequilibratura delle assiologie in gioco.
6.5.2 Presupposti, azioni
Le quattro tappe, pur dando origine ad un percorso unitario, si situano su due piani ben distinti: quello
cognitivo (il mandato e la sanzione) e quello pragmatico (competenza e performanza).
In generale, è sul piano cognitivo che rintracciamo l'Autore implicito, mentre sul piano pragmatico vediamo
agire i Narratori e Narratari.
C'è però la possibilità che questa struttura subisca delle variazioni: il piano cognitivo può essere in mano
allo Spettatore implicito (opere aperte), oppure a carico di un Narratore o Narratario. Oppure Autore e
Spettatore impliciti possono operare sia sul piano cognitivo che pragmatico, eliminando ogni figura vicaria,
ogni altro punto di vista (testi descrittivi o in presa diretta). E ogni configurazione può poi accavallarsi e
intrecciarsi con le altre.
6.6 I regimi della comunicazione
6.6.1 Figure, forme e percorsi
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Anche sul terreno della comunicazione, così come per le altre prospettive di analisi del film, si procede per
addensamenti e rarefazioni, disegni unitari ed emergenze imprevedibili: anche qui si possono individuare in
prima approssimazione sistemi coerenti di scelte attorno a cui si aggregano le singole soluzioni: regimi che
definiscono le opzioni di fondo delle dinamiche comunicative.
6.6.2 Comunicazione referenziale e comunicazione metalinguistica
Ricalcando la classica tipologia delle funzioni comunicative, possiamo distinguere due regimi chiave:
La comunicazione referenziale: è rivolta prevalentemente alla trasmissione di un contenuto, alla
denotazione della realtà. Lo scopo è quello di “mostrare” e “vedere” il mondo, senza che questo
“mostrare” e “vedere” si evidenzino come procedimenti di mediazione. E' lo sguardo “oggettivo”
(documentari, descrizioni)
La comunicazione metalinguistica: è rivolta ad esprimere l'atto stesso del comunicare. Non si mostra il
mondo, ma piuttosto il fatto stesso di mostrare e vedere. La comunicazione ritorna su sé stessa, sul
rapporto tra Destinatore e Destinatario e sul messaggio scambiato.
In particolare, quando la comunicazione “torna” sul Destinatore, si ha la comunicazione emotiva, che si
caratterizza per l'esplicitazione di un punto di vista da cui sono mostrate le cose (ad es. l'oggettiva irreale)
Quando invece la comunicazione “torna” sul Destinatario, si ha la comunicazione identificativa, che porta al
centro della struttura la controparte dello scambio, spingendola all'identificazione e consapevolezza del
proprio ruolo (ad es. l'oggettiva)
Se la comunicazione “torna” sul contatto che si instaura tra Destinatore e Destinatario, ovvero si dedica ad
esplicitare e a verificare il legame tra le controparti, si ha la comunicazione fatica (sguardo in macchina, ma
anche fermo immagine, ralenty, ecc.)
Infine, se la comunicazione “torna” sul messaggio scambiato, esaltandone le caratteristiche formali e
strutturali, si ha la comunicazione poetica. La meticolosa cura formale, l'attenzione ai ritmi e alle ricorrenze,
il virtuosismo tecnico sono esempi di questa categoria (ad es. videomusic, pubblicità, ecc.)
Naturalmente tutte queste varie forme di comunicazione metalinguistica possono sovrapporsi, intrecciarsi
e contaminarsi. Resta ferma la prevalente attenzione sull'atto stesso del comunicare piuttosto che sulla
realtà di riferimento. Si tratta di un'opposizione tra due disposizioni generali del comunicare: da un lato la
neutralità dell'atto comunicativo e l'obliterazione di ogni intenzione mediatrice, dall'altro l'esplicitazione
proprio di questo momento di mediazione e riorganizzazione dei dati.
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