Uploaded by Mariateresa Corniello

Libro

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Kreitner
Kinicki
Robert Kreitner
Angelo Kinicki
Seconda edizione
Robert Kreitner è professore emerito
di Management presso la Arizona State
University.
Angelo Kinicki insegna Management
e Leadership presso la stessa università.
L’edizione italiana è curata da Cristina
Bombelli, Wise Growth, e Barbara
Quacquarelli, Università degli Studi di
Milano-Bicocca.
€ 34,00
3146-8.indd 1
Il libro di Kreitner e Kinicki, che proponiamo in una
seconda edizione completamente rinnovata, offre
una panoramica esaustiva e organica degli studi
sul comportamento organizzativo. Il volume illustra
sia i principali schemi teorici di riferimento, sia i più
importanti risultati della ricerca empirica, con una
particolare attenzione per la dimensione applicativa
e le implicazioni manageriali.
Nella nuova edizione viene presentata un’ampia
e approfondita trattazione di numerosi temi di frontiera
nella ricerca attuale. Tra questi, gli effetti di Internet e
dei social media sui comportamenti nei luoghi
di lavoro; l’abbattimento dei confini tra l’ambito formale
e informale della vita organizzativa; l’ingresso del
concetto di sostenibilità nella gestione delle persone;
lo sviluppo del tema dell’engagement; le questioni
legate alla diversità relativa all’età; la gestione
dello stress.
Comportamento organizzativo
Comportamento
organizzativo
Comportamento
organizzativo
Seconda edizione
Robert Kreitner
Angelo Kinicki
www.apogeonline.com/Education
16/01/13 16.08
CompOrga.indb i
11/01/2013 16.34.29
Dal catalogo Apogeo
Discipline aziendali
Boldizzoni, Nacamulli (a cura di), Oltre l’aula. Strategie di formazione nella società
della conoscenza, seconda edizione
Borazzo, Candiotto, Applicazioni aziendali con Excel
Candiotto, Analisi di bilancio con Excel, seconda edizione
Clerici, De Pra, Salviotti, Comunicare 2.0. Lavorare con gli strumenti del nuovo Web
Damodaran, Roggi, Finanza aziendale. Applicazioni per il management,, terza edizione
Damodaran, Valutazione delle aziende
Daft, Organizzazione aziendale, quarta edizione
De Baggis, World Wide We. Progettare la presenza online: le aziende dal marketing
alla collaborazione
East, Wright, Vanhuele, Comportamento del consumatore. Applicazioni per il marketing
Elton, Gruber, Brown, Goetzmann, Teorie di portafoglio e analisi degli investimenti
Galeotti (a cura di), La finanza nel governo dell’azienda
Ghiringhelli, Pero, Le PMI in Italia. Innovazione, strategie, modelli organizzativi
Giunta, Pisani, Il bilancio, seconda edizione
Hoffman, Bateson, Iasevoli, Marketing dei servizi
La Bella, Leadership
La Bella, Battistoni (a cura di), Economia e organizzazione aziendale
Lindstrom, Neuromarketing. Attività cerebrale e comportamenti d’acquisto
Luenberger, Finanza e investimenti. Fondamenti matematici
Lugli, Neuroshopping. Come e perché acquistiamo
Lugli, Troppa scelta. Difficoltà e fatica dell’acquistare
Noe, Hollenbeck, Gerhart, Wright, Gestione delle risorse umane, seconda edizione
Odoardi (a cura di), Valori e innovazione. Mobilitare le risorse umane nelle organizzazioni
Pastore, Vernuccio, Impresa e comunicazione. Principi e strumenti per il management,
seconda edizione
Peretti, Marketing digitale. Scenari, strategie, strumenti
Pigni, Ravarini, Sciuto, Sistemi per la gestione dell’informazione, seconda edizione
Prandstraller, Quacquarelli, Risorse umane internazionali. Cultura, competenze, strategia
Rezzani, Business Intelligence. Processi, metodi, utilizzo in azienda
Shefrin, Finanza aziendale comportamentale. Decisioni per creare valore
Solomon, Stuart, Marketing
Waner, Costenoble, Strumenti quantitativi per la gestione aziendale
Winer, Dhar, Mosca, Marketing management, seconda edizione
CompOrga.indb ii
11/01/2013 16.34.48
Comportamento
organizzativo
Seconda edizione
Robert Kreitner
Angelo Kinicki
Edizione italiana a cura di
Cristina Bombelli e Barbara Quacquarelli
CompOrga.indb iii
11/01/2013 16.34.49
Comportamento organizzativo. Seconda edizione
Titolo originale:
Organizational Behavior 10th ed.
Autori:
Robert Kreitner, Angelo Kinicki
Original English language edition by The McGraw-Hill Companies, Inc.
Copyright © 2013 – The McGraw-Hill Companies
Copyright © 2013 – APOGEO – IF – Idee editoriali Feltrinelli s.r.l.
Email education@apogeonline.com
U.R.L. http://www.apogeonline.com/Education
ISBN: 978-88-503-1581-9
Traduzione: Chiara Bonan, Alessandra Donnini, Maristella Notaristefano
Revisione: Cristina Bombelli, Barbara Quacquarelli
Il presente file può essere usato esclusivamente per finalità di carattere personale.
Tutti i contenuti sono protetti dalla Legge sul diritto d’autore.
Nomi e marchi citati nel testo sono generalmente depositati o registrati
dalle rispettive case produttrici.
Sommario
Presentazione dell’edizione italiana
Prefazione
Principi morali generali 21
Come migliorare il clima etico di
un’organizzazione 22
Un appello individuale all’azione 23
Apprendere il comportamento organizzativo:
l’importanza della ricerca 24
Le cinque fonti di evidenza empirica 24
Un modello per comprendere
e gestire il comportamento organizzativo 25
xi
xiii
Parte I Il mondo del comportamento
organizzativo 1
1
Le organizzazioni orientate alle persone
e il comportamento etico 3
Perché Zappos.com è così brava a battere
la concorrenza? 3
Benvenuti nel mondo del comportamento
organizzativo 5
Il comportamento organizzativo: un campo
interdisciplinare 5
Domande frequenti sullo studio
del comportamento organizzativo 6
Il comportamento organizzativo:
una prospettiva storica 7
La corrente delle relazioni umane 8
La corrente della qualità totale 10
La rivoluzione di Internet
e dei social media 12
La costruzione del capitale umano e sociale 13
Il contesto manageriale:
ottenere risultati con e attraverso gli altri 16
Che cosa fanno i manager?
Un profilo delle capacità manageriali 16
I manager del XXI secolo 17
L’approccio contingente al management 19
La sfida dell’etica 19
Un modello di etica
e responsabilità sociale globale d’impresa 19
CompOrga.indb v
2
La gestione delle diversità:
liberare il potenziale di ogni persona 27
Sarà possibile per le donne fare carriera? 27
Definire la diversità 28
I livelli della diversità 28
Azioni positive e gestione delle diversità 30
Gli argomenti a favore della gestione
della diversità 31
L’aumento della diversità nella forza lavoro 32
Le implicazioni manageriali della diversità 38
Effetti positivi e negativi della diversità
negli ambienti di lavoro 41
Le barriere e le sfide alla gestione della diversità 44
Pratiche organizzative per la gestione
della diversità 46
3
Cultura organizzativa,
socializzazione e mentoring 49
Vi piacerebbe lavorare per Southwest
Airlines? 49
La cultura organizzativa: definizione
e contesto 50
Dinamiche della cultura organizzativa
51
11/01/2013 16.34.49
Sommario
vi
I livelli della cultura organizzativa 51
Quattro funzioni della cultura organizzativa 54
Tipi di culture organizzative 55
Le conseguenze associate alla cultura
organizzativa 59
Il processo di cambiamento culturale 61
Il processo di socializzazione organizzativa 63
Un modello di socializzazione organizzativa
a tre fasi 64
Radicare la cultura organizzativa
attraverso il mentoring 67
Funzioni del mentoring 68
Network per lo sviluppo alla base
del mentoring 68
Implicazioni personali e organizzative 69
4
Perché gli americani falliscono negli incarichi
all’estero? 91
Come evitare gli elementi critici
di comportamento organizzativo
negli incarichi all’estero 93
Parte II Il comportamento individuale
nelle organizzazioni 97
5
CompOrga.indb vi
99
Un introverso può guidare Facebook verso
il successo nel lungo periodo? 99
Il concetto di sé 101
L’autostima 102
L’auto-efficacia 102
L’auto-osservazione 105
L’identificazione organizzativa 106
La personalità: concetti e controversie 107
I Big Five 107
La personalità proattiva 108
È corretto utilizzare i test di personalità
sul posto di lavoro? 109
Capacità (intelligenza) e performance 109
Intelligenza e capacità cognitive 111
Siamo dotati di intelligenze multiple? 111
Le emozioni nella vita organizzativa 113
Emozioni positive ed emozioni negative 113
Lo sviluppo dell’intelligenza emotiva 114
Comportamento organizzativo nel mondo:
management interculturale 71
Quante delle vostre supposizioni sulle culture
straniere sono errate? 71
Cultura e comportamento organizzativo 73
La cultura di un gruppo sociale è complessa
e multistratificata 74
La cultura è una forza sottile ma pervasiva 74
Cultura sociale e cultura organizzativa:
un modello 75
Sviluppare l’intelligenza culturale 76
Etnocentrismo: un ostacolo per le interazioni
interculturali 76
L’intelligenza culturale è la soluzione
ai paradossi culturali 78
Comprendere le differenze culturali 79
Culture a struttura complessa e culture
lineari 79
Le nove dimensioni culturali del progetto
GLOBE 81
Individualismo e collettivismo 83
Percezione culturale del tempo 84
Spazio interpersonale 86
Religione 87
Conseguenze operative delle ricerche
sul management interculturale 88
Lo studio di Hofstede: le teorie di management
statunitensi sono applicabili in altri paesi? 88
Lezioni di leadership dal progetto GLOBE 89
Lo stile di management varia di paese
in paese 90
Come prepararsi per incarichi all’estero 91
Le differenze individuali
6
Valori, atteggiamenti
e soddisfazione lavorativa
117
Come conciliare i valori dichiarati
con quelli praticati? 117
Valori personali 118
La teoria dei valori di Schwartz 118
Conflitti di valori 120
Conflitto tra lavoro e vita familiare 121
Atteggiamenti 122
La natura degli atteggiamenti 123
Che cosa succede quando gli atteggiamenti
collidono con la realtà?
La dissonanza cognitiva 124
Quanto sono stabili gli atteggiamenti? 124
Gli atteggiamenti influenzano il comportamento
attraverso le intenzioni 125
Atteggiamenti nei confronti del lavoro 126
L’impegno verso l’organizzazione 127
Il coinvolgimento del personale 129
11/01/2013 16.34.49
Sommario
vii
La soddisfazione lavorativa 130
Le cause della soddisfazione lavorativa 130
Implicazioni e conseguenze
della soddisfazione lavorativa 131
I comportamenti controproducenti
in ambito lavorativo 134
Maltrattamenti 134
Le cause e la prevenzione dei comportamenti
controproducenti 135
7
Percezioni e attribuzioni sociali
137
Mostrarsi vulnerabili è un bene o un male? 137
La percezione come modello di elaborazione
delle informazioni 139
Una sequenza a quattro fasi
e un esempio operativo 139
Fase 1: selezione attiva/comprensione 140
Fase 2: codificazione e semplificazione 141
Fase 3: immagazzinamento
e conservazione 143
Fase 4: Recupero e reazione 144
Implicazioni manageriali 144
Stereotipi: percezioni relative a gruppi
di persone 146
Formazione e radicamento dello stereotipo 146
Stereotipi legati ai ruoli sessuali 148
Stereotipi legati all’età 149
Stereotipi legati alla razza e all’etnia 150
Stereotipi sulla disabilità 151
Sfide manageriali e consigli utili 151
Profezia che si autoavvera:
l’effetto Pigmalione 152
La ricerca e un modello esplicativo 152
Sfruttare al meglio la profezia
che si autoavvera 154
Attribuzioni causali 155
Modello dell’attribuzione secondo Kelley 156
Tendenze attributive 157
Applicazioni e implicazioni manageriali 159
8
I fondamenti della motivazione
161
È giusto legare lo stipendio degli insegnanti
al rendimento degli studenti? 161
La motivazione attraverso i contenuti
del lavoro 163
La teoria della gerarchia dei bisogni
di Maslow 163
La teoria ERC di Alderfer 164
CompOrga.indb vii
La teoria dei bisogni di McClelland 165
La teoria dei fattori duali di Herzberg 166
Le teorie motivazionali incentrate
sui processi 168
La teoria motivazionale dell’equità
di Adams 168
La relazione di scambio tra individuo
e organizzazione 169
Iniquità negativa e positiva 169
Espandere il concetto di equità: la giustizia
organizzativa 171
Implicazioni pratiche derivanti dalla teoria
dell’equità 172
La teoria dell’aspettativa di Vroom 173
Aspettativa 173
Strumentalità 174
Valenza 174
La teoria dell’aspettativa in azione 175
Ricerca sulla teoria dell’aspettativa
e implicazioni a livello manageriale 175
La motivazione attraverso il goal setting 176
Obiettivi: definizione e antecedenti 177
Come funziona il goal setting? 177
Implicazioni pratiche delle ricerche
sul goal setting 178
Motivare i collaboratori attraverso
la riorganizzazione del lavoro 180
Gli approcci top-down 180
Gli approcci bottom-up 184
Gli accordi personalizzati 185
Applicare le teorie motivazionali nell’ambiente
di lavoro 186
9
Migliorare la performance: obiettivi,
feedback, ricompense e rinforzi 187
Quanto è importante conoscere il giudizio
sulle proprie prestazioni? 187
Il goal setting 189
Due tipi di obiettivi 190
Il management by objectives 191
Gestire il processo del goal setting 191
Il feedback 194
Due funzioni del feedback 195
I riceventi del feedback sono pronti, disponibili
e capaci? 195
Consigli pratici derivanti dalla ricerca
sul feedback 197
Feedback a 360 gradi 198
11/01/2013 16.34.49
Sommario
viii
Come fornire feedback finalizzato al coaching
e all’efficacia organizzativa 199
Sistemi di ricompensa 199
Tipologie di ricompensa 200
Criteri di distribuzione delle ricompense 201
Risultati desiderati dal sistema
di ricompense 201
Le basi della motivazione e delle ricompense
intrinseche 201
Perché le ricompense estrinseche non riescono a
motivare? 203
Retribuzione legata alla performance 204
Trarre il meglio da ricompense estrinseche
e retribuzioni basate sulla performance 205
Il rinforzo positivo 206
La legge degli effetti di Thorndike 206
Il modello di Skinner del condizionamento
operativo 206
Conseguenze contingenti 207
Programmi di rinforzo 209
Modellare il comportamento 211
Parte III
10
I gruppi e i processi sociali
Dinamiche di gruppo
11
215
Sviluppare e guidare team
di lavoro efficaci 243
Perché un servizio clienti eccellente somiglia
a uno sport di squadra? 243
Team di lavoro: tipi, efficacia e difficoltà 244
Una tipologia generale dei team di lavoro 245
Efficacia dei team di lavoro 247
Perché i team di lavoro falliscono? 250
Lavoro di team efficace tramite cooperazione,
fiducia e coesione 252
Cooperazione 252
Fiducia 253
Coesione 256
Team virtuali e team auto-gestiti 257
Team virtuali 258
Team auto-gestiti 260
Il team building e la leadership dei team 262
Team building 262
La leadership dei team 264
213
Quanto sono utili i gruppi informali? 215
I gruppi nell’epoca dei social media 216
Gruppi formali e informali 217
Funzioni dei gruppi formali 217
L’era dei social media ha sfumato i confini
tra formale e informale 218
Il processo di sviluppo dei gruppi 220
Le cinque fasi 220
Sviluppo dei gruppi: studi e indicazioni
pratiche 222
Ruoli e norme: basi sociali per il comportamento
organizzativo e di gruppo 224
Ruoli 225
Norme 228
Risultati della ricerca e implicazioni
per i manager 229
Struttura e composizione del gruppo 230
Ruoli funzionali rivestiti dai membri
del gruppo 230
Dimensioni del gruppo 232
Uomini e donne che lavorano insieme
in un gruppo 233
Minacce all’efficacia del gruppo 237
CompOrga.indb viii
L’effetto Asch 237
Groupthink 239
Inerzia sociale 240
12
Processi decisionali individuali
e di gruppo 265
Perché i vertici di Google hanno adottato
il processo decisionale di gruppo? 265
Modelli decisionali 266
Il modello razionale 266
I modelli decisionali non razionali 268
Integrare il modello razionale e i modelli
non razionali 270
I bias decisionali 270
Il processo decisionale basato sull’evidenza 273
Un modello di processo decisionale basato
sull’evidenza 273
Sette principi per l’implementazione 275
Perché è difficile adottare il processo decisionale
basato sull’evidenza? 276
Dinamiche del processo decisionale 276
Stili decisionali 276
L’intuizione nel processo decisionale 279
Processi decisionali di gruppo 281
Il gruppo nei processi decisionali 282
Vantaggi e svantaggi del processo decisionale
di gruppo 283
11/01/2013 16.34.49
Sommario
ix
Tecniche per il problem-solving di gruppo 285
Creatività 289
Definizione e caratteristiche individuali associate
alla creatività 289
Le caratteristiche del contesto associate
alla creatività 291
Le fasi del processo creativo 291
13
Gestione del conflitto
e negoziazione 293
Quanto conta l’emotività nella gestione
dei conflitti? 293
Conflitto: una prospettiva moderna 294
Il linguaggio del conflitto: metafore
e significati 295
Il continuum dei conflitti 296
Conflitto funzionale e conflitto patologico 297
Antecedenti del conflitto 298
Soluzioni auspicabili dei conflitti 298
Tipologie di conflitto 299
Conflitto di personalità 299
Conflitto tra gruppi 300
Conflitti interculturali 303
Gestire i conflitti 304
Stimolare i conflitti funzionali 305
Stili alternativi per la gestione del conflitto
patologico 307
Intervento da parte di terzi 309
Lezioni pratiche dalla ricerca sui conflitti 311
Negoziazione 312
Due tipi di negoziazione 312
Insidie di carattere etico
nella negoziazione 313
Gestione del conflitto e negoziazione:
un approccio contingente 313
Parte IV
14
I processi organizzativi
15
Influenza, empowerment
e manovre politiche 351
Quanto possono divergere i punti di vista? 351
Tattiche di influenza organizzativa 353
Nove tattiche di influenza generiche 353
Tre possibili esiti di un processo
di influenza 354
Potere sociale 354
Dimensioni del potere 355
Ricerche sul potere sociale 357
Uso etico e responsabile del potere 358
Empowerment: dalla condivisione
alla distribuzione del potere 359
Una questione di sfumature 360
Management partecipativo 361
Delega 361
Manovre politiche e gestione
dell’impressione 363
Definizione e dominio delle manovre
politiche 364
Tattiche politiche 366
Gestione dell’impressione 368
Gestione delle manovre politiche
nelle organizzazioni 370
317
Comunicazione organizzativa
nell’era digitale 319
I social network sono una perdita di tempo? 319
Dimensioni di base del processo comunicativo
e impatto dei social media 320
Un modello di processo percettivo
della comunicazione 321
Barriere a una comunicazione efficace 323
L’impatto dei social media
sulla comunicazione 326
CompOrga.indb ix
Comunicazione interpersonale 326
Assertività, aggressività e non assertività 327
La comunicazione non verbale 328
Ascolto attivo 330
Stili linguistici e genere 332
Comunicazione organizzativa 334
I canali formali per la comunicazione verso l’alto,
verso il basso, orizzontale ed esterna 335
I canali di comunicazione informali 336
La scelta del mezzo di comunicazione:
una prospettiva contingente 338
L’impatto della comunicazione digitale
sul comportamento organizzativo 341
Problemi strategici: la sicurezza
e la privacy 342
La dirompente Net Generation 343
Telependolarismo e telelavoro: vantaggi
e problemi 344
Gestire le conseguenze indesiderate
dell’era digitale 346
16
Leadership
373
Quanto la realtà e l’apparenza coincidono
nella leadership? 373
11/01/2013 16.34.49
Sommario
x
I temi della leadership 374
Che cos’è la leadership? 374
Approcci alla leadership 375
Leadership vs management 376
Teoria dei tratti e teoria comportamentale
della leadership 376
Teoria dei tratti 377
Teoria degli stili comportamentali 380
Teorie contingenti 382
Il modello contingente di Fiedler 383
La teoria del percorso-obiettivo 385
L’applicazione pratica delle teorie
contingenti 388
Cautela nell’applicazione delle teorie
contingenti 388
Il modello full range della leadership:
dallo stile laissez-faire allo stile
trasformazionale 389
Come fa la leadership trasformazionale
a influire sui follower? 390
Ricerche e implicazioni manageriali 391
Altre prospettive sulla leadership 393
Il modello dello scambio tra leader
e collaboratore 393
La leadership condivisa 394
La leadership di servizio 395
Il ruolo dei follower nel processo
di leadership 397
CompOrga.indb x
17
Gestione del cambiamento e dello stress 399
Il cambiamento organizzativo
è un processo facile? 399
Le forze del cambiamento 400
Forze esterne 401
Forze interne 403
Modelli e dinamiche del cambiamento
pianificato 404
Tipologie di cambiamento 404
Il modello del cambiamento di Lewin 405
Un modello sistemico del cambiamento 407
Le otto fasi di Kotter della gestione
del cambiamento organizzativo 409
Determinare il cambiamento attraverso
lo sviluppo organizzativo 410
Capire e gestire la resistenza al cambiamento 413
Le cause della resistenza al cambiamento 414
Strategie alternative per vincere
la resistenza al cambiamento 417
Dinamiche dello stress 417
Definizione di stress 419
Un modello di stress lavorativo 419
Moderatori dello stress occupazionale 423
Tecniche per ridurre lo stress 426
Note al volume
429
11/01/2013 16.34.49
Presentazione dell’edizione italiana
Questa nuova edizione italiana del manuale Comportamento organizzativo di Kreitner
e Kinicki nasce dall’esigenza di rendere sempre più aggiornata la trattazione di una
materia che evolve di continuo, congiuntamente a eventi di contesto e aziendali che
modificano sostanzialmente i modi di pensare e di lavorare degli individui.
I cambiamenti di cui il testo dà conto sono soprattutto legati alla presenza sempre
più pervasiva di Internet nelle diverse funzioni aziendali, presenza che comporta una
evoluzione delle conoscenze, ma anche e soprattutto delle modalità di comunicazione
e di interazione tra gli individui. A questo si affianca la novità costituita dai social network, sia nei processi di coesione organizzativa che di trasferimento immediato delle
informazioni. Mutamenti di cui è necessario tenere conto articolando in modo gestionale
le opportunità, ma anche i rischi che essi rappresentano.
La necessità di aggiornare lo studio del comportamento organizzativo alla luce degli
effetti, spesso dirompenti, della tecnologia sui comportamenti quotidiani e sulla vita
delle organizzazioni non esime comunque dal conoscere e approfondire le basi, anche
storiche, su cui si fonda questa disciplina.
Nella realtà della formazione spesso si diffondono modelli poco fondati dal punto di
vista della ricerca, che affascinano e seducono, ma non forniscono risposte di apprendimento adeguate. In questo contesto, l’obiettivo del manuale che presentiamo rimane
essenzialmente quello di fornire della basi teoriche a temi che possono essere soggetti
a mode e a influenzamenti di varia natura.
Per questo riteniamo molto importante che il comportamento organizzativo si affermi
a tutti gli effetti come disciplina universitaria, affiancando discipline più consolidate
nella realtà italiana come Organizzazione Aziendale e Gestione delle Risorse Umane,
ma anche trovando spazio nel più vasto ambito delle scienze umane, per completare
la gamma essenziale degli strumenti a disposizione sia degli studiosi, che possono
sostenere in modo attivo l’evoluzione della materia, sia di tutti coloro che gestiscono
persone in ambiti profit e no-profit, che necessitano di mezzi concreti per intervenire
sulle reali situazioni lavorative.
Rispetto alla prima edizione italiana di questo libro (2004) molta acqua è passata sotto
i ponti e il comportamento organizzativo si è legittimato in entrambi le sedi, quella accademica e quella formativa, costituendo un corpus ormai imprescindibile di riferimento.
CompOrga.indb xi
11/01/2013 16.34.49
xii
Presentazione dell’edizione italiana
Permangono, come abbiamo già sottolineato presentando le edizioni precedenti, dei
pericoli che è sempre necessario tenere presenti, sia nell’approfondimento che nella
gestione operativa.
Il primo pericolo, cui già abbiamo accennato, riguarda la divulgazione estrema e la
banalizzazione di contenuti dovute a una domanda ampia e molto spesso indifferenziata,
che non è in grado di discernere tra la moda affascinante e la seria professionalità. In
realtà, in questi anni, i referenti all’interno delle organizzazioni si sono fatti più competenti e abili nel riuscire a distinguere i contenuti e gli obiettivi adeguatamente sostenuti
dalla teoria da quelli confezionati solo per attrarre. Ovviamente sul fronte dell’offerta
si assiste a una amplissima gamma di possibilità, con proposte che spesso sono esclusivamente di fascinazione, con poca o nessuna attenzione sia al contesto organizzativo
che all’apprendimento delle persone.
Un secondo e ben più grave pericolo riguarda il sottile confine che divide gli interventi
sul comportamento organizzativo dalla strumentazione psicologica tradizionale. Alcuni
programmi proposti dalle aziende ai loro collaboratori sono costruiti con setting analoghi a quelli terapeutici. Quando questo avviene dovrebbero sorgere diverse domande.
La principale di natura etica: può l’azienda legittimamente costringere le persone che
offrono il loro lavoro a percorsi che possono mettere in discussione profondamente la
loro identità? Non è intrinseco a un setting terapeutico la necessità della volontà del
soggetto nella costruzione di un contratto psicologico adeguato? Questo problema si è
fatto ancora più pressante ora, con l’affermarsi del coaching e in generale dei contesti
formativi one-to-one. Come si può arguire, il panorama degli studi e degli interventi
sul comportamento organizzativo necessita di alcuni chiarimenti, che possono rivelarsi
estremamente utili nella costruzione di un sistema di conoscenze diffuso e articolato,
che possa diventare un patrimonio sul quale sviluppare ricerche serie radicate nella
realtà italiana, decisamente trascurata fino a ora.
Il terzo pericolo riguarda la sottovalutazione degli elementi culturali nella proposta
di modelli di lettura dei comportamenti. Si tratta di una contraddizione interessante,
dato che le culture sono esattamente uno degli ambiti di studio del comportamento
organizzativo. Quello che si intende sottolineare, e che sta emergendo in numerosi
studi, è la collocazione culturale di alcuni modelli spesso identificati come universali.
Il predominio di modelli interpretativi nati prevalentemente nelle business school americane, che può essere provato con solo un’occhiata alla bibliografia, non tiene conto
delle concrete realtà locali, di universi linguistici differenti, come di contesti valoriali
e di approcci al lavoro diversi.
Per questo è molto importante che si sviluppi una ricerca capace di cogliere in profondità i cambiamenti del mondo del lavoro, ma anche le peculiarità locali e le relative
differenze.
Un compito che pochi, in Italia, si sono assunti, e che dovrebbe diventare fondamento
di una ricerca diffusa, pur all’interno dei limitati mezzi delle università del nostro Paese,
per far germogliare uno spirito critico e una diffusa capacità di innovazione.
M. Cristina Bombelli
Barbara Quacquarelli
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Prefazione
Indipendentemente dalle dimensioni, dal settore di attività e dalle tecnologie utilizzate,
le persone sono il denominatore comune nel rispondere alle sfide dell’ambiente competitivo globale di oggi. Il successo o il fallimento dipendono dalla capacità di attrarre,
trattenere e motivare individui dotati delle abilità necessarie. Il fattore umano è tutto.
Acquisire una migliore conoscenza del comportamento sul lavoro significa guadagnare un significativo vantaggio competitivo. L’obiettivo di questo libro è aiutare i
manager attuali e futuri a comprendere meglio le persone in un ambiente di lavoro, e
a gestirle meglio.
Sebbene la decima edizione americana del libro, come le precedenti, si rivolga in
primo luogo a studenti universitari di discipline aziendali, il testo ha dimostrato di essere
assai flessibile: è stato usato con successo in programmi MBA e corsi di formazione
manageriale in diversi paesi.
Il testo è il risultato dei nostri complessivi 65 e più anni di insegnamento e ricerca
negli Stati Uniti, in Europa e nell’area del Pacifico. I feedback offerti da studenti, docenti
e manager ci hanno aiutato a rifinirlo e migliorarlo nel tempo. Anche questa edizione è
stata arricchita con nuovi temi, nuovi risultati di ricerca e nuove tecniche di management.
Il libro, nelle sue successive edizioni, è stato guidato dal cliente (poiché abbiamo
tenuto conto delle indicazioni dei nostri lettori), realizzato attraverso un lavoro in team
tra autori ed editore, e ha comportato un miglioramento continuo. Questo approccio ci ha
aiutati a raggiungere una serie di difficili compromessi: tra teoria e pratica manageriale,
tra contenuti concettuali ed esempi attuali, tra rigore e leggibilità.
La lettura di un libro di testo che, come in questo caso, aspira a dare una visione
complessiva di una disciplina è un’esperienza sicuramente impegnativa; ci auguriamo
che possa anche essere interessante, e a momenti persino piacevole.
Ringraziamenti
Questo libro è frutto del lavoro di molte persone. I nostri colleghi alla Arizona State
University ci hanno aiutato fin dall’inizio. Negli anni i nostri studenti alla ASU, all’American Graduate School of International Management (Thunderbird) e all’Università di
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Prefazione
xiv
Tirana (Albania) sono stati “clienti” entusiasti e sinceri; siamo loro grati per i feedback
forniti, dei quali abbiamo cercato di tenere conto.
Un sincero apprezzamento per la realizzazione degli ausili didattici va a Mindy West
della Arizona State University, a Brad Cox di Midland Tech e a Floyd Ormsbee della
Clarkson University; un grazie a Terri Lawson per la gestione di diritti e autorizzazioni.
I lettori delle precedenti nove edizioni hanno contribuito al nostro obiettivo di kaizen
(miglioramento continuo).
A questa edizione hanno fornito i loro commenti:
Grace Auyang, Ph.D.
University of Cincinnati
Ellen J. Mullen, Ph.D.
Iowa State University
M. Suzanne Clinton
University of Central Oklahoma
Jeff Peterson
Woodbury School of Business, Utah Valley
University
Elizabeth Cooper
University of Rhode Island
Tim DeGroot
Midwestern State University
Kathy Edwards
University of Texas at Austin
Leslie Elrod
University of Cincinnati RWC
Sean D. Jasso, Ph.D.
University of California, Riverside
Dr. Christopher McChesney, Ph.D.
Indian River State College
Mary Pisnar
Baldwin-Wallace College
Consuelo M. Ramirez, Ph.D.
University of Texas at San Antonio
Donald R Schreiber
Baylor University
Jerry Stevens
Texas Tech University
Jerald T Storey
Western Governors University
Ethan P. Waples
University of Central Oklahoma
Uno speciale ringraziamento va al nostro “branco” alla Irwin/McGraw-Hill: i nostri
editor, Mike Ablassmeir e Kelly Pekelder; il marketing manager, Anke Weekes; il team
di progetto e produzione, Matt Diamond, Dana Pauley, Michael McCormick e Jeremy
Cheshareck.
Infine vogliamo ringraziare le nostre mogli, Margaret e Joyce, per essere state “prime
clienti” severe e attente del nostro lavoro.
Bob Kreitner
Angelo Kinicki
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Il mondo del comportamento
organizzativo
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
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I
Le organizzazioni orientate alle persone e il comportamento etico
La gestione delle diversità: liberare il potenziale di ogni persona
Cultura organizzativa, socializzazione e mentoring
Comportamento organizzativo nel mondo: il management interculturale
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Le organizzazioni orientate
alle persone e il comportamento etico
1
Perché Zappos.com è così brava a battere la concorrenza?
Probabilmente sono in pochi ad aver sentito nominare
Tony Hsieh (si pronuncia Shay), amministratore delegato di Zappos.com, ma i numerosissimi clienti fedeli e
soddisfatti del sito di vendita online di calzature e altri
articoli non possono che avere voglia di congratularsi
con lui. Inizialmente come investitore/consulente, poi
in veste di amministratore delegato, Hsieh ha traghettato Zappos dai difficili esordi come start-up digitale
alla fusione con Amazon nel 2009 per 1,2 miliardi di
dollari. Lungo la rotta, ha aiutato Zappos a sviluppare
una bizzarra cultura aziendale basata sull’affiatamento
tra i dipendenti e l’ossessione per l’eccellenza del servizio ai clienti sette giorni su sette e ventiquattro ore su
ventiquattro. “Il Servizio Clienti non è solo un ufficio!”,
proclama il sito web dell’azienda. Quando è stata annunciata la fusione con Amazon, Hsieh ha promesso a tutti i
dipendenti un lettore di e-book Kindle e un bonus legato
alla permanenza in azienda pari al 40% dello stipendio
annuo. Aspetto ancora più importante, si è impegnato a
mantenere la tanto amata cultura aziendale. Il seguente
estratto dal libro di Hsieh Delivering Happiness: A Path
to Profits, Passion, and Purpose illustra attraverso quale
percorso Zappos.com è arrivata a mettere in primo piano
le persone (clienti e dipendenti).
Ho inviato diverse email a tutta l’azienda, ricevendo in
risposta numerosi suggerimenti e feedback sui valori fondamentali considerati più importanti dal personale.
La lentezza del processo mi ha sorpreso, ma non era
nostra intenzione essere precipitosi perché, quali che
CompOrga.indb 3
risultassero i valori più importanti, volevamo poterli sposare con convinzione […]
Abbiamo ottenuto un elenco finale di 10 valori (partendo da 37) che continuiamo a seguire ancora oggi:
1. Offrire un servizio DA URLO dall’inizio alla fine
2. Sposare il cambiamento ed esserne gli artefici
3. Creare un’atmosfera divertente e un po’ bizzarra
4. Essere avventurosi, creativi e di larghe vedute
5. Cercare la crescita e l’apprendimento
6. Instaurare rapporti aperti e onesti attraverso la comunicazione
7. Costruire uno spirito familiare e di squadra positivo
8. Fare di più con meno
9. Essere entusiasti e determinati
10. Essere umili
Essere umili è forse il valore che incide maggiormente
sulla nostra politica di assunzione: durante i colloqui
incontriamo tanti candidati intelligenti, dotati di talento
e grande esperienza, e notiamo in loro il potenziale per
fare la differenza in termini di fatturato e profitti. Molti,
però, sono profondamente individualisti e preferiamo
non assumerli.
La filosofia di Zappos è che siamo disposti a fare
sacrifici nel breve periodo (anche in termini di minore
fatturato) se riteniamo di poter cogliere benefici maggiori nel lungo periodo. Proteggere la cultura aziendale
e rispettare i valori fondamenti è un beneficio nel lungo
periodo.1
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4
Parte I
Il mondo del comportamento organizzativo
Tony Hsieh non si limita a spendere belle parole su quanto siano importanti i suoi collaboratori: ripone fiducia in loro, li ascolta e li responsabilizza. Non sorprende che nel
2011 Zappos.com abbia conquistato il sesto posto nella classifica della rivista Fortune
delle migliori imprese in cui lavorare in America.2 Hsieh ha creato quella che Jeffrey
Pfeffer della Stanford University definisce un’organizzazione “orientata alle persone”.
Dai risultati delle ricerche condotte su aziende sia negli Stati Uniti sia in Germania
emerge chiaramente una forte connessione fra l’adozione delle seguenti sette pratiche
incentrate sulle persone, profitti molto più alti e un turnover dei dipendenti significativamente più basso:
1. Sicurezza dell’impiego (per eliminare la paura di licenziamenti in seguito a crisi
aziendali).
2. Assunzioni selettive (che enfatizzano un buon adattamento con la cultura aziendale).
3. Potere alle persone (attraverso la decentralizzazione e i team autogestiti).
4. Retribuzioni elevate ma contingenti alle prestazioni.
5. Molta formazione.
6. Riduzione delle differenze di status (per costruire la sensazione del “noi”).
7. Costruzione della fiducia (attraverso la condivisione di informazioni critiche).3
È rilevante sottolineare che questi fattori costituiscono un pacchetto integrato, nel senso
che necessitano di essere applicati in modo coordinato e sistematico e non in modo
frammentato.
Solo il 12% delle organizzazioni, secondo Pfeffer, hanno un approccio sistematico e
la perseveranza per essere qualificate come vere organizzazioni centrate sulle persone,
conseguendo per questo un vantaggio competitivo.4 A nostro parere, un 88% di organizzazioni non sufficientemente orientate alle persone rappresenta un tragico spreco di
potenziale umano ed economico. Di recente Pfeffer ha espresso il suo appello per un
maggiore orientamento alle persone con il termine sostenibilità, legato al cosiddetto
green management: “Come ci si preoccupa di tutelare le risorse naturali, ci si dovrebbe
preoccupare della tutela delle risorse umane.”5 Le implicazioni etiche dell’orientamento
alle persone sono molto profonde, soprattutto durante le fasi recessive, che possono causare milioni di licenziamenti. Nelle organizzazioni orientate alle persone, il licenziamento
è l’ultima alternativa possibile, non una reazione automatica alla difficile congiuntura
economica. L’esperienza e i risultati di svariate ricerche dicono che i licenziamenti si
ripercuotono negativamente su tutti, anche sui “sopravvissuti” che conservano il posto di
lavoro. Un recente studio condotto su 318 imprese ha riportato la seguente conclusione:
“Tre quarti dei 4.172 dipendenti che hanno mantenuto il posto di lavoro affermano che
la propria produttività è calata dopo i licenziamenti.”6 Se in alcuni casi i licenziamenti
sono purtroppo inevitabili, le organizzazioni orientate alle persone possono differirli
quanto più a lungo possibile applicando strategie come la riduzione generalizzata degli
stipendi e/o la riduzione degli orari di lavoro e l’aspettativa volontaria non retribuita.
Quale che sia il nostro ruolo nella società (datore di lavoro/imprenditore, dipendente,
manager, azionista, studente, insegnante, elettore, eletto, attivista in ambito sociale/
politico), è necessario che accettiamo la sfida di creare e salvaguardare organizzazioni
che pongono al centro le persone. La missione di questo libro è incrementare il numero
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1
Le organizzazioni orientate alle persone e il comportamento etico
5
di organizzazioni orientate alle persone e gestite in modo etico in tutto il mondo al fine
di migliorare la qualità della vita di tutti.7
Lo scopo del primo capitolo è di definire il campo di studi del comportamento organizzativo, esaminarne la rilevanza attuale e analizzarne il profilo storico, manageriale
ed etico. Viene infine presentata la struttura del libro.
Benvenuti nel mondo del comportamento organizzativo
Organizzazione: sistema di
attività consapevolmente coordinate di due o più persone
Il comportamento organizzativo studia come le persone agiscono e reagiscono all’interno di organizzazioni di ogni tipo. Durante tutta la vita, nelle nostre attività quotidiane,
entriamo continuamente in contatto con organizzazioni che offrono lavoro, istruzione,
informazioni, cibo, cure sanitarie, protezione e attività di svago. Secondo la definizione
classica di Chester Barnard, un’organizzazione è “un sistema di attività o di forze consapevolmente coordinate di due o più persone”.8 Le organizzazioni sono un’invenzione
sociale che ci aiuta a ottenere collettivamente risultati che i singoli non potrebbero mai
raggiungere e, nel bene o nel male, amplificano le nostre potenzialità.
Consideriamo un interessante esempio riguardante l’Organizzazione mondiale della
sanità (OMS). Nel 1967 ogni anno il vaiolo colpiva dai 10 ai 15 milioni di persone
in tutto il mondo. L’OMS decise di istituire un’unità per l’eradicazione del vaiolo,
che riuscì a portare a termine la sua missione dopo 13 anni. Nel 1988 si registravano
350.000 casi di poliomielite e l’OMS istituì un’unità di eradicazione della malattia.
Da quel momento, sono stati investiti nel progetto 3 miliardi di dollari e 20 milioni di
volontari in tutto il mondo hanno offerto il proprio aiuto. Il risultato? Nel 2003, i casi
di poliomielite sono stati solo 784.9
Al contrario, organizzazioni come al-Qaeda seminano terrore e morte, mentre altre
come istituti bancari e aziende in bancarotta dilapidano le nostre risorse. Le organizzazioni sono la scacchiera su cui si svolge il gioco della vita: approfondire le conoscenze
sul comportamento organizzativo – la vita all’interno delle organizzazioni – significa
acquisire una maggiore consapevolezza sulla natura, le possibilità e le regole del gioco.
Il comportamento organizzativo: un campo interdisciplinare
Comportamento organizzativo: campo di studi interdisciplinare che mira a una migliore
comprensione e gestione delle
persone nel contesto lavorativo
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Il comportamento organizzativo, a cui comunemente in inglese ci si riferisce con
l’abbreviazione OB (Organizational Behavior), è un campo di studi interdisciplinare il
cui fine è una migliore comprensione e gestione delle persone nel contesto lavorativo.
Per definizione, il comportamento organizzativo è orientato sia alla ricerca teorica sia
all’applicazione pratica. I tre livelli di base dell’analisi sono l’individuo, il gruppo e
l’organizzazione. Il comportamento organizzativo attinge da un’ampia gamma di discipline, incluse la psicologia, l’economia aziendale, la sociologia, la teoria organizzativa,
la psicologia sociale, la statistica, l’antropologia, la teoria dei sistemi, l’economia,
i sistemi informativi, le scienze politiche, il counseling, la gestione dello stress, la
psicometria, l’ergonomia, la teoria delle decisioni e l’etica.10 Da questa ricca eredità
sono state generate molte prospettive e teorie in competizione fra loro riguardanti il
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Parte I
Il mondo del comportamento organizzativo
comportamento umano sul lavoro. Nel 2003 un ricercatore ha identificato 73 teorie
distinte in quest’area.11
Domande frequenti sullo studio
del comportamento organizzativo
Nel corso degli anni, assieme ai colleghi abbiamo risposto a una serie di domande
relative a questa disciplina rivolteci dai nostri studenti. Seguono le più comuni, con le
relative risposte.
Perché studiare il comportamento organizzativo? Studiando attentamente questo
libro, scoprirete di più su voi stessi, su come interagire efficacemente con gli altri e
su come crescere (non limitandosi a sopravvivere) all’interno delle organizzazioni.
La seconda parte vi offre una molteplicità di spunti di riflessione sulla personalità, le
emozioni, i valori, le gratificazioni lavorative, le percezioni, i bisogni e gli obiettivi.
Per quanto concerne l’efficacia interpersonale, imparerete come fare gioco di squadra,
costruire la fiducia, gestire i conflitti, negoziare, comunicare, influenzare e guidare
gli altri. La trattazione di quasi tutti i principali argomenti si conclude con una serie
di consigli pratici. L’idea è quella di aiutarvi ad acquisire competenze relative alla
gestione di sé, al processo decisionale etico, al pensiero indipendente, all’ascolto, alla
gestione delle politiche organizzative, del cambiamento e dello stress. Il noto studioso
di comportamento organizzativo Edward Lawler III ha realizzato la “spirale di carriera
virtuosa”, riportata in figura 1-1, per illustrare come le capacità legate al comportamento
organizzativo possono indirizzare verso il successo professionale. “È la dimostrazione
che capacità e prestazioni di maggiore qualità possono tradursi in posti di lavoro migliori
e riconoscimenti più importanti.”12
Se i miei studi vertono su discipline tecniche, perché dovrei dedicarmi a studiare
il comportamento organizzativo? Molti studenti di contabilità, finanza, informatica
o ingegneria considerano il comportamento organizzativo una scienza “soft” di scarsa
importanza. È probabile che la loro carriera lavorativa inizi in un ambito molto specifico,
per poi evolversi in un ruolo di guida e controllo o in una posizione di leadership. A
questo punto, le capacità di relazione “soft” rappresenteranno un fattore decisivo per il
successo. Inoltre, nelle organizzazioni di oggi, orientate al lavoro di squadra e globalizzate, le capacità di lavorare in gruppo, relazionarsi con culture diverse, comunicare,
gestire i conflitti, negoziare e persuadere i colleghi spesso si rendono necessarie molto
presto. Jack Welch, il leggendario amministratore delegato di General Electric, e Suzy
Welch, già direttrice della rivista Harvard Business Review, hanno risposto come segue
alla domanda di un docente di una business school su come preparare al meglio gli
studenti per il contesto aziendale globalizzato:
A nostro avviso, i fondamenti della gestione delle persone dovrebbero assumere maggiore
importanza nella formazione. Negli ultimi due anni abbiamo visitato 35 business school
in tutto il mondo e in molti casi siamo rimasti sorpresi dalla poca attenzione dedicata ad
aspetti quali i modi di assumere, motivare, costruire un team e licenziare. Si privilegiano
concetti cervellotici, come tecnologie d’avanguardia, modelli di complessità e argomenti
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1
Le organizzazioni orientate alle persone e il comportamento etico
Figura 1-1
Le capacità legate al
comportamento organizzativo
sono il lasciapassare per una
spirale lavorativa virtuosa
R
n
ic o
Lavoro
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osc
e
Motiv a zione e s oddisfa z ione
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Fonte: Edward E. Lawler, Treat
People Right! How Organizations
and Individual Can Propel Each
Other into a Virtuous Spiral of
Success, Jossey-Bass, 2003, p. 21.
Riprodotto su autorizzazione di
John Wiley & Sons, Inc.
e nti
7
Pr
Pr e
es t
a z io
ni
s ta z i o n
i
acit à
Cap
Lavoro
Capacità
del genere, che sono utili soprattutto nel contesto delle società di consulenza. I manager
però devono anzitutto sapere come tirare fuori il massimo dalle persone.
Ci auguriamo che lei abbia un’influenza tale all’interno della sua università da porre al
centro degli studi la gestione delle persone perché, se lo farà, i suoi studenti avranno
una marcia in più quando entreranno nel mondo del lavoro.13
Troverò un lavoro nel campo del comportamento organizzativo? Comportamento organizzativo è una definizione accademica e, fatta eccezione per le posizioni
di insegnamento e ricerca, non corrisponde a una categoria di attività aziendali come
la contabilità, il marketing o la finanza. Ai collaboratori tipicamente non vengono
assegnati compiti riguardanti il comportamento organizzativo come area a sé stante.
Ciò non svilisce in nessun modo il comportamento organizzativo e non ne diminuisce
l’importanza nell’efficace gestione di un’organizzazione. Il comportamento organizzativo è una disciplina trasversale che idealmente interseca ogni categoria delle attività
quotidiane, ogni funzione aziendale e ogni specializzazione professionale. Chiunque
progetti di guadagnarsi da vivere in un’organizzazione, grande o piccola, pubblico o
privata, ha necessità di studiare il comportamento organizzativo.
Il comportamento organizzativo: una prospettiva storica
Affrontando questo tema è utile adottare una prospettiva storica. Secondo un esperto
di storia del management, questo è importante perché:
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Parte I
8
Il mondo del comportamento organizzativo
La prospettiva storica è lo studio di una materia alla luce delle sue prime fasi e della
sua successiva evoluzione. La prospettiva storica differisce dalla storia in quanto il suo
scopo è raffinare una visione del presente, non del passato.14
In altre parole, è possibile comprendere meglio dov’e oggi il campo del comportamento organizzativo e dove sembra dirigersi ricostruendo cosa è stato sino a oggi e lungo
quali direttrici si sta evolvendo.15 Si esaminano di seguito quattro punti di riferimento
significativi nell’evoluzione della riflessione e della pratica di gestione:
1.
2.
3.
4.
la corrente delle relazioni umane;
la corrente della qualità totale;
la rivoluzione di Internet e dei social media;
la costruzione del capitale umano e sociale.
La corrente delle relazioni umane
Una combinazione di fattori unica durante gli anni ’30 promosse la corrente delle relazioni umane. Prima di tutto, a seguito della legalizzazione delle contrattazioni collettive
tra sindacati e datori di lavoro negli Stati Uniti nel 1935, il management iniziò a cercare
nuovi modi di gestire i dipendenti. In secondo luogo, gli scienziati del comportamento
che conducevano ricerche sul campo iniziarono a richiamare l’attenzione sul “fattore
umano”. I manager che avevano perso la battaglia per chiudere le porte delle fabbriche
ai sindacati considerarono con più attenzione il miglioramento delle relazioni umane
e delle condizioni lavorative. Uno studio condotto alla Western Electric di Chicago,
nell’area dell’impianto di Hawthorne, fu il primo stimolo al movimento delle relazioni
umane, anche se, ironia della sorte, i risultati di tale studio si sono rivelati in buona
parte un mito.
L’eredità di Hawthorne Le interviste condotte decenni dopo con tre soggetti coinvolti
negli studi di Hawthorne e una seconda analisi dei dati originali attraverso moderne
tecniche statistiche non hanno supportato le conclusioni allora raggiunte. In particolare,
le cause che fecero registrare un aumento dell’output negli esperimenti condotti su un
campione di operai furono il denaro, la paura della disoccupazione durante la Grande
Depressione, la disciplina e materie prime di alta qualità; non fu dunque merito, come
allora si credette, di un atteggiamento incoraggiante da parte dei superiori.16 Ciò nonostante, la corrente delle relazioni umane acquistò vigore durante gli anni ’50, quando
accademici e manager sottolinearono il potente effetto che i bisogni individuali, il controllo motivante e le dinamiche di gruppo esercitavano sulla performance dei dipendenti.
Gli scritti di Mayo e Follett Essenziali per lo sviluppo della corrente delle relazioni
umane furono gli scritti di Elton Mayo e Mary Parker Follett. L’australiano Mayo, il
quale aveva guidato i ricercatori di Harvard a Hawthorne, consigliò ai manager, con il
suo classico scritto del 1933 “The Human Problems of an Industrial Civilization”, di
rispondere ai bisogni emotivi dei propri dipendenti. La Follett fu una vera innovatrice,
non solo come donna consulente di management nel mondo industriale maschilista
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1
Le organizzazioni orientate alle persone e il comportamento etico
9
Tabella 1-1 Le teorie X e Y di McGregor
Ipotesi superate (teoria X)
Ipotesi moderne (teoria Y)
1.
2.
1.
3.
Le persone in genere non amano lavorare e lo evitano.
Le persone devono essere costrette e spaventate con
la minaccia di punizioni affinché lavorino e richiedono
una stretta direzione.
Le persone preferiscono essere guidate. Tendono
a evitare la responsabilità e mostrano poca ambizione.
2.
3.
4.
5.
Il lavoro è un’attività naturale, al pari del gioco
o del riposo.
Le persone sono capaci di auto-dirigersi
e di autocontrollarsi se sono coinvolte negli obiettivi.
Le persone generalmente si impegnano negli obiettivi
organizzativi se sono ricompensate per farlo.
Il dipendente tipico può imparare ad accettare
e a cercare la responsabilità.
La persona media possiede immaginazione, ingegnosità
e creatività.
Fonte: adattato da D. McGregor, The Human Side of Enterprise (New York: McGraw-Hill, 1960), cap. 4.
degli anni ’20, ma anche come studiosa che considerava gli individui una combinazione complessa di attitudini, credenze e bisogni. Mary Parker Follett precorreva i suoi
tempi nel raccomandare ai manager di motivare la performance lavorativa al posto di
richiederla semplicemente, seguendo una strategia “pull” piuttosto che “push”. Costruì
inoltre una connessione logica fra la democrazia politica e lo spirito cooperativo sul
posto di lavoro.17
Teoria Y: insieme di ipotesi
formulate da McGregor secondo cui gli individui sono in
genere responsabili e creativi
La teoria Y di McGregor Nel 1960, Douglas McGregor scrisse un libro intitolato The
Human Side of Enterprise, che è diventato un’importante base filosofica per la moderna
visione del comportamento sul lavoro.18 Prendendo spunto dalla sua esperienza come
consulente manageriale, McGregor formulò due serie di ipotesi sulla natura umana
nettamente in contrasto fra loro (tabella 1-1). Le ipotesi di quella che chiamò “teoria
X” erano pessimistiche, negative e, secondo l’interpretazione di McGregor, tipiche di
come i manager tradizionalmente percepiscono i loro dipendenti. Per aiutare i manager
ad abbandonare questa visione negativa, McGregor formulò la teoria Y, un insieme di
ipotesi più positive e moderne. Egli credeva che i manager potessero ottenere migliori
risultati attraverso gli altri percependoli come persone dotate di energia propria, impegnate, responsabili e creative.
Purtroppo, secondo quanto emerso da una ricerca tuttora in corso sul coinvolgimento
dei dipendenti, la realtà dell’ambiente di lavoro è ancora molto lontana dalla teoria Y
di McGregor.
Nell’agosto 2009, l’indice del coinvolgimento dei dipendenti (Employee Engagement
Index) elaborato dalla società di ricerca Gallup riportava che solo il 33% dei lavoratori
era coinvolto nella propria attività professionale, il 49% non era coinvolto e il 18% era
attivamente non coinvolto. La Gallup definisce le tre categorie come segue: i dipendenti
coinvolti sono coloro che lavorano con passione, sentono un profondo legame con la
loro azienda e stimolano l’innovazione, favorendo il progresso dell’organizzazione; i
dipendenti non coinvolti sono praticamente “assenti”, dedicano tempo al lavoro, ma
non energia e passione; infine, i dipendenti attivamente non coinvolti non solo sono
infelici, ma esternano in tutti i modi la frustrazione minando ogni giorno i risultati
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10
Parte I
Il mondo del comportamento organizzativo
raggiunti dai colleghi coinvolti. Secondo le stime dei ricercatori di Gallup, che elaborano l’indice conducendo un’indagine su un campione casuale di circa 42.000 adulti,
negli Stati Uniti i lavoratori non coinvolti costano alle aziende circa 350 miliardi di
dollari all’anno.19
Il coinvolgimento dei collaboratori e i tanti modi per accrescerlo saranno esaminati nei
capitoli successivi.
Nuove ipotesi sulla natura umana Sfortunatamente, metodi di ricerca sul comportamento poco sofisticati hanno portato gli studiosi appartenenti alla corrente delle
relazioni umane a sostenere alcune conclusioni ingenue e fuorvianti.20 Per esempio,
questi studiosi hanno creduto nell’assioma “un dipendente soddisfatto è un dipendente
che lavora sodo”. Ricerche successive, come vedremo più avanti in questo libro, hanno
dimostrato che il legame tra soddisfazione e performance è più complesso di quello che
si era pensato originariamente.
Nonostante i limiti, la corrente delle relazioni umane ha aperto le porte a un pensiero
più moderno sulla natura umana. Piuttosto che continuare a considerare i collaboratori
come oggetti economici passivi, i manager hanno iniziato a concepirli come soggetti
sociali attivi, e questo ha portato a compiere passi importanti verso la creazione di
ambienti di lavoro più umani.
La corrente della qualità totale
Nel 1980 la NBC trasmise un documentario televisivo intitolato “Se il Giappone può…
perché noi non possiamo?”. Era una sveglia per le aziende americane affinché migliorassero
sostanzialmente la qualità dei loro prodotti come risposta alla continua perdita di quote
di mercato a favore dei produttori di elettronica e delle case automobilistiche giapponesi.
Durante gli anni ’80 e ’90 si sviluppò un’altra corrente di pensiero manageriale. Molto fu
scritto, detto e fatto per migliorare la qualità sia dei prodotti che dei servizi.21
Grazie al concetto di management della qualità totale (TQM, Total Quality Management) e agli standard Six Sigma, la qualità della maggior parte dei beni che oggi
compriamo è significativamente migliore rispetto al passato. Il Six Sigma fu sviluppato
nel 1986 alla Motorola dall’ingegnere Bill Smith per conseguire uno straordinario
obiettivo di qualità del 99,997% eliminando i difetti e riducendo gli sprechi. È stato
concesso in licenza ad aziende come General Electric, che ne hanno fatto largo uso, e
si stima che sia stato adottato dal 35% delle aziende americane.
In termini generali, il Six Sigma rappresenta una prospettiva sui problemi aziendali che
stimola la precisione e la prevedibilità. Il mantra delle “cinture nere” del Six Sigma è
DMAIC, che sta per “Define, Measure, Analyze, Improve, and Control” ossia “definire,
misurare, analizzare, migliorare e controllare”. “Sigma” è la lettera dell’alfabeto greco
utilizzata in statistica per indicare la deviazione standard, mentre “Six” è legato all’obiettivo di non più di sei deviazioni standard dalla misura perfetta.22
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Le organizzazioni orientate alle persone e il comportamento etico
11
I principi sottostanti al management della qualità totale e al Six Sigma sono oggi più
importanti che mai, date le aspettative sempre crescenti della clientela.
La corrente della qualità totale ha profonde implicazioni pratiche per la gestione
delle persone.
Management della qualità
totale: una cultura organizzativa orientata alla formazione,
al miglioramento continuo e
alla soddisfazione del cliente
Che cos’è il management della qualità totale? Due studiosi dell’argomento hanno
offerto la seguente definizione di management della qualità totale (indicato spesso
con l’acronimo TQM: Total Quality Management):
TQM significa che la cultura dell’organizzazione supporta ed è definita dal costante
conseguimento della soddisfazione del cliente attraverso un sistema integrato di strumenti, tecniche e formazione. Questo implica il continuo miglioramento dei processi
organizzativi, il cui risultato è un’alta qualità dei prodotti e dei servizi.23
Richard J. Schonberger, consulente specializzato sui temi della qualità, riassume il
management della qualità totale come “un miglioramento continuo, centrato sul cliente
e guidato dai collaboratori.”24 Il management della qualità totale è necessariamente
guidato da questi ultimi perché la qualità del prodotto e del servizio non può essere
continuamente migliorata senza l’apprendimento attivo e la partecipazione di ogni
singola persona. Per tale motivo, nei programmi di miglioramento della qualità che
hanno successo, i principi del management della qualità totale sono radicati nella
cultura organizzativa. Secondo i risultati di una recente ricerca, i clienti che hanno
interagito con impiegati di banca formati a fornire un servizio eccellente hanno riportato una maggiore soddisfazione.25
L’eredità di Deming Il management della qualità totale è oggi saldamente affermato
in larga parte grazie al lavoro pionieristico di W. Edwards Deming.26 Strano a dirsi, il
matematico cui è stata attribuita la rivoluzione della qualità nel Giappone del dopoguerra
raramente ha parlato in termini di qualità; durante i seminari che ha tenuto fino alla
morte, all’età di 93 anni, nel 1993, preferiva usare il termine “buon management”.27
Anche se la passione di Deming erano le misurazioni statistiche e la riduzione della
variabilità nei processi industriali, egli ebbe molto da dire su come i collaboratori
dovrebbero essere trattati. Riguardo alla componente umana del miglioramento della
qualità, Deming richiese le seguenti condizioni:
• una preparazione formale nelle tecniche statistiche di controllo dei processi e nel
lavoro di squadra;
• una leadership incentrata sul supporto piuttosto che su comandi e sanzioni;
• l’eliminazione della paura per far sentire i collaboratori liberi di porre domande;
• un’enfasi sui processi di miglioramento continuo più che sulle quote numeriche;
• un lavoro di squadra;
• l’eliminazione degli ostacoli al miglioramento delle capacità dei collaboratori.28
Una delle lezioni più durature di Deming per i manager è la sua “regola 85-15”.29 Nello
specifico, quando le cose non procedono nel migliore dei modi vi è approssimativamente un 85% di possibilità che la colpa sia attribuibile al sistema (il quale include il
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12
Parte I
Il mondo del comportamento organizzativo
management, i macchinari e le regole). Solo il 15% circa delle volte è il collaboratore
singolo a sbagliare. Sfortunatamente, come osservato da Deming, il manager tipico
passa la maggior parte del suo tempo incolpando erroneamente e punendo gli individui
per gli insuccessi del sistema.
I principi del management della qualità totale Nonostante le variazioni nel linguaggio e nello scopo dei diversi programmi di management della qualità totale, è possibile
identificare quattro principi comuni.
1. Ottenere un risultato corretto la prima volta per eliminare costosi rifacimenti e ritiri
dei prodotti dal mercato.
2. Ascoltare e imparare dai clienti e dai dipendenti.
3. Rendere quotidiano il miglioramento continuo.
4. Costruire il lavoro di squadra, la fiducia e il rispetto reciproco.30
È evidente in questo elenco l’influenza di Deming. Ancora una volta, com’è stato per
la corrente delle relazioni umane, le persone sono concepite come fattore chiave del
successo organizzativo.
Riassumendo, i difensori del management della qualità totale hanno offerto un
valido contributo allo studio del comportamento organizzativo fornendo un contesto
pratico per la gestione delle persone. Il management della qualità totale è apprezzato in
quanto, come rilevato in due recenti e importanti studi, funziona!31 Quando le persone
sono gestite secondo questi principi, ne derivano migliori opportunità di lavoro e una
più alta qualità di beni e servizi.
Come sarà possibile osservare più volte nei capitoli seguenti, questo libro è basato
sulla filosofia di Deming e sui principi del management della qualità totale, in particolare
sull’idea del miglioramento continuo.
La rivoluzione di Internet e dei social media
E-business: l’utilizzo di Internet in ogni aspetto della
gestione di un’impresa
CompOrga.indb 12
All’inizio degli anni ’90, periodo in cui proliferavano le start up digitali, i più entusiasti
affermavano che Internet avrebbe segnato una rivoluzione. Nel 2001, dopo lo scoppio
della bolla speculativa, le belle promesse della nuova tecnologia venivano ridicolizzate
come una semplice illusione. Dopo alcuni “dolori di crescita”, però, Internet (ora anche
mobile) si è confermato essere una vera e propria rivoluzione. I dati sono impressionanti: gli utenti nel mondo sono aumentati da 361 milioni nel 2001 a quasi 2 miliardi nel
2010.32 Quello che un tempo era l’e-commerce (l’acquisto e la vendita di beni e servizi
attraverso Internet) è diventato e-business, ovvero l’utilizzo di Internet per facilitare ogni
aspetto della gestione di un’impresa.33 Un osservatore del settore afferma: “Eliminando
tutti i discorsi ampollosi, Internet è uno strumento che abbatte sostanzialmente i costi di
comunicazione. Questo significa che è in grado di modificare radicalmente ogni settore
o attività che dipende fortemente dal flusso di informazioni”.34
Un altro importante cambiamento nel mondo di Internet, generato da social media
come Facebook, LinkedIn e Twitter, è la crescente importanza dei contenuti generati dagli utenti. I consumatori passivi di contenuti di massa (per esempio fruitori di programmi
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1
Le organizzazioni orientate alle persone e il comportamento etico
13
televisivi, film e giornali) sono diventati artefici e divulgatori di contenuti individuali:
tengono un blog, un profilo Facebook oppure un account Twitter comunicando qualsiasi
cosa desiderino in qualunque momento.35 Questa dinamica conferisce un grande potere
al singolo consumatore, dipendente, cittadino o studente.
Le nuove tecnologie, come gli smartphone, il cloud computing e la realtà aumentata,
sono importanti propulsori di cambiamento.36 Relativamente al comportamento organizzativo, ci concentriamo su come Internet, in continua evoluzione, abbia modificato
il comportamento di chi è cresciuto con Internet e dà per scontati Google, Facebook,
YouTube e Twitter. Secondo Don Tapscott, autore dell’interessante libro Grown Up
Digital: How the Net Generation Is Changing the World (in italiano, Net Generation.
Come la generazione digitale sta cambiando il mondo, trad. di Elisa Tomassucci, Franco
Angeli, Milano), coloro che sono nati tra il 1977 e il 1997 hanno una visione del mondo
peculiare plasmata da Internet:
Queste sono le otto norme della Net Generation. I giovani di oggi danno un grande valore
alla possibilità di essere ciò che vogliono e alla libertà di scelta. Amano personalizzare
ogni cosa, anche il loro lavoro. imparano presto a essere scettici e a verificare con attenzione tutto ciò che vedono e leggono sui media. Danno molta importanza all’integrità
– essere onesti, rispettosi, trasparenti, ligi agli impegni presi. Sono grandi collaboratori,
con gli amici on-line e al lavoro. sono rapidi, adorano le innovazioni. […] attraverso
la loro [delle regole applicate dai giovani] comprensione si possono fare le necessarie
modifiche a livello economico, educativo, politico e familiare per affrontare al meglio
questo ventunesimo secolo.37
(Le idee di Tapscott sulla Net Generation sono trattate più dettagliatamente nel Capitolo
14.) In sintesi, le organizzazioni e la vita organizzativa sono ormai cambiate irreversibilmente per effetto del mondo virtuale di Internet.38
I manager sono chiamati a monitorare e guidare individui e team geograficamente
dispersi comunicando attraverso le moderne tecnologie. La creazione e la gestione di
team virtuali è trattata dettagliatamente nel Capitolo 11.
La costruzione del capitale umano e sociale
I lavoratori della conoscenza, coloro che producono valore usando il cervello anziché
le braccia, sono più importanti che mai nell’attuale economia globalizzata. Che cosa
si sa e chi si conosce rappresentano sempre più le chiavi del successo individuale e
organizzativo (vedi la figura 1-2). I paesi occidentali sono attraversati da una “tempesta
perfetta” di tendenze già in atto ed emergenti che mette in luce l’importanza e l’urgenza
della costruzione del capitale umano:
• diffusione di tecnologie avanzate in paesi in via di sviluppo con una classe media
in rapida crescita (per esempio la Cina, l’India, la Russia e il Brasile);
• delocalizzazione di lavori sempre più sofisticati (per esempio progettazione, architettura, diagnosi mediche);
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Parte I
14
Il mondo del comportamento organizzativo
Ipotesi strategica:
le persone,
individualmente
e collettivamente,
sono la chiave
per il successo
dell’organizzazione
Capitale umano individuale
• Intelligenza/competenze/
conoscenza
• Visioni/sogni/aspirazioni
• Capacità tecniche e sociali
• Fiducia/stima di sé
• Iniziativa/intraprendenza
• Adattabilità/flessibilità
• Prontezza ad apprendere
• Creatività
• Entusiasmo
• Motivazione/impegno
• Tenacia
• Valori etici/coraggio
• Onestà
• Maturità emotiva
•
•
•
•
•
•
Apprendimento
organizzativo
(conoscenza condivisa)
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Capitale sociale
Condivisione di visioni
e obiettivi
Condivisione dei valori
Fiducia
Rispetto reciproco/benevolenza
Amicizia/supporto nei gruppi
Mentoring/modelli di ruolo
positivi
Partecipazione/empowerment
Collegamenti/fonti
Network/affiliazioni
Cooperazione/collaborazione
Lavoro di squadra
Cameratismo
Comunicazione assertiva
(piuttosto che aggressiva)
Conflitto funzionale
(e non disfunzionale)
Negoziazioni win-win
Filantropia/volontariato
Figura 1-2 L’importanza strategica e le dimensioni del capitale umano e sociale
Fonte: basato sulla discussione in P.S. Adler e S. Kwon, “Social Capital: Prospects for a New Concept,” Academy of Management Review, gennaio 2002, pp. 17-40;
e C.A. Bartlett e S. Ghoshal,“Building Competitive Advantage through People,” MIT Sloan Management Review, inverno 2002, pp. 34-41.
• competenze matematiche e scientifiche lacunose dei giovani occidentali rispetto a
quelli di altri paesi;
• massiccia perdita di competenze legata al pensionamento dei cosiddetti baby-boomer
del secondo dopoguerra.39
Che cos’è il capitale umano? Un gruppo di studiosi di gestione delle risorse umane
ha offerto questa prospettiva: “Viviamo in un tempo in cui il nuovo paradigma economico – caratterizzato dalla velocità, dall’innovazione, dai cicli brevi, dalla qualità,
dalla soddisfazione del cliente – sottolinea l’importanza dei beni immateriali, quali
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Le organizzazioni orientate alle persone e il comportamento etico
Capitale umano: il potenziale
produttivo della conoscenza
e delle azioni di un individuo
15
il riconoscimento della marca, la conoscenza, l’innovazione e in particolar modo il
capitale umano.”40
Il capitale umano è il potenziale produttivo della conoscenza e delle azioni di un
individuo. La parola centrale in questa definizione volutamente ampia è potenziale.
Quando abbiamo fame, il denaro è utile perché ha il potenziale di fornirci un pasto;
allo stesso modo, un collaboratore, presente o futuro, con la giusta combinazione di
conoscenza, capacità e motivazione a eccellere, rappresenta un capitale umano con il
potenziale di fornire all’organizzazione un vantaggio competitivo. Secondo i risultati di
un sondaggio del 2010 su 449 professionisti della gestione delle risorse umane, “Ottenere
capitale umano e ottimizzare gli investimenti in tale direzione” è la sfida principale che
le aziende saranno chiamate ad affrontare nei prossimi 10 anni.41
La Intel, per esempio, è un’azienda ad alta tecnologia molto attiva in questo ambito perché
il suo futuro dipende dall’innovazione tecnologica e ingegneristica. Ci vogliono anni di
studi in matematica e materie scientifiche per formare un ingegnere ben preparato; non
volendo lasciare al caso l’offerta futura di tali figure, Intel ogni anno spende 100 milioni
di dollari finanziando la ricerca a ogni livello in tutto il mondo.42 L’azienda incoraggia
i giovani a studiare matematica e sponsorizza competizioni scientifiche con borse di
studio fino a 100.000 dollari per i vincitori.43 Tutti gli studenti finiranno a lavorare per
Intel? No. Non è questo il punto. L’obiettivo è molto più grande: costruire il capitale
umano del mondo.
Capitale sociale: il potenziale
produttivo risultante da relazioni forti, improntate a fiducia
e collaborazione
Che cos’è il capitale sociale? La nostra attenzione si sposta ora dalla dimensione
individuale a quella sociale (per esempio amici, famiglia, azienda, gruppo o associazione,
nazione). Pensiamo alle relazioni. Il capitale sociale è il potenziale produttivo risultante
dalle relazioni forti, dalla buona volontà, dalla fiducia e dalla collaborazione.44 Ancora
una volta, la parola chiave è potenziale. Secondo alcuni esperti dell’argomento: “È
vero: il capitale sociale che una volta si riscontrava normalmente nelle organizzazioni
è ora raro e in pericolo. Ma il capitale sociale che possiamo costruire ci permetterà di
capitalizzare sulle possibilità mutevoli e virtuali dell’attuale ambiente economico.”45
Le relazioni contano. In una recente indagine, il 77% delle donne e il 63% degli uomini
hanno valutato estremamente importante “un buon rapporto con il proprio superiore”.
Altri fattori – tra cui buone attrezzature, risorse, facilità di raggiungimento del luogo di
lavoro e orari flessibili – hanno ricevuto una valutazione inferiore.46 Inoltre, la ricerca
dimostra che le interazioni sociali positive giovano alla salute cardiovascolare e al
sistema immunitario.47
Costruire il capitale umano e sociale Le diverse dimensioni del capitale umano e
sociale sono elencate in figura 1-2. L’apprendimento organizzativo formale e i programmi di knowledge management, come si vedrà nel Capitolo 12, necessitano del capitale
sociale per utilizzare il capitale umano individuale per il bene comune. È una semplice
formula per il successo: la crescita dipende dalla tempestiva condivisione di conoscenze
preziose. Dopo tutto, a che servono collaboratori brillanti che non si relazionano, non
insegnano e non ispirano gli altri?
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16
Parte I
Il mondo del comportamento organizzativo
Il contesto manageriale:
ottenere risultati con e attraverso gli altri
Management: lavorare con e
attraverso gli altri per raggiungere gli obiettivi organizzativi
in modo efficiente ed etico
I manager influenzano le nostre vite in molti modi. Scuole, ospedali, uffici statali e piccole e grandi imprese richiedono tutti una gestione sistematica. Secondo una definizione
formale, il management è un processo che consiste nel lavorare con e attraverso gli altri
per raggiungere gli obiettivi organizzativi in modo efficiente ed etico, in un contesto in
continuo mutamento. Per gli studenti di comportamento organizzativo, la caratteristica
centrale di questa definizione è “lavorare con e attraverso gli altri”. I manager ricoprono
un ruolo costantemente in evoluzione. Oggi i manager di successo non sono più come
i capi del passato, che affermavano di avere “tutto sotto controllo” e davano ordini da
eseguire; piuttosto, hanno la necessità di prevedere in modo creativo e promuovere in
modo attivo nuove direzioni, con coraggio, senso etico e sensibilità. I manager efficaci
sono giocatori di una autorevole squadra il cui potere deriva dalla volontà e dal supporto
attivo di altri individui, mossi da interessi divergenti.
Ciascuno di noi è interessato a come i manager adempiono al loro ruolo. Secondo
le conclusioni tratte da una recente rassegna della letteratura manageriale prodotta
negli ultimi 30 anni, il buon management consiste nel “trovare un obiettivo chiaro;
essere consapevoli che le esperienze passate e un accumulo di informazioni possono
interferire con le decisioni sagge; mantenere una propensione all’azione; essere aperti
al cambiamento; cercare il feedback”.48 La qualità del management può fare una grande
differenza tanto per i dipendenti quanto per i clienti.
Ampliando il tema, esaminiamo in maniera più approfondita le capacità che i manager non possono non avere e gli sviluppi futuri del management.
Che cosa fanno i manager?
Un profilo delle capacità manageriali
Gli studi basati sull’osservazione condotti da Mintzberg e da altri hanno scoperto che il
giorno tipico di un manager è un susseguirsi frammentato di brevi episodi.49 Le interruzioni sono abituali, mentre non lo sono lunghi periodi di tempo dedicati alla pianificazione e alle riflessioni. In uno studio in particolare si rilevava come quattro manager
di alto livello trascorressero il 63% del loro tempo in attività della durata di meno di un
minuto ciascuna; solo il 5% del loro tempo era dedicato ad attività della durata maggiore
di un’ora.50 Ma quali capacità specifiche i manager devono effettivamente dimostrare
durante i loro movimentati e frammentati giorni lavorativi?
Negli anni sono stati fatti molti tentativi per dipingere un quadro realistico delle
attività che svolgono i manager. Sono stati suggeriti molti elenchi, assai diversi tra loro,
dei ruoli e delle funzioni manageriali. Fortunatamente, negli ultimi vent’anni un filone di
ricerca, facente capo a Clark Wilson e ai suoi collaboratori, ha fornito un profilo pratico
e statisticamente convalidato delle capacità manageriali51 (tabella 1-2).
Tale profilo si concentra su 11 categorie osservabili del comportamento manageriale
e questo è perfettamente in sintonia con l’attuale enfasi sulle competenze manageriali.
La tecnica di Wilson per la valutazione delle capacità va oltre il consueto approccio
basato sull’auto-valutazione, con i suoi inevitabili rischi di distorsione: infatti, oltre a
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1
Le organizzazioni orientate alle persone e il comportamento etico
Tabella 1-2
Le capacità
di un manager efficace
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
17
Rende chiari scopi e obiettivi a tutti coloro che sono coinvolti.
Incoraggia la partecipazione, la comunicazione verso l’alto e i suggerimenti.
Pianifica e organizza al fine di ottenere un ordinato flusso di lavoro.
Possiede una competenza tecnica amministrativa per rispondere alle domande relative
all’organizzazione.
Facilita il lavoro attraverso la costruzione di team, la formazione, il coaching e il supporto.
Fornisce feedback in modo onesto e costruttivo.
Fa funzionare le attività basandosi su programmi, scadenze e solleciti.
Controlla i dettagli senza essere invadente.
Esercita una ragionevole pressione per il raggiungimento degli obiettivi.
Autorizza e delega compiti chiave agli altri mantenendo chiarezza di obiettivi e di impegno.
Riconosce una buona performance con ricompense e rinforzi positivi.
chiedere direttamente a un manager di auto-valutarsi rispetto alle 11 capacità, l’approccio di Wilson prevede anche di chiedere a coloro che riportano direttamente a lui di
valutarlo. Secondo Wilson e i suoi colleghi, il risultato è una valutazione dell’effettiva
padronanza delle capacità, non semplicemente della consapevolezza delle stesse.52 La
logica sottostante all’approccio di Wilson è semplice e convincente. Chi è meglio in grado
di valutare le capacità di un manager di coloro che fanno quotidianamente esperienza
dei suoi comportamenti, ovvero di coloro che riportano direttamente a lui? La ricerca
di Wilson sulle capacità manageriali ci offre quattro importanti lezioni:
1. Trattare efficacemente con le persone è l’essenza del management. Le 11 capacità
riportate in tabella 1-2 costituiscono un ciclo di creazione degli obiettivi-impegnofeedback-ricompensa-realizzazione in ogni fase del quale compare l’interazione
umana.
2. I manager con un’alta padronanza delle proprie capacità tendono a ottenere migliori
performance dalle sotto-unità e un morale dei collaboratori migliore.53
3. Manager uomini e donne efficaci non presentano profili delle capacità significativamente diversi,54 contrariamente a quanto si è letto in anni recenti sulla stampa non
specializzata.55
4. A ogni tappa della carriera, i manager deragliati (coloro che hanno fallito nella
realizzazione del proprio potenziale) tendono a essere coloro che sovrastimano la
padronanza delle proprie capacità (valutandosi in modo migliore rispetto a quanto
facciano i loro collaboratori).56 Questo suggerisce la seguente conclusione del ricercatore: “quando si selezionano individui per promuoverli a posizioni manageriali,
dovrebbero essere evitati gli arroganti, i riservati, gli insensibili e coloro che stanno
sempre sulla difensiva”.57
I manager del XXI secolo
L’attuale mondo del lavoro è davvero sottoposto a cambiamenti di grande entità e
destinati a durare nel tempo.58 Le organizzazioni sono state “reingegnerizzate” per
avere maggiore velocità, efficienza e flessibilità. Al posto dell’individuo, i team sono
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Parte I
18
Il mondo del comportamento organizzativo
diventati la nuova componente costitutiva dell’organizzazione.59 Il management
incentrato sul binomio “comando e controllo” sta lasciando il posto a una gestione
partecipativa e orientata all’empowerment. I leader concentrati esclusivamente su se
stessi sono sostituiti da leader concentrati sul cliente. In misura crescente i collaboratori sono considerati come clienti interni. In occasione di un summit tenutosi nel
2008, 35 dirigenti e studiosi di management hanno lanciato l’appello a reinventare
il management. Il ricercatore Gary Hamel ha inquadrato la sfida in questi termini:
[Storicamente,] i problemi sono sempre stati l’efficienza e la dimensione e la soluzione
è sempre stata la burocrazia, con la struttura gerarchica, gli obiettivi a cascata, l’esatta
definizione dei ruoli e norme e procedure complesse.
Oggi i manager devono affrontare un insieme di problemi del tutto nuovi causati da un
contesto volatile e intransigente. Come creare organizzazioni tanto flessibili e resistenti
quanto attente ed efficienti in un’epoca di rapidi mutamenti? In un mondo battuto dai
venti della distruzione creatrice, come innovare con la necessaria rapidità e audacia per
continuare a contare e realizzare profitti? In un’economia creativa, nella quale il genio
imprenditoriale è la chiave del successo, come incentivare i dipendenti a trasmettere
spirito di iniziativa, immaginazione e passione nel lavoro di tutti i giorni? Come […]
incoraggiare i dirigenti a fare fronte alle proprie responsabilità nei confronti di tutti gli
stakeholder?60
Questi fattori impongono alle organizzazioni di rendersi più flessibili, innovative e
reattive e disegnano un profilo nuovo del manager del XXI secolo (vedi tabella 1-3).
Tabella 1-3 L’evoluzione del manager del XXI secolo
Ruolo primario
Apprendimento e conoscenza
Criteri di ricompensa
Orientamento culturale
Fonte primaria di influenza
Concezione delle persone
Direzione principale
della comunicazione
Stile decisionale
Riflessione etica
Natura delle relazioni
interpersonali
Detenzione del potere
e delle informazioni chiave
Approccio al cambiamento
CompOrga.indb 18
Manager del passato
Colui che dà ordini, appartiene
a un’elite privilegiata, manipolatore,
controllore
Apprendimento periodico,
strettamente specialistico
Tempo, sforzo
Monoculturale, monolinguistico
Autorità formale
Problema potenziale
Verticale
Manager del futuro
Facilitatore, membro del team, insegnante,
difensore, sponsor, coach
Input limitati per decisioni individuali
Ripensamento
Competitiva (win-lose)
Input su base ampia per decisioni congiunte
Anticipazione
Cooperativa (win-win)
Accesso ristretto
Accesso condiviso e vasto
Resistenza
Facilitazione
Apprendimento continuo per tutta la vita,
generale con molteplici specializzazioni
Capacità, risultati
Multiculturale, multlinguistico
Conoscenza (tecnica e interpersonale)
Risorsa primaria
Multidirezionale
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Le organizzazioni orientate alle persone e il comportamento etico
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L’approccio contingente al management
Approccio contingente: l’utilizzo delle tecniche di management in un modo appropriato
alle situazioni
Gli studiosi per molti anni si sono posti il problema di come applicare nel modo migliore
il crescente numero di strumenti e tecniche di management disponibili. La loro risposta
è l’approccio contingente. Si definisce approccio contingente l’utilizzo delle tecniche
di management in un modo appropriato alle situazioni, in contrapposizione al tentativo
di applicare il concetto di ”one best way” o “one size fits all”.
L’approccio contingente incoraggia i manager a concepire il comportamento organizzativo all’interno di un contesto. Secondo questa prospettiva moderna, a determinare
quando e dove le diverse tecniche di management siano appropriate sono le situazioni
in evoluzione, e non rigide e semplici regole. Come spiega Clayton Christensen, della
Harvard University, “molti dei principi di buon management diffusamente accettati sono
appropriati solo in situazioni specifiche.”61 Per esempio, come si vedrà nel Capitolo
16, i ricercatori che seguono questo approccio hanno sottolineato come non esista uno
stile di leadership migliore in assoluto. Gli specialisti del comportamento organizzativo
condividono l’approccio contingente perché li aiuta in modo realistico a interrelare gli
individui, i gruppi e le mutevoli circostanze interne ed esterne all’organizzazione inviando
inoltre un chiaro messaggio ai manager della presente economia globale: occorre leggere
attentamente le situazioni ed essere abbastanza flessibili per adattarsi.
La sfida dell’etica
Etica: lo studio delle questioni
morali con cui ci confrontiamo
nelle nostre scelte
Esiste una varietà di caratteristiche individuali e organizzative che contribuiscono ai
comportamenti non etici. Il comportamento organizzativo è un punto d’osservazione
privilegiato per una migliore comprensione di questo aspetto e per il miglioramento
dell’etica sul posto di lavoro: fornendo importanti indicazioni per la gestione del comportamento, può anche insegnare qualcosa su come evitare i comportamenti sbagliati.
L’etica comprende lo studio delle questioni morali e delle scelte conseguenti.
Riguarda la contrapposizione tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, tra il bene e il
male, e permette di individuare le molte sfumature di grigio in questioni che potrebbero
apparire “bianche o nere”. Vi sono implicazioni morali virtualmente in ogni decisione,
sia sul lavoro che fuori. I manager spesso devono avere immaginazione e coraggio per
compiere la scelta giusta.
Per migliorare la vostra comprensione dei rapporti tra l’etica e il comportamento
organizzativo (1) presentiamo un modello di responsabilità sociale d’impresa, (2) esaminiamo sette principi morali generali per i manager, (3) ci chiediamo come migliorare
il clima etico di un’organizzazione e (4) lanciamo un appello individuale all’azione.
Un modello di etica
e responsabilità sociale globale d’impresa
Per responsabilità sociale d’impresa (corporate social responsibility, CSR) si intende
“l’idea che le aziende abbiano degli obblighi nei confronti di gruppi sociali diversi
dagli azionisti che vanno oltre le disposizioni di legge o i contratti collettivi”.62 La
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Parte I
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Il mondo del comportamento organizzativo
responsabilità sociale d’impresa chiama le aziende a non limitarsi alla ricerca del profitto, ma a servire gli interessi e i bisogni dei cosiddetti “stakeholder”, cioè dipendenti
ed ex dipendenti, clienti, fornitori e comunità e paesi dove sono situati gli impianti di
produzione.63 L’appello per una maggiore responsabilità sociale d’impresa ha scatenato
un’accesa polemica perché, secondo le teorie economiche classiche, il compito delle
aziende è produrre beni e servizi per realizzare profitti, non risolvere problemi sociali,
politici e ambientali.64
Proponendo una visione molto ampia, lo studioso di etica aziendale della University of Georgia Archie B. Carroll ha realizzato un modello di responsabilità sociale
d’impresa/etica aziendale adeguato all’economia globale e alle multinazionali (figura
1-3). Il modello è decisamente in linea con il contesto attuale perché fotografa efficacemente tre macrotendenze: (1) la globalizzazione dell’economia, (2) le crescenti
aspettative in rapporto alla responsabilità sociale d’impresa e (3) l’appello per un’etica aziendale più sana. La piramide della responsabilità sociale globale d’impresa,
dalla base al vertice, offre i seguenti suggerimenti alle organizzazioni che operano
nell’economica globalizzata:
• realizzare profitti coerenti con le aspettative legate alle imprese internazionali;
• rispettare le leggi dei paesi ospitanti e la normativa internazionale;
Essere un buon
cittadino globale
d’impresa
Agire come auspicato
dagli stakeholder globali
Responsabilità
filantropica
Seguire
comportamenti
etici
Rispettare
le leggi
Conseguire
redittività
Responsabilità
etica
Responsabilità
legale
Responsabilità
economica
Agire come atteso
dagli stakeholder globali
Agire come
richiesto dagli
stakeholder globali
Agire come
richiesto
nel contesto
del capitalismo
globale
Figura 1-3 La piramide della responsabilità sociale globale d’impresa
Fonte: A.B. Carroll, Academy of Management Executive: The Thinking Managers’ Source. Copyright © 2004 The Academy of Management.
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1
Le organizzazioni orientate alle persone e il comportamento etico
21
•
seguire prassi etiche che tengano conto degli standard applicati dai paesi ospiti e a
livello globale;
• essere un buon “cittadino d’impresa” in particolare rispetto alle aspettative prevalenti
nel paese ospitante.65
Come esemplificato dalla figura della piramide, Carroll sottolinea che la struttura
può reggere solo se ciascun livello è solido: un approccio arbitrariamente selettivo
alla responsabilità sociale d’impresa è inadeguato. Secondo Carroll, il vertice della
piramide rispecchia “le aspettative nutrite dalla società globale che le aziende si
impegnino in attività sociali non prescritte per legge né generalmente attese in senso
etico”.66 Lo spirito della piramide della responsabilità sociale globale d’impresa è
evidente nel tentativo tuttora in corso della Nike di scrollarsi di dosso l’immagine di
azienda sfruttatrice.
I progressi si sono manifestati lentamente nella catena di fornitura mondiale della Nike,
che impiega circa 800.000 lavoratori in 52 paesi. Tuttavia, la multinazionale ha compiuto
grandi passi avanti da quando ha sposato la causa della responsabilità sociale d’impresa.
Quella che inizialmente rappresentava un massiccia operazione di facciata si è evoluta
in una missione più ampia, che tocca le modalità di produzione e vendita dei prodotti.
La Nike ha dimostrato grande inventiva nell’integrare il rispetto per l’ambiente nella
fase di progettazione, valutando tutti i modelli di calzature sportive in base a un indice di
sostenibilità. In materia di lavoro, l’azienda ammette che le misure iniziali (l’elaborazione
di un codice di condotta e il monitoraggio della compliance) non hanno messo fine agli
abusi nelle centinaia di stabilimenti produttivi dove si realizzano i prodotti. La lezione
degli anni ’90 – prendere atto dei problemi e trovare soluzioni applicabili all’azienda nel
suo insieme – sta aiutando molto il più grande produttore al mondo di calzature rispetto
alle problematiche legate al lavoro. “Sono orgoglioso di quanto abbiamo conquistato,
ma non siamo ancora arrivati al traguardo,” afferma l’attuale amministratore delegato
dell’azienda Mark Parker.67
Tenendo a mente questa visione globale della responsabilità sociale d’impresa, restringiamo il campo al comportamento etico individuale.
Principi morali generali
Kent Hodgson, studioso di management e consulente, ha aiutato i manager a raggiungere
decisioni etiche identificando sette principi morali generali (tabella 1-4). Egli li chiama
“i magnifici sette“ per enfatizzarne la rilevanza universale, senza limiti di tempo né
geografici. Le prospettive sia della giustizia che della cura sono chiaramente presenti
nei magnifici sette, che sono però più dettagliati e pratici. È importante sottolineare
che secondo Hodgson non vi sono risposte etiche assolute nel momento in cui si deve
prendere una decisione. I manager dovrebbe basarsi sui principi morali in modo da
prendere decisioni ben fondate, appropriate e difendibili.68
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Parte I
22
Tabella 1-4
I magnifici sette: principi
morali generali per i manager
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
Il mondo del comportamento organizzativo
Dignità della vita umana: la vita deve essere rispettata. Gli esseri umani, per il solo fatto di
esistere, hanno valore e dignità. Non dovremmo agire con la diretta intenzione di ferire o
uccidere una persona innocente. Gli esseri umani hanno diritto alla vita; siamo obbligati a
rispettare questo diritto. La vita umana deve essere preservata e trattata come sacra.
Autonomia: tutte le persone hanno valore intrinseco e hanno il diritto di autodeterminarsi.
Dovremo comportarci in modo da dimostrare il valore di una persona, la sua dignità e il suo
diritto alla libera scelta. Abbiamo il diritto di agire asserendo il nostro stesso valore e i nostri
bisogni legittimi. Non dovremmo usare gli altri come “cose” o come mezzi per un fine. Ogni
persona ha lo stesso diritto alla basilare libertà umana, compatibilmente con la libertà altrui.
Onestà: la verità dovrebbe essere detta a coloro che hanno il diritto di conoscerla. L’onestà è
conosciuta anche come integrità, sincerità e onore. Ognuno dovrebbe parlare e agire così da
riflettere la realtà della situazione. Le parole e le azioni dovrebbero rispecchiare il modo in cui
le cose sono realmente. A volte gli altri hanno il diritto di ascoltare la verità raccontata da noi;
altre non hanno questo diritto.
Lealtà: promesse, contratti e impegni dovrebbero essere onorati. La lealtà include la fedeltà,
il mantenimento delle promesse, il rispetto della fiducia pubblica, il comportarsi da buoni
cittadini, la qualità del proprio lavoro, l’affidabilità, l’impegno e il rispetto di leggi, regole e
norme di condotta.
Giustizia: le persone dovrebbero essere trattate giustamente. Ogni persona ha il diritto a
essere trattata lealmente, con imparzialità ed equità. Ognuno ha l’obbligo di trattare gli
altri lealmente e giustamente. Tutti hanno diritto al necessario per vivere – specialmente le
persone profondamente bisognose e prive di aiuti. La giustizia include l’equità, l’imparzialità e
un trattamento non discriminatorio. Coloro che operano con giustizia tollerano le diversità e
accettano le differenze fra le persone e le loro idee.
Umanità: comprende due parti: (1) bisognerebbe fare il bene e (2) bisognerebbe evitare di
fare il male. Dovremmo fare il bene per gli altri e per noi stessi. Dovremmo preoccuparci
del benessere degli altri; solitamente, dimostriamo questa preoccupazione nelle forme della
compassione, della generosità, della gentilezza, del servizio e dell’attenzione.
Bene comune: nelle proprie azioni si dovrebbe realizzare “il maggior bene possibile per il
maggior numero di persone”. Ci si dovrebbe comportare in modo da aumentare il benessere
della maggioranza di persone, cercando allo stesso tempo di proteggere i diritti degli
individui.
Fonte: A Rock and a Hard Place: How to Make Ethical Business Decisions When the Choices Are Tough, © 1992 Kent Hodgson,
pp. 69-73. Pubblicato da AMACOM, una divisione della American Management Association. Riprodotto su autorizzazione.
Come migliorare il clima etico di un’organizzazione
Oltre a essere una cosa giusta, migliorare l’etica sul posto di lavoro può determinare
effetti positivi sui risultati economici. Studi condotti negli Stati Uniti e nel Regno Unito
hanno dimostrato che l’impegno aziendale per l’etica può essere remunerativo: la reputazione di onestà e la buona cittadinanza d’impresa aumentano la redditività.69 Il profilo
etico può influire anche sulla qualità dei potenziali candidati: in un sondaggio online
condotto su 1.020 individui, l’83% ha affermato di considerare “molto importante” il
profilo etico di un’azienda al momento di valutare una proposta di lavoro, mentre solo
il 2% lo ha considerato “trascurabile”.70
Un team di ricercatori di management ha raccomandato le seguenti azioni per migliorare l’etica sul lavoro.71
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1
Le organizzazioni orientate alle persone e il comportamento etico
•
•
•
•
•
•
•
23
Comportarsi eticamente in prima persona. I manager sono importanti modelli di
ruolo; le loro abitudini e i loro comportamenti inviano segnali chiari rispetto all’importanza della condotta etica. Il comportamento etico deve partire dall’alto.
Esaminare i potenziali collaboratori. Sorprendentemente, i selezionatori in genere
trascurano di controllare la veridicità di referenze, credenziali e altre informazioni
fornite dai candidati. Un’azione più diligente in quest’area potrebbe individuare
coloro che sono propensi alla menzogna e alla scorrettezza. Controlli sull’integrità
sono piuttosto validi, ma non sono una panacea.72
Sviluppare un codice etico significativo. I codici etici possono avere un impatto
positivo se soddisfano questi quattro criteri:
1. devono essere distribuiti a ogni dipendente;
2. devono essere fermamente supportati dal top management;
3. devono riferirsi a pratiche specifiche e a dilemmi etici che probabilmente un
certo gruppo di collaboratori si trova ad affrontare (ad esempio le mazzette per i
venditori o per i responsabili acquisti, la falsificazione dei dati per gli scienziati
di laboratorio o per i contabili);
4. devono essere applicati in modo equanime, con opportune ricompense per chi
li rispetta e penalità per i trasgressori.73
Fornire una formazione etica. I dipendenti possono essere formati a identificare
e affrontare questioni etiche durante la fase di orientamento e mediante seminari,
video e sessioni di formazione online.74
Rinforzare il comportamento etico. Il comportamento che viene rinforzato tende
a essere ripetuto, mentre il comportamento che non lo è tende a scomparire. La
condotta etica è troppo spesso punita, mentre il comportamento immorale è ricompensato.
Creare posizioni, unità e altri meccanismi strutturali per affrontare le questioni
etiche. L’etica deve diventare una questione quotidiana, non un singolo annuncio che
viene archiviato e dimenticato. Un numero crescente di grandi aziende statunitensi
ha introdotto la figura del “Chief ethics officer”, che collabora direttamente con
l’amministratore delegato; in questo modo, le questioni legate alla condotta etica e
all’assunzione di responsabilità diventano prioritarie .
Creare un clima in cui non ci sia bisogno del “whistle-blowing”. Per whistle-blowing
(letteralmente “soffiare nel fischietto”) si intende la denuncia ad autorità pubbliche,
mezzi di comunicazione o gruppi di interesse pubblico di attività non etiche e/o illeciti commessi dall’azienda da parte di un dipendente. Sherron Watkins è salita agli
onori delle cronache per aver denunciato lo scandalo della sua azienda, la Enron.75
Le organizzazioni possono prevenire questo fenomeno incoraggiando l’espressione
libera e aperta del dissenso, dando voce ai dipendenti tramite procedure di vertenza
giuste e/o linee telefoniche dedicate alle questioni etiche utilizzabili in forma anonima.
Un appello individuale all’azione
In ultima analisi, l’etica tocca la percezione e la motivazione individuali. Il clima organizzativo, i modelli di ruolo, la struttura, la formazione e i riconoscimenti possono
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Parte I
24
Il mondo del comportamento organizzativo
indirizzare i dipendenti verso la giusta direzione, ma in primo luogo è importante che
gli individui siano attenti alla sfera morale, cioè che considerino in buona fede le implicazioni etiche di atti e circostanze.76
In secondo luogo, i collaboratori devono desiderare di fare la cosa giusta e avere il
coraggio di agire. Bill George, lo stimato ex amministratore delegato di Medtronic, che
produce dispositivi salvavita come i pacemaker, ha espresso questo appello all’azione:
“Ciascuno di noi è chiamato a stabilire i propri paletti sul piano etico e deve rifiutarsi
di oltrepassarli, se gli viene chiesto. Se questo significa rifiutarsi di eseguire un ordine
diretto, dobbiamo essere pronti a rassegnare le dimissioni.”77 Per essere all’altezza di
questa sfida, occorre essere dotati di forti valori individuali (argomento che approfondiremo nel Capitolo 6) e del coraggio di difenderli anche nelle avversità.
Apprendere il comportamento organizzativo:
l’importanza della ricerca
Il comportamento organizzativo è una disciplina vasta e in continua evoluzione. Per
rendere quanto più informativo e utile il lungo percorso che ci attende seguiremo una
strategia teoria-ricerca-pratica. Quasi tutti gli argomenti più importanti trattati in questo
libro sono introdotti da una presentazione del quadro teorico di base (spesso con l’ausilio di grafici che illustrano le relazioni tra le variabili principali) e dei termini chiave,
seguita da una rassegna delle ultime novità nell’ambito della ricerca, che possono
fornire spunti di riflessione preziosi. La trattazione si conclude con esempi esplicativi
e, quando possibile, consigli pratici.
Le cinque fonti di evidenza empirica
Il comportamento organizzativo acquista credibilità come disciplina accademica perché
si basa sulla ricerca. Il rigore scientifico spazza via congetture, pregiudizi e ipotesi non
confermate riguardanti il comportamento negli ambienti di lavoro. Nel testo citiamo
sistematicamente evidenze empiriche a sostegno, derivanti da cinque diverse categorie.
Ecco, in ordine di priorità, le metodologie di ricerca da cui derivano i dati riportati:
Meta-analisi: tecnica statistica che permette di riassumere
i risultati di ricerche differenti
Studio sul campo: ricerca
svolta in un contesto organizzativo reale
Studio di laboratorio: ricerca
svolta in situazioni artificiali
CompOrga.indb 24
•
Meta-analisi. La meta-analisi è una tecnica statistica riassuntiva che permette agli
studiosi del comportamento di giungere a conclusioni generali riguardanti determinate variabili a partire da più studi differenti;78 tipicamente fa riferimento a un
gran numero di individui, spesso migliaia. Le meta-analisi sono istruttive perché
si concentrano sugli schemi generali emergenti dalla ricerca empirica, non su studi
frammentari o isolati.79
• Studi sul campo. Nel comportamento organizzativo, uno studio sul campo indaga
processi individuali o di gruppo in un contesto organizzativo concreto. Poiché gli
studi sul campo prendono in considerazione situazioni di vita reale, i risultati che
ne conseguono hanno spesso una rilevanza immediata e pratica per i manager.
• Studi di laboratorio. In uno studio di laboratorio le variabili sono manipolate e
misurate in situazioni artificiali. In questo caso i soggetti studianti sono spesso stu-
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1
Le organizzazioni orientate alle persone e il comportamento etico
Indagine campionaria: risultati ottenuti tramite questionari inviati a un campione
di persone
Studio di un caso: analisi
approfondita su un individuo,
un gruppo o un’organizzazione
25
denti universitari. Il contesto altamente controllato degli studi di laboratorio aumenta
la precisione della ricerca, ma generalizzare i risultati e applicarli al management
richiede cautela.
• Indagini campionarie. In una indagine campionaria, gruppi di persone tratti da
popolazioni specifiche rispondono a questionari. I ricercatori traggono così le conclusioni sull’insieme della popolazione. La possibilità di generalizzare i risultati dipende
dalla qualità del campionamento e dalle tecniche di costruzione dei questionari.
• Studi di casi. Lo studio di un caso è un’analisi approfondita di un singolo individuo,
di un gruppo o di un’organizzazione: a causa del loro ambito limitato, gli studi di
casi fruttano risultati realistici, ma non molto generalizzabili.
Un modello per comprendere
e gestire il comportamento organizzativo
La figura 1-4 è una mappa sintetica degli argomenti trattati, utile per il nostro viaggio
attraverso questo libro. La destinazione è l’efficacia organizzativa attraverso il miglioramento continuo.
Ambiente esterno
(contesto culturale)
Organizzazione
(struttura, cultura, cambiamento)
Comprendere
e gestire
il comportamento
individuale
Manager e team leader
responsabili del
raggiungimento dei
risultati organizzativi
con e attraverso
gli altri
Comprendere
e gestire
i processi
di gruppo
e sociali
Efficacia organizzativa
attraverso
il miglioramento
continuo
Comprendere
e gestire
i processi
e i problemi
organizzativi
Figura 1-4 Un modello degli argomenti trattati nel seguito del libro
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26
Parte I
Il mondo del comportamento organizzativo
Nell’angolo a sinistra della nostra mappa vi sono i manager e i team leader, coloro
che sono responsabili del raggiungimento dei risultati organizzativi con e attraverso
gli altri. I tre cerchi al centro corrispondono alle parti seconda, terza e quarta del testo.
Logicamente, il flusso del discorso in questo libro (dopo la prima parte introduttiva)
scorre dagli individui, ai processi di gruppo, fino ai processi e ai problemi organizzativi.
Al cuore della mappa in figura 1-4 c’è l’organizzazione. La linea tratteggiata rappresenta un confine permeabile fra l’organizzazione e il suo ambiente; nel mondo attuale,
altamente interattivo e interdipendente, nessuna organizzazione è un’isola. Il Capitolo
2 esamina le implicazioni in termini di comportamento organizzativo delle principali
tendenze demografiche e sociali. Queste discussioni forniscono un contesto realistico per
lo studio della gestione delle persone. I Capitoli 3 e 4 forniscono un contesto culturale
per il comportamento organizzativo.
Bon voyage! Buon viaggio attraverso il mondo difficile, interessante e spesso sorprendente del comportamento organizzativo.
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La gestione delle diversità:
liberare il potenziale di ogni persona
2
Sarà possibile per le donne fare carriera?
Patrizia Guglielmi lavorava da quattro anni nelle Direzione del Personale di una grande azienda farmaceutica
e in quel periodo si era sempre chiesta perché fossero
così poche le donne ai vertici della sua organizzazione.
Sia l’Amministratore Delegato che il Direttore del
Personale erano seriamente orientati a supportare le
carriere al femminile, eppure ciò non avveniva.
Fu molto felice quando i suoi superiori le proposero
un’indagine qualitativa, per capire meglio il fenomeno.
Con una società esterna costruì interviste e focus group
da cui emersero molti risultati e spunti di riflessione, tra
cui due le parvero più importanti, perché non espliciti,
ma profondamente inseriti nella cultura aziendale.
Il primo riguardava la valutazione della prestazione
e il secondo quella di potenziale.
Nel caso della prestazione, nonostante le schede
fossero costruite in modo univoco, emerse che i capi
usavano un metro di giudizio più rigoroso verso le
donne. Siccome erano poche, dovevano essere necessariamente più brave, top performer, come si dice nel
linguaggio aziendale, mentre nel gruppo maschile,
più numeroso, venivano tollerate molte più sbavature.
CompOrga.indb 27
Inoltre, nello sviluppo carriere, per gli uomini si
scommetteva molto si più sul potenziale, mentre per
le donne si richiedeva già una prestazione definita per
poter passare ad una posizione superiore.
Con questi elementi Patrizia poteva iniziare a
progettare un percorso interno di consapevolezza
delle deformazioni mentali agite per potervi porre
rimedio.
Un altro aspetto interessante che emerse dai focus
group e dalle interviste era riferito alla gestione del
tempo. In azienda era consuetudine consolidata per le
persone di alto livello gerarchico fermarsi fino a molto
tardi la sera. Era diventato quasi uno status symbol: i
direttori e i dirigenti facevano tardi, confermandosi a
vicenda la loro importanza relativa e gli onerosi carichi
di lavoro che dovevano sostenere.
Era questo un prezzo che le donne, anche single e
senza figli, non parevano disposte a pagare. Patrizia
pensò alle sue serate con gli amici, al cinema e alle
mostre, seguite dall’aperitivo, e pensò: “Che abbiano
ragione loro?”
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Parte I
Il mondo del comportamento organizzativo
La gestione della diversità è un tema delicato, difficile e qualche volta scomodo. Nonostante questo i manager devono affrontarlo nel nome della sopravvivenza organizzativa. Di conseguenza, lo scopo del presente capitolo è quello di portare a una migliore
comprensione dell’importanza di questo aspetto del comportamento organizzativo.
Prima di tutto viene fornita una definizione di diversità. In seguito, si propongono gli
argomenti a favore della diversità e vengono discusse le barriere e le sfide associate alla
gestione della diversità. Il capitolo si conclude descrivendo le pratiche organizzative
più efficaci in quest’ambito.
Definire la diversità
Diversità: l’insieme delle differenze e somiglianze tra i
singoli individui
La diversità rappresenta la molteplicità di differenze e somiglianze individuali che
esistono fra le persone. Essa non riguarda solo l’età, la razza o il genere. Non riguarda
il fatto che un individuo sia eterosessuale od omosessuale, oppure cattolico, ebreo,
protestante o musulmano. La diversità, inoltre, non mette in contrapposizione i maschi
bianchi rispetto a tutti gli altri gruppi di persone. Essa riguarda la molteplicità di caratteristiche che rendono ogni individuo unico.
Questa sezione inizia l’itinerario attraverso la gestione della diversità, o diversity
management, prendendo in considerazione in primo luogo le dimensioni chiave che la
riguardano. Inoltre si confrontano le azioni positive e la gestione delle diversità, due
strategie che vengono spesso associate, ma che non sono del tutto assimilabili.
I livelli della diversità
Come le conchiglie sulla spiaggia, le persone possiedono una gran varietà di forme, dimensioni e colori; questa varietà rappresenta l’essenza della diversità. Lee Gardenswartz
e Anita Rowe, esperti della materia, hanno identificato quattro livelli di diversità, che
costituiscono uno schema per distinguere le modalità con cui le persone differiscono
(figura 2-1). Considerati nel loro insieme, questi strati definiscono una singola identità
personale e influenzano il modo in cui ciascuno vede il mondo.
Nella figura 2-1 vediamo che la personalità è raffigurata al centro della ruota della
diversità, perché rappresenta un gruppo di caratteristiche stabili collegate all’identità
di una persona; le dimensioni che la compongono verranno discusse in seguito, nel
Capitolo 5. Lo strato successivo è composto da una gamma di dimensioni interne; in
gran parte queste ultime non sono sotto il controllo cosciente della persona, ma influenzano fortemente atteggiamenti, aspettative e considerazioni circa gli altri, e quindi, di
conseguenza, il comportamento individuale. Per fare un esempio, ecco l’esperienza di
una donna afroamericana, in vacanza in una località turistica:
Mentre ero seduta vicino alla piscina un corpulento uomo bianco sulla cinquantina mi
si è avvicinato e mi ha chiesto di poter avere degli altri asciugamani. Ho chiesto “Come
prego?” E lui per risposta “Oh, non lavori qui”, senza una briciola di imbarazzo o di
tono di scusa nella voce.1
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2
La gestione delle diversità: liberare il potenziale di ogni persona
Figura 2-1
I quattro livelli
della diversità
Dim
*Le dimensioni interne
ed esterne sono adattate da
Loden e Rosener, Workforce
America! (Homewood, IL:
Business One Irwin, 1991).
Fonte: L. Gardenswartz
e A. Rowe, Diverse Teams at
Work: Capitalizing on the Power
of Diversity (New York: McGrawHill, 1994), p. 33. © 1994.
Riprodotto
su autorizzazione di The McGrawHill Companies.
29
ensioni organizzative
Livello funzionale/
classificazione
ensioni esterne*
Dim
Localizzazione
geografica
Status
manageriale
Stato
civile
Condizione
familiare
Iscrizione
al sindacato
ensioni interne
*
Dim
Età
Abitudini
personali
Genere
Razza
Personalità
Aspetto
Preferenze
sessuali
Gruppo
etnico
Esperienze
di lavoro
Abilità
fisica
Contenuto
del lavoro/
ambito
Reddito
Divisione/
Passatempi dipartimento/
abituali
unità/
gruppo
Religione
Istruzione
Luogo
di lavoro
Anzianità
Il comportamento di quest’uomo verso la donna è stato probabilmente influenzato dagli
stereotipi riguardanti una o più delle dimensioni interne della diversità.
La figura 2-1 mostra che il livello successivo della diversità è composto dalle dimensioni esterne, definite anche secondarie. Esse rappresentano le differenze individuali
che possono essere controllate con maggiore successo. Gli esempi includono il luogo
dove si è cresciuti e dove si vive, la scelta religiosa, l’essere sposati o meno, l’avere dei
figli e le esperienze lavorative. Queste dimensioni esercitano anch’esse un’influenza
significativa sulle percezioni, sui comportamenti e sugli atteggiamenti individuali.
Possiamo prendere la religione come esempio. Negli Stati Uniti, negli ultimi 15 anni
i contenziosi per discriminazione religiosa sono raddoppiati e le organizzazioni stanno
dedicando un’attenzione crescente a questo aspetto. Le leggi statunitensi in materia di
lavoro impongono alle organizzazioni di “agevolare ragionevolmente le pratiche religiose dei collaboratori, a meno che ciò non imponga un onere indebito. Per agevolazione
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Parte I
Il mondo del comportamento organizzativo
ragionevole si intende qualsiasi adeguamento del contesto di lavoro che consenta alle
persone di praticare la loro religione, per esempio orari flessibili, sostituzioni o cambi
di turno volontari, riassegnazione delle mansioni o mobilità laterale ed eccezioni alle
norme di cura dell’aspetto.”2
L’ultimo livello delle diversità concerne aspetti organizzativi quali l’anzianità aziendale, la qualifica professionale e il luogo di lavoro.
Azioni positive e gestione delle diversità
La gestione efficace delle diversità impone alle organizzazioni di adottare un nuovo
modo di pensare le differenze fra le persone: infatti, invece di lasciare che si sviluppino
conflitti tra un gruppo e l’altro, bisogna riconoscere l’unicità del contributo che ogni
collaboratore può fornire. Le aziende devono tentare di gestire efficacemente le diversità
non solo perché è “socialmente accettabile”, ma perché contribuisce al raggiungimento
degli obiettivi strategici. Per esempio, alcune aziende si focalizzano sull’assunzione e
la promozione di collaboratori con estrazione diversa con lo scopo di commercializzare
prodotti allettanti per una base di clienti più ampia ed eterogenea.3 In questa sezione
verranno messe in luce le differenze tra le azioni positive e la gestione della diversità.
Discriminazione: avviene
quando le decisioni riguardanti
un individuo sono slegate dalle
sue prestazioni lavorative
Azioni positive: interventi
che mirano a raggiungere l’eguaglianza di opportunità in
un’organizzazione
CompOrga.indb 30
Azioni positive Le azioni positive sono originate dalle leggi a tutela delle pari opportunità lavorative, mirate a vietare le discriminazioni incoraggiando le organizzazioni ad
attuare forme attive di prevenzione. Si parla di discriminazione quando l’assunzione
o la promozione di un individuo sono slegate dalle prestazioni: le organizzazioni non
possono discriminare per razza, colore, religione, nazionalità, genere, età, disabilità
mentali e fisiche o stato di gravidanza.
Contrariamente all’approccio proattivo della normativa in materia di pari opportunità
lavorative, le azioni positive sono un intervento consapevole del management il cui
scopo è correggere un disequilibrio, un’ingiustizia, un errore o una discriminazione
verificatisi in passato. Le azioni positive non legittimano le quote: queste possono solo
essere imposte dalla legge o costituire una libera scelta organizzativa. In Italia sono
state introdotte dalla legge 20 del 12 luglio 2011 e prevedono una quota crescente di
donne negli organi di amministrazione e controllo. La legge cesserà di esistere nel 2022,
una volta raggiunto lo scopo per cui è stata istituita. È inoltre importante notare che in
nessuna circostanza le azioni positive richiedono alle aziende di assumere personale
non qualificato o non adeguato alle posizioni.
Anche se le azioni positive hanno creato buone opportunità per le donne e le minoranze, esse non sempre promuovono il substrato culturale necessario per gestire effettivamente la diversità. Alcune ricerche condotte negli Stati Uniti hanno messo in luce
come nel senso comune si possa intravedere nelle azioni positive una “discriminazione
contraria”, ad esempio se il supporto è fornito alle donne, verso gli uomini della stessa
organizzazione.
Si è, inoltre, scoperto che le azioni positive possono anche influenzare negativamente
le donne e le minoranze che dovrebbero esserne tutelate: la ricerca ha dimostrato che
le persone oggetto delle azioni positive si sono sentite stigmatizzate dal gruppo di appartenenza come se avessero raggiunto la posizione senza la qualifica o la competenza
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2
La gestione delle diversità: liberare il potenziale di ogni persona
31
necessaria. In questa situazione esse hanno avuto una minore soddisfazione lavorativa
e hanno sperimentato uno stress maggiore rispetto ai dipendenti selezionati esclusivamente sulla base del merito.4 In un altro studio si è messo in luce come le conseguenze
negative per le donne fossero minori nel momento in cui il criterio del merito veniva
incluso nelle decisioni di assunzione. In altre parole, le donne assunte sotto programmi
di azioni positive si sono sentite meglio con loro stesse e hanno mostrato una performance più alta se convinte di essere state assunte per la loro competenza piuttosto che
per il genere a cui appartengono.5
Gestione della diversità:
cambiamento organizzativo
che permette a ciascuna persona di esprimersi al massimo
del proprio potenziale
Gestire la diversità La gestione della diversità implica mettere le persone nelle condizioni di fornire prestazioni pienamente adeguate al loro potenziale. Questa strategia
si realizza intervenendo sulla cultura e le infrastrutture organizzative con l’obiettivo di
mettere le persone in condizione di ottenere la maggior produttività possibile. Sodexo,
operante nel settore della ristorazione con 380.000 dipendenti in 80 paesi, è un buon
esempio di azienda che gestisce efficacemente le diversità: nel 2010 DiversityInc l’ha
designata migliore azienda nella gestione della diversità sulla base di un sondaggio annuale articolato in 200 domande e condotto su 449 aziende.6 Ann Morrison, un’esperta
del tema, ha condotto uno studio su 16 organizzazioni che hanno gestito con successo
la diversità. I risultati della ricerca hanno messo in luce che le tre strategie chiave per il
successo sono l’educazione e la formazione, il rinforzo di comportamenti desiderabili e
l’opportunità per le persone di vivere esperienze diversificate. Queste strategie possono
essere così descritte:
La componente educativa della strategia ha due obiettivi: il primo è di preparare
manager innovativi per incarichi che comportano responsabilità maggiori, il secondo è
di aiutare i manager tradizionali a superare i loro pregiudizi nel pensare e nell’interagire
con persone di sesso o etnia diversa. Il rinforzo di comportamenti desiderabili mette in
evidenza l’importanza di obiettivi riguardanti la diversità e incoraggia il comportamento
conseguente. La terza componente, l’opportunità di vivere esperienze diversificate,
consente di elaborare strategie personali di gestione delle diversità aiutando i manager
a conoscere e rispettare le peculiarità di ciascuno.7
Riassumendo, sia i consulenti che gli accademici sono d’accordo nel ritenere migliore
la strategia organizzativa di gestione delle diversità piuttosto che la semplice valorizzazione o l’utilizzo delle azioni positive.
Gli argomenti a favore della gestione della diversità
Le motivazioni che conducono alla scelta manageriale di gestione della diversità
vanno al di là di quelle legali, sociali e morali. A queste importanti ragioni va
aggiunta quella di natura economica, in quanto è stato dimostrato che le aziende
che dimostrano una buona gestione della diversità hanno anche migliori risultati
economici. Ne sono testimonianza le parole di William Weldon, Presidente e CEO
di Johnson & Johnson:
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32
Parte I
Il mondo del comportamento organizzativo
La diversità e l’inclusione sono parte della struttura delle nostra attività e sono essenziali
per il nostro successo in tutto il mondo. I principi della diversità e dell’inclusione sono
radicati nel Credo [i valori aziendali] e accrescono le nostre capacità di fornire prodotti
e servizi per la salute e il benessere delle persone in tutto il mondo. Non possiamo
permetterci di abbassare la guardia su questi temi critici in nessuna congiuntura
economica.8
Molte aziende approvano e sposano questo punto di vista e la ricerca conferma la logica
vincente di questa strategia: per esempio, uno studio condotto su 207 imprese operanti
in 11 settori ha dimostrato che le performance finanziarie sono migliori quando il team
di top management è eterogeneo e si trova nella stessa sede.9
Per raggiungere questo obiettivo è necessario che i collaboratori siano messi in
condizione di utilizzare tutti i propri talenti, nonché la motivazione e l’impegno, e per
fare ciò è essenziale creare un ambiente o una cultura che permetta a tutti di raggiungere
la pienezza del loro potenziale.
Si affronteranno ora le motivazioni che sorreggono la gestione della diversità; in
seguito si passeranno in rassegna le implicazioni manageriali.
L’aumento della diversità nella forza lavoro
Andamenti demografici:
profilo statistico della popolazione adulta attiva
Soffitto di vetro: barriera
invisibile che impedisce a donne e minoranze di accedere a
posizioni manageriali di alto
livello
CompOrga.indb 32
La comprensione degli andamenti demografici, ovvero i dati relativi alle caratteristiche
e alla composizione della popolazione adulta attiva, è un aiuto indispensabile per costruire una politica di gestione delle risorse umane; essa permette ai manager di anticipare
problemi relativi alla carenza o sovrabbondanza di determinate figure professionali.
In Italia, per dare un’idea del fenomeno di invecchiamento a cui siamo sottoposti, la
percentuale di persone oltre i 60 anni è passata dal 13,1% nel 1958 al 19,8% nel 1988,
con una previsione del 28,9% nel 2018. Questi dati dimostrano che i manager del futuro
dovranno porre particolare attenzione al tema dell’età, sia per la diversificazione generazionale presente nel contesto lavorativo, ma anche per l’allungamento progressivo
dell’età della pensione. Si dovranno trovare strategie di motivazione di persone senior
e modalità di convivenza tra molto giovani e persone mature.
Questa sezione esplora le implicazioni manageriali di quattro caratteristiche della
forza lavoro legate alla gestione della diversità: (1) l’introduzione della metafora del
labirinto oltre a quella del soffitto di vetro per il personale femminile, (2) la percezione
di discriminazione nei gruppi razziali, (3) la mancata corrispondenza fra il livello di
istruzione e le esigenze occupazionali e (4) l’invecchiamento della forza lavoro e le
sue conseguenze.
Oltre il soffitto di vetro, il labirinto Coniata nel 1986 dai giornalisti del Wall Street
Journal Carol Hymowitz e Timothy Schellhardt, l’espressione glass ceiling, o soffitto
di vetro, indicava le barriere e gli ostacoli che impedivano alle donne di conquistare
posizioni di livello più elevato, relegandole in mansioni di più basso profilo, prive di
responsabilità, visibilità e potere. Questa discrepanza è ben rappresentata ogni anno dalla
ricerca prodotta dall’organizzazione indipendente World Economic Forum, denominata
Gender Gap, che mette in luce le differenze di opportunità tra uomini e donne nei diversi
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2
La gestione delle diversità: liberare il potenziale di ogni persona
33
paesi. Ricerche più puntuali, inoltre, hanno evidenziato quasi ovunque l’esistenza di
un pay gap, ovvero di una differenza salariale tra i generi pur nelle stesse posizioni
organizzative.
Le possibili cause di queste differenze sono molteplici:10
• le donne subiscono pratiche discriminatorie;
• le donne dedicano più tempo alla cura della casa e alla famiglia;
• le donne incontrano più ostacoli lungo il cammino verso posizioni di leadership e
comando (per esempio, stereotipi negativi);
• le donne escono periodicamente dalla forza lavoro per maternità o esigenze familiari,
accumulando così esperienze lavorative più discontinue;
• le donne dispongono di meno capitale sociale e di una rete di relazioni personali
meno ampia;
• le organizzazioni richiedono orari di lavoro più lunghi, viaggi e trasferimenti, e tali
richieste entrano in conflitto con il ruolo domestico di molte donne sposate.
Nel 2004 Carol Hymowitz, che aveva coniato la metafora del soffitto di vetro, scrisse un
articolo per il Wall Street Journal nel quale affermava che le donne avevano sfondato la
barriera invisibile negli Stati Uniti. Ciò indusse le ricercatrici Alice Eagly e Linda Carli
a condurre un’attenta indagine sulla vita organizzativa al femminile; i risultati vennero
presentati nel libro Through the Labyrinth, pubblicato nel 2007. Alla luce delle analisi
effettuate su dati longitudinali di vario tipo, le due autrici si dichiararono d’accordo con
Hymowitz. L’aggiornamento dei dati riportati nel libro di Eagly e Carli ci ha consentito
di rilevare i seguenti risultati: nel 2010, le donne che rivestivano la posizione di CEO
(12 e 26 fra le società delle classifiche Fortune 500 e Fortune 1000, rispettivamente)
e le donne impegnate in occupazioni manageriali e nelle professioni erano aumentate
rispetto agli anni ’80 e ’90.11 Secondo le statistiche, inoltre, le donne hanno compiuto
grandi passi in avanti in termini di (1) formazione, superando gli uomini nelle lauree di
primo e secondo livello, titoli professionali e dottorati dal 2006 al 2010; (2) presenza
nei consigli di amministrazione di società della classifica Fortune 500, con un incremento del 6,1% dal 1995 al 2010; (3) posizioni di leadership negli istituti di formazione
(nel 2010, le donne rappresentavano il 18,7% dei direttori di istituti scolastici di grado
superiore e il 29,9% dei membri del consiglio); (4) incarichi presso corti federali (nel
2010, il 22% dei giudici di corte distrettuale e il 28% dei giudici di tribunali di circuito
erano donne).12
Le conclusioni di Alice Eagly e Linda Carli sono:
Le donne hanno compiuto notevoli progressi, ma hanno di fronte a sé un lungo cammino
da percorrere per conquistare una rappresentanza paritaria nelle posizioni di leadership
[…] Le statistiche testimoniano un considerevole mutamento sociale e dimostrano che
i percorsi professionali delle donne sono diventati di gran lunga più gratificanti che in
passato. Gli uomini continuano a detenere maggiore autorità e a ricevere stipendi più
alti, ma le donne stanno guadagnando terreno. Dato che alcune donne sono riuscite a
conquistare gran parte dei ruoli di leadership più elitari, le barriere assolute appartengono
ormai al passato.13
CompOrga.indb 33
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Parte I
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Il mondo del comportamento organizzativo
Secondo le due autrici, le donne non sono più vittime, ma seguono un percorso
di carriera che somiglia ad attraversare un labirinto, “un percorso complesso con
passaggi interconnessi nel quale è difficile trovare la strada.”14 Eagly e Carli hanno
scelto la metafora del labirinto perché ritengono che per le donne (in particolare se
sposate e con figli) la strada verso il successo sia segnata da deviazioni e ostacoli,
anziché essere diritta e semplice. I manager e le organizzazioni dovrebbero pertanto
sviluppare politiche, procedure e programmi mirati ad aiutare le donne a trovare il
cammino nel labirinto delle carriere.
La percezione di discriminazione nei gruppi razziali Se storicamente gli Stati Uniti
sono sempre stati un paese “bianco e nero”, la variazione percentuale per razza della
popolazione statunitense tra il 2000 e il 2050 dimostra che non è più così. Come illustra
la figura 2-2, si prevede che tra il 2000 e il 2050 asiatici e ispanici andranno incontro
alla crescita più rilevante: entro il 2050 la popolazione asiatica triplicherà, toccando i
33 milioni, mentre gli ispanici aumenteranno del 118% arrivando a 102,6 milioni, cioè
Figura 2-2
Variazione percentuale per
razza della popolazione
statunitense
Fonte: G.C. Armas, “Almost Half
of US Likely to Be Minorities by
2050,” Arizona Republic,
18 marzo 2004, p. A5. US Census
Bureau, Table 1a, “Projected
Population of the US by Race and
Hispanic Origin: 2000-2050,”
www.census.gov/ipc/www/
usinterimproj/.
Bianchi
Afroamericani
Asiatici
Ispanici
35%
30%
25%
20%
15%
10%
5%
0%
0
2000-2010
2010-2020
2020-2030
2030-2040
2040-2050
209.2 mi
50.4
22.6
73.1
210.3 mi
55.9
28.0
87.6
210.3 mi
61.4
33.4
102. 6
Popolazione (in milioni)
Bianchi
Afroamericani
Asiatici
Ispanici
201.1 mi
40.5
14.2
47.8
Fonte: US Census Bureau
CompOrga.indb 34
205.9 mi
45.4
18.0
59.8
Associated Press
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La gestione delle diversità: liberare il potenziale di ogni persona
35
il 25% della popolazione. Alla luce di questi dati, secondo il Census Bureau nel 2050
le cosiddette “minoranze” rappresenteranno circa il 55% della forza lavoro.
Le ricerche mettono in luce come l’avanzamento di carriera delle minoranze sia più
lento di quello dei bianchi. Inoltre il numero di discriminazioni legate alla razza ritenute
ragionevolmente tali dalla Commissione per le Pari Opportunità Lavorative degli Stati
Uniti è aumentato da 294 nel 1995 a 1.061 nel 2008. Infine le persone appartenenti
alle minoranze tendono ad avere un reddito inferiore rispetto ai bianchi. In aggiunta
molti studi dimostrano che le persone appartenenti alle minoranze fanno esperienza
di maggiori discriminazioni percepite, stress causato da atteggiamenti razzisti e meno
supporto psicologico rispetto ai bianchi.15
L’esempio degli Stati Uniti, che è terra di migrazioni e melting pot di lungo corso,
è paradigmatico di una situazione che si estende in tutti i paesi industrializzati. In Italia
mancano statistiche approfondite, ma – ad esempio – in una recente ricerca è stato
messo in luce che la presenza di stranieri nei consigli di amministrazione è inferiore a
quella, già molto bassa, delle donne.
La mancata corrispondenza fra il livello di istruzione e le esigenze occupazionali Negli Stati uniti, approssimativamente il 28% della forza lavoro ha una laurea e
i laureati percepiscono uno stipendio significativamente più alto rispetto ai lavoratori
meno qualificati.16 Tre tendenze indicano tuttavia che esiste una mancata corrispondenza
tra il livello di istruzione e le capacità e conoscenze richieste nel mondo del lavoro. In
primo luogo, studi recenti mostrano che i laureati evidenziano lacune nelle capacità
di lavoro in gruppo, pensiero critico e ragionamento analitico, pur essendo dotati di
competenze tecniche e funzionali. In secondo luogo, si registra una carenza di laureati
in settori tecnici legati alla scienza, alla matematica e all’ingegneria. In terzo luogo, le
organizzazioni riscontrano che i diplomati al primo impiego non possiedono le competenze di base necessarie per fornire prestazioni efficaci. Quest’ultima tendenza è in
parte causata dal fatto che negli Stati Uniti la percentuale di diplomati è solo del 75%
e circa 32 milioni di adulti sono funzionalmente analfabeti.17
La questione chiave per le organizzazioni statunitensi e di ogni altro paese che
puntano a competere in un’economia globalizzata è se la popolazione possieda o meno
le capacità necessarie per stimolare la crescita economica. I risultati di uno studio
commissionato dal National Center on Education and the Economy evidenziano che
gli Stati Uniti stanno perdendo terreno sotto questo profilo. Le rilevazioni sono state
sintetizzate in un libro intitolato Tough Choices or Tough Times: The Report of the New
Commission on the Skills of the American Workforce e gli autori hanno presentato la
seguente conclusione:
Durante gran parte del XX secolo, gli Stati Uniti hanno potuto vantare la forza lavoro più
istruita al mondo. Oggi non è più così: nel corso degli ultimi 30 anni, molti paesi ci hanno
superato nella percentuale di nuovi entranti nella forza lavoro dotati dell’equivalente di
un diploma di scuola secondaria e molti altri sono sul punto di farlo. Trenta anni fa, gli
Stati Uniti potevano vantare il 30% della popolazione mondiale di studenti universitari.
Oggi il dato è sceso al 14% e continua a diminuire.
I giovani degli altri paesi ricevono più istruzione di maggiore qualità: studenti e
giovani americani occupano le posizioni dalla metà al fondo delle classifiche in tutti
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Parte I
Il mondo del comportamento organizzativo
e tre gli studi comparativi continuativi sulle competenze matematiche e scientifiche e
l’alfabetizzazione generale nelle nazioni industriali avanzate.
Mentre la nostra posizione relativa nelle classifiche mondiali dell’istruzione ha evidenziato un lento declino, la struttura dell’economia globale ha continuato a evolversi.
Ogni giorno, una quota crescente di lavoro viene digitalizzata: da radiografie utilizzate
a fini diagnostici, canzoni, film, progetti architettonici a documenti tecnici e romanzi,
il lavoro viene salvato su un supporto e inviato istantaneamente tramite Internet a un
destinatario vicino o lontano che può servirsene in una molteplicità di modi diversi.
Proprio per questo, i datori di lavoro in tutto il mondo hanno accesso a una forza lavoro
composta da persone che non devono spostarsi per appartenere a gruppi di lavoro realmente globali. Proprio per questo, un numero in rapida crescita di lavoratori americani
dotati di competenze di ogni livello compete direttamente con i lavoratori di ogni paese
del mondo.18
Queste conclusioni sottolineano che la mancata corrispondenza fra il livello di istruzione
e le qualifiche professionali determina implicazioni nel breve e nel lungo periodo tanto
per le organizzazioni quanto per i paesi. È molto probabile che le aziende americane
ricorrano all’outsourcing di mansioni tecniche in paesi come l’India e la Cina, assumano
più immigrati per le posizioni di primo impiego, investano maggiormente sulla formazione dei dipendenti e propongano ai lavoratori più competenti piani di pensionamento
graduali per incoraggiarli a mantenere il posto di lavoro.
L’invecchiamento della forza lavoro La popolazione e la forza lavoro americane
stanno invecchiando, così come avviene in tutti i paesi del mondo, soprattutto di quello
sviluppato. L’Italia, in particolare, è dopo il Giappone il paese più longevo del mondo.
Secondo le stime delle Nazioni Unite, nel 2050 il 33% della popolazione dei paesi
sviluppati avrà più di sessant’anni e un individuo su tre sarà in pensione. Alla luce di
queste statistiche, alcuni esperti hanno affermato che le crisi finanziarie globali degli
anni 2009-2010 “sono nulla rispetto ai costi di una popolazione globale che invecchia”.19
L’invecchiamento della popolazione statunitense evidenzia un potenziale divario tra
le competenze possedute e le competenze richieste. Con il pensionamento dei cosiddetti
baby-boomer (i 78 milioni di nati tra il 1946 e il 1964) la forza lavoro statunitense perderà le competenze, le conoscenze, l’esperienza e le reti di relazioni di oltre un quarto
dell’intera popolazione. Con tutta probabilità, questo scenario determinerà una carenza
di competenze in settori tecnici in rapida evoluzione; alcune aziende preveggenti hanno
già attuato programmi mirati a risolvere il problema del trasferimento delle conoscenze.
Oltre ad affrontare le sfide associate all’invecchiamento della forza lavoro, i manager
sono chiamati a gestire efficacemente la compresenza di quattro generazioni di lavoratori,
con le conseguenti differenze sul piano dei valori, degli approcci e dei comportamenti,
cui nel 2020 circa si affiancherà una quinta generazione.
La tabella 2-1 presenta un riepilogo delle differenze tra cinque gruppi generazionali
comunemente denominati tradizionalisti, baby-boomer, generazione X, generazione
Y e generazione 2020. Prima di passare e esaminarle, è importante sottolineare che
queste etichette e distinzioni sono generalizzazioni cui ricorriamo per semplicità di
analisi. Esistono sempre eccezioni alle caratteristiche presentate nella tabella e tutte le
conclusioni vanno interpretate con cautela.20
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La gestione delle diversità: liberare il potenziale di ogni persona
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Come si può notare, gli appartenenti alla generazione Y rappresentano il gruppo
più numeroso, seguiti dai baby-boomer. Si tratta di un dato importante perché molti
membri della generazione Y sono gestiti da baby-boomer, che presentano un insieme di
caratteristiche personali molto diverse. Le caratteristiche personali, che saranno approfondite nel Capitolo 5, sono attributi fisici e mentali costanti che costituiscono l’identità
dell’individuo. Caratteristiche differenti possono causare contrasti tra le persone: per
esempio, è probabile che la competitività e lo stacanovismo tipici dei baby-boomer
entrino in conflitto con la prospettiva dei diritti acquisiti e dell’equilibrio tra vita privata e lavoro dei membri della generazione Y. Come si vedrà nella sezione seguente,
per gestire efficacemente le diversità, sia i manager che i dipendenti dovranno essere
sensibili alle differenze generazionali evidenziate nella tabella.
Tabella 2-1 Le differenze generazionali
Periodo di nascita
Tradizionalisti
Baby-boomer
Generazione X
Generazione Y
Generazione 2020
1925–1945
1946–1964
1965–1979
1980–2001
2002–
Popolazione attuale 38,6 milioni
78,3 milioni
62 milioni
92 milioni
23 milioni
Eventi storici
principali
Grande
Depressione,
Seconda guerra
mondiale, Guerra
di Corea, Guerra
fredda, espansione
delle periferie
Assassinio di John
Kennedy, Robert
Kennedy e Martin
Luther King, Guerra
del Vietnam,
Watergate,
emancipazione
femminile,
sparatoria della
Kent State,
allunaggio
dell’Apollo 11
MTV, epidemia
di AIDS, Guerra
del golfo, caduta
del Muro di
Berlino, attentato
terroristico di
Oklahoma City,
crollo del mercato
azionario del 1987,
scandalo ClintonLewinsky
Attacchi terroristici
dell’11 settembre,
Google, massacro
della Columbine
High School,
scandalo Enron
e altri scandali
aziendali, guerra in
Iraq e Afganistan,
uragano Katrina,
crisi finanziaria
del 2008,
disoccupazione
elevata
Social media,
elezione di
Barack Obama
alla Presidenza
degli Stati Uniti,
crisi finanziaria
del 2008,
disoccupazione
elevata
Caratteristiche
generali
Patriottismo,
lealtà, disciplina,
conformismo,
solida etica del
lavoro, rispetto
per l’autorità
Stacanovismo,
idealismo, etica
del lavoro,
competitività,
materialismo,
ricerca di
gratificazioni
personali
Autonomia,
equilibrio vita
privata/carriera,
elasticità, cinismo,
sfiducia verso
le autorità,
indipendenza,
competenza
tecnologica
Diritti acquisiti,
coscienza civile, forte
coinvolgimento nei
rapporti genitori/
figli, alfabetizzazione
digitale,
apprezzamento della
diversità, capacità
di multitasking,
equilibrio vita
privata/carriera,
competenza
tecnologica
Capacità di
multitasking,
vita online,
alfabetizzazione
digitale,
comunicazione
rapida e virtuale
Invenzione
simbolo
Fax
Computer
Telefono cellulare
Google e Facebook
Social media
e applicazioni
per smartphone
Fonte: Adattato da J.C. Meister e K. Willyerd, The 2020 Workplace (New York: Harper Collins, 2010), pp. 54-55; e R. Alsop, The Trophy Kids Grow Up (San Francisco:
Jossey-Bass, 2008) p. 5.
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Parte I
Il mondo del comportamento organizzativo
Concludiamo la nostra analisi delle differenze generazionali illustrando i risultati di
due recenti meta-analisi. Nel primo studio, i ricercatori hanno indagato la relazione tra
l’età e alcuni aspetti della prestazione lavorativa quali creatività, orientamento all’apprendimento, collaborazione, aggressività, insofferenza verso orari rigidi e assenteismo.
Secondo i risultati, i lavoratori più anziani mostravano un comportamento più collaborativo e attento alla sicurezza, meno aggressività, abitudine al ritardo e assenteismo. È
emerso che l’età è prevalentemente slegata da produttività, creatività e orientamento
all’apprendimento.21 La seconda meta-analisi riassume le ricerche condotte in oltre
800 studi e ha evidenziato che l’età è positivamente legata alle attitudini rispetto ai
compiti, ai colleghi, ai supervisori e all’organizzazione nel suo insieme.22 Questi dati
suggeriscono che i dipendenti più anziani possono apportare ancora un prezioso contributo nelle organizzazioni.
Le implicazioni manageriali della diversità
Per attrarre e trattenere le persone migliori, le aziende si devono attrezzare con politiche
e programmi che soddisfino i bisogni di tutti. Questi programmi hanno l’obiettivo di
rendere i consapevoli i manager degli stereotipi in agguato nella loro attività, e cercano
di supportare le minoranze a trovare dei propri percorsi di sviluppo. Si tratta quindi di
formazione, ma anche dell’offerta di servizi alla famiglia per aiutare nella gestione dei
figli e nell’assistenza agli anziani.
In molti casi si mettono in atto programmi di mentoring per le giovani donne o
dedicati al trasferimento di conoscenze tra maturi e giovani in ingresso.
Gestire la diversità di genere Sono necessarie misure specifiche per aiutare le donne ad attraversare il labirinto del successo professionale. Le organizzazioni possono
contribuire assegnando incarichi di sviluppo che le preparino per future opportunità di
promozione.23
Le donne possono perseguire i propri obiettivi di carriera seguendo sette consigli
proposti da Alice Eagly e Linda Carli, le autrici del libro Through the Labyrinth.24 Primo, concentrarsi sull’acquisizione di ottime competenze e cercare mentori e sponsor
(approfondiremo il tema del mentoring nel Capitolo 3); le ricerche dimostrano che gli
uomini ottengono promozioni più di frequente rispetto alle donne perché hanno più
probabilità di essere sponsorizzati dai superiori e da mentori informali.25 Secondo, creare relazioni per costruire il capitale sociale; come si è visto nel Capitolo 1, il capitale
sociale rappresenta l’insieme delle relazioni professionali e personali dell’individuo.
Terzo, cercare un equilibrio tra lavoro e vita privata delegando le mansioni domestiche
e facendosi aiutare. Quarto, migliorare le capacità di negoziazione. Quinto, prendersi
i propri meriti per i successi ottenuti, esattamente come gli uomini. Sesto, impegnarsi
per instaurare un rapporto basato sul sostegno reciproco con il partner: alcune interviste con executive donne indicano che un partner collaborativo è un fattore essenziale
per il successo nella carriera. Infine, sviluppare uno stile interpersonale che associ la
risolutezza allo spirito di collaborazione.
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La gestione delle diversità: liberare il potenziale di ogni persona
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Gestire la diversità razziale Le organizzazioni sono chiamate a educare i dipendenti
sugli stereotipi negativi riguardanti le diverse etnie soprattutto nella fase di selezione e
nomina dei leader. Gli stereotipi negativi non solo impediscono a individui qualificati
di ottenere avanzamenti di carriera, ma possono minare la loro fiducia nelle proprie
capacità di leadership.26
David Thomas, un ricercatore dell’Università di Harvard, ha condotto uno studio
triennale sulle pratiche di mentoring presso tre aziende statunitensi, una manifatturiera,
una di elettronica e una di alta tecnologia. I risultati hanno messo in luce che le persone
di colore di successo che avanzavano maggiormente nella carriera possedevano una
rete di mentori e sponsor i quali consolidavano il loro sviluppo professionale. I risultati hanno inoltre dimostrato che le persone di colore dovrebbero essere affiancate in
modo differente rispetto alle persone di razza bianca. L’autore ha raccomandato alle
organizzazioni
di provvedere una gamma di percorsi di carriera, non correlati alla razza, che conducano
alle posizioni dirigenziali… Ottenere un tale sistema, comunque, richiede l’integrazione
dei principi di pari opportunità, di sviluppo e di sostegno alla diversità nelle pratiche
organizzative e nei sistemi operativi di gestione delle risorse umane. Un elemento
importante del sistema dovrebbe essere l’identificazione di mentori potenziali, la loro
formazione e il loro abbinamento con persone di colore ad alto potenziale.27
Gestire la diversità di istruzione Il divario tra le competenze necessarie alla imprese
per raggiungere i propri risultati e la formazione scolastica sta crescendo. Questa tendenza determina due potenziali problemi per le organizzazioni. In primo luogo, si registrerà
una carenza di lavoratori qualificati in ambito tecnico; per ovviare a questo problema,
Lockheed Martin e Agilent Technologies offrono forme retribuite di apprendistato o
tirocinio per attirare studenti di scuola superiore interessati alle scienze. Altre aziende
come State Street, Fidelity e Cisco stanno invece tentando di colmare il divario tra le
competenze possedute e le competenze richieste incoraggiando i dipendenti a prendere
parte a progetti su base volontaria mirati a potenziare specifiche capacità.28
In secondo luogo, la sottoccupazione dei laureati minaccia di erodere la soddisfazione
professionale e la motivazione. Poiché lavoratori con una solida preparazione di studi
cercheranno impieghi commisurati alle loro qualificazioni e aspettative, l’assenteismo
e il turnover sono destinati ad aumentare. Questo problema sottolinea il bisogno di una
ridefinizione delle posizioni (si rimanda alla discussione di questo tema nel Capitolo
8). Inoltre le organizzazioni avranno la necessità di sviluppare programmi di previsione
delle competenze realistici e di attuare rinforzi positivi (si rimanda al Capitolo 9) per
ridurre l’assenteismo e il turnover del personale. Formazione on the job e interventi di
alfabetizzazione saranno necessari per aiutare il crescente numero di coloro che abbandonano la scuola o sono analfabeti ad adeguarsi alle esigenze lavorative.
Gestire la diversità generazionale Le organizzazioni possono trarre vantaggio dal
capitale umano e sociale dei dipendenti più anziani implementando programmi che li
incoraggino a continuare a lavorare e trasferire le proprie conoscenze agli altri. Per
esempio, BMW ha riprogettato una linea di produzione presso uno stabilimento della
bassa Baviera per aiutare i dipendenti più anziani a gestire più facilmente lavori pesanti
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Parte I
Il mondo del comportamento organizzativo
dal punto di vista fisico e ridurre l’assenteismo: grazie a questi cambiamenti, la produttività è aumentata del 7% e l’assenteismo è diminuito.29 Affinché questa strategia
funzioni, però, le organizzazioni dovranno incoraggiare i baby-boomer a rimanere nella
forza lavoro anziché andare in pensione.
Le sette iniziative seguenti possono contribuire a mantenere il coinvolgimento e
l’impegno dei lavoratori più maturi.30
1. Assegnare incarichi sfidanti che possono fare la differenza per l’organizzazione.
2. Concedere ampia autonomia e libertà di azione nel completamento di un incarico.
3. Offrire pari accesso alla formazione e alle opportunità di apprendimento legate alle
nuove tecnologie.
4. Offrire frequenti riconoscimenti per le capacità e l’esperienza acquisite nel corso
degli anni.
5. Offrire opportunità di mentoring mediante le quali i lavoratori più anziani possono
trasmettere le proprie conoscenze ai più giovani.
6. Assicurarsi che la supervisione sia rispettosa e di alta qualità.
7. Progettare un ambiente di lavoro stimolante e divertente.
Poiché le differenze generazionali illustrate nella tabella 2-1 possono incidere sulla
motivazione e la produttività dei collaboratori, occorre offrire formazione mirata a
favorire la collaborazione con colleghi diversi. Per esempio, da interviste approfondite
con 50 lavoratori di età superiore ai 50 anni è emerso che gli intervistati si sentivano esclusi da reti di comunicazione importanti da parte dei lavoratori più giovani e
percepivano un mancato apprezzamento delle proprie esperienze e capacità. Uno
degli intervistati ha commentato: “durante gli interventi dei colleghi più anziani in
occasione delle riunioni, i più giovani sbadigliavano, evitavano di guardare chi aveva
preso la parola, scarabocchiavano sui fogli e inviavano SMS sotto la scrivania”.31
Al contrario, alcuni lavoratori appartenenti alla generazione Y ritengono che i babyboomer vogliano ottenere riconoscimenti per la quantità di tempo che dedicano al
lavoro anziché per la produttività.
I membri della generazione X si sentono invece “intrappolati nel mezzo”. Michael,
per esempio, afferma: “Gli executive della mia azienda hanno dagli 8 ai 12 anni più di
me e non pensano di andare in pensione nel prossimo futuro. Mi sento bloccato nella
mia posizione attuale e mi sono messo alle ricerca di altre opportunità di lavoro perché
non ripongo molta fiducia nelle grandi aziende.”32 Come è evidente, le organizzazioni
devono trovare le strategie per motivare e trattenere i membri delle generazione X, che
potrebbero sentirsi intrappolati nelle gerarchie.
I manager che appartengono alle generazioni dei tradizionalisti e dei baby-boomer
sono chiamati a esaminare il proprio approccio alla gestione dei dipendenti delle
generazioni X e Y, dotati di una solida competenza tecnologica. Per esempio, molto
probabilmente questi lavoratori hanno l’abitudine di visitare i siti di social networking
durante l’orario di lavoro in una sorta di “pausa caffè virtuale”; manager tradizionalisti
e baby-boomer con tutta probabilità giudicano questa attività uno spreco di tempo e
potrebbero attuare politiche mirate a impedirla. Secondo gli esperti, limitare l’accesso
ai social network non è una strategia efficace nel lungo periodo se si vogliono motivare
i lavoratori più giovani.33
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La gestione delle diversità: liberare il potenziale di ogni persona
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Infine, la potenziale futura carenza di lavoratori qualificati sottolinea la necessità per
le aziende di reclutare individui appartenenti alla generazione Y: questi non solo rappresentano il gruppo più numeroso all’interno della forza lavoro (si rimanda alla tabella
2-1), ma possiedono le caratteristiche e le capacità necessarie in un’economia sempre
più avanzata sul piano tecnologico. Le organizzazioni stanno affrontando la questione
tentando di creare ambienti di lavoro che soddisfino i bisogni di questo gruppo. Per esempio, Growth Works Capital, Ernst & Young, Philip Morris USA, IBM e Bearing Point
hanno promosso nuovi programmi di riconoscimento e interventi di progettazione delle
mansioni mirati ad attirare e trattenere i lavoratori della generazione Y. Analogamente,
Unilever ha creato la posizione di “architetto della consumerizzazione” per facilitare
l’uso di tecnologie molto diffuse dopo aver appurato che i dipendenti della generazione
Y erano insoddisfatti rispetto all’impiego delle nuove tecnologie in azienda.34
Effetti positivi e negativi della diversità
negli ambienti di lavoro
All’inizio di questo capitolo, abbiamo affermato che la gestione efficace delle diversità
non è solo finalizzata ad attirare e trattenere i collaboratori migliori, ma incide anche
sui risultati economici. Per quanto sia semplice trovare testimonianze di manager e casi
reali di aziende a supporto di questa affermazione, occorre esaminarne la validità alla
luce dei dati forniti dalla ricerca nell’ambito del comportamento organizzativo. Come
vedremo a breve, le ricerche dimostrano che le diversità possono determinare effetti sia
positivi che negativi sui risultati aziendali. Questa apparente contraddizione è generata
dalle modalità di gestione organizzativa di due problematiche che esamineremo di
seguito: quella della categorizzazione, o in group, e quella delle modalità di decisione
all’interno di un’organizzazione.
Teoria della categorizzazione sociale: l’affinità determina simpatia e attrazione
La teoria della categorizzazione sociale La teoria della categorizzazione sociale
è stata definita nel modo seguente:
Secondo la prospettiva della categorizzazione sociale, affinità e differenze rappresentano
la base per la categorizzazione di sé e degli altri all’interno di gruppi, con la conseguente
distinzione tra gruppo di appartenenza e uno o più gruppi di non appartenenza.
Gli individui tendono a sviluppare empatia e fiducia verso i membri del gruppo di
appartenenza, per i quali generalmente manifestano una preferenza rispetto ai membri dei
gruppi di non appartenenza […] I membri di un gruppo di lavoro dimostrano attitudini
più positive nei confronti del proprio gruppo e delle persone che ne fanno parte quando
questi sono simili a loro, anziché diversi.35
Secondo la teoria della categorizzazione sociale, quindi, l’affinità determina simpatia e
attrazione e favorisce una molteplicità di risultati positivi. Stando a questo approccio,
maggiore è l’omogeneità all’interno di un gruppo di lavoro, maggiori saranno l’impegno
dei membri e la coesione, minori i conflitti interpersonali. Un ampio corpus di ricerche
conferma le considerazioni derivanti dal modello della categorizzazione sociale.36
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42
Parte I
Il mondo del comportamento organizzativo
Secondo alcune ricerche, gli individui che si differenziavano per origine etnica
o razziale dalle proprie unità di lavoro erano meno coinvolti psicologicamente nei
confronti dell’organizzazione e meno soddisfatti della propria carriera.37 Altri studi
hanno evidenziato che la diversità demografica è associata a una minore collaborazione
tra i membri di un team e a impressioni più negative nei confronti delle persone con
caratteristiche demografiche diverse.38 Infine, studi recenti hanno dimostrato che la
diversità demografica è associata a livelli più alti di depressione, turnover e devianza
(comportamenti che violano le norme e minacciano il benessere dell’organizzazione) dei
dipendenti, e a profitti più bassi.39 In sintesi, secondo il modello della categorizzazione
sociale l’omogeneità va preferita alla diversità per i suoi effetti sull’atteggiamento, il
comportamento e le prestazioni in ambito lavorativo.
Teoria dell’informazione e
del processo decisionale: la
diversità conduce a processi e
decisioni migliori
La teoria dell’informazione e del processo decisionale Il secondo approccio teorico,
denominato teoria dell’informazione e del processo decisionale, trae le conclusioni
contrarie suggerendo che i gruppi eterogenei evidenzino prestazioni migliori rispetto
ai gruppi omogenei. La logica alla base di questa teoria è stata descritta come segue:
I gruppi eterogenei hanno maggiori probabilità di possedere un ventaglio più ampio di
conoscenze, capacità diverse e non ripetitive, e di contare su opinioni e prospettive diverse
sul compito da svolgere. Questo non solo conferisce ai gruppi diversificati un insieme
più ampio di risorse, ma potrebbe determinare anche altri effetti positivi.40
Questo approccio sottolinea tre effetti positivi della diversità all’interno dei gruppi di
lavoro.41 In primo luogo, si ipotizza che i gruppi eterogenei siano in grado di gestire più
efficacemente le prime fasi del problem solving perché esistono maggiori probabilità
che attingano a esperienze diverse per ottenere una visione più globale di un problema.
Per esempio, la diversità di genere e di appartenenza etnica può consentire ai gruppi
di lavoro di comprendere meglio i bisogni e le prospettive di una base di clienti multiculturale. In secondo luogo, la diversità di prospettive può essere d’aiuto nella fase
di brainstorming e ricerca di soluzioni innovative ai problemi. Infine, la diversità può
contribuire ad accrescere i contatti di un gruppo o di un’unità di lavoro: l’ampiezza della
rete consente di accedere a informazioni e competenze nuove, motivando le decisioni
meglio che nei gruppi omogenei.
I risultati delle ricerche confermano la validità di questo approccio. È stato riscontrato che le prestazioni dei team sono positivamente legate alla diversità di genere,
etnia, età e formazione.42 Inoltre, si è notato che i gruppi eterogenei prendono decisioni migliori ed evidenziano una produttività più alta rispetto ai gruppi omogenei.43
Ricerche preliminari supportano l’idea che la diversità della forza lavoro promuova
la creatività e l’innovazione; questo avviene attraverso la condivisione di idee e
prospettive diverse. Rosabeth Moss-Kanter, esperta di management, è stata una delle
prime ad analizzare questa relazione. I suoi risultati hanno indicato che le società
innovative utilizzano in modo deliberato gruppi eterogenei per risolvere i problemi
e impiegano più donne e persone di colore rispetto ad aziende meno innovative.
Ha inoltre notato che le aziende innovative hanno migliori risultati nell’eliminare
il razzismo, il sessismo e il classismo.44 Una recente rassegna delle ricerche sulla
diversità negli ultimi quarant’anni ha supportato la conclusione raggiunta da Moss-
CompOrga.indb 42
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2
La gestione delle diversità: liberare il potenziale di ogni persona
43
Kanter rispetto al fatto che la diversità promuove la creatività e migliora il processo
decisionale di gruppo.45
Faglia demografica: barriera
ipotetica che divide un gruppo
in sottogruppi sulla base di
attributi demografici
CompOrga.indb 43
Conciliare gli effetti contrastanti di ambienti di lavoro diversificati L’esame della
teoria della categorizzazione sociale e di quella dell’informazione e del processo decisionale ha mostrato che le diversità determinano effetti positivi ed effetti negativi. Il
modello in figura 2-3 presenta una sintesi sottolineando tali effetti. In linea con la teoria
della categorizzazione sociale, esiste una relazione negativa tra la diversità all’interno di
un gruppo di lavoro e la qualità dei processi interpersonali e delle dinamiche di gruppo
(percorso A), che determina esiti negativi perché la qualità dei processi interpersonali e
delle dinamiche di gruppo è legata positivamente ai risultati (percorso C). Per esempio,
le diversità di genere e di razza in un gruppo di lavoro favoriscono il conflitto interpersonale, che a sua volta determina minore soddisfazione lavorativa, turnover più alto
e produttività più bassa. Ricerche recenti dimostrano che questa relazione negativa è
più accentuata quando all’interno dei gruppi esistono faglie demografiche significative.46 Per faglia demografica si intende “una barriera ipotetica che divide il gruppo in
sottogruppi sulla base di uno o più attributi”.47 Le faglie emergono quando i membri
di un gruppo di lavoro possiedono caratteristiche demografiche diverse (per esempio
genere, età, etnia) e il raggruppamento degli individui secondo faglie o caratteristiche
demografiche salienti può generare processi interpersonali negativi.
Al contrario, le ricerche riguardanti la teoria dell’informazione e del processo
decisionale evidenziano che la diversità all’interno di un gruppo è associata positivamente ai processi importanti per il compito e al processo decisionale (percorso
B), favorendo esiti positivi (percorso D). Secondo questo approccio, la diversità
di genere e la diversità razziale determinano risultati positivi perché migliorano i
processi legati al compito e la fase decisionale. Due studi hanno dimostrato che gli
effetti positivi della diversità sono amplificati quando i gruppi di lavoro sono dotati di
ampie vedute, più pronti al confronto e alla condivisione di informazioni e mostrano
un comportamento più integrativo.48
Poiché la diversità all’interno dei gruppi di lavoro è associata a effetti positivi e negativi, dobbiamo considerare in che modo il management può ridurre i potenziali effetti
negativi. Anzitutto, le organizzazioni possono ricorrere alla formazione per attenuare gli
effetti della relazione negativa tra le diversità e i processi interpersonali e le dinamiche di
gruppo (percorso A). Per esempio, la formazione può aiutare i dipendenti a comprendere
le differenze demografiche e a sviluppare capacità interpersonali che favoriscono un
comportamento di integrazione e collaborazione.49 Le attività di formazione possono
vertere sulla gestione del conflitto, l’influenza interpersonale, il feedback, la comunicazione e la valorizzazione delle differenze. In secondo luogo, i manager possono cercare
strategie per aiutare i dipendenti ad allentare le tensioni causate dal lavoro in gruppi
eterogenei, per esempio creando gruppi di supporto. Infine, si possono adottare misure
volte a ridurre gli effetti negativi degli stereotipi inconsci (che approfondiremo nel
Capitolo 7) e ad accrescere il ricorso a obiettivi di gruppo nei team eterogenei. Offrire
riconoscimenti per il raggiungimento di obiettivi di gruppo può incoraggiare i membri
a concentrarsi sugli obiettivi comuni anziché sulle faglie demografiche, che non hanno
nulla a che vedere con la prestazione.
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Parte I
44
Il mondo del comportamento organizzativo
Figura 2-3
Un modello di processo
della diversità
Un modello di processo
della diversità
Dimensioni
della diversità
Risultati
)
Livello manifesto
• Età
• Genere
• Abilità fisiche
• Etnia
• Razza
Livello profondo
• Valori
• Atteggiamenti
• Credenze
• Personalità
– (A
Processi interpersonali
e dinamiche di gruppo
+(B
+(C
)
)
+(D
)
Atteggiamenti
nell’ambiente
di lavoro
Comportamenti
nell’ambiente
di lavoro
Prestazioni
Processo decisionale
Le barriere e le sfide alla gestione della diversità
All’inizio di questo capitolo abbiamo notato come la diversità sia un argomento delicato,
difficile e qualche volta scomodo; quindi non sorprende che le organizzazioni incontrino
barriere significative nel momento in cui tentano di realizzare la gestione della diversità. L’elenco seguente presenta le barriere più comuni all’efficace implementazione di
programmi per la gestione della diversità:50
Clima legato alla diversità:
insieme delle percezioni relative alle caratteristiche formali e
ai valori di un’organizzazione
riguardanti la diversità
CompOrga.indb 44
1. Stereotipi e pregiudizi. Questa barriera si manifesta nella convinzione che le differenze siano un elemento di debolezza; ne deriva il timore che una maggior diversità
nelle assunzioni significhi sacrificare la competenza e l’efficienza.
2. Etnocentrismo. La barriera dell’etnocentrismo consiste nel ritenere superiori o più
appropriate le regole e le norme di una cultura (generalmente la propria) rispetto a
quelle di un’altra. Questa barriera sarà discussa in modo dettagliato nel Capitolo 4.
3. Scarsa attenzione allo sviluppo delle carriere. Questa barriera è legata alla mancanza di opportunità per i collaboratori con alcune caratteristiche di diversità, che
non si vedono assegnare compiti lavorativi che li qualificherebbero per posizione
più elevate.
4. Clima impermeabile alla diversità. Per “clima” si intende l’insieme di percezioni e
adesione individuale e collettiva del personale rispetto alle politiche, prassi e procedure organizzative formali e informali. Il clima legato alla diversità è una componente
del clima organizzativo e si definisce come l’insieme delle “percezioni relative alle
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2
La gestione delle diversità: liberare il potenziale di ogni persona
45
caratteristiche strutturali formali e ai valori informali dell’organizzazione riguardanti
le diversità”51 riportate dai collaboratori. Il clima viene considerato positivo quando
le persone riferiscono un trattamento equo nei confronti di tutti; il concetto di equità
organizzativa sarà esaminato nel Capitolo 8. Recenti ricerche hanno dimostrato che
un clima legato alle diversità positivo amplifica gli effetti benefici delle diversità,
mentre un clima negativo li riduce.52
5. Ambiente di lavoro intollerante e ostile. Episodi di molestie sessuali e discriminazioni
razziali o per età sono esempi comuni di un ambiente di lavoro ostile. Che siano le
donne, gli uomini, gli individui più anziani o quelli con determinati orientamenti
sessuali a subirne le conseguenze, gli ambienti di lavoro ostili sono avvilenti, non
etici e si definiscono, giustamente, “inquinati”. È difficile che le persone lavorino
al massimo delle proprie potenzialità quando si trovano in un ambiente ostile. È
importante ricordare che l’ostilità è percettiva, quindi individui diversi riportano
percezioni diverse di ciò che è “ostile”. Il processo di percezione sarà approfondito
nel Capitolo 7.
Occorre tenere presente che le molestie possono avvenire tramite email, SMS e
social media. Uno studio recente su 220 dipendenti ha mostrato che i primi episodi
di molestie sono avvenuti tramite email o telefono.53 I manager dovrebbero gestire
questi casi esattamente come tutti gli altri tipi di molestie.
6. Mancanza di sagacia politica. I dipendenti diversi possono non essere promossi
perché non conoscono le “regole del gioco” per muoversi in un’organizzazione.
La ricerca rivela che le donne e le persone di colore sono spesso escluse dalle reti
informali dell’organizzazione.54
7. Difficoltà nel bilanciare carriera e impegni familiari. Le donne assumono ancora la
maggior parte delle responsabilità associate all’allevamento dei figli; questo rende più
difficile a una donna lavorare la sera e il fine settimana o viaggiare frequentemente.
Anche senza prendere in considerazione i figli, la gestione della casa in genere pesa
maggiormente sulla donna.
8. Paura di “discriminazioni alla rovescia”. Alcuni dipendenti credono che la gestione della diversità si traduca in una forma di discriminazione alla rovescia. Questa
opinione porta a una resistenza molto tenace, perché si è convinti che il guadagno
di qualcuno si tradurrà in una perdita per qualcun altro.
9. Bassa priorità organizzativa. Questo elemento conduce a una resistenza insidiosa,
che si manifesta sotto forma di rimostranze e atteggiamenti negativi. I collaboratori
possono lamentarsi del tempo, dell’energia e delle risorse indirizzate alla diversità,
mentre avrebbero potuto essere spese svolgendo il “vero lavoro”.
10. Necessità di ridefinire i sistemi organizzativi di valutazione e ricompensa. Questi
sistemi devono rinforzare il bisogno di gestire efficacemente la diversità; ciò significa che la performance deve essere misurata in base a una nuova gamma di criteri.
Alcuni probabilmente resisteranno a cambiamenti che possono avere effetti negativi
sulle loro promozioni o ricompense. Per esempio, General Electric valuta la misura
in cui i manager adottano un comportamento inclusivo nei confronti dei dipendenti
dotati di un background diverso e ne tiene conto al momento di prendere decisioni
sullo stipendio e la promozione.55
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46
Parte I
Il mondo del comportamento organizzativo
11. Resistenza al cambiamento. Una diversità efficacemente gestita implica un significativo cambiamento organizzativo e personale. Come verrà discusso nel Capitolo
17, le persone per svariate ragioni tendono a resistere al cambiamento.
In conclusione, la gestione della diversità è una componente critica del successo organizzativo.
Pratiche organizzative per la gestione della diversità
Cosa fanno dunque le organizzazioni per gestire efficacemente la diversità? Per rispondere a questa domanda è necessario fornire un quadro teorico per categorizzare le
iniziative organizzative. Ne sono stati sviluppati alcuni rilevanti, da ricercatori e professionisti. Uno, in particolare, è stato proposto da R. Roosevelt Thomas, Jr, un esperto
di diversità, che ha identificato otto possibilità d’azione che possono essere usate per
affrontare i problemi della diversità. La presente sezione ripercorre il quadro teorico
sviluppato da Thomas per fornire una comprensione al tempo stesso ampia e specifica
sull’efficace gestione della diversità.
Thomas ha identificato otto risposte base per gestire la diversità. Dopo aver descritto
ciascuna opzione di azione, discuteremo le reciproche relazioni.56
Opzione 1: includere/escludere Questa scelta è una derivazione dei programmi
di azioni positive. Il suo scopo primario è incrementare o diminuire il numero di
persone diverse a ogni livello dell’organizzazione. La catena di ristoranti Shoney
fornisce l’esempio di un’azienda che ha tentato di includere i dipendenti diversi
dopo una causa per discriminazione: l’azienda ha assunto afroamericani in qualità di
supervisori di sala e direttori di divisione, ha aumentato il numero di locali concessi
in franchising ad afroamericani e ha acquistato più beni e servizi da aziende di proprietà delle minoranze.57
Opzione 2: negare Le persone che utilizzano questa opzione negano che le differenze
esistano. La negazione si può manifestare proclamando che tutte le decisioni sono indipendenti dalla razza, dal genere e dall’età, e che il successo è determinato solamente dal
merito e dalla performance. Si consideri per esempio la compagnia assicurativa State
Farm. “Nonostante fosse tradizione per gli agenti uomini e i loro manager regionali
assumere collaboratori maschi, la State Farm ha evitato il cambiamento e negato ogni
comportamento discriminatorio durante un’azione legale durata nove anni, che alla fine
la società ha perso”.58
Opzione 3: assimilare La premessa di questa opzione è che tutte le persone, per
quanto diverse, impareranno ad adattarsi o a diventare come il gruppo dominante; sono
necessari solo del tempo e opportune azioni di rinforzo affinché le persone “vedano la
luce”. Le organizzazioni inizialmente assimilano i dipendenti attraverso le pratiche di
selezione e l’utilizzo di programmi di orientamento, il cui scopo è fornire ai dipendenti
i valori dall’organizzazione unitamente a una gamma di procedure operative standard.
I dipendenti sono incoraggiati a riferirsi ai manuali, ai regolamenti e alle procedure se
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2
La gestione delle diversità: liberare il potenziale di ogni persona
47
sono incerti sul comportamento da tenere in una situazione specifica. Queste pratiche
creano omogeneità fra i collaboratori.
Opzione 4: nascondere Quando si utilizza questo approccio le differenze sono represse
o scoraggiate. Ciò si ottiene costringendo o incentivando le persone ad abbandonare le
lamentele rispetto ai problemi della diversità. Il vecchio detto “pagare il dovuto” è un
altro modo frequente per promuovere lo status quo.
Opzione 5: isolare In questo caso le persone diverse vengono messe da parte, in modo
da non causare un cambiamento organizzativo. I manager possono isolare le persone
diverse assegnandole a progetti speciali; gruppi di lavoro o interi reparti possono essere
isolati creando entità funzionalmente indipendenti, spesso chiamate “silos”. I dipendenti
della Shoney Inc. hanno riferito a un giornalista del Wall Street Journal le pratiche di
isolamento usate in passato dalla società:
I manager bianchi hanno riferito di come il signor Danner [il presidente precedente]
avesse detto loro di licenziare i neri nel caso in cui fossero diventati troppo numerosi
nei ristoranti dei quartieri bianchi; se si fossero rifiutati, essi stessi avrebbero perso il
lavoro. Alcuni hanno inoltre affermato che, quando si prevedeva la visita del signor
Danner nei ristoranti, ai dipendenti neri veniva assegnato il giorno di riposo; in un caso
sono stati nascosti nel bagno. Altri hanno detto che le domande di lavoro di persone di
colore venivano sistematicamente scartate.59
Opzione 6: tollerare La tolleranza implica il riconoscimento delle differenze ma non
la loro valorizzazione o accettazione. Rappresenta un approccio del tipo “vivi e lascia
vivere” che permette alle organizzazioni di pagare un tributo formale alla gestione
della diversità. La tolleranza è diversa dall’isolamento in quanto permette di includere
le persone diverse; comunque le diversità non sono realmente valorizzate o accettate
nel momento in cui un’organizzazione utilizza questa opzione.
Opzione 7: costruire relazioni Questo approccio è basato sulla premessa che delle
buone relazioni possono superare le differenze; affronta il tema della diversità incoraggiando relazioni di qualità, caratterizzate dall’accettazione e dalla comprensione,
fra gruppi differenti.
Opzione 8: promuovere l’adattamento reciproco In questo caso, le persone hanno la volontà di adattare o cambiare le loro prospettive allo scopo di creare relazioni
positive con gli altri. Questo implica che i collaboratori e il management devono avere
la volontà di accettare le differenze e, cosa più importante, concordare che tutto e tutti
possono cambiare.
Conclusioni Sebbene le opzioni d’azione possano essere usate singolarmente o in
combinazione tra loro, alcune sono chiaramente meglio di altre. Escludere, negare,
assimilare, nascondere, isolare e tollerare sono le opzioni meno auspicabili; includere,
costruire relazioni e promuovere l’adattamento reciproco sono le strategie migliori. Ciò
detto, Thomas ci ricorda comunque che l’adattamento reciproco è l’unica strategia che
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48
Parte I
Il mondo del comportamento organizzativo
promuova integralmente la filosofia di gestione della diversità. In chiusura di questa
discussione, è importante notare che la scelta di come gestire al meglio la diversità è
un processo dinamico determinato dal contesto. Ad esempio, alcune organizzazioni non
sono pronte per l’adattamento reciproco; il meglio che si possa sperare, in questi casi,
è l’inclusione delle persone diverse.Tony Hsieh non si limita a spendere belle parole su
quanto siano importanti i suoi dipendenti: ripone fiducia in loro, li ascolta e li responsabilizza. Non sorprende che nel 2011 Zappos.com abbia conquistato il sesto posto nella
classifica della rivista Fortune delle migliori imprese in cui lavorare in America.2 Hsieh
ha creato quella che Jeffrey Pfeffer della Stanford University definisce un’organizzazione
“orientata alle persone”. Dai risultati delle ricerche condotte su aziende sia negli Stati
Uniti sia in Germania emerge chiaramente una forte connessione fra l’adozione delle
seguenti sette pratiche incentrate sulle persone, profitti molto più alti e un turnover dei
dipendenti significativamente più basso.
CompOrga.indb 48
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Cultura organizzativa,
socializzazione e mentoring
3
Vi piacerebbe lavorare per Southwest Airlines?
La Cultura Southwest Airlines permea ogni aspetto
della nostra azienda: ne è l’essenza, il DNA, il passato,
il presente e il futuro. Riveste una tale importanza che
vorrei poterla illustrare più dettagliatamente.
Spesso affermiamo che le altre compagnie aeree
possono copiare il nostro piano strategico dall’inizio
alla fine, ma Southwest si distingue dalle copie grazie
alle Persone. E sarei pronto a scommettere che se un
altro vettore aereo riuscisse in qualche modo a reclutare tutti i nostri fantastici Dipendenti, non riuscirebbe
comunque a eguagliarci. Per quali motivi? Il nuovo
datore di lavoro non avrebbe la Cultura Southwest,
l’ingrediente segreto, se vogliamo definirlo così, della
nostra organizzazione.
Per molti di noi, lavorare in Southwest non è solo
una vocazione, è una missione. La Cultura non è imposta da me né dagli altri Dirigenti; deriva piuttosto
dalla personalità collettiva dei nostri Dipendenti. Ci
sono voluti oltre trent’anni solo per elaborare alcune
definizioni sulle quali fossimo tutti d’accordo, ora
illustrate in quello che chiamiamo “Lo stile di vita
Southwest”.
Questo credo si articola in tre valori: uno Spirito
guerriero che premia il coraggio, l’impegno e l’aspirazione a essere i migliori; un Cuore da servitore, che
segue la regola d’oro e considera essenziale il rispetto
per gli altri e, infine, un Atteggiamento gioioso, che
CompOrga.indb 49
comprende il DIVERTIMENTO, ma anche la passione
e la voglia di fare festa.
A gennaio abbiamo celebrato il diciottesimo anniversario della fondazione del Comitato della cultura
aziendale, che si impegna a tutelare la nostra Cultura
nel presente e nel futuro. Il Comitato evidenzia che la
Cultura Southwest vive in tutti i Dipendenti, a prescindere dal ruolo, riconoscendo al tempo stesso quanto
possa essere fragile. Ho avuto modo di confrontarmi
con alcuni dei nostri Dipendenti arrivati da compagnie
aeree e società che in passato si distinguevano per una
cultura solida. In molti casi mi hanno testimoniato che
piccole trascuratezze possono distruggere la cultura
molto rapidamente.
Le loro esperienze confermano ciò che ho sempre
creduto: le Parole vuote rappresentano un enorme
pericolo. È facile decantare la Cultura in articoli
come questo; molto più difficile è esserne all’altezza
ogni giorno. È per questo che i membri del Comitato
fungono da esempi per tutti i nostri Dipendenti e
dimostrano che la Cultura viene dal cuore, non da
comunicazioni di servizio. Come è facile immaginare,
il compito loro affidato è difficile ma siamo fortunati
a poter contare sull’impegno di questi Guerrieri della
Cultura che combattono ogni giorno l’indifferenza e
l’autocompiacimento. Grazie al loro aiuto, la nostra
Cultura continua a volare alto.1
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50
Parte I
Il mondo del comportamento organizzativo
Questo articolo mette in luce tre considerazioni essenziali sulla cultura organizzativa.
In primo luogo, la cultura può incidere sulla motivazione, la soddisfazione e il turnover
dei dipendenti. Southwest è in grado di minimizzare il turnover e mantenere un’elevata
soddisfazione del lavoro mediante una cultura positiva e orientata ai collaboratori. In
secondo luogo, la cultura organizzativa può essere una fonte di vantaggio competitivo,
come conferma uno studio recente su 194 negozi di vendita al dettaglio e di servizi. Come
nel caso di Southwest Airlines, i risultati hanno evidenziato performance di mercato
migliori per le imprese con una cultura caratterizzata da pari attenzione ai dipendenti
e ai clienti.2 Infine, il management può influenzare la cultura organizzativa: Southwest
usa il comitato per la cultura come strumento per plasmare e rafforzare i valori scelti
dal gruppo dirigente.
Questo capitolo permette di capire meglio come i manager possano trasformare la
cultura organizzativa in un vantaggio competitivo. Prima di tutto discuteremo il ruolo
del contesto nell’influenzare la cultura organizzativa, quindi passeremo a esaminare (1)
le dinamiche della cultura organizzativa, (2) il processo di cambiamento culturale, (3) il
processo di socializzazione all’interno di un’organizzazione e infine (4) la trasmissione
della cultura organizzativa mediante il mentoring.
La cultura organizzativa: definizione e contesto
Cultura organizzativa: valori
e convinzioni condivise che
sono alla base dell’identità di
un’organizzazione
CompOrga.indb 50
La cultura organizzativa è “l’insieme di idee condivise, implicite e assunte all’interno
di un gruppo, che determina il modo in cui il gruppo percepisce, valuta e reagisce
all’ambiente esterno”.3 Questa definizione mette in luce tre caratteristiche importanti
della cultura organizzativa. Innanzitutto, si trasmette ai nuovi collaboratori attraverso la socializzazione, argomento che affronteremo più avanti in questo capitolo; in
secondo luogo, influenza il comportamento sul lavoro; infine, opera a diversi livelli.
La figura 3-1 mostra uno schema concettuale utile ad analizzare l’impatto esercitato dalla cultura organizzativa sul comportamento. Sono anche indicati i collegamenti tra questo capitolo – che tratta la cultura, la socializzazione e il mentoring
– e gli altri argomenti chiave del libro. Osservando la figura si nota come la cultura
organizzativa sia determinata da quattro componenti fondamentali: i valori dei
fondatori, il settore, la cultura nazionale e infine la visione e il comportamento del
gruppo dirigente. L’impatto della cultura nazionale sul comportamento organizzativo
è analizzato nel dettaglio nel Capitolo 4. A sua volta, la cultura influenza il tipo di
struttura organizzativa che un’azienda adotta e un vasto insieme di pratiche, politiche
e procedure messe in atto per il raggiungimento degli obiettivi organizzativi. Queste
caratteristiche influenzano a loro volta molti processi sociali e di gruppo. E infine,
questa sequenza si riflette negli atteggiamenti e nei comportamenti dei collaboratori
e in diverse manifestazioni organizzative. Nel complesso, la figura 3-1 rivela che
la cultura organizzativa è una variabile di contesto che influenza il comportamento
dell’individuo, del gruppo e dell’organizzazione nel suo insieme. È proprio per
questo motivo che abbiamo scelto di soffermarci sulla cultura organizzativa nella
parte iniziale del libro.
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3
Cultura organizzativa, socializzazione e mentoring
Antecedenti
• Valori
del fondatore
• Caratteristiche
del settore
e ambiente
economico
• Cultura nazionale
(Cap. 4)
• Visione e
comportamento
del gruppo
dirigente
(Cap. 16)
Cultura
organizzativa
• Manifestazioni
osservabili
• Valori
dichiarati
• Assunti
di base
Processi
sociali e
di gruppo
Strutture
e pratiche
organizzative
• Sistemi
premianti
(Cap. 9)
51
• Socializzazione
• Mentoring
• Processi
decisionali
(Cap. 12)
• Dinamiche
di gruppo
(Cap. 10)
• Comunicazione
(Cap. 14)
• Influenza e
empowerment
(Cap. 15)
• Leadership
(Cap. 16)
Atteggiamenti e
comportamento
collettivo
• Atteggiamenti
nei confronti
del lavoro
(Cap. 6)
• Soddisfazione
del lavoro
(Cap. 6)
• Motivatione
(Cap. 8)
Conseguenze
a livello
organizzativo
• Efficacia
(Cap. 17)
• Stress
(Cap. 17)
Figura 3-1 Uno schema concettuale per comprendere la cultura organizzativa
Fonte: da C. Ostroff, A. Kinicki, e M. Tamkins,”Organizational Culture and Climate,” Handbook of Psychology, vol 12, a cura di W.C. Burman, D.R. Ilgen e R.J. Klimoski,
pp. 565-93. Copyright © 2003. Riprodotto su autorizzazione della John Wiley & Sons.
Dinamiche della cultura organizzativa
Inizieremo questa sezione parlando dei diversi livelli della cultura organizzativa, per
capire meglio in che modo essa si consolidi e come si rifletta nelle azioni delle persone.
Poi passeremo in rassegna le quattro funzioni della cultura organizzativa, i tipi di cultura
organizzativa e le conseguenze ad essa associate.
I livelli della cultura organizzativa
La figura 3-1 illustra i tre livelli fondamentali della cultura organizzativa: manifestazioni osservabili, valori dichiarati e assunti di base. Ogni livello differisce dagli altri in
termini di visibilità e di resistenza al cambiamento; ognuno, inoltre, influenza il livello
sottostante.
Manifestazioni osservabili La cultura organizzativa è rappresentata, nel suo livello
più visibile, dalle manifestazioni osservabili. Tra gli esempi possibili troviamo gli acronimi, il modo di vestire, i premi, i miti e le storie che riguardano l’azienda, i parcheggi
riservati, l’arredamento e così via. Per esempio, la catena di hotel Ritz-Carlton ricorre
alla narrazione di storie per rafforzare una cultura incentrata sul superamento delle
aspettative dei clienti. Durante riunioni settimanali si raccontano le “storie di successo” di collaboratori che vanno al di là dei propri doveri, come riferite dai clienti stessi.
Ciascun vincitore – come per esempio un addetto alla lavanderia che ha rovistato in un
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52
Parte I
Il mondo del comportamento organizzativo
cassonetto per l’immondizia per recuperare il peluche di una piccola ospite – riceve in
premio 100 dollari.4 Questo livello include anche i comportamenti esibiti dalle singole
persone o dai gruppi. I 16 membri del team di progettazione di Google, per esempio,
partecipano ogni giorno a uno “stand-up meeting”: “Tutti coloro che lavorano a un
progetto si riuniscono e ricevono un rapido aggiornamento stando in piedi, per fare in
modo che nessuno si metta troppo comodo e non si perda tempo.”5 Gli “stand-up meeting” sono una manifestazione osservabile dell’obiettivo di Google di impegnarsi al
massimo nel lavoro e portare a termine i compiti tempestivamente. Le manifestazioni
osservabili sono molto più facili da cambiare rispetto ad aspetti meno evidenti della
cultura organizzativa.
Valori: convinzioni durature
sui modi di agire e sulle loro
conseguenze
Valori dichiarati: valori stabiliti e consuetudini che l’organizzazione privilegia
Sostenibilità: capacità di
raggiungere i propri obiettivi
senza danneggiare le generazioni future
Valori praticati: valori e consuetudini che sono messi in
atto dai collaboratori
CompOrga.indb 52
Valori dichiarati È possibile descrivere i valori attraverso cinque caratteristiche
fondamentali. “I valori (1) sono concetti o convinzioni, (2) si riferiscono a comportamenti e conseguenze desiderate, (3) non dipendono dalle situazioni, (4) guidano nella
scelta e nella valutazione dei comportamenti e degli eventi, e infine (5) sono in ordine
di importanza relativa”.6
È importante distinguere tra i valori dichiarati e i valori praticati. I valori dichiarati
sono le consuetudini e i valori esplicitati che sono privilegiati all’interno dell’organizzazione. Sono generalmente stabiliti dal fondatore di un’azienda di nuova creazione
o di piccole dimensioni oppure, nel caso di imprese più grandi, dal gruppo dirigente.
È interessante notare che molte aziende stanno sposando il valore della sostenibilità. La sostenibilità rappresenta “la capacità di un’azienda di realizzare profitti senza
sacrificare le risorse dei dipendenti, della comunità e del pianeta”.7 Alcuni ritengono
che la sostenibilità possa rappresentare una fonte di vantaggio competitivo per le
organizzazioni; per esempio, la compagnia assicurativa Safeco e Microsoft hanno
conseguito una significativa riduzione dei costi e un incremento della produttività
sovvenzionando sistemi di trasporti che incentivano i dipendenti a lasciare a casa
l’automobile.
Poiché i valori dichiarati rappresentano le aspirazioni dell’azienda che sono comunicate in modo esplicito ai collaboratori, i manager sperano che tali valori influenzino
direttamente il comportamento dei collaboratori. Purtroppo, però, tali aspirazioni non
producono automaticamente i comportamenti voluti perché non sempre le persone
passano dalle parole ai fatti. La British Petroleum (BP), per esempio, si è sempre presentata come una società che pone in primo piano la sicurezza; ciò nonostante, l’incendio
scoppiato nel 2005 alla raffineria di Texas City (Texas) è costato la vita a 15 persone; nel
2006, una perdita in un oleodotto in Alaska ha causato la dispersione di oltre 750.000 litri
di greggio nell’ambiente; nel 2010, il disastro ambientale della piattaforma petrolifera
Deepwater Horizon ha causato lo sversamento di oltre 750 milioni di litri di petrolio
nel Golfo del Messico, secondo i dati del governo americano.8
I valori praticati, invece, sono l’insieme di valori e consuetudini che si riflettono
o si traducono effettivamente nei comportamenti delle persone. Rappresentano i valori
che i dipendenti attribuiscono a un’organizzazione sulla base delle loro osservazioni di
quanto accade giorno per giorno. Howard Schultz, CEO di Starbucks, ha tentato in tutti
i modi di mettere in pratica il valore di fornire prodotti di qualità e servizio eccellente
per fronteggiare le difficoltà finanziarie incontrate dall’azienda nel 2009. In un’intervista
del 2010 ha dichiarato: “Ho fatto chiudere le caffetterie per tre ore e mezza di forma-
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3
Cultura organizzativa, socializzazione e mentoring
53
zione. Molti mi domandavano quanto sarebbe costato e gli azionisti mi chiamavano
chiedendomi se non fossi uscito di senno. Ho sempre risposto che stavamo facendo la
cosa giusta. Stavamo formando i nostri collaboratori perché avevamo dimenticato la
nostra missione, cioè l’impegno assoluto e inequivocabile per la qualità.”9
È importante ridurre il divario esistente tra i valori dichiarati e quelli praticati, perché
questi ultimi possono influenzare in modo rilevante gli atteggiamenti dei collaboratori
e la performance dell’organizzazione. Secondo un sondaggio condotto dall’Ethics Resource Center, esistono maggiori probabilità che i dipendenti adottino un comportamento
etico quando il gruppo dirigente rappresenta un buon esempio, mantiene le promesse
e tiene fede agli impegni. Il risultato è confermato da un altro studio recente condotto
su 500.000 lavoratori in oltre 85 paesi secondo il quale le organizzazioni sono dieci
volte più soggette a comportamenti non etici quando sono dotate di una cultura etica
debole.10 È evidente che, in fatto di comportamento etico, i manager devono passare
dalle parole ai fatti.
Assunti di base Gli assunti di base non sono osservabili e rappresentano il substrato della cultura organizzativa. Si tratta di valori organizzativi che sono divenuti così
scontati nel tempo da trasformarsi in ipotesi implicite che guidano il comportamento
organizzativo. La loro resistenza al cambiamento è dunque altissima. Se gli assunti di
base sono molto radicati tra le persone, queste troveranno inconcepibile qualsiasi comportamento differente. Tutti sanno, ad esempio, che la Southwest Airlines opera in base
a principi che danno molta importanza al benessere dei collaboratori e alla qualità del
servizio offerto ai clienti. I collaboratori dell’azienda sarebbero sconvolti se vedessero
i manager agire in modo da non rispettare i bisogni loro e dei clienti.
Adattamento persona-ambiente: grado di compatibilità
tra un individuo e il suo ambiente di lavoro
CompOrga.indb 53
Che cosa dice la ricerca sui livelli della cultura? Il principale spunto di riflessione
riguarda le conseguenze del cosiddetto adattamento persona-ambiente (PE fit in inglese).
Per adattamento persona-ambiente si intende “la compatibilità tra un individuo e un
ambiente di lavoro che si ottiene quando le rispettive caratteristiche si adattano bene
le une alle altre.”11 I risultati di una meta-analisi condotta su oltre 170 studi e 40.000
lavoratori hanno dimostrato che gli individui riportano una maggiore soddisfazione del
lavoro, manifestano un impegno più elevato nei confronti dell’organizzazione e meno
intenzioni di cambiare lavoro quando le loro caratteristiche personali (capacità, abilità
e personalità) e i loro valori (per esempio, integrità) corrispondono alle richieste del
lavoro, ai valori organizzativi e ai valori del gruppo di lavoro.12 Questi dati sottolineano che l’adattamento persona-ambiente è importante per la carriera e le soddisfazioni
professionali.
Ma come determinare il proprio adattamento persona-ambiente prima di accettare
un’offerta di lavoro oppure una promozione? Anzitutto occorre effettuare una valutazione dei propri punti di forza, punti di debolezza e valori; la stessa valutazione
va poi operata per l’azienda o l’unità organizzativa ricercando informazioni online
e dagli stessi dipendenti che vi lavorano. Le informazioni così ricavate servono
per elaborare un insieme di domande da porre durante il colloquio per determinare
il possibile livello di adattamento da parte nostra. Per esempio, se si attribuisce
molta importanza all’impegno, sarebbe opportuno domandare ai reclutatori come
vengono riconosciute le prestazioni; se dalla risposta emerge un legame debole tra
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Parte I
54
Il mondo del comportamento organizzativo
la prestazione e i riconoscimenti, probabilmente il livello di adattamento personaambiente è basso e un’esperienza di lavoro presso l’azienda potrebbe non essere
molto gratificante.
Quattro funzioni della cultura organizzativa
Come mostrato nella figura 3-2, una cultura organizzativa realizza quattro funzioni.
Per contestualizzare queste funzioni, proviamo a pensare come ognuna di esse si sia
manifestata alla Southwest Airlines. Quest’azienda rappresenta un esempio didattico
particolarmente utile, perché dagli inizi (nel 1971) ad oggi è cresciuta tanto da diventare
il principale vettore negli Stati Uniti, con un bilancio in attivo per 38 anni consecutivi.
Dal 1997 al 2000, Fortune ha collocato quest’azienda tra le prime cinque nella classifica delle migliori imprese in cui lavorare in America; a partire dal 2000, Southwest
ha deciso di non essere più coinvolta nella classifica. Infine, nel 2010 Southwest si è
aggiudicata il primo posto nella classifica delle 50 aziende più attente alla responsabilità
sociale d’impresa.13
1. Dare alle persone un’identità organizzativa. La Southwest Airlines ha fama d’essere un posto divertente in cui lavorare, in cui la soddisfazione dei collaboratori e
la fedeltà dei clienti sono più importanti dell’utile aziendale. Gary Kelly, CEO di
Southwest, sottolinea l’importanza di questo punto osservando che “i nostri collaFigura 3-2
Quattro funzioni della cultura
organizzativa
Fonte: adattamenti
dalla discussione in
L. Smircich,”Concepts
of Culture and Organizational
Analysis,” Administrative Science
Quarterly, settembre 1983, pp.
339-58.
Riprodotto su autorizzazione della
John Wiley & Sons, Limited.
Identità
organizzativa
Mezzo per
la costruzione
dei significati
Cultura
organizzativa
Impegno
collettivo
Stabilità
del sistema
sociale
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3
Cultura organizzativa, socializzazione e mentoring
55
boratori sono il punto di forza più importante dell’azienda e la fonte più stabile di
vantaggio competitivo nel lungo periodo.”14 L’azienda dispone inoltre di un “fondo
catastrofi”, costituito da contributi volontari e utilizzato per i collaboratori che si
trovano in una situazione personale difficile. L’identità della Southwest, con un forte
orientamento alle persone, è rinforzata dal fatto che si tratta di un datore di lavoro
“di prima scelta”. Nel 2009, ad esempio, la Southwest ha ricevuto 90.043 curriculum
e ha assunto 831 nuovi collaboratori.
2. Favorire l’impegno collettivo. La missione della Southwest Airlines “consiste
nell’impegno per la migliore qualità del servizio al cliente, accompagnato da calore,
cortesia, orgoglio individuale e spirito di gruppo”.15 Gli oltre 35.000 collaboratori
della Southwest sono impegnati in questa missione. Dalle rilevazioni sulla clientela
del Dipartimento del trasporto aereo statunitense, la Southwest è sin dal 1987 il
vettore che ha registrato meno lamentele da parte dei clienti.
3. Promuovere la stabilità dell’ambiente sociale. La stabilità dell’ambiente sociale riflette la misura in cui l’ambiente di lavoro viene percepito come positivo e motivante,
e l’efficacia con cui vengono gestiti il conflitto e il cambiamento. La Southwest è
famosa per la predominante filosofia del divertimento: i festeggiamenti e le celebrazioni sono parte integrante dell’azienda. A ogni città in cui il vettore fa scalo, ad
esempio, viene assegnato un budget per le feste. Per motivare i collaboratori, inoltre, l’azienda premia in molti modi la produttività e il servizio. Un clima positivo,
dunque, grazie anche al più basso tasso di turnover del settore dei trasporti aerei, e
all’impiego di 1164 coppie sposate.
4. Formare il comportamento aiutando le persone a dare un senso all’ambiente in
cui lavorano. Questa funzione della cultura aiuta il collaboratore a capire le scelte
aziendali e le modalità che l’organizzazione adotta per il raggiungimento degli obiettivi a lungo termine. Sapendo, ad esempio, che il gruppo dirigente della Southwest
agli inizi, nel 1971, considerava il trasporto via terra come principale concorrente,
i collaboratori riescono a capire perché l’obiettivo primario della compagnia aerea
consista nell’essere il miglior vettore a basso prezzo, ad alta frequenza, che opera
sulle tratte brevi, e in tutti gli Stati Uniti. Capiscono di dover raggiungere livelli
di performance eccezionali, come far manovra con un aereo in 20 minuti, perché
devono tenere bassi i costi per poter competere con il trasporto con i pullman e con
le automobili. A sua volta, l’azienda evidenzia l’importanza di ottenere i massimi
livelli di servizio al cliente e le sue aspettative di prestazioni di alto livello usando
premi basati sulla produttività e sistemi di condivisione degli utili. I collaboratori
possiedono circa il 5% delle azioni della compagnia.
Tipi di culture organizzative
I ricercatori di comportamento organizzativo hanno proposto tre modelli per descrivere
i vari tipi di culture organizzative: l’inventario della cultura organizzativa, il modello
dei valori competitivi (competing values framework, CVF, in inglese) e il profilo della
cultura organizzativa. Questa sezione è dedicata al modello dei valori competitivi,
perché si è dimostrato che è un approccio valido per la classificazione delle culture
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Modello dei valori competitivi: strumento per categorizzare le culture organizzative
Cultura di clan: cultura caratterizzata da focus interno ed
enfasi sulla flessibilità
Parte I
Il mondo del comportamento organizzativo
organizzative ed è il più utilizzato. È stato inoltre riconosciuto come uno dei 40 modelli
più importanti nello studio delle organizzazioni.16
Il modello dei valori competitivi è uno strumento pratico per comprendere, misurare
e modificare la cultura organizzativa. È stato sviluppato da un team di ricercatori che si
erano proposti di classificare modalità diverse di valutazione dell’efficacia organizzativa.
La ricerca dimostrava che i parametri di misurazione dell’efficacia organizzativa variano
lungo due dimensioni, o assi, fondamentali. Il primo misura quanto l’organizzazione
focalizza la sua attenzione e i suoi sforzi sulle dinamiche interne e sui collaboratori
oppure sull’ambiente esterno, sui clienti e sugli azionisti; il secondo riguarda quanto
l’organizzazione privilegia la flessibilità e la discrezionalità oppure il controllo e la
stabilità. La combinazione dei due assi consente di individuare quattro tipi di culture
organizzative basate su valori diversi e criteri distinti per conseguire l’efficacia organizzativa. Il modello dei valori competitivi è riportato nella figura 3-3.17
La figura 3-3 illustra l’orientamento strategico associato a ciascun tipo di cultura
organizzativa, i mezzi impiegati per attuarlo e i relativi fini e obiettivi. Prima di passare a
un’analisi dettagliata, è importante sottolineare che le organizzazioni possono presentare
caratteristiche associate a ciascun tipo di cultura organizzativa; premesso questo, un
tipo di cultura tende a risultare dominante rispetto agli altri. Iniziamo il nostro esame
dei tipi di cultura partendo dal quadrante in alto a sinistra del modello.
La cultura di clan Caratterizzata da focus interno ed enfasi sulla flessibilità, anziché
su stabilità e controllo, la cultura di clan dà vita a un’organizzazione di tipo familiare
nella quale si raggiunge l’efficacia favorendo la collaborazione tra i dipendenti. Questo
tipo di cultura è molto “orientata ai dipendenti” e mira a costruire la coesione mediante
il consenso e la soddisfazione del lavoro e l’impegno attraverso il coinvolgimento dei
collaboratori.
Le organizzazioni con una cultura di clan investono considerevoli risorse nell’assunzione e nello sviluppo dei dipendenti e considerano i clienti come partner.
Un buon esempio di azienda con una forte cultura di clan è Decagon Devices, basata
a Pullman (Washington), una piccola impresa nella quale il gruppo dirigente cerca di
mantenere un’atmosfera familiare. Tamsin Jolley, CEO di Decagon Devices, osserva:
“Ci piace pensare che i neoassunti siano i nuovi membri della nostra famiglia”. L’azienda
ha elaborato un piano di condivisione dei profitti che prevede la distribuzione del 20%
degli utili lordi ai dipendenti su base trimestrale.
Sono inoltre previste una serie di attività quotidiane mirate a riunire i collaboratori:
ogni mercoledì, alcuni di loro portano dei pasti preparati a casa da offrire ai colleghi
e si pranza tutti insieme. I manager colgono questa occasione per illustrare le novità
riguardanti l’azienda, presentare i nuovi assunti e insegnare ai collaboratori a leggere
i rendiconti finanziari. L’azienda promuove iniziative di socializzazione nell’ambiente
di lavoro: in ufficio ci sono un tavolo da ping pong e una pista elettrica e le partite di
calcetto durante le pause sono ormai una tradizione consolidata.18
L’azienda offre generosi benefit sanitari e organizza ogni anno picnic e feste per i collaboratori e le loro famiglie.
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Cultura organizzativa, socializzazione e mentoring
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Flessibilità e discrezionalità
Cultura di clan
Focus interno
e integrazione
Cultura adhocratica
Orientamento strategico:
collaborare
Orientamento strategico: creare
Mezzi: coesione, partecipazione
comunicazione e empowerment
Mezzi: adattabilità, creatività,
agilità, prontezza
Fini: morale, sviluppo delle
persone, coinvolgimento
Fini: innovazione, crescita,
risultati innovativi
Cultura gerarchica
Cultura di mercato
Orientamento strategico:
controllare
Orientamento strategico:
competere
Mezzi: processi efficaci, coerenza,
controllo dei processi, misurazione
Mezzi: focus sul cliente, produttività,
miglioramento della competitività
Fini: efficienza, tempestività,
regolarità del funzionamento
Fini: quota di mercato, redditività,
raggiungimento degli obiettivi
Focus esterno
e differenziazione
Stabilità e controllo
Figura 3-3 Modello dei valori competitivi
Fonte: adattato da K.S. Cameron, R.E. Quinn, J. Degraff e A.V. Thakor, Competing Values Leadership (Northampton, MA: Edward Elgar, 2006), p. 32.
Cultura adhocratica: cultura
caratterizzata da focus esterno
ed enfasi sulla flessibilità
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La cultura adhocratica Con focus esterno ed enfasi sulla flessibilità, la cultura adhocratica favorisce la creazione di prodotti e servizi innovativi mediante l’adattabilità, la
creatività e la rapidità nel rispondere ai cambiamenti del mercato. Le culture adhocratiche non si fondano sulla centralizzazione del potere e sulle relazioni di autorità tipiche
delle culture di mercato e gerarchica, ma favoriscono l’empowerment dei dipendenti
incoraggiandoli ad assumere rischi, coltivare il pensiero creativo e sperimentare nuove
modalità di svolgimento dei compiti. Questo tipo di cultura è particolarmente adatto alle
start-up, alle aziende che operano in settori in costante mutamento e a quelle operanti
in settori maturi che puntano sull’innovazione per conseguire la crescita. Esaminiamo
come queste caratteristiche culturali vengano rafforzate nell’azienda biofarmaceutica
AstraZeneca. “AstraZeneca sta sperimentano nuove modalità di organizzazione della
ricerca per migliorare la produttività. Gli scienziati restano responsabili dei farmaci
candidati fino all’inizio delle sperimentazioni finali sull’uomo; questo nuovo modo di
operare ha eliminato la consuetudine di passare i prodotti ad altri ricercatori nella prima
fase di elaborazione come in una sorta di catena di montaggio.”19 Il gruppo indiano
Tata, con oltre 90 società operative in più di 90 paesi, è un altro ottimo esempio di
organizzazione dotata di una cultura adhocratica. “Resa famosa dalla Nano, la minicar
a basso costo, Tata attribuisce una tale importanza all’innovazione da aver sviluppato
un indice apposito per misurarla, il cosiddetto ‘Innometer’. L’indice misura obiettivi e
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58
Parte I
Il mondo del comportamento organizzativo
successi nell’ambito della creatività rispetto a parametri nazionali o globali trasmettendo
un ‘senso di urgenza’ ai collaboratori.”20 Intel e Google sono altri esempi di aziende
che presentano caratteristiche culturali proprie dell’adhocrazia.
Cultura di mercato: cultura
caratterizzata da focus esterno
ed enfasi sulla stabilità
La cultura di mercato La cultura di mercato si caratterizza per un forte focus
esterno e un’enfasi sulla stabilità e il controllo. I propulsori delle organizzazioni dotate
di questo tipo di cultura sono la competitività e l’obiettivo di conseguire risultati e
raggiungere obiettivi. Poiché questo tipo di cultura è orientato all’ambiente esterno, i
clienti e gli utili hanno la precedenza sullo sviluppo e la soddisfazione dei dipendenti. Obiettivo principale dei manager è ottenere produttività, utili e soddisfazione del
cliente. Richard Branson, proprietario della compagnia aerea Virgin America, pensa
che “i vettori statunitensi sono praticamente identici l’uno all’altro e i manager che li
gestiscono non pensano affatto ai clienti. Il servizio aereo somiglia sempre più a un
servizio di autobus”. Per soddisfare i bisogni dei clienti, il vettore di Branson dispone
di una flotta di Airbus A319 e A320: oltre a essere più spaziosi, gli aeromobili sono
dotati di dispositivi di intrattenimento a ogni poltrona, accesso a Internet Wi-Fi e una
speciale illuminazione con 12 sfumature di rosa, lilla e blu.21 Il tempo dirà se questa
cultura di mercato si tradurrà in utili sostenibili.
Nelle culture di mercato, si richiede ai collaboratori di reagire rapidamente, lavorare
con impegno e portare a termine i compiti in maniera efficace e tempestiva. Le organizzazioni dotate di questo tipo di cultura tendono a premiare i collaboratori che ottengono
risultati. Byung Mo Ahn, presidente di Kia Motors, è un buon esempio di leader che
desidera promuovere una cultura di mercato: nel febbraio del 2008 ha licenziato due alti
dirigenti di Kia Motors America perché non avevano centrato gli obiettivi di vendite.
Secondo i dipendenti nordamericani, Ahn ha creato un ambiente di lavoro caratterizzato
da una forte aggressività e competitività e, secondo alcuni, militarista.22
Cultura gerarchica: cultura
caratterizzata da focus interno
ed enfasi sulla stabilità
La cultura gerarchica Il pilastro della cultura gerarchica è il controllo. Caratterizzata da un focus interno, che determina un ambiente di lavoro più formalizzato e
strutturato, la cultura gerarchica pone enfasi sulla stabilità e sul controllo, anziché sulla
flessibilità. Questo orientamento si traduce nello sviluppo di processi interni affidabili
e parametri di misurazione e nell’implementazione di una molteplicità di meccanismi
di controllo. È molto probabile che le organizzazioni dotate di questo tipo di cultura
valutino l’efficacia mediante misure di efficienza, tempestività, qualità, sicurezza e
affidabilità nella produzione ed erogazione di beni e servizi. Johnson & Johnson (J&J)
è un buon esempio del perché alcune organizzazioni scelgano di abbracciare una
cultura gerarchica. Nel 2010 gravi problemi di produzione hanno determinato il ritiro
dal mercato statunitense del Tylenol, un analgesico, e di altri farmaci da banco. “Una
relazione ispettiva della Food and Drug Administration del 30 aprile evidenzia casi di
cattiva gestione dei materiali, documentazione superficiale e scarse indagini sui reclami
dei clienti.” L’azienda ha stimato una perdita di 600 milioni di dollari nel 2010, oltre a
ricevere un duro colpo alla propria reputazione. Per risolvere il problema, è stato creato
un “team di qualità a livello aziendale e si sta procedendo a rinnovare gli stabilimenti
produttivi”, offrendo parallelamente corsi di formazione ai dipendenti.23 Il tempo dirà
se la scelta di una cultura gerarchica nelle attività produttive sarà sufficiente a risolvere
i problemi riscontrati.
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Cultura organizzativa, socializzazione e mentoring
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I tipi di culture rappresentano valori in competizione È importante notare che alcuni
tipi di culture riflettono valori fra loro opposti. Le culture in competizione si trovano
nei quadranti opposti della figura 3-3: per esempio, la cultura di clan (quadrante in
alto a sinistra) è rappresentata da valori che pongono enfasi sul focus interno e sulla
flessibilità, mentre la cultura di mercato (quadrante in basso a destra) si contraddistingue per il focus esterno e l’attenzione alla stabilità e al controllo. Lo stesso conflitto
è evidente tra la cultura adhocratica, che premia la flessibilità ed è dotata di un focus
esterno, e la cultura gerarchica, che avvalora la stabilità e il controllo ed è dotata di
un focus interno.
Perché queste contraddizioni sono importanti? Lo sono perché il successo di un’organizzazione potrebbe dipendere dalla sua capacità di scegliere valori fondamentali
associati a tipi di culture in competizione. Impresa difficile, ma non impossibile; 3M
è un buon esempio in proposito, perché sta cercando di unire le caratteristiche della
cultura adhocratica a quelle della cultura gerarchica. In linea con i valori della cultura
adhocratica, nel 2009 3M ha lanciato 1000 nuovi prodotti e “distribuisce ogni anno ai
propri scienziati i Genesis Grant, finanziamenti di ammontare fino a 100.000 dollari,
da destinare alla ricerca. I fondi vengono assegnati dai colleghi e investiti in progetti
sui quali ‘nessun dipendente assennato e tradizionalista’ punterebbe”, afferma Chris
Holmes, vicepresidente di divisione. 3M ha anche coltivato una cultura gerarchica
implementando tecniche di gestione della qualità mirate a ridurre sprechi e difetti
e accrescere l’efficienza. Nonostante l’azienda abbia migliorato l’efficienza e registrato utili nel breve periodo, i profitti derivanti dai nuovi prodotti sono diminuiti e
gli scienziati hanno puntato il dito contro le iniziative legate alla qualità, sostenendo
che soffocavano l’innovazione. Come ha commentato un ingegnere, “è veramente
difficile programmare le invenzioni”. Messo al corrente del conflitto culturale, il CEO
George Buckley ha deciso di attenuarlo all’interno dei laboratori togliendo enfasi alle
politiche e alle procedure gerarchiche e caldeggiando quelle legate all’adhocrazia.
L’azienda continua a porre in primo piano la qualità e l’affidabilità nei suoi stabilimenti produttivi. Ad oggi i risultati indicano che la transizione è andata a buon fine:
nel 2010 l’azienda ha centrato sia gli obiettivi di efficienza sia quelli legati ai profitti
derivanti dai nuovi prodotti.24
Le conseguenze associate alla cultura organizzativa
È opinione sia dei manager sia degli studiosi di matrice accademica che la cultura organizzativa possa determinare gli atteggiamenti dei dipendenti, l’efficacia e la performance
di un’organizzazione. Al fine di verificare questa ipotesi, sono state messe in relazione
diverse misure della cultura organizzativa con risultati individuali e organizzativi. Che
cosa si è riscontrato? Di recente un team di ricercatori ha condotto una meta-analisi
di 93 studi incentrati su oltre 1100 aziende. I risultati sono riportati nella figura 3-4.25
La figura mostra la forza della relazione tra otto conseguenze a livello organizzativo
e le tipologie culturali del clan, dell’adhocrazia e del mercato. La cultura gerarchica è
stata tralasciata per carenza di ricerche in merito. Un esame più attento della Figura 3-4
consente di trarre le seguenti cinque conclusioni:
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Parte I
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Il mondo del comportamento organizzativo
1. La cultura organizzativa è chiaramente correlata a misure di efficacia organizzativa,
a conferma che può rappresentare una fonte di vantaggio competitivo.
2. I dipendenti sono più soddisfatti e mostrano un maggiore coinvolgimento verso le
organizzazioni con una cultura di clan. Questi risultati suggeriscono che gli individui preferiscono lavorare in organizzazioni che avvalorano la flessibilità, anziché
la stabilità e il controllo, e sono più attente a soddisfare i bisogni dei collaboratori
anziché i desideri dei clienti e degli azionisti.
3. È possibile promuovere l’innovazione e la qualità sviluppando all’interno dell’organizzazione caratteristiche associate alle culture di clan, adhocratica e di mercato.
4. I risultati economici di un’organizzazione (per esempio, la crescita dei profitti e del
fatturato) non sono fortemente correlati alla cultura organizzativa. Pertanto i manager
non dovrebbero aspettarsi di migliorare le performance finanziarie solo modificando
la cultura dell’organizzazione.
5. Le aziende dotate di una cultura di mercato tendono a ottenere conseguenze più
positive a livello organizzativo. I manager dovrebbero valutare come rendere più
orientata al mercato la cultura della propria organizzazione.
I ricercatori hanno anche studiato l’importanza della cultura organizzativa nel caso di una
fusione, scoprendo che un’alta percentuale di fallimenti nelle fusioni tra aziende è dovuta
all’incompatibilità culturale. Dato il numero sempre maggiore di fusioni aziendali nel
mondo, e considerando che esse falliscono 7 volte su 10, non mantenendo le promesse
Fonte: dati ottenuti da C.A.
Hartnell, A.Y. Ou e A.J. Kinicki,
“Organizational Culture and
Organizational Effectiveness: A
Meta-Analytic Investigation of the
Competing Values Framework’s
Theoretical Suppositions,” Journal
of Applied Psychology, luglio
2011, pp 677-694.
Soddisfazione
del lavoro
Commitment
verso l’organizzazione
Innovazione
soggettiva
Variabli
Figura 3-4
Risultati correlati alla cultura
organizzativa
Qualità dei prodotti
e dei servizi
Utili soggettivi
Crescita soggettiva
Utili oggettivi
Crescita oggettiva
Non significativa
Cultura di clan
CompOrga.indb 60
Debole
Moderata
Forza della relazione
Cultura adhocratica
Forte
Cultura di mercato
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3
Cultura organizzativa, socializzazione e mentoring
61
economiche iniziali, sarebbe auspicabile che i manager delle aziende considerassero il
ruolo della cultura organizzativa nella creazione di una nuova organizzazione.26
Nel loro insieme, questi risultati della ricerca evidenziano l’importanza della cultura
organizzativa e sottolineano la necessità di conoscere meglio il processo di costruzione
e di cambiamento della cultura di un’organizzazione. Essa, infatti, non nasce per caso:
si forma e si definisce dalla combinazione e dall’integrazione di tutti coloro che vi
lavorano. Una cultura resistente al cambiamento, ad esempio, può minare l’efficacia
di qualsiasi tipo di cambiamento organizzativo. Modificare la cultura non è certo un
compito facile; nel prossimo paragrafo cercheremo di fornire delle linee guida su come
avviare un cambiamento culturale.
Il processo di cambiamento culturale
Visione: obiettivo a lungo
termine che descrive “cosa”
un’azienda vuole diventare
Prima di esaminare nel dettaglio le modalità attraverso le quali i manager possono
modificare la cultura organizzativa, è importante ricordare quattro importanti considerazioni sul cambiamento culturale. La prima: i leader sono gli architetti e gli artefici della
cultura organizzativa e la gestione della stessa è una delle funzioni di leadership più
importanti.27 La seconda: il processo del cambiamento culturale inizia essenzialmente
con l’individuazione dei tre livelli della cultura organizzativa precedentemente esaminati,
cioè le manifestazioni osservabili, i valori dichiarati e gli assunti di base.28 La terza: è
importante valutare in che misura la cultura adottata si allinea alla visione e al piano
strategico prima di tentare di modificarne qualsiasi aspetto. Una visione rappresenta un
obiettivo a lungo termine che descrive “cosa” un’organizzazione vuole diventare. Per
esempio, la visione iniziale di Walt Disney per Disneyland era la seguente:
Disneyland sarà un luna park, un’esposizione, un’area di svago, un centro ricreativo, un
museo vivente e un monumento alla bellezza e alla magia. Conterrà tutti i successi, le
gioie e le speranze del mondo in cui viviamo. Ci mostrerà e ci ricorderà come rendere
queste meraviglie parte della nostra vita.29
Piano strategico: piano a
lungo termine che delinea le
azioni necessarie per raggiungere i risultati desiderati
Un piano strategico delinea gli obiettivi a lungo termine dell’organizzazione e le strategie necessarie per raggiungerli. Mark Fields, vicepresidente esecutivo di Ford Motor
Company e presidente per le Americhe, è fermamente convinto che deve esistere un
allineamento tra cultura, visione e piani strategici: “La cultura si nutre della strategia.
Si può contare sul piano strategico più brillante al mondo, ma se la cultura non lo favorisce, resterà sulla carta.”30
Infine, nell’attuazione di un cambiamento culturale, è importate ricorrere a un approccio strutturato. Nel Capitolo 17 passeremo in rassegna svariati modelli con passi
specifici da seguire per attuare qualsiasi tipo di cambiamento organizzativo.
Passiamo ora a esaminare metodi e tecniche che i manager possono seguire per
modificare la cultura organizzativa.
Edgar Schein, un famoso studioso di comportamento organizzativo, sostiene che il
radicamento di una cultura implica un processo di apprendimento. In altre parole, i componenti dell’organizzazione insegnano gli uni agli altri quali siano i valori di riferimento
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Parte I
Il mondo del comportamento organizzativo
dell’azienda, le regole implicite, le aspettative e i comportamenti. Questo passaggio di
conoscenze avviene attraverso uno o più dei seguenti percorsi:31
1. Affermazioni formali relative alla filosofia aziendale, la missione, la visione e i
valori; materiali utilizzati nella ricerca, nella selezione e nella socializzazione del
reclutamento persone. Sam Walton, il fondatore di Walmart, ha stabilito tre valori
fondamentali che rappresentano il nocciolo della cultura organizzativa: (a) rispetto
per l’individuo, (b) servizio ai clienti e (c) aspirazione all’eccellenza.
2. L’organizzazione dello spazio fisico, gli ambienti di lavoro e gli edifici. Novartis
AG, basata a Basilea (Svizzera), ha progettato gli ambienti degli uffici in modo
da favorire la collaborazione con “spazi di lavoro comuni, divani, illuminazione
soffusa e macchinette per il caffè che facilitano il dialogo, la condivisione di idee e
l’instaurazione di rapporti sociali”. L’azienda ha anche investito in computer portatili
per i dipendenti, che sono così liberi di spostarsi dalla loro scrivania.32
3. Slogan, linguaggio, acronimi e modi di dire. Robert Mittelstaedt, preside della W.P.
Carey School of Business della Arizona State University, promuove la sua visione di
creare una delle migliori business school al mondo attraverso lo slogan “Top-of-mind
business school” e incoraggia i dipendenti a impegnarsi in attività per promuovere
la qualità e la reputazione dei programmi accademici.
4. Creazione esplicita di modelli a cui ispirarsi, percorsi di formazione, insegnamento
e affiancamento da parte di manager e supervisori. Fluor Corporation, una delle
principali società appaltatrici al mondo operante nel settore ingegneristico e del
design, punta a una cultura etica per contrastare la corruzione nel settore edilizio.
La società, che ricava all’estero oltre la metà del fatturato di 17 miliardi di dollari,
sottopone tutti i dipendenti a sessioni di formazione online anticorruzione e offre
corsi in presenza ai lavoratori specializzati, come gli operatori sul campo. I dirigenti
promuovono una politica della porta aperta e una hotline per la denuncia di illeciti,
penalizzando pesantemente le infrazioni.33
5. Premi, status symbol (ad esempio titoli) e criteri di promozione. Alla Triage Consulting Group, i dipendenti di pari livello di carriera percepiscono lo stesso stipendio,
ma possono ricevere bonus per merito, una politica che consolida la cultura del
successo. I bonus per merito vengono assegnati basandosi sul giudizio dei colleghi
su chi abbia apportato il maggiore contributo al successo dell’azienda. Gli assegnatari dei bonus vengono presentati ufficialmente in occasione della riunione annuale
“State of Triage”.34
6. Storie, leggende o miti riguardanti persone ed eventi fondamentali per l’azienda.
Marriott ricorre alle storie per rafforzare la propria cultura. Ed Fuller, responsabile
degli hotel in tutto il mondo per Marriott International, forma i collaboratori sulla
correttezza nella gestione degli avanzamenti di carriera raccontando che lui stesso e un
altro alto dirigente hanno iniziato la carriera come vigilante e cameriere.35 I manager
possono creare storie motivanti prendendo spunto da fatti significativi associabili ai
valori; un’ottima fonte di storie sono i clienti. Occorre ricordare che è importante
raccontare episodi autentici perché potrebbero essere sottoposti a verifiche.
7. Attività, processi, risultati che i leader osservano, misurano e controllano. Quando
Ron Sargent ha assunto il ruolo di CEO di Staples, si è posto l’obiettivo di accrescere il focus sul servizio ai clienti. Indagando per individuare i valori già seguiti
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3
Cultura organizzativa, socializzazione e mentoring
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dai collaboratori, ha rilevato che uno di questi era l’altruismo. Sargent ha quindi
fatto leva su questo valore per sviluppare le capacità di servizio ai clienti, fornendo
informazioni più approfondite sui prodotti ai collaboratori e assegnando bonus per le
prestazioni di team. Inoltre, Sargent si reca spesso in visita nei negozi per dialogare
direttamente con i dipendenti sulle preferenze dei clienti.36
8. Reazione dei leader di fronte a incidenti gravi per l’azienda e a crisi organizzative.
Il nuovo CEO della BP Bob Dudley, nominato dopo l’incidente nel Golfo del Messico, ha reagito tempestivamente alle critiche secondo le quali la società attribuisce
maggiore importanza ai profitti e all’efficienza che alla sicurezza. Ha inviato un
promemoria a tutti i dipendenti comunicando che “la sicurezza sarà l’unico criterio
per il riconoscimento delle prestazioni dei dipendenti durante il quarto trimestre”.37
Questa politica dovrà essere estesa al lungo termine se l’azienda punta a modificare
gli assunti di base dei collaboratori.
9. Struttura organizzativa e gerarchia. Le strutture gerarchiche sono più orientate al
controllo e all’autorità rispetto alle organizzazioni orizzontali. Molti dirigenti tendono
a ridurre il numero di livelli all’interno della propria organizzazione nel tentativo
di responsabilizzare i collaboratori e incrementare il loro impegno. Novartis è un
chiaro esempio: la società ha modificato la struttura organizzativa per promuovere
la creatività e la produttività associate alle culture adhocratica e di mercato. “I leader
stanno ottenendo buoni risultati dai team transfunzionali di sviluppo del prodotto.
Anche la rotazione delle mansioni e la formazione trasversale stanno facendo segnare
buoni successi. La creazione di opportunità informali di networking può apparire
banale, ma sono state riscontrate prove evidenti che le relazioni determinano un
notevole impatto sulla produttività e la creatività.”38
10. Sistemi e procedure organizzative. Le aziende fanno un uso sempre più ampio di reti
elettroniche per favorire la collaborazione tra i dipendenti e conseguire innovazione,
qualità ed efficienza. Per esempio, Serena Software, una società californiana con
800 dipendenti in 14 paesi, ha incoraggiato i collaboratori a iscriversi a Facebook
e servirsene per conoscere meglio i colleghi. Dow Chemical ha invece lanciato un
social network interno per favorire i rapporti tra i dipendenti attuali e gli ex dipendenti.39
11. Obiettivi organizzativi e relativi criteri per la ricerca, la selezione, lo sviluppo, le
promozioni, i licenziamenti e il pensionamento del personale. Zappos, al quindicesimo posto nella classifica Fortune delle migliori aziende per cui lavorare negli
Stati Uniti nel 2009, investe molto tempo nella ricerca di nuovi dipendenti che si
integrino bene nella sua cultura di clan.
Il processo di socializzazione organizzativa
Socializzazione organizzativa: processo attraverso cui le
persone apprendono i valori, le
consuetudini e i comportamenti richiesti di un’organizzazione
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Si definisce socializzazione organizzativa “il processo tramite il quale un individuo
apprende valori, consuetudini e comportamenti richiesti che gli permettono di essere
parte integrante dell’organizzazione”.40 Come abbiamo già detto, la socializzazione
organizzativa è un meccanismo fondamentale che le organizzazioni utilizzano per
radicare le loro culture tra le persone. Riassumendo, la socializzazione organizzativa
trasforma elementi esterni all’azienda in elementi perfettamente integrati, promuoven-
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64
Parte I
Il mondo del comportamento organizzativo
do e sostenendo i valori e le convinzioni che stanno alla base dell’organizzazione. In
questo paragrafo introduciamo un modello di socializzazione organizzativa a tre fasi.
Un modello di socializzazione organizzativa a tre fasi
Il primo anno all’interno di un’organizzazione complessa può creare confusione in un
individuo. C’è un avvicendarsi continuo di volti nuovi, si parla uno strano gergo, vi sono
aspettative in conflitto, accadono eventi privi di connessione. Alcune organizzazioni
trattano i nuovi arrivati in modo piuttosto casuale, del tipo “se sei capace nuota, altrimenti
affoga pure”. Più propriamente, però, il processo di socializzazione è caratterizzato da
una sequenza di fasi ben precise.
Daniel Feldman, un ricercatore di comportamento organizzativo, ha proposto un
modello di socializzazione organizzativa in tre fasi, che permette una comprensione più
approfondita di questo fondamentale processo. Come si può vedere nella figura 3-5, le
tre fasi sono (1) la socializzazione anticipatrice, (2) l’incontro e (3) il cambiamento e
l’integrazione. A ogni fase si associano dei processi percettivi e sociali. Il modello di
Feldman specifica anche i comportamenti e le emozioni che è possibile osservare per
valutare la misura in cui un individuo si è integrato nell’azienda. Il completamento delle
tre fasi del processo può richiedere poche settimane o anche un anno intero, a seconda
delle diversità individuali e della complessità della situazione.
Socializzazione anticipatrice: avviene prima che l’individuo entri a far parte di
un’organizzazione, e include
tutte le informazioni acquisite su carriere, occupazioni,
professioni
Presentazione realistica
del lavoro: spiega gli aspetti
positivi e negativi di un posto
di lavoro
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Fase 1: socializzazione anticipatrice La socializzazione anticipatrice ha luogo prima
che l’individuo entri effettivamente a far parte dell’organizzazione. Rientrano in questo
fenomeno tutte le informazioni che l’individuo ha acquisito su carriere, occupazioni,
professioni e organizzazioni. Le informazioni che costruiscono la socializzazione anticipatrice provengono da diverse fonti, tra cui, una delle più significative, i dipendenti
di un’organizzazione. Anche Internet e i social media sono fonti importanti di informazioni. PricewaterhouseCoopers(PwC), la più grande società di servizi professionali a
livello mondiale, si avvale di svariate risorse web per attrarre potenziali dipendenti. “La
strategia di identificazione precoce della PwC è supportata dal sito web pwc.tv, dalla
rivista Feed Your Future (scaricabile alla pagina pwc.tv, racconta le vite e le carriere
dei professionisti di PwC) e Leadership Adventure, programmi di apprendimento in
presenza incentrati sul Comportamenti PwC.”41
Nella fase 1 vengono spesso formulate aspettative non realistiche sul tipo di lavoro,
sullo stipendio e sulle promozioni; poiché gli individui con aspettative eccessive sono
quelli che con maggiore probabilità abbandoneranno il lavoro in seguito, le organizzazioni utilizzano talvolta le cosiddette presentazioni realistiche del lavoro, che consistono
nel dare al candidato un’immagine veritiera di quello che lo aspetterà, descrivendo
sia gli aspetti positivi del posto di lavoro sia quelli negativi. Whirlpool, per esempio,
utilizza il sito dedicato alle carriere per pubblicare commenti schietti dei dipendenti
su come sia il lavoro in azienda.42 Queste presentazioni possono essere comunicate
oralmente, sotto forma scritta, elettronica, di audiovisivo o durante un corso pratico. La
ricerca conferma i benefici pratici derivanti dall’uso di queste “anteprime”: uno studio
condotto su 40 di queste ha rivelato che erano correlate con un livello di performance
più alto e minori attriti durante il processo di ricerca del personale. Da questa ricerca è
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3
Cultura organizzativa, socializzazione e mentoring
65
Individuo esterno all’organizzazione
Fasi
Processi sociali e percettivi
• Previsione della realtà interna all’organizzazione
e al nuovo lavoro
• Previsione delle competenze e abilità richieste
dall’organizzazione
• Previsione della sensibilità dell’organizzazione
verso necessità e valori del singolo
1. Socializzazione anticipatrice
Apprendimento che avviene prima
di entrare a far parte dell’organizzazione
• Gestione di conflitti tra stile di vita e lavoro
• Gestione di conflitti di ruolo all’interno
del gruppo di lavoro
• Ricerca di chiarezza e di definizione
del proprio ruolo
• Familiarizzazione con dinamiche di lavoro
e di gruppo
2. Incontro
Valori, competenze e atteggiamenti iniziano
a cambiare man mano che il neo-assunto
scopre come è l’organizzazione in realtà
3. Cambiamento e integrazione
Il collaboratore gestisce abilità e ruoli
e si adatta a valori e norme del gruppo
Effetti sul comportamento
• Esegue gli incarichi assegnati
in base al proprio ruolo
• Rimane nell’organizzazione
• Apporta innovazioni
e coopera in modo spontaneo
• Risoluzione di richieste concorrenti
• Gestione competenze di obiettivi critici
• Acquisizione di norme e valori di gruppo
Individuo
inserito
Effetti sulle emozioni
• È generalmente soddisfatto
• È internamente motivato al lavoro
• È fortemente coinvolto dal suo lavoro
Figura 3-5 Un modello di socializzazione organizzativai
Fonte: adattamento da D.C. Feldman, “The Multiple Socialization of Organization Members,” Academy of Management Review, aprile 1981, pp. 309-18..
emerso inoltre che queste presentazioni contribuivano a diminuire le aspettative iniziali
dei candidati all’assunzione, riducendo il livello di turnover tra coloro che poi erano
effettivamente assunti.43
Incontro: gli individui capiscono com’è nella realtà l’organizzazione e rivedono le loro
aspettative
CompOrga.indb 65
Fase 2: incontro Questa seconda fase inizia con la firma del contratto d’assunzione.
La fase dell’incontro permette al dipendente di conoscere il vero aspetto dell’azienda.
Si tratta di un periodo utile a riconciliare le aspettative non soddisfatte, in cui l’individuo
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Parte I
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Onboarding: programmi mirati ad aiutare i neo-assunti a
integrarsi nel nuovo ambiente
di lavoro
Cambiamento e integrazione: al dipendente è richiesto di
gestire compiti e ruoli e adattarsi a valori e consuetudini del
proprio gruppo
Il mondo del comportamento organizzativo
dovrebbe capire il nuovo ambiente di lavoro. Molte aziende ricorrono a una combinazione di orientamento e programmi di formazione per favorire il processo di socializzazione dei dipendenti durante la fase dell’incontro, tra cui l’onboarding. I programmi
di onboarding aiutano i neo assunti a integrarsi e assimilarsi nel nuovo ambiente di
lavoro familiarizzandoli con le norme, le procedure, la cultura e la politica aziendali e
chiarendo le aspettative e le responsabilità legate al ruolo di lavoro.44
Fase 3: cambiamento e integrazione La fase di cambiamento e integrazione richiede
all’individuo la capacità di gestire obiettivi e ruoli importanti e di adattarsi a valori e
consuetudini del suo gruppo di lavoro. Ciò è possibile solo quando i dipendenti hanno
una visione chiara del proprio ruolo (la chiarezza del ruolo è esaminata nel Capitolo 10)
e sono efficacemente integrati nell’unità di lavoro. Per il successo della fase 3 è importante che i collaboratori abbiano ben chiaro come utilizzare i social media. È semplice
cadere in errore quando non si conoscono le aspettative legate alla navigazione in rete,
all’invio di SMS durante le riunioni o all’utilizzo delle attrezzature dell’azienda per
messaggi privati. Gli esperti consigliano di illustrare le regole di base il primo giorno
di lavoro, fare coaching dei dipendenti sulle norme e illustrare come le linee guida sono
mutate nel tempo.45 Inoltre, organizzazioni come Schlumberger, una grande società
Tabella 3-1 Strategie di socializzazione
Strategia
Descrizione
Collettiva vs. individuale
La socializzazione collettiva consiste nel riunire i neo-assunti e proporre al gruppo esperienze
comuni, anziché lasciare che ciascuno viva un’esperienza isolata.
La socializzazione formale prevede che il neo-assunto venga separato dagli altri membri
dell’organizzazione per tutto il periodo di socializzazione; il contrario consiste nel non distinguere
in modo chiaro il nuovo arrivato dai membri più esperti del gruppo. Le reclute dell’esercito, ad
esempio, sono tenute a frequentare dei campi di addestramento specifici prima di lavorare a fianco
dei veri soldati.
La socializzazione sequenziale prevede una serie di passi successivi che culminano nel
raggiungimento del ruolo assegnato, mentre il suo contrario sarebbe una progressione ambigua o
dinamica. La socializzazione dei medici, ad esempio, prevede una sequenza obbligata che va dalla
facoltà di medicina, all’internato, alla copertura di un incarico stabile in ospedale: solo a questo
punto il medico apre uno studio per conto proprio.
La socializzazione fissa stabilisce una tabella di marcia precisa per l’assunzione di un determinato
incarico, mentre un processo variabile di socializzazione non prevede tempi rigidi. Gli studenti
universitari americani rimangono in genere un anno come matricole (“freshmen”), per poi diventare
“sophomore”, “junior” e infine “senior”.
In un processo seriale il nuovo arrivato viene accompagnato nella socializzazione da un membro più
anziano, mentre in un processo disgiuntivo non viene utilizzato alcun modello cui ispirarsi.
L’investitura prevede l’affermazione dell’identità specifica e delle competenze del ruolo che il nuovo
assunto dovrà ricoprire. La privazione esercitata sul neo-assunto è la negazione di se stesso e delle
ricostruzione della propria identità all’interno dell’organizzazione. Durante l’addestramento di
polizia, i cadetti devono indossare l’uniforme e avere sempre un aspetto perfetto: vengono chiamati
“ufficiali” e viene loro detto che non sono più semplici cittadini, ma rappresentanti delle forze di
polizia.
Formale vs. informale
Sequenziale vs. casuale
Fissa vs. variabile
Seriale vs. disgiuntiva
Investitura vs. privazione
Fonte: descrizioni tratte da B.E. Ashforth, Role Transitions in Organizational Life: An Identity-Based Perspective (Mahwah, NJ: Lawrence Erlbaum Associates, 2001), pp.
149-83.
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3
Cultura organizzativa, socializzazione e mentoring
67
petrolifera multinazionale, utilizzano gli incentivi e le occasioni sociali per rafforzare
i nuovi comportamenti attesi dai dipendenti.
L’azienda sta gradualmente modificando la sua vecchia cultura sovietica dell’accusa.
Luc Ollivier, un cinquantenne francese, è stato nominato responsabile delle operazioni
regionali di Siberian Geophysical. Il suo obiettivo è premiare le prestazioni e, aspetto
ancora più importante, eliminare sistematicamente gli errori anziché limitarsi a punire
chi li ha commessi. Secondo Ollivier, i trivellatori veterani dell’azienda hanno grande
esperienza, “ma non amano insegnare ai giovani”. Per questo motivo, sta tentando di
instaurare rapporti migliori mediante grandi riunioni della durata di un giorno che si
concludono con un giro di birre. Ollivier afferma che il ritmo del lavoro è aumentato
di oltre il 30% negli ultimi due anni e gli utili delle trivellature di Siberian Geophysical
hanno toccato i 250 milioni di dollari l’anno scorso [nel 2007], circa il doppio rispetto
al 2006.46
Nella tabella 3-1 sono elencate una serie di strategie di socializzazione utilizzate dalle
organizzazioni per aiutare i collaboratori a superare questa fase di adattamento. Riferendovi alla tabella, riuscite a identificare le strategie di socializzazione utilizzate dalla
Schlumberger?
Radicare la cultura organizzativa
attraverso il mentoring
Mentoring: l’istituzione e il
mantenimento di relazioni
costruttive tra un mentore e
un discepolo
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La parola mentore deriva dal nome di un personaggio dell’Odissea, l’uomo a cui Ulisse
affidò il piccolo Telemaco prima di partire per la guerra di Troia. Il mentore, dunque, è
una sorta di maestro o guida. Si definisce mentoring il processo di costruzione e mantenimento di relazioni intense e durature tra una o più persone che svolgono il ruolo di
mentore (ossia offrono sostegno professionale e psicologico) e un giovane, spesso, ma
non necessariamente, un neo-assunto in un’organizzazione (mentee).47 Il mentoring,
qualora i mentori e i mentee lavorino all’interno della stessa organizzazione, può essere
utile per radicarne la cultura, per due ragioni. Innanzitutto, il mentoring contribuisce a
creare un senso di unità, promuovendo l’accettazione dei valori fondamentali dell’organizzazione a tutti i suoi livelli. In secondo luogo, l’aspetto di socializzazione proprio
del mentoring favorisce anche il senso di appartenenza.
Il mentoring non è importante solo come strategia per il radicamento della cultura
organizzativa: dalle ricerche svolte emerge infatti che esso può influire in modo significativo sulla carriera del mentee. Una meta-analisi ha rivelato che i collaboratori seguiti
da un mentore ricevevano un compenso più alto e più promozioni rispetto a quelli che
non lo erano sati. Inoltre, i collaboratori seguiti da un mentore possiedono una maggiore
conoscenza organizzativa, evidenziano prestazioni migliori e uno stipendio più alto
con il passare del tempo.48 Ci occuperemo in questa sezione di come trarre vantaggio
dal mentoring. Prima di tutto ne analizzeremo le funzioni, poi passeremo alle reti di
sviluppo che ne costituiscono la base, per parlare infine delle implicazioni personali e
organizzative.
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Parte I
Il mondo del comportamento organizzativo
Funzioni del mentoring
Kathy Kram, ricercatrice alla Boston University, ha intervistato in modo approfondito
18 coppie composte da un manager senior (mentore) e da un manager junior (mentee). Nel corso della sua ricerca la Kram ha identificato due tipologie di funzioni del
processo di mentoring: le funzioni legate alla carriera e quelle psicosociali. Le cinque
funzioni del mentoring legate alla carriera, che favoriscono lo sviluppo professionale
del collaboratore, sono: la sponsorizzazione da parte di un superiore, l’esposizione e la
visibilità, il sostegno, la protezione e l’assegnazione di obiettivi complessi. Le quattro
funzioni psicosociali sono: l’esemplificazione di un modello di ruolo, l’accettazione e
la conferma, la distribuzione di consigli utili, l’amicizia. Le funzioni psicosociali hanno contribuito a costruire le identità lavorative dei partecipanti e a migliorare le loro
percezioni sulle proprie competenze.49
Network per lo sviluppo alla base del mentoring
Diversità delle relazioni di
sviluppo: varietà di persone
cui un individuo si rivolge per
ricevere assistenza
Forza delle relazioni di sviluppo: qualità delle relazioni
tra un individuo e le persone
nella sua rete di sviluppo
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Un tempo si pensava che il mentoring fosse principalmente appannaggio di una singola persona, che era per l’appunto detta “mentore”. Ma attualmente la tecnologia in
continuo cambiamento, le strutture organizzative e le dinamiche dei mercati richiedono
agli individui di procurarsi informazioni e sostegno per la propria carriera da molte
fonti diverse. Ora si considera il mentoring come un processo in cui i giovani ricercano
una guida per il proprio sviluppo all’interno di un network di persone. Lo slogan di
McKinsey & Company per gli associate è “Costruisci la tua McKinsey”: la società di
consulenza incoraggia i dipendenti a identificare partner, colleghi e collaboratori con
obiettivi e interessi simili, in modo da aiutarsi l’uno l’altro a sviluppare le competenze.
Ogni associate è quindi responsabile dello sviluppo delle propria carriera e del mentoring dei colleghi. Come riconosciuto dall’approccio McKinsey, la diversità e la forza
della rete di relazioni di ogni individuo sono funzionali all’ottenimento del sostegno di
cui questi ha bisogno per gestire il proprio percorso professionale.50 In figura 3-6 sono
rappresentate diverse tipologia di network di sostegno basate sull’integrazione di due
caratteristiche: la diversità e la forza delle relazioni.51
La diversità delle relazioni di sviluppo riflette la varietà di persone all’interno di
una struttura cui l’individuo si riferisce per ricevere assistenza. Ci sono due componenti
associate alla diversità: (1) il numero di persone con cui l’individuo è connesso e (2)
la varietà dei differenti sistemi sociali da cui derivano le sue relazioni (ad esempio
l’azienda, la scuola, la famiglia, la comunità, le associazioni professionali e i gruppi
religiosi). Come si può vedere nella figura 3-6, la diversità delle relazioni di sviluppo
può variare da bassa (poche persone o sistemi sociali) ad alta (numerose persone o
sistemi sociali).
La forza delle relazioni di sviluppo riflette la qualità delle relazioni tra un individuo e le persone coinvolte nella sua rete di sviluppo. Ad esempio, legami forti indicano
rapporti basati su interazioni frequenti, reciprocità e sentimenti positivi; i legami deboli, invece, sono associati a relazioni più superficiali. La diversità e l’intensità delle
relazioni di sviluppo danno vita nel loro insieme a quattro tipologie di reti (vedi figura
3-6): ricettiva, tradizionale, imprenditoriale e opportunistica.
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3
Cultura organizzativa, socializzazione e mentoring
Figura 3-6
Reti di sviluppo associate
al processo
di mentoring
Forza delle relazioni di sviluppo
Legami deboli
Legami forti
Diversità delle relazioni di sviluppo
Fonte: M. Higgins e K. Kram,
“Reconceptualizing Mentoring
at Work: A Developmental
Network Perspective,” Academy
of Management Review, April
2001, p. 270.
69
M2
M2
Bassa
M1
M1
P
P
Tradizionale
Ricettiva
M2
M1
M1
M2
Alta
P
P
M4
M3
M4
M3
Opportunistica
Imprenditoriale
Legenda: M, mentore; P, protegé
Una rete ricettiva si compone di pochi legami deboli derivanti da un unico sistema
sociale, ad esempio quello del datore di lavoro o di un’associazione professionale.
L’ovale che circonda M1 e M2 nella figura 3-6 indica appunto due attori provenienti
dallo stesso sistema sociale. Una rete di tipo tradizionale, invece, contiene pochi legami
forti tra un dipendente e degli attori appartenenti a uno stesso sistema sociale. La rete
di tipo imprenditoriale è la tipologia più forte tra le reti di sviluppo, ed è composta da
legami forti con numerosi attori (M1-M4) provenienti da sistemi sociali diversi. Infine,
la rete di tipo opportunistico ha in genere legami deboli con numerosi attori provenienti
da sistemi sociali differenti.
Implicazioni personali e organizzative
Ci sono cinque implicazioni a livello personale da prendere in considerazione. Innanzitutto, è importante sviluppare un’ampia rete di sviluppo perché il numero e la qualità dei
contatti possono incidere sul futuro successo professionale. In secondo luogo, la soddisfazione sul lavoro e il percorso di carriera sono facilmente influenzati dalla coerenza
tra gli obiettivi di carriera che un individuo si pone e il tipo di rete per lo sviluppo di
carriera che ha a disposizione. Ad esempio: chi si trova in un network di tipo imprenditoriale avrà maggiori opportunità di affrontare dei cambiamenti all’interno del proprio
percorso professionale e di beneficiare di un apprendimento personalizzato rispetto a un
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Parte I
Il mondo del comportamento organizzativo
collega che ha a disposizione una rete di tipo ricettivo, tradizionale od opportunistico.
Se vi sembra una prospettiva interessante, dovreste cercare di aumentare la diversità e
la forza delle vostre relazioni per lo sviluppo di carriera. Al contrario, è più probabile
registrare bassi tassi di soddisfazione lavorativa nei casi in cui i collaboratori, trovandosi
a disposizione reti di sviluppo di tipo ricettivo, aspirino a un avanzamento di carriera
all’interno di organizzazioni a più livelli. Le reti di sviluppo di tipo ricettivo possono
però rivelarsi soddisfacenti per persone che non aspirino a particolari avanzamenti di
carriera.52
In terzo luogo, la volontà di un mentore di fornire assistenza professionale e psicosociale al suo mentee è legata alle capacità di quest’ultimo di costruire una solida
relazione interpersonale.53 Le ricerche dimostrano che la qualità della relazione di
mentoring può essere più elevata quando le parti coinvolte presentano valori e caratteristiche personali simili.54 È quindi necessario prendersi la responsabilità di migliorare
le proprie competenze e abilità nel costruire la propria rete di sviluppo nonché i propri
rapporti interpersonali se si desidera davvero un avanzamento di carriera. In quarto
luogo, è importante servirsi efficacemente di strumenti per il networking come Twitter,
LinkedIn e Facebook. Aziende come AT&T fanno un uso sempre più ampio degli strumenti online per favorire le relazioni di mentoring internazionali. Strumenti di questo
tipo consentono non solo di ampliare la propria rete sociale, ma anche di accrescere la
produttività. Infine, è opportuno mettere a punto un piano di mentoring che, secondo
gli esperti, dovrebbe comprendere i seguenti elementi:55
• Identificare gli obiettivi del mentoring basandosi su quello che si desidera imparare
e stabilire delle priorità.
• Identificare individui competenti o esperti nelle aree in cui si vuole migliorare. Non
sottovalutare i colleghi, che possono essere un’ottima fonte di conoscenze funzionali,
tecniche e organizzative.
• Stabilire il modo migliore per instaurare un rapporto con le persone individuate.
• Stabilire che cosa offrire al mentore. Dato che il mentoring è un rapporto biunivoco,
ci saranno più probabilità che gli altri siano disponibili se la relazione di mentoring
può aiutarli a raggiungere i propri obiettivi di carriera.
• Stabilire quando è tempo di cambiare. Le relazioni di mentoring non durano per
sempre: se si ritiene che il mentore sia inefficace o causi più danni che benefici è
opportuno cercarne un altro.
Le ricerche condotte sull’argomento sostengono inoltre i benefici che il mentoring
apporta all’organizzazione. Per esempio, esso migliora l’efficacia della comunicazione
organizzativa. Entrando nel dettaglio, il mentoring aumenta la comunicazione sia verso
l’alto sia verso il basso all’interno di un’organizzazione, oltre a costituire un meccanismo di modifica e sostegno della cultura organizzativa esistente. Benefici di questo
tipo inducono un numero crescente di aziende a istituire programmi di mentoring formalizzati. Secondo un sondaggio, 6 aziende su 10 offrono già programmi di mentoring
o coaching, mentre tra le restanti, 8 su 10 li stanno mettendo a punto.56
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Comportamento organizzativo nel
mondo: management interculturale
4
Quante delle vostre supposizioni sulle culture straniere sono errate?
Sue, una formatrice americana esperta di gestione del
tempo, è convinta che il segreto del successo dei suoi
corsi di formazione stia nel preparare una presentazione PowerPoint ben pianificata e strutturata. Ricevuto
l’incarico di tenere un corso presso la sede israeliana
di un’azienda statunitense, Sue lavora diligentemente,
crea nuove slide, amplia gli obiettivi e impara alcune
parole in ebraico.
È molto sorpresa al notare che alcuni partecipanti
arrivano in ritardo o restano assorbiti in animate
conversazioni, mentre altri non si presentano perché
impegnati in una riunione urgente. Il suo stupore
cresce quando, durante la presentazione, alcuni si
dedicano a controllare le email e altri mettono in
discussione la formulazione degli obiettivi, attentamente pianificati. Dopo un’ora di continue domande
su ogni slide, animate discussioni e divagazioni in
ebraico, Sue ha illustrato solo 7 slide su 60 e propone
una pausa.
CompOrga.indb 71
Che cosa non ha funzionato? È stata la cultura a
interferire… Nonostante le somiglianze superficiali, tra
statunitensi e israeliani esistono importanti differenze
nella percezione e nell’approccio all’apprendimento,
alla comunicazione, al lavoro e alla professionalità.
La realtà culturale è che gli israeliani hanno un’ottima capacità di gestire il cambiamento e improvvisare
in contesti in rapido mutamento. Generalmente sono
rilassati rispetto alla gestione del tempo e dei programmi e preferiscono la spontaneità, la flessibilità e
il dibattito acceso ai programmi rigidi. Il multitasking
e l’azione just-in-time, caratteristiche distintive della
cultura israeliana, sono considerati pratici ed efficienti.
Quando gli israeliani accolgono visitatori autorevoli
con una raffica di domande difficili, manifestano interesse, non necessariamente un atteggiamento critico.
In Israele di norma durante le conversazioni il tono di
voce è alto e ci sono molte interruzioni, senza che ciò
implichi una mancanza di rispetto per gli interlocutori.1
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Parte I
Il mondo del comportamento organizzativo
La globalizzazione e l’economia globale sono ormai da tempo temi all’ordine del giorno e le differenze culturali, come quelle sperimentate da Sue durante il suo incarico
in Israele, rappresentano una sfida crescente. Nell’economia globalizzata di oggi le
capacità di interazione interculturale possono determinare successi e fallimenti. I segni
e le conseguenze della globalizzazione economica saliti agli onori delle cronache negli
ultimi anni sono molti e hanno toccato diversi argomenti: le controversie durante i vertici
dell’Organizzazione mondiale del commercio, le polemiche accese sulla concorrenza
sleale tra stati, lo sfruttamento della forza lavoro in alcuni paesi e le violazioni del diritto
di proprietà intellettuale.2
Nel nuovo scenario economico, i manager globali capaci di destreggiarsi in culture
diverse godono di un grande vantaggio. Secondo i risultati di una recente ricerca condotta dall’Harvard Business Review:
Viaggiare e vivere all’estero sono da tempo considerate attività che arricchiscono l’individuo. Ciò che forse si tende a non considerare è che portano benefici anche alle aziende:
secondo la nostra ricerca, gli individui che hanno vissuto esperienze internazionali o
si identificano con più di una nazionalità presentano migliori capacità di problem solving e maggiore creatività. Inoltre, abbiamo riscontrato che le persone che hanno fatto
esperienze all’estero hanno più probabilità di creare nuove attività e nuovi prodotti e di
ricevere promozioni.3
Secondo un’altra indagine, imprese multinazionali statunitensi guidate da CEO con
provata esperienza nell’ambito di incarichi all’estero riescono tendenzialmente a
conseguire risultati migliori.4 Persino per le persone che rimarranno nel loro paese
d’origine sarà difficile sfuggire all’economia globale e alle interazioni interculturali.
Per esempio la Nestlé, la più grande azienda al mondo di prodotti alimentari, occupa
presso il quartier generale di Vevey (Svizzera) collaboratori di 100 nazionalità diverse.5
I contatti interculturali sono particolarmente comuni in paesi come gli Stati Uniti, il
Canada e il Brasile, culturalmente eterogenei perché abitati da popolazioni indigene
e generazioni di migranti (vedi la tabella 4-1).6 I collaboratori che restano nel proprio
paese d’origine svilupperanno rapporti internazionali lavorando per aziende a capitale
straniero o trattando con fornitori, clienti e collaboratori stranieri7 o riceveranno un
incarico all’estero inaspettato.8
L’economia globale è caratterizzata da una ricca mescolanza di opportunità, problemi
e culture, ed è sicuramente giunto il momento di sviluppare delle adeguate competenze
di gestione intercultuale.
Scopo del presente capitolo è pertanto quello di aiutare a intraprendere tale direzione esaminando gli effetti della diversità di culture nell’impresa di oggi, sempre più
internazionalizzata. Il capitolo si avvale dei contributi dell’antropologia culturale.9 In
primo luogo proporremo un modello che illustra come la cultura sociale e la cultura
aziendale (concetto analizzato nel Capitolo 3) concorrano a influenzare il comportamento sul lavoro. Si passerà poi a illustrare come sviluppare l’intelligenza culturale.
In seguito verranno esaminati gli aspetti chiave della cultura di un gruppo sociale con
il fine ultimo di accrescere la consapevolezza interculturale. Verranno poi passate in
rassegna le ricadute operative della letteratura sulla gestione interculturale. Il capitolo
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Comportamento organizzativo nel mondo: management interculturale
Tabella 4-1
La diversità delle radici
culturali degli Stati Uniti.
Se gli Stati Uniti, con 312
milioni di abitanti, venissero
proporzionalmente ridotti
a un villaggio di 100 abitanti,
questi avrebbero la seguente
origine:
Fonti: David J. Smith, If America
Were a Village (Toronto: Kids
Can Press, 2009); e Greg Toppo,
“Counting to 100 in ‘America’,”
USA Today, 3 settembre 2009,
p. 7D.
Tedesca
Irlandese
Africana
Inglese
Messicana
Italiana
Polacca
Francese
Nativa americana
Scozzese
Olandese
Norvegese
Scozzese-irlandese
Svedese
Discendenza diversa
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15 persone
11 persone
9 persone
9 persone
7 persone
6 persone
3 persone
3 persone
3 persone
2 persone
2 persone
2 persone
1 persona
1 persona
26 persone
si concluderà esaminando le difficoltà, da un punto di vista soggettivo, di accettare un
incarico all’estero e di evitare lo shock culturale.
Cultura e comportamento organizzativo
Se foste un manager, come interpretereste i seguenti casi?
• Un dirigente asiatico di una multinazionale, trasferito da Taiwan al Midwest degli
Stati Uniti, risulta, agli occhi dei suoi pari, distaccato e autoritario.
• Una banca della West Coast intraprende una campagna volta a incentivare una
maggiore informalità da parte del personale nei confronti dei clienti, ma le cassiere
filippine non vogliono cooperare.
• Un dirigente di razza bianca critica il lavoro di un impiegato di colore; invece di
ottenere una spiegazione il manager riceve in cambio silenzio e uno sguardo di
sfida.10
Associando una tipologia di personalità ai comportamenti sopra descritti, tre sono
le caratteristiche che emergono: rispettivamente arrogante, scortese e ostile. Queste sarebbero conclusioni logiche, ma probabilmente errate, essendo basate più su
pregiudizi e stereotipi che su fatti concreti. Se tuttavia i comportamenti fossero
attribuiti a differenze culturali si avrebbe la possibilità di giungere a interpretazioni
più convincenti: “la cultura asiatica incoraggia uno stile manageriale più distaccato;
i filippini associano un comportamento troppo cordiale nelle donne a qualcosa di
sconveniente; le persone di colore, come gruppo, agiscono più cautamente, con una
attenzione visiva maggiore rispetto ai bianchi”.11 In conclusione, non si possono
trascurare importanti elementi culturali quando si cerca di comprendere e gestire il
comportamento organizzativo.
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Parte I
Il mondo del comportamento organizzativo
La cultura di un gruppo sociale è complessa
e multistratificata
Cultura: convinzioni e valori
di una comunità rispetto ai
comportamenti, e consuetudini a supporto di tali valori.
Nel Capitolo 3 si è parlato di cultura organizzativa. Nel presente capitolo ci si concentrerà maggiormente sul concetto di cultura sociale. “La cultura consiste in un insieme
di convinzioni e valori relativi a ciò che è auspicabile o meno all’interno di una comunità di persone e in una serie di consuetudini formali e informali che sostengono tali
valori”.12 La cultura è costituita, dunque, sia da elementi prescrittivi (ciò che la gente
dovrebbe fare), che da elementi descrittivi (ciò che effettivamente fa). Essa passa da
una generazione all’altra attraverso la socializzazione nella famiglia, con gli amici, gli
insegnanti e altre persone significative. L’apprendimento culturale viene consolidato
per la maggior parte tramite l’osservazione e l’imitazione di modelli di comportamento
osservati nella loro quotidianità o attraverso i mass media.13
È difficile cogliere appieno il significato del termine “cultura” perché si tratta di un
concetto con diversi strati. Due esperti di management internazionale, l’olandese Fons
Trompenaars e l’inglese Charles Hampden-Turner, hanno fornito una analogia istruttiva
nella loro fondamentale opera Riding the Waves of Culture:
La cultura è come una cipolla: è fatta a strati. Per comprenderla occorre sbucciarla,
strato per strato. Su quello esterno si trovano i prodotti della cultura: ad esempio, i grattacieli torreggianti di Manhattan, veri pilastri del potere privato, tra cui scorrono strade
congestionate. Tali elementi sono espressione di valori e norme sociali più profonde e
invisibili: ad esempio valori quali la mobilità verticale, lo status, il successo materiale.
Gli strati di valori e norme che si trovano nella parte più profonda della “cipolla” sono
più difficili da identificare.14
Il modo migliore per “sbucciare la cipolla della cultura” è adottare un approccio proattivo
ed entrare in contatto con persone di cultura diversa. Il CEO di IBM Samuel Palmisano
esprime così il concetto: “Mi piace trascorrere del tempo in altre parti del mondo, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, dove ho notato un incredibile ottimismo ed entusiasmo
rispetto al futuro. Restando al quartier generale dell’azienda è impossibile conoscere
culture e opportunità diverse.”15 Lo stesso discorso vale per gli studenti: recenti ricerche condotte su studenti universitari hanno dimostrato che le esperienze multiculturali
accrescono la creatività.16 (Un buon motivo per prendere in considerazione le tante
opportunità offerte dai programmi di scambio e studio all’estero!)
La cultura è una forza sottile ma pervasiva
La cultura rimane generalmente al di sotto della soglia della consapevolezza perché
implica assunti dati per scontati che influiscono sul modo di percepire, pensare, agire
e sentire. L’antropologo culturale Edward T. Hall presenta la cosa nei seguenti termini:
Dal momento che gran parte della cultura agisce al di fuori della nostra coscienza accade
di frequente che noi non siamo consapevoli di ciò che sappiamo. Iniziamo a immagazzinare [… aspettative e assunti] fin dai primi mesi di vita. Inconsciamente impariamo che
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Comportamento organizzativo nel mondo: management interculturale
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cosa osservare e che cosa tralasciare, come suddividere il tempo e lo spazio; impariamo
a camminare, a parlare e a usare il nostro corpo; impariamo a comportarci come uomini
o donne, a metterci in relazione con gli altri, a gestire le responsabilità, sia che l’esperienza sia vista nel suo complesso o in piccoli frammenti separati. E questo vale per
tutti: i cinesi, i giapponesi o gli arabi sono tanto inconsapevoli dei loro assunti quanto lo
siamo noi dei nostri. Ognuno di noi presuppone che facciano parte della natura umana;
il nostro concetto di “mente” è in realtà cultura interiorizzata.17
In sintesi potremmo affermare: “ognuno è la propria cultura, e la cultura è ciascuno”.
Questo tema è diventato così importante negli ultimi anni che molte aziende hanno
assunto degli antropologi al fine di decifrare le radici culturali dei bisogni e delle preferenze del cliente come parte integrante delle proprie pratiche di marketing.18
Cultura sociale e cultura organizzativa: un modello
Come si evince dalla figura 4-1, la cultura influenza il comportamento organizzativo in
due modi: gli individui portano la cultura del proprio gruppo sociale di appartenenza
sul posto di lavoro sotto forma di comportamenti e linguaggi; la cultura aziendale,
un sottosistema della cultura sociale, influisce a sua volta sui valori e sull’etica degli
individui, sui loro atteggiamenti, sugli assunti di base e le aspettative. La cultura di un
gruppo sociale è influenzata dai diversi fattori ambientali elencati sul lato sinistro della
figura 4-1.
Inoltre, quando l’individuo si trova all’interno della sfera d’influenza dell’organizzazione è ulteriormente condizionato dalla cultura dell’organizzazione stessa. La
reciproca influenza tra culture sociali e organizzative può dare luogo a dinamiche
interessanti nelle aziende multinazionali. Ad esempio, nel caso di dipendenti francesi e americani che lavorano fianco a fianco nella struttura della General Electric di
Waukesha, nel Wisconsin, il capo reparto Claude Benchimol è stato testimone di una
sorta di shock culturale:
Cultura
aziendale
• Scenario economico/
tecnologico
• Scenario politico/
legale
• Background
etnico
• Religione
Cultura sociale
• Usanze
• Linguaggi
• Valori
personali/etica
• Atteggiamenti
• Assunti di base
• Aspettative
Comportamento
organizzativo
Figura 4-1 Influenze culturali sul comportamento organizzativo
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Parte I
Il mondo del comportamento organizzativo
I francesi si sorprendono del fatto che gli uffici si svuotino già alle 5 del pomeriggio; gli
americani del fatto che i francesi non comincino a lavorare alle 8 del mattino. Benchimol
reputa che i francesi siano più loquaci e franchi; che gli americani abbiano un maggior
senso della gerarchia e siano meno propensi alla critica. La vicinanza con i francesi,
tuttavia, li sta cambiando; Benchimol afferma: “C’è voluto un anno per capire che tutti
abbiamo il diritto di dire ciò che non è di nostro gradimento, in modo da diventare più
produttivi e lavorare meglio”.19
Si tratta della stessa azienda, della stessa cultura aziendale, eppure i colleghi francesi
e americani della GE hanno un atteggiamento diverso nei confronti del tempo, del sistema gerarchico e della comunicazione. Questi comportamenti, che per ciascuno sono
“naturali”, sono in realtà il risultato di culture sociali differenti.
Quando si gestiscono le persone è necessario prendere in considerazione la cultura
sociale del singolo, la cultura organizzativa e i diversi tipi di interazione tra le due dimensioni. L’orientamento culturale verso il miglioramento della qualità per i lavoratori
americani, per esempio, differisce in modo sostanziale dallo schema culturale giapponese. “Diversamente dai giapponesi, i lavoratori americani non hanno alcun interesse a
compiere piccoli miglioramenti graduali per l’incremento della qualità; loro desiderano
la grande svolta, il sogno impossibile che improvvisamente si realizza. I lavoratori dei
due paesi hanno quindi sistemi di motivazione diversi; nel primo caso sono soddisfatti
di lavorare per piccoli passi, nel secondo bisogna chiedere loro il perseguimento di un
grande balzo.”20
Sviluppare l’intelligenza culturale
Quanto siete preparati a interagire efficacemente con persone di cultura diversa? Per
rispondere a questa domanda, immaginate un continuum nel quale l’etnocentrismo
rappresenta il livello minimo di preparazione, mentre l’intelligenza culturale corrisponde al livello massimo. Passiamo ora a esaminare questi due estremi con l’obiettivo di
attenuare l’etnocentrismo e sviluppare l’intelligenza culturale.
Etnocentrismo: un ostacolo per le interazioni interculturali
Etnocentrismo: convinzione
che la cultura, la lingua e i
comportamenti del proprio
paese siano superiori
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L’etnocentrismo, ossia la convinzione che la cultura, la lingua e i comportamenti del
proprio paese nativo siano superiori a tutti gli altri, affonda le sue radici negli albori della
civiltà. Descritto per la prima volta nel 1906, nell’ambito dello studio scientifico del
comportamento, come la tendenza dei gruppi a rifiutare elementi estranei,21 il termine
etnocentrismo possiede oggi un significato più ampio. I segni dell’etnocentrismo sono
diffusi in tutto il mondo; per esempio, Hiwa Assad, un ex guerrigliero curdo residente a
Kirkuk, nella regione curda dell’Iraq settentrionale, afferma: “La gente di Kirkuk ha due
volti […] Stanno seduti a discutere con te e sembrano angeli, dicono ‘Io non ho nemici
e non odio la gente di religione e nazionalità diverse’. Ma non appena si riuniscono
con la loro tribù si abbandonano all’astio e agli insulti.”22 L’etnocentrismo militante
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Comportamento organizzativo nel mondo: management interculturale
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ha portato a mortali “pulizie etniche” in Bosnia e Kosovo, e a veri e propri genocidi in
Ruanda, Burundi e nel Darfur.
Di portata minore, ma pur sempre problematico, è l’etnocentrismo in ambito manageriale e organizzativo. Il problema può essere così definito:
[I manager etnocentrici] preferiscono collocare i loro connazionali in posizioni chiave
ovunque nel mondo, spesso assicurando loro uno stipendio superiore a quello che la
posizione dovrebbe garantire. È questa la conseguenza del ritenere il proprio gruppo
più intelligente, più capace o più affidabile. […] Spesso l’etnocentrismo non è tanto
associabile al pregiudizio, quanto all’inesperienza o alla mancanza di conoscenza degli
individui stranieri e delle situazioni inusuali. È questo un fatto che non deve stupire, dal
momento che la maggior parte dei dirigenti è solita lavorare con persone inserite nel
proprio ambiente di origine. Secondo quanto afferma un dirigente, “con i nostri manager, almeno capisco come mai commettano errori; con quelli stranieri non lo so mai con
certezza. I manager stranieri potrebbero essere migliori, ma se non riesco a fidarmi di
una persona dovrei forse assumerla semplicemente a testimonianza del fatto che siamo
una multinazionale?”23
La ricerca indica come l’etnocentrismo abbia una influenza negativa sulle performance
aziendali. Un’indagine condotta su 918 multinazionali con la casa madre situata negli
Stati Uniti (272 aziende), in Giappone (309) e in Europa (337), ha portato alla conclusione
che l’assunzione di personale etnicamente omogeneo, insieme a politiche non innovative
di gestione delle risorse umane, ha determinato crescenti problemi, tra i quali difficoltà
di reclutamento, alti livelli di turnover e azioni legali contro le politiche del personale
adottate. Secondo questa ricerca, le aziende giapponesi risultano essere quelle meno
orientate alla diversità, con le più diffuse pratiche etnocentriche e i maggiori problemi
di gestione del personale internazionale.24
I manager attuali e futuri – e le persone più in generale – possono concretamente
gestire il problema dell’etnocentrismo attraverso la formazione, una maggiore consapevolezza interculturale, l’esperienza internazionale e un cosciente sforzo volto a
valorizzare la diversità culturale. Fareed Zakaria, un corrispondente della CNN nato in
India, ha di recente lanciato questo appello sui rischi legati all’etnocentrismo:
Gli statunitensi parlano poche lingue, conoscono superficialmente le altre culture e
non sono affatto convinti che sia necessario cambiare questo stato di cose. Di rado si
attengono a standard globali perché sono certi di essere i migliori e i più progrediti. Il
risultato? Sono sempre più sospettosi rispetto alla nuova era globale. Si sta aprendo un
divario crescente tra la classe cosmopolita e l’élite mondana degli affari e la maggior parte
della popolazione; se non si farà nulla per colmarlo, rischia di distruggere il vantaggio
competitivo e il futuro politico del paese.25
A ravvivare questo scenario piuttosto tetro, alcuni segnali positivi riguardanti gli studenti universitari: secondo i dati più recenti, nel 2009 gli studenti stranieri iscritti in
università statunitensi erano 690.923 (con un ritorno economico di circa 20 miliardi
di dollari), mentre gli studenti statunitensi iscritti in università estere erano 260.327.26
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Parte I
Il mondo del comportamento organizzativo
L’intelligenza culturale è la soluzione ai paradossi culturali
Intelligenza culturale: capacità di interpretare correttamente situazioni interculturali
ambigue
A questo punto è importante sottolineare che tutte le differenze culturali presentate in
questo capitolo, e altrove in questo libro, devono essere intese come tendenze e tracce
di riflessione piuttosto che in senso assoluto.27 Non appena si scivola nella trappola
che porta a credere che tutti gli italiani siano fatti in un certo modo, o che tutti i coreani agiranno in una determinata maniera, generalizzazioni potenzialmente istruttive
possono diventare sciocchi stereotipi. Due studiosi in possesso di un’ampia esperienza
lavorativa all’estero suggeriscono quanto segue: “In qualità di insegnanti, ricercatori e
manager inseriti in contesti interculturali, dobbiamo riconoscere che le nostre caratterizzazioni iniziali su altre culture sono congetture che necessitano di essere adattate con
il progredire dell’esperienza”.28 Di conseguenza, essi sostengono, noi saremo meglio
preparati a gestire gli inevitabili paradossi culturali; dove per paradosso è intesa l’esistenza, sempre e comunque, di eccezioni che confermano la regola, vale a dire individui
che non si inseriscono nello schema culturale atteso. Un buon esempio è il capo della
Canon: “secondo quelli che sarebbero i parametri standard dei CEO giapponesi, Fujio
Mitarai della Canon Inc. rappresenta un’anomalia. Tanto per cominciare è rapido e
direttivo – ben distante dai ‘costruttori di consenso’ che generalmente guidano l’industria giapponese”.29 È possibile riscontrare molti paradossi culturali in nazioni grandi
e culturalmente variegate come Stati Uniti e Australia.
È per questo motivo che occorre sviluppare l’intelligenza culturale, che possiamo
definire come la capacità di interpretare correttamente situazioni interculturali ambigue;
una capacità essenziale negli attuali ambienti di lavoro, culturalmente eterogenei.30 David C Thomas e Kerr Inkson, autori del libro Cultural Intelligence: Living and Working
Globally, affermano che l’intelligenza culturale si articola in tre componenti.
1. Innanzitutto, l’individuo dotato di intelligenza culturale deve poter contare su un
insieme di conoscenze sulla cultura e i principi fondamentali delle interazioni interculturali. Ciò significa che sa che cos’è la cultura, come cambia e come influenza il
comportamento.
2. In secondo luogo, deve praticare la consapevolezza, cioè deve essere in grado di
valutare con attenzione, riflessività e creatività gli elementi ricavabili dalle situazioni
interculturali, nonché i propri sentimenti e le proprie conoscenze.
3. Infine, sulla base delle conoscenze e della consapevolezza, l’individuo dotato di
intelligenza culturale sviluppa capacità di interazione interculturale e diventa in
grado di gestire un ampio ventaglio di situazioni. Queste capacità comprendono la
scelta del comportamento giusto da un ampio repertorio di comportamenti adeguati
in una serie di situazioni interculturali diverse.31
Chi desidera sviluppare l’intelligenza culturale deve prima coltivare la propria intelligenza emotiva, esaminata in dettaglio nel Capitolo 5, e poi fare pratica in situazioni
interculturali poco familiari.32 Come accade in ogni tipo di interazione umana, non esiste
adeguato sostituto all’approfondita conoscenza personale delle persone con cui si tratta,
all’ascolto e all’interesse autentico nei confronti degli altri. Immaginate quante opportunità di sviluppare l’intelligenza culturale possono cogliere gli studenti della IE Business
School di Madrid, che offre un programma MBA d’eccellenza a livello internazionale:
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Comportamento organizzativo nel mondo: management interculturale
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La classe dell’anno precedente, composta da 287 studenti, contava 55 nazionalità diverse.
[…] Il corpo studentesco della IE è uno dei più variegati al mondo. Rodrigo Sanchez
Hidalgo, che ha portato a termine il programma a dicembre, ha lavorato con compagni
provenienti da 15 paesi, tra cui El Salvador e il Kazakhstan. Per attirare un maggior
numero di studenti internazionali, la scuola ha di recente aperto uffici per il marketing
e le ammissioni a Singapore, Dubai, Berlino e Lisbona. Obiettivo? Formare laureati in
grado di operare in un ambiente multiculturale. “Il nostro non è un melting pot in cui i
partecipanti condividono una cultura comune,” afferma Santiago Iñiguez de Ozoño, il
preside della scuola.33
Comprendere le differenze culturali
La presente sezione analizza le modalità fondamentali adottate per descrivere e paragonare le culture. In primo luogo verranno messe a confronto le culture a struttura
complessa e le culture lineari, e verranno presentate nove dimensioni culturali che danno
forma al modello GLOBE. Si prenderanno infine in esame le differenze interculturali
relative all’individualismo, al tempo, allo spazio e alla religione.
Culture a struttura complessa e culture lineari
Culture a struttura complessa: culture che nella comunicazione e nella percezione
dei significati si riferiscono a
segnali deboli, situazionali e
non verbali
Si tratta di una distinzione culturale utile e largamente applicabile (figura 4-2).34 I popoli
appartenenti a culture a struttura complessa, o ad alto contesto – tra le quali sono
comprese Cina, Corea, Giappone, Vietnam, Messico e le culture arabe – nella comunicazione e nella percezione dei significati si riferiscono a segnali deboli. Elementi non
verbali, relativi alla posizione ufficiale di un individuo, al suo status o alle relazioni
familiari, trasmettono messaggi più efficaci di quanto non facciano le parole. Come
esempio, consideriamo l’esperienza di lavoro del pachistano Arif M. Naqvi a Dubai,
negli Emirati Arabi Uniti:
Naqvi è un insider e conclude affari con alcune delle figure più influenti nella regione,
tra cui Khalid bin Sultan, figlio del principe ereditario alla corona saudita Sultan. I suoi
contatti e l’esperienza maturata sono essenziali per portare a casa i risultati; i rapporti
sociali sono spesso più importanti del denaro in Medio Oriente […] Occorre una certa
diplomazia per concludere un accordo, come quella usata da Naqvi con Aramex International, un corriere espresso. Fadi Ghandour, fondatore e CEO di Aramex, ricorda una
serie di [lunghi] pranzi e cene con Naqvi nell’arco di diversi mesi.35
Culture lineari: culture che
attribuiscono un alto valore
alle parole scritte e pronunciate
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Le culture lineari: il valore delle regole scritte Nelle culture lineari, o a basso
contesto, le parole, scritte e pronunciate, si assumono in buona parte il compito di trasmettere i significati condivisi. Le culture lineari includono la Germania, la Svizzera,
i paesi scandinavi, il Nord America e la Gran Bretagna. Caratteristica della Germania,
ad esempio, è il fatto di avere regole scritte e precise anche per i più piccoli dettagli
della vita quotidiana.36 Nell’ambito di culture a struttura complessa si ha la tendenza a
prendere accordi basandosi sulla parola di qualcuno o su di una stretta di mano, dopo un
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Parte I
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Araba
Greca
Il mondo del comportamento organizzativo
Spagnola Italiana
Vietnamita
Giapponese
Coreana
Inglese
Nordamericana
Scandinava
Svizzera
Cinese
Tedesca
Culture a struttura complessa
â–  Per prima cosa va stabilito un certo
grado di fiducia sociale
â–  Si valorizzano le relazioni personali
e la buona volontà
â–  Si stabilisce un accordo sulla base della fiducia
generale
â–  Le negoziazioni sono lente e ritualistiche
Culture lineari
â–  Prima di tutto gli affari
â–  Si valorizzano l’esperienza e il risultato
â–  Si prendono accordi sulla base di un contratto
specifico e legalmente vincolante
â–  Si portano avanti le negoziazioni nel modo
più efficiente possibile
Figura 4-2 Confronto tra culture a struttura complessa e culture lineari
Fonte: M. Munter, “Cross-Cultural Communication for Managers,” maggio-giugno 1993, Figura 3, p. 72. Copyright © 1993 by the Board of Trustees at Indiana
University, Kelley School of Business.
periodo piuttosto lungo di conoscenza e di costruzione della fiducia reciproca. Americani
e canadesi, provenienti da culture lineari, che affondano le proprie radici nell’Europa
del nord, intendono invece la stretta di mano come un semplice segnale preliminare in
vista della firma di un contratto formale, avente valore legale.
Evitare scontri culturali Il fraintendimento e l’incapacità di comunicazione rappresentano un problema nelle relazioni commerciali internazionali quando le parti in
causa provengono da culture agli estremi di questo spettro. Un professore messicano
di materie aziendali ha fornito, di recente, un esempio istruttivo:
Nel corso degli anni ho avuto modo di constatare come vi siano, tra una cultura e l’altra,
diverse opinioni su cosa ci si aspetti da una relazione scritta. I manager statunitensi,
per esempio, assumono un atteggiamento pragmatico, che arriva direttamente al punto,
e vogliono che le relazioni siano concise e orientate verso l’azione; non hanno tempo
di leggere prolisse spiegazioni: “solo i fatti, signori”. I manager dell’America Latina
presentano di solito lunghe spiegazioni che vanno oltre i semplici fatti. […] A un mio
amico, rappresentante, in America Latina, di un’azienda statunitense, è stato chiesto dal
suo capo di fornire rapporti regolari sulle attività di vendita. Le relazioni da lui presentate
erano lunghe, includevano dettagliate spiegazioni sul contesto nel quale si verificavano gli eventi e le relative interpretazioni. Il suo capo gli rispondeva regolarmente con
messaggi molto brevi il cui senso era “lascia stare le sciocchezze e vieni al punto!”.37
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Comportamento organizzativo nel mondo: management interculturale
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Situazioni imbarazzanti come questa possono essere evitate quando entrambe le parti
coinvolte fanno un tentativo, in buona fede, per comprendersi e venirsi incontro. Qui
di seguito sono riportati alcuni suggerimenti pratici.
• Le persone, da entrambe le parti, devono essere adeguatamente formate in modo da
modificare il proprio punto di vista e accettare i compromessi.
• Un nuovo collaboratore deve essere accolto da un gruppo comprendente il suo superiore diretto, alcuni colleghi che ricoprono mansioni simili alle sue e un collega
geograficamente vicino a lui.
• Nel fornire spiegazioni di qualunque tipo si devono aggiungere le opportune informazioni di contesto, inclusi gli antefatti e le personalità coinvolte.
• Non bisogna dare per scontato che il nuovo arrivato sia autonomo, è necessario
fornire istruzioni esplicite non solo in merito agli obiettivi, ma anche ai processi
necessari al loro raggiungimento.
• I dipendenti provenienti da culture a struttura complessa devono imparare a porre
domande anche al di fuori della funzione aziendale in cui operano.
• I dipendenti stranieri devono compiere uno sforzo al fine di diventare più autonomi.38
Le nove dimensioni culturali del progetto GLOBE
Il progetto GLOBE (Global Leadership and Organizational Behavior Effectivness) è nato
da un’idea del professor Robert J. House, della University of Pennsylvania.39 Si tratta
di un importante tentativo, in fase di svolgimento, volto a “elaborare una teoria, basata
su dati empirici, che descriva, comprenda e predica l’impatto di specifiche variabili
culturali sulla leadership, sui processi organizzativi e sulla loro efficacia”.40 A partire
dal 1994, anno in cui il progetto GLOBE è stato lanciato a Calgary, in Canada, esso
si è sviluppato nell’ambito di una rete di più di 150 studiosi provenienti da 62 paesi. I
ricercatori coinvolti sono originari, per la maggior parte, dei paesi oggetto dello studio;
la qual cosa aumenta la credibilità del progetto. Durante le prime due fasi dello studio
in questione è stata compilata una lista di nove dimensioni culturali di base, supportata
poi da dati statistici. Questionari basati su tali nove dimensioni sono stati distribuiti in
tutto il mondo a migliaia di manager di diversi settori, dal credito all’alimentare alle
telecomunicazioni, al fine di costruire un grande database. I risultati vengono pubblicati
regolarmente. Il progetto, per raggiungere il proprio obiettivo principale, richiederà
ancora molti anni; allo stato attuale, comunque, è stato messo a punto uno strumento
efficace per meglio comprendere somiglianze e differenze interculturali. Le nove dimensioni culturali del progetto GLOBE sono le seguenti.
•
Distanza dal potere: quanto dovrebbe essere diseguale la distribuzione del potere
nella società e nelle organizzazioni?
• Rifiuto dell’incertezza: fino a che punto gli individui dovrebbero affidarsi a norme
e regole sociali per evitare l’incertezza e limitare l’imprevedibilità?
• Collettivismo orientato all’istituzione: fino a che punto i leader dovrebbero incoraggiare e premiare la lealtà al gruppo rispetto al perseguimento degli obiettivi
individuali?
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Parte I
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Il mondo del comportamento organizzativo
•
Collettivismo orientato al gruppo: quale grado di orgoglio e lealtà dovrebbero dimostrare i singoli individui nei confronti della loro famiglia od organizzazione di
appartenenza?
• Uguaglianza di genere: quale sforzo dovrebbe essere compiuto per minimizzare la
discriminazione di genere e le disuguaglianze dei ruoli?
• Assertività: fino che punto i singoli individui, nelle relazioni sociali, dovrebbero
porsi in modo negoziale o dominante?
• Orientamento verso il futuro: in che misura gli individui dovrebbero rimandare la
gratificazione immediata, pianificando e investendo nel futuro?
• Orientamento al risultato: quanto dovrebbero essere premiati i singoli per miglioramento ed eccellenza?
• Orientamento alle persone: fino a che punto la società dovrebbe incoraggiare e
premiare gli individui per essere cortesi, leali, amichevoli e generosi?41
E la vostra cultura? Fate una breve pausa e assegnate un punteggio da 1 a 10 (1 =
poco o nulla, 10 = molto) alle vostre convinzioni rispetto alle nove dimensioni culturali
del progetto GLOBE. In questo modo potrete comprendere meglio i concetti culturali
alla base del progetto.
Profili nazionali e implicazioni pratiche Come vengono valutati i differenti paesi
nelle dimensioni culturali del progetto GLOBE? I dati raccolti da 18.000 manager, riassunti nella tabella 4-2, illustrano i vari profili. Una rapida visione d’insieme mostra una
notevole diversità culturale in tutto il mondo; ma grazie alle nove dimensioni culturali
Tabella 4-2 I paesi con il punteggio più alto e più basso nelle dimensioni culturali del progetto GLOBE
Dimensione
Più alto
Più basso
Distanza dal potere
Marocco, Argentina, Tailandia, Spagna, Russia
Rifiuto dell’incertezza
Svizzera, Svezia, Germania – ex occidentale,
Danimarca, Austria
Svezia, Sud Corea, Giappone, Singapore,
Danimarca
Iran, India, Marocco, Cina, Egitto
Danimarca, Paesi Bassi, Sud Africa – persone
di colore, Israele, Costa Rica
Russia, Ungheria, Bolivia, Grecia, Venezuela
Collettivismo orientato
all’istituzione
Collettivismo orientato
al gruppo
Uguaglianza di genere
Assertività
Orientamento
verso il futuro
Orientamento al risultato
Orientamento alle persone
Ungheria, Polonia, Slovenia, Danimarca,
Svezia
Germania – ex orientale, Austria, Grecia,
Stati Uniti, Spagna
Singapore, Svizzera, Paesi Bassi, Canada –
di lingua inglese, Danimarca
Singapore, Hong Kong, Nuova Zelanda,
Taiwan, Stati Uniti
Filippine, Irlanda, Malesia, Egitto, Indonesia
Grecia, Ungheria, Germania – ex orientale,
Argentina, Italia
Danimarca, Svezia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi,
Finlandia
Sud Corea, Egitto, Marocco, India, Cina
Svezia, Nuova Zelanda, Svizzera, Giappone,
Kuwait
Russia, Argentina, Polonia, Italia, Kuwait
Russia, Argentina, Grecia, Venezuela, Italia
Germania – ex occidentale, Spagna, Francia,
Singapore, Brasile
Fonte: adattamento da: “Cultural Acumen for the Global Manager: Lessons from Project GLOBE”, di M. Javidan e R.J. House; Organizational Dyamics,
primavera 2001; pp. 289-305.
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4
Comportamento organizzativo nel mondo: management interculturale
83
del progetto GLOBE abbiamo una comprensione più precisa di come variano le culture.
Un’analisi più approfondita ci permette di riconoscere i diversi modelli culturali, o i
tratti peculiari delle varie nazioni. Il campione costituito dai manager statunitensi, per
esempio, ha ottenuto un punteggio alto in merito all’assertività e all’orientamento al
risultato; non a caso, gli americani sono generalmente percepiti come grintosi e diligenti.
L’alto punteggio ottenuto dalla Svizzera per quanto riguarda il rifiuto dell’incertezza e
l’orientamento verso il futuro aiuta a spiegare la lunga tradizione di neutralità politica
di questo paese e il successo del suo settore bancario. Singapore è nota come un posto
ideale per gli affari perché pulito e sicuro; inoltre i suoi abitanti possiedono una buona
istruzione e una notevole disciplina sul lavoro. Tutto ciò non è sorprendente se si considera l’alto punteggio ottenuto nell’ambito del collettivismo orientato all’istituzione,
dell’orientamento verso il futuro e dell’orientamento al risultato.42
Il basso punteggio ottenuto dalla Russia in merito all’orientamento verso il futuro e
all’orientamento al risultato, invece, potrebbe preludere a una transizione più lenta di
quanto sperato da un’economia a pianificazione centrale verso un’economia di mercato.
Individualismo e collettivismo
Cultura individualistica:
enfatizza libertà e scelte individuali
Vi è mai capitato di sentirvi fortemente combattuti tra quanto da voi personalmente
desiderato e quello che il gruppo, l’azienda o la società si attendono da voi? In caso
affermativo, avete avuto il vostro primo impatto con un’importante distinzione culturale:
quella tra individualismo e collettivismo. Tale differenziazione culturale, rappresentata
da due delle nove dimensioni del progetto GLOBE, merita un’analisi più approfondita.
Come ci si può facilmente attendere data la grande mole di studi sull’argomento, la
contrapposizione individualismo-collettivismo è soggetta a numerose interpretazioni.43
Esaminiamo i concetti di base di questa distinzione con l’obiettivo di sviluppare una
maggiore consapevolezza culturale.
Le culture individualistiche, le “culture dell’io”, attribuiscono maggiore importanza alla libertà e alla scelta del singolo. Di conseguenza, tendono a sottolineare la
responsabilità individuale rispetto a problemi e questioni di varia natura, un aspetto non
di poco conto in una società che invecchia:
Un forte sentimento di “solidarietà sociale”, come lo definisce [il professore della Johns
Hopkins University Gerald F] Anderson, rende gli europei inclini alla generosità nei
confronti dei più anziani e più disponibili ad aiutarli. “Pensano che quando invecchieranno, avranno a loro volta bisogno di aiuto,” afferma il professore. “L’atteggiamento
statunitense è improntato a uno spiccato individualismo: saremo noi ad occuparci di noi
stessi, non gli altri.”44
Cultura collettivistica: gli
obiettivi individuali sono meno
importanti degli obiettivi e
degli interessi della comunità
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Questa differenza culturale ha trovato conferma in un recente sondaggio sulla qualità
della vita dei cittadini anziani in 16 paesi industrializzati: i Paesi Bassi si sono classificati
al primo posto, gli Stati Uniti al tredicesimo.45
Le culture collettivistiche, le “culture del noi”, attribuiscono un valore maggiore
agli obiettivi condivisi, piuttosto che a quelli individuali. Nelle culture collettivistiche
ci si attende che gli individui mettano in secondo piano i propri desideri e obiettivi per
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Parte I
Il mondo del comportamento organizzativo
favorire quelli del gruppo sociale a cui appartengono. Un sondaggio, condotto su scala
mondiale su 30.000 manager da Trompenaars e Hampden-Turner (che preferiscono il
termine comunitarianismo a quello di collettivismo), ha rilevato il più alto grado di
individualismo in Israele, Romania, Nigeria, Canada e Stati Uniti; i paesi con il più
basso grado di individualismo, pertanto identificati come paesi a cultura collettivistica,
sono Egitto, Nepal, Messico, India e Giappone; anche Brasile, Cina e Francia sono stati
classificati tra i paesi a cultura collettivistica.46
Un fattore di successo In paesi culturalmente differenziati come gli Stati Uniti è naturalmente lecito aspettarsi di incontrare sia gli individualisti che i collettivisti. Immaginate,
per esempio, la frustrazione di Dave Murphy, venditore di fondi comuni di investimento
proveniente da Boston, che cercava invano di suscitare interesse negli indiani Navajo
dell’Arizona relativamente all’utilità di risparmiare in vista della pensione. Dopo diversi incontri infruttuosi con gruppi di Navajo, un funzionario locale gli ha fornito la
seguente prospettiva culturale: “Deve capire che in questo tipo di ambiente il denaro è
percepito in maniera diversa; è fatto per essere speso. Se qualcuno ne possiede una certa
quantità aiuta la propria famiglia”.47 (Dunque i Navajo, nelle dimensioni culturali del
progetto GLOBE, otterrebbero un punteggio alto nel collettivismo orientato al gruppo
e un punteggio basso nell’orientamento verso il futuro.) Per i Navajo tradizionali, cresciuti in una cultura collettivistica, il risparmio di denaro è visto come un inutile atto
di egoismo. Di conseguenza nel proporre loro i fondi comuni si è messo l’accento sui
benefici per la famiglia dei piani individuali di risparmio.
Fedeltà a chi? L’esempio degli indiani Navajo fa emergere un aspetto molto importante
delle culture collettivistiche: quale elemento della società è il riferimento predominante?
Per il popolo Navajo la famiglia è il gruppo di riferimento fondamentale; tuttavia, come
hanno osservato Trompenaars e Hampden-Turner, esistono importanti differenze anche
tra le culture collettivistiche (o comunitarie):
Per ogni società presa singolarmente è necessario individuare il gruppo con il quale gli
individui si identificano maggiormente. Potrebbero avere la tendenza a identificarsi con il
sindacato, la famiglia, l’azienda, la religione, con la loro professione, il gruppo nazionale o
l’apparato dello stato. I francesi hanno la tendenza a identificarsi con la France, la famille,
le cadre; i giapponesi con la loro azienda; nell’ex blocco orientale ci si identificava con il
Partito Comunista; e in Irlanda con la Chiesa cattolica. Gli obiettivi comunitari possono
essere positivi o negativi, dal punto di vista di un’azienda, a seconda della comunità
coinvolta, del suo atteggiamento e della sua importanza nella vita dell’azienda.48
Tale osservazione giustifica la distinzione, fatta nell’ambito del progetto GLOBE, tra
collettivismo orientato all’istituzione e collettivismo orientato al gruppo.
Percezione culturale del tempo
Nelle culture nordeuropee e nordamericane il tempo viene percepito in maniera molto
semplice: suddiviso in parti fisse, lineare, inesorabilmente volto al futuro, mai al passato.
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Comportamento organizzativo nel mondo: management interculturale
Tempo monocronico: orientamento a fare le cose una
alla volta poiché il tempo è
limitato, suddiviso in segmenti
precisi e regolato da orari
Tempo policronico: orientamento a fare più cose nello stesso momento poiché il
tempo è flessibile e multidimensionale
85
Gli americani, sempre a corto di tempo, credono nel consiglio di Benjamin Franklin
secondo il quale “il tempo è denaro”: può essere impiegato, risparmiato o sprecato.49
Un ottimo esempio in tal senso è William P Lauder, CEO del gigante della cosmesi
Esteé Lauder Companies, che in una recente intervista ha dichiarato: “Quando vedo
delle persone perdere tempo, le richiamo immediatamente. Il tempo è la risorsa più
preziosa e, quando passa, è perso per sempre.”50 L’opposto di Lauder è l’attore Johnny
Depp che, secondo un cronista di Newsweek, “sembra un uomo che non ha mai avuto
fretta nella sua vita. È in ritardo cronico per le interviste, talvolta di quattro o cinque
ore, altre volte di giorni; questa volta si tratta solo di 50 minuti, da gentiluomo.”51 L’attore, originario del Kentucky, smentisce lo stereotipo secondo il quale gli americani si
presentano agli appuntamenti con 10 minuti di anticipo. Tuttavia, quando nell’ambito
del lavoro le culture coinvolte sono diverse, il tempo diventa una questione molto
complessa. Immaginate la contrarietà di un uomo d’affari newyorchese lasciato in sala
d’attesa per 45 minuti, per poi essere ammesso alla presenza di un funzionario di un
governo latino americano che discute contemporaneamente con altre tre persone. L’uomo d’affari si sente offeso dalla mancanza di pronta e completa attenzione da parte del
funzionario; questi si sente offeso dall’impazienza e apparente egocentrismo dell’altro.
Si può meglio chiarire questo circolo vizioso di risentimenti tramite la distinzione tra
tempo monocronico e tempo policronico.
Il primo si rivela nell’uso del tempo pubblico, scandito da orari, preciso e ordinato, che
identifica e addirittura caricaturizza gli abitanti dell’Europa settentrionale e del Nord
America. Il secondo emerge nelle attività multiple e cicliche e nel coinvolgimento simultaneo con diverse persone tipico di varie culture mediterranee, latinoamericane e in
particolar modo arabe.52
Le culture lineari, quale quella statunitense, hanno la tendenza a basarsi sul tempo
monocronico, mentre quelle a struttura complessa, come quella costaricana, si basano
tendenzialmente sul tempo policronico. Le persone facenti parte di culture policroniche
vedono il tempo come qualcosa di flessibile, fluido e multidimensionale. Per esempio,
immaginate di trovarvi in Qatar per concludere affari:
I qatarioti continuano ad amare la vecchia tradizione del majilis, le riunioni serali durante
le quali gli uomini (e solo gli uomini) sorseggiano il tè, fumano il narghilè e risolvono i
problemi dell’umanità durante interminabili conversazioni. Grahame Maher, dirigente
locale per Vodafone, ha dovuto diventare maestro in questa centenaria usanza prima di
poter conquistare i locali. Afferma: “Ho imparato un modo di fare affari che in Occidente
abbiamo dimenticato perché richiede troppo tempo.”53
Come è evidente, la globalizzazione economica ha prodotto pratiche di business globale
monocroniche che determinano eccezioni nelle culture tradizionalmente policroniche.
In Spagna, le guide turistiche avvisano i turisti che, per via della tradizionale siesta, negozi
e uffici potrebbero essere chiusi per buona parte del pomeriggio. Tuttavia, almeno nelle
città più importanti del paese, l’abitudine della siesta si sta perdendo per influenza della
globalizzazione e dell’equilibrio tra vita personale e carriera. I datori di lavoro spagnoli
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Parte I
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Il mondo del comportamento organizzativo
hanno riconsiderato la prassi di permettere lunghe pause pomeridiane che causano il
protrarsi della giornata di lavoro fino a tarda sera. La siesta può interrompere i contatti
con altre aziende europee per buona parte dell’orario di lavoro. Inoltre, dal punto di vista
dei dipendenti, nelle grandi città sta diventando sempre più difficoltoso rincasare per
pranzo e la durata della giornata di lavoro inizia a rappresentare un problema.54
I manager devono ricordarsi di reimpostare i loro “orologi mentali” nel condurre trattative tra culture diverse.
Spazio interpersonale
Figura 4-3
La distanza interpersonale
negli incontri d’affari varia
da cultura a cultura
Pubblica
Distanza interpersonale
(in metri)
Prossemica: lo studio delle
aspettative culturali in merito
alla distanza interpersonale
L’antropologo Edward T. Hall ha rilevato un legame tra la cultura e la distanza interpersonale preferita: in particolare, ha osservato come gli individui appartenenti a culture a
struttura complessa stiano a distanza ravvicinata quando sono coinvolti in una conversazione con qualcuno, mentre nelle culture lineari si preferisce uno spazio interpersonale
nettamente superiore. Nello studio di quelle che sono le aspettative culturali in merito
alla distanza interpersonale, Hall ha utilizzato il termine prossemica.55 In particolare,
egli ha individuato quattro zone di distanza intersoggettiva, chiamate da alcuni “bolle
di spazio personale”: le zone intima, personale, sociale e pubblica; le loro dimensioni,
nonché alcune delle differenze culturali a esse relative, sono illustrate nella figura 4-3.
Come illustrato nella figura, quando si parla di affari in Nord America la distanza
mantenuta tra le persone coinvolte è di circa un metro e mezzo, ossia all’interno della
zona personale; nelle culture latinoamericane e asiatiche la distanza in questione è di
circa trenta centimetri, evidentemente alquanto spiacevole per americani e nordeuropei.
3,5
Sociale
1,5
Personale
0,5
Intima
0
Araba
Asiatica
+
Latino
americana
Nord
americana
+
Nord
europea
Culture
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Comportamento organizzativo nel mondo: management interculturale
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Alcuni arabi amano addirittura avvicinarsi ancora di più. Le differenze originate da valutazioni dello spazio personale diverse tra le varie culture possono essere estremamente
fastidiose per chi non sia preparato. Hall fornisce la seguente spiegazione:
Gli arabi hanno la tendenza a starti molto vicino e a respirarti addosso. Fa parte del
coinvolgimento altamente sensoriale di una cultura a struttura complessa. […] L’americano che subisce tale comportamento non riesce a identificare tutte le origini del suo
disagio, ma percepisce l’arabo come invadente. L’arabo si avvicina mentre l’americano
indietreggia. L’arabo lo segue perché è in grado di interagire solo a determinate distanze.
Una volta che l’americano impara che gli arabi gestiscono lo spazio diversamente e che
il respirare sulle persone è una forma di comunicazione, la situazione può essere talvolta
ridefinita e l’americano può rilassarsi.56
Gli asiatici e i mediorientali si stancano di rincorrere i loro ospiti appartenenti a culture
lineari per mantenere quella che loro ritengono essere la distanza ideale durante una
conversazione. D’altra parte, continuare tutta la sera a indietreggiare per mantenere a
un’idonea distanza i partner coinvolti nella conversazione è a sua volta un’esperienza
imbarazzante. La consapevolezza delle differenze culturali, nonché un abile adeguamento, sono elementi essenziali al fine di arrivare a trattative d’affari produttive in
ambito interculturale.
Religione
L’espressione della fede e l’adempimento di pratiche religiose possono avere importanti
conseguenze sulle relazioni interculturali. Un’analisi completa delle diverse religioni va
oltre lo scopo del presente lavoro;57 è tuttavia utile esaminare il rapporto tra l’affiliazione
religioso e i valori legati al mondo del lavoro. Uno studio effettuato su 484 studenti di
diverse nazioni presso un’università statunitense del Midwest ha messo in luce diversi
approcci al lavoro, conseguenti alla fede religiosa.
• Cattolica – Considerazione (“Attenzione a che i collaboratori siano presi sul serio,
siano tenuti informati, e che si ricorra alle loro opinioni.”)
• Protestante – Efficacia del datore di lavoro (“Desiderio di lavorare per un’impresa
che sia efficiente, di successo e leader nella tecnologia.”)
• Buddista – Responsabilità sociale (“Attenzione a che il datore di lavoro si senta
responsabile del benessere della società.”)
• Mussulmana – Continuità (“Desiderio di un ambiente stabile, con rapporti di lavoro
di lunga durata, con poca incertezza.”)
• Nessuna fede religiosa – Sfida professionale (“Interesse ad avere un lavoro che fornisca opportunità d’apprendimento e la possibilità di fare un uso appropriato delle
proprie capacità.”)58
Non esistono quindi approcci al lavoro universali, dal punto di vista religioso. Questo
ha portato i ricercatori a concludere che “i datori di lavoro farebbero bene a considerare
l’impatto che le differenze religiose (e, più ampiamente, i fattori culturali) possono avere
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Parte I
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Il mondo del comportamento organizzativo
sui valori dei propri collaboratori”.59 Negli Stati Uniti, come in molti altri paesi, la legge
sulle pari opportunità d’impiego proibisce ai manager di attuare discriminazioni nelle
scelte di assunzione in base alla religione di appartenenza.
Conseguenze operative delle ricerche
sul management interculturale
Management interculturale:
disciplina dedicata a comprendere e gestire i comportamenti
individuali in organizzazioni
che coinvolgono culture diverse
Nancy Adler, studiosa di comportamento organizzativo in ambito internazionale presso
l’università canadese McGill, ha proposto la seguente definizione: “il management
interculturale (cross-cultural management) aiuta a comprendere il comportamento
degli individui in organizzazioni operanti su scala mondiale e offre indicazioni utili
a chi lavora per aziende aventi clienti e collaboratori appartenenti a molte culture
diverse”.60 Storicamente, le ricerche di management interculturale si sono soffermate
quasi esclusivamente sulle differenze tra una cultura e l’altra; preoccupato da confronti
interculturali inappropriati, un ricercatore ha di recente definito questo approccio come
“un paragone tra bacchette cinesi e forchette.”61 Mansour Javidan e Robert J House,
ricercatori impegnati nel progetto GLOBE, suggeriscono di studiare anche le affinità
tra di esse. Questi studiosi ritengono che seguire la traccia delle convergenze culturali
sarà utile per capire meglio quanto le singole pratiche di management siano condivisibili
da culture altre. “Sarà ad esempio più facile applicare teorie della leadership sviluppate
negli Stati Uniti a manager britannici (altro gruppo di radice anglosassone), piuttosto
che a manager di un paese arabo.”62 In questo paragrafo prenderemo in considerazione
tre diversi filoni di ricerca relativi al management interculturale che offrono utili suggerimenti per i manager che operano nell’economia globalizzata.
Lo studio di Hofstede: le teorie di management statunitensi
sono applicabili in altri paesi?
La risposta sintetica a questa importante domanda è non molto, ed è il risultato di un
importante studio condotto trent’anni fa dal ricercatore olandese Geert Hofstede. Il suo
confronto interculturale tra 116.000 dipendenti IBM provenienti da 53 paesi nel mondo
è incentrato su quattro dimensioni culturali:
•
Distanza dal potere: qual è il grado di disuguaglianza atteso in determinate situazioni
sociali?
• Individualismo-collettivismo: quanto sono forti i legami sociali dell’individuo?
• Mascolinità-femminilità: gli individui agiscono in base a tratti maschili, come la
competitività e l’orientamento al risultato, o femminili, come la solidarietà e l’orientamento ai rapporti personali?
• Rifiuto dell’incertezza: in che misura gli individui preferiscono situazioni strutturate?
Gli Stati Uniti hanno riportato un punteggio relativamente basso nell’ambito della
distanza dal potere e del rifiuto dell’incertezza, un punteggio molto alto nell’ambito
dell’individualismo e moderatamente alto nell’ambito della mascolinità.63
CompOrga.indb 88
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Comportamento organizzativo nel mondo: management interculturale
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Alla luce delle significative variazioni riscontrate tra culture diverse, Hofstede ha
tratto due importanti conclusioni: (1) le teorie e le prassi manageriali devono essere
adattate alla cultura locale. Questo vale, in particolar modo, per le teorie di management nate in America (ad esempio la gerarchia dei bisogni di Maslow) e per le prassi
manageriali giapponesi. Non esiste un modo migliore per gestire le persone e le organizzazioni.64 (2) Nell’ambito di un’economia globale, l’arroganza culturale è un lusso
che gli individui, le imprese e le nazioni non si possono più permettere.
Lezioni di leadership dal progetto GLOBE
Nella seconda fase del loro lavoro i ricercatori del progetto GLOBE si sono posti l’obiettivo di individuare l’esistenza di caratteristiche di leadership che fossero universalmente
giudicate in modo positivo o negativo. Per fare questo hanno condotto una ricerca su
17.000 manager di medio livello appartenenti a 62 paesi/culture e a 951 organizzazioni
diverse. I risultati della ricerca, sintetizzati nella tabella 4-3, determinano implicazioni
importanti per i responsabili della formazione dei manager globali presenti e futuri.65
I leader carismatici, dotati di visione e della capacità di ispirare i collaboratori, sono
generalmente considerati i migliori. Al contrario, i leader concentrati su se stessi e
visti come individui solitari o pronti a cercare espedienti per salvare la faccia in genere
non sono giudicati positivamente (si rimanda al Capitolo 16 per una trattazione più
Tabella 4-3
Caratteristiche di leadership
universalmente apprezzate o
universalmente rifiutate in 62
paesi/culture
Fonte: estratto e adattato da
P.W. Dorfman, P.J. Hanges e
F.C. Brodbeck, “Leadership
and Cultural Variation: The
Identification of Culturally
Endorsed Leadership Profiles,”
in Culture, Leadership, and
Organizations: The GLOBE Study
of 62 Societies, ed. R.J. House, P.J.
Hanges, M. Javidan, P.W. Dorfman
e V. Gupta (Thousand Oaks, CA:
Sage, 2004), Tabelle 21.2 e 21.3,
pp. 677-78.
CompOrga.indb 89
CARATTERISTICHE DI LEADERSHIP
UNIVERSALMENTE APPREZZATE
CARATTERISTICHE DI LEADERSHIP
UNIVERSALMENTE RIFIUTATE
Degno di fiducia
Solitario
Equo
Asociale
Onesto
Non cooperativo
Lungimirante
Irritabile
Pianificatore
Poco chiaro
Incoraggiante
Egocentrico
Positivo
Spietato
Dinamico
Autoritario
Motivante
Creatore di fiducia
Stimolante
Affidabile
Intelligente
Determinato
Buon negoziatore
Capace di trovare soluzioni win-win ai problemi
Amministratore competente
Comunicativo
Istruito
Coordinatore
Dotato di capacità di team building
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Parte I
Il mondo del comportamento organizzativo
approfondita della leadership). I manager locali e stranieri che leggono questi risultati
farebbero bene a impiegare un approccio contingente alla leadership dopo aver cercato
di comprendere la popolazione e la cultura locali usando l’intelligenza culturale. David
Whitman, da tempo CEO di Whirlpool, azienda produttrice di elettrodomestici, inquadra
la sfida in questo modo:
Il compito di guidare un’azienda globale è significativamente cambiato rispetto agli anni
’80 e ’90 e richiede un insieme del tutto nuovo di competenze. Le strutture burocratiche
non funzionano più e bisogna escludere dal sistema gli individui autoritari. Occorre
favorire e stimolare un ampio coinvolgimento all’interno dell’azienda. Soprattutto per
le imprese operanti nel settore dei beni di consumo, è essenziale disporre di una forza
lavoro eterogenea e di una leadership differenziata. Serve una forte leadership regionale ben radicata nella cultura locale: nel nostro caso, le attività in Nord America sono
gestite da un nordamericano, mentre le attività in America Latina sono gestite da un
latinoamericano.66
Lo stile di management varia di paese in paese
I risultati di un ampio studio condotto di recente in 17 paesi confermano e sviluppano le
conclusioni di Hofstede: le pratiche di management sono di fatto legate al paese e alla
cultura. Lo studio ha coinvolto 5.922 imprese selezionate in maniera casuale con un
numero di dipendenti da 100 a 5.000. Gli intervistatori hanno assegnato un punteggio
da basso ad alto ai manager sulla base dell’impiego di 18 prassi di management efficaci.
Secondo i ricercatori principali, Nicholas Bloom e John Van Reenen, le 18 prassi sono
riconducibili a tre categorie:
1. Monitoraggio. Con quanta efficacia le aziende monitorano che cosa accade internamente e come usano il monitoraggio per il miglioramento continuo?
2. Obiettivi. Le imprese stabiliscono gli obiettivi giusti? Monitorano le conseguenze
giuste? Implementano azioni efficaci in caso di mancato allineamento tra obiettivi
e conseguenze?
3. Incentivi. Le aziende promuovono e premiano i collaboratori sulla base delle prestazioni e cercano di assumere e trattenere i dipendenti migliori?67
Le risposte fornite dai manager sono state raggruppate per paese al fine di individuare
uno stile di management nazionale caratteristico. Tra i risultati più interessanti, si è
riscontrato che:
• La classifica dei paesi, dalla posizione più alta alla più bassa, rispetto alla qualità
delle pratiche di management combinate è la seguente: Stati Uniti, Germania e Svezia
(pari al secondo posto), Giappone, Canada, Francia, Italia, Gran Bretagna, Australia,
Irlanda del Nord, Polonia, Irlanda, Portogallo, Brasile, India, Cina e Grecia.
• Ciascuno dei 17 paesi esaminati evidenzia un mix distintivo di enfasi su “monitoraggio”, “obiettivi” e “incentivi”. Per un esempio, si rimanda ai profili dei cinque
paesi ai primi posti della classifica riportati nella tabella 4-4.
CompOrga.indb 90
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4
Comportamento organizzativo nel mondo: management interculturale
Tabella 4-4
I paesi con i punteggi di
management complessivi più
alti nel ricorso a pratiche di
management diverse
Fonte: adattamento dai dati
citati in N. Bloom e J. Van
Reenen, “Why Do Management
Practices Differ Across Firms and
Countries?” Journal of Economic
Perspecitves, inverno 2010,
Tabella 2, p. 210.
91
Posizione nella classifica dei 17 paesi
Monitoraggio
Obiettivi
Incentivi
Stati Uniti
Germania
Svezia
Giappone
Canada
2
3
1
7
4
3
2
4
1
5
1
3
5
4
2
• Non esiste un singolo stile di management più efficace a livello mondiale.
• Le imprese multinazionali sono meglio gestite delle imprese locali e rappresentano
quindi un buon modello di ruolo e una fonte di buone pratiche di management.
Questo studio consiglia ai manager di essere flessibili e adattare il proprio stile alle preferenze locali se lavorano in un paese diverso dal proprio. Per esempio, come indicato
nella tabella 4-4, gli incentivi risultano molto efficaci negli Stati Uniti e in Canada ma
meno in Svezia, dove il monitoraggio è dato per scontato. Gli obiettivi sono la pratica
preferita in Giappone e in Germania. Un equilibrio adeguato alla cultura di attenzione
al monitoraggio, agli obiettivi e agli incentivi consente di ottenere i risultati migliori e
richiede una ricerca preliminare, una buona dose di intelligenza culturale e pazienza,
piuttosto che fretta di imporre uno stile di management estraneo.
Come prepararsi per incarichi all’estero
Con la crescente diffusione di imprese globali aumenteranno anche le opportunità di
vivere e lavorare in paesi stranieri. Un esempio delle opportunità di trasferimenti e di
esperienze tra culture diverse è dato dalla Siemens, gigante tedesco dell’elettronica e
delle apparecchiature industriali con sede a Monaco. La Siemens ha 405.000 dipendenti in 190 paesi, di cui oltre 61.000 negli Stati Uniti.68 Imprese globali di questo tipo
necessitano di collaboratori dinamici e con desiderio di crescere, che siano in grado di
lavorare in culture diverse.69 Jack e Suzy Welch, scrivendo su BusinessWeek, hanno
di recente proposto la seguente visione dello scenario dei prossimi 10 anni: “Esistono
opportunità d’oro per i manager con esperienza e dotati dell’ambizione, dell’interesse e
della mentalità globale necessari per lavorare all’estero per un certo periodo di tempo.”70
In questa ultima sezione cercheremo quindi di sottolineare gli elementi che possano
aiutare a lavorare con successo in paesi stranieri perché gli incarichi all’estero possono
aggiungere molto valore al curriculum nell’attuale economia globalizzata.
Perché gli americani falliscono negli incarichi all’estero?
Espatriato: chiunque viva o
lavori fuori dal proprio paese
d’origine
CompOrga.indb 91
Con il termine espatriati indichiamo qui chiunque viva e/o lavori fuori dal suo paese
di origine (mentre i rimpatriati sono coloro che vi ritornano dopo un periodo di lavoro
all’estero). Da alcune ricerche risulta che i cittadini americani sono poco predisposti
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Parte I
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Il mondo del comportamento organizzativo
alla sfida della diversità culturale e inclini al fallimento negli incarichi internazionali.
Due studiosi di management internazionale hanno fornito la seguente valutazione:
Nel corso degli ultimi dieci anni abbiamo studiato gli espatriati presso circa 750 imprese
statunitensi, europee e giapponesi. Abbiamo chiesto sia agli espatriati stessi che ai dirigenti che li avevano mandati all’estero di valutare le loro esperienze. Abbiamo, altresì,
osservato cosa è accaduto dopo il rientro degli espatriati nel loro paese. […] I risultati
della nostra ricerca sono stati, nell’insieme, preoccupanti: abbiamo appurato che tra il
10 e il 20% dei manager statunitensi mandati all’estero sono rientrati in anticipo a causa
di insoddisfazione a livello professionale o difficoltà di adattamento nel paese straniero.
Di quelli rimasti per il tempo previsto, quasi un terzo ha ottenuto risultati inferiori alle
aspettative dei superiori; fatto ancor più preoccupante, un quarto di coloro che hanno
portato a termine l’incarico, dopo essere rientrati nel loro paese hanno lasciato l’azienda,
spesso andando a lavorare per la concorrenza, nel giro di un anno. Si tratta di un turnover
doppio rispetto ai colleghi che sono rimasti in patria.71
Un’indagine più recente sui motivi del rientro anticipato degli espatriati ha evidenziato
piccoli miglioramenti. Ciò nonostante, i problemi di adattamento personale e familiare
(36,6%) e la nostalgia di casa (31%) sono emersi come i maggiori ostacoli per i manager
americani impiegati all’estero.72 Un sondaggio che ha chiesto a 72 responsabili delle
risorse umane presso imprese multinazionali di indicare il più significativo fattore di
successo in un incarico all’estero ha fornito il seguente spunto di riflessione: “Il 35% circa
degli intervistati ha indicato la capacità di adattamento culturale: pazienza, flessibilità
e tolleranza nei confronti dei valori altrui.”73 Le imprese multinazionali statunitensi
devono evidentemente supportare con una adeguata formazione i dipendenti destinati
a incarichi in paesi stranieri, soprattutto alla luce degli elevati costi ad essi legati.
Mosche bianche: donne nordamericane con incarichi all’estero In passato trovare
una donna statunitense o canadese impegnata in incarichi all’estero era un fatto raro.
Sebbene lentamente, le cose stanno cambiando: di seguito si elencano alcuni elementi
in proposito.
•
La percentuale delle donne nordamericane dipendenti di grandi imprese impegnate
in incarichi all’estero è aumentata dal 3% all’inizio degli anni ’80 a poco meno del
15% in anni recenti.
• I principali ostacoli nei confronti delle candidate per un trasferimento all’estero non
sono tanto il pregiudizio verso di loro nel paese ospitante, quanto l’autosvalutazione
delle candidate stesse e l’ipotesi da parte del vertice aziendale che le donne non
saranno bene accette nel paese ospitante.
• Le donne nordamericane espatriate sono viste, dai membri del paese ospitante,
innanzi tutto come straniere e solo secondariamente come donne.
• Le donne nordamericane conseguono un’elevata percentuale di successo nei loro
incarichi all’estero.74
In considerazione della domanda crescente di manager globali, donne che si autoescludono e orientamenti manageriali basati sul pregiudizio sono decisamente controprodu-
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Comportamento organizzativo nel mondo: management interculturale
93
centi. Dal canto loro, le donne (o anche gli uomini) che desiderano assumere incarichi
all’estero devono adottare un approccio proattivo sviluppando l’intelligenza culturale
e candidandosi per svolgere incarichi all’estero.
Come evitare gli elementi critici di comportamento
organizzativo negli incarichi all’estero
Trovare la persona giusta per l’assegnazione di una posizione all’estero (spesso associata
a una famiglia che fornisca adeguato supporto e sia disposta all’avventura) è un’operazione costosa, complessa e che richiede una grande quantità di tempo. In questa sede
sarà sufficiente restringere l’area di nostro interesse ai fattori problematici di comportamento organizzativo più comuni nell’ambito degli incarichi all’estero. Osservando il
ciclo rappresentato nella figura 4-4 si nota come il primo e l’ultimo stadio avvengano in
patria, mentre i due stadi intermedi nel paese straniero. Ciascuno di questi stadi cela un
punto nodale correlabile al comportamento organizzativo che deve essere individuato
in anticipo e neutralizzato; pena un altro incarico all’estero fallito.
Evitare aspettative irrealizzabili tramite una preparazione interculturale Le
presentazioni realistiche del lavoro si sono dimostrate efficaci per fornire alle persone
in attesa di un incarico all’estero le necessarie informazioni positive e negative, così
da riportare a maggiore realismo aspettative eccessive; gli individui con aspettative
realistiche hanno la tendenza a lasciare il posto di lavoro meno di frequente e a essere
Figura 4-4
Ciclo dell’incarico all’estero
(con gli elementi critici
di comportamento
organizzativo)
Esperienze
nel paese d’origine
1. Selezione e
preparazione
“Aspettative
non realistiche”
Esperienze
nel paese straniero
2. Arrivo e
adattamento
“Shock
culturale”
Riassegnamento
4. Rientro nel
proprio paese
“Shock da
rientro”
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3. Sistemazione
e acculturazione
“Mancanza
di supporto”
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Parte I
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Formazione interculturale:
percorsi formativi strutturati
volti a fornire un sostegno
nell’adattamento a una nuova
cultura o a un nuovo paese
Il mondo del comportamento organizzativo
più soddisfatti. Le presentazioni realistiche del lavoro devono essere accompagnate da
una adeguata formazione interculturale.
Per formazione interculturale si intende una serie di esperienze strutturate, orientate ad aiutare i collaboratori in partenza nell’adattamento a una cultura straniera. Negli
Stati Uniti si nota una tendenza alla maggiore diffusione di questo tipo di formazione;
tuttavia, ci sono ancora ampie possibilità di miglioramento sul piano quantitativo e
qualitativo. Secondo gli esperti, pur essendo dispendiosa, la formazione interculturale
costa meno del fallimento di un incarico all’estero. I programmi di formazione devono
necessariamente cambiare in considerazione della tipologia di incarico e per il rigore
con il quale si affrontano i contenuti. Naturalmente una formazione di qualità necessita
di un tempo più lungo e di maggiori risorse.
•
Incarichi a bassa complessità. La preparazione preventiva si limita a fornire materiale
informativo, libri, lezioni, film, video e ricerche in Internet.
• Incarichi a complessità media. La preparazione preveda un ruolo attivo dei partecipanti e va progettata attraverso lo studio di casi, role playing, simulazioni e una
introduzione alla lingua del paese.
• Incarichi a elevata complessità. Ai dipendenti in partenza viene fornita una formazione come nel caso precedente, più una buona conoscenza della lingua e un’esperienza
sul campo nella cultura di loro interesse. Come esempio di quest’ultima categoria,
la Pepsi manda “negli Stati Uniti circa 25 giovani manager stranieri ogni anno per
un incarico annuale nei propri impianti di imbottigliamento”.75
Qual è l’approccio migliore? La ricerca fornisce interessanti spunti di riflessione. Uno
studio riguardante espatriati statunitensi nella Corea del Sud ha portato i ricercatori
a consigliare, come sistema ideale, la combinazione di una preparazione informativa
preventiva e di una formazione attiva prima della partenza.76 Un altro studio recente
condotto su 226 manager espatriati in Nigeria (di cui il 30% donne) e provenienti da
Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania ha evidenziato la necessità di svolgere
formazione interculturale prima della partenza e nel paese ospitante. Tra gli altri risultati
significativi:
• Esperienze all’estero precedenti favoriscono l’adattamento a una cultura straniera.
• Tutti i tipi di formazione interculturale favoriscono l’adattamento, ma la formazione
nel paese ospitante è la più efficace.
• I collaboratori impiegati in mansioni tecniche hanno bisogno di meno formazione
interculturale rispetto a coloro che detengono posizioni nel management, nel marketing e nelle relazioni pubbliche, caratterizzate da un grado elevato di contatti sociali.
• La formazione esperienziale incentrata sulla cultura del paese ospitante, con partecipazione attiva in simulazioni di situazioni reali, favorisce l’adattamento in misura
maggiore rispetto alle presentazioni sulla cultura fruite passivamente.77
A buon senso si può affermare che più l’addestramento interculturale è progettato con
rigore più sarà efficace. Idealmente, al termine della formazione, i partecipanti dovrebbero aver sviluppato le nove competenze interculturali illustrate nella tabella 4-5.
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4
Comportamento organizzativo nel mondo: management interculturale
Tabella 4-5
Competenze interculturali
essenziali
Fonte: estratto da Y. Yamazaki
e D.C. Kayes, “An Experiential
Approach to Cross-Cultural
Learning: A Review and
Integration of Competencies
for Successful Expatriate
Adaptation,” Academy of
Management Learning and
Education, dicembre 2004,
Tabella 2, p. 372.
Insieme di competenze interculturali
Conoscenza o competenza necessaria
Costruire relazioni
Instaurare e mantenere rapporti con i membri
della cultura ospitante
Manifestare empatia per le differenze
e sensibilità rispetto alle diversità
Conoscere la storia culturale e le motivazioni
alla base di determinate azioni e usanze culturali
Riconoscere e interpretare i comportamenti
impliciti, soprattutto i segnali non verbali
Conoscere la lingua locale, i simboli e le altre forme
di linguaggio verbale nonché la lingua scritta
Comprendere le conseguenze volute
e potenzialmente non volute delle azioni
Gestire i dettagli di un lavoro, favorendo anche
la coesione del gruppo
Adottare prospettive diverse
Comprendere l’umore, le emozioni
e la personalità propri e altrui
Valutare le persone di cultura diversa
Ascoltare e osservare
Gestire le ambiguità
Tradurre informazioni complesse
Agire e prendere l’iniziativa
Gestire gli altri
Essere elastici e flessibili
Gestire lo stress
Shock culturale: ansia e dubbi causati da un sovraccarico
di situazioni e segnali sociali
sconosciuti
95
Evitare lo shock culturale Vi siete mai trovati in una situazione totalmente sconosciuta che vi ha portato a sentirvi disorientati e forse un po’ spaventati? In caso
affermativo avete già un’idea di cosa si intenda per shock culturale. Lo shock culturale comporta, secondo gli antropologi, ansia e dubbi causati da un sovraccarico
di situazioni e segnali sociali sconosciuti.78 Gli studenti iscritti al primo anno di
università sperimentano spesso una variante dello shock culturale; un manager in
trasferta all’estero può sentirsi disorientato da tutta una serie di immagini, suoni e
comportamenti, da segnali stradali illeggibili, cibi dal sapore strano, o dal fatto di non
riuscire a strappare una risata con una barzelletta solitamente infallibile. Lo shock
culturale, per un manager espatriato che cerca di seguire in ogni minimo dettaglio
una negoziazione d’affari, più che un inconveniente imbarazzante è un vero e proprio
disastro! Così come la matricola confusa abbandona l’università e torna a casa, il
manager che subisce uno shock culturale spesso, preso dal panico, chiede un rientro
anticipato. La migliore difesa consiste in una completa preparazione interculturale
che comprenda lo studio intensivo della lingua. la cui conoscenza consente di cogliere
sottili ma importanti segnali culturali.
Sostegno durante l’incarico all’estero Quando all’espatriato tutto appare come
una novità, soprattutto durante i primi sei mesi, è necessario un appropriato sistema di
sostegno.79 Sponsor del paese ospitante, assegnati ai singoli manager o alle famiglie,
sono figure consigliate per la loro funzione, paragonabile a quella dei cani guida per
ciechi, dove la cecità in questo caso è di natura culturale. In un paese straniero, dove
la più semplice commissione può trasformarsi in un compito estremamente stancante,
gli sponsor possono risolvere rapidamente i problemi perché conoscono il territorio,
sia da un punto di vista culturale che geografico. I dipendenti della Honda in Ohio, per
esempio, hanno apprezzato l’aiuto degli sponsor familiari durante la loro formazione
in Giappone.
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Parte I
Il mondo del comportamento organizzativo
La Honda ha semplificato la vita degli espatriati statunitensi grazie alle mogli dei dipendenti giapponesi che avevano vissuto negli Stati Uniti, intervenute nella gestione di varie
emergenze, per esempio quando la piccola Ashley, figlia di Diana Jett, ha avuto bisogno
di medicare una ferita al mento con punti di sutura. Quando la figlia di Kim Smalley,
senior manager della task force, ha avuto problemi di inserimento scolastico e aveva
bisogno di una particolare custodia per la sua armonica, una volontaria giapponese ha
passato la notte in bianco per realizzarla.80
Evitare lo shock da rientro Per quanto possa sembrare strano, molti manager espatriati, anche di successo, hanno incontrato la loro prima grande difficoltà una volta
portato a termine un incarico all’estero. Come si spiega tale fenomeno? Il ritorno alla
propria cultura di origine è un passaggio dato per scontato perché considerato un fatto
di routine; l’essere riusciti ad adattarsi al modo di gestire la quotidianità in un altro
paese per un periodo di tempo esteso, tuttavia, può porre la propria cultura e tutto ciò
che ne fa parte sotto una luce nuova e bizzarra. Tre sono i settori che possono provocare
un eventuale shock da rientro: il lavoro, le attività sociali e l’ambiente complessivo (la
politica, il clima, i mezzi di trasporto e il cibo). Il ritorno di Ira Caplan a New York City
fornisce un esempio di tale shock.
Nel corso degli ultimi 12 anni, vivendo per lo più in Giappone, Caplan e sua moglie
avevano trascorso le vacanze in crociera sul Nilo o facendo trekking in Nepal. Gli Stati
Uniti che ricordavano erano quelli di dodici anni prima. Guardando il suo paese con
occhi diversi, i prezzi lo lasciano allibito, il livello di criminalità lo spaventa; ma ciò
che più di tutto lo turba riguarda quanto di sé stesso si è lasciato alle spalle. Alle prese
con una sindrome da ritorno tanto snervante quanto quella della partenza, Caplan si
sente spaesato, trascurato e sminuito […] In un ristorante italiano, affollatissimo all’ora
di pranzo, quando il cameriere ha posato davanti a lui una ciotola di linguine; il signor
Caplan non è riuscito a trattenersi dall’osservare: “In Asia abbiamo porzioni più ridotte
e persone più minute”. Non riesce a smettere di pensare all’Asia. Ha trascorso anni
portando avanti un’esperienza in un territorio di enorme importanza, e ora questo non
sembra interessare a nessuno. Questa è New York!81
Casi di difficoltà di adattamento al lavoro precedente sono riscontrabili per molti
espatriati di diverse nazionalità, nordeuropei, giapponesi e americani.82 Poco dopo
essere stato rimpatriato, dopo dodici anni trascorsi all’estero, un manager di un’azienda
statunitense ha affermato: “La cultura aziendale che conoscevo è stata completamente
ribaltata: adesso abbiamo altri obiettivi strategici, altri strumenti e parole chiave diverse.
Ho dovuto imparare un ‘linguaggio’ aziendale completamente nuovo.”83 La portata dello
shock da rientro può essere contenuta attraverso un servizio di sostegno e consulenza ai
dipendenti e con sponsor del paese d’origine. Il solo fatto di essere consapevoli di tale
problema rappresenta, di per sé, un importante passo avanti verso una concreta presa
di posizione in merito.84 La chiave verso la piena riuscita di un incarico all’estero sta,
sostanzialmente, nel vederlo come parte integrante della carriera piuttosto che come
un’avventura isolata.
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Il comportamento individuale
nelle organizzazioni
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
CompOrga.indb 97
II
Le differenze individuali
Valori, atteggiamenti e soddisfazione lavorativa
Percezioni e attribuzioni sociali
I fondamenti della motivazione
Migliorare la performance: obiettivi, feedback, ricompense e rinforzi
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Le differenze individuali
5
Un introverso può guidare Facebook verso il successo nel lungo periodo?
Nel suo libro The Facebook Effect: The Inside Story of
the Company That Is Connecting the World (in italiano,
Facebook. La storia. Mark Zuckerberg e la sfida di
una nuova generazione, traduzione di Ilaria Katerinov,
Milano, Hoepli, 2011), David Kirkpatrick fornisce un
quadro interessante della personalità e del carattere del
fondatore e CEO di Facebook. Quello che segue è un
ritratto di Mark Zuckerberg come brillante studente
universitario e genio dell’informatica destinato a diventare CEO di un gigante del web. All’inizio del 2011,
gli oltre 500 milioni di utenti attivi di Facebook (di cui
oltre il 70% al di fuori degli Stati Uniti) condividevano
all’incirca 30 miliardi di contenuti al mese.1
Mark Zuckerberg era un ragazzo basso e magro, introverso e sensibile, con i riccioli castani e le lentiggini: dimostrava quindici anni, anziché i diciannove che aveva [ad
Harvard]. La sua uniforme era costituita da jeans larghi,
sandali di gomma – anche in inverno – e una t-shirt con
qualche disegno o scritta ironica. Una maglietta che indossava spesso in quel periodo raffigurava una scimmietta,
CompOrga.indb 99
con la scritta “Code Monkey”. Con gli estranei appariva
taciturno, ma era solo un’illusione: quando iniziava a
parlare, era velenoso. Di solito restava in silenzio finché
l’interlocutore non aveva finito di parlare. Ti fissava. Ti
ascoltava nel più assoluto silenzio. Se trovava interessanti le parole dell’interlocutore alla fine diceva la sua e
a quel punto era inarrestabile: un torrente di parole. Ma
se lo annoiavi, se parlavi troppo o dicevi ovvietà, allora
non ti considerava più, guardava oltre le tue spalle. Alla
fine del tuo monologo mormorava: “Già!” poi cambiava
argomento o si voltava dall’altra parte. Zuckerberg è un
pensatore altamente intenzionale, razionale all’estremo.
Con la sua grafia ordinata, meticolosa e minuscola, riempie quaderni con lunghe meditazioni.
Alle ragazze piaceva il suo sorriso scanzonato, la
sua baldanza, il senso dell’umorismo e l’irriverenza
[…]. Portava sempre stampata in faccia un’espressione
soddisfatta che sembrava dire: “So il fatto mio”. Zuck,
come lo chiamavano tutti, aveva l’aria di pensare che
tutto sarebbe finito per il meglio, qualsiasi cosa avesse
deciso di fare.2
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Parte II
100
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
Dal punto di vista biologico, le persone presentano più somiglianze che differenze.
Quanto siamo simili gli uni agli altri?
[Le risposte si trovano nei] centomila miliardi di cellule di ciascun essere umano. Ogni
cellula contiene il DNA sotto forma di 46 cromosomi, di cui 23 ereditati dal padre e
23 dalla madre. Le molecole di DNA sono composte da quattro basi (adenina, timina,
citosina e guanina) associate a due a due in una struttura denominata a doppia elica,
simile a una scala a chiocciola.
Il Progetto Genoma Umano ha determinato la sequenza esatta delle cosiddette coppie
di basi che formano il DNA e identificato circa 20.500 geni, pressappoco lo stesso numero riscontrato negli scimpanzè e nei cani. Dal punto di vista genetico, i 7 miliardi di
abitanti della Terra sono identici l’uno all’altro per il 99,5%. La variazione tra i genomi
individuali è solo di una coppia di basi ogni 5.000.
Considerato che il genoma è costituito da 3 miliardi di coppie di basi, si tratta di
una variazione minima eppure essenziale: ad essa sono infatti riconducibili tutte le
caratteristiche che differenziano un individuo dall’altro, che siano l’altezza, il peso,
il colore degli occhi e dei capelli, oppure ancora il rischio di malattie cardiovascolari
e di tumori.3
La gestione delle differenze individuali – dettate dalla minima variazione genetica che
rende ciascuno di noi un individuo unico al mondo – è una sfida continua per i manager.
Per esempio, come vi esprimete nell’ambiente di lavoro? Siete intraprendenti come
Mark Zuckerberg o pigri? Solitari o socievoli? Vi considerate padroni del vostro destino
o vittime delle circostanze? Siete emotivi o mantenete la calma in ogni situazione? La
Figura 5-1
Una mappa per lo studio
delle differenze individuali
nel comportamento
organizzativo
L’individuo unico
Tratti di personalità
Valori personali
Atteggiamenti/intenzioni
di comportamento
Forme di espressione di sé
Capacità
Concetto di sé
• Autostima
• Auto-efficacia
• Auto-osservazione
• Identificazione
organizzativa
Emozioni
Soddisfazione lavorativa
Definizione del successo
CompOrga.indb 100
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5
Le differenze individuali
101
vostra soddisfazione lavorativa è alle stelle o ai minimi storici? È grazie a differenze
individuali di questo tipo che le aziende sono composte da un tessuto umano ricco e
interessante; la stessa caratteristica rende però infinitamente complesso il compito del
manager. In effetti, le ricerche empiriche dimostrano che “la variabilità tra le persone
che lavorano è cospicua a tutti i livelli, ma aumenta in maniera notevole al crescere della
complessità delle mansioni. Nella vendita di polizze assicurative sulla vita, ad esempio,
la variabilità in termini di performance è circa sei volte maggiore rispetto a quella che
si riscontra in un normale lavoro impiegatizio”.4
La crescente diversità delle risorse umane obbliga il manager a considerare in
modo completamente nuovo le differenze individuali. I manager di oggi, quindi,
anziché limitare la diversità, come succedeva in passato, devono imparare a capire
meglio la diversità dei collaboratori e le differenze individuali, e ad adattarvisi.5 In
questo capitolo e nel prossimo analizzeremo le differenze individuali rappresentate
nella figura 5-1. Lo schema è una sorta di mappa che illustra i collegamenti tra il
concetto di sé e l’espressione di sé. Questo capitolo tratta in particolare il concetto di
sé, la personalità, le capacità e le emozioni. Nel Capitolo 6 si parlerà invece di valori,
atteggiamenti e soddisfazione lavorativa. Tutti questi fattori, se presi nel loro insieme,
costituiscono una base per accettare meglio ogni membro dell’organizzazione nella
sua unicità di individuo.
Il concetto di sé
Concetto di sé: la percezione che una persona ha di sé
stessa in quanto essere fisico,
sociale, spirituale
Cognizioni: la conoscenza, le
opinioni, le convinzioni di un
individuo
CompOrga.indb 101
Quando vi guardate allo specchio, ovviamente riconoscete l’immagine riflessa: vedete
voi stessi.6 Secondo gli scienziati, questa è una capacità poco comune nel regno animale,
che solo uomini, scimmie, delfini e elefanti possono vantare.7 Tuttavia, che cosa sapete
esattamente della persona che vedete nello specchio? In una ricerca in cui è stato chiesto a un gruppo di persone tra i 16 e i 70 anni cosa avrebbero fatto di diverso potendo
rivivere la propria vita, il 48% degli intervistati ha scelto “Entrare in contatto con me
stesso”.8 Questa sezione è mirata ad aiutarvi a entrare in contatto in modo più profondo
con voi stessi, per comprendervi e gestirvi meglio e per meglio comprendere e gestire
gli altri nell’ambiente di lavoro. Come ha affermato l’ex CEO di General Electric Jack
Welch, “per essere un buon capo bisogna stare bene con se stessi”.9
Il sociologo Viktor Gecas definisce il concetto di sé come “l’idea che l’individuo
ha di sé stesso come essere fisico, sociale, spirituale e morale”.10 In questo modo, ci si
riconosce come un essere umano distinto. Il concetto di sé non potrebbe esistere senza
il pensiero; e questo ci porta a parlare del ruolo delle cognizioni. Esse rappresentano
“qualsiasi conoscenza, opinione o convinzione sull’ambiente circostante, su sé stessi,
sul proprio comportamento”.11 Tra tutte le tipologie di cognizioni, alcune sono particolarmente rilevanti per il comportamento organizzativo.
Ci concentreremo ora su tre argomenti onnipresenti nelle discussioni sul concetto
di sé tra gli studiosi del comportamento: autostima, auto-efficacia e auto-osservazione.
Analizzeremo inoltre le implicazioni dell’identificazione organizzativa, in altre parole
gli aspetti sociali del sé. Ognuno degli argomenti citati deve essere esaminato a fondo
da chi vuole capire meglio e gestire in modo efficace sé stesso e gli altri.
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Parte II
102
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
L’autostima
Autostima: la valutazione
complessiva di un individuo su
se stesso e sul proprio valore
L’autostima è l’opinione di un individuo sul proprio valore basata su una complessiva autovalutazione.12 I successi personali e i riconoscimenti tendono ad accrescere l’autostima,
mentre i periodi prolungati di disoccupazione, i rapporti interpersonali difficili e persino
le semplici “giornate storte” possono scalfirla.13 L’autostima si misura chiedendo agli
intervistati di indicare se sono d’accordo o meno con affermazioni positive e negative.
Ecco un esempio di affermazione positiva in un questionario generico sull’autostima:
“So di essere una persona che vale, mi sento alla pari degli altri”.14 Ecco invece un
esempio di affermazione negativa: “Non c’é molto di cui possa essere orgoglioso”.15
Gli individui che si dichiarano d’accordo con le affermazioni positive e in disaccordo
con quelle negative hanno un alto livello di autostima, si considerano validi, capaci
e degni di accettazione. Gli individui con bassi livelli di autostima si considerano in
termini negativi, non hanno sensazioni positive su se stessi e sono bloccati nelle loro
azioni dall’insicurezza; la ricerca ha dimostrato che tendono ad avere problemi di salute e rapporti sociali di bassa qualità, oltre a essere maggiormente esposti al rischio
di depressione.16
L’autostima in altre culture Quali sono le implicazioni interculturali dell’autostima,
concetto prettamente occidentale? Uno studio condotto su 13.118 studenti provenienti
da 31 paesi ha rilevato una correlazione moderatamente positiva tra autostima e livello
di soddisfazione generale. Il rapporto cresce nelle culture individualistiche (ad esempio
in quella statunitense, canadese, neozelandese e olandese) rispetto alle culture collettivistiche (ad esempio quella coreana, keniota o giapponese). I ricercatori ne traggono la
conclusione che le culture individualistiche insegnano alle persone a concentrarsi su sé
stesse, mentre nelle culture collettivistiche le persone “vengono cresciute in modo che si
adattino alla comunità e facciano il loro dovere. Quindi, per un individuo appartenente
a una società collettivistica l’idea di sé stesso è meno rilevante nel determinare il livello
di soddisfazione generale relativamente alla propria vita”.17 I manager che operano a
livello globale devono ricordarsi di dare meno importanza all’autostima quando si trovano a lavorare all’interno di culture collettivistiche (“del noi”), mentre, al contrario,
devono darne molta all’interno di culture individualistiche (“dell’io”).
L’auto-efficacia
Auto-efficacia: convinzione
di una persona sulla propria
capacità di raggiungere un
risultato
CompOrga.indb 102
Una certa fiducia in sé stessi, che contribuisce al raggiungimento dei risultati, è essenziale negli attuali ambienti di lavoro, particolarmente esigenti. La fiducia in sé stessi
supportata da risultati concreti richiede, oltre all’autostima, anche l’auto-efficacia.18
L’auto-efficacia è la convinzione che una persona ha sulle proprie possibilità di riuscire a
portare a termine con successo un determinato compito. Uno studioso di comportamento
organizzativo sostiene che “l’auto-efficacia deriva dall’acquisizione graduale, mediante
l’esperienza, di complesse capacità cognitive, sociali, linguistiche e/o fisiche”.19 I modelli
di ruolo possono aiutare gli individui a sviluppare l’auto-efficacia.
La relazione tra auto-efficacia e performance è di tipo ciclico. I cicli di efficacia →
performance possono sia salire a spirale verso il successo, sia scendere verso il fallimento.20 Gli studiosi hanno documentato l’esistenza di stretti legami tra grandi aspettative
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5
Le differenze individuali
103
di auto-efficacia e il successo in compiti diversi, di tipo sia fisico che intellettuale, la
riduzione dell’ansia, il controllo della dipendenza, la tolleranza al dolore, la guarigione da malattie, la mancanza di stress, l’assenza di mal di mare tra i marinai cadetti,
l’esercizio fisico e l’apprendimento.21 Al contrario, le persone con basse aspettative di
auto-efficacia tendono ad avere bassi tassi di successo. Sebbene il termine auto-efficacia
faccia pensare a qualche strana alchimia mentale, in realtà essa opera in modo molto
semplice, come si vedrà dal modello spiegato di seguito.
Quali sono i meccanismi dell’auto-efficacia? La figura 5-2 illustra un modello base
dell’auto-efficacia, che si fonda sulla ricerca dello psicologo Albert Bandura, dell’Università di Stanford. Esploriamo questo modello con un semplice esercizio. Immaginate
di dover preparare e tenere una lezione di comportamento organizzativo di 10 minuti
davanti a un gruppo di 50 studenti. Il tema è il funzionamento del modello sull’autoefficacia illustrato in figura 5-2.
I calcoli sull’auto-efficacia che farete comprenderanno una valutazione cognitiva
dell’interazione tra la vostra capacità percepita e le opportunità e gli ostacoli contingenti. Mentre vi preparate per la lezione, entreranno in gioco le quattro fonti dell’autoefficacia. Dal momento che le esperienze precedenti costituiscono, secondo Bandura,
la fonte più incisiva, esse occupano il primo posto e nella figura sono connesse alle
opinioni sull’auto-efficacia con una linea continua. La vostra auto-efficacia, insomma,
aumenterebbe se aveste già riscosso successo in passato nel parlare in pubblico; in caso
di insuccesso, l’esperienza negativa contribuirebbe a diminuire la vostra auto-efficacia.
Se considerate i modelli comportamentali come una fonte di convinzioni sull’autoefficacia, sarete influenzati da quanto i vostri compagni di corso riescano efficacemente
a parlare in pubblico. I successi degli altri tenderanno a darvi coraggio (o forse anche
i loro fallimenti, se siete persone molto competitive e con un alto livello di autostima).
Allo stesso modo, ogni atteggiamento di sostegno da parte dei compagni, convinti che
farete un buon lavoro, aumenterà la vostra auto-efficacia. Altri fattori che potrebbero
influire sulla fiducia in voi stessi sono di natura fisica ed emotiva; un attacco improvviso
di laringite o di panico da palcoscenico potrebbero far crollare le vostre aspettative di
auto-efficacia. La vostra valutazione cognitiva della situazione darà vita a una valutazione di auto-efficacia variabile, che determina un’alta o bassa aspettativa di successo.
È importante sottolineare che le valutazioni sull’auto-efficacia non devono intendersi
come affermazioni di uno sbruffone: tutt’altro, si tratta invece di convinzioni profonde
basate sull’esperienza.
Prendiamo ora in esame gli schemi comportamentali rappresentati in figura 5-2:
possiamo vedere come vengono esternate le valutazioni di auto-efficacia. In breve: se
avete un alto livello di auto-efficacia nei confronti del discorso da preparare, lavorerete
di più, in modo più creativo e più a lungo rispetto ai compagni che hanno invece un
basso livello di auto-efficacia, e i risultati verranno di conseguenza. Ci si prepara al
successo o al fallimento impersonando le proprie aspettative di auto-efficacia. A loro
volta, i risultati positivi o negativi ottenuti diventano un feedback per la base personale
di esperienza.
Implicazioni dell’auto-efficacia per i manager I risultati delle ricerche condotte sui
luoghi di lavoro incoraggiano i manager ad alimentare l’auto-efficacia sia in sé stessi
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Parte II
104
Fonti delle convinzioni
sull’auto-efficacia
Feedback
Esperienze
precedenti
Alta
“So che posso
farcela”
Modelli di
comportamento
Convinzioni
sull’auto-efficacia
Persuasione
che viene
dagli altri
Valutazione
dello stato
fisico/
emotivo
Bassa
“Penso di non
farcela”
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
Schemi comportamentali
• Essere ativo selezionare
le migliori opportunità
• Gestire la situazione,
evitare o neutralizzare
eventuali ostacoli
• Stabilire degli obiettivi,
definire i criteri
• Pianificare, preparare,
mettere in pratica
• Provare con impegno
perseverare
• Risolvere i problemi
in modo creativo
• Trarre insegnamento
dalle sconfitte
• Visualizzare il successo.
• Limitare lo stress
• Essere passivo
• Evitare gli incarichi difficili
• Avere aspirazioni limitate
e impegnarsi poco
• Concentrarsi sui propri
difetti
• Non provarci,
metterci un impegno
minimo
• Lasciarsi scoraggiare
dagli insuccessi
e abbandonare
• Attribuire i fallimenti
alla mancanza di capacità
o alla sfortuna
• Preoccuparsi, essere
stressati, deprimersi
• Trovare delle scuse per
giustificare il fallimento
Risultati
Successo
Fallimento
Figura 5-2 Un modello che spiega come l’auto-efficacia possa portare al successo o al fallimento
Fonte: adattamento dalla discussione in A Bandura,“Regulation of Cognitive Processes through Perceived Self-Efficacy” Developmental Psychology, settembre 1989,
pp. 729-35; e R. Wood e A. Bandura,“Social Cognitive Theory of Organizational Management,” Academy of Management Review, luglio 1989, pp. 361-84.
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5
Le differenze individuali
105
sia negli altri. In effetti, da una meta-analisi su 21.616 soggetti è emersa una rilevante
correlazione positiva tra l’auto-efficacia e le prestazioni lavorative.22 Negli ambienti
di lavoro, l’auto-efficacia può essere incrementata mediante politiche di assunzione
attente, compiti sfidanti, formazione e coaching, determinazione di obiettivi, leadership
supportiva e mentoring, nonché riconoscimenti per i progressi evidenziati.
L’auto-osservazione
Confrontate queste due situazioni:
1. Mentre correte per arrivare in orario a un incontro di lavoro, un collega vi prende
da parte e inizia a parlarvi di un problema personale. Volendo interrompere la conversazione, guardate l’ora, ma lui continua a parlare. Allora dite: “Ho una riunione
importante, sono in ritardo”; non si ferma ancora. A questo punto vi girate e ve ne
andate. La persona in questione continua a parlare, come se non avesse ricevuto
nessuno dei segnali verbali e non verbali che gli avete inviato per chiudere la conversazione.
2. Stessa situazione. Questa volta, però, quando guardate l’ora, il vostro collega dice
subito: “Oh, so che devi andare, scusami tanto. Parleremo più tardi”.
Auto-osservazione: la capacità di osservare il proprio
comportamento autoespressivo, adattandolo alla situazione
Nella prima situazione, peraltro alquanto frequente, l’interlocutore era una persona “a
basso livello di auto-osservazione”, mentre nel secondo caso il livello era alto. Tra i due
individui emerge una differenza fondamentale nel comportamento auto-espressivo; si
parla di auto-osservazione per indicare quanto una persona osservi il proprio comportamento auto-espressivo e quanto lo adatti alle diverse situazioni.
Si ritiene che le persone con un alto livello di auto-osservazione regolino la loro presentazione espressiva in base all’immagine di sé che desiderano dare in pubblico, per cui
sono molto reattivi a tutti i segnali sociali e interpersonali che indicano quanto la loro
performance risulti adeguata alla situazione. Sembra invece che le persone con un basso
livello di auto-osservazione manchino della capacità o della motivazione a regolare la
propria auto-presentazione espressiva. I comportamenti espressivi di queste persone rifletterebbero invece in modo funzionale i loro stati interiori, sia quelli permanenti, sia quelli
momentanei, ivi inclusi gli atteggiamenti, i sentimenti e le caratteristiche di ognuno.23
Nella vita organizzativa sono soggette a critiche entrambe le tipologie di persone. Gli
individui con un alto livello di auto-osservazione vengono talvolta chiamati camaleonti,
perché riescono velocemente ad adattare il loro modo di presentarsi a ciò che li circonda.
Chi invece ha un basso livello di questa qualità viene spesso tacciato di insensibilità nei
confronti degli altri, rimproverandogli di vivere in un mondo tutto suo.
Una questione di misura L’auto-osservazione non è una caratteristica che può essere presente o assente: è una questione di misura, che si traduce nella collocazione
in un punto alto o basso di una scala che misura gli schemi di espressione di sé. Consideriamo per esempio la seguente descrizione di una persona con un basso livello di
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106
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
auto-osservazione: “Abbiamo una dipendente che trasforma ogni interazione (relativa
al lavoro e non) in una conversazione che la riguarda. Al di là di questo, sa fare bene
il suo lavoro, ma i colleghi iniziano a evitarla e a evitare i gruppi di cui fa parte. ‘Monopolizza anche l’ossigeno’ ha affermato un collega.”24 Quali sono le vostre tendenze
di auto-osservazione?
Conseguenze operative delle ricerche Da una meta-analisi condotta di recente su
23.191 soggetti di 136 campioni, è emerso che l’auto-osservazione è una caratteristica importante e utile quando si ha a che fare con le prestazioni lavorative e i leader
emergenti.25
Gli studi empirici e l’esperienza pratica ci hanno condotto a definire alcune raccomandazioni:
• Per tutti, con qualunque livello di auto-osservazione: diventate maggiormente
consapevoli della vostra immagine e di come questa influenzi gli altri.
• Per chi ha un alto livello di auto-osservazione: non esagerate trasformandovi da un
buon camaleonte in un individuo che è percepito da molti come sleale, inaffidabile
e falso. Non è possibile piacere a tutti.
• Per chi ha un basso livello di auto-osservazione: è possibile piegarsi senza spezzarsi,
quindi dovete cercare di essere un pochino più accomodanti, pur rimanendo fedeli
ai vostri principi di base. Non esaurite l’atteggiamento positivo durante la comunicazione. Fate esercizio di lettura e di adattamento ai segnali non verbali da parte del
pubblico in diverse situazioni. Se l’interlocutore appare annoiato o distratto, smettete
di parlare, perché non vi sta davvero ascoltando.
L’identificazione organizzativa
Identificazione organizzativa: si verifica quando valori
e norme organizzative diventano parte dell’identità di un
individuo
CompOrga.indb 106
La linea che divide il sé dagli altri non è netta né precisa. In certi casi si verifica una
sorta di confusione, ad esempio quando un collaboratore fa coincidere sé stesso con una
specifica organizzazione, un processo psicologico detto identificazione organizzativa.
Uno studioso di questo tema, emergente all’interno del comportamento organizzativo,
sostiene che “l’identificazione organizzativa avviene quando una persona va a integrare
all’interno della propria identità i principi relativi all’organizzazione”.26 L’identificazione organizzativa è un processo centrale all’interno della cultura e della socializzazione
organizzativa (si veda la discussione in proposito nel Capitolo 3).
I manager di oggi danno molta importanza alla missione, alla filosofia, ai valori
dell’organizzazione, con l’intento esplicito di integrare l’azienda all’interno dell’identità
di ciascun collaboratore. A rigor di logica, il dipendente che si identifica strettamente
con l’organizzazione dovrebbe, essere più leale e impegnato e lavorare di più. Un caso
estremo di identificazione organizzativa è quello dei dipendenti delle fabbriche Harley
Davidson: tanto forte è il legame che molti di loro portano il logo dell’azienda tatuato
sulla pelle. Lavorare alla Harley non è solo un lavoro, ma uno stile di vita (è difficile
immaginare un dipendente con tatuato il logo della General Motors o della Burger King).
Farsi tatuare il logo della propria azienda può sembrare un comportamento estremo,
e anche un po’ ridicolo, ma ci sono profonde implicazioni etiche dietro a un’eccessiva
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5
Le differenze individuali
107
identificazione con il proprio datore di lavoro. Quando i collaboratori sospendono il
pensiero critico e perdono oggettività, può nascere un “groupthink” deleterio, e il conflitto costruttivo può venir meno (affronteremo il groupthink nel Capitolo 10, il conflitto
funzionale nel Capitolo 13).
La personalità: concetti e controversie
Personalità: insieme delle
caratteristiche fisiche e mentali costanti che determinano
l’identità di un individuo
Ogni individuo pensa e agisce in modo unico: c’è uno stile che lo contraddistingue,
detto anche personalità. Si definisce personalità l’insieme delle caratteristiche fisiche e
mentali stabili che formano l’identità di un individuo.27 Tali caratteristiche (o tratti), ivi
compresi l’aspetto e il modo di pensare, agire e sentire, sono il prodotto dell’interazione
tra influssi genetici e ambientali.28 In questo paragrafo introduciamo i cosiddetti “Big
Five”, ossia le grandi dimensioni della personalità, esploriamo la personalità proattiva
e indichiamo alcune cautele da seguire nell’indagare la personalità sul posto di lavoro.
I Big Five
Decenni di ricerche hanno prodotto liste lunghissime e caotiche di dimensioni della
personalità: uno studio recente ha identificato 1.710 aggettivi in inglese per descrivere
gli aspetti della personalità.29 Fortunatamente, con l’ausilio della statistica si è giunti a
identificare i cosiddetti Big Five,30 ossia cinque dimensioni maggiori: l’estroversione,
l’amabilità, la coscienziosità, la stabilità emotiva e l’apertura a nuove esperienze (le
descrizioni si trovano nella tabella 5-1).
Esistono dei test standardizzati per indagare, sia in senso positivo che negativo, in
ognuno dei Big Five. Se, ad esempio, una persona ha un punteggio negativo nell’estroversione, ci troveremo di fronte a un individuo introverso, che tende a essere timido e
riservato. Chi invece ottiene un punteggio negativo nella stabilità emotiva sarà nervoso,
teso, arrabbiato e impaurito (per la precisione, l’estremo negativo della scala che misura
la stabilità emotiva viene etichettato come nevroticismo).
Il punteggio che ognuno ottiene nei Big Five rivela un profilo personale unico e
irripetibile, proprio come le impronte digitali. Il profilo della personalità di un individuo
tende a risultare stabile nel tempo. Secondo le conclusioni di una recente meta-analisi,
Tabella 5-1 Le cinque dimensioni principali della personalità (Big Five)
Dimensione
Caratteristiche di un individuo che registra un punteggio positivo in questa dimensione
1.
2.
3.
4.
5.
Aperto, loquace, socievole, assertivo
Fiducioso, ben disposto, cooperativo, sensibile
Affidabile, responsabile, orientato al successo, perseverante
Rilassato, sicuro, tranquillo
Intellettuale, fantasioso, curioso, mentalmente aperto
Estroversione
Amabilità
Coscienziosità
Stabilità emotiva
Apertura a nuove esperienze
Fonte: adattamento da M.R. Barrick e M.K. Mount, “Autonomy as a Moderator of the Relationships between the Big Five Personality Dimensions
and Job Performance,” Journal of Applied Psychology, febbraio 1993, pp. 111-18
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108
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
“sia i profili normali sia i profili caratterizzati da disturbi della personalità sono molto
stabili nell’arco della vita e i pazienti in terapia non evidenziano cambiamenti della
personalità più rilevanti degli individui non in terapia.”31
Per coloro che sono interessati al comportamento nell’ambiente di lavoro è importante conoscere il collegamento esistente tra i Big Five e la performance lavorativa.
Idealmente, il fatto che la correlazione tra le cinque grandi dimensioni della personalità
e la performance sul lavoro sia stretta e forte risulterebbe utile per la selezione, formazione e valutazione del personale. Fornisce una valida indicazione in questo senso
una meta-analisi di 117 ricerche su 23.994 soggetti impiegati in professioni diverse.32
Tra i Big Five, la coscienziosità ha registrato la più forte correlazione positiva con
le prestazioni sul lavoro e durante la formazione. I ricercatori sostengono che “gli
individui che mostrano caratteristiche associabili a un forte senso dell’obiettivo da
raggiungere, al senso del dovere e alla tenacia, in genere rendono di più rispetto ai
loro colleghi”.33 Studi recenti hanno fornito utili consigli pratici per aiutare i dipendenti coscienziosi a ottenere buone prestazioni: nello specifico, si è visto che essi
preferiscono la leadership incentrata sugli obiettivi, per esempio i lavori altamente
complessi, e necessitano di un feedback che ne favorisca l’apprendimento senza
frustrarne i tentativi di raggiungere i risultati.34 Non sorprende che gli imprenditori
evidenzino un’elevata coscienziosità.35 Un altro risultato interessante: l’estroversione
presenta una correlazione positiva con lo sviluppo delle carriere, il livello salariale e
la soddisfazione lavorativa. E, come ci si potrebbe aspettare, il nevroticismo (ossia
una scarsa stabilità emotiva) è stato associato con un basso livello di soddisfazione
legato alla carriera.36
La personalità proattiva
Personalità proattiva: persona portata all’azione, che
dimostra iniziativa e persegue
il cambiamento
Locus of control interno:
attribuire i risultati alle proprie
azioni
Locus of control esterno:
attribuire i risultati a circostanze che esulano dal proprio
controllo
CompOrga.indb 108
Come si evince da quanto detto sopra, chi ottiene un punteggio alto nella dimensione
della coscienziosità è, probabilmente, un buon lavoratore. Thomas S. Bateman e J.
Michael Crant hanno fatto un passo avanti in questo settore con la formulazione del
concetto di personalità proattiva. I due studiosi definiscono e caratterizzano la personalità proattiva in questi termini: “una persona relativamente libera rispetto alle
situazioni specifiche e che attua un cambiamento nell’ambiente. Le persone proattive
identificano le opportunità e agiscono su di esse, dimostrano spirito di iniziativa,
agiscono e perseverano sino a ottenere cambiamenti significativi”.37 Hanno quello
che i ricercatori definiscono un locus of control interno, la convinzione di controllare gli eventi e le loro conseguenze.38 Una persona di questo tipo ha la tendenza ad
attribuire alle proprie capacità i risultati positivi, ad esempio il superamento di un
esame o un avanzamento di carriera. Allo stesso modo, si ritiene responsabile dei
propri fallimenti, attribuendone la causa a mancanze personali: non aver passato un
esame, ad esempio, per una persona di questo tipo dipenderebbe dal non aver studiato a sufficienza. Al contrario, gli individui che hanno un locus of control esterno
tendono ad attribuire gli eventi a cause ambientali, come la fortuna o il destino.39
Analizzando le ricerche sull’argomento, Crant ha scoperto una correlazione positiva
tra la personalità proattiva e il successo personale, di gruppo e dell’organizzazione
di appartenenza.40
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5
Le differenze individuali
109
Gli imprenditori di successo costituiscono un esempio di personalità proattiva. In
generale, le persone dotate di personalità proattiva sono davvero da considerare un
capitale umano, nell’accezione data nel Capitolo 1. Chi è intenzionato a progredire
farebbe bene a coltivare lo spirito di iniziativa, le inclinazioni e la perseveranza tipici
degli individui proattivi, e i manager dovrebbero aumentare questo tipo di persone tra
i loro collaboratori.
È corretto utilizzare i test di personalità sul posto di lavoro?
L’uso di test di personalità per decidere relativamente ad assunzioni, formazione e promozioni è molto comune. Esiste purtroppo il grave problema della somministrazione
approssimativa dei test. Annie Murphy Paul, autrice del libro The Cult of Personality,41
spiega:
Gli psicologi favorevoli all’uso di test di personalità, e talvolta le società che li elaborano, affermano spesso che esistono modalità ideali di impiego di questi test, per esempio
chiedere a uno psicologo di condurre uno studio della mansione e mettere a punto o
personalizzare un test specifico, somministrarlo ai candidati e mantenere la riservatezza
sui risultati. A mio parere, però, in realtà si acquistano test standardizzati che vengono
somministrati indiscriminatamente da persone prive di formazione e qualifiche adeguate
senza poi curarsi di mantenere la riservatezza sui risultati. Nonostante si parli tanto di
standard sull’utilizzo corretto [dei test di personalità], nel mondo reale non si fa che
improvvisare.42
Altri potenziali problemi legati all’uso di test di personalità in ambito lavorativo sono
la possibilità di fingere e il rischio di utilizzo discriminatorio. Una simulazione computerizzata ha dimostrato che è possibile simulare la coscienziosità, una dimensione
essenziale dei Big Five.43
I suggerimenti pratici forniti nella tabella 5-2 possono aiutare i manager a evitare di
incorrere in utilizzi scorretti o discriminatori dei test di personalità e psicologici per le
assunzioni. I test delle competenze relative alla mansione e i colloqui comportamentali
sono due buone alternative ai test di personalità.
Passiamo ora a esaminare le capacità e l’intelligenza.
Capacità (intelligenza) e performance
Capacità: caratteristiche
costanti che determinano la
massima prestazione fisica o
intellettuale di una persona
Abilità: capacità specifiche nel
manipolare oggetti
CompOrga.indb 109
Le diverse capacità e abilità che caratterizzano ciascun individuo sono di vitale importanza per una attenta gestione manageriale. Infatti i risultati perseguibili sono strettamente
legati alle tipologie di persone che vengono impiegate per raggiungerli. Con capacità
si intende una caratteristica generale e stabile di un individuo, responsabile della sua
massima (non tipica) performance nello svolgimento di determinati compiti fisici o
mentali. Una abilità, invece, è la specifica competenza di un individuo di manipolare
fisicamente degli oggetti. Per capire la differenza tra le due, provate a immaginare di
essere l’unico passeggero di un piccolo aereo in cui il pilota è svenuto. L’aereo scen-
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110
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
Tabella 5-2 Consigli e avvertimenti sull’utilizzo dei test di personalità negli ambienti di lavoro
I consigli sotto elencati sono quelli che i ricercatori, gli autori dei test e le aziende che si occupano di valutazione del personale
forniscono per giudicare la validità dei test attualmente in uso nella previsione della performance lavorativa.
• Stabilisci tu l’obiettivo che ti poni. Se persegui l’abbinamento perfetto tra persona e lavoro, analizza quali sono gli aspetti
della posizione che possono determinarlo.
• Cerca un consulente esterno che ti aiuti a valutare se esiste o se è possibile elaborare un test per selezionare quali candidati
siano più adatti alla posizione offerta. Rivolgiti a psicologi aziendali, associazioni di categoria oppure consulta uno dei siti
Internet dedicati all’argomento.
• Assicurati che ogni test adottato sia scientificamente provato per lo scopo che ti sei prefisso. Chi lo vende dovrebbe essere
in grado di citare almeno una ricerca indipendente che provi la sussistenza di una correlazione del test con la performance
lavorativa.
• Chiedi al tuo fornitore di documentare la legalità del test acquistato: è corretto? è strettamente connesso al lavoro?
Comporta qualche forma di discriminazione di tipo razziale o etnico? Viola il diritto alla privacy in base alle leggi vigenti? Il
fornitore dovrebbe presentare una dichiarazione legale a garanzia che il test non discrimina alcuna fascia protetta; i datori
di lavoro, da parte loro, hanno il diritto di sentire anche l’opinione dei propri legali a proposito.
• Assicurati che tutti i membri dello staff che sottoporranno i test ai dipendenti o analizzeranno i risultati siano
adeguatamente preparati a farlo e mantengano il segreto sui risultati. Usa i punteggi dei test di personalità in concomitanza
ad altre valutazioni che ritieni fondamentali per il posto di lavoro – come capacità ed esperienza – per valutare in modo
completo le qualità di ciascuna persona; applica gli stessi criteri a ciascun candidato.
Fonte: S. Bates, “Personality Counts,” HR Magazine, febbraio 2002, p. 34.
de in picchiata: impegno e capacità non basteranno per salvarvi, se non possedete le
necessarie abilità pratiche, saper pilotare un aereo. Come si vede nella figura 5-3, una
performance di successo (sia nel far atterrare un velivolo sia nell’esecuzione di qualsiasi
altro compito) dipende da una combinazione di impegno, capacità e abilità.
Tra le numerose abilità e competenze auspicabili nella vita organizzativa ci sono la
comunicazione scritta e orale, l’iniziativa, la capacità di prendere decisioni e di risolvere problemi, la tolleranza, l’adattabilità e l’elasticità. Non bisogna dimenticare che
le precauzioni che abbiamo auspicato nei confronti dei test di personalità sul lavoro
vanno estese anche ai test di capacità, intelligenza e competenza.
Nella presente sezione esploreremo l’intelligenza, alcune capacità cognitive specifiche e la controversa idee delle intelligenze multiple.
Figura 5-3
La performance dipende
dalla giusta combinazione
di impegno, capacità
e abilità pratiche
Capacità
Performance
Impegno
Abilità
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Le differenze individuali
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Intelligenza e capacità cognitive
Intelligenza: capacità di elaborare un pensiero costruttivo,
ragionare e risolvere problemi
Gli esperti non sono arrivati a una definizione univoca, ma si può dire che l’intelligenza rappresenta la capacità dell’individuo di pensare in modo costruttivo, ragionare
e risolvere problemi.44 Nel passato si riteneva che l’intelligenza fosse una capacità
innata che si tramandasse geneticamente da una generazione all’altra. La ricerca ha
però dimostrato che l’intelligenza, così come la personalità e altri aspetti individuali,
è funzione anche degli influssi ambientali e del contesto più generale.45 Più di recente
sono state aggiunte anche altre concause, come i fattori organici: è stato infatti provato
con sempre maggiore evidenza che esiste una connessione tra l’utilizzo di alcol e droga
nelle donne in gravidanza e l’insorgere di problemi nello sviluppo intellettivo dei figli.46
Negli ultimi anni i ricercatori hanno ottenuto risultati interessanti relativamente
all’intelligenza. Negli ultimi 70 anni si è osservato un aumento continuo e significativo
dell’intelligenza media nelle nazioni sviluppate. Perché? Gli esperti, riuniti in una conferenza della American Psychological Association, hanno decretato che “una combinazione
tra un miglior livello di istruzione, un miglioramento nello status socioeconomico e
una società più complessa a livello tecnologico potrebbe essere la causa dell’aumento
nei punteggi di QI”.47 Quindi, se qualche giovane pensa di essere più brillante dei suoi
genitori o dei suoi insegnanti, nonostante questi lo critichino perché ignora tante cose
importanti, probabilmente ha ragione!
Due tipologie di capacità L’intelligenza umana è stata studiata con un approccio sostanzialmente empirico. Dall’esame delle correlazioni tra le misure delle capacità mentali
e il comportamento, gli studiosi hanno isolato statisticamente le principali componenti
dell’intelligenza. Utilizzando questa procedura, Charles Spearman, psicologo che ha
avuto un ruolo pionieristico in questo tipo di studi, ha avanzato nel 1927 l’ipotesi che
la performance cognitiva fosse determinata da due tipologie di capacità. La prima si
può definire come una capacità mentale generale necessaria in tutti i compiti cognitivi.
La seconda è caratteristica peculiare del compito in esame.48 Ad esempio, la capacità
di un individuo di fare parole crociate è funzione delle sue generiche capacità mentali,
ma anche della sua abilità specifica di percepire una struttura guardando delle parole
complete solo in parte.
Sette capacità mentali principali Nel corso degli anni molte sono state le ricerche
che hanno cercato di approfondire ed espandere le idee di Spearman sulla relazione tra
capacità cognitive e intelligenza. Uno psicologo è arrivato a compilare una lista di 120
capacità mentali diverse. La tabella 5-3 contiene la definizione delle sette più citate.
Quattro di queste in particolare, secondo i ricercatori che si occupano di selezione del
personale, sono valide per prevedere le performance dei potenziali candidati a un posto
di lavoro: le capacità verbale, numerica, spaziale e di ragionamento induttivo.49
Siamo dotati di intelligenze multiple?
Nel suo libro del 1983 Frames of Mind: The Theory of Multiple Intelligences (in italiano, Formae mentis: saggio sulla pluralità dell’intelligenza, traduzione di Libero Sosio,
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Parte II
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Il comportamento individuale nelle organizzazioni
Tabella 5-3 Capacità mentali che sottendono la performance
Capacità
Descrizione
1. Comprensione verbale
2. Padronanza del vocabolario
Capacità di cogliere il significato delle parole e capire con prontezza ciò che si legge
Capacità di pronunciare parole isolate che rispondano a specifici requisiti simbolici
o strutturali (come, ad esempio, parole che inizino con la lettera b e contengano
due vocali)
Capacità di eseguire calcoli aritmetici, ad esempio l’addizione e la sottrazione, in modo
veloce e preciso
Essere in grado di percepire schemi spaziali e visualizzare la trasformazione di forme
geometriche al variare della posizione o della forma
Avere buona memoria per parole accoppiate, simboli, liste di numeri o altro genere
di elementi associati
Capacità di percepire figure, riconoscere somiglianze e differenze e portare a termine
compiti che implicano una percezione visiva
Capacità di trarre conclusioni generali partendo da elementi specifici
3. Numerica.
4. Spaziale
5. Di memoria
6. Velocità percettiva
7. Ragionamento induttivo
Fonte: adattamento da M.D. Dunnette, “Aptitudes,Abilities, and Skills,” in Handbook of Industrial and Organizational Psychology, a cura di M.D. Dunnette (Skokie, IL:
RandMcNally, 1976), pp. 478-83.
Feltrinelli, Milano, 2010) il professore della Harvard Graduate School of Education
Howard Gardner ha proposto un nuovo paradigma dell’intelligenza umana.50 Successivamente lo studioso ha identificato otto diverse forme di intelligenza, che ampliano
enormemente il concetto di intelligenza così come è stato inteso per lungo tempo. La
teoria delle intelligenze multiple di Gardner abbraccia non solo le capacità cognitive,
ma anche le capacità e abilità sociali e fisiche:
•
•
•
•
•
•
•
•
Intelligenza linguistica: capacità di apprendere e usare le lingue in forma scritta e
orale.
Intelligenza logico-matematica: capacità legate al ragionamento deduttivo, all’analisi
dei problemi e al calcolo matematico.
Intelligenza musicale: capacità di apprezzare la musica, talento nel comporre e
suonare uno o più strumenti.
Intelligenza corporeo-cinestesica: capacità di usare la mente e il corpo per coordinare
i movimenti.
Intelligenza spaziale: capacità di riconoscere e utilizzare schemi di vario genere.
Intelligenza interpersonale: capacità di entrare in sintonia con gli altri, comprenderli
e collaborare efficacemente.
Intelligenza intrapersonale: capacità di comprendere sé stessi e controllarsi.
Intelligenza naturalistica: capacità di vivere in armonia con l’ambiente.51
Molti educatori e genitori hanno sposato la teoria delle intelligenze multiple perché
spiega come mai un bambino possa riportare un punteggio basso nei test che misurano
il QI pur essendo palesemente dotato di specifiche capacità (per esempio musicali,
sportive o di relazione). Secondo i sostenitori, il concetto di intelligenze multiple sottolinea la necessità di aiutare i bambini a sviluppare le doti mentali e fisiche seguendo
i propri ritmi. Inoltre, i testi standardizzati di misurazione del QI coprono solo i primi
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5
Le differenze individuali
113
due tipi di intelligenza dell’elenco sopra riportato e un punteggio basso può diventare
un peso per via di stereotipi e pregiudizi. Nel contempo, gran parte degli psicologi accademici e degli esperti in materia continuano a criticare il modello di Gardner perché
troppo soggettivo e male integrato, preferendo il modello tradizionale di intelligenza
come variabile unitaria misurabile mediante un solo test. Per quanto ci riguarda, siamo
aperti alla teoria di Gardner, come testimonia l’attenzione che abbiamo dedicato alle
intelligenze culturale ed emotiva.
Le emozioni nella vita organizzativa
Nel mondo ideale delle teorie manageriali, i dipendenti perseguono gli obiettivi dell’azienda in modo logico e razionale. Il comportamento emotivo viene raramente considerato tra i fattori dell’equazione. La vita organizzativa di ogni giorno, d’altra parte, ci
mostra l’importanza che le emozioni possono avere.52 Emozioni forti, come la collera
e l’invidia, spesso riescono a far mettere da parte la logica e la razionalità sul lavoro.
I manager stessi si servono della paura e di altre emozioni per motivare o intimidire.
Talvolta possono manifestarsi anche tristezza e ansia.
In quest’ultima sezione del capitolo ci occuperemo delle differenze individuali relativamente alle emozioni, passando in rassegna una tipologia di dieci emozioni positive
e negative ed esplorando il concetto di intelligenza emotiva.
Emozioni positive ed emozioni negative
Emozioni: reazioni umane
complesse di fronte a successi
e fallimenti personali; possono
essere sentite interiormente e
manifeste
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Richard S. Lazarus, autorevole studioso dell’argomento, definisce così le emozioni:
“reazioni complesse, strutturate dell’organismo alla nostra situazione percepita nell’eterno sforzo di sopravvivere, prosperare e ottenere ciò che desideriamo”.53 La parola
organismo è appropriata, perché le emozioni coinvolgono l’intera persona – dal punto
di vista biologico, psicologico e sociale. Va notato che gli psicologi distinguono tra le
emozioni provate e quelle manifeste.54 Una persona, ad esempio, può nutrire collera
(emozione provata) di fronte a un collega scortese, ma evitare di rispondere con rabbia
alle sue parole (emozione manifesta). Come diremo più avanti, nel Capitolo 17, le emozioni influiscono sia sull’insorgere dello stress, sia sul processo di adattamento a esso,
e ai problemi biologici e psicologici collegati. L’effetto distruttivo del comportamento
emotivo sulle relazioni sociali è fin troppo ovvio nella vita di tutti i giorni. D’altro canto,
la ricerca ha dimostrato che gli individui tendono a instaurare forti legami sociali con le
persone con cui hanno condiviso un’esperienza intensa dal punto di vista emotivo.55 Per
esempio, è piuttosto comune che i sopravvissuti a eventi terribili come disastri naturali
o incidenti aerei si riuniscano anni dopo.
La definizione che Lazarus dà delle emozioni mette al centro gli obiettivi dell’individuo, ed è proprio in base agli obiettivi che si distinguono emozioni positive e negative.
Alcune emozioni nascono da un fallimento o da una frustrazione nel raggiungimento di
un obiettivo: Lazarus le chiama emozioni negative, perché incongruenti con l’obiettivo
posto. Ad esempio: quali tra le sei emozioni negative della figura 5-4 provereste se
dovesse andarvi male un esame? Il fatto di non passare l’esame sarebbe incongruente
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Parte II
114
Figura 5-4
Emozioni positive
e negative
Fonte: adattamento da R.S.
Lazarus, Emotion and Adaptation
(New York: Oxford University
Press, 1991), Capp. 6, 7.
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
Emozioni negative
(incoerenti con l’obiettivo)
Collera
Emozioni positive
(coerenti con l’obiettivo)
Felicità/gioia
Paura/
ansia
Orgoglio
Colpa/vergogna
Tristezza
Amore/affetto
Invidia/
gelosia
Disgusto
Sollievo
con il vostro obiettivo, ossia laurearvi. Se, invece, vi doveste laureare senza andare fuori
corso e per giunta con la lode, quali tra le quattro emozioni positive del grafico provereste? In questo caso sarebbero emozioni positive, in quanto congruenti (o coerenti) con
un importante obiettivo. È importante notare che gli obiettivi di una persona possono
essere socialmente accettabili o meno. Di conseguenza, un’emozione positiva, come
l’amore/l’affetto, può risultare indesiderabile se associata, ad esempio, alle molestie
sessuali. In senso positivo, invece, un lieve senso di colpa, un po’ di ansia o di invidia
possono determinare un maggior impegno. In fin dei conti, quindi, la natura distruttiva
o costruttiva di un’emozione deve essere stabilita considerandone sia l’intensità sia il
relativo obiettivo dell’individuo che la prova.
Lo sviluppo dell’intelligenza emotiva
È possibile affrontare la paura e altre emozioni in modo efficace maturando dal punto
di vista emotivo attraverso lo sviluppo della propria intelligenza emotiva.
Daniel Goleman, uno psicologo diventato giornalista, nel 1995 pubblicò un libro
dal titolo Intelligenza emotiva, che fu causa di fermento nel mondo dell’accademia
e del management. Sviluppando il concetto di intelligenza interpersonale elaborato da Howard Gardner, Goleman critica i tradizionali modelli per la misurazione
dell’intelligenza (QI) perché sono troppo ristretti e non considerano la competenza
interpersonale. L’elenco da lui redatto, molto più ampio, include “abilità come essere
CompOrga.indb 114
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5
Le differenze individuali
115
Tabella 5-4 Sviluppare la competenza personale e sociale attraverso l’intelligenza emotiva
Competenza personale: queste capacità determinano come ciascuno gestisce sé stesso.
•
•
Consapevolezza di sé
Consapevolezza emotiva: saper leggere le proprie emozioni riconoscendone le conseguenze; saper decidere in base
al proprio “sesto senso”.
Autovalutazione accurata: conoscere i propri punti di forza e i propri limiti.
Fiducia in sé stessi: avere consapevolezza del proprio valore e delle proprie capacità.
•
•
•
•
•
•
Gestione di sé
Autocontrollo emotivo: tenere sotto controllo le emozioni e gli impulsi distruttivi.
Trasparenza: dimostrare onestà e affidabilità.
Adattabilità: essere flessibili nell’adattarsi alle situazioni che cambiano e agli ostacoli incontrati.
Risultati: sentire l’impulso a migliorare la performance per raggiungere standard interni di eccellenza.
Iniziativa: avere prontezza d’azione e saper afferrare le opportunità.
Ottimismo: vedere il lato positivo degli eventi.
•
Competenza sociale: queste capacità determinano il nostro modo di gestire le relazioni.
•
•
•
Consapevolezza sociale
Empatia: sentire le emozioni degli altri, capire il loro punto di vista e interessarsi dei loro problemi.
Consapevolezza organizzativa: leggere le correnti, le reti decisionali e gli intrecci politici a livello organizzativo.
Servizio: riconoscere e andare incontro alle necessità dei colleghi e dei clienti.
•
•
•
•
•
•
•
Gestione delle relazioni
Leadership ispirata: guidare e motivare utilizzando una visione convincente.
Influsso: utilizzare una gamma di strategie per persuadere.
Aiuto alla crescita: sostenere le abilità degli altri guidandoli e fornendo un feedback adeguato.
Catalizzare il cambiamento: avviare, gestire e guidare in una nuova direzione.
Gestione del conflitto: saper risolvere i disaccordi.
Costruzione di legami: coltivare e mantenere una rete di relazioni.
Lavoro in gruppo e collaborazione: saper cooperare e costruire un gruppo di lavoro.
Fonte: D. Goleman, R. Boyatzis e A. McKee, Primal Leadership: Realizing the Power of Emotional Intelligence (Boston: Harvard Business School Press, 2002), p. 39.
Intelligenza emotiva: capacità di autogestirsi e di interagire con gli altri in modo maturo
e costruttivo
CompOrga.indb 115
in grado di trovare in sé stessi la motivazione e perseverare nonostante le frustrazioni, frenare i propri impulsi e posporre le gratificazioni, tenere sotto controllo
i cambiamenti d’umore e lo stress per evitare che impediscano di pensare; infine,
saper creare empatia con le persone e saper sperare”.56 L’intelligenza emotiva,
quindi, è la capacità di gestire sé stessi e le relazioni interpersonali in modo maturo
e costruttivo. Alcuni la chiamano IE, altri QE, e comprende quattro componenti
chiave: consapevolezza di sé, gestione di sé, consapevolezza sociale e gestione delle
relazioni. Le prime due componenti costituiscono la competenza personale; le altre
la competenza sociale (tabella 5-4).
I ricercatori invitano alla cautela rispetto all’uso dell’intelligenza emotiva come
strumento per la selezione e la valutazione dei collaboratori. Secondo alcuni studiosi
di comportamento, i principali punti problematici sono la mancanza di coerenza a
livello teorico e la scarsa validità dei parametri di misurazione: secondo le conclusioni, i punteggi che misurano l’IE non aggiungono molto alle dimensioni di base
dei Big Five in merito alla previsione delle prestazioni lavorative.57 Ciò nonostante,
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Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
l’IE sembra rivestire una certa importanza per la crescita personale dei collaboratori e
i programmi di sviluppo loro dedicati. L’insieme formato dalla personalità proattiva e
dalle caratteristiche contenute nella Tabella 5-4 rappresenta un complesso programma
di sviluppo personale per ciascuno.
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Valori, atteggiamenti
e soddisfazione lavorativa
6
Come conciliare i valori dichiarati con quelli praticati?
“Io non ci casco, sai?”, l’ingegner Colombo sussurrò
all’orecchio del suo vicino subito dopo lo scrosciante
applauso che aveva fatto seguito alla parole di Della
Pergola, l’Amministratore Delegato dell’impresa di
costruzioni Liberty. Erano state parole di impatto emotivo perché Della Pergola era un grande oratore, ma
purtroppo la veemenza la riservava più alle occasioni
pubbliche che nel perseguire le modalità organizzative
interne.
Colombo era un vecchio dell’azienda, gli mancavano due anni alla pensione. Era rispettato da tutti
come un grande lavoratore, poco incline a manovre di
corridoio e a inseguire l’amicizia dei capi.
“Ricordati – continuò verso il suo più giovane
interlocutore – più ne parlano, di valori, e meno li
praticano. Andassero nei cantieri a vedere deve finisce la loro catena di subappalto. Noi siamo sempre
corretti, assumiamo le persone direttamente, ma poi lo
scavo lo diamo fuori da eseguire, così come pezzi di
costruzione. Non ci arrivano i bambini, questo no, ma
quanti degli extracomunitari che vedi in giro saranno
regolari?”
La convention volgeva al termine e tutti si accalcavano a stringere la mano e a complimentarsi con l’Amministratore Delegato. Colombo sentiva frasi come
CompOrga.indb 117
“Una sferzata di moralità”, “Una svolta necessaria”
e così via. Si allontanò lentamente, quando intravide
sulla porta l’assistente di Della Pergola, quello che da
sempre era il principale consigliere oltre che il suo
braccio destro.
“Bene – lo apostrofò Colombo – un bellissimo discorso. È già in programma, immagino, una riunione
di attuazione di queste strategie? Penso vorrete delle
relazioni precise di quanto accade nei cantieri, di come
controllare gli appalti esterni ed evitare l’endemico
mangia mangia che nella catena ciascuno attua. Io avrei
un paio di idee in proposito”.
Come Colombo sospettava l’assistente prese tempo,
gli disse che sicuramente lo avrebbero cercato, anzi che
nel prossimo futuro sarebbe certamente stata convocata
una riunione come lui suggeriva.
Colombo se ne andò borbottando tra sé: “Come io
suggerisco? Allora non ci avete neanche pensato. Il discorso lo avrà scritto uno specialista, senza che nessuno
si sia curato della reale fattibilità. Il bello che pensano
che noi non ce ne accorgiamo, come se lavorassimo
sulla luna. Meno male che mi mancano solo due anni,
preferisco andare a giocare a bocce che partecipare a
questi mega raduni, costosi e inutili.”
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Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
Obiettivo del presente capitolo è proseguire la nostra analisi delle differenze individuali
intrapresa nel Capitolo 5 per comprendere meglio in che modo i manager e le organizzazioni possono sfruttare le conoscenze sulle differenze individuali per attirare, motivare
e trattenere collaboratori di talento. Analizzeremo l’influsso che valori e atteggiamenti
esercitano su conseguenze importanti a livello organizzativo come la soddisfazione
lavorativa, la performance, il turnover e i comportamenti controproducenti.
Valori personali
Parlando di cultura organizzativa, nel Capitolo 3, abbiamo definito i valori come modalità di comportamento desiderate o punti di arrivo auspicati e ci siamo soffermati sui
valori collettivi o condivisi; ora invece tratteremo i valori personali. I valori personali
rappresentano essenzialmente tutto ciò che è significativo per noi nella vita e sono
importanti nello studio del comportamento organizzativo perché influenzano il nostro
comportamento in contesti diversi.
Shalom Schwartz ha elaborato una teoria generale dei valori personali,1 che verrà
descritta nel paragrafo che segue; successivamente si analizzeranno i conflitti di valori,
esaminando infine un problema strettamente collegato, ossia l’equilibrio tra il lavoro
e la vita privata.
La teoria dei valori di Schwartz
Secondo Schwartz, i valori sono motivazionali perché “rappresentano obiettivi ampi
che si applicano in contesti diversi nel tempo.”2 Per esempio, se attribuite importanza
al successo, molto probabilmente lavorerete con impegno per ottenere una promozione
lavorativa, e metterete in campo tutto il vostro spirito competitivo anche nello sport
che praticate settimanalmente con gli amici. Inoltre, i valori sono relativamente stabili
e possono influenzare il nostro comportamento senza che ne siamo consapevoli.
Schwartz ha proposto 10 valori di base che guidano il comportamento e ha identificato i meccanismi motivazionali alla base di ciascun valore (tabella 6-1). È proprio
per via di questi meccanismi motivazionali che i valori influenzano il comportamento.
Per esempio, la tabella 6-1 illustra che il desiderio di potere sociale, autorità e ricchezza motiva gli individui che attribuiscono importanza al potere. Al contrario, il valore
dell’essere accettati dal gruppo motiva comportamenti quali gentilezza, obbedienza,
auto-disciplina e rispetto nei confronti dei genitori e degli anziani. Questi 10 valori non
solo consentono di prevedere il comportamento, come proposto da Schwartz, ma sono
anche validi in contesti culturali diversi.3
La figura 6-1 illustra le relazioni proposte tra i 10 valori. Il modello circolare mostra
quali sono più strettamente correlati tra loro e quali sono in conflitto. In linea generale
i valori adiacenti – per esempio l’indipendenza e l’universalismo – presentano una
relazione positiva, mentre tra i valori distanti gli uni dagli altri – l’indipendenza e il
potere – intercorre una relazione meno forte. Approfondendo la riflessione in questa
direzione Schwartz ha ipotizzato che i valori in posizioni opposte nella figura 6-1 siano
in conflitto: alcuni esempi sono il potere e l’universalismo, oppure l’orientamento al
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6
Valori, atteggiamenti e soddisfazione lavorativa
119
Tabella 6-1 Definizione dei valori e dei meccanismi motivazionali secondo la teoria di Schwartz
VALORE
DEFINIZIONE E ORIENTAMENTI VALORIALI
Potere
Status sociale e prestigio, controllo o dominio sulle persone e sulle risorse (potere sociale, autorità,
ricchezza)
Successo personale attraverso la dimostrazione di competenze socialmente riconosciute (successo,
capacità, ambizione, influenza)
Piacere e gratificazione immediata (vita piacevole e divertente)
Entusiasmo, amore per le novità e per le sfide (vita entusiasmante, varia e audace)
Successo
Edonismo
Orientamento
al cambiamento
Indipendenza
Universalismo
Benevolenza
Tradizione
Conformità
Sicurezza
Pensiero e scelta indipendenti, spirito creativo, esplorazione (creatività, libertà, indipendenza, curiosità,
scelta autonoma degli obiettivi)
Comprensione, gratitudine, tolleranza e tutela del benessere di tutti gli individui e della natura
(ampiezza di vedute, saggezza, giustizia sociale, uguaglianza, pace, bellezza, sintonia con la natura,
protezione dell’ambiente)
Protezione e cura del benessere delle persone con cui si è in stretto contatto (altruismo, onestà,
indulgenza, lealtà, responsabilità)
Rispetto, impegno e accettazione di usanze e idee della cultura o della religione tradizionali (umiltà,
accettazione del proprio destino, devozione, rispetto per la tradizione, moderazione)
Limitazione di azioni, inclinazioni e impulsi potenzialmente fastidiosi o dannosi per gli altri e contrari
alle aspettative e norme sociali (gentilezza, obbedienza, auto-disciplina, rispetto verso i genitori
e gli anziani)
Armonia e stabilità della società, delle relazioni e dell’individuo (sicurezza della famiglia, sicurezza
nazionale, ordine sociale, decenza, scambio di favori)
Fonte: Da Anat Bardi e Shalom H Schwartz, “Values and Behavior: Strength and Structure of Relations,” Personality & Social Psychology Bulletin, ottobre 2003, p
1208. Copyright © 2003 Sage Publications.
Figura 6-1
Le relazioni intercorrenti
tra i valori di Schwartz
Fonte: Anat Bardi e Shalom H
Schwartz, “Values and Behavior:
Strength and Structure of
Relations,” Personality and Social
Psychology Bulletin, ottobre
2003, p 1208. Copyright © 2003
Sage Publications.
Indipendenza
Orientamento
al cambiamento
Universalismo
Benevolenza
Edonismo
Conformità
Tradizione
Successo
Potere
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Sicurezza
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120
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
cambiamento e la conformità/tradizione. Il desiderio di vivere una vita stimolante dedicandosi ad attività come il paracadutismo o l’arrampicata entrerebbe in conflitto con il
proposito di vivere una vita moderata o tradizionale. La ricerca ha in parte confermato
queste ipotesi.4
Conflitti di valori
Vi sono tre tipologie di conflitti di valori collegabili agli atteggiamenti, alla soddisfazione
lavorativa, al turnover, alla prestazione e ai comportamenti controproducenti individuali.
Si possono classificare come conflitti di valori intrapersonali, interpersonali e tra individuo e azienda. In queste tre diverse tipologie, il conflitto ha origine rispettivamente
dentro la persona, tra una persona e le altre e tra la persona e l’organizzazione.
Conflitti di valori intrapersonali Dall’esame della teoria dei valori di Schwartz è
emerso che gli individui possono vivere una condizione di conflitto interiore e stress
quando i valori personali sono in contrasto tra loro. I lavoratori che desiderano condurre
una vita equilibrata possono vivere una stressante condizione di conflitto quando, per
esempio, attribuiscono importanza al “successo” e alla “tradizione”. Paul Wenske, ex
reporter per il Kansas City Star, vive un conflitto di valori intrapersonale dopo essere stato
costretto ad accettare una proposta di pensionamento dal suo datore di lavoro. Giornalista
affermato e riconosciuto con trent’anni di esperienza, si identificava fortemente nel suo
lavoro e in un’intervista al Wall Street Journal ha dichiarato: “Da un giorno all’altro,
non sei più la persona che sei sempre stato. Ti guardi allo specchio e ti domandi chi
sei.” Secondo i terapisti, questo tipo di conflitto di valori può essere attenuato “andando
orgogliosi di caratteristiche personali immutabili a prescindere dalle situazioni come la
virtù, l’integrità, l’onestà e la generosità. Si consiglia inoltre di dedicare più tempo ed
energie ai rapporti con i familiari, gli amici e la comunità.”5 In genere, le persone sono
più serene e meno stressate quando i loro valori personali sono allineati.
Conflitti di valori interpersonali Questa tipologia di conflitti di valori è spesso
alla base di scontri tra personalità diverse e può incidere negativamente sulla carriera.
Consideriamo il caso di Jeffrey Johnson, che è stato licenziato dalla Tribune Company,
proprietaria del Los Angeles Times, quando i suoi valori sono entrati in conflitto con
quelli dei dirigenti. Costoro avevano chiesto a Johnson di migliorare le performance
finanziarie del quotidiano tagliando i costi, cioè riducendo il personale. Il conflitto di
valori è sorto perché Johnson puntava a risanare le finanze esplorando strategie innovative per generare nuove entrate, non ritenendo che i problemi del giornale potessero
essere risolti licenziando i dipendenti.6 Questo esempio dimostra quanto sia importante
valutare con attenzione pro e contro nella gestione dei conflitti di valori interpersonali
con i superiori.
Conflitti di valori tra individuo e organizzazione Come abbiamo visto nel Capitolo
3, le organizzazioni cercano attivamente di radicare determinati valori all’interno della
loro cultura aziendale. Il conflitto può verificarsi quando i valori dichiarati e messi in
atto dall’organizzazione entrano in collisione con i valori personali dei collaboratori.
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6
Valori, atteggiamenti e soddisfazione lavorativa
121
Nel Capitolo 3 abbiamo illustrato l’adattamento persona-ambiente, cioè la misura in
cui le caratteristiche individuali sono coerenti con quelle dell’ambiente di lavoro.7 I
conflitti di valori tra individuo e organizzazione sono importanti perché sono collegati
a conseguenze positive a livello organizzativo come la soddisfazione, l’impegno e il
successo professionale.8 Prima di accettare una proposta di lavoro, è importante quindi
valutare con attenzione la coerenza tra la proposta e i propri valori individuali.
Conflitto tra lavoro e vita familiare
Una complessa rete di fattori demografici ed economici rende l’equilibrio tra lavoro e
vita privata una sfida per la maggior parte della popolazione. La sfida diventa più complessa durante fasi di recessione, caratterizzate da disoccupazione elevata. In questa
sezione cercheremo di capire meglio il conflitto tra lavoro e famiglia introducendo un
modello basato sui valori.
Un modello di conflitto lavoro/famiglia basato sui valori Pamela L. Perrewé e Wayne
A. Hochwarter hanno proposto il modello di conflitto lavoro/famiglia rappresentato nella
figura 6-2. Sul lato sinistro sono indicati i valori generali di vita, che alimentano i valori
collegati alla famiglia e al lavoro. I valori familiari includono le convinzioni durature
sull’importanza della famiglia e su chi riveste i ruoli fondamentali al suo interno (ad
esempio allevare i figli, mandare avanti la casa e guadagnare il denaro). I valori legati
al lavoro si concentrano sull’importanza relativa del lavoro e degli obiettivi lavorativi
nella vita di una persona. La similitudine di valori è legata al grado di consenso tra i
membri della famiglia sui valori familiari. Se, ad esempio, una moglie intraprende un
Figura 6-2
Un modello
di conflitto lavoro/famiglia
basato sui valori
Fonte: Pamela L. Perrewé
e Wayne A. Hochwarter,“Can
We Really Have It All? The
Attainment of Work and Family
Values,” Current Directions in
Psychological Science, febbraio
2001, p. 30. Pubblicato
da Blackwell Publishers, Inc. ©
American Psychological Society.
Valori
familiari
Similitudine
di valori
Valori
generali
di vita
Conflitto
lavoro/
famiglia
Perseguimento
dei valori
Soddisfazione
lavorativa
e nella vita
Congruenza
di valori
Valori legati
al lavoro
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122
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
lavoro nonostante il marito desideri essere l’unico in casa a guadagnare, la mancanza di
similitudine tra i valori causa un conflitto lavoro/famiglia. La congruenza di valori, d’altra parte, implica l’accordo sui valori tra dipendente e datore di lavoro. Se, ad esempio,
il datore di lavoro considera il fatto che un dipendente non parta per un viaggio d’affari
per non perdere il compleanno del figlio come una slealtà nei confronti dell’azienda, la
mancanza di congruenza di valori può scatenare un conflitto lavoro/famiglia.
“Il conflitto lavoro/famiglia può assumere due forme: interferenza del lavoro con
la famiglia e interferenza della famiglia con il lavoro”.9 Supponiamo, ad esempio, che
due manager all’interno della stessa funzione abbiano le figlie che giocano nella medesima squadra di calcio. Uno dei due si perde una partita importante per partecipare
a una riunione indetta all’ultimo minuto, l’altro salta la riunione per vedere la partita.
Entrambi potrebbero andare incontro a un conflitto lavoro/famiglia, ma per ragioni
totalmente diverse.10
Gli ultimi due riquadri a destra del modello, ossia il perseguimento dei valori e
la soddisfazione nella vita, vanno di pari passo. La soddisfazione è tendenzialmente
maggiore per chi vive secondo i propri valori, minore per chi non lo fa. In generale, il
modello riflette il senso comune. Ora potremmo chiedere: come si posiziona la vostra
vita in questo modello? Per molte persone confrontarsi attualmente con questo modello
è fonte di difficoltà.
Le politiche organizzative rispetto al conflitto lavoro-famiglia Le organizzazioni
hanno implementato una molteplicità di programmi e servizi per la famiglia mirati ad
aiutare i collaboratori a trovare un equilibrio tra lavoro e vita personale. Si tratta di
contributi alla gestione familiare quali integrazioni sanitarie, contributi per asili nido o
assistenza agli anziani, convenzioni con organizzazioni che forniscono diverse tipologie
di servizi.
Atteggiamenti
Non passa giorno senza che vengano diffusi i risultati di un ennesimo sondaggio sugli
atteggiamenti. L’idea di fondo è quella di avere “il polso” dell’opinione pubblica, ossia
di capire che cosa ne pensa la gente di un uomo politico, del terrorismo, della droga,
della pressione fiscale e così via. Sul posto di lavoro, contemporaneamente, i manager
propongono altri sondaggi tesi a monitorare questioni quali la soddisfazione lavorativa
e il coinvolgimento del personale. Tutta questa enfasi nei confronti degli atteggiamenti
si basa sulla presa di coscienza che essi influenzano in qualche modo il comportamento.
Per esempio secondo alcune ricerche, gli anziani che manifestano un atteggiamento
positivo rispetto all’invecchiamento hanno una memoria e un udito migliori e vivono
più a lungo rispetto a quelli che manifestano un atteggiamento negativo.11
Diversi studi hanno rivelato che sul posto di lavoro gli atteggiamenti rispetto al
lavoro erano legati positivamente alla performance e negativamente a indicatori quali
pensieri di abbandono, tendenza ad arrivare in ritardo, assenteismo e turnover.12 In questa
sezione analizzeremo le componenti degli atteggiamenti e la connessione esistente tra
gli atteggiamenti e il comportamento.
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6
Valori, atteggiamenti e soddisfazione lavorativa
123
La natura degli atteggiamenti
Atteggiamento: predisposizione acquisita nei confronti
di qualcosa
Si definisce atteggiamento “una predisposizione acquisita a reagire in modo coerentemente favorevole o sfavorevole nei riguardi di qualcosa”.13 Consideriamo come
esempio l’atteggiamento rispetto al gelato al cioccolato: è più probabile che decidiate di
mangiare un cono al cioccolato se avete un atteggiamento positivo verso questo gusto,
mentre molto probabilmente sceglierete un gusto diverso, per esempio la crema, se
avete un atteggiamento positivo verso il gelato alla crema e neutrale o negativo verso
il gelato al cioccolato. Esaminiamo ora un esempio legato al contesto lavorativo. Se
avete un atteggiamento positivo rispetto al vostro lavoro (cioè il vostro lavoro vi piace)
sarete più propensi a impegnarvi al massimo lavorando più duramente e più a lungo.
Questi semplici esempi spiegano che gli atteggiamenti ci inducono ad agire in una determinata maniera in un contesto specifico: in altre parole, gli atteggiamenti agiscono
sul comportamento a un livello diverso rispetto ai valori. Questi ultimi rappresentano
infatti delle convinzioni di fondo che influiscono sul comportamento in ogni situazione,
mentre gli atteggiamenti hanno a che fare solamente con il comportamento in determinate situazioni o nei confronti di alcune persone o cose. Valori e atteggiamenti sono
generalmente coerenti, ma non sempre: un manager che attribuisce un grande valore
all’aiuto del prossimo, ad esempio, potrebbe manifestare un atteggiamento negativo
nei confronti di un collega scorretto, e dunque rifiutarsi di aiutarlo. Chiariamo la differenza tra atteggiamenti e valori prendendo in considerazione le tre componenti degli
atteggiamenti: affettiva, cognitiva e comportamentale. È importante sottolineare che
l’atteggiamento complessivo verso qualcuno o qualcosa è una funzione dell’influenza
combinata di queste tre componenti.
Componente affettiva: i
sentimenti o le emozioni che
un individuo prova di fronte
a una cosa o a una situazione
Componente affettiva La componente affettiva di un atteggiamento racchiude in
sé i sentimenti o le emozioni che una persona prova nei confronti di una determinata
cosa o situazione. Ad esempio: quali sono i vostri sentimenti nei confronti delle persone
che parlano al cellulare al ristorante? Se provate fastidio o irritazione, state esprimendo
un sentimento negativo nei confronti delle persone che si comportano così. Se, invece,
provate indifferenza, la componente affettiva del vostro atteggiamento è neutrale.
Componente cognitiva: le
convinzioni o le idee che un
individuo ha su una cosa o una
situazione
Componente comportamentale: come un individuo
intende comportarsi nei confronti di qualcuno o qualcosa
CompOrga.indb 123
Componente cognitiva Che cosa pensate delle persone che parlano al cellulare al
ristorante? Ritenete che il loro comportamento sia poco rispettoso della privacy, produttivo, completamente accettabile o scortese? La risposta rappresenta la componente
cognitiva del vostro atteggiamento nei confronti delle persone che si comportano in
quel modo. La componente cognitiva di un atteggiamento riflette le convinzioni o le
idee di una persona nei confronti di una determinata cosa o situazione.
Componente comportamentale La componente comportamentale fa riferimento
al modo in cui una persona intende reagire o si aspetta di agire nei confronti di qualcosa
o qualcuno. Ad esempio: come reagireste se qualcuno seduto vicino a voi e al vostro
commensale al ristorante parlasse al cellulare? In base alla teoria degli atteggiamenti,
il comportamento di una persona in una situazione del genere è funzione delle tre
componenti. Se il comportamento della persona che telefona non vi irrita (affettiva) o
se pensate che l’uso del cellulare aiuti le persone a gestire la propria vita (cognitiva)
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124
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
e non avete intenzione di confrontarvi con quella persona (comportamentale), è poco
probabile che le diciate qualcosa.14
Che cosa succede quando gli atteggiamenti collidono
con la realtà? La dissonanza cognitiva
Dissonanza cognitiva: disagio psicologico provato quando gli atteggiamenti sono incoerenti con il comportamento
Che cosa accade quando un atteggiamento fortemente consolidato entra in conflitto
con la realtà? Supponiamo che un individuo abbia il forte timore di contrarre l’AIDS,
che ritiene si trasmetta attraverso il contatto con fluidi corporei infetti, tra cui il sangue. Durante la permanenza in un paese estero subisce un grave incidente; necessita
di un’operazione chirurgica e trasfusioni con sangue (forse infetto) proveniente da una
banca del sangue che applica controlli di qualità dubbi. Secondo voi, rifiuterebbe di
sottoporsi alle trasfusioni per restare coerente con le sue convinzioni rispetto al contagio
dell’AIDS? Secondo lo psicologo sociale Leon Festinger, questa situazione determinerebbe una dissonanza cognitiva.
La dissonanza cognitiva rappresenta il disagio psicologico provato da un individuo
quando i suoi atteggiamenti o le sue convinzioni sono incompatibili con il comportamento.15 Festinger ha ipotizzato che gli individui sono motivati a mantenere la coerenza tra
atteggiamenti, credenze e comportamenti e che cercheranno di ridurre la “dissonanza”
(cioè la tensione psicologica) attraverso uno dei seguenti metodi:
1. Modificare l’atteggiamento o il comportamento, oppure entrambi. Si tratta della
soluzione più semplice. Ritornando all’esempio della trasfusione di sangue, tale
soluzione consisterebbe in (a) convincersi che non si può contrarre l’AIDS attraverso
il sangue e sottoporsi alla trasfusione, oppure (b) rifiutare la trasfusione.
2. Minimizzare la gravità di un comportamento incoerente. È una soluzione adottata con
grande frequenza. Nel nostro esempio, l’individuo può minimizzare la convinzione
che contrarrà la malattia accettando la trasfusione (fidandosi del medico che afferma
che il sangue proveniente da quella banca del sangue viene regolarmente utilizzato).
3. Trovare elementi consonanti che bilancino gli elementi dissonanti. Questo approccio
consiste nell’eliminare la dissonanza razionalizzandola. L’individuo può convincersi
che deve accettare la trasfusione perché non ha alternative: dopo tutto, se non si
sottoponesse all’operazione rischierebbe comunque la vita.
Quanto sono stabili gli atteggiamenti?
Nel corso di un importante studio, i ricercatori hanno rilevato che gli atteggiamenti
lavorativi degli intervistati (5000 maschi occupati di mezza età) rimanevano piuttosto
stabili per un periodo pari a 5 anni; gli atteggiamenti positivi rimanevano tali, così come
quelli negativi. Anche se le persone cambiavano lavoro o ruolo, tendevano comunque
a mantenere gli atteggiamenti esternati in precedenza.16
Ricerche più recenti ipotizzano invece che questo studio avesse sopravvalutato il
grado di stabilità degli atteggiamenti, essendosi limitato a esaminare un campione di
persone di mezza età. Questa volta, la domanda che si sono posti i ricercatori è stata
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Valori, atteggiamenti e soddisfazione lavorativa
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la seguente: come cambiano gli atteggiamenti nell’arco dell’età adulta? È emerso che
gli atteggiamenti generali sono maggiormente suscettibili al cambiamento nella prima
giovinezza e nella maturità rispetto al periodo di mezzo. Tre sono i fattori responsabili
della stabilità che caratterizza la mezza età: (1) maggiore sicurezza personale; (2) percezione di avere competenze significative; (3) bisogno di atteggiamenti saldi. In questo
modo è stata smentita l’idea mutuata dal senso comune secondo cui gli atteggiamenti
generali diventerebbero più stabili con l’età. Le persone più anziane, così come le più
giovani, cambiano effettivamente i propri atteggiamenti generali perché sono più aperte
al cambiamento e meno sicure di sé.17
Il nostro background culturale e le esperienze che viviamo cambiano; di conseguenza
cambiano anche gli atteggiamenti e i comportamenti. Le propensioni si traducono in
comportamento attraverso le intenzioni comportamentali. Prendiamo ora in esame un
modello che spiega tale processo.
Gli atteggiamenti influenzano il comportamento attraverso
le intenzioni
Sviluppando le teorie di Leon Festinger sulla dissonanza cognitiva, Icek Ajzen e Martin
Fishbein hanno indagato più a fondo per comprendere la causa delle discrepanze tra
gli atteggiamenti e il comportamento degli individui. Ajzen ha sviluppato e affinato un
modello incentrato sulle intenzioni come collegamento chiave tra gli atteggiamenti e
il comportamento pianificato. La sua teoria sul comportamento pianificato (figura 6-3)
Figura 6-3
Teoria di Ajzen
del comportamento pianificato
Fonte: riprodotto
da Organizational Behavior and
Human Decision Processes, I.
Aizen, “The Theory of Planned
Behavior,” Figura 1, p. 182,
Copyright 1991,
su autorizzazione
della Elsevier Science.
Atteggiamento
nei confronti del
comportamento
Norma
soggettiva
Intenzione
Comportamento
Controllo
comportamentale
percepito
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126
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
mostra tre determinanti, separate ma interagenti, dell’intenzione individuale) di agire
un certo comportamento.
Ajzen ha spiegato in questo modo la natura e i ruoli delle tre determinanti dell’intenzione:
La prima determinante è l’atteggiamento nei confronti del comportamento, e si
riferisce alla misura in cui la persona esprime una valutazione favorevole o meno
sul comportamento in questione. Il secondo elemento predittore è un fattore sociale
denominato norma soggettiva; si riferisce alla pressione sociale percepita che spinge ad
avere o meno un determinato comportamento. La terza causa dell’intenzione è il grado
di controllo comportamentale percepito, ossia la facilità o la difficoltà nell’assumere un
comportamento. Si ritiene che quest’ultima determinante rifletta sia le esperienze passate
dell’individuo, sia impedimenti e ostacoli previsti.18
Atteggiamenti nei confronti del lavoro
Atteggiamenti nei confronti del lavoro come l’impegno verso l’organizzazione, il coinvolgimento del personale e la soddisfazione lavorativa rivestono un’importanza duplice
per i manager. Da un lato, rappresentano risultati importanti che i manager potrebbero
voler incoraggiare. Dall’altro, sono sintomatici di altri potenziali problemi: per esempio,
un basso livello di coinvolgimento o di soddisfazione lavorativa potrebbero essere il
sintomo dell’intenzione di un collaboratore di licenziarsi. Pertanto è essenziale che i
manager comprendano le cause e le conseguenze degli atteggiamenti nei confronti del
lavoro.
Qual è il vostro orientamento verso il lavoro? Lo ritenete una componente importante che vi sostiene nella costruzione della vostra identità e vi soddisfa, o è solo un
mezzo per guadagnarsi dei soldi e pagare le bollette? È interessante notare come gli
atteggiamenti nei confronti del lavoro siano cambiati in modo significativo nel corso
della storia. Nell’antica Grecia, per esempio, il lavoro era svolto da persone ridotte in
schiavitù, mentre oggi è considerato da molti una fonte di soddisfazione e piacere e si sta
diffondendo sempre più la convinzione che debba essere divertente. Non tutti saranno
d’accordo su questo fatto, ma organizzazioni come la Southwest Airlines l’hanno trasformato in un vantaggio competitivo strategico. Uno dei fattori fondamentali per essere
assunti alla Southwest, infatti, è avere senso dell’umorismo e un atteggiamento generale
positivo. Prendiamo in esame quanto conterebbe nel dare un’impronta ai collaboratori
l’orientamento positivo nei confronti del lavoro di Bob Pyke, amministratore delegato
alla Creative Training Techniques International, Inc:
Non si tratta di scegliere tra divertirsi e lavorare, bensì di scegliere di lavorare divertendosi. Trovo estremamente deprimente che ci sia tanta gente che trascorre otto ore al
giorno lavorando e le altre sedici a tentare di dimenticarsene. La definizione “se non
è stupido e noioso allora non è lavoro” non vale più e va cambiata. Il lavoro dovrebbe
essere sinonimo di passione, dovrebbe avere uno scopo e implicare coinvolgimento e
partecipazione. I team a elevata performance che svolgono compiti complessi sanno
anche come divertirsi. Hanno un atteggiamento che dimostra quanto apprezzino ciò che
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Valori, atteggiamenti e soddisfazione lavorativa
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fanno e in che misura appartengano a un gruppo composito di individui impegnati in una
missione comune, che hanno dei valori e una visione. E ognuno di loro non vede l’ora
di dare un contributo al gruppo. Tenete conto che esisteranno sempre sia gli amanti del
divertimento che chi lo depreca. Non è che questi ultimi siano contrari al divertimento;
semplicemente ritengono che non sia una componente rilevante nel lavoro.19
Vi piacerebbe lavorare per Bob Pyke?
Le persone esprimono molti atteggiamenti nei confronti di ciò che succede al lavoro,
ma gli esperti di comportamento organizzativo si sono concentrati solo su alcuni di essi.
In questa sezione esamineremo da vicino due tipi di atteggiamenti lavorativi, l’impegno
nei confronti dell’azienda (commitment) e il coinvolgimento del personale (engagement),
che hanno importanti implicazioni pratiche. La soddisfazione sul lavoro, l’atteggiamento
lavorativo più studiato, sarà analizzato nella sezione successiva del capitolo.
L’impegno verso l’organizzazione
Impegno verso l’organizzazione: quanto un individuo si
identifica con un’organizzazione e con i suoi obiettivi
Prima di esaminare un modello dell’impegno verso l’organizzazione è importante
riflettere sul significato della parola impegno. Che cosa significa impegnarsi? Secondo il senso comune, l’impegno è la disponibilità a fare qualcosa per se stessi, per un
altro individuo, per un gruppo oppure un’organizzazione. Formalmente, gli studiosi di
comportamento organizzativo definiscono l’impegno come “una forza che vincola un
individuo a un corso di azione importante per il raggiungimento di uno o più obiettivi.”20 Questa definizione sottolinea che l’impegno è associato al comportamento e può
essere mirato a molteplici obiettivi o entità. Per esempio, un individuo può assumere
un impegno rispetto al lavoro, alla famiglia, al compagno o alla compagna, a un credo
religioso, agli amici, alla carriera, all’organizzazione o a una molteplicità di associazioni professionali. Concentriamo l’attenzione sull’applicazione dell’impegno verso
un’organizzazione lavorativa.
L’impegno verso l’organizzazione (organizational commitment) riflette quanto un
individuo si identifica con l’organizzazione per cui lavora e si impegna per raggiungerne gli obiettivi. È questo un atteggiamento importante, perché individui impegnati
esprimono una maggiore disponibilità a lavorare intensamente per raggiungere gli
obiettivi aziendali e un maggiore desiderio di restare all’interno dell’organizzazione
cui appartengono. La figura 6-4 presenta un modello di impegno verso l’organizzazione
che ne identifica le cause e le conseguenze.
Un modello dell’impegno verso l’organizzazione La figura 6-4 illustra che l’impegno
verso l’organizzazione si articola in tre componenti distinte ma legate l’una all’altra:
l’impegno affettivo, l’impegno normativo e l’impegno di continuità. John Meyer e
Natalie Allen, due esperti in materia, definiscono queste componenti come segue:
L’impegno affettivo (affective commitment) si riferisce all’attaccamento emotivo,
all’identificazione e al coinvolgimento di un collaboratore nei confronti dell’organizzazione: le persone che manifestano un forte impegno affettivo restano all’interno
dell’organizzazione perché desiderano farlo. L’impegno di continuità (continuance
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Parte II
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Il comportamento individuale nelle organizzazioni
commitment) è legato alla consapevolezza dei costi associati alla decisione di lasciare
l’organizzazione: i collaboratori il cui legame principale con l’organizzazione si basa
sull’impegno di continuità restano perché lo necessitano. Infine, l’impegno normativo
(normative commitment) riflette un senso di obbligo a continuare il rapporto di lavoro:
i collaboratori che manifestano un forte impegno normativo sentono di dover restare
all’interno dell’organizzazione.21
La figura 6-4 mostra inoltre che le tre componenti si associano determinando un effetto
vincolante che esercita un’influenza su aspetti come il turnover e comportamenti lavorativi come la performance, l’assenteismo e la cittadinanza aziendale, che esamineremo
nel prosieguo del capitolo.
Ciascuna componente è influenzata da un insieme diverso di antecedenti (figura 6-4),
termine che in questo contesto indica qualcosa che attiva una componente dell’impegno.
Antecedenti
• Cultura organizzativa
• Adattamento personaambiente
• Tratti individuali
• Comportamento del leader
Nor
(ob ma
bli
g
(d A
Impegno verso
l’organizzazione
(forza vincolante)
o
ttiv io)
ffe ider
es
Antecedenti
• Cultura organizzativa
• Socializzazione
• Contratto psicologico
o
tiv o)
Consequenze
• Turnover
• Comportamento
sul posto di lavoro
C o n tinu i t à
(co s ti/be ne fici)
Antecedenti
• Mancanza di alternative
• Investimenti
Figura 6-4 Un modello dell’impegno verso l’organizzazione
Fonte: Adattamento da J P Meyer e L Herscovitch, “Commitment in the Workplace: Toward a General Model,” Human Resource Management Review, autunno
2001, p 317.
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Valori, atteggiamenti e soddisfazione lavorativa
Contratto psicologico: la
percezione di un individuo
rispetto a termini e condizioni
di uno scambio reciproco con
un’altra parte
129
Per esempio, l’impegno affettivo è legato alla cultura organizzativa e all’adattamento
persona-ambiente (analizzati nel Capitolo 3), a una molteplicità di tratti individuali
come la personalità (esaminata nel Capitolo 5) e al comportamento del leader (che vedremo nel Capitolo 16).22 Poiché l’impegno di continuità riflette un bilancio dei costi
e dei benefici associati alla decisione di lasciare l’organizzazione, gli antecedenti sono
tutti quegli elementi che incidono su tale decisione, per esempio la carenza di alternative di lavoro/carriera e l’entità degli investimenti reali e psicologici che l’individuo
ha effettuato in una determinata organizzazione o comunità. L’impegno di continuità
sarà elevato se l’individuo non dispone di alternative, è attivamente coinvolto nel suo
credo religioso, ha molti amici nella comunità, detiene azioni del capitale aziendale e
necessita dell’assicurazione sanitaria per la sua famiglia composta da cinque persone.
Infine, l’impegno normativo è influenzato dalla cultura organizzativa e dal processo di
socializzazione, illustrati nel Capitolo 3, nonché dai cosiddetti contratti psicologici. Il
contratto psicologico è la percezione di un individuo rispetto ai termini e condizioni
di uno scambio reciproco con un’altra parte.23 Nel contesto organizzativo, il contratto
psicologico è rappresentato dal bilancio di dare e avere, in termini personali e non
giuridici, tra l’individuo e l’organizzazione.
Il coinvolgimento del personale
Coinvolgimento lavorativo:
quanto un individuo è assorbito dal lavoro che fa
Il coinvolgimento del personale è una strategia relativamente nuova nel campo del
comportamento organizzativo. Fu definita nel 1990 da William Kahn sulla base di due
studi qualitativi condotti osservando lavoratori impiegati in un campo estivo e presso
uno studio di architettura. Kahn ha definito il coinvolgimento del personale (employee
engagement) come “il darsi dei membri dell’organizzazione al proprio ruolo; quando
sono coinvolti, gli individui si spendono ed esprimono sé stessi sul piano fisico, cognitivo
ed emotivo durante l’esecuzione dei propri compiti.”24 Il nocciolo di questa definizione è
l’idea che i dipendenti coinvolti “diano il massimo” durante il lavoro. Altri studi di questa
variabile dell’atteggiamento hanno dimostrato che si articola in quattro componenti: (1)
sentimenti di urgenza, (2) sentimenti di concentrazione, (3) sentimenti di intensità e (4)
sentimenti di entusiasmo.25 Se vi è capitato di provare questo tipo di sentimenti durante
il lavoro o lo studio, vi sarà facile comprendere perché studiosi, manager e consulenti
puntino a sfruttare il potere del coinvolgimento del personale.
Le cause del coinvolgimento del personale Il coinvolgimento è determinato da
una molteplicità di variabili, che possono essere raggruppate in due categorie: fattori
personali e fattori legati all’ambiente di lavoro, o di contesto. Secondo molti studi, i
fattori personali che influenzano il coinvolgimento sono la positività e l’ottimismo, la
personalità proattiva, la coscienziosità, l’adattamento persona-ambiente e l’essere presenti o consapevoli (mindfulness).26 Quest’ultima caratteristica rappresenta la misura in
cui un individuo è concentrato su ciò che accade in un dato momento, anziché distrarsi
pensando a qualcos’altro.
Esiste un ampio ventaglio di fattori contestuali che possono influire sul coinvolgimento del personale. Uno di questi è chiaramente legato alla cultura organizzativa: per
esempio, probabilmente i collaboratori si sentiranno più coinvolti quando l’azienda è
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Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
dotata di una cultura di clan (illustrata nel Capitolo 3), che attribuisce valore allo sviluppo
dei dipendenti, al riconoscimento e alla fiducia tra management e personale.27 Anche
la sicurezza del posto di lavoro e la sensazione di libertà di manifestare idee e proposte
accrescono il coinvolgimento dei dipendenti.28 Il comportamento del leader, e in particolare la leadership trasformazionale (illustrata nel Capitolo 16), è un’altra variabile
contestuale essenziale.29 Infine, il coinvolgimento del personale è maggiore quando i
collaboratori si sentono appoggiati dal diretto supervisore e dall’azienda nel suo insieme e hanno una visione coerente con le strategie e gli obiettivi dell’organizzazione.30
La soddisfazione lavorativa
Soddisfazione lavorativa:
risposta affettiva o emotiva
nei confronti del proprio lavoro
La soddisfazione lavorativa riflette essenzialmente la misura in cui un individuo apprezza il proprio lavoro. Per dare una definizione formale, la soddisfazione lavorativa
è la risposta emotiva o affettiva di una persona nei confronti dei vari aspetti del lavoro.
Questa definizione implica che non si tratta di un concetto univoco; una persona può
essere relativamente soddisfatta di un aspetto del proprio lavoro e insoddisfatta per altri
aspetti. Per esempio, un sondaggio recente su un campione di 11.000 persone ha rivelato
che i membri della generazione Y erano più soddisfatti dei propri manager rispetto ai
membri delle generazione X e ai baby boomer, mentre la soddisfazione lavorativa complessiva era più elevata per i baby boomer che per i membri delle generazioni X e Y.31
Alcuni ricercatori della Cornell University, ad esempio, hanno elaborato il Job
Descriptive Index (JDI – indice di descrizione del lavoro) per valutare il grado di soddisfazione utilizzando queste dimensioni: lavoro, retribuzione, promozioni, rapporto
con i colleghi e con i capi.32 Altri ricercatori, dell’Università del Minnesota, hanno
invece concluso che sono 20 le dimensioni che sottendono la soddisfazione lavorativa.
Gli studiosi sono ancora discordi sul numero esatto delle dimensioni che costituiscono
la soddisfazione lavorativa, ma sono state individuate cinque cause predominanti che, a
nostro parere, possono aiutare i manager a potenziare questo atteggiamento essenziale
verso il lavoro. Passiamo dunque a esaminare le cause della soddisfazione lavorativa.
Le cause della soddisfazione lavorativa
Esistono cinque tipi di modelli principali che descrivono la soddisfazione sul lavoro,
e ognuno privilegia cause diverse. Rispettivamente: il soddisfacimento dei bisogni,
le discrepanze, la realizzazione dei valori, l’equità e la componente genetica/di predisposizione. Entrando brevemente nel merito di ciascuno dei modelli potremo trarre
interessanti spunti di riflessione sulla molteplicità di strategie utilizzabili per accrescere
la soddisfazione lavorativa dei collaboratori.
Soddisfacimento dei bisogni I modelli del primo tipo ipotizzano che la soddisfazione
lavorativa sia legata a quanto le caratteristiche di un lavoro permettono all’individuo
il soddisfacimento dei propri bisogni. Per esempio, la Society for Human Resource
Management ha condotto un sondaggio su un campione di dipendenti chiedendo loro
di identificare gli aspetti del lavoro importanti per la soddisfazione lavorativa personale.
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Valori, atteggiamenti e soddisfazione lavorativa
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I quattro aspetti più citati sono stati la retribuzione, i benefit, la certezza del lavoro e
l’equilibrio lavoro-famiglia, tutti direttamente legati alla capacità di soddisfare una molteplicità di bisogni di base.33 Si può ipotizzare che durante le fasi recessive la certezza
del lavoro assuma un’importanza ancora maggiore. Nonostante i modelli di questo tipo
abbiano suscitato controversie, la correlazione tra il soddisfacimento dei bisogni e la
soddisfazione lavorativa è ormai generalmente accettata.34
Aspettative realizzate: la misura in cui una persona riceve
dal proprio lavoro ciò che si
aspettava
Realizzazione dei valori: la
misura in cui il lavoro permette
la realizzazione dei valori di
una persona
Discrepanze Questi modelli ipotizzano che la soddisfazione sia una conseguenza
delle aspettative realizzate, ossia della differenza tra ciò che una persona si aspettava
di ottenere con un lavoro, ad esempio una buona retribuzione e interessanti opportunità
di promozione, e ciò che effettivamente riceve. Se le aspettative sono molto superiori a
quanto ricevuto, la persona sarà insoddisfatta, mentre sarà soddisfatta se ottiene risultati
uguali o superiori rispetto alle proprie aspettative.
Realizzazione dei valori Secondo l’ipotesi della realizzazione dei valori, la soddisfazione è legata alla percezione che nel lavoro sia possibile perseguire importanti
valori personali. In generale, la ricerca prova l’esistenza di una correlazione positiva
tra la soddisfazione lavorativa e la realizzazione dei valori. È questa una importante
indicazione per i manager, che possono quindi migliorare la soddisfazione dei propri
collaboratori progettando un ambiente di lavoro coerente con i valori professati.
Equità In questi modelli, la soddisfazione è funzione dell’equità percepita. La soddisfazione è il risultato della percezione che l’individuo ha del fatto che i risultati del suo
lavoro, in relazione agli input ricevuti, siano equamente giudicati in relazione a quelli dei
colleghi. Una meta-analisi che ha coinvolto 64.757 persone prova la validità di questo
collegamento. È infatti emersa una correlazione positiva molto forte tra la percezione
che il lavoratore ha di essere trattato in modo equo al lavoro e la sua soddisfazione
generale.35 I manager sono quindi incoraggiati a controllare le proprie azioni in riferimento a quanto percepito dai collaboratori, e a interagire con loro per migliorare l’equità
del proprio comportamento. Nel Capitolo 8 vedremo come conseguire questi risultati.
Predisposizione personale Al di là delle situazioni oggettive, è possibile notare che
alcune persone appaiono sempre soddisfatte, mentre altre sembrano sempre insoddisfatte.
Il quinto dei modelli proposti cerca di spiegare questo fenomeno. Nello specifico, il modello di predisposizione si basa sulla convinzione che la soddisfazione sul lavoro sia in
parte funzione di tratti personali. Di conseguenza, si ipotizza che differenze individuali
stabili possano rivestire una importanza analoga alle caratteristiche dell’ambiente di
lavoro nella spiegazione della soddisfazione individuale.
Implicazioni e conseguenze della soddisfazione lavorativa
L’ambito di studi relativo alla soddisfazione e alle sue connessioni con altre variabili
organizzative ha importanti implicazioni a livello manageriale. È impossibile pensare di
rendere conto di tutti i risultati; prenderemo perciò in considerazione solo alcune delle
variabili esaminate, selezionandole in relazione alla loro rilevanza a livello manageriale.
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Parte II
132
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
La tabella 6-2 riassume i risultati relativi alla correlazione tra la soddisfazione lavorativa e le altre variabili considerate; può esservi una correlazione positiva o negativa e,
in entrambi i casi, debole o forte. I casi di correlazione forte suggeriscono al manager
spunti di progettazione organizzativa e di comportamenti per migliorare la soddisfazione
lavorativa. Prendiamo ora in esame sette variabili particolarmente rilevanti.
Motivazione Dalla meta-analisi di 9 studi su 1739 lavoratori è emersa un’importante
correlazione positiva tra la motivazione e la soddisfazione lavorativa. Dal momento che
il grado di soddisfazione nei confronti dei capi è direttamente proporzionale alla motivazione, i manager dovrebbero prendere in seria considerazione i propri comportamenti
per capire quanto essi influenzino la soddisfazione dei collaboratori.36 Possono inoltre
accrescere la motivazione dei dipendenti mediante varie strategie mirate a incrementare
la soddisfazione lavorativa.
Coinvolgimento lavorativo Il coinvolgimento lavorativo, una componente del coinvolgimento del personale, rappresenta il grado di coinvolgimento personale nel lavoro.
Una meta-analisi che ha coinvolto 27.925 persone ha dimostrato che il coinvolgimento
lavorativo è moderatamente correlato alla soddisfazione del lavoro.37 I manager dovrebbero spendersi per creare un ambiente di lavoro soddisfacente in modo da stimolare il
coinvolgimento lavorativo dei collaboratori.
Comportamenti di cittadinanza aziendale: comportamenti dei dipendenti che
eccedono quanto formalmente
richiesto dal proprio ruolo
Comportamento di cittadinanza aziendale I comportamenti di cittadinanza
aziendale sono comportamenti messi in atto dai collaboratori che vanno al di là dei loro
precisi doveri all’interno dell’azienda. Ad esempio “gesti come pronunciare affermazioni costruttive sul proprio reparto, esprimere interesse personale verso il lavoro degli
altri, dare consigli mirati al miglioramento, guidare il personale neoassunto, dimostrare
rispetto per lo spirito e le regole di pulizia dei locali, per le proprietà dell’azienda, essere puntuali e presenti oltre quanto richiesto”.38 Qualsiasi manager apprezzerebbe un
dipendente che dimostra questo tipo di comportamenti. Da una meta-analisi di 21 studi
Tabella 6-2 Fattori correlati alla soddisfazione lavorativa
Variabili collegate alla soddisfazione
Direzione della relazione
Forza della relazione
Motivazione
Comportamento di cittadinanza aziendale
Coinvolgimento lavorativo
Impegno verso l’organizzazione
Pensieri di abbandono
Turnover
Problemi cardiocircolatori
Stress percepito
Adesione ai sindacati
Performance lavorativa
Soddisfazione generale
Salute mentale
Soddisfazione del cliente
Positiva
Positiva
Positiva
Positiva
Negativa
Negativa
Negativa
Negativa
Negativa
Positiva
Positiva
Positiva
Positiva
Moderata
Moderata
Moderata
Moderata
Forte
Moderata
Moderata
Forte
Moderata
Moderata
Moderata
Moderata
Moderata
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Valori, atteggiamenti e soddisfazione lavorativa
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diversi è emersa l’esistenza di una correlazione moderatamente positiva e significativa
tra i comportamenti di cittadinanza aziendale e la soddisfazione lavorativa.39 Inoltre,
due studi meta-analitici più ampi e recenti hanno rivelato che esiste una significativa
correlazione tra i comportamenti di cittadinanza aziendale e una serie di conseguenze
a livello individuale (risultati nelle valutazioni della prestazione, intenzioni di lasciare
l’azienda, assenteismo e turnover) e risultati a livello organizzativo (produttività, efficienza, costi più bassi, soddisfazione del cliente, soddisfazione a livello di funzione
aziendale e turnover).40 Questi dati sono importanti per due ordini di motivi. In primo
luogo, i comportamenti di cittadinanza aziendale possono determinare impressioni positive sui colleghi e i capi e questo a sua volta può incidere sulla capacità di collaborare
con gli altri, sulla valutazione della performance operata dai manager e sulla possibilità
di ottenere promozioni. In secondo luogo, nel loro insieme i comportamenti di cittadinanza aziendale possono determinare importanti conseguenze a livello organizzativo.
I manager dovrebbero essere incoraggiati a perseguire decisioni le più eque possibile
nei riguardi dei collaboratori per stimolare i comportamenti di cittadinanza aziendale.
L’argomento sarà approfondito nel Capitolo 8.
Pensieri di abbandono:
pensieri e sentimenti sull’abbandonare il proprio posto
di lavoro
Pensieri di abbandono del lavoro Alcune persone lasciano il lavoro impulsivamente
o in un impeto di rabbia, ma la maggior parte lo fa dopo aver riflettuto e ponderato la
scelta. I pensieri di abbandono, ossia i pensieri che portano alla decisione di lasciare
il lavoro, riassumono elementi razionali e sentimenti. È quindi molto importante per un
manager agire sulla soddisfazione lavorativa anche per tenere sotto controllo il turnover.
Turnover Prima di discutere la relazione tra soddisfazione lavorativa e turnover, soffermiamoci a esaminare i pro e i contro del turnover. Il turnover può determinare risvolti
positivi quando un dipendente che evidenzia performance mediocri lascia l’azienda o
viene licenziato, consentendo ai manager di sostituirlo con un collaboratore migliore o
di riallineare la spesa. Al contrario, la perdita di una persona di talento è negativa perché
l’organizzazione perde un contributo prezioso.41
Molti sono i provvedimenti che un manager può adottare per ridurre il tasso di turnover, ma la gran parte mira all’aumento della soddisfazione lavorativa. Una meta-analisi
di 67 studi condotti su un campione totale di 24.556 persone lo dimostra. La correlazione tra soddisfazione lavorativa e turnover dei dipendenti è negativa e moderatamente
forte,42 quindi i manager dovrebbero tentare di ridurre il turnover incrementando la
soddisfazione.
Stress percepito Lo stress può avere effetti estremamente negativi sul comportamento
organizzativo e sulla salute dell’individuo. Esiste una correlazione positiva tra stress
e assenteismo, turnover, malattie cardiocircolatorie e infezioni virali. La tabella 6-2,
basandosi su una meta-analisi di sette studi su un campione di 2659 persone, rivela che
lo stress percepito ha una forte correlazione negativa con la soddisfazione lavorativa.43
È stato inoltre rilevato che lo stress percepito è negativamente associato al coinvolgimento del personale. Consigliamo ai manager di tentare di ridurre gli effetti negativi
dello stress migliorando la soddisfazione e incoraggiando i collaboratori a distaccarsi
completamente dal lavoro durante il tempo libero.44
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Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
Performance lavorativa Uno dei temi più dibattuti nelle ricerche di comportamento
organizzativo è la relazione tra soddisfazione e performance lavorativa, in quanto è
difficile stabilire quale sia la causa e quale l’effetto: è la soddisfazione a migliorare
la performance o, viceversa, quando si ottiene un buon risultato si è più soddisfatti?45
Un gruppo di ricercatori ha tentato di porre fine alla controversia confrontando i dati
relativi a 312 campioni su un totale di 54.417 individui.46 Due sono stati gli esiti più
importanti di questo studio. Innanzitutto, è emersa una moderata correlazione positiva
tra soddisfazione lavorativa e performance; si tratta di un risultato importante perché
sostiene l’ipotesi che la soddisfazione del lavoratore sia un atteggiamento di fondamentale importanza, degno perciò di attenzione per i manager che tentano di migliorare il
rendimento dei propri collaboratori. Secondo risultato: la correlazione tra soddisfazione lavorativa e performance è molto più complessa di quanto si potesse pensare. La
questione non si riduce quindi a una semplice relazione diretta in cui la soddisfazione
causa la performance o viceversa: i ricercatori sono invece convinti che entrambe le
variabili si influenzino a vicenda e siano a loro volta influenzate da numerose differenze
individuali e dalle caratteristiche ambientali del posto di lavoro.
I comportamenti controproducenti in ambito lavorativo
Comportamenti controproducenti in ambito lavorativo: comportamenti che hanno
un impatto negativo sui lavoratori e l’organizzazione nel
suo insieme
Nella nostra analisi della soddisfazione lavorativa, abbiamo notato che l’insoddisfazione può essere associata ad alcune tipologie di comportamento indesiderabile, come
un basso coinvolgimento del personale e un turnover più elevato. Comportamenti di
questo genere, assieme ad altri più sgradevoli, appartengono a una categoria denominata comportamenti controproducenti in ambito lavorativo (counterproductive
work behavior, CWB), che hanno un impatto negativo su tutti gli attori aziendali. I
comportamenti controproducenti comprendono il furto, i pettegolezzi, le “pugnalate
alle spalle” ai colleghi, l’abuso di alcolici e l’uso di stupefacenti, la devastazione di
proprietà aziendali, la violenza, lo svolgimento intenzionale di lavori errati o di cattiva
qualità, l’uso personale della rete aziendale, la socializzazione eccessiva, l’abitudine
ad arrivare in ritardo, il sabotaggio e le molestie sessuali.47
Maltrattamenti
Gran parte delle forme di comportamento controproducente si concretizza in maltrattamenti di colleghi e subordinati o talvolta dei clienti; per esempio, i collaboratori
possono compiere molestie, atti di bullismo o azioni palesemente inique. Purtroppo, un
recente sondaggio Zogby ha indicato che oltre il 50% degli adulti statunitensi ha subito
o è stato testimone di episodi di bullismo nell’ambiente di lavoro. Un altro sondaggio
condotto su 12.000 persone provenienti da 24 paesi ha indicato che circa il 10% degli
intervistati ha subito molestie sessuali o fisiche sul posto di lavoro.48 Gli abusi commessi dai supervisori sono particolarmente insidiosi perché, secondo quanto riferito
dagli stessi collaboratori, sentendosi intimiditi, umiliati o sminuiti dai supervisori,
essi sono più propensi a vendicarsi adottando un comportamento controproducente ai
danni del supervisore e dei colleghi.49 Questo tipo di reazione è più probabile quando
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6
Valori, atteggiamenti e soddisfazione lavorativa
135
l’organizzazione non offre canali attraverso i quali i dipendenti possono segnalare il
problema e cercare di risolverlo.
Le cause e la prevenzione dei comportamenti controproducenti
Occorre conoscere le cause dei comportamenti controproducenti per prevenirli. Secondo
uno studio che ha seguito per 23 anni i comportamenti sul lavoro di oltre 900 giovani
adulti, la diagnosi di disturbi della condotta durante l’adolescenza era associata a comportamenti controproducenti in ambito lavorativo, mentre le condanne penali precedenti
l’ingresso nella forza lavoro non lo erano.50 Anche i tratti della personalità e le condizioni
di lavoro possono favorire l’insorgere di questi comportamenti.51
Questi risultati suggeriscono le seguenti implicazioni per i manager:
• Le organizzazioni possono contenere i comportamenti controproducenti assumendo
individui che mostrano una minore tendenza a manifestare questo tipo di comportamenti.
• Le organizzazioni dovrebbero motivare i comportamenti desiderati, per esempio,
progettando mansioni che favoriscono la soddisfazione e prevenendo gli abusi da
parte dei supervisori. Uno studio condotto su 265 ristoranti ha riscontrato che i
comportamenti negativi erano maggiori nei ristoranti dove i dipendenti avevano
segnalato abusi da parte dei supervisori e i manager dovevano monitorare un numero maggiore di dipendenti.52 Di conseguenza, procedure di assunzione adeguate e
programmi di sviluppo dei manager possono non solo rendere più piacevoli le vite
dei dipendenti, ma anche migliorare le performance finanziarie.
• Se un collaboratore assume comportamenti inaccettabili, l’organizzazione dovrebbe
approntare una reazione tempestiva e adeguata, definendo quali comportamenti
specifici sono inaccettabili e i requisiti dei comportamenti accettabili. Il Capitolo 9
presenta linee guida per fornire feedback efficaci.
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Percezioni e attribuzioni sociali
7
Mostrarsi vulnerabili è un bene o un male?
Un recente articolo pubblicato sulla rivista Bloomberg
Businessweek ha passato in rassegna gli aspetti positivi
del mostrarsi vulnerabili (cioè manifestare le proprie
debolezze e i propri limiti) quando si pubblicizzano
prodotti e servizi o quando si punta a creare team più
efficaci. Secondo l’autore Patrick Lencioni, le organizzazioni e gli individui creano percezioni positive
quando ammettono le proprie debolezze, nella misura
in cui lo fanno con sincerità. “La vulnerabilità è spesso considerata debolezza, mentre in realtà è indice di
forza. Le persone autenticamente aperte e trasparenti
dimostrano di avere la fiducia e l’autostima necessarie per mostrarsi agli altri così come sono, con tutti i
loro difetti. E hanno un non so che di incredibilmente
affascinante”, afferma Lencioni.
Lencioni ritiene inoltre che mostrare le proprie
vulnerabilità ai colleghi può favorire il lavoro di squadra: “Quando i membri di un team si sentono liberi di
ammettere i propri errori, chiedere aiuto e riconoscere
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le proprie debolezze, attenuano le dinamiche di contrasto e instaurano un legame di fiducia più prezioso
di qualsiasi altro vantaggio strategico.”
A supporto della sua opinione, Lencioni cita i casi di
Domino’s Pizza e della squadra di football dei Chicago
Bears. La pubblicità di Domino’s Pizza “si apre con dei
clienti che descrivono la pizza Domino’s usando parole
come ketchup e cartone. Poi il presidente dell’azienda
Patrick Doyle spiega con un tono molto pragmatico che
è importante prendere atto delle opinioni dei clienti e
illustra le novità introdotte per migliorare il prodotto:
una salsa più aromatica, con il 40% di erbe in più, un
formaggio di migliore qualità e una crosta più croccante.” Analogamente, i Chicago Bears “hanno concluso
una stagione fallimentare con una pubblicità a pagina
intera nella quale ammettevano di aver fatto un tentativo mediocre di giocare a football da professionisti e
ringraziavano i fan per il loro sostegno nonostante le
pessime prestazioni”.1
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138
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
Il caso di apertura sottolinea un aspetto importante del processo di percezione: le persone non riportano le stesse impressioni dei messaggi pubblicitari, degli eventi, degli
individui e di tutto ciò che rientra nella vita quotidiana. Il CEO di Domino’s Pizza
evidentemente ritiene che descrivere il suo prodotto come “cartone” determinerà impressioni positive e incrementerà le vendite, mentre altri potrebbero non essere attirati
da una descrizione del genere.
Percezioni e impressioni sono influenzate dalle informazioni che riceviamo da
quotidiani, riviste, televisione, radio, familiari e amici. Inoltre, utilizziamo tutte le informazioni immagazzinate nella nostra memoria per interpretare il mondo circostante; e
queste interpretazioni, a loro volta, esercitano un’influenza sulle reazioni e le interazioni
con gli altri. Gli esseri umani si sforzano continuamente di dare un senso a ciò da cui
sono circondati, l’accumulo di conoscenza che ne deriva influenza il comportamento e
aiuta ad affrontare i diversi problemi che si incontrano nella vita. Proviamo a pensare al
processo di percezione che entra in gioco quando incontriamo una persona per la prima
volta. La nostra attenzione è attratta dal suo aspetto fisico, dai modi, dai comportamenti
e dalle reazioni a ciò che diciamo e facciamo. L’idea che ci costruiamo, in definitiva,
si basa sulle nostre percezioni nei confronti dell’interazione sociale in corso. Questa
persona, ad esempio, ha i capelli castani e gli occhi verdi, si rivela amichevole ed è
appassionata di sport all’aria aperta. La conclusione può essere che la persona ci piace,
quindi la invitiamo a un concerto, chiamandola con il nome che abbiamo immagazzinato
nella nostra memoria.
Questo processo reciproco di percezione, interpretazione e risposta comportamentale
entra in gioco anche nell’ambiente lavorativo. Bernie Madoff, per esempio, ha fatto leva
sul processo di percezione per orchestrare una truffa ai danni di ignari investitori, basata
sul vecchio principio della “catena di Sant’Antonio”, per 50 miliardi di dollari. Madoff,
descritto come “intraprendente, ricco e affascinante”, ha sfruttato il successo riscosso
dalla sua società negli anni ’80 e ’90 per crearsi l’immagine di investitore capace: i
suoi uffici “trasudavano successo” e le contrattazioni sembravano “molto redditizie e
del tutto legittime”. Inoltre Madoff era impegnato nel sociale e rivestiva un ruolo attivo
in organizzazioni di beneficenza. Nell’insieme questa immagine di sé lo ha aiutato ad
attirare ricchi investitori e professionisti della finanza, sostenendo la percezione che
stesse guidando una delle società di investimento più esclusive e di maggior successo
al mondo. Purtroppo, si trattava di una recita, che ha convinto il pubblico per molto
tempo a causa dell’immagine percepita.2
Il processo di percezione influenza molto di più delle impressioni che le persone
colgono reciprocamente nelle loro interazioni. Per esempio, le aziende sfruttano le
dinamiche percettive sia nella progettazione che nel marketing dei prodotti, mentre i
candidati politici le usano per vincere le elezioni. L’Agenzia governativa statunitense
per la sicurezza dei trasporti ha usato la ricerca sulla percezione per mettere a punto
programmi di formazione per gli addetti alla sicurezza aeroportuale mirati a migliorarne le capacità di riconoscere oggetti potenzialmente pericolosi;3 in questo contesto,
distorsioni ed errori nel processo di percezione possono determinare conseguenze
catastrofiche! Con questi esempi, vogliamo sottolineare che il processo di percezione
influenza una molteplicità di attività manageriali, processi organizzativi e aspetti legati
alla qualità della vita.
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7
Percezioni e attribuzioni sociali
139
Iniziamo quindi il nostro viaggio all’interno dei processi di percezione e delle conseguenze che ne derivano analizzando: (1) la percezione, vista come un modello di
elaborazione delle informazioni; (2) gli stereotipi; (3) la profezia che si autoavvera; (4)
in che modo le attribuzioni causali sono utilizzate per interpretare il comportamento.
La percezione come modello di elaborazione
delle informazioni
Percezione: processo di interpretazione del proprio ambiente
La percezione è un processo cognitivo che ci permette di interpretare e capire ciò che
ci circonda. Una delle funzioni principali di questo processo è il riconoscimento degli
oggetti. Tanto gli uomini quanto gli altri animali, ad esempio, riconoscono gli oggetti
familiari nei loro ambienti. Ciascuno di noi saprebbe riconoscere una foto del suo migliore amico, così come i cani e i gatti sanno riconoscere la loro ciotola o il giocattolo
preferito. Anche il processo di lettura implica la capacità di distinguere degli schemi
visuali che rappresentano le lettere dell’alfabeto e di riconnetterli in un significato.
Affinché ci sia un’interazione significativa tra uomo e ambiente, è necessario saper
riconoscere gli oggetti. L’obiettivo principale del comportamento organizzativo è però
quello di studiare le persone e le loro interazioni; perciò ci concentreremo sulla percezione sociale, tralasciando la percezione degli oggetti.
Lo studio del modo in cui le persone si percepiscono l’un l’altra è stato definito
cognizione sociale e elaborazione sociale delle informazioni. La cognizione sociale,
a differenza della percezione degli oggetti, si occupa delle modalità tramite le quali le
persone danno un senso a se stesse e alle altre persone. Si concentra dunque su come
normalmente pensiamo agli altri esseri umani, e su come pensiamo di pensare agli altri
esseri umani.
La ricerca sulla cognizione sociale cerca di andare oltre la psicologia ingenua; questo
tipo di studi implica infatti un’analisi molto dettagliata di ciò che l’individuo pensa di
se stesso e degli altri, analisi che si collega a teorie e metodi della psicologia cognitiva.4
Passiamo ora ad analizzare i processi fondamentali che stanno alla base della percezione.
Una sequenza a quattro fasi e un esempio operativo
La percezione implica una sequenza di elaborazione dell’informazione a quattro fasi.
La figura 7-1 mostra un modello base della percezione come elaborazione dell’informazione. Tre delle quattro fasi del modello – selezione attiva/comprensione, codificazione e semplificazione, immagazzinamento e conservazione – descrivono in che modo
l’informazione specifica e gli stimoli ambientali vengono notati e registrati in memoria.
L’ultima fase, recupero e reazione, implica la trasformazione delle rappresentazioni
mentali in giudizi e decisioni reali.
Leggendo i paragrafi che seguono, nei quali ci occuperemo delle quattro fasi della
percezione, è opportuno tenere sempre sullo sfondo qualche esempio di vita quotidiana.
Si può immaginare, ad esempio, di stare per fare l’iscrizione al corso di finanza; ci sono
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Parte II
140
Fase 1
Selezione attiva/
comprensione
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
Fase 2
Codificazione
e semplificazione
Fase 4
Recupero
e reazione
Fase 3
Immagazzinamento
e conservazione
A
Stimoli
ambientali
in competizione
• Persone
• Eventi
• Oggetti
B
C
D
E
Interpretazione
e
categorizzazione
A
C
F
Memoria
C
Giudizi
e
decisioni
F
Figura 7-1 Percezione: un modello di elaborazione delle informazioni
tre professori che tengono lo stesso corso, ma ognuno utilizza metodi di insegnamento e
di verifica diversi. L’esperienza ha insegnato a preferire i buoni insegnanti che utilizzano
il metodo dei casi e che chiedono una tesina per l’esame finale. In base al modello di
elaborazione delle informazioni, probabilmente decidereste quale corso scegliere nel
seguente modo.
Fase 1: selezione attiva/comprensione
Attenzione: essere coscienti
di qualcosa o qualcuno
Nell’ambiente in cui vivono, le persone sono costantemente bombardate da stimoli fisici
e sociali. Non disponendo della capacità intellettiva necessaria a comprendere tutte
le informazioni in arrivo, percepiscono in modo selettivo dei sottoinsiemi di stimoli
ambientali; ed è qui che entra in gioco la selezione attiva. L’attenzione è il processo
per cui si diventa consapevoli di qualcuno o qualcosa. Essa può essere concentrata sia
su informazioni provenienti dall’ambiente, sia su informazioni reperibili nella propria
memoria. A proposito di quest’ultimo caso, se vi ritrovate a pensare a cose o fatti che
non c’entrano niente mentre state leggendo questo libro, l’oggetto della vostra attenzione
è situato nella memoria. La ricerca dimostra che le persone tendenzialmente riservano
la propria attenzione agli stimoli rilevanti.
Stimoli rilevanti Una cosa è rilevante quando emerge dal contesto. Un uomo di 150
chili che partecipa a una lezione di aerobica, ad esempio, è sicuramente rilevante, mentre
non lo sarebbe a un incontro della National Football League Players’ Association. Spesso
sono i bisogni e gli obiettivi della persona a rendere uno stimolo rilevante o meno. Per
un autista con il veicolo in riserva, le insegne della Exxon o della Mobil saranno più
rilevanti di quelle di McDonald’s o Burger King; se la stessa persona avesse una gran
fame e il serbatoio pieno, sarebbe vero il contrario. Inoltre, la ricerca dimostra che le
persone hanno la tendenza a prestare più attenzione alle informazioni negative che a
quelle positive, atteggiamento che dà origine al cosiddetto bias negativo,5 e che permette
di spiegare perché gli automobilisti rallentano per curiosare sul luogo di un incidente.
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7
Percezioni e attribuzioni sociali
141
Ritorniamo al nostro esempio Iniziate a cercare il professore “giusto” di finanza
chiedendo informazioni ad amici che hanno frequentato i corsi di tutti e tre i docenti. O
magari andate a parlare con i singoli professori per raccogliere informazioni ancora più
rilevanti. Ritornando alla figura 7-1, tutte le informazioni che ottenete rappresentano gli
stimoli ambientali in concorrenza tra loro rappresentati dalla linee A-F. Dal momento
che vi interessano il metodo di insegnamento (ad esempio, la riga A nella figura), le
modalità di valutazione (riga C) e le votazioni date in passato (riga F), le informazioni
relative a queste aree risultano per voi particolarmente rilevanti. La figura 7-1 mostra
che solo queste tre informazioni rilevanti vengono percepite, e si passa quindi alla seconda fase dell’elaborazione dell’informazione. Nel frattempo, gli stimoli concorrenti,
rappresentati dalle righe B, D ed E, non attirano la vostra attenzione e non verranno
più presi in considerazione.
Fase 2: codificazione e semplificazione
Categorie cognitive: archivi
mentali per l’immagazzinamento delle informazioni
Schemi: immagini mentali di
un evento o di un oggetto
Le informazioni raccolte non vengono immagazzinate in memoria nella loro forma
originaria. C’è bisogno di una codifica; le informazioni grezze vengono interpretate o
tradotte in rappresentazioni mentali. Per farlo, la persona che percepisce colloca ciascuna
informazione all’interno di categorie cognitive. “Intendiamo con categoria un numero
di oggetti considerati equivalenti. Le categorie sono di solito descritte da un nome, ad
esempio cane oppure animale”.6 Le persone, gli eventi e gli oggetti sono interpretati
e valutati tramite un confronto delle loro caratteristiche con le informazioni contenute
all’interno di schemi.
Schemi Uno schema rappresenta l’immagine o riassunto mentale che una persona
si costruisce di un determinato evento o tipo di stimolo. Lo schema di un evento, per
esempio andare a cena al ristorante, è detto script (copione). Lo schema nella vostra
memoria di una cena al ristorante è probabilmente molto simile a quello riportato nella
tabella 7-1.
Per rendere gli schemi significativi sono necessarie delle etichette relative alle
categorie cognitive. Nella vostra memoria sono immagazzinati schemi come “andare
a cena al ristorante” o “automobili sportive” e ciascuno contiene delle informazioni.
Per esempio, il vostro schema mentale “automobili sportive” contiene un veicolo di
piccole dimensioni a due porte, magari di colore rosso? Se sì, tenderete a classificare
tutti i veicoli piccoli, di colore rosso, a due porte come automobili sportive perché sono
coerenti con il vostro schema mentale delle “automobili sportive”.
Codifica dei risultati Il processo di codifica ci serve per interpretare e valutare
l’ambiente in cui viviamo. Si tratta di un processo che può dar luogo a interpretazioni
e valutazioni diverse della stessa persona o dello stesso evento. Le interpretazioni di
ciò che vediamo sono diverse per quattro ragioni fondamentali.
In primo luogo, ogni persona dispone, all’interno degli schemi usati per l’interpretazione, di informazioni diverse. Ad esempio, da una meta-analisi di 62 studi è emerso
che le donne e gli uomini hanno opinioni diverse su quali comportamenti possano
essere considerati molestie sessuali; il campione femminile ha definito molestie una
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Parte II
142
Tabella 7-1
Schema di una cena
al ristorante
Fonte: da D Rumelhart,
Introduction to Human
Information Processing (New
York: John Wiley & Sons, Inc.,
1977. Ristampa autorizzata da
John Wiley & Sons, Inc.).
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
Schema: Ristorante
Protagonisti: Clienti, direttrice di sala, cameriere, cuoco, cassiere
Scena 1: Ingresso
Il cliente entra nel ristorante
Il cliente trova un posto a sedere
Lo trova da solo
È la direttrice di sala ad accompagnarlo al tavolo
Chiede alla direttrice di sala un tavolo
Lei gli indica il tavolo a cui può accomodarsi
Scena 2: Ordinazioni
Il cliente riceve un menu
Lo legge
Decide che cosa ordinare
Il cameriere prende gli ordini
Il cameriere vede il cliente
Si avvicina al cliente
Il cliente ordina
Il cuoco cucina il pasto
Scena 3: Consumazione
Dopo un po’ il cameriere porta il cibo dal cuoco al cliente
Il cliente mangia
Scena 4: Uscita
Il cliente chiede il conto al cameriere
Il cameriere dà il conto al cliente
Il cliente lascia una mancia
L’entità della mancia dipende dalla qualità del servizio
Il cliente paga il conto al cassiere
Il cliente esce dal ristorante
gamma più vasta di comportamenti.7 In secondo luogo, i nostri stati d’animo e le
emozioni possono influenzare la nostra attenzione e le valutazioni degli altri. Terza
ragione, le persone tendono a usare per la codifica le categorie cognitive di uso più
recente. Sarà più facile che il comportamento neutro di un docente venga valutato
positivamente se ultimamente il pensiero è andato a categorie ed eventi positivi. E
infine, quarto punto, anche le differenze individuali influiscono sulla codifica. Gli
individui depressi o pessimisti, quindi, tenderanno a interpretare ciò che li circonda
in modo più negativo rispetto alle persone ottimiste e allegre. Sostanzialmente, non
dovrebbe sorprenderci che le persone valutino la stessa situazione in modo diverso.
I ricercatori stanno cercando di identificare la miriade di fattori che possono influire
sul processo di codifica.
Ritorniamo al nostro esempio Dopo aver raccolto le informazioni relative ai tre docenti di finanza e ai loro metodi, passate a confrontarle con altri dettagli contenuti negli
schemi. E questo vi porta a delineare una sensazione o una valutazione di come sarebbe
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7
Percezioni e attribuzioni sociali
143
frequentare un corso con ciascuno di loro. Subito dopo, le informazioni contenute nei
percorsi A, C ed F della figura 7-1 vengono passate alla terza fase dell’elaborazione
delle informazioni.
Fase 3: immagazzinamento e conservazione
In questa fase avviene l’immagazzinamento delle informazioni nella memoria a lungo
termine. Possiamo immaginare la memoria a lungo termine come un complesso di appartamenti costituito da unità separate ma collegate l’una all’altra; in ogni appartamento
vivono persone diverse, che qualche volta interagiscono; il complesso, inoltre, ha varie
dependance o sottoinsiemi (ad esempio le scale A, B, C). Analogamente, la memoria
a lungo termine è composta da categorie separate ma interconnesse tra di loro; come i
singoli appartamenti sono abitati da individui, le categorie contengono diversi tipi di
informazioni; le informazioni si muovono tra queste categorie; infine, la memoria a
lungo termine è composta da tre comparti che contengono le categorie di informazioni
relative a eventi, materiale semantico e persone.8
Memoria degli eventi Questo compartimento è composto da categorie contenenti
informazioni su eventi sia generici sia specifici. Si tratta di ricordi che descrivono sequenze appropriate di eventi in situazioni note, come ad esempio andare al ristorante
(tabella 7-1), a un colloquio di lavoro, al negozio di alimentari o al cinema.
Memoria semantica La memoria semantica fa riferimento a conoscenze generiche
sul mondo; funziona quindi come un dizionario mentale dei concetti. Ogni concetto
contiene una definizione (ad esempio, un buon leader) e le relative caratteristiche personali (estroverso), emotive (felice), fisiche (alto) e comportamentali (lavora sodo).
Così come esistono degli schemi per gli eventi generici, allo stesso modo i concetti
vengono immagazzinati nella memoria semantica sotto forma di schemi. Partendo da
quanto abbiamo affermato sulla gestione della diversità nel Capitolo 2 e sul management
interculturale nel Capitolo 4, non dovrebbe sorprendere l’esistenza di differenze culturali
nel tipo di informazioni immagazzinate nella memoria semantica.
Memoria personale Le categorie incluse in questo settore contengono informazioni
sui singoli individui (ad esempio, il vostro professore di comportamento organizzativo)
o su gruppi di persone (i professori). Le persone tendono a ricordare le informazioni
riguardanti un individuo, un evento o un messaggio pubblicitario con caratteristiche
simili a qualcosa che è già immagazzinato in memoria. Per esempio, aziende come Nutrisystem e Unilever fanno sempre più ricorso a persone “normali” anziché a personaggi
famosi nelle loro pubblicità perché i consumatori non si identificano con le celebrità.
Torniamo al nostro esempio Si avvicina il momento di scegliere un professore di
finanza: gli schemi che riguardano ciascun docente sono ormai immagazzinati nelle tre
categorie della memoria a lungo termine. Ognuno di questi schemi rimane a disposizione
per un confronto o un recupero immediato.
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144
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
Fase 4: Recupero e reazione
L’individuo recupera le informazioni dalla memoria quando giudica e decide. Infatti
le decisioni e i giudizi si basano su deduzioni, interpretazioni e integrazioni delle
informazioni conservate nella memoria a lungo termine, o sul recupero di giudizi di
massima già fatti.
Per concludere il nostro esempio, arriviamo al giorno dell’iscrizione: ora dovete
scegliere definitivamente il vostro futuro docente di finanza. Dopo avere recuperato
dalla memoria le impressioni basate sugli schemi che riguardano ciascun docente, ne
scegliete uno in gamba, che utilizza il metodo dei casi e chiede un elaborato finale (riga
C nella figura 7-1). Al contrario, potreste però anche scegliere l’insegnante semplicemente basandovi sulla decisione presa due settimane fa, prima di dare avvio al processo
razionale di decisione.
Implicazioni manageriali
La cognizione sociale rappresenta la finestra attraverso cui tutti noi osserviamo, interpretiamo e prepariamo le nostre reazioni a cose e persone. Un gran numero di attività manageriali, processi organizzativi e questioni concernenti la qualità della vita sono perciò
influenzate dalla percezione. Analizziamo, ad esempio, le seguenti sette implicazioni.
Cognizione implicita: insieme di pensieri e credenze
automaticamente e inconsapevolmente attivato dalla
memoria
Assunzione Gli intervistatori scelgono chi assumere in base alle loro impressioni
sulla corrispondenza tra il candidato e i requisiti percepiti necessari per un determinato
posto di lavoro.9 Purtroppo però molte di queste decisioni vengono prese sulla base
della cognizione implicita. Per cognizione implicita si intende l’insieme di pensieri e
credenze automaticamente e inconsapevolmente attivato dalla memoria. La cognizione
implicita induce le persone a prendere delle decisioni influenzate da particolari distorsioni (bias) senza rendersene conto.10 Questa tendenza è stata considerata una possibile
spiegazione di presunti comportamenti discriminatori presso aziende come Walmart,
FedEx, Johnson & Johnson e Cargill. Gli esperti consigliano due soluzioni per attenuare gli effetti della cognizione implicita.11 Anzitutto, si possono formare i manager
per aiutarli a riconoscere e ridurre questo tipo di bias. Secondo i risultati di uno studio,
la formazione ha migliorato l’abilità degli intervistatori nell’ottenere informazioni di
alta qualità e connesse al lavoro, aiutandoli a rimanere concentrati sul colloquio. In
questo studio, chi aveva ricevuto una formazione specifica emetteva giudizi più equi
sui candidati rispetto ai colleghi non formati.12 In secondo luogo, il bias può essere
ridotto effettuando colloqui strutturati, anziché non strutturati, e tenendo conto delle
valutazioni di più intervistatori anziché di uno o due.
Valutazione della performance Schemi impropri su cosa sia una performance buona o
cattiva possono portare a valutare in modo errato la prestazione stessa, intaccando la motivazione, l’impegno e la fedeltà del lavoratore. Uno studio condotto su 166 addetti alla
produzione, ad esempio, ha dimostrato come questi lavoratori avessero maggiore fiducia
nei loro manager quando percepivano che il processo di valutazione della performance
forniva valutazioni accurate.13 È quindi importante che i manager identifichino in modo
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7
Percezioni e attribuzioni sociali
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il più possibile preciso le caratteristiche di comportamento e i risultati indicativi di una
buona performance, prima di iniziare un ciclo di valutazione delle prestazioni. Queste
caratteristiche possono servire come standard per la valutazione della performance dei
dipendenti. Da una meta-analisi di 50 ricerche che hanno coinvolto 8341 individui, è
emersa l’importanza di utilizzare misure oggettive e non soggettive nella valutazione
della performance dei lavoratori. L’analisi rivela infatti che esiste solo una correlazione
moderata tra misure oggettive e soggettive. Gli studiosi che se ne sono occupati hanno
concluso che tali misure non sono intercambiabili.14 Si consiglia perciò ai manager di
utilizzare misure oggettive per la valutazione della prestazione per quanto possibile,
perché gli indicatori soggettivi possono essere influenzati da bias e quindi non accurati
e pregiudiziali. Nei casi in cui non esistano misure oggettive adeguate alla valutazione
della performance, però, i manager si troveranno costretti a utilizzare quelle soggettive. Inoltre, siccome la memoria relativa a particolari specifici della prestazione del
collaboratore svanisce nel tempo, è necessario che il manager disponga di un metodo
accurato per riportarli alla memoria. Le ricerche rivelano che è possibile insegnare a
valutare in modo più accurato la performance.15
Leadership La ricerca dimostra che le valutazioni dei dipendenti sull’efficacia del
leader vengono fortemente influenzate dagli schemi in base ai quali essi valutano la
qualità del leader stesso. Se il capo assume atteggiamenti che rientrano nello schema
del cattivo leader, gli riuscirà molto difficile imporsi ai collaboratori. Un gruppo di
ricercatori ha esaminato i comportamenti contenuti nei nostri schemi riferiti a leader
buoni o cattivi. In particolare, un buon leader dovrebbe comportarsi così: (1) assegnare
compiti specifici ai membri del gruppo di lavoro; (2) fare i complimenti a chi li merita;
(3) definire specifici obiettivi per il gruppo; (4) delegare le decisioni ai membri del team;
(5) fare in modo che il gruppo lavori in squadra e (6) mantenere standard di performance
definiti. Secondo un altro studio recente, sono percepiti come buoni leader coloro che
trattano sempre equamente tutti i membri di un gruppo di lavoro.16
Comunicazione e influenza interpersonale Un manager dovrebbe tenere presente
che la percezione sociale è un filtro che può distorcere la comunicazione, sia nell’ascolto
che nella trasmissione. Poiché i messaggi scritti e orali vengono interpretati in base agli
schemi elaborati nelle esperienze passate, la capacità di influenzare altre persone risente
delle informazioni contenute negli schemi mentali riguardanti l’età, il sesso, l’etnia,
l’aspetto, il modo di parlare, gli atteggiamenti, la personalità e altre caratteristiche
individuali. È importante tenerne conto quando si cerca di esercitare un’influenza su
altre persone o di affermare le proprie idee.
Comportamenti controproducenti in ambito lavorativo Alcune ricerche hanno
dimostrato che i dipendenti mettevano in atto comportamenti controproducenti in ambito
lavorativo (analizzati nel Capitolo 6) quando percepivano di essere trattati in maniera
iniqua. È molto importante che i manager trattino i collaboratori equamente, ricordando
che la percezione di equità è nell’occhio di chi guarda. Il Capitolo 8 illustra in maggior
dettaglio come garantire un trattamento equo a tutti i collaboratori.
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146
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
Benessere fisico e psicologico Il bias negativo può sfociare in problemi fisici e psicologici: nello specifico, le ricerche dimostrano che le percezioni di paura, pericolo
e ansia sono associate all’insorgere di patologie, all’assenteismo e alle intenzioni di
licenziarsi.17 Sarebbe bene per tutti cercare di evitare la tendenza a prestare troppa
attenzione ai pensieri negativi: è molto più salutare lasciare che ci scivolino addosso.
Design di pagine web Recentemente i ricercatori hanno iniziato a indagare su quali
elementi catturino l’attenzione degli utenti sul web utilizzando sofisticati dispositivi
di tracciamento oculare (eye tracking). I risultati di queste ricerche possono aiutare le
organizzazioni a investire più efficacemente nel design di pagine web.
Stereotipi: percezioni relative a gruppi di persone
Anche se spesso la bellezza è negli occhi di chi guarda, alcune conseguenze della percezione sono prevedibili. Un manager consapevole del processo percettivo e delle sue
conseguenze gode di un vantaggio competitivo. La Walt Disney Company, ad esempio,
utilizza le tendenze percettive per influenzare le reazioni dei visitatori alle code nei suoi
parchi a tema.
A Orlando, negli studi della Disney-MGM, mentre aspettano di entrare a vedere i
Muppet i visitatori guardano videocassette della rana Kermit, proiettate su schermi
televisivi. Nel Magic Kingdom, chi aspetta di entrare allo show degli Extraterrestri
è intrattenuto da un robot parlante. Nella zona d’attesa di alcune attrazioni l’azienda
mette a disposizione semplici giocattoli per intrattenere i più piccoli finché aspettano
in coda con i genitori.18
L’esempio dimostra quanto focalizzare l’attenzione su qualcosa influenzi la percezione
dell’attesa.
Analogamente, un manager può usare la consapevolezza delle conseguenze percettive per interagire più efficacemente con i propri collaboratori. La tabella 7-2, ad
esempio, descrive cinque errori percettivi molto diffusi. Questi errori spesso distorcono
la valutazione dei candidati all’assunzione o della performance dei dipendenti, per cui i
manager devono fare attenzione a non incorrervi. Questa sezione esamina una delle conseguenze più importanti e potenzialmente più pericolose correlate alla percezione della
persona: la creazione di stereotipi. Analizzeremo dapprima il processo di formazione e
di radicamento dello stereotipo, per poi indagare più a fondo gli stereotipi legati ai ruoli
sessuali, all’età, alla razza e alla disabilità. Ci occuperemo infine della responsabilità
dei manager nell’evitare i pregiudizi legati agli stereotipi stessi.
Formazione e radicamento dello stereotipo
Stereotipo: insieme di convinzioni sulle caratteristiche
di un gruppo
CompOrga.indb 146
“Lo stereotipo è l’insieme delle convinzioni di un individuo sulle caratteristiche o
attributi di un gruppo.”19 Non sempre gli stereotipi sono negativi. Anche l’opinione
comune secondo cui gli ingegneri sono forti in matematica, ad esempio, fa parte di uno
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7
Percezioni e attribuzioni sociali
147
Tabella 7-2 Errori percettivi comunemente riscontrati
Errore percettivo
Descrizione
Esempio
Soluzione consigliata
Effetto alone
La persona che giudica si forma
un’impressione generale su
un oggetto e poi la utilizza per
influenzare i suoi giudizi su
quell’oggetto.
Valutare positivamente le
caratteristiche didattiche di
un docente, quali la capacità
di motivare gli studenti, la
competenza e le doti
di comunicazione, solo perché
ci piace la persona.
Il comportamento di un
collaboratore tende a variare
nelle diverse dimensioni della
performance. Si consiglia di
tenere una cartella o un diario
per registrare esempi di
prestazioni positive e negative
nel corso dell’anno.
Indulgenza
Caratteristica personale che porta
l’individuo a valutare le persone
o gli oggetti altri da se stesso
costantemente in un modo molto
positivo.
Valutare bene un docente in tutte
le dimensioni della performance,
senza tenere in considerazione
l’effettiva prestazione. Chi giudica
in questo modo non ama
pronunciare giudizi negativi
sugli altri.
Non è molto utile fornire
feedback positivi ma poco precisi
ai collaboratori: è sempre meglio
adottare un approccio equo
e realistico nella valutazione.
Tendenza
centrale
Tendenza a evitare qualsiasi
giudizio di carattere estremo e a
valutare persone e cose in modo
medio o neutrale.
Valutare un docente nella media
in tutte le dimensioni della
performance, a prescindere
dall’effettiva prestazione.
È normale fornire feedback con
commenti positivi e negativi. L’uso
di un diario della performance
può essere utile per ricordare
esempi di prestazioni dei
collaboratori.
Effetto attualità
Tendenza a ricordare le
informazioni più recenti. Se
l’informazione più recente è
negativa, la persona o l’oggetto
vengono valutati negativamente.
Anche se un docente ha tenuto
delle belle lezioni per 12 o 15
settimane di seguito, viene
valutato negativamente per le
scarse prestazioni dimostrate
nelle ultime tre settimane.
È essenziale raccogliere esempi
di prestazioni relativi all’intero
periodo in esame. Si consiglia di
tenere una cartella o un diario per
registrare esempi di prestazioni
nel corso di tutto l’anno.
Effetto contrasto
Tendenza a valutare persone
e oggetti confrontandoli con
le caratteristiche di persone e
oggetti osservati di recente.
Valutare un docente come nella
media perché si è confrontata
la sua performance con tre dei
migliori professori dell’università,
di cui si stanno frequentando
i corsi.
È importante valutare i
collaboratori rispetto a uno
standard anziché affidandosi
al ricordo delle prestazioni del
collaboratore migliore o peggiore
che ha svolto una specifica
mansione.
stereotipo. Gli stereotipi possono essere accurati o meno. È verosimile, in effetti, che
gli ingegneri riescano meglio in matematica rispetto alla gente comune. In generale, le
caratteristiche stereotipiche vengono utilizzate per differenziare un determinato gruppo
di persone dagli altri.20
È importante ricordare che gli stereotipi sono una componente essenziale del processo
di percezione e che ce ne serviamo per elaborare la grande quantità di informazioni
dalle quali siamo bombardati ogni giorno. In questo senso, l’utilizzo degli stereotipi fa
parte della fisiologia del processo di osservazione della realtà. Premesso questo, l’uso
improprio di stereotipi può portare a decisioni sbagliate; ad esempio, può creare barriere
per donne, persone di età avanzata, persone di etnia diversa dalla nostra e disabili, oltre
a minare la lealtà e la soddisfazione lavorativa all’interno delle aziende.
CompOrga.indb 147
11/01/2013 16.35.08
148
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
La creazione dello stereotipo avviene in quattro fasi. Inizia con la categorizzazione
delle persone in gruppi in base a vari criteri, tra cui il genere, l’età, l’etnia e l’occupazione. Il passo successivo consiste nel presumere che tutte le persone appartenenti a
una determinata categoria possiedano le stesse caratteristiche (ad esempio, che tutte le
donne siano materne, che gli anziani siano più soggetti a incidenti sul lavoro, che tutti
gli afro-americani siano bravi atleti, che tutti gli studiosi abbiano la testa tra le nuvole).
Quindi, si creano delle aspettative e si interpreta il comportamento degli altri in base
agli stereotipi. Nell’ultima fase, gli stereotipi vengono radicati (1) sopravvalutando la
frequenza dei comportamenti stereotipici, (2) spiegando in modo non corretto i comportamenti corrispondenti alle aspettative e quelli non corrispondenti e (3) differenziando
gli individui facenti parte di minoranze dagli altri.21 È difficile evitare che le persone
usino gli stereotipi perché le quattro fasi descritte si rinforzano automaticamente. La
buona notizia è che i ricercatori hanno identificato delle strategie per rompere la catena
della stereotipizzazione.
Le ricerche dimostrano che l’uso degli stereotipi è influenzato dalla quantità e dal
tipo di informazioni di cui un individuo dispone e dalla sua motivazione nei confronti
di una corretta elaborazione delle informazioni.22 Le persone sono meno predisposte
a utilizzare stereotipi se si scontrano con informazioni rilevanti che con essi sono in
netto contrasto. Se, ad esempio, un docente guida una Harley Davidson, va a lezione in
pantaloni di pelle e ha un piercing sul naso, ci sono meno probabilità che gli vengano
assegnate le caratteristiche dello stereotipo del “professore”. Un altro fattore che riduce
la forza dello stereotipo è avere una motivazione per non incorrervi; in altre parole, si
può dire che un’accurata elaborazione delle informazioni richieda uno sforzo mentale;
la stereotipizzazione è una strategia meno faticosa, poiché non necessita il ripensamento
di processi abitudinari. Passiamo ora ad analizzare i diversi tipi di stereotipi e alcuni
metodi per ridurne l’effetto negativo.
Stereotipi legati ai ruoli sessuali
Stereotipi legati ai ruoli
sessuali: convinzioni sui ruoli
maschili e femminili
CompOrga.indb 148
Gli stereotipi legati ai ruoli sessuali implicano la convinzione che tratti e abilità diverse rendano gli uomini o le donne più o meno adatti a svolgere determinati ruoli. È
stato riscontrato che questi stereotipi influenzano le percezioni delle donne in veste di
leader. Una sintesi recente di queste ricerche, per esempio, ha rivelato che (1) spesso
le persone preferiscono capi di sesso maschile, (2) le donne faticano di più per essere
percepite come leader efficaci (per esempio, le donne erano considerate più efficaci
degli uomini solo quando l’organizzazione registrava un miglioramento dopo una
crisi) e (3) le donne afro-americane risentono in misura maggiore degli stereotipi legati ai ruoli sessuali rispetto alle donne bianche e agli uomini in generale.23 Secondo
i ricercatori, gli stereotipi legati ai ruoli sessuali sono legati alle aspettative rispetto
ai generi che le persone usano senza esserne consapevoli. Ora, la domanda chiave
che sorge è: questo tipo di stereotipi può influenzare le assunzioni, le valutazioni e
le promozioni dei dipendenti?
Una meta-analisi di 19 ricerche su un totale di 1842 individui non ha fatto emergere
alcuna correlazione significativa tra genere del candidato e decisioni di assunzione.24
Un’ulteriore ricerca, confrontando i risultati di 24 studi sperimentali, ha rivelato che
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7
Percezioni e attribuzioni sociali
149
uomini e donne ottenevano una valutazione simile a parità di prestazioni; in altre parole, non è emerso alcun pregiudizio a favore dell’uomo. Tali studi sperimentali hanno
trovato riscontro in una ricerca sul campo condotta tra professori maschi e femmine.25
Sfortunatamente, i risultati che si riferiscono alle promozioni non sono così positivi.
Una ricerca su 682 dipendenti di una multinazionale inclusa nella lista delle 500 imprese di Fortune ha rivelato che il genere contava molto nella possibilità di promozione.
È emerso che gli uomini ricevevano valutazioni più favorevoli a parità di altri fattori
quali l’età, il grado di istruzione, la capacità organizzativa, il livello salariale e il tipo
di lavoro.26 È stato inoltre riscontrato che i pregiudizi incidono maggiormente sulle
donne impiegate in occupazioni non tradizionali.27
Stereotipi legati all’età
Gli stereotipi legati all’età rinforzano le discriminazioni in virtù degli orientamenti
negativi associati ad alcune fasi della vita. Esistono, ad esempio, stereotipi di vecchia
data legati all’età, secondo i quali i lavoratori più anziani sono meno soddisfatti, non
abbastanza coinvolti, meno motivati, impegnati e produttivi, e più propensi ad assentarsi
dal lavoro rispetto ai colleghi più giovani. Si pensa, inoltre, che i dipendenti più anziani
siano più esposti al rischio di incidenti sul lavoro. Come nel caso degli stereotipi legati
al genere, anche questi sono basati più sulla fantasia che su fatti reali.28
Susan Rhodes ha cercato di determinare se gli stereotipi legati all’età corrispondessero alla realtà in base ai dati raccolti in 185 studi diversi; ha scoperto che la
soddisfazione del lavoratore aumenta con il passare degli anni, e che lo stesso vale
per il coinvolgimento, le motivazioni personali e l’impegno a livello organizzativo.
Inoltre, non ha avuto conferma l’ipotesi che i lavoratori più anziani incorressero
più spesso in incidenti.29 Relativamente alla performance, una meta-analisi su oltre
52.000 persone ha dimostrato che l’età non è correlata alla prestazione nelle mansioni, alla creatività e al risultato di apprendimento in percorsi formativi.30 Alcuni
studiosi di comportamento organizzativo, però, ritengono che questo dato non
rifletta la correlazione esistente nella realtà tra l’età e la prestazione. Per esempio,
uno studio condotto su un campione di 24.210 persone ha dimostrato che l’età e
l’esperienza sono elementi predittivi di una migliore prestazione in alcuni tipi di
lavoro, più complessi rispetto ad altri.31 Un’altra ricerca condotta su un campione
di 1000 medici di età compresa tra 25 e 92 anni e 600 adulti non medici ha rivelato
che “una larga percentuale degli individui più vecchi ha fornito prestazioni uguali
o migliori rispetto ai colleghi più giovani”.32
Che cosa succede nei fenomeni di turnover e assenteismo? Da una meta-analisi è
emersa una correlazione negativa tra età e turnover,33 ossia: più un dipendente è anziano,
meno è probabile che lasci l’azienda. Analogamente, un’altra meta-analisi ha rilevato
una correlazione negativa tra età e assenteismo, sia volontario (una giornata al mare) che
involontario (un giorno di malattia).34 Dai risultati delle due meta-analisi citate è chiaro
che i manager dovrebbero concentrarsi maggiormente sul turnover e l’assenteismo dei
giovani rispetto a quello dei più anziani.
CompOrga.indb 149
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150
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
Stereotipi legati alla razza e all’etnia
Micro aggressioni: pensieri,
atteggiamenti e sentimenti
influenzati da bias esistenti a
livello inconscio
Esistono diversi stereotipi legati alla razza. Per fare qualche esempio, comunemente si
crede che gli afro-americani siano atletici e aggressivi, gli asiatici tranquilli, introversi,
brillanti e orientati alle materie quantitative, gli ispanici attenti alla famiglia e religiosi,
gli arabi tendenti all’ira. Gli stereotipi legati alla razza e all’etnia sono particolarmente
problematici perché si attivano automaticamente e possono sfociare in quelle che i
ricercatori definiscono micro aggressioni. Le micro aggressioni sono “pensieri, atteggiamenti e sentimenti influenzati da bias” che esistono a livello inconscio35 e possono
esercitare un’influenza sul nostro comportamento, ripercuotendosi sulle persone di altre
etnie. Consideriamo la seguente situazione:
Due colleghi, un asiatico americano e un afro-americano, si imbarcano su un piccolo
aereo. L’assistente di volo li invita a prendere posto dove preferiscono e i due occupano
due poltrone adiacenti al corridoio nella parte anteriore dell’aereo in modo da poter
conversare. All’ultimo momento, tre uomini bianchi salgono a bordo e occupano i posti
di fronte a quelli scelti dai due colleghi. Poco prima del decollo, l’assistente di volo, che
è bianca, chiede ai due la cortesia di occupare le poltrone poste sul retro del velivolo per
bilanciare meglio il carico. Entrambi reagiscono con stizza, condividendo l’impressione
che sia stato chiesto loro, simbolicamente, di “sedersi negli ultimi posti dell’autobus”.
Quando comunicano queste sensazioni all’assistente di volo, quest’ultima nega l’accusa
con indignazione, affermando che il suo unico obiettivo era garantire la sicurezza del
volo e concedere loro un po’ di privacy.36
Pensate che il comportamento dell’assistente di volo fosse una micro aggressione o che
i due colleghi fossero troppo sensibili?
Gli stereotipi negativi legati alla razza e all’etnia sono evidenti in molti aspetti della
vita quotidiana e organizzativa.37 Consideriamo l’esperienza di Eldrick (Tiger) Woods.
Il campione del golf, di madre tailandese e padre afro-americano, è cresciuto in due
culture diverse. Dopo essere diventato un golfista professionista nel 1996, Tiger ha
vinto 95 tornei e collezionato più vittorie nella sua carriera di qualsiasi altro giocatore
partecipante al PGA Tour. Vanta la media di punteggio in carriera più bassa e i guadagni
più alti di qualsiasi altro golfista nella storia. È anche l’unico al mondo ad aver detenuto
contemporaneamente il titolo dei quattro tornei principali.38 Purtroppo però Tiger è stato
vittima di una serie di stereotipi e pregiudizi razziali.
Consideriamo ora alcuni dati sugli stereotipi legati alla razza e all’etnia nel mondo
delle organizzazioni. Dalla meta-analisi condotta sugli esiti dei colloqui di lavoro per
un totale di 4169 afro-americani e 6307 bianchi è emerso che questi ultimi ricevevano
giudizi migliori. Un altro studio, che ha preso in considerazione 2805 colloqui, ha
rivelato l’esistenza di una preferenza tra membri della stessa razza negli ispanici e
negli afro-americani, ma non nei bianchi; ciò significa che gli intervistatori ispanici o
afro-americani valutavano più favorevolmente i candidati appartenenti alla loro stessa
razza rispetto agli altri, mentre gli intervistatori bianchi non facevano questo tipo di
preferenza.39
Le valutazioni relative alle prestazioni sono apparse non condizionate dalla razza in
due studi che hanno analizzato campioni composti rispettivamente da 21.547 e 39.537
CompOrga.indb 150
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7
Percezioni e attribuzioni sociali
Minaccia dello stereotipo:
situazione in cui i membri di un
gruppo sociale devono gestire
la possibilità di essere giudicati
o trattati secondo stereotipi
151
coppie con valutatori e valutati afro-americani e bianchi, provenienti da varie parti degli
Stati Uniti. Questi risultati hanno rivelato che né i manager afro-americani né i bianchi
discriminavano i propri dipendenti in base alla razza.40
Dato il numero crescente di persone appartenenti a diversi gruppi etnici che entreranno nella forza lavoro nell’arco dei prossimi 10 anni (come abbiamo visto nel
Capitolo 2), le organizzazioni dovrebbero dedicarsi allo sviluppo delle donne e dei
dipendenti appartenenti alle minoranze, affinando nel contempo la sensibilità dei
manager rispetto a falsi stereotipi legati alla razza e alla cosiddetta minaccia dello
stereotipo. Per minaccia dello stereotipo “si intende la ‘situazione imbarazzante’ in
cui i membri di un gruppo sociale (per esempio gli afro-americani, le donne) ‘devono gestire la possibilità di essere giudicati o trattati stereotipicamente, o di fare
qualcosa che confermerebbe lo stereotipo’.”41 Secondo alcune ricerche, la minaccia
dello stereotipo è associata a performance più basse per le donne e i non bianchi in
compiti di valutazione: per esempio, afro-americani e donne evidenziavano prestazioni
peggiori nei test accademici quando qualcosa li induceva a pensare alla razza o al
genere. Il calo della prestazione era più marcato quando gli individui erano vittime
di uno stereotipo legato alla razza o all’etnia.42 Questi risultati suggeriscono che per
insegnanti e manager è importante evitare di attivare qualsiasi stereotipo legato alla
razza, all’etnia o al genere (ad esempio rivolgendo domande dirette su questi aspetti)
in occasione di momenti di valutazione, come esami accademici, test di impiego
oppure test di ammissione all’università.
Stereotipi sulla disabilità
Le persone disabili si trovano a dover combattere stereotipi negativi che influenzano
le loro prospettive occupazionali, oltre a essere stigmatizzate in generale. Queste tendenze creano una molteplicità di problemi: per esempio, le persone disabili hanno più
probabilità di rimanere disoccupate e di percepire uno stipendio inferiore rispetto alle
persone normodotate.43 Inoltre, hanno una probabilità di vivere in povertà 2,5 volte
maggiore rispetto alle persone non disabili.44 Le difficoltà sono ancora maggiori per le
persone affette da gravi disturbi mentali.
Sfide manageriali e consigli utili
La sfida più importante consiste nel ridurre l’influenza esercitata dagli stereotipi sul
processo decisionale e sui processi interpersonali a livello organizzativo.
A nostro parere, in primo luogo le organizzazioni devono informare il personale sul
problema della stereotipizzazione mediante la formazione del personale. Possono essere
utili anche dei corsi per dare ai manager gli strumenti necessari ad affrontare situazioni
particolari, legate alla gestione di collaboratori con handicap. Il passo successivo consiste
nell’impegnarsi ad ampio raggio per ridurre gli stereotipi nell’intera organizzazione di
appartenenza. I ricercatori delle scienze sociali sono convinti che contatti interpersonali
“di qualità” all’interno di gruppi misti siano il modo migliore per ridurre gli stereotipi,
perché forniscono alle persone dati precisi sulle caratteristiche di altri gruppi di persone.
CompOrga.indb 151
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152
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
Quindi le organizzazioni dovrebbero creare opportunità per i collaboratori di incontrarsi
e lavorare insieme in gruppi di cooperazione a parità di status.
Un altro consiglio per i manager è quello di identificare le differenze individuali
(vedi Capitolo 5) che possono determinare il livello delle prestazioni. Ad esempio,
come abbiamo già detto, la ricerca rivela che l’esperienza funziona meglio rispetto
all’età come predittore della prestazione. La ricerca dimostra anche che i manager
possono essere formati a utilizzare criteri validi nel corso della selezione dei candidati
e della valutazione dei collaboratori.45 Eliminare le barriere alla promozione di donne,
persone di colore e disabili è un’altra soluzione utile per diminuire i problemi legati
alla stereotipizzazione.
In conclusione, sono fondamentali la collaborazione e il sostegno dei massimi
dirigenti per l’eliminazione delle pratiche organizzative che rinforzano le decisioni
legate a stereotipizzazione e discriminazione. Le ricerche dimostrano che il sostegno
del top management ha un ruolo essenziale per il successo dei cambiamenti a livello
organizzativo.
Profezia che si autoavvera: l’effetto Pigmalione
Profezia che si autoavvera:
le aspettative di un individuo
ne determinano comportamento e prestazioni
Effetto Galatea: le aspettative elevate di un individuo nei
confronti di se stesso si traducono in prestazioni elevate
La profezia che si autoavvera affonda le sue radici nella mitologia greca. Il mito racconta di Pigmalione, scultore che, pur odiando le donne, si innamorò di una figura
femminile che egli stesso aveva scolpito nell’avorio. La sua infatuazione per la statua
era tale da spingerlo a pregare la dea Afrodite di portarla in vita. La dea udì la preghiera
di Pigmalione, esaudì il suo desiderio e la statua prese vita. L’essenza della profezia
che si autoavvera, o effetto Pigmalione, è che le aspettative elevate nei confronti di
una persona determinano prestazioni elevate. Un’altra profezia che si autoavvera è il
cosiddetto effetto Galatea, che si verifica quando le aspettative elevate di un individuo
nei confronti di se stesso si traducono in prestazioni elevate. Il processo fondamentale
alla base degli effetti Pigmalione e Galatea consiste nel fatto che le aspettative o le
convinzioni delle persone, influendo sul loro comportamento e sulle loro prestazioni,
possono diventare realtà. In altre parole, tutti noi ci sforziamo di convalidare le nostre
percezioni della realtà, a prescindere dalla loro validità effettiva. La profezia che si
autoavvera costituisce quindi un risultato percettivo importante, che è necessario comprendere meglio.
La ricerca e un modello esplicativo
La prima dimostrazione empirica della profezia che si autoavvera è avvenuta in ambito
accademico. Dopo aver fatto compilare a studenti dalla prima elementare alla prima
media un falso test sul potenziale intellettivo, i ricercatori hanno segnalato agli insegnanti gli individui dotati di alte potenzialità di successo. In realtà, gli studenti erano
stati assegnati in modo casuale ai gruppi “ad alto potenziale” e “di controllo” (cioè a
potenziale normale). La ricerca ha rivelato che i piccoli definiti ad alto potenziale hanno
ottenuto miglioramenti nei punteggi di QI e nelle capacità di lettura significativamente
superiori rispetto ai bambini del gruppo di controllo.46 Gli insegnanti del primo gruppo
CompOrga.indb 152
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7
Percezioni e attribuzioni sociali
Effetto Golem: diminuzione
delle prestazioni causata dal
basso livello delle aspettative
da parte del leader
CompOrga.indb 153
153
hanno riscontrato risultati migliori perché le loro aspettative nei confronti degli studenti
li portavano ad assegnare compiti più difficili e a gratificare di più i ragazzi. Gli studenti
del secondo gruppo, invece, non hanno eccelso perché i docenti non si aspettavano da
loro risultati di alto livello.
La ricerca ha inoltre dimostrato che aumentando le aspettative di istruttori e
manager nei confronti degli individui che svolgono molti compiti diversi è possibile
ottenere migliori livelli di produttività. I risultati derivanti da una meta-analisi che
ha coinvolto 2874 persone, impiegate in svariati settori e con ruoli diversi, hanno
dimostrato che l’effetto Pigmalione era molto marcato.47 Questo implica la possibilità di ottenere livelli più alti di efficacia e produttività aumentando le aspettative
dei manager nei confronti dei propri collaboratori. Inoltre, l’effetto Pigmalione sul
miglioramento delle prestazioni risulta più marcato nei militari, tra le persone di sesso
maschile e con basse aspettative nei confronti delle proprie performance. Ampliando
questi risultati, uno studio recente ha confermato che i leader di sesso femminile
sono in grado di sortire l’effetto Pigmalione sui subordinati di sesso maschile.48 Si
tratta di un risultato molto importante data la crescente presenza femminile in ruoli
manageriali (come abbiamo visto nel Capitolo 2).
La figura 7-2 rappresenta un modello che integra la profezia che si autoavvera,
l’effetto Galatea e il concetto di auto-efficacia (analizzato nel Capitolo 5). Il modello
evidenzia che il processo della profezia che si autoavvera è innescato dalle aspettative
di un manager nei confronti dei diretti collaboratori. Tali aspettative a loro volta esercitano un’influenza sul modello di leadership (legame 1). Le aspettative positive, infatti,
generano una leadership positiva e di supporto, che induce i collaboratori a sviluppare
aspettative più elevate nei confronti di se stessi (legame 2). L’effetto Galatea positivo
generato dalle aspettative maggiori a sua volta motiva i collaboratori a impegnarsi di
più (legame 3), e, infine, migliora la prestazione (legame 4) e le aspettative dei supervisori (legame 5). Una buona performance migliora anche l’auto-efficacia, che alimenta
l’aspettativa stessa dei dipendenti nei confronti dei propri successi (legame 6). Questo
modello ha trovato conferma nelle ricerche empiriche.49
I ricercatori hanno coniato il termine effetto Golem per definire la versione in negativo
del processo di miglioramento della performance raffigurato nella figura 7-2. L’effetto
Golem consiste in una caduta delle prestazioni derivante da bassi livelli di aspettative
da parte dei leader.50 Vediamo come funziona.
Poniamo che un collaboratore compia un errore, ad esempio perda degli appunti
importanti durante una riunione, o consegni un rapporto con un giorno di ritardo.
Il manager, di conseguenza, si chiede se questa persona possieda le caratteristiche
necessarie per raggiungere risultati positivi all’interno dell’azienda. Questo dubbio
lo porterà a osservare più attentamente la persona in questione, che ovviamente si
accorgerà della situazione e inizierà a sentirsi sfiduciata. Il collaboratore sotto osservazione potrà quindi comportarsi in due modi: prima possibilità, potrà mettere
in discussione le proprie competenze e il proprio giudizio. In questo caso diventerà
più restio al rischio e diminuirà la quantità di idee e suggerimenti dati, per paura di
un giudizio negativo da parte del manager. Questi, a sua volta, noterà tale comportamento e lo interpreterà come un esempio di poca iniziativa. Il lavoratore potrebbe
al contrario prendersi maggiori responsabilità per dimostrare la propria competenza.
Questo atteggiamento potrebbe però portarlo a fare qualche altro errore, rinforzando
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154
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
Figura 7-2
Modello della profezia che si
autoavvera
Aspettativa
del supervisore
Fonte: D. Eden,“Self-Fulfilling
Prophecy as a Management Tool:
Harnessing Pygmalion,” Academy
of Management Review, gennaio
1984, p. 67. Riprodotto su
autorizzazione.
1
5
Leadership
Performance
6
2
4
Motivazione
3
Aspettativa
personale del
collaboratore
così i sospetti del manager. Come si può notare il processo descritto costruisce una
relazione distruttiva rinforzata da aspettative negative. Va ricordato dunque che la
profezia che si autoavvera funziona in entrambe le direzioni. Nel prossimo paragrafo
prenderemo in esame alcune idee per incrementare l’effetto Pigmalione e ridurre
l’effetto Golem.
Sfruttare al meglio la profezia che si autoavvera
È soprattutto grazie all’effetto Pigmalione che le aspettative manageriali influenzano
significativamente il comportamento e la performance del collaboratore. I manager dovrebbero quindi incentivare tale effetto costruendo una struttura gerarchica che rinforzi
le aspettative nei confronti di prestazioni positive in tutta l’organizzazione.
Le aspettative dei lavoratori verso se stessi costituiscono il fondamento di una
struttura di questo tipo. A loro volta, esse migliorano le aspettative esterne incoraggiando le persone a lavorare per il raggiungimento di un obiettivo comune. Questa
forma di cooperazione incrementa la produttività a livello di gruppo e promuove il
formarsi di aspettative positive sulle prestazioni all’interno del gruppo stesso. Alla
Google, ad esempio, generalmente le giornate di lavoro dei dipendenti sono molto
lunghe, specialmente quando i gruppi di lavoro devono rispettare i termini per il lancio di un nuovo prodotto. La Google ha fama di creare prodotti innovativi in tempi
record, perciò le aspettative positive a livello di gruppo facilitano la creazione e il
CompOrga.indb 154
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7
Percezioni e attribuzioni sociali
155
rinforzo di una cultura organizzativa caratterizzata da alte aspettative di successo.
Il processo descritto a sua volta spinge l’individuo a lavorare per l’azienda, e questo
facilita la riduzione del turnover.51
Dal momento che le aspettative positive nei confronti di se stessi costituiscono il
fondamento dell’esistenza di un effetto Pigmalione diffuso nell’intera organizzazione,
proviamo a vedere in che modo i manager possano riuscire a creare aspettative positive sulle prestazioni. È un compito, questo, che può essere svolto utilizzando diverse
combinazioni delle azioni elencate di seguito.
1. Riconoscere che ogni individuo può, potenzialmente, migliorare la propria performance.
2. Determinare i propri obiettivi di performance.
3. Dare riscontri positivi per lavori ben fatti.
4. Offrire feedback frequenti che comunicano fiducia nelle capacità dei collaboratori
di portare a termine i compiti assegnati.
5. Offrire ai collaboratori la possibilità di gestire compiti e progetti sempre più complessi.
6. Comunicare usando la mimica facciale, l’intonazione della voce, il linguaggio del
corpo e mediante commenti di incoraggiamento che lasciano trasparire aspettative
elevate.
7. Fornire ai collaboratori gli input, le informazioni e le risorse di cui necessitano per
raggiungere i loro obiettivi.
8. Presentare i neo-assunti sottolineando le loro potenzialità.
9. Incoraggiare i collaboratori a concentrarsi sul presente senza preoccuparsi di eventi
negativi legati al passato.
10. Aiutare i collaboratori a padroneggiare perfettamente le proprie mansioni e le proprie
abilità.52
Attribuzioni causali
Attribuzioni causali: motivazioni dedotte o sospettate
di un comportamento
CompOrga.indb 155
La teoria dell’attribuzione si fonda sulla premessa che tutti noi cerchiamo di dedurre
le possibili cause di un comportamento osservato. A torto o a ragione, noi formuliamo
costantemente relazioni causa-effetto per spiegare il comportamento nostro e degli altri.
È comune, infatti, sentir pronunciare affermazioni di tipo attributivo come: “Joe beve
troppo perché non ha forza di volontà; io invece dopo il lavoro ho bisogno di bere un
paio di birre perché sono sotto pressione”. Per dare una definizione formale, le attribuzioni causali sono cause sospette o dedotte di un determinato comportamento. Sebbene
le attribuzioni causali che facciamo tendano a giustificare i nostri comportamenti, e
siano quindi spesso sbagliate, è importante capire come avviene la formulazione di
tali affermazioni, perché esse possono influenzare profondamente il comportamento
organizzativo. Se, ad esempio, un supervisore attribuisce la causa di un compito svolto
male allo scarso impegno del lavoratore, probabilmente lo rimprovererà. Se, invece, la
mancanza venisse attribuita a una carenza di capacità, il supervisore potrebbe ritenere
necessario un periodo di formazione per il collaboratore.
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156
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
In senso generale, le persone formulano attribuzioni causali considerando gli eventi
che precedono il comportamento osservato. In questo paragrafo analizzeremo il modello
di attribuzione proposto da Harold Kelley, due importanti tendenze all’attribuzione e le
implicazioni manageriali correlate.
Modello dell’attribuzione secondo Kelley
Fattori interni: caratteristiche
personali che causano il comportamento
Fattori esterni: caratteristiche
ambientali che causano il comportamento
I modelli in uso dell’attribuzione, tra cui quello di Kelley, si basano sul lavoro pionieristico
di Fritz Heider, il fondatore della teoria dell’attribuzione. Egli ipotizzò che il comportamento potesse essere attribuito o a fattori interni alla persona (ad esempio l’abilità) o a fattori
esterni, insiti nell’ambiente (ad esempio un compito difficile, l’aiuto di terzi, la buona o la
cattiva sorte). Questo modo di pensare corrisponde al concetto di locus of control interno
ed esterno, di cui abbiamo parlato nel Capitolo 5. Basandosi sul lavoro di Heider, Kelley
ha cercato di determinare i principali antecedenti delle attribuzioni localizzate internamente
o esternamente agli individui. Ha ipotizzato che le persone effettuino attribuzioni causali
dopo aver raccolto informazioni su tre dimensioni del comportamento: il consenso, la
distinzione e la coerenza.53 Queste dimensioni variano indipendentemente, dando vita
a diverse combinazioni e differenti attribuzioni.
In figura 7-3 sono rappresentati alcuni grafici di performance che dimostrano il
contrasto tra livelli alti e bassi di consenso, distinzione e coerenza. I grafici di cui sopra
verranno ora utilizzati per sviluppare una conoscenza operativa delle tre dimensioni
del modello di Kelley.
1. Il consenso implica un confronto tra il comportamento dell’individuo e quello dei
suoi pari. Il livello di consenso è alto quando una persona si comporta come il resto
del gruppo, basso quando si comporta diversamente. Come si può vedere nella
figura 7-3, il consenso è alto quando le persone A, B, C, D ed E hanno livelli di
prestazioni individuali simili. Nel grafico a sinistra, la performance della persona
C è invece bassa in termini di consenso perché si distacca sensibilmente da quella
di A, B, D ed E.
2. La distinzione si determina confrontando il comportamento di un individuo nello
svolgimento di compiti diversi. Un alto livello di distinzione indica che l’individuo
ha svolto un determinato compito in modo significativamente diverso rispetto ad
altri compiti. Un basso livello di distinzione significa che la prestazione o qualità
dell’individuo è stabile a prescindere dal compito svolto. La figura 7-3, grafico a
destra, rivela che la prestazione del dipendente nel compito 4 è fortemente distintiva
in quanto si discosta molto dalle sue prestazioni nei compiti 1, 2, 3 e 5.
3. La coerenza viene determinata in base al fatto che la prestazione di un individuo
nello svolgimento di un determinato compito rimanga costante nel tempo. Un alto
livello di coerenza implica che la persona svolge quel compito nello stesso modo
di volta in volta. Se, invece, la prestazione varia nel tempo, si ha un basso livello
di coerenza. Il picco negativo nella prestazione riportato nel grafico a sinistra della
figura 7-3 indica un basso livello di coerenza; in questo caso, la prestazione del
lavoratore nello svolgere un determinato compito è variata nel tempo.
CompOrga.indb 156
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Percezioni e attribuzioni sociali
157
Basso
Alto
A B C D E
Persone
A B C D E
Persone
Performance individuale
Performance individuale
Consenso
Distinzione
Bassa
Alta
1 2 3 4 5
Compiti
1 2 3 4 5
Compiti
Coerenza
Performance individuale
7
Bassa
Alta
Tempo
Tempo
Figura 7-3 Grafici sulla performance che illustrano consenso, distinzione e coerenza
Fonte: K.A. Brown, “Explaining Group Poor Performance: An Attributional Analysis,” Academy of Management Review, gennaio 1984, p. 56.
Riprodotto su autorizzazione.
Dunque il consenso mette a confronto le persone, la distinzione i compiti, la coerenza la
variazione nel tempo. La domanda che sorge a questo punto è: in che modo le nozioni
concernenti queste tre dimensioni del comportamento portano a formare attribuzioni
causali autoriferite (interne) o eteroriferite (esterne)?
Kelley ha ipotizzato che le persone attribuiscano il comportamento a cause esterne
(fattori ambientali) quando percepiscono un alto livello di consenso e di distinzione ma
un basso livello di coerenza. Le attribuzioni interne (fattori personali), invece, vengono
fatte tendenzialmente quando il comportamento osservato è caratterizzato da bassi livelli
di consenso e distinzione, e alto livello di coerenza. Quindi, per esempio, quando tutti
i collaboratori esibiscono prestazioni di cattiva qualità (alto consenso), oppure quando
la prestazione di cattiva qualità si presenta solo con riferimento a un determinato compito (alta distinzione) o solo in un determinato periodo di tempo (bassa coerenza), il
supervisore probabilmente la attribuirà a una fonte esterna, ad esempio le pressioni dei
colleghi o la difficoltà eccessiva di un compito. La prestazione sarà invece attribuita
alle caratteristiche personali del lavoratore (attribuzione interna) quando solamente
l’individuo in questione fornisce una performance di cattivo livello (basso consenso),
quando tale livello è riscontrabile in compiti diversi (bassa distinzione) e persiste nel
tempo (alta coerenza). Esistono molte ricerche a sostegno di questo processo di attribuzione negli ambienti di lavoro.54
Tendenze attributive
Gli studiosi hanno scoperto due tendenze attributive che distorcono l’interpretazione
del comportamento osservato: il bias (deformazione) attributivo di base e il bias autofunzionale.
Bias attributivo di base:
ignorare i fattori ambientali
che influenzano il comportamento
CompOrga.indb 157
Il bias attributivo di base Il bias attributivo di base riflette la tendenza ad attribuire il comportamento di una persona alle caratteristiche della persona stessa, anziché
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158
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
a fattori situazionali. Questa tendenza fa in modo che l’osservatore ignori importanti
forze ambientali, che spesso influenzano in modo significativo il comportamento. La
ricerca ha inoltre rilevato un altro dato interessante: le persone di cultura occidentale
sembrano essere più predisposte al bias attributivo di base rispetto agli individui di origine asiatica.55 Uno studio recente condotto su un campione di azionisti ha dimostrato
che questi attribuivano il valore delle azioni più al comportamento del CEO che alle
fluttuazioni del mercato.56
Bias auto-funzionale: attribuire alla propria responsabilità più i successi che i fallimenti
CompOrga.indb 158
Il bias auto-funzionale Il bias auto-funzionale rappresenta la tendenza a prendersi più
facilmente la responsabilità di un successo che di un fallimento. Il bias auto-funzionale
mostra che i collaboratori attribuiranno i propri successi a fattori interni (grandi capacità
o duro lavoro), i propri fallimenti a fattori esterni non controllabili (compito difficile,
sfortuna, colleghi poco cooperativi, capo insensibile). Questa tendenza si manifesta in
tutti gli aspetti della vita. Per esempio, Bob Poznanovich era vicepresidente vendite e
marketing per Zenith, ora LG Electronics, prima di essere licenziato per uso di stupefacenti. Ammette di aver speso fino a 1000 dollari al giorno in stupefacenti di cui faceva
uso con altri collaboratori e clienti; spesso non si presentava al lavoro oppure arrivava
in ritardo. Poznanovich attribuisce all’azienda le responsabilità della sua dipendenza,
affermando che si sarebbe fatto aiutare se il management gli avesse fatto notare il suo
comportamento sbagliato.57
Pat Murphy, ex allenatore capo della squadra di baseball della Arizona State University (ASU), fa ricadere sul management le responsabilità per la violazione delle norme
NCAA riguardanti i contatti telefonici con possibili studenti/atleti da parte del suo
dipartimento, sostenendo che non avesse formato adeguatamente il suo staff in merito
alla compilazione dei registri telefonici. Dal canto suo, il management considera Murphy
responsabile di non aver sottolineato l’importanza della compilazione dei registri telefonici, concludendo che “Murphy sembrava promuovere un programma di compliance ma
in realtà era il primo a non applicare tutte le politiche ASU e forniva tabulati telefonici
imprecisi e rappresentazioni falsate della realtà allo staff di compliance.”58
Molte sono state le ricerche che hanno investigato il bias auto-funzionale. Sono stati
condotti due studi con lo scopo di verificare se gli alti dirigenti cadessero preda del bias
auto-funzionale quando si accingevano a redigere l’annuale lettera di comunicazione
ai propri azionisti. In base ai risultati, molti dirigenti negli Stati Uniti e a Singapore si
prendevano il merito per l’andamento positivo dell’azienda, attribuendo invece ogni
risultato negativo alle circostanze esterne.59 I risultati delle ricerche sul bias autofunzionale nel loro insieme, comunque, non possono essere considerati coerenti. Due
sono gli schemi attributivi che emergono dalla ricerca empirica. Il primo rivela che
gli individui elaborano attribuzioni del successo interne, come previsto dal bias autofunzionale; il fallimento, invece, viene attribuito sia internamente sia esternamente.60
Ciò significa che, al contrario di quanto previsto dalla teoria del bias autofunzionale,
l’attribuzione del fallimento a cause esterne non avviene automaticamente. Ecco la
conclusione di un gruppo di studiosi della materia: “Quando persone molto concentrate
su se stesse percepiscono l’insuccesso come facilmente rimediabile, ne elaboreranno
un’attribuzione interna; se, invece, la probabilità di un miglioramento appare minima,
allora l’attribuzione sarà esterna.”61
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7
Percezioni e attribuzioni sociali
159
Applicazioni e implicazioni manageriali
I modelli attributivi possono essere utilizzati per spiegare come i manager gestiscono
i collaboratori che forniscono prestazioni inadeguate. Una ricerca ha dimostrato che
se un manager attribuiva la scarsa performance del collaboratore a un impegno insufficiente, dava feedback più immediati, frequenti e negativi. Una reazione di questo
tipo era ancora più evidente qualora il successo del manager dipendesse dalla prestazione del collaboratore stesso. Un’altra ricerca ha indicato che i manager tendevano
a trasferire i collaboratori, se ritenevano che la loro performance fosse inadeguata per
mancanza di capacità. Gli stessi manager non prendevano invece decisioni immediate
se la prestazione negativa era attribuibile a fattori esterni, che esulavano dal controllo
dell’individuo.62
Le situazioni elencate comportano una serie di importantissime implicazioni a livello manageriale. In primo luogo, uomini e donne tendono ad attribuire le promozioni
a cause diverse. I risultati di una recente ricerca condotta su un campione di 140.000
persone provenienti da 80 paesi ha dimostrato che uomini e donne attribuiscono a cause
diverse la promozione a una posizione dirigenziale di alto livello. Secondo gli uomini,
la promozione è motivata dall’impegno, mentre le donne ritengono che le promozioni si basino più sulla fortuna e sulla rete di conoscenze personali. Come evidenziato
nel Capitolo 2, questi risultati, peraltro coerenti in paesi diversi, suggeriscono che il
cammino delle donne verso il successo professionale somiglia più a un labirinto che a
una traiettoria diritta. Si consiglia ai manager di aiutare le donne a sviluppare capitale
sociale e di promuovere i collaboratori sulla base di parametri accuratamente misurati
e legati alla mansione.63
In secondo luogo, il manager tende ad attribuire il comportamento a cause interne
con frequenza eccessiva.64 Ciò può comportare valutazioni inesatte delle prestazioni,
e di conseguenza ridurre la motivazione dei collaboratori. A nessuno, infatti, piace
essere accusato per cause percepite come esterne al proprio controllo. Inoltre, dal
momento che le reazioni dei manager di fronte alla performance dei propri collaboratori cambiano in base alle attribuzioni, ogni eventuale pregiudizio attributivo può
dar vita a interventi manageriali sbagliati, ivi comprese promozioni, trasferimenti,
licenziamenti e così via. Questo processo può indebolire le motivazioni e le prestazioni. Per evitare queste conseguenze negative, è utile che i manager seguano dei corsi
di formazione sull’attribuzione. Nell’ambito di questi corsi possono essere spiegati
i processi attributivi, insegnando ai manager come riconoscere ed evitare eventuali
pregiudizi nell’attribuzione. Infine, le attribuzioni del lavoratore stesso sulla propria
prestazione producono effetti rilevanti su motivazione, prestazioni e atteggiamenti
personali come l’autostima. Se, ad esempio, una persona attribuisce il motivo del
proprio fallimento a una mancanza di capacità, tenderà ad abbandonare il compito,
elaborare aspettative minori nei confronti dei successi futuri, e vedrà decrescere la
propria autostima. Fortunatamente, rieducando all’attribuzione si può riuscire a migliorare sia la motivazione sia la performance. Le ricerche dimostrano che è possibile
insegnare ai collaboratori ad attribuire il fallimento a una mancanza di impegno anziché di capacità.65 Questo tipo di riallineamento attributivo prepara la strada per un
incremento di motivazione e di prestazione. È inoltre molto importante ricordare le
implicazioni del pregiudizio auto-funzionale. Se l’obiettivo del manager è quello di
CompOrga.indb 159
11/01/2013 16.35.09
160
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
portare i propri collaboratori ad accettare le responsabilità personali per il fallimento
e, di conseguenza, modificare l’impegno e il comportamento, è essenziale che essi
credano di poter migliorare la propria prestazione in futuro. Altrimenti, i collaboratori
tenderanno ad attribuire il fallimento a cause esterne e a non apportare cambiamenti al
proprio comportamento.
CompOrga.indb 160
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I fondamenti della motivazione
8
È giusto legare lo stipendio degli insegnanti al rendimento degli studenti?
L’ex direttrice generale delle scuole di Washington DC
Michelle Rhee ha tentato di ottenere un miglioramento
delle performance degli insegnanti attraverso l’applicazione dei principi di diverse teorie motivazionali. In
passato il 95% degli insegnanti operanti nel sistema
scolastico di Washington DC riceveva una valutazione
eccellente e nessuno veniva licenziato per performance
mediocri; nel contempo, però, i punteggi riportati dagli
studenti nei test di valutazione erano tra i più bassi del
paese. Nel 2010 la Rhee ha licenziato 241 insegnanti,
circa il 6% del corpo docente del sistema; altri 737
insegnanti hanno ricevuto una valutazione di efficacia
minima del loro operato.
La Rhee ha avviato questa piccola rivoluzione dopo
aver messo a punto un diverso sistema di valutazione
degli insegnanti e negoziato un nuovo accordo sulla retribuzione con la Washington Teachers Union (TWU),
il sindacato di categoria. L’attuale sistema di valutazione è considerato uno dei più rigorosi negli Stati Uniti.
Si basa su numerose ore di osservazione dell’operato
dell’insegnante in aula e tiene conto del rendimento
degli studenti […] I docenti ricevono cinque valutazioni
annuali dai dirigenti scolastici e da insegnanti esperti su
aspetti come l’elaborazione di piani didattici coerenti
CompOrga.indb 161
e il coinvolgimento degli studenti. Dopo una prima
osservazione, ricevono una valutazione che segnala i
punti deboli e viene loro offerto coaching per migliorarsi
[…] I docenti vengono classificati secondo quattro categorie: quest’anno il 16% rientrava nella categoria più
alta, rispetto al 45% degli anni passati. Il 20% circa si è
attestato nella categoria più bassa in classifica, rispetto
al 4% degli anni scorsi.
In base al nuovo sistema di retribuzione, “i bravi insegnanti ricevono uno stipendio più alto (comprensivo di
un aumento del 21,6% nel 2012 e possibilità di ricevere
bonus per merito) mentre gli insegnanti meno bravi
rischiano il licenziamento”.
George Parker, presidente del WTU, ha reagito
con indignazione ai licenziamenti, affermando che il
sindacato avrebbe presentato ricorso e minacciando di
formalizzare un’accusa contro il distretto scolastico per
pratiche discriminatorie.
Richard Whitmire, autore di The Bee Eater: Michelle Rhee Takes on the Nation’s Worst School District, ha
riconosciuto che la Rhee doveva scegliere la linea dura
per motivare i docenti perché “solo un terzo circa degli
insegnanti di Washington DC era in grado di offrire”
istruzione di alta qualità.1
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Parte II
162
Motivazione: processi psicologici che originano e direzionano il comportamento
orientato all’obiettivo
Teorie della motivazione
basate sui contenuti del
lavoro: identificano fattori
interni che influenzano la motivazione
Teorie della motivazione
incentrate sui processi: identificano i processi attraverso
cui fattori interni e cognizioni
influenzano la motivazione
Tabella 8-1
Sintesi delle teorie
motivazionali
CompOrga.indb 162
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
Come vedremo in questo capitolo, la teoria dell’aspettativa si basa sul principio secondo
il quale il compenso di un collaboratore dovrebbe essere legato alla qualità della performance. Secondo il concetto fondamentale soggiacente questa teoria, la motivazione dei
collaboratori cresce quando vengono ricompensati con riconoscimenti che considerano
preziosi, per esempio uno stipendio più alto. Nel caso illustrato in apertura, al contrario,
il sindacato degli insegnanti di Washington DC contrastava il tentativo di Michelle
Rhee di fare leva sulla teoria dell’aspettativa. Per quale motivo? Perché in realtà, come
scopriremo in questo capitolo, i fattori che esercitano un’influenza sulla motivazione
dei collaboratori sono numerosi e non si limitano all’assegnazione di ricompense.
Vedremo che la motivazione è una funzione di diverse componenti, tra cui i bisogni
individuali, la misura in cui un ambiente di lavoro è positivo e supportivo, la percezione
di ricevere un trattamento equo, la creazione di un legame solido tra la performance e
l’assegnazione di ricompense apprezzate, l’uso di misure accurate della prestazione e
la determinazione di obiettivi specifici.
Il termine motivazione deriva dal latino movere, che significa “muovere”. In questo
contesto, la motivazione rappresenta “quei processi psicologici che provocano la nascita,
la direzione e la persistenza di azioni volontarie dirette verso un obiettivo”.2 Le teorie
proposte dagli studiosi per spiegare i fattori alla base della motivazione dei collaboratori
possono essere ricondotte a due categorie generali: le teorie della motivazione basate sui
contenuti del lavoro e le teorie della motivazione incentrate sui processi. Le teorie della
motivazione basate sui contenuti del lavoro (content theories) si fondano sull’identificazione di fattori interni (come gli istinti, i bisogni, la soddisfazione e le caratteristiche
del lavoro) che alimentano la motivazione dei collaboratori, e non tengono conto di come
questa sia influenzata dall’interazione dinamica tra l’individuo e l’ambiente di lavoro.
Questo limite ha portato all’elaborazione delle teorie della motivazione incentrate sui
processi (process theories), che spiegano come fattori interni e cognizioni influenzano
la motivazione dei collaboratori.3 Le teorie incentrate sui processi sono più dinamiche
rispetto a quelle basate sui contenuti del lavoro.
La tabella 8-1 mostra una panoramica delle teorie illustrate in questo capitolo.
Conviene ricordare che, basandosi su insiemi differenti di ipotesi rispetto alle cause
della motivazione, queste sette teorie offrono consigli diversi su come motivare i
collaboratori. La trattazione di ciascuna teoria si conclude con una sintesi delle implicazioni manageriali, utile per aiutarvi a integrare i diversi approcci e applicarne
le indicazioni.
Dopo aver illustrato le principali teorie motivazionali, questo capitolo fornisce una
rassegna dei metodi di job design utilizzati per motivare i collaboratori e si conclude
con alcuni consigli per mettere in pratica le teorie motivazionali nell’ambiente di lavoro.
TEORIE DELLA MOTIVAZIONE BASATE
SUI CONTENUTI DEL LAVORO
TEORIE DELLA MOTIVAZIONE INCENTRATE
SUI PROCESSI
Teoria della gerarchia dei bisogni di Maslow
Teoria ERC di Alderfer
Teoria dei bisogni di McClelland
Teoria dei fattori duali di Herzberg
Teoria dell’equità di Adams
Teoria dell’aspettativa di Vroom
Teoria del goal setting
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8
I fondamenti della motivazione
163
La motivazione attraverso i contenuti del lavoro
Bisogni: mancanze fisiologiche o psicologiche che causano un comportamento
Gran parte delle teorie motivazionali centrate sui contenuti del lavoro si basano sull’idea
che la motivazione sia influenzata dai bisogni dei collaboratori. I bisogni sono esigenze
fisiologiche o psicologiche che innescano un comportamento. Può trattarsi di necessità
forti o deboli, che vengono influenzate da fattori ambientali, variando quindi nel tempo
e nello spazio.
Secondo la visione generale alla base delle teorie motivazionali fondate sui bisogni,
gli individui sono motivati a perseguire il soddisfacimento di esigenze non soddisfatte.
Passiamo ora a considerare quattro note teorie motivazionali basate su questa visione:
la teoria della gerarchia dei bisogni di Maslow, la teoria ERC di Alderfer, la teoria dei
bisogni di McClelland e la teoria dei fattori duali di Herzberg.
La teoria della gerarchia dei bisogni di Maslow
Teoria della gerarchia dei
bisogni: cinque bisogni primari (sopravvivenza, sicurezza,
amore, stima, autorealizzazione) influenzano il comportamento
Nel 1943 lo psicologo Abraham Maslow pubblicava la sua ormai famosa teoria della
gerarchia dei bisogni. Sebbene questa teoria si basasse sull’osservazione clinica di
individui nevrotici, è stata utilizzata per spiegare il comportamento umano in generale.
Maslow ipotizzava che la motivazione fosse funzione di cinque bisogni fondamentali,
ossia:
1. Sopravvivenza. Bisogno di base. Include la disponibilità di cibo, aria e acqua sufficienti alla sopravvivenza.
2. Sicurezza. La necessità di essere protetti dal dolore psicologico e fisiologico.
3. Amore. Il desiderio di essere amati e riamare. Comprende il bisogno di affetto e
appartenenza.
4. Stima. Bisogno di fama, prestigio e riconoscimento da parte degli altri. Include il
bisogno di autostima e di forza.
5. Autorealizzazione. Desiderio di realizzarsi, di crescere al meglio delle proprie possibilità.
Maslow sosteneva che queste cinque necessità fossero disposte in una gerarchia molto
rigida, come si vede in figura 8-1. In altre parole, secondo lo studioso i bisogni umani
si presentano in un ordine prevedibile. Di conseguenza, una volta che i bisogni fisiologici di una persona sono sufficientemente soddisfatti, emerge il bisogno di sicurezza,
e così via risalendo lungo la scala dei bisogni, un passo alla volta. La soddisfazione di
un bisogno attiva il bisogno successivo della gerarchia, e il processo continua finché
non si arriva al bisogno di autorealizzazione.4
Anche se le ricerche non supportano esplicitamente questa teoria, vi sono due implicazioni manageriali fondamentali dell’ipotesi di Maslow sicuramente degne di nota.
Innanzitutto, è importante che i manager si concentrino sul soddisfare i bisogni dei
collaboratori legati all’autostima e all’autorealizzazione, perché la loro soddisfazione
influenza in modo significativo i risultati e previene manifestazioni negative quali ansia,
depressione e altri disturbi.5
CompOrga.indb 163
11/01/2013 16.35.09
164
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
Figura 8-1
Gerarchia dei bisogni primari
di Maslow
Autorealizzazione
Stima
Amore
Sicurezza
Fisiologici
In secondo luogo, un bisogno soddisfatto può perdere il suo potenziale motivazionale. I manager dovrebbero quindi fare attenzione a motivare le persone con programmi
e proposte che tengano conto in modo attento dei bisogni emergenti. Molte aziende
hanno reagito a questa raccomandazione offrendo ai propri dipendenti benefit mirati a
soddisfarne i bisogni specifici.6
La teoria ERC di Alderfer
Teoria ERC: tre bisogni fondamentali (esistenza, relazione,
crescita) influenzano il comportamento
CompOrga.indb 164
Verso la fine degli anni ‘60 Clayton Alderfer elaborò una teoria alternativa relativamente ai bisogni umani, che differisce da quella di Maslow in tre punti fondamentali.
Innanzitutto, essa spiega il comportamento utilizzando un gruppo più ridotto di bisogni
fondamentali, che, dal livello inferiore a quello superiore, possono essere definiti come
bisogni esistenziali (E), ossia il desiderio di avere un benessere fisiologico e materiale;
bisogni relazionali (R), il desiderio di intessere relazioni significative con persone
importanti per l’individuo; bisogni di crescita (C), il desiderio di crescere come essere
umano e di utilizzare le proprie capacità al massimo del proprio potenziale. Da qui la
definizione di teoria ERC. Seconda differenza: la teoria ERC non presuppone che i
bisogni siano correlati l’un l’altro in una scala gerarchica, come invece accadeva nella
teoria di Maslow. Secondo Alderfer, infatti, più bisogni possono attivarsi contemporaneamente. Infine, la teoria ERC contiene una componente di frustrazione-regressione. Con
questo si intende dire che la frustrazione dei bisogni di ordine superiore può influenzare
il desiderio dei bisogni di ordine inferiore.7 Ad esempio, può succedere che dipendenti
frustrati o insoddisfatti dalla qualità delle loro relazioni interpersonali al lavoro (bisogni
di relazione) richiedano stipendi più elevati o benefit maggiori (bisogni di esistenza),
regredendo al livello inferiore.
Dalle ricerche che si sono occupate della teoria ERC emerge un sostegno non univoco
nei confronti di alcune affermazioni fondamentali della teoria. Due sono, in ogni caso,
le implicazioni manageriali fondamentali a essa associate. La prima ha a che fare con
11/01/2013 16.35.09
8
I fondamenti della motivazione
165
la frustrazione-regressione. I manager dovrebbero tenere conto del fatto che i collaboratori possono essere motivati a perseguire bisogni di livello inferiore perché frustrati
nei bisogni di livello superiore. Ad esempio, la richiesta di aumenti di stipendio o di
benefit può in realtà nascondere l’insofferenza verso un ambiente di lavoro soffocante.
La seconda implicazione riguarda il fatto che la teoria ERC è coerente con la scoperta
che le differenze culturali e individuali influenzano i bisogni soggettivi. Le persone sono
motivate da bisogni diversi in momenti diversi della loro vita. Da ciò consegue che
il management dovrebbe personalizzare i programmi di ricompensa in modo che essi
corrispondano ai bisogni dei lavoratori, che variano nel tempo. Vediamo come gestisce
questa raccomandazione Marc Albin, CEO di Albin Engineering Services.
Per identificare a quali bisogni dei propri collaboratori rispondere, Albin usa un approccio
non convenzionale. “In base alla mia esperienza di gestione del personale, ogni individuo
è diverso dall’altro”, afferma Albin. “Alcune persone vogliono essere riconosciute per
l’atteggiamento amichevole e per la capacità che hanno di creare relazioni nell’organizzazione. Altri desiderano che si riconosca la qualità del loro lavoro, altri ancora la
quantità. Ad alcuni fa piacere ricevere un riconoscimento individuale, altri preferiscono
che il plauso sia di gruppo.” Di conseguenza, alla fine di ogni sessione di orientamento con i dipendenti, Albin invia un’email ai neo-assunti chiedendo quali aspettative
avessero nei confronti dell’azienda. “Mi aiuta a capire l’opinione che ognuno ha di sé
e delle proprie capacità, e ne tengo nota in modo da dedicare a ciascuno un’attenzione
speciale” racconta Albin. “Nessuno mi ha mai detto: mi basta avere un riconoscimento
per qualsiasi cosa io faccia bene”.8
La teoria dei bisogni di McClelland
David McClelland, noto psicologo, ha studiato la relazione esistente tra bisogni e comportamento sin dalla fine degli anni ’40. Sebbene sia più conosciuto per i suoi studi sul
bisogno di realizzazione, egli si è occupato anche dei bisogni di affiliazione e di potere,
che di seguito descriviamo separatamente.
Bisogno di realizzazione:
desiderio di ottenere qualcosa
di difficile
Il bisogno di realizzazione Il bisogno di realizzazione (achievement) si può così
descrivere:
Ottenere qualcosa di difficile. Avere padronanza di un mestiere, saper manipolare o
gestire oggetti fisici, coordinare persone o sviluppare idee. Fare questo in modo rapido
e indipendente. Superare gli ostacoli e ottenere alti standard di prestazione. Superare i
propri limiti. Confrontarsi con gli altri e sentirsi migliori. Incrementare il rispetto per se
stessi utilizzando con successo le proprie doti naturali.9
Le persone orientate all’achievement hanno tre caratteristiche in comune: (1) preferiscono lavorare su compiti di difficoltà moderata; (2) amano le situazioni in cui la
performance dipende dagli sforzi personali anziché da fattori esterni, come la fortuna,
e (3) desiderano avere un feedback sui loro successi e insuccessi più intensamente
rispetto alle altre persone. Un’analisi comparata sulla personalità “imprenditoriale”
CompOrga.indb 165
11/01/2013 16.35.10
166
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
ha evidenziato che gli imprenditori hanno un maggiore bisogno di achievement in
confronto ad altre persone.10
Bisogno di affiliazione: desiderio di trascorrere del tempo
coltivando relazioni sociali e
svolgendo attività
Il bisogno di affiliazione Le persone che hanno un accentuato bisogno di affiliazione dedicano più tempo al mantenimento delle relazioni sociali, alla vita di gruppo e
alla ricerca di apprezzamento. Persone di questo tipo non sono completamento adatte
a posizioni manageriali, perché tendono a evitare i conflitti, difficilmente riescono a
prendere decisioni impopolari ed evitano di fornire feedback negativi.11
Bisogno di potere: desiderio
di influenzare, guidare, insegnare o incoraggiare gli altri
alla realizzazione
Il bisogno di potere Il bisogno di potere riflette il desiderio individuale di influenzare,
guidare, insegnare o incoraggiare gli altri a realizzarsi. Le persone con un accentuato
bisogno di potere amano lavorare e tengono in alta considerazione la disciplina e il
rispetto per se stessi. Si tratta di un bisogno che esprime aspetti positivi e negativi. Il
lato negativo del bisogno di potere è dato dalla prevalenza di una mentalità del tipo “se
io vinco, tu perdi”. Viceversa, le persone con un orientamento positivo nei confronti
del potere si concentrano sull’ottenimento di obiettivi di gruppo e sul fatto di aiutare i
collaboratori a sentirsi competenti. Parleremo delle due facce del potere in modo più
dettagliato nel Capitolo 13. Se è vero che un manager di successo deve saper influenzare positivamente gli altri, McClelland ipotizza che queste posizioni debbano essere
ricoperte da persone in cui coesistano un alto bisogno di potere e un minore bisogno
di affiliazione.
Implicazioni manageriali Dal momento che è possibile formare un individuo adulto
ad accrescere la propria motivazione all’achievement,12 ogni organizzazione dovrebbe
prendere in considerazione i benefici di un programma interno mirato a tale scopo.
È inoltre opportuno tenere in considerazione i bisogni individuali di achievement, di
affiliazione e di potere nel corso della selezione, per assegnare al meglio le posizioni
lavorative. Una ricerca, ad esempio, ha rivelato che il bisogno di achievement individuale influenza la scelta di lavorare in aziende diverse. Le persone caratterizzate da
un bisogno accentuato di achievement sono più attratte dalle aziende in cui stipendi e
remunerazioni siano commisurate alla prestazione rispetto a chi ha bassa motivazione
all’achievement.13 Infine, è importante ricercare un equilibrio tra queste raccomandazioni
e gli aspetti negativi di un bisogno accentuato di achievement. McClelland ha notato
che gli individui caratterizzati da un elevato bisogno di achievement potrebbero essere
disposti a “ingannare, imboccare scorciatoie ed escludere gli altri.” Ha inoltre sottolineato che alcuni “sono talmente concentrati sul rapido raggiungimento dell’obiettivo
da non preoccuparsi troppo dei mezzi utilizzati per raggiungerlo.”14
La teoria dei fattori duali di Herzberg
La teoria di Frederick Herzberg si basa su uno studio in cui il ricercatore intervistò 203
tra contabili e ingegneri, con l’obiettivo di determinare i fattori responsabili della soddisfazione e dell’insoddisfazione lavorativa.15 Herzberg rintracciò due gruppi distinti
di fattori associati alla soddisfazione e all’insoddisfazione sul lavoro. La soddisfazione
poteva essere associata più di frequente con l’achievement, il riconoscimento, le caratte-
CompOrga.indb 166
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8
I fondamenti della motivazione
Fattori motivanti: caratteristiche del lavoro connesse alla
soddisfazione lavorativa
Fattori igienici: caratteristiche del lavoro connesse
all’insoddisfazione lavorativa
167
ristiche del lavoro, la responsabilità e l’avanzamento di carriera. Ognuno di questi fattori
è correlato alle conseguenze associate al contenuto del compito da svolgere. Herzberg
li definì fattori motivanti, perché ognuno di essi risultava associato a un forte impegno
e a buone prestazioni. Lo studioso ipotizzò che i fattori motivanti portassero la persona
a passare da uno stadio di mancanza di soddisfazione a uno di soddisfazione (figura
8-2). La teoria di Herzberg perciò prevede che i manager possano riuscire a motivare i
collaboratori inserendo dei fattori motivanti nel lavoro di ciascuno.
Herzberg rilevò inoltre una correlazione tra l’insoddisfazione sul lavoro e fattori
interni al contesto lavorativo o ambiente. Nello specifico, politiche aziendali e vincoli
burocratici, supervisione tecnica, stipendi, relazioni interpersonali dell’individuo con
il proprio superiore e condizioni lavorative risultano essere i fattori nominati più di
frequente dai collaboratori che si dichiarano insoddisfatti dal lavoro. Herzberg ha definito questo secondo gruppo di elementi come fattori igienici. Ha inoltre ipotizzato
che questi fattori non fossero di per sé motivanti. Per lo studioso, al più gli individui
non sperimentano insoddisfazione lavorativa quando non hanno rimostranze sui fattori
igienici (figura 8-2). Electronics Art, sviluppatore, editore e distributore di videogiochi a livello internazionale, applica strategie che contrastano con questo aspetto della
teoria di Herzberg. Il management cerca di accrescere la soddisfazione del personale
e ridurre il turnover creando fattori igienici positivi con iniziative che comprendono:
(1) autorizzare i collaboratori a portare gli animali domestici al lavoro; (2) organizzare
in sede eventi sportivi dedicati al basket, al calcio e al beachvolley durante la giornata
di lavoro; (3) creare sale in cui i dipendenti possono giocare a ping pong, al biliardo e
Figura 8-2
Modello dei fattori motivanti
e igienici di Herzberg
Fattori motivanti
Non soddisfazione
Lavori che non offrono
realizzazione,
riconoscimento,
compiti stimolanti,
responsabilità
e avanzamenti
di carriera.
Fonte: adattato in parte da D.A.
Whitsett e E.K. Winslow, “An
Analysis of Studies Critical of
the Motivator-Hygiene Theory,”
Personnel Psychology, inverno
1967, pp. 391-415.
Soddisfazione
Lavori che offrono
realizzazione,
riconoscimento,
compiti stimolanti,
responsabilità
e avanzamenti
di carriera.
Fattori igienici
Insoddisfazione
Lavori con cattive
politiche aziendali
e amministrative,
supervisione tecnica,
stipendio, relazioni
interpersonali con
i superiori e condizioni
lavorative.
CompOrga.indb 167
Non insoddisfazione
Lavori con buone
politiche aziendali
e amministrative,
supervisione tecnica,
stipendio, relazioni
interpersonali con
i superiori e condizioni
lavorative.
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168
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
con videogiochi; (4) istituire un centro dove i collaboratori possono prendere in prestito gratuitamente videogiochi, film, libri e riviste recenti e (5) offrire una palestra con
lezioni di fitness di gruppo.16
La chiave per comprendere al meglio la teoria di Herzberg relativa ai fattori motivanti
e igienici è riconoscere che per lo studioso la soddisfazione non è l’opposto dell’insoddisfazione. La mancanza dei fattori igienici conduce all’insoddisfazione, ma non
necessariamente la loro presenza porta alla motivazione, così come i fattori motivanti
non sempre arginano l’insoddisfazione.17 Herzberg sostiene quindi che il continuum
insoddisfazione-soddisfazione contiene un punto zero centrale nel quale mancano entrambi questi fattori. Si potrebbe assumere come posizione zero quella di un membro
dell’organizzazione che lavora in buone condizioni, con uno stipendio adeguato e un
superiore accettabile, ma svolge un compito poco stimolante e ha scarse possibilità
di avanzamento. Questa persona non sarà insoddisfatta (perché i fattori igienici sono
positivi), ma nemmeno soddisfatta (per la carenza di fattori motivanti).
La teoria di Herzberg ha dato vita a molte controversie, stimolando il progredire
della ricerca sull’argomento.18 I risultati degli studi successivi non sempre confermano
l’aspetto bi-fattoriale della teoria, né l’idea che i fattori igienici non siano legati alla
soddisfazione lavorativa. La teoria ha comunque due implicazioni molto importanti.
Anzitutto, i manager dovrebbero prestare attenzione sia ai fattori igienici che ai fattori
motivanti, perché sono entrambi correlati alla soddisfazione lavorativa dei collaboratori.
Lauren Dixon, CEO di Dixon Schawbl, segue esattamente questo approccio per mantenere la motivazione e la soddisfazione dei dipendenti: nel 2010 la Dixon Schawbl si
è classificata come la migliore piccola azienda per la quale lavorare. In secondo luogo,
il riconoscimento delle buone performance è essenziale, soprattutto durante le fasi economiche negative, quando è raro che si concedano aumenti di stipendio. È importante
premiare i comportamenti e i risultati legati agli obiettivi dell’organizzazione.
Le teorie motivazionali incentrate sui processi
Nella prima parte del capitolo abbiamo illustrato le teorie motivazionali incentrate
sui contenuti del lavoro, basate su orientamenti individuali; ora cercheremo di fare
un passo successivo spiegando i processi attraverso cui i fattori interni influenzano la
motivazione. Questi processi sono di natura cognitiva, cioè si fondano sulla premessa
secondo la quale la motivazione è una funzione delle percezioni, dei pensieri e delle
credenze dei collaboratori. Passiamo ora a esaminare le tre principali teorie motivazionali incentrate sui processi cognitivi: la teoria dell’equità, la teoria dell’aspettativa e la
teoria del goal setting.
La teoria motivazionale dell’equità di Adams
Teoria dell’equità: sostiene
che la motivazione sia funzione della imparzialità negli
scambi sociali
CompOrga.indb 168
Per dare una definizione generica, la teoria dell’equità è un modello della motivazione
secondo cui le persone negli scambi sociali o nelle relazioni del tipo dare-avere cercano
l’imparzialità e la giustizia. Essendo una teoria motivazionale incentrata sui processi, la
teoria dell’equità spiega come la motivazione degli individui ad agire in un certo modo
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8
I fondamenti della motivazione
169
sia alimentata da sentimenti di iniquità e mancanza di giustizia. Per esempio, i sostenitori di WikiLeaks hanno sferrato attacchi cibernetici contro i siti web di MasterCard e
Visa perché ritengono che queste società abbiano ingiustamente tentato di ostacolare la
divulgazione di rapporti diplomatici segretati del governo statunitense. Entrambi i siti
web sono stati temporaneamente non disponibili a seguito di questi attacchi.19
Lo psicologo J. Stacey Adams è stato pioniere nell’applicazione del principio di
equità sul posto di lavoro. Per capire la teoria motivazionale dell’equità di Adams è
necessario conoscere le quattro componenti della relazione di scambio tra individuo e
organizzazione.
La relazione di scambio tra individuo e organizzazione
Adams indica due componenti primarie della relazione collaboratore-datore di lavoro,
gli input e gli output. Gli input del collaboratore, per i quali questi si aspetta un’equa
ricompensa, sono la formazione, le abilità, la creatività, l’anzianità, l’età, i tratti della
personalità, lo sforzo e la presenza. Per quanto concerne gli output, invece, è l’organizzazione a fornirli sotto forma di stipendi, benefit e riconoscimenti, compiti sfidanti,
sicurezza del lavoro, promozioni, status symbol e partecipazione in decisioni importanti.
Iniquità negativa e positiva
Sul lavoro, le sensazioni di iniquità riguardano la misura in cui una persona ritiene di
ricevere un trattamento adeguato che compensa i contributi forniti. Le persone fanno
questo tipo di valutazioni confrontando l’equità percepita del loro scambio lavorativo
con quella attribuita ad altri individui che per loro costituiscono un riferimento.20 Questo
processo comparativo, che si basa su una norma di equità, generalmente assume forme
variabili in personalità e nazioni diverse.21 Le persone tendono a confrontarsi con individui a cui sono legate personalmente (come gli amici) o con cui hanno qualcosa in
comune (come coloro che fanno lo stesso lavoro o sono dello stesso sesso o hanno lo
stesso titolo di studio) e non con persone differenti o lontane. Per esempio, gli autori di
questo libro non confrontano i propri stipendi con quello dell’allenatore della squadra
di football della Arizona State University, ma certamente li raffrontano a quelli di altri
professori universitari. Sulla scorta di questa considerazione, apriamo una parentesi
su un’interessante tendenza nell’ambito della professione legale. I grandi studi legali
hanno adottato la prassi di concedere “stipendi astronomici agli avvocati di punta, in
alcuni casi dieci volte superiori a quelli concessi ad altri, seguendo una strategia che sta
aprendo un vero e proprio divario nella retribuzione e mettendo a dura prova il morale
[…] Sebbene il divario retributivo sia sempre esistito, in passato i partner che detenevano quote di proprietà ricevevano stipendi simili agli altri per favorire un approccio
di squadra ed evitare possibili risentimenti.”22
La figura 8-3 illustra tre diverse tipologie di equità: equità, iniquità negativa e iniquità
positiva. Presupponiamo che le due persone in ciascuna relazione di equità della figura
8-3 abbiano background equivalenti (istruzione, anzianità, e così via) e che svolgano
compiti identici. L’unica differenza tra loro è la retribuzione. L’equità sussiste quando
CompOrga.indb 169
11/01/2013 16.35.10
Parte II
170
A. Situazione equa
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
B. Iniquità negativa
Se stesso
Se stesso
L’altro
L’altro
Risultati
Input
Risultati
Input
Risultati
Input
Risultati
Input
$2
= $ 2 all’ora
1 ora
$4
= $ 2 all’ora
2 ore
$2
= $ 2 all’ora
1 ora
$3
= $ 3 all’ora
1 ora
C. Iniquità positiva
Se stesso
L’altro
Risultati
Input
Risultati
Input
$3
= $ 3 all’ora
1 ora
$2
= $ 2 all’ora
1 ora
Figura 8-3 Iniquità positiva e negativa
Iniquità negativa: confronto
nel quale un’altra persona
riceve compensi migliori a
parità di input
Iniquità positiva: confronto
nel quale un’altra persona
riceve compensi peggiori a
parità di input
CompOrga.indb 170
il rapporto tra gli output percepiti e gli input dell’individuo è pari al rapporto tra gli
output e gli input di un collega rilevante (parte A nella figura 8-3). Dato che l’equità si
basa sul confronto tra il rapporto tra output e input, l’iniquità non sarà necessariamente percepita solo perché qualcuno riceve ricompense superiori. Se i risultati migliori
sono riferibili a input maggiori, può comunque esistere un senso di equità. Se invece,
il termine di paragone riceve output migliori a parità di input, allora verrà percepita
una iniquità negativa (parte B nella figura 8-3). D’altra parte, una persona proverà una
iniquità positiva se il rapporto tra output e input nel proprio caso è superiore rispetto a
quello di un collega rilevante (parte C nella figura 8-3). Aspetto interessante, un clima
economico negativo può determinare sentimenti di iniquità positiva per i sopravvissuti
alle operazioni di ridimensionamento del personale, che si sentono fortunati ad aver
conservato il posto di lavoro.
Ridurre l’iniquità I rapporti di equità possono essere cambiati cercando di variare gli
output o gli input di un individuo. L’iniquità negativa, ad esempio, può essere eliminata
11/01/2013 16.35.10
8
I fondamenti della motivazione
171
chiedendo un aumento o una promozione (ossia, aumentando gli output) o riducendo
gli input (quindi lavorando meno ore o mettendoci meno impegno). È anche importante
notare che l’equità può essere ristabilita agendo sugli individui in senso comportamentale
o cognitivo, oppure in entrambi i sensi. Una strategia cognitiva implica, ad esempio, la
distorsione psicologica delle percezioni di una persona nei confronti del rapporto proprio
e degli altri tra output e input (ad esempio, comprendendo che la persona di confronto
ha più esperienza o lavora di più).23
È importante notare che le persone cercano l’equità anche in veste di consumatori,
utilizzando in misura crescente i social media per presentare i propri reclami rispetto
a situazioni di iniquità. Reclami di questo tipo possono diventare virali e determinare
una visione negativa del marchio. Per contrastare questa tendenza, le organizzazioni
hanno iniziato a monitorare i contenuti pubblicati online e a fornire risposte adeguate.24
Espandere il concetto di equità: la giustizia organizzativa
Giustizia distributiva: la giustizia percepita dal modo in
cui le risorse e le ricompense
vengono distribuite
Giustizia procedurale: la giustizia percepita dal processo e
dalle procedure utilizzate per
prendere decisioni di allocazione delle risorse
Giustizia interazionale:
la misura in cui le persone
si sentono trattate in modo
equo nell’applicazione delle
procedure
CompOrga.indb 171
I ricercatori hanno iniziato dalla fine degli anni ’70 a espandere il ruolo della teoria
dell’equità nella spiegazione degli atteggiamenti e dei comportamenti del collaboratore,
cosa che ha portato alla creazione di un ambito di ricerca chiamato giustizia organizzativa. Quest’ultima riflette la misura in cui le persone percepiscono di essere trattate
equamente sul lavoro. Ciò, a sua volta, porta a identificare tre diverse componenti della
giustizia organizzativa: distributiva, procedurale e interazionale.25 La giustizia distributiva riflette l’equità percepita riguardo alla modalità con cui le risorse e le ricompense
vengono distribuite o assegnate. La giustizia procedurale viene definita come l’equità
percepita del processo e delle procedure usate nelle decisioni di allocazione delle risorse.
La ricerca dimostra che le percezioni positive della giustizia distributiva e procedurale
aumentano se si dà al collaboratore la possibilità di intervenire nelle decisioni che lo
riguardano. La possibilità di dar “voce” ai collaboratori rappresenta la misura in cui
coloro che sono coinvolti dall’esito di una decisione possono disporre di informazioni
rilevanti sulle decisioni prese da altri, e corrisponde a chiedere ai collaboratori di contribuire al processo decisionale.
L’ultima componente, la giustizia interazionale, riguarda la “qualità del trattamento
interpersonale che le persone ricevono quando vengono applicate le procedure”.26 Questa
forma di giustizia non si riferisce ai risultati o alle procedure associate al processo decisionale: essa si concentra invece sulla percezione che le persone hanno di essere trattate
equamente o meno nell’applicazione delle decisioni. Un trattamento interpersonale per
essere considerato equo richiede che il manager comunichi in modo limpido e sincero
e tratti le persone con cortesia e rispetto.
Sono molte le ricerche sulla giustizia organizzativa condotte negli ultimi 20 anni,
ma esistono per fortuna quattro recenti meta-analisi che riassumono i risultati di oltre
200 ricerche.27 Sono emerse le seguenti tendenze generali: (1) la prestazione lavorativa è positivamente associata alla giustizia distributiva e procedurale, ma quest’ultima
permetterebbe di prevedere meglio i risultati; (2) tutte e tre le forme di giustizia sono
positivamente correlate con la soddisfazione lavorativa, il commitment, i comportamenti
di cittadinanza organizzativa e la lealtà dei collaboratori; correlazioni negative invece
si sono riscontrate con il desiderio di lasciare l’azienda da parte dei collaboratori e il
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172
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
tasso di turnover; (3) l’ingiustizia distributiva e quella procedurale sono state associate
con emozioni negative come la rabbia; infine, tutte e tre le forme di giustizia sono
negativamente associate a comportamenti aggressivi nell’ambiente di lavoro.28 Questi
risultati suggeriscono ai manager una molteplicità di importanti indicazioni pratiche.
Implicazioni pratiche derivanti dalla teoria dell’equità
La teoria dell’equità ha perlomeno sei importanti implicazioni pratiche. Innanzitutto, la
ricerca enfatizza la necessità che il manager faccia attenzione alle percezioni dei propri
collaboratori su cosa sia giusto ed equo. Non ha importanza quanto politiche, procedure e
sistemi di ricompensa aziendali siano effettivamente obiettivi per il management: ciò che
conta è la percezione del singolo collaboratore sull’equità di ciascuno di questi fattori.
Uno studio condotto su un campione di 3000 lavoratori statunitensi ha evidenziato che
il 39% ritiene di essere sottopagato e solo il 37% si sente apprezzato dal datore di lavoro.29 I manager dovrebbero quindi prendere qualsiasi decisione che riguardi assunzioni
o promozioni in base al merito del dipendente e a informazioni pertinenti con il lavoro
e dedicare maggiore attenzione e tempo all’assegnazione di riconoscimenti positivi
per il comportamento e le prestazioni dei collaboratori. Inoltre, dato che le impressioni
sulla giustizia sono influenzate dalla misura in cui i manager motivano le decisioni che
prendono, questi ultimi dovrebbero spiegare, per quanto possibile, le loro motivazioni.
In secondo luogo, i manager possono beneficiare dal coinvolgimento dei collaboratori nei processi decisionali che riguardano importanti risultati lavorativi. In generale,
le percezioni dei collaboratori sulla giustizia procedurale sono migliori se essi hanno
“voce” in capitolo nel processo decisionale. Si consiglia ai manager di chiedere ai collaboratori un’opinione in merito a cambiamenti organizzativi che possono determinare
delle conseguenze sul loro operato.
Terza considerazione, i collaboratori dovrebbero avere la possibilità di fare appello
relativamente a decisioni che riguardano la loro situazione: tale opportunità incoraggia le percezioni di giustizia distributiva e procedurale. Quarta implicazione pratica, i
manager possono promuovere la cooperazione e il lavoro di gruppo adottando un comportamento imparziale nei confronti dei membri del proprio team. Le ricerche rivelano
che gli individui si preoccupano allo stesso modo dell’equità nella composizione dei
gruppi e dei propri interessi personali.30 Quinta implicazione, le percezioni di giustizia
dei dipendenti sono fortemente influenzate dal comportamento di leadership assunto
dai manager (analizzeremo la leadership nel Capitolo 16). È dunque essenziale per i
manager considerare le conseguenze sulla percezione di giustizia di decisioni, azioni
e comunicati pubblici.
Infine, i manager devono prestare attenzione al clima organizzativo relativamente
alla giustizia. Si è riscontrato, ad esempio, che un clima di giustizia all’interno di
un’organizzazione influenza in modo significativo il commitment e la soddisfazione
lavorativa dei collaboratori.31 I ricercatori credono inoltre che un clima equo possa
influire in modo significativo sulla qualità del servizio al consumatore; a sua volta,
questa caratteristica si riflette sulla percezione che i clienti hanno del “giusto servizio”
e sulla loro conseguente lealtà e soddisfazione.
CompOrga.indb 172
11/01/2013 16.35.11
8
I fondamenti della motivazione
173
I manager possono dunque cercare di rispettare questi consigli monitorando le percezioni di equità e giustizia, tramite conversazioni informali, colloqui e indagini sugli
atteggiamenti. I ricercatori hanno elaborato e convalidato molti metodi che possono
essere utilizzati a tale scopo.
La teoria dell’aspettativa di Vroom
Teoria dell’aspettativa: sostiene che le persone sono
motivate ad assumere un
comportamento che produce
risultati ritenuti importanti
La teoria dell’aspettativa dice che le persone sono motivate a comportarsi in modi
che producano combinazioni desiderate di risultati attesi. Parlando in termini generali,
la teoria dell’aspettativa può essere utilizzata per prevedere il comportamento in ogni
situazione in cui si debba compiere una scelta tra due o più alternative possibili. Può
essere utilizzata, ad esempio, per prevedere se sia il caso di lasciare o di tenere un posto
di lavoro; se esercitare uno sforzo minimo o notevole nell’esecuzione di un compito,
se specializzarsi in management, informatica, contabilità, marketing, psicologia o
comunicazione.
Victor Vroom ha formulato un modello matematico della sua teoria dell’aspettativa
nell’opera Work and Motivation, pubblicata nel 1964.32 La teoria di Vroom è stata così
riassunta: “La forza di una tendenza a comportarsi in un determinato modo dipende dalla
forza di una aspettativa che l’individuo nutre nei confronti di una data conseguenza (o
risultato) e dal valore o attrattiva di tale conseguenza (o risultato) per chi compie l’atto.”33
La motivazione, secondo Vroom, si riassume nella decisione della quantità di sforzo
da esercitare in una determinata situazione. Tale scelta si basa su una sequenza bifasica
di aspettative (sforzo → prestazione e prestazione → risultato). Innanzitutto, la motivazione è influenzata dall’aspettativa da parte dell’individuo che un certo livello di
sforzo produrrà il previsto obiettivo di prestazione. Se, ad esempio, non siete convinti
che aumentare il tempo passato sui libri possa alzare in modo rilevante la vostra votazione finale, probabilmente non studierete più del solito. La motivazione è influenzata
anche dalle possibilità percepite dal collaboratore di ottenere diversi risultati in seguito
all’ottenimento dei propri obiettivi di prestazione. L’individuo è motivato, infine, anche
dal valore che assegna ai risultati.
Vroom ha utilizzato una equazione matematica per integrare i concetti esposti sinora
in un modello che prevedesse la forza motivazionale. Ai nostri scopi è però sufficiente
definire e spiegare i tre concetti chiave del modello di Vroom: aspettativa, strumentalità
e valenza.
Aspettativa
Aspettativa: convinzione che
l’impegno porti a un determinato livello di prestazione
CompOrga.indb 173
Un’aspettativa, in base alla terminologia utilizzata da Vroom, rappresenta la convinzione
dell’individuo per cui un determinato livello di sforzo comporterà un certo livello di
prestazione. In altre parole, si tratta di un’aspettativa sforzo → prestazione. Le aspettative
prendono la forma di probabilità soggettive. Come saprete dallo studio della statistica,
le probabilità vanno da zero a uno. Un’aspettativa pari a zero indica che lo sforzo non
esercita alcun impatto preventivo sulla prestazione.
11/01/2013 16.35.11
Parte II
174
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
Supponiamo, ad esempio, che non abbiate memorizzato la disposizione delle lettere
sulla tastiera. A prescindere dallo sforzo esercitato, la probabilità percepita di digitare
30 parole al minuto senza errori sarà probabilmente pari a zero. Un’aspettativa pari
a 1 fa pensare che la prestazione dipenda totalmente dallo sforzo. Se avete deciso di
memorizzare la disposizione delle lettere sulla tastiera e di fare esercizio un paio di
ore al giorno per qualche settimana (impegno alto), dovreste essere in grado di digitare
30 parole al minuto senza errori. Se, invece, non avete memorizzato le lettere e avete
semplicemente fatto pratica un’ora o due per settimana (sforzo basso), la probabilità di
riuscire a digitare 30 parole al minuto senza errori è molto bassa (diciamo intorno al 20%).
Ecco i fattori che influiscono sulle percezioni di aspettativa del collaboratore:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
autostima;
auto-efficacia (vedi l’analisi condotta nel Capitolo 5);
successi già ottenuti in passato nello svolgimento dello stesso compito;
assistenza da parte del superiore e dei subordinati;
padronanza delle informazioni necessarie per portare a termine il compito;
disponibilità di buoni materiali e attrezzature per lavorare.34
Strumentalità
Strumentalità: percezione
di causalità tra prestazione e
risultato
La strumentalità è una percezione di consequenzialità tra prestazione e risultato.
Rappresenta la convinzione da parte di una persona che un particolare risultato dipenda dal raggiungimento di uno specifico livello di prestazione. La prestazione è
strumentale quando conduce a qualcos’altro. Per esempio, passare un esame è strumentale a laurearsi.
La strumentalità varia da –1 a 1. Una strumentalità pari a 1 indica che l’ottenimento
di un determinato risultato dipende totalmente dalla prestazione nello svolgimento di
un compito. Se invece la strumentalità è pari a 0, non c’è relazione tra la prestazione e
il risultato. Le aziende, ad esempio, nella stragrande maggioranza mettono in relazione
il numero di giorni di vacanza all’anzianità di servizio e non alla prestazione sul lavoro.
Una strumentalità pari a –1, infine, rivela che un’alta prestazione riduce la possibilità di
ottenere un risultato mentre un basso livello di prestazione l’aumenta. Ad esempio, più
tempo trascorrete a studiare per prendere 30 all’esame (alta prestazione), meno tempo
avrete per divertirvi. Analogamente, diminuendo il tempo trascorso a studiare (bassa
prestazione), aumenterà il tempo da poter dedicare alle attività ricreative.
Valenza
Valenza: valore di una ricompensa o di un risultato
CompOrga.indb 174
Nel senso usato da Vroom, la valenza si riferisce al valore positivo o negativo che le
persone assegnano ai risultati. La valenza riflette le nostre preferenze personali. Ad
esempio, molti collaboratori assegnano valenza positiva al fatto di ricevere del denaro
in più in riconoscimento dei propri meriti. Al contrario, lo stress lavorativo e il fatto di
essere licenziati risulterebbero probabilmente come valenza negativa per molti individui.
Nel modello delle aspettative di Vroom, i risultati si riferiscono a diverse conseguenze
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8
I fondamenti della motivazione
175
che dipendono dalla prestazione, come lo stipendio, le promozioni o i riconoscimenti. La
valenza di un risultato dipende dalle necessità dell’individuo e si può misurare a scopi
di ricerca con scale che variano da un valore negativo a uno positivo. Ad esempio la
valenza di un individuo nei confronti di un maggiore riconoscimento può essere valutata
su una scala che varia tra –2 (molto indesiderabile), 0 (neutro) e +2 (molto desiderabile).
La teoria dell’aspettativa in azione
Si può utilizzare il modello motivazionale elaborato da Vroom per analizzare un piano
motivazionale reale. Prendiamo, ad esempio, la seguente descrizione di un problema
legato alle prestazioni, dalle parole di Frederick W Smith, fondatore e CEO della Federal
Express Corporation:
Avevamo un sacco di problemi a rispettare i tempi. Gli aerei atterravano e tutto il resto
veniva posticipato. Abbiamo provato ogni tipo di meccanismo di controllo pensabile e
immaginabile, ma non ce n’era uno che funzionasse. Alla fine è diventato ovvio che alla
base di tutto stava un fatto: era nell’interesse dei collaboratori al terminal (quasi tutti
studenti) tirar per le lunghe, perché fare più ore significava guadagnare di più. Allora cosa
abbiamo fatto? Abbiamo assegnato a tutti un minimo garantito dicendo loro “Guarda, se
finisci prima, vai pure a casa, e avrai avuto la meglio sul sistema”. Beh, il risultato è stato
incredibile. Nel giro di 45 giorni eravamo in anticipo sulla tabella di marcia. E non credo
nemmeno che da parte dei collaboratori si sia trattato di una reazione consapevole.35
Come ha fatto la Federal Express a indurre i suoi collaboratori addetti al carico a passare
da uno sforzo minimo a uno sforzo elevato? In base al modello di Vroom, i lavoratori
studenti esercitavano inizialmente un basso livello di sforzo perché erano pagati a
ore e non a seconda del risultato. Era quindi nel loro interesse lavorare lentamente e
accumulare più ore possibile. Dando loro la possibilità di andare a casa in anticipo
una volta completati i compiti assegnati, la Federal Express ha incentivato uno sforzo
maggiore da pare dei collaboratori. Questo nuovo accordo tra le parti comportava due
risultati valutati positivamente: lo stipendio assicurato e la possibilità di andarsene
prima. La motivazione a impegnarsi di più diventava maggiore rispetto a quella che
spingeva a impegnarsi di meno. Giudicando dai risultati sorprendenti ottenuti dall’azienda, gli studenti lavoratori avevano sia elevate aspettative sforzo → prestazione, sia
una strumentalità positiva prestazione → risultato. Inoltre, uno stipendio garantito e
l’opportunità di andarsene in anticipo comportava evidentemente valenze estremamente
positive per gli studenti lavoratori.
Ricerca sulla teoria dell’aspettativa
e implicazioni a livello manageriale
Molti ricercatori hanno sottoposto a verifica la teoria dell’aspettativa. A sostegno della
teoria, un’analisi comparata condotta su 77 studi ha evidenziato che essa permette di
prevedere in modo significativo la prestazione, lo sforzo, le intenzioni, le preferenze e
CompOrga.indb 175
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176
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
Tabella 8-2 Implicazioni manageriali e organizzative della teoria dell’aspettativa
Implicazioni per i manager
Implicazioni per le organizzazioni
Comprendere i risultati a cui i collaboratori danno valore.
Ricompensare le persone per le prestazioni desiderate e non
tenere segrete le decisioni che riguardano le retribuzioni
Progettare il lavoro in modo sfidante.
Identificare una buona prestazione cosicché i comportamenti
appropriati possano essere premiati.
Assicurarsi che i collaboratori possano raggiungere i livelli
di prestazione previsti.
Collegare i risultati desiderati a livelli di prestazione posti
come obiettivo.
Assicurarsi che le variazioni nei risultati siano di entità
sufficiente a motivare uno sforzo impegnativo.
Monitorare il sistema di ricompense, per evitare le iniquità.
Legare alcune ricompense a risultati di gruppo per incentivare
il lavoro di team e la cooperazione.
Ricompensare i manager che creano, controllano e
mantengono aspettative, strumentalità, e risultati che portano
a grandi sforzi e al raggiungimento degli obiettivi.
Tenere sotto controllo il livello di motivazione
dei collaboratori con interviste o questionari anonimi.
Adattarsi alle differenze individuali rendendo flessibili
i programmi motivazionali.
la scelta.36 In linea generale, l’idea che legare i riconoscimenti a obiettivi mirati eserciti
un’influenza sul comportamento e sugli atteggiamenti gode di un ampio consenso.37
Nonostante tali risultati positivi, la teoria dell’aspettativa è stata criticata per molti
motivi. Ad esempio, perché è difficile da sottoporre a verifica, e le misure utilizzate
per testare l’aspettativa, la strumentalità e la valenza hanno una validità discutibile. In
conclusione, comunque, la teoria dell’aspettativa ha importanti implicazioni pratiche
per i manager dal punto di vista individuale e per le organizzazioni nel loro complesso
(vedi tabella 8-2).
I manager dovrebbero sostenere il legame tra sforzo e prestazione aiutando i collaboratori a raggiungere i loro obiettivi. Questo risultato si può ottenere fornendo loro
supporto e coaching per migliorare la loro auto-efficacia. È inoltre importante che il
manager influenzi le strumentalità del collaboratore e ne monitori le valenze nei confronti di diverse ricompense.
In sintesi, non esiste una ricompensa migliore in senso assoluto: le differenze individuali e le teorie dei bisogni ci dicono che gli individui sono motivati da ricompense
diverse. Per esempio, un’indagine recente su 1047 lavoratori operanti in diversi settori
ha rivelato che gli incentivi non monetari come i complimenti, i riconoscimenti dei
leader e i compiti di coordinamento dei progetti sono più efficaci nel motivare i dipendenti rispetto agli incentivi monetari.38 Questa considerazione è vera anche per voi? A
nostro parere, alcune persone preferiscono i riconoscimenti non monetari, mentre altre
prediligono gli incentivi monetari. I manager dovrebbero quindi legare la prestazione
dei dipendenti a riconoscimenti ritenuti preziosi a prescindere dal tipo di ricompensa
offerto per accrescere la motivazione.
La motivazione attraverso il goal setting
A prescindere dalle personali propensioni, le persone di successo tendono ad avere una
cosa in comune: la loro vita è orientata all’obiettivo. Consideriamo il caso di Mike Proulx:
“Quando, negli anni ’60, Mike era un adolescente e imbustava prodotti alimentari, decise
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8
I fondamenti della motivazione
177
che sarebbe diventato presidente di Bashas. [Bashas è una catena di supermercati non
quotata con oltre 150 punti vendita in Arizona] Da tre anni è questo il suo lavoro. […]
‘Quando avevo 18 anni ho stabilito una serie di obiettivi, prefissandomi che alla tale
età sarei diventato direttore di negozio, poi manager di distretto, vicepresidente e infine
presidente’, racconta Mike.”39 Come modello di processo della motivazione, la teoria
del goal setting spiega come la semplice determinazione di obiettivi attivi un potente
processo motivazionale che determina performance elevate e sostenute. La presente
sezione indaga la teoria e le ricerche legate al goal setting, mentre le applicazioni pratiche sono trattate nel Capitolo 9.
Obiettivi: definizione e antecedenti
Obiettivo: ciò che l’individuo
tenta di realizzare
Edwin Locke, un’autorità nel campo della definizione degli obiettivi, ha dato insieme
ai suoi collaboratori una definizione del termine obiettivo (goal): “ciò che un individuo
sta tentando di realizzare; l’oggetto o scopo di un’azione”.40 L’impatto motivazionale
degli obiettivi di prestazione e dei piani di ricompensa basati sul raggiungimento degli
obiettivi è stato riconosciuto molti anni or sono. All’inizio del XX secolo, Frederick
Taylor tentò di determinare scientificamente quanto lavoro di una certa qualità si possa
assegnare a un individuo giornalmente, proponendo di basare l’assegnazione di bonus
al raggiungimento di uno standard di risultato, come vedremo nella sezione successiva
del presente capitolo. Più di recente, il goal setting è stato promosso grazie all’uso di
una tecnica di management molto diffusa, chiamata management by objectives (MBO).
L’applicazione dell’MBO è delineata nel Capitolo 9.
Come funziona il goal setting?
Nonostante esista un’enorme mole di ricerche e di pratiche che si sono occupate del
goal setting, le teorie sono sorprendentemente scarse. Locke e i suoi seguaci hanno
elaborato però un modello interessante. In base a questo, la definizione degli obiettivi
consta di quattro meccanismi motivazionali.
Gli obiettivi focalizzano l’attenzione Gli obiettivi focalizzano l’attenzione e gli
sforzi verso attività rilevanti per il raggiungimento degli obiettivi stessi, distogliendoli
da quelle irrilevanti. Se, ad esempio, dovete consegnare una tesina tra pochi giorni, i
vostri pensieri tenderanno a rimanere concentrati sul completamento di quel compito.
In realtà, però, spesso lavoriamo al raggiungimento di più obiettivi e diventa essenziale
assegnare le giuste priorità per distribuire efficacemente gli sforzi nel tempo.41
Gli obiettivi regolano lo sforzo Gli obiettivi non solo ci rendono percettivi in modo
selettivo, ma ci motivano anche all’azione. Il termine stabilito dal docente per la consegna della tesina vi spronerebbe a completarla anziché uscire con gli amici, guardare
la televisione o studiare per un altro corso. In generale, il livello di sforzo impiegato è
proporzionale alla difficoltà dell’obiettivo.
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Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
Gli obiettivi aumentano la tenacia Nel contesto della definizione degli obiettivi, la
tenacia rappresenta lo sforzo impiegato per l’esecuzione di un compito sul lungo termine. Correre i 100 metri comporta uno sforzo, mentre correre la maratona comporta un
notevole livello di determinazione. Le persone tenaci tendono a considerare gli ostacoli
come sfide da superare, più che come motivi per non farcela. Un obiettivo difficile, se
importante per un individuo, costituisce un costante promemoria a continuare a impegnarsi nella giusta direzione.
Gli obiettivi incentivano lo sviluppo e l’applicazione di piani d’azione e strategie Se voi siete qui e il vostro obiettivo è da qualche parte là fuori, il problema che
dovete affrontare è superare la distanza che vi separa. Per esempio, pensate alle sfide
legate all’inizio di una nuova attività. Il vostro obiettivo è guadagnare profitti, ampliare
l’attività o fare del mondo un posto migliore? Per raggiungerlo dovrete prendere molte
decisioni e portare a termine numerosissimi compiti. Gli obiettivi possono aiutare, perché incoraggiano le persone a elaborare strategie e piani d’azione che possano metterli
nelle condizioni di raggiungerli. Una serie di studi condotti in Sud Africa, Zimbabwe
e Namibia ha riscontrato che le piccole aziende avevano più probabilità di crescere e
ottenere successo se i proprietari si dedicavano ad attività di “pianificazione complessa
e proattiva.”42
Implicazioni pratiche delle ricerche sul goal setting
Le ricerche confermano in modo coerente il ruolo del goal setting come tecnica motivazionale. Definire degli obiettivi aumenta la prestazione individuale, di gruppo e organizzativa. Gli effetti positivi del goal setting sono stati riscontrati in altri sei paesi oltre
agli Stati Uniti: l’Australia, il Canada, i Caraibi, l’Inghilterra, la Germania Occidentale
e il Giappone. Il goal setting funziona dunque in culture diverse. Da un confronto tra i
numerosi studi che si sono occupati negli ultimi decenni della definizione degli obiettivi
sono emerse cinque riflessioni utili per i manager.
Specificità dell’obiettivo:
quantificabilità di un obiettivo
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1. Obiettivi specifici ed elevati stimolano una performance migliore. La specificità
dell’obiettivo riguarda la sua quantificabilità. Ad esempio, l’obiettivo di vendere
nove auto in un mese è più specifico del semplice “fare del proprio meglio”.
2. Il feedback amplifica gli effetti nel caso di obiettivi specifici e difficili. Il feedback
gioca un ruolo fondamentale nelle nostre vite. Il feedback fa in modo che le persone
capiscano se sono indirizzate al raggiungimento dei propri obiettivi o se sono fuori
strada e devono reindirizzare i loro sforzi. L’approccio consigliato implica quindi
obiettivi accompagnati da feedback. Gli obiettivi danno informazioni sugli standard
di prestazione e sulle aspettative, così che l’individuo riesce a incanalare al meglio
le proprie energie. A sua volta, il feedback fornisce le informazioni necessarie ad
aggiustare la direzione, a calibrare lo sforzo e a elaborare delle strategie adatte alla
realizzazione degli obiettivi.
3. Obiettivi sviluppati in maniera partecipativa, assegnati dall’alto e sviluppati autonomamente hanno la stessa efficacia. Manager e ricercatori sono estremamente
interessati a identificare il modo migliore per definire gli obiettivi. Il quesito è: gli
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8
I fondamenti della motivazione
Piano d’azione: attività e
compiti da portare a termine
per raggiungere un obiettivo
Commitment nell’obiettivo:
quantità di impegno e coinvolgimento dell’individuo nel
raggiungimento di un obiettivo
179
obiettivi vanno determinati insieme, vanno assegnati dall’alto o devono essere sviluppati dal collaboratore stesso? Da una rassegna delle ricerche sulla determinazione
degli obiettivi è emerso che non esiste un approccio significativamente più efficace
degli altri per incrementare la prestazione.43 I manager dovrebbero perciò utilizzare
un approccio legato alla situazione contingente, scegliendo un metodo che si adatti
volta per volta all’individuo e alle circostanze.
4. I piani d’azione facilitano il raggiungimento degli obiettivi. Un piano d’azione
delinea le attività e i compiti da portare a termine per raggiungere un obiettivo. Può
inoltre prevedere date associate al completamento di ciascun compito, risorse necessarie e ostacoli da superare. I piani d’azione possono essere utilizzati dai manager
come strumento per discutere della performance con i collaboratori e dai dipendenti
per monitorare i progressi compiuti verso il raggiungimento dell’obiettivo. Inoltre,
i piani d’azione fungono da promemoria, ricordando su che cosa focalizzare le
energie, e questa funzione determina comportamenti rilevanti per il raggiungimento
dell’obiettivo e del successo, come è stato riscontrato. Nello specifico, la ricerca
ha dimostrato che la determinazione di obiettivi e l’elaborazione di piani d’azione
aiutava gli studenti universitari a migliorare il rendimento accademico.44 Infine, si
consiglia ai manager di incoraggiare i dipendenti a sviluppare autonomamente i piani
d’azione perché questo alimenta un maggiore impegno rispetto al raggiungimento
degli obiettivi e suscita la sensazione di svolgere un lavoro significativo.45
5. Il livello di commitment e gli incentivi monetari influenzano i risultati del goal
setting. Il livello di commitment nell’obiettivo rappresenta la misura in cui
l’individuo è coinvolto personalmente nel raggiungimento dell’obiettivo stesso.
In generale, ci si aspetta che un individuo persista nel tentativo di raggiungere
un obiettivo quando ne è coinvolto. I ricercatori sono convinti che il livello di
commitment moderi la relazione esistente tra la difficoltà dell’obiettivo stesso e la
prestazione. Quindi obiettivi difficili implicano prestazioni migliori solo se i collaboratori sono coinvolti nei loro obiettivi. Si ipotizza invece che obiettivi difficili
portino a prestazioni peggiori se le persone non sono coinvolte nel loro obiettivo.
Il confronto di 21 studi condotti su 2360 persone conferma queste previsioni.46
È inoltre importante notare che la probabilità che un individuo sia coinvolto in
obiettivi complessi è maggiore se ha un alto livello di auto-efficacia nei confronti
della realizzazione dei propri obiettivi.
Analogamente al goal setting, l’utilizzo di incentivi monetari per motivare i collaboratori non viene quasi mai messo in discussione. Purtroppo le ricerche più recenti hanno
rilevato alcune conseguenze negative in situazioni in cui il raggiungimento dell’obiettivo
è connesso agli incentivi individuali. Studi empirici hanno dimostrato che gli incentivi
basati sugli obiettivi producono un maggior livello di commitment solo nel caso di
obiettivi facili. È emersa una certa riluttanza a impegnarsi in obiettivi laboriosi a cui
siano collegati incentivi monetari. Gli individui con un alto livello di commitment relativo all’obiettivo hanno tendenzialmente aiutato meno i propri colleghi nel momento
in cui ricevevano incentivi basati sul raggiungimento di obiettivi individuali difficili.
Venivano inoltre trascurati aspetti del lavoro non legati a obiettivi di performance.47
Infine, un recente sondaggio condotto su 277 dirigenti operanti in settori diversi ha
rivelato che il 51% “ha fatto uno strappo alle regole” per raggiungere gli obiettivi.48
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180
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
Questi risultati suggeriscono che il cieco perseguimento degli obiettivi può favorire
l’insorgere di comportamenti non etici.
Quanto illustrato finora mette in luce alcuni dei rischi legati all’uso di incentivi basati
sugli obiettivi, in particolare per i collaboratori che operano in mansioni complesse e
interdipendenti, che richiedono cooperazione. I manager devono valutare i vantaggi, gli
svantaggi e i dilemmi legati agli incentivi basati sugli obiettivi prima di farvi ricorso.
Motivare i collaboratori attraverso
la riorganizzazione del lavoro
Riorganizzazione del lavoro: cambiare i contenuti
o i processi di un lavoro per
incrementare la soddisfazione
e la performance
Ogni lavoro consiste essenzialmente nel completare dei compiti e la riorganizzazione
del lavoro è mirata ad accrescere la motivazione dei collaboratori modificando il tipo
di compiti che devono portare a termine nello svolgimento del loro lavoro. Il termine
riorganizzazione del lavoro “si riferisce a qualsiasi insieme di attività che comportino
la modifica di determinati compiti o sistemi di compiti interdipendenti allo scopo di
migliorare la qualità del lavoro del collaboratore e quindi la sua produttività”.49 Storicamente, la riorganizzazione del lavoro si è caratterizzata per un approccio top-down,
secondo il quale i manager modificavano i compiti dei dipendenti con l’obiettivo di
accrescere la motivazione e la produttività; in altre parole, la riorganizzazione del lavoro
era guidata dal management. Nell’arco degli ultimi dieci anni, questa prospettiva ha
lasciato spazio a quelli che sono stati definiti approcci bottom-up, basati sull’idea che i
collaboratori possano proattivamente modificare o riorganizzare il proprio lavoro e che
tale processo alimenti la motivazione e l’impegno. Secondo gli approcci bottom-up, il
processo di riorganizzazione del lavoro è guidato dai collaboratori, anziché dal manager. L’approccio più recente alla riorganizzazione del lavoro è un tentativo di fondere
le due prospettive storiche ed è denominato “accordi personalizzati”. Secondo questa
visione, la riorganizzazione del lavoro è un processo nel quale manager e collaboratori
negoziano il tipo di compiti che dovranno essere svolti durante l’attività lavorativa. Il
processo di riorganizzazione del lavoro è dunque gestito congiuntamente da collaboratori e manager. La presente sezione fornisce una panoramica di questi tre approcci
concettualmente diversi alla riorganizzazione del lavoro.50 Una maggiore attenzione
è dedicata alle tecniche e ai modelli top-down perché, essendo stati impiegati per un
periodo di tempo più lungo, sono stati oggetto di un maggior numero di ricerche per
valutarne l’efficacia.
Gli approcci top-down
Secondo la premessa fondamentale alla base degli approcci top-down, il management
è responsabile della creazione di combinazioni di compiti efficienti e significative per i
collaboratori. In teoria, questi ultimi evidenzieranno prestazioni, soddisfazione lavorativa
e coinvolgimento maggiori e un livello più basso di assenteismo e turnover se i manager
svolgono correttamente questo compito. Consideriamo ora i cinque approcci top-down
principali: lo scientific management, l’ampliamento delle mansioni, la rotazione del
lavoro, l’arricchimento del lavoro e il modello basato sulle caratteristiche del lavoro.
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8
I fondamenti della motivazione
Scientific management: utilizzare la ricerca e la sperimentazione per trovare il modo più
efficace di svolgere un compito
Ampliamento delle mansioni: aumentare la varietà di
un lavoro
Rotazione del lavoro: spostare i collaboratori da un lavoro specializzato a un altro
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181
Scientific management Lo scientific management trae spunto dalla ricerca nel campo
dell’ingegneria industriale ed è fortemente influenzato dall’opera di Frederick W. Taylor.
Quest’ultimo, un ingegnere meccanico, elaborò i principi dello scientific management
lavorando alla Midvale Steel Works e alla Bethlehem Steel, in Pennsylvania. Egli partì
dall’osservare un basso livello di cooperazione tra manager e collaboratori, e scoprì che
questi ultimi avevano bassi livelli di risultati perché impegnati a limitare deliberatamente
la produzione, metodo che Taylor definì “da scansafatiche sistematico”. L’interesse dello
studioso per lo scientific management nacque proprio dal suo desiderio di migliorare
questo tipo di situazione.
Lo scientific management è “quel tipo di management che ricerca modalità standard per condurre un’azienda derivate dall’osservazione precisa della realtà, e stabilite
attraverso un processo sistematico di osservazione, sperimentazione e ragionamento”.51
L’approccio di Taylor si focalizzava sull’utilizzo di ricerca e sperimentazione per determinare il modo più efficiente per eseguire un determinato compito. L’applicazione dello
scientific management implica cinque fasi: (1) sviluppo di metodi standardizzati per l’esecuzione dei compiti, ottenuti attraverso studi sulla velocità dei gesti e il movimento, (2)
selezione attenta dei collaboratori dotati delle capacità adeguate al compito in questione,
(3) addestramento dei collaboratori all’utilizzo di metodi e procedure standardizzate,
(4) supporto al personale per ridurre le interruzioni e (5) offerta di incentivi legati alla
prestazione.52 Un lavoro organizzato in base ai principi dello scientific management
risulta altamente specializzato e standardizzato, perciò questo tipo di approccio mira a
ottenere efficienza, flessibilità e produttività.
Organizzare il lavoro in ottemperanza ai principi dello scientific management comporta aspetti sia positivi sia negativi. Conseguenze positive sono sicuramente l’incremento di efficienza e di produttività. D’altro canto, però, la ricerca rivela che l’impiego
in occupazioni semplificate e ripetitive può causare nel collaboratore insoddisfazione,
riduzione dell’equilibrio psichico, alti livelli di stress e poco senso di realizzazione e
crescita personale.53 Questo tipo di conseguenze negative ha preparato il terreno ai
quattro approcci top-down illustrati di seguito.
Job enlargement Questa tecnica fu usata per la prima volta verso la fine degli anni
’40, in reazione alle lamentele dovute a lavori eccessivamente specializzati e noiosi.
L’ampliamento delle mansioni (job enlargement) consiste nell’apportare maggiore
varietà al lavoro, combinando mansioni specializzate di difficoltà simili. Alcuni definiscono quest’operazione sviluppo orizzontale del lavoro. I ricercatori raccomandano di
utilizzare questo metodo nell’ambito di un più ampio approccio, composto da molteplici
metodi motivazionali, perché di per sé non determina un effetto positivo significativo
e duraturo sulla prestazione lavorativa.54
Job rotation Come nel caso dell’ampliamento delle mansioni, lo scopo di questa
tecnica è quello di dare più varietà al lavoro. La rotazione del lavoro (job rotation)
richiede che i collaboratori si spostino da una postazione specializzata a un’altra. Essi
hanno quindi l’opportunità di svolgere due o più compiti diversi a rotazione, anziché
svolgere sempre lo stesso. I manager sono convinti di riuscire, spostando i propri collaboratori da una postazione all’altra, a stimolare l’interesse e la motivazione personali,
fornendo loro, nello stesso tempo, una prospettiva più ampia dell’organizzazione in
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182
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
cui operano. La Tata Consulting Services (TCS), per esempio, utilizza la rotazione del
lavoro per favorire lo sviluppo dei collaboratori ed esporli a esperienze internazionali.
La job rotation comporta anche altri vantaggi: la flessibilità del lavoratore aumenta e
la programmazione risulta facilitata, perché ogni persona può svolgere compiti diversi.
Le organizzazioni ricorrono alla rotazione del lavoro come strumento per assegnare
ai collaboratori lavori a loro scelta. L’idea è che lasciando ai dipendenti la libertà di
scegliere il proprio lavoro è possibile ottenere una riduzione del tunorver e una crescita
della performance. Nonostante le esperienze positive di aziende come la TCS, non è
possibile trarre conclusioni certe sull’uso della job rotation perché non ci sono ancora
ricerche accurate che possano suffragare completamente tale visione.
Arricchimento del lavoro:
creare realizzazione e riconoscimento, stimolare il lavoro,
la responsabilità e gli avanzamenti di carriera
Motivazione intrinseca: motivazione causata da sensazioni interne positive
Dimensioni fondamentali
del lavoro: caratteristiche del
lavoro riscontrabili in quantità
variabili in qualsiasi tipo di
occupazione
Job enrichment Il job enrichment è l’applicazione pratica della teoria dei fattori
duali, motivanti e igienici, elaborata da Frederick Herzberg già illustrata in questo
capitolo. Specificamente, l’arricchimento del lavoro (job enrichment) consiste nella
modificazione delle condizioni di lavoro in modo da dare la possibilità al collaboratore
che lo svolge di realizzarsi e sperimentare riconoscimento, esecuzione di un compito
stimolante, responsabilità e avanzamento di carriera. Tali caratteristiche sono incorporate
in un determinato lavoro attraverso uno sviluppo verticale, che consiste nell’affidare
maggiori responsabilità e autonomia al singolo. Intuit, per esempio, cerca di ottenere
questo risultato “incoraggiando i collaboratori a prendersi settimanalmente quattro ore
di ‘tempo non strutturato’ da dedicare ai propri progetti e a ‘idea jam’, durante i quali
i team presentano nuove idee con l’obiettivo di ottenere premi”.55
Il modello basato sulle caratteristiche del lavoro Due ricercatori di comportamento
organizzativo, Hackman e Oldham, hanno giocato un ruolo di primo piano nell’elaborazione dell’approccio fondato sulle caratteristiche del lavoro. I due hanno cercato di
determinare in che modo si possa strutturare il lavoro per motivare intrinsecamente o
internamente il personale. La motivazione intrinseca entra in gioco quando un individuo è “ben disposto nei confronti di un lavoro in conseguenza di positive sensazioni
interne generate dal fare bene il proprio lavoro e non dipendenti da fattori esterni (come
incentivi o approvazione del capo)”.56 La motivazione intrinseca è strettamente allineata
al concetto di coinvolgimento del personale, esaminato nel Capitolo 6. Tali sensazioni
positive danno vita a un ciclo di motivazione che si autoalimenta. Come si vede in figura 8-4, la motivazione lavorativa interna è determinata da tre stati psicologici, a loro
volta favoriti dalla presenza di cinque dimensioni lavorative fondamentali. L’oggetto
di questo approccio è la promozione di una elevata motivazione interna, che si realizza
tramite un disegno organizzativo che possegga tutte e cinque le caratteristiche lavorative
illustrate in figura 8-4; andiamo a esaminarle.
In termini generali, si definiscono dimensioni fondamentali del lavoro le caratteristiche comuni riscontrabili in vari gradi in qualsiasi lavoro. Tre delle caratteristiche
descritte nella figura 8-4 si combinano definendo il significato attribuito al proprio lavoro
(ovvero la sensazione che il proprio lavoro sia importante):
• Varietà delle abilità richieste. Misura quanto un lavoro richieda all’individuo di
eseguire diversi compiti, per i quali è tenuto a utilizzare abilità e capacità diverse.
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8
I fondamenti della motivazione
183
Stati
psicologici
critici
Caratteristiche
fondamentali
del lavoro
• Varietà delle abilità
richieste
• Identità del task
• Significatività del task
• Significato attribuito
al proprio lavoro
• Responsabilità esperita
sulle conseguenze
del lavoro
• Conoscenza
dei risultati effettivi
delle attività lavorative
• Autonomia
• Feedback
Risultati
• Alta motivazione
intrinseca nei confronti
del lavoro
• Alta soddisfazione
legata allo sviluppo
• Alta soddisfazione
lavorativa generale
• Alta efficienza
lavorativa
Moderatori
1. Conoscenze e abilità
2. Forza del bisogno
di crescita
3. Soddisfazioni provenienti
dal contesto
Figura 8-4 Modello della caratteristiche del lavoro
Fonte: J.R. Hackman e G.R. Oldham, Work Redesign, © 1980,Addison-Wesley Publishing Co., Reading, MA, p. 90. Riprodotto su autorizzazione.
•
Identità del task. Misura quanto un task sia eseguito in modo completo da un individuo. In altre parole, l’identità del task è alta se la persona lavora su un prodotto o
progetto dall’inizio alla fine, vedendone il risultato tangibile.
• Significatività del task. Misura quanto gli effetti di un lavoro si estendano sulla vita
di altre persone all’interno o all’esterno dell’organizzazione.
La responsabilità esperita (ovvero il fatto di sentire la responsabilità per i risultati del lavoro
che si svolge) deriva da una caratteristica detta autonomia, che può essere così definita:
•
Autonomia. Misura quanto il lavoro dia la possibilità a un individuo di sperimentare
libertà, indipendenza e arbitrio, sia nella programmazione che nella scelta delle
procedure da utilizzare per l’esecuzione del compito affidato.
Infine, la conoscenza dei risultati è data dalle caratteristiche del feedback, che si può
definire come segue:
•
CompOrga.indb 183
Feedback. Misura quanto un individuo riceva informazioni chiare e dirette sull’efficacia del compito che sta svolgendo.57
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184
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
Hackman e Oldham hanno riconosciuto che nessuno desidera un lavoro che contenga
tutte e cinque le caratteristiche fondamentali a livello elevato, conclusione che i due
studiosi hanno poi integrato nel modello, identificando i tre attributi che influenzano il
modo in cui gli individui reagiscono al job enrichment. Questi attributi hanno a che fare
con le conoscenze e le abilità di ciascuno, la forza del bisogno di crescita (che rappresenta
il desiderio di crescere come individuo) e le soddisfazioni contestuali (vedi il riquadro
“moderatori” di figura 8-4). Le soddisfazioni provenienti dal contesto rappresentano la
misura in cui i collaboratori sono soddisfatti dai vari aspetti del loro lavoro, ad esempio
la remunerazione, i colleghi e i superiori.
La ricerca mette in luce tre implicazioni pratiche associate all’applicazione del
modello basato sulle caratteristiche del lavoro. Anzitutto, i manager possono servirsi
del modello per incrementare la soddisfazione lavorativa dei propri collaboratori. In
secondo luogo, è possibile migliorare la motivazione intrinseca, il coinvolgimento nel
lavoro e la performance e ridurre l’assenteismo e lo stress incrementando le caratteristiche fondamentali del lavoro. Infine, è molto probabile che i manager riscontrino un
elevato miglioramento qualitativo della performance dopo un programma di riorganizzazione del lavoro.
Gli approcci bottom-up
Job crafting: comportamenti
proattivi e flessibili mirati a
modificare la natura del proprio lavoro
CompOrga.indb 184
Come suggerito dalla stessa espressione “bottom-up”, questo approccio alla riorganizzazione del lavoro, denominato job crafting, è gestito dai collaboratori anziché dai
manager. Il job crafting è definito come “l’insieme delle modifiche fisiche e cognitive
che gli individui apportano ai limiti tecnici e relazionali del proprio lavoro”.58 In questo
modello i collaboratori sono considerati “gli artefici del lavoro”, perché hanno il compito
di stabilirne e definirne i confini. In questo senso, tale approccio alla riorganizzazione
del lavoro rappresenta un insieme di comportamenti proattivi e flessibili, mirati a modificare i compiti, i rapporti e le cognizioni associate al lavoro. La tabella 8-3 definisce
e illustra le tre forme principali di job crafting.
La prima consiste nel modificare i confini dei propri compiti, alterandone l’ampiezza
o la natura, oppure ancora incrementando o diminuendo le attività. Questo è illustrato
nell’esempio in cui gli ingegneri svolgono più attività di tipo relazionale per portare a
termine i progetti. La seconda forma di job crafting riportata nella tabella 8-3 comporta
la modifica dell’aspetto relazionale del lavoro: nello specifico, si può alterare la quantità
e la qualità delle interazioni con gli altri nell’ambiente di lavoro, oppure si possono
instaurare rapporti nuovi. Un esempio in tal senso può essere un dipendente ospedaliero
addetto alla pulizie che interagisce con i pazienti, sentendo così di poter determinare un
effetto sulle cure. Infine, il job crafting cognitivo implica una modifica della percezione
e delle convinzioni circa i compiti e i rapporti umani associati al lavoro. Per esempio,
un’infermiera può considerare la corretta gestione dell’archivio e dei documenti un
aspetto essenziale di un servizio sanitario di alta qualità, non un compito che sottrae
tempo alla cura dei pazienti.
La colonna finale della tabella 8-3 delinea il potenziale impatto del job crafting sulla
motivazione e le performance dei collaboratori. Come potete notare, il job crafting
dovrebbe modificare la percezione del lavoro, generando attitudini più positive con
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8
I fondamenti della motivazione
185
Tabella 8-3 Forme di job crafting
FORMA
ESEMPIO
EFFETTO SUL SIGNIFICATO DEL LAVORO
Modificare il numero, l’ampiezza
e il tipo dei compiti
Ingegneri che svolgono compiti
relazionali nella gestione dei progetti
Modificare la qualità e/o la quantità
delle interazioni con gli altri nel lavoro
Gli addetti alle pulizie negli ospedali
si prendono cura dei pazienti e delle
famiglie, integrandosi nel flusso
di lavoro del reparto in cui operano
Modificare i confini cognitivi
del compito
Gli infermieri si assumono
la responsabilità della gestione
delle informazioni e di altri compiti
“insignificanti” che possono contribuire
a fornire al paziente un trattamento più
adeguato
Il lavoro è portato a termine più
tempestivamente; gli ingegneri
percepiscono un significato diverso del
proprio lavoro, considerandosi i custodi
o i propulsori dei progetti
Gli addetti alle pulizie si percepiscono
come un aiuto per i pazienti; vedono
il lavoro del reparto come un insieme
integrato del quale rappresentano una
parte vitale
Gli infermieri modificano il senso
attribuito al proprio lavoro, sentendosi
paladini dei pazienti oltre che fornitori
di un servizio tecnico di alta qualità.
Fonte: A Wrzesniewski e J E Dutton, “Crafting a Job: Revisioning Employees As Active Crafters of Their Work,” Academy of Management Review, aprile 2001, p. 185.
conseguenti miglioramenti della motivazione, del coinvolgimento e delle prestazioni.
Questa conclusione ha trovato conferma in svariate ricerche preliminari.59
Gli accordi personalizzati
Accordi personalizzati: le
condizioni di impiego sono
negoziate tra i collaboratori e
i manager
CompOrga.indb 185
Quest’ultimo approccio alla riorganizzazione del lavoro rappresenta una via di mezzo
tra i metodi top-down e bottom-up e tenta di superarne i limiti. Per esempio, gli approcci
top-down sono vincolati dal fatto che i manager non riescono sempre a implementare
cambiamenti ottimali nelle caratteristiche del lavoro di tutti i collaboratori. Analogamente, il job crafting è limitato dalla libertà conferita ai dipendenti di modificare il
proprio lavoro. Gli accordi personalizzati (idiosyncratic deals o i-deals) rappresentano “le condizioni di impiego negoziate dai collaboratori, che possono assumere una
molteplicità di forme, dall’orario flessibile allo sviluppo della carriera”.60 Da tempo
i “collaboratori di punta” negoziano contratti o accordi di impiego particolari, ma le
tendenze demografiche e l’evoluzione del lavoro hanno aperto tale opportunità a una
fascia più ampia di lavoratori.
Gli accordi personalizzati tendono a essere caratterizzati da flessibilità individuale,
bisogni di sviluppo e aspetti legati ai compiti specifici. L’obiettivo di tali accordi è
accrescere la motivazione e la produttività concedendo ai collaboratori la libertà di
negoziare relazioni di impiego che ne soddisfino i bisogni e i valori. RSM McGladrey
è un ottimo esempio in tal senso. L’azienda incoraggia e promuove l’applicazione di
accordi personalizzati con i suoi 8000 dipendenti. Cardine del programma della RSM
McGladrey è creare modalità di lavoro innovative e flessibili perché l’aziende ritiene
che tale approccio all’organizzazione del lavoro alimenti il coinvolgimento, la soddisfazione, la produttività dei collaboratori nonché la soddisfazione dei clienti, riducendo
al tempo stesso il turnover. Questa convinzione sembra confermata dai numerosi premi
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186
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
conferiti all’azienda negli ultimi anni: nel 2009 è stata menzionata per la terza volta
nella classifica delle 100 aziende migliori stilata da Working Mother, si è classificata
quinta nella classifica Today 2010 delle 100 migliori aziende e nel 2009 è stata scelta
da BusinessWeek come una delle migliori aziende in cui iniziare la carriera.61
Sebbene questo approccio alla riorganizzazione del lavoro sia troppo recente per
aver generato una mole cospicua di ricerche, i riscontri preliminari sono positivi. Un
recente studio condotto in ospedali statunitensi e tedeschi dimostra che gli accordi personalizzati sono associati a livelli più bassi di stress e maggiori opportunità di svolgere
lavori significativi, determinando un maggiore coinvolgimento del personale.62 Per
determinare in che misura questi risultati incoraggianti siano generalizzabili, occorre
attendere i risultati di future ricerche.
Applicare le teorie motivazionali nell’ambiente di lavoro
Abbiamo aperto questo capitolo notando che motivare i collaboratori è uno dei compiti
essenziali di un buon manager. Premesso questo, i manager sono chiamati ad affrontare
due sfide complesse nell’elaborazione di programmi motivazionali. Innanzitutto, dovendo gestire numerose attività contemporaneamente, molti manager talvolta si sentono
spinti in direzioni diverse e impiegano troppo tempo nella gestione delle emergenze
invece di concentrarsi proattivamente sui bisogni dei collaboratori. Questa situazione
frustrante può incidere negativamente sulla soddisfazione lavorativa e la motivazione
dei manager stessi. È tuttavia essenziale che i manager si dedichino a coltivare la motivazione dei collaboratori con un’attitudine positiva. A proposito di questo tema, Jack e
Suzy Welch ritengono che “il capo non sta facendo bene il suo lavoro se non comunica
a tutti i collaboratori quale sia la loro situazione con chiarezza e dovizia di dettagli” e
che occorre assegnare “premi straordinari per performance straordinarie”.63 In secondo
luogo, i manager devono conoscere metodi diversi dalle ricompense economiche per
motivare i collaboratori. È importante ricorrere a un approccio più ampio e più integrato
per motivare i collaboratori, tenendo conto dei modelli e delle teorie illustrate in questo
capitolo nonché delle idee proposte nei capitoli precedenti. Le organizzazioni possono
aiutare i manager offrendo loro formazione e coaching incentrati su come migliorare
le proprie capacità di motivare i collaboratori.
CompOrga.indb 186
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Migliorare la performance: obiettivi,
feedback, ricompense e rinforzi
9
Quanto è importante conoscere il giudizio sulle proprie prestazioni?
Ileana Buzzi non sapeva cosa pensare.
Era stata convocata dall’Ufficio del Personale e
non aveva assolutamente idea di quale potesse essere
il motivo.
Giovane ingegnere civile, Ileana era stata messa
in staff alla direzione Grandi Opere di una società autostradale di grandi dimensioni. Per due anni dopo la
laurea aveva lavorato in una piccola società di costruzioni, ma con poche possibilità di sviluppo. Era stato
un suo compagno di corso, in partenza per un MBA in
USA, a dirle che l’azienda cercava giovani volonterosi.
Così aveva mandato il curriculum e tutto si era svolto
in modo molto rapido.
Ileana aveva un solo, grande problema: non sapeva
mai esattamente cosa dovesse fare.
La sua posizione era stata creata perché il suo capo,
l’ingegner Giuliani, lamentava un eccessivo carico di
lavoro avendo la sua posizione e un paio d’altre ad
interim.
Giuliani passava in ufficio come una scheggia,
parlava velocemente, le dava qualche indicazione e
poi spariva. Lei aveva iniziato a “inventarsi” il lavoro.
Cercava di capire come potesse aiutare il suo capo,
scriveva progetti che poi rapidamente concordava con
lui, convocava riunioni di cui gli faceva dei brevissimi
report.
Il giorno dopo venne ricevuta dal responsabile della
formazione che in poche parole le disse che, dati i suoi
ottimi risultati, era stata scelta per essere inserita in un
CompOrga.indb 187
programma di sviluppo dei giovani talenti. Il progetto
formativo era veramente interessante: si trattava di dedicare un weekend al mese per sei mesi in una famosa
Business School, dove avrebbe trattato gli argomenti
di cui si sentiva più carente: amministrazione, finanza,
marketing.
Alla fine del colloquio, e delle sue numerose domande, chiese come mai nessuno, nei due anni precedenti, le avesse mai fatto cenno della qualità delle sue
prestazioni.
Il responsabile della formazione parve cadere dalla
nuvole: “Come, Giuliani non le ha mai restituito la
scheda di valutazione delle prestazioni?”
Così, in modo casuale, scoprì che esistevamo delle
modalità di monitoraggio delle prestazioni individuali,
molto schematiche, ma con alcuni feedback interessanti. Poi i singoli responsabili dovevano, in teoria,
farsi carico dei colloqui di valutazione, spiegando le
aree di sviluppo.
“Come crede l’abbiamo scelta? Sapevamo che tutto
stava procedendo al meglio e che le sue competenze
necessitavano di un aggiornamento!”.
Combattuta tra la gioia dell’opportunità che le
veniva offerta e la constatazione desolata che qualche
cosa nella sua organizzazione non funzionava a dovere,
Ileana andò verso l’ufficio di Giuliani, per raccontagli
le novità. Era sicura che lui non ne fosse a conoscenza o, nel caso lo avessero informato, se ne fosse già
dimenticato.
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188
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
A completamento dei contenuti illustrati nelle Parti I e II del libro, questo capitolo è
incentrato su come migliorare la performance lavorativa individuale applicando quanto
abbiamo appreso sulle differenze culturali e individuali, sulla percezione e sulla motivazione. Alcune aziende fanno un ottimo lavoro da questo punto di vista: una cultura
premiante, realmente orientata ai collaboratori, crea una forza lavoro leale e motivata.
Purtroppo la ricerca dimostra che gran parte dei manager si dedica poco a stimolare e
coltivare la prestazione lavorativa. Uno studio avviato nel 1993 e tuttora in corso condotto
da una società di consulenza su oltre 500 manager ha rilevato le seguenti conclusioni:
Solo un manager su 100 fornisce ogni giorno a tutti i diretti collaboratori questi cinque
elementi essenziali:
1. Requisiti di performance e procedure operative standardizzate relative ai compiti e
alle responsabilità.
2. Parametri definiti, obiettivi misurabili e scadenze precise relative a tutti i compiti di
cui il collaboratore è responsabile.
3. Monitoraggio, valutazione e documentazione precisa sulla performance lavorativa.
4. Feedback specifico sulle prestazioni con consigli per migliorare.
5. Ricompense e sanzioni equamente distribuite.1
Gestione delle prestazioni:
ciclo continuo di miglioramento delle prestazioni lavorative mediante goal setting,
feedback e coaching, ricompense e rinforzi positivi
CompOrga.indb 188
Questo tipo di situazione è stata denominata “under-management” dai ricercatori. Le
conseguenze dell’under-management sono tutt’altro che positive: secondo la Society
for Human Resource Management, “i risultati di una recente indagine rivelano che nel
mondo solo un lavoratore su sette è pienamente coinvolto nel suo lavoro. Esiste un’enorme riserva largamente inutilizzata di potenziale performance lavorativa”.2 (Ricordate
quanto illustrato a proposito del coinvolgimento del personale nei Capitoli 1 e 6). Un
approccio completo per attingere a questo enorme potenziale è rappresentato dalla gestione delle prestazioni. La gestione delle prestazioni (performance management) è un
sistema organizzativo mediante il quale i manager integrano le attività di goal setting,
monitoraggio e valutazione, fornendo feedback e attività di coaching e premiando i dipendenti su base costante.3 Si tratta di un approccio in netto contrasto con la discutibile
prassi delle valutazioni annuali della prestazione,4 un’esperienza generalmente poco
soddisfacente per tutte le persone coinvolte.5 Il comportamento organizzativo può fornire
preziosi spunti di riflessione su aspetti essenziali della gestione delle prestazioni come
il goal setting, il feedback e il coaching, le ricompense e i rinforzi positivi.
Come indicato in figura 9-1, le prestazioni lavorative necessitano di un sistema di
supporto. Così come gli astronauti non potrebbero andare in missione nello spazio senza
la protezione e il supporto di una navicella spaziale, le prestazioni lavorative non possono evidenziare buoni risultati in assenza di un sistema di supporto adeguato. Inoltre
è necessario ricorrere alla formazione per colmare eventuali lacune nelle conoscenze
lavorative.6 Anche fattori come la struttura organizzativa, la cultura, la progettazione
delle mansioni e le prassi di supervisione possono agevolare oppure ostacolare la
performance lavorativa. Al centro del modello rappresentato in figura 9-1 si possono
osservare gli aspetti chiave del ciclo di miglioramento della prestazione che esamineremo
in questo capitolo. È importante sottolineare che questo è un ciclo dinamico e continuo
che richiede la supervisione strategica del top management e continue attenzioni.
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9
Migliorare la performance: obiettivi, feedback, ricompense e rinforzi
Fattori
situazionali
Ciclo di miglioramento
della performance
Individuo
• Tratti/caratteristiche
personali
• Capacità/abilità
• Conoscenza
del lavoro
• Motivazione
Organizzazione/
Gruppo di lavoro/
Team
189
Risultati
attesi
Goal
setting
Ricompense
e rinforzi positivi
• Sforzo persistente
• Apprendimento/
crescita personale
• Miglioramento
della performance lavorativa
• Soddisfazione lavorativa
Feedback
e coaching
• Cultura organizzativa
• Progettazione
della mansione
• Qualità
della supervisione
Figura 9-1 Migliorare la performance lavorativa individuale: un processo continuo
Il goal setting
Visibilità: i dipendenti comprendono gli obiettivi strategici dell’organizzazione e sanno
quali azioni intraprendere
A quanto pare, la gestione del goal setting negli ambienti di lavoro andrebbe radicalmente
trasformata: secondo un sondaggio condotto dalla Franklin Covey su un campione di
lavoratori statunitensi, il 56% “non comprende chiaramente gli obiettivi più importanti
dell’organizzazione per la quale lavora” e un sorprendente 81% “non è provvisto di
obiettivi ben definiti”.7 Se anche queste percentuali fossero dimezzate, lo scenario resterebbe comunque molto improduttivo. L’elemento mancante è quello che gli esperti
in materia definiscono visibilità. I dipendenti dotati di una chiara visibilità (line of
sight) comprendono gli obiettivi strategici dell’organizzazione e sanno quali azioni
intraprendere, a livello individuale e come membri di un team.8 Un ottimo esempio in
tal senso è rappresentato dalla Bloomberg LP, l’azienda fondata dal sindaco della città
di New York Michael Bloomberg, che fornisce software e informazioni finanziarie e
conta 9400 collaboratori:
L’azienda segue una politica retributiva molto peculiare, legando il compenso dei dipendenti alla vendita di terminali o, più precisamente, alle installazioni in rete. Il concetto
alla base di questo sistema è che tutti all’interno dell’azienda devono puntare verso un
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190
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
unico obiettivo: vendere più Bloomberg. Per sottolinearlo, negli uffici sono installati
grandi tabelloni elettronici che riportano i dati relativi a vendite e installazioni. Inoltre,
le vendite sono annunciate da una scampanellata, o più di una, se è il caso.9
Per aiutarvi a comprendere pienamente le potenzialità del goal setting, in questa sezione
tracciamo una distinzione tra due tipi di obiettivi, illustriamo il management by objectives e spieghiamo come gestire il processo di goal setting.
Due tipi di obiettivi
Obiettivo di risultato delle prestazioni: mira al raggiungimento di uno specifico
risultato
Obiettivo di apprendimento: mira a sviluppare la creatività e le abilità
Gli esperti in materia di goal setting hanno tracciato un’interessante distinzione tra
obiettivi di risultato delle prestazioni e obiettivi di apprendimento. Un obiettivo di
risultato delle prestazioni è mirato al raggiungimento di uno specifico risultato finale,
mentre un obiettivo di apprendimento è mirato a sviluppare la creatività e le abilità.
Generalmente, nel tentativo di spronare i dipendenti a impegnarsi di più per il raggiungimento dei risultati, i manager pongono un’enfasi eccessiva sugli obiettivi del primo
tipo, ignorando quelli del secondo tipo. Tuttavia, per i dipendenti privi delle abilità
richieste, gli obiettivi di risultato delle prestazioni risultano frustranti più che motivanti;
in caso di carenza di capacità, occorre mettere a punto un processo di sviluppo nel quale
gli obiettivi di apprendimento risultano prioritari rispetto agli obiettivi di risultato delle
prestazioni. I ricercatori Gerard Seijts e Gary Latham illustrano il concetto mediante
un’analogia con il golf:
Un obiettivo di risultato delle prestazioni spesso distoglie l’attenzione dall’apprendimento
di strategie rilevanti per il compito. Nel golf, per esempio, ponendo come obiettivo per
dei principianti un punteggio di 95, si potrebbe impedire loro di concentrarsi sull’apprendimento dello swing, dello spostamento del peso e dell’uso delle mazze giuste per
totalizzare quel punteggio […] In sintesi, il golfista alle prime armi deve imparare a
giocare prima di preoccuparsi di raggiungere un risultato ambizioso (per esempio, un
punteggio di 95).10
Lo stesso discorso si applica alla carriera universitaria (e alla vita in genere). Dato che
circa il 25% degli studenti statunitensi iscritti a corsi di laurea quadriennali abbandona
gli studi, le capacità di goal setting devono essere curate con più attenzione. Uno studio
recente condotto su un campione casuale di studenti che incontravano difficoltà nel
percorso di studi ha dimostrato quanto sia importante insegnare come stabilire efficacemente obiettivi di apprendimento e obiettivi di risultato delle prestazioni e integrarli.
Un tutorial online intensivo su come definire e raggiungere obiettivi personali ha determinato significativi miglioramenti del rendimento accademico dopo quattro mesi. I
ricercatori hanno descritto sinteticamente il tutorial come “un intervento rapido, efficace
e conveniente per studenti universitari in difficoltà”.11
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9
Migliorare la performance: obiettivi, feedback, ricompense e rinforzi
191
Il management by objectives
Management by objectives: sistema manageriale che
implica la partecipazione nel
processo decisionale, nella
definizione degli obiettivi e
nel feedback
L’impatto motivazionale degli obiettivi di prestazione e dei piani di ricompensa basati sul
raggiungimento degli obiettivi è stato riconosciuto molti anni or sono. Oltre un secolo fa,
Frederick Taylor tentò di determinare scientificamente quanto lavoro di una certa qualità
si possa assegnare a un individuo giornalmente, proponendo di basare l’assegnazione
di bonus al raggiungimento di uno standard di risultato specifico. A partire dagli anni
’50, il goal setting è stato promosso grazie all’uso di una tecnica di management molto
diffusa, chiamata management by objectives (MBO). Il management by objectives è
un sistema che implica la partecipazione nel processo decisionale, nella determinazione
degli obiettivi e nel feedback sugli stessi.12 Il concetto chiave dell’MBO, cioè fare in
modo che ciascun collaboratore “possieda” una parte dello sforzo collettivo, è evidente
in questo consiglio offerto di recente dal dirigente della Google Paul Russell:
Aiutate i vostri collaboratori a tracciare i loro obiettivi. Chiedete loro di applicare queste
aspirazioni alle attività quotidiane. In questo modo, ne svilupperete il senso di affiliazione
all’azienda e farete sentire loro che ne fanno parte. E si convinceranno che non devono
andare via per soddisfare le ambizioni personali.13
Un’analisi comparata sui programmi di MBO ha dimostrato che la produttività é migliorata in 68 aziende su 70. Nello specifico, i risultati hanno rivelato un guadagno
medio di produttività pari al 56% in corrispondenza di alti livelli di impegno da parte
del management. Il guadagno medio si è aggirato invece intorno al 6% in caso di scarso impegno. Un’ulteriore analisi comparata condotta su 18 studi ha inoltre dimostrato
che la soddisfazione del lavoratore è correlata in modo significativo all’impegno del
management rispetto all’applicazione dell’MBO.14 Questi sorprendenti risultati sono
ridimensionati dai problemi etici derivanti da una pressione estrema per il raggiungimento dei risultati, come nel caso della IndyMac Bancorp, una società di prestiti
ipotecari salvata dal governo statunitense durante la crisi finanziaria del 2008. Secondo
un investigatore, “i vertici esercitavano pressione affinché si accordassero quanti più
prestiti possibile, ignorando le conseguenze”.15 I programmi di MBO validi sul piano
etico uniscono obiettivi di apprendimento e obiettivi di risultato della prestazione legati
a standard etici elevati.
Gestire il processo del goal setting
Tre sono i passaggi fondamentali da seguire per applicare un piano di goal setting.16
Mancanze in uno dei passaggi non si compensano con impegno negli altri due. I tre
passaggi devono quindi essere eseguiti in modo sistematico.
Fase 1: definire gli obiettivi Che gli obiettivi siano imposti o, preferibilmente, stabiliti in maniera partecipativa attraverso un confronto aperto con il manager, dovrebbero
essere “SMART”. SMART è un acronimo che sta per Specifico, Misurabile, Attuabile,
orientato al Risultato e legato al Tempo. La tabella 9-1 contiene una serie di indicazioni per la definizione di obiettivi SMART. Ci sono inoltre due ulteriori consigli per
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Parte II
192
Tabella 9-1
Linee guida per la
definizione di obiettivi
SMART
Fonte: A.J. Kinicki, Performance
Management Systems
(Superstition Mt., AZ: Kinicki and
Associates Inc., 1992), pp. 2-9.
Riprodotto su autorizzazione; tutti
i diritti riservati.
Specifico
Misurabile
Attuabile
Orientato al risultato
Legato al tempo
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
Gli obiettivi devono essere definiti in termini precisi e non vaghi. Ad
esempio, un obiettivo che stabilisce 20 ore di formazione tecnica per
ciascun collaboratore è più specifico di un obiettivo che impone al
manager di inserire quante piú persone nei corsi di formazione. Quando è
fattibile, l’obiettivo va quantificato.
È necessario disporre di uno strumento di misurazione per valutare la
misura in cui un obiettivo è raggiunto. Gli obiettivi devono quindi essere
misurabili. È peraltro difficile considerare l’aspetto qualitativo dell’obiettivo
quando si stabiliscono dei criteri di misurazione. Ad esempio, se l’obiettivo
è quello di completare uno studio a livello manageriale dei metodi per
incrementare la produttività, è necessario considerare come misurare
la qualità dello sforzo. Gli obiettivi andrebbero definiti considerando la
relazione tra quantità e qualità del risultato.
Gli obiettivi dovrebbero essere realistici, complessi ma attuabili. Obiettivi
impossibili riducono la motivazione, perché le persone non amano fallire.
È necessario ricordare che ognuno ha un livello diverso di capacità e abilità.
Gli obiettivi aziendali dovrebbero orientarsi ai risultati finali che
sostengono la visione dell’organizzazione. A loro volta, gli obiettivi
individuali dovrebbero sostenere direttamente il raggiungimento di
obiettivi aziendali. Le attività facilitano il raggiungimento degli obiettivi e
vengono descritte all’interno dei piani d’azione. Per focalizzare gli obiettivi
sui risultati desiderati, gli obiettivi dovrebbero iniziare con la parola per,
seguita da verbi come completare, acquisire, produrre, incrementare, e
diminuire. Verbi come sviluppare, condurre, applicare, o monitorare implicano
attività e non dovrebbero essere utilizzati all’interno di definizioni di
obiettivi.
Gli obiettivi contengono indicazioni specifiche riguardo al loro raggiungimento.
la Fase 1. Innanzitutto, di fronte a compiti complessi, i collaboratori devono ricevere
formazione sulle tecniche di risoluzione dei problemi e sullo sviluppo di piani d’azione
mirati al raggiungimento della prestazione. I piani d’azione permettono di specificare
le strategie o tattiche che devono essere messe in atto per raggiungere un obiettivo. Per
fare un esempio molto semplice, una persona potrebbe porsi l’obiettivo di perdere 5
chili in due mesi seguendo un piano d’azione che prevede camminare 30 minuti ogni
giorno ed evitare dolci e snack in tarda serata.
Seconda osservazione, potrebbe rendersi necessario stabilire obiettivi diversi per
collaboratori che svolgono lo stesso incarico, per via delle differenze individuali. Per
esempio, da uno studio condotto su 103 studenti di economia, è emerso che gli individui molto coscienziosi avevano una motivazione maggiore, un più alto livello di
commitment nei confronti dell’obiettivo, e riuscivano a ottenere voti migliori rispetto
ai colleghi meno coscienziosi.17
L’orientamento della persona nei confronti dell’obiettivo è una caratteristica individuale molto importante da tenere presente nella definizione degli obiettivi. Esistono
tre tipologie di orientamento all’obiettivo: la tendenza all’obiettivo di apprendimento,
la tendenza positiva all’obiettivo di prestazione e la tendenza negativa all’obiettivo di
prestazione. Un gruppo di ricercatori ha così descritto le differenze e le implicazioni
che esse comportano nella definizione degli obiettivi:
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9
Migliorare la performance: obiettivi, feedback, ricompense e rinforzi
193
Le persone con una marcata tendenza all’obiettivo di apprendimento considerano le
abilità elementi flessibili e si sforzano non solo di raggiungere gli obiettivi contestuali,
ma anche di sviluppare le capacità per lo svolgimento di compiti futuri. Le persone con
una spiccata tendenza positiva all’obiettivo di prestazione tendono a concentrarsi sulla
performance e cercano di dimostrare le proprie capacità ottenendo risultati migliori
rispetto agli altri. Infine, gli individui che evidenziano una forte tendenza negativa
all’obiettivo di prestazione si concentrano sulla performance nel tentativo di evitare i
risultati negativi.18
Nonostante una serie di studi abbia dimostrato che le persone orientate all’apprendimento
si pongono obiettivi più elevati, si impegnano di più, pianificano meglio e raggiungono migliori livelli di prestazione rispetto agli individui caratterizzati da una tendenza
positiva o negativa all’obiettivo di prestazione, altre ricerche evidenziano un insieme
di relazioni più complesso.19 La raccomandazione da ricordare è che gli orientamenti
all’obiettivo sono importanti ed è bene tenere conto delle differenze individuali durante
il processo di definizione degli obiettivi.
Fase 2: promuovere il commitment nei confronti dell’obiettivo Ottenere il commitment è importante perché i collaboratori sono più motivati a perseguire obiettivi che
ritengono ragionevoli, raggiungibili ed equi. È possibile aumentare il commitment nei
confronti dell’obiettivo applicando le seguenti linee guida:
Scale di obiettivi: catene di
obiettivi con difficoltà e sfide
progressive
1. Spiegare perché l’organizzazione applica un programma completo di goal setting.
2. Creare una visibilità chiara illustrando gli obiettivi aziendali e collegando ad essi gli
obiettivi individuali. Jeroen van der Veer, CEO di Royal Dutch Shell, consiglia: “Il
compito dei leader è semplificare.”20 A suo parere, non dovrebbero occorrere più di
due minuti per comunicare la direzione strategica dell’organizzazione.
3. Consentire ai collaboratori di partecipare alla definizione dei loro obiettivi e di
elaborare autonomamente i piani d’azione. Incoraggiarli a porsi obiettivi sfidanti e
ambiziosi. Gli obiettivi dovrebbero essere difficili ma non impossibili.21
4. Favorire la crescita personale chiedendo ai collaboratori di elaborare scale di obiettivi, cioè catene di obiettivi con difficoltà e sfide progressive.
Recenti ricerche sulle scale di obiettivi illustrano la differenza sostanziale tra concentrarsi sugli obiettivi raggiunti oppure su quelli ancora da raggiungere. Nello specifico,
concentrarsi sugli obiettivi della scala già raggiunti favorisce un senso di soddisfazione,
mentre focalizzare l’attenzione sugli obiettivi da raggiungere motiva a un livello più alto
di achievement. Le persone con un’accentuata propensione all’achievement sono brave
a spostare strategicamente l’attenzione dai successi ottenuti (per trarne soddisfazione)
alle sfide ancora da affrontare (per essere motivati a lavorare con più impegno).22 E voi
avete una scala di obiettivi? Il vostro sguardo è orientato al passato o al futuro?
Fase 3: fornire sostegno e feedback La fase 3 richiede che si aiutino i collaboratori
a raggiungere i rispettivi obiettivi. Ecco alcune linee guida da seguire:
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Parte II
194
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
• Garantire che ogni collaboratore abbia le abilità e le informazioni necessarie per
raggiungere i propri obiettivi. Il concetto si riassume perfettamente nell’affermazione di due esperti di definizione degli obiettivi: “La motivazione non serve a niente
senza la conoscenza”.23 Spesso è necessario un periodo di formazione per aiutare i
collaboratori a raggiungere obiettivi difficili e costruire scale di obiettivi.
• Badare alle percezioni dei collaboratori nei confronti delle aspettative impegno →
prestazione, auto-efficacia percepita e preferenze rispetto alla ricompensa, e tenerle
in debito conto.
• Essere di sostegno ai collaboratori, conferire loro maggiore autonomia man mano
che crescono e non utilizzare gli obiettivi come minaccia nei loro confronti.
• Fornire feedback al momento giusto, che sia di tipo specifico (conoscenza dei risultati), per capire come stanno procedendo.
• Fornire incentivi monetari e non monetari e premiare sia il raggiungimento degli
obiettivi che i progressi significativi.24
Il feedback
Il forte desiderio dei collaboratori di ricevere un feedback spesso non viene esaudito:
secondo un sondaggio “il 43% dei lavoratori sente di non essere sufficientemente guidato
nel miglioramento della performance”.25 Anche gli studenti orientati al risultato cercano
un feedback.26 Dopo un esame difficile, ad esempio, uno studente desidera sapere due
cose: come è andato e come sono andati gli altri. Il feedback dell’insegnante, permettendo
allo studente di conoscere il proprio risultato sia in base a standard di confronto che in
senso assoluto, gli dà la possibilità di adattare le proprie abitudini di studio in modo da
raggiungere gli obiettivi desiderati. Analogamente, nelle aziende ben gestite un manager fa seguire alla definizione degli obiettivi un programma di feedback che fornisca
una base razionale per eventuali adattamenti e miglioramenti. Vediamo, ad esempio, le
osservazioni di Fred Smith, fondatore e amministratore delegato della Federal Express,
azienda leader delle consegne veloci con un fatturato di oltre 35 miliardi di dollari e
più di 247.000 dipendenti.27 L’esperienza vissuta tra i marines come comandante di
compagnia durante la guerra in Vietnam ha forgiato il suo stile di comando.
La mia filosofia di leadership è una sintesi dei principi insegnati dai marines e da tutte le
organizzazioni negli ultimi 200 anni. Quando una persona entra da quella porta, vuole
sapere: che cosa ti aspetti da me? Cosa ne ricavo io? Che cosa devo fare per andare
avanti? A chi mi rivolgo per ottenere giustizia se vengo trattato in modo inadeguato?
Tutti vogliono sapere se stanno lavorando bene e desiderano un feedback. Inoltre vogliono sapere che il loro contributo è importante per il raggiungimento del risultato. Se
si utilizzano questi basilari principi di leadership e si risponde continuamente a questo
tipo di domande, si riuscirà a gestire bene le persone.28
Feedback: informazione oggettiva sulla performance
CompOrga.indb 194
Nel senso in cui è utilizzato in questo contesto, il feedback rappresenta un’informazione oggettiva su una performance individuale o di gruppo. Affermazioni soggettive
come “stai lavorando male”, “sei troppo pigro” o “apprezziamo molto il tuo impegno”
non si qualificano come feedback oggettivi. Sono invece utilizzabili nei programmi di
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9
Migliorare la performance: obiettivi, feedback, ricompense e rinforzi
195
feedback oggettivo dati concreti come unità vendute, giorni di assenza, denaro risparmiato, progetti portati a termine, clienti soddisfatti e scarti di produzione. Christopher
D. Lee, autore del libro Performance Conversations: An Alternative to Appraisals,
chiarisce il concetto di feedback confrontandolo con la valutazione della prestazione:
• Il feedback è lo scambio di informazioni sullo status e la qualità dei risultati del
lavoro. Fornisce una mappa per il successo e viene impiegato per motivare, sostenere, guidare, correggere e regolare l’impegno nel lavoro e i risultati. Garantisce
inoltre che il manager e i dipendenti siano in sintonia e concordino sugli standard e
le aspettative legati al lavoro da svolgere.
• Le valutazioni tradizionali, al contrario, scoraggiano la comunicazione bidirezionale
e attribuiscono una valenza negativa al coinvolgimento dei collaboratori. I dipendenti
sono scoraggiati dal partecipare alla verifica della prestazione e, nei casi in cui lo
fanno, le loro risposte sono spesso considerate “confutazioni”.
• Per evitare questo genere di situazioni, la gestione efficace delle prestazioni deve
prevedere un sano grado di feedback e coinvolgimento dei collaboratori.29
Due funzioni del feedback
Gli esperti dicono che il feedback ha due funzioni per chi lo riceve, una istruttiva e
l’altra motivazionale. Il feedback è istruttivo se chiarisce i ruoli o se insegna un nuovo
comportamento. È un caso che si verifica, ad esempio, quando si consiglia a un assistente
contabile di registrare una certa somma come capitale e non come spesa. Il feedback,
invece, funziona da motivatore quando si qualifica come ricompensa o promessa di
ricompensa.30
Potrebbe fungere da ricompensa il fatto che il capo comunichi che un progetto difficile a cui si è lavorato è giunto a conclusione. Come emerge dalle ricerche, la funzione
motivazionale del feedback può essere aumentata in modo significativo associando
obiettivi complessi e specifici a specifici feedback sui risultati.31 Tenendo a mente le due
funzioni del feedback, passiamo a esaminare il ruolo cruciale dei riceventi del feedback,
alcune implicazioni pratiche della ricerca sul feedback, il feedback a 360 gradi e l’uso
del feedback a fini di coaching.
I riceventi del feedback sono pronti, disponibili e capaci?
La saggezza popolare sostiene che più feedback i membri di un’organizzazione ricevono,
meglio è. Ne deriva la convinzione che il feedback funzioni da solo, e che i manager
debbano semplicemente essere motivati a darlo. Da una meta-analisi su 23.663 casi,
però, emerge che l’efficacia del feedback non è automatica. Di certo il suo influsso sulla
performance si è rivelato in generale positivo, ma la performance è diminuita in oltre il
38% dei casi;32 inoltre, il feedback può essere distorto da fattori che nulla hanno a che
vedere con il lavoro, come ad esempio l’appartenenza razziale. Alla Stanford University
sono stati esaminati i feedback dati da ragazzi appartenenti a una razza sul contenuto
(feedback soggettivo) e sulla tecnica di scrittura (feedback oggettivo) di tesine scritte
CompOrga.indb 195
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196
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
da coetanei della stessa razza o di una razza diversa. Ne è emerso che gli studenti bianchi davano feedback soggettivi meno critici agli afro-americani rispetto a quelli che
davano a colleghi bianchi. Tale pregiudizio razziale positivo scompariva nel feedback
oggettivo.33 Questi risultati impongono una certa cautela a chi desideri migliorare la
performance lavorativa utilizzando il feedback, in quanto il feedback soggettivo viene
facilmente contaminato da fattori situazionali. Se, inoltre, si vuole far funzionare un
feedback oggettivo come previsto, i manager devono comprendere l’interazione tra le
persone che lo ricevono e l’ambiente in cui operano.
Le caratteristiche del ricevente Caratteristiche della personalità, come l’autostima e l’auto-efficacia, possono aiutare od ostacolare la disposizione della persona
nei confronti del feedback. Chi ha un basso livello di autostima e di auto-efficacia
generalmente non cerca in modo attivo un feedback che, purtroppo, andrebbe quasi
sicuramente ad aggravare le sue difficoltà. Anche bisogni e obiettivi influenzano
l’apertura della persona al feedback. Da una ricerca di laboratorio è emerso che gli
studenti giapponesi di psicologia che registravano un punteggio elevato relativamente
al bisogno di realizzazione rispondevano in modo più favorevole al feedback rispetto
ai colleghi con minori bisogni di realizzazione.34 Probabilmente lo stesso vale anche
nelle culture occidentali. Ad esempio, è stato rilevato che 331 appartenenti al settore
marketing di un’azienda di servizi pubblici statunitense cercavano un feedback su
questioni importanti o di fronte a situazioni incerte. I collaboratori con una anzianità
più elevata cercavano meno il feedback rispetto ai colleghi occupati da meno tempo.35
Inoltre, gli individui con alti livelli di auto-osservazione, i camaleonti di cui abbiamo
parlato nel Capitolo 5, con molta probabilità sono più aperti al feedback perché è un
mezzo che li aiuta ad adattare il proprio comportamento alla situazione. Abbiamo
visto nel Capitolo 5 come per le persone con alto livello di auto-osservazione sia più
facile instaurare una relazione con i propri mentori (che, tipicamente, danno loro un
feedback).36 Le persone con un basso livello di auto-osservazione, invece, sono più
sintonizzate con le proprie sensazioni interiori rispetto ai segnali provenienti dall’esterno. Qualcuno, ad esempio, ha osservato che parlare con Ted Turner, magnate dei
media e fondatore della CNN, personaggio caratterizzato da un livello bassissimo di
auto-osservazione, è come conversare con una radio.
I ricercatori hanno iniziato a concentrarsi più direttamente sul desiderio del ricevente di avere un feedback, più che sulle caratteristiche personali, sui bisogni e sugli
obiettivi dell’individuo. L’esperienza di ogni giorno ci insegna che non tutti vogliono
davvero il feedback sulla performance che sembrerebbero cercare. Al ristorante, ad
esempio, se il cameriere chiede “Tutto a posto?” quando presenta il conto, in genere
non si aspetta certo una risposta dettagliata.
Come il ricevente percepisce il feedback Il segno del feedback (termine utilizzato
nell’ambito della ricerca) si riferisce al fatto che esso sia positivo o negativo. In termini
generali, si tende a percepire e ricordare in modo più accurato un feedback positivo
rispetto a uno negativo.37 Un feedback con segno negativo (ad esempio se ci viene
comunicato che abbiamo ottenuto una performance al di sotto della media) può avere
un impatto motivazionale positivo. In effetti, da uno studio è emerso che gli individui
a cui era stato comunicato un risultato inferiore alla media in un test di creatività
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9
Migliorare la performance: obiettivi, feedback, ricompense e rinforzi
197
avevano in seguito surclassato coloro che erano stati invece indotti a credere di aver
totalizzato punteggi superiori alla media. I soggetti di cui sopra avevano evidentemente
considerato il feedback negativo come una sfida, e di conseguenza avevano stabilito e
perseguito degli obiettivi più elevati. Chi aveva invece ricevuto un feedback positivo
è apparso meno motivato a fare di meglio.38 Nonostante questi risultati, il feedback
con segno negativo va gestito con attenzione, per evitare che insorgano reazioni come
insicurezza e autodifesa. Il feedback negativo può danneggiare anche l’auto-efficacia,
come si è scoperto in alcuni esperimenti su studenti di economia. I ricercatori hanno
concluso che “per facilitare lo sviluppo di forti convinzioni di efficacia, i manager
devono fare molta attenzione a come distribuiscono feedback negativi”. Una critica
distruttiva da parte di un manager, che attribuisca la causa di una performance non
adeguata a fattori interni, riduce sia le convinzioni relative all’auto-efficacia, sia gli
obiettivi che i riceventi si pongono”.39
Come il ricevente valuta il feedback dal punto di vista cognitivo Nel momento
in cui riceve un feedback, una persona valuta dal punto di vista cognitivo fattori come
la precisione del giudizio, la credibilità della fonte, l’equità del sistema (ad esempio
di valutazione della performance), le aspettative personali riguardanti il rapporto
tra performance e ricompensa e la ragionevolezza degli standard applicati. Se un
feedback non si giustifica in base a uno o più degli elementi citati, verrà rifiutato o
tenuto in scarsa considerazione. Il peso dei fattori descritti dipende in larga misura
dall’esperienza personale. Probabilmente, ad esempio, non si darà molto credito al
feedback di una persona che tende a esagerare o a qualcuno che ha palesemente svolto
male un compito. Alla luce del “gap di fiducia” descritto nel Capitolo 11, la credibilità
manageriale è una questione etica di importanza fondamentale. Secondo gli autori del
libro Credibility: How Leaders Gain and Lose It, Why People Demand It, “senza un
solido fondamento di credibilità personale, un leader non può sperare che gli altri si
associno alla sua visione aziendale”.40 Se un manager si è rivelato indegno di fiducia
e non credibile, gli riuscirà molto difficile migliorare la performance lavorativa dei
suoi collaboratori utilizzando il feedback.
Se il feedback proviene da una fonte che mostra favoritismo o che si basa su standard
di comportamento irragionevoli, allora apparirà sospetto.41 Inoltre, come prevede la
teoria relativa al ruolo dell’aspettativa nella motivazione, il feedback, per influire sul
comportamento desiderato, dovrebbe favorire il consolidamento di una elevata connessione tra sforzo e performance e tra performance e sistemi di ricompensa.
Consigli pratici derivanti dalla ricerca sul feedback
Dall’analisi di decine di studi teorici sul feedback, tre ricercatori hanno stilato questo
elenco di consigli pratici per i manager:
•
CompOrga.indb 197
L’accettazione del feedback non deve essere data per scontata; vi possono essere
mal interpretazioni o rifiuti. Questo avvertimento vale soprattutto in situazioni in
cui convivono culture diverse.
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Parte II
198
Tabella 9-2
Sei segnali che indicano
problemi nel sistema
di feedback
di un’organizzazione
Fonte: adattato da C. Bell e R.
Zemke, “On-Target Feedback,”
Training, giugno 1992, pp. 36-44.
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
1.
2.
3.
4.
5.
Il feedback viene utilizzato per punire, mettere in imbarazzo o umiliare i collaboratori.
I riceventi ritengono il feedback irrilevante per il lavoro che svolgono.
Il feedback viene dato troppo tardi per sortire alcun effetto positivo.
I riceventi pensano che il feedback faccia riferimento a questioni che non possono controllare.
Le persone si lamentano di dover perdere troppo tempo nella raccolta e nella memorizzazione
di dati relativi al feedback.
6. I riceventi si lamentano per l’eccessiva complessità e per l’incomprensibilità del feedback.
•
•
•
•
•
I manager possono migliorare la loro credibilità come fonte di feedback, sviluppando
la loro competenza nel creare un clima di fiducia.
Il feedback negativo viene tipicamente mal interpretato o rifiutato.
Anche se talvolta il feedback può intaccare il senso di controllo e l’iniziativa dell’individuo, rimane troppo poco frequente nella maggior parte delle aziende.
Il feedback va adattato al ricevente.
Chi ottiene performance medie o inferiori alla media necessita di riconoscimenti
estrinseci della performance, chi invece si caratterizza per alti livelli di performance
risponde a feedback che migliorino l’idea della propria competenza e del proprio
controllo.42
Altre ricerche recenti relative al feedback offrono i seguenti spunti:
• I feedback sulla performance informatica comportano miglioramenti della performance più elevati se vengono inviati direttamente via rete e non attraverso un
supervisore.43
• I riceventi percepiscono i feedback come più accurati se partecipano attivamente alle
riunioni di definizione degli stessi, rispetto a quando li ricevono in modo passivo.44
• Le critiche distruttive causano tendenzialmente conflitti e riducono la motivazione.45
• Più una persona sale nella gerarchia di un’organizzazione, minori probabilità ha di
ricevere feedback di qualità sulla sua performance lavorativa”.46
I manager che prenderanno in considerazione i consigli elencati e i segnali negativi
contenuti nella tabella 9-2 riusciranno probabilmente a creare sistemi di feedback
credibili ed efficaci.
Il feedback di cui si è finora discusso è quello tradizionale, gerarchicamente orientato
dall’alto verso il basso. Vediamo ora un interessante nuovo approccio al feedback sul
posto di lavoro.
Feedback a 360 gradi
Feedback a 360 gradi: confronto tra i feedback anonimi forniti dal superiore, dai
subordinati, dai colleghi e le
percezioni individuali
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Il feedback a 360 gradi contiene l’idea che l’individuo confronti la sua percezione
soggettiva della performance con informazioni, generalmente anonime, fornite da
manager, subordinati e colleghi di pari livello circa alcuni comportamenti specifici.
In questo processo, talvolta detto anche feedback a circolo completo, possono venire
coinvolti anche individui esterni all’azienda.47
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Migliorare la performance: obiettivi, feedback, ricompense e rinforzi
199
Una meta-analisi di 24 studi sul feedback a 360 gradi nei quali i riceventi ricevevano due o più valutazioni ha consentito ai ricercatori di trarre questa utile conclusione:
È più probabile che si ottengano miglioramenti quando il feedback indica che il cambiamento è necessario, i riceventi hanno un orientamento positivo al feedback, percepiscono la necessità di cambiare il proprio comportamento, reagiscono positivamente,
ritengono che il cambiamento sia fattibile, stabiliscono obiettivi adeguati per modificare
il comportamento e prendono provvedimenti che si traducono in un miglioramento delle
capacità e della prestazione.48
I risultati delle ricerche e l’esperienza personale ci inducono a favorire l’anonimato e
scoraggiare ogni collegamento tra feedback a 360 gradi e decisioni concernenti aumenti retributivi e promozioni. Secondo un esperto in materia, il problema principale
è la fiducia:
La fiducia sta alla base dell’utilizzo di una forma di feedback a 360 gradi allo scopo di
incrementare la produttività. La fiducia determina la misura in cui un individuo desidera
contribuire al successo del suo datore di lavoro. Utilizzare il sistema in termini confidenziali, allo scopo di far crescere l’azienda, aumenta la fiducia; utilizzarlo invece per
decidere in merito a stipendi o altre questioni relative al personale la mette in pericolo.49
Il feedback a 360 gradi ha certamente un ruolo nello sviluppo delle capacità manageriali, in special modo nelle organizzazioni odierne, che si basano sul lavoro di gruppo.
Come fornire feedback finalizzato al coaching
e all’efficacia organizzativa
I manager che si accingono a dare un feedback nell’ambito di un programma completo
di gestione delle prestazioni devono tener presenti questi consigli:
• Concentrare il feedback sulla performance, non sulla personalità.
• Dare feedback specifici, legati a obiettivi di apprendimento e risultati delle prestazioni.
• Incanalare il feedback verso aree di risultato importanti per l’organizzazione.
• Dare feedback prima possibile.
• Dare feedback positivi volti al miglioramento attraverso il coaching, non relativi al
solo risultato finale.
• Basare il feedback su informazioni accurate e credibili.
• Collegare il feedback ad aspettative ben definite di miglioramento.50
Sistemi di ricompensa
Le ricompense rappresentano una caratteristica organizzativa onnipresente e sempre
al centro di controversie (pensate al dibattito in corso sulla remunerazione dei CEO,
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200
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
nell’ordine delle centinaia di migliaia di dollari).51 Ci sono persone che considerano il
loro lavoro solo come una fonte di reddito, altre che invece ricavano grandi soddisfazioni
dal lavoro e dalla compagnia dei colleghi. Secondo una recente indagine Gallup, il 55%
dei lavoratori statunitensi “continuerebbe a lavorare anche se vincesse una lotteria con un
jackpot intorno ai dieci milioni di dollari”.52 (Voi che cosa fareste?) Persino i volontari
che regalano del tempo ad associazioni come la Croce Rossa ne ricavano una ricompensa sotto forma di riconoscimento sociale e di orgoglio derivante dall’aver donato il
proprio tempo per fini non egoistici. L’argomento ricompensa include quindi non solo
il compenso monetario, ma molto altro.53 In questa sezione analizzeremo le componenti
chiave del sistema organizzativo delle ricompense, per fornire un background concettuale
che permetta di discutere argomenti come la retribuzione legata alla performance e la
retribuzione legata al lavoro di gruppo.
Nonostante il sistema di ricompense sia estremamente variabile, è possibile identificare e mettere in collegamento tra loro alcune componenti comuni. Il modello di figura
9-2 si concentra su tre componenti principali: (1) tipologie di ricompensa, (2) regole di
assegnazione, (3) risultati desiderati. Andiamo a vedere le singole componenti.
Tipologie di ricompensa
Ricompense estrinseche:
ricompense economiche, materiali o sociali che derivano
dall’ambiente
Ricompense intrinseche:
ricompense autoassegnate o
psicologiche
Figura 9-2
Un modello generale
dei sistemi
di ricompensa organizzativi
Definiamo ricompense estrinseche quelle economiche, materiali e sociali, perché
derivano dall’ambiente. Le ricompense psicologiche sono invece definite come intrinseche perché assegnate dall’individuo a se stesso. Una persona che lavora per
ottenere ricompense estrinseche, denaro o apprezzamento, si definisce estrinsecamente
motivata. Una persona che invece trae piacere dal compito in sé, o è gratificata da una
sensazione di competenza e di autodeterminazione, si dice intrinsecamente motivata.
Tipologie
di ricompensa
• Economica/
materiale (estrinseca)
• Sociale (estrinseca)
• Psicologica
(intrinseca)
Risultati desiderati
• Attrarre
• Motivare
• Sviluppare
• Soddisfare
• Trattenere
Criteri
di distribuzione
• Risultati
• Comportamento
• Altri fattori
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9
Migliorare la performance: obiettivi, feedback, ricompense e rinforzi
201
L’importanza relativa di ricompense intrinseche ed estrinseche dipende dalla cultura e
dai gusti dell’individuo.54
Criteri di distribuzione delle ricompense
Secondo l’opinione di un esperto di sistemi di ricompensa aziendale, esistono tre criteri
generali per la distribuzione delle ricompense.
• Performance: risultati. Risultati tangibili, a livello individuale, di gruppo o aziendale;
la quantità e la qualità della performance.
• Performance: azioni e comportamenti. Il lavoro di gruppo, la cooperazione, l’assunzione di rischi, la creatività.
• Considerazioni slegate dalla performance. Per consuetudine o per contratto, vengono
ricompensati: il tipo di lavoro, la natura del compito svolto, l’equità, l’anzianità, il
livello all’interno della gerarchia e così via.55
Attualmente si preferiscono tendenzialmente i criteri legati alla performance, prescindendo da quelli a essa non collegati, quali l’anzianità. Un’altra tendenza è quella di
ricorrere a molteplici criteri di distribuzione delle ricompense: Westinghouse Electric
è un buon esempio recente: “Per mettere le truppe in carreggiata, i manager vengono
valutati non solo sui profitti generati, ma anche sul numero di clienti con cui hanno
parlato e il numero di proposte che hanno effettuato.”56
Risultati desiderati dal sistema di ricompense
Come si vede dall’elenco della figura 9-2, un buon sistema di ricompense dovrebbe
attirare persone di talento; una volta che sono entrate a far parte dell’organizzazione, è
necessario continuare a motivarle e soddisfarle. Inoltre, un buon sistema di ricompense
dovrebbe incentivare il personale a crescere e svilupparsi, e fare in modo che le persone
dotate di talento non abbandonino il posto di lavoro. Un esempio perfetto è offerto dalla
QuickTrip, basata a Tulsa: “I dipendenti vengono trattati così bene in questa catena di
alimentari con apertura no stop – con stipendi, benefit e formazione – che restano per
un lungo periodo di tempo. oltre 200 lavorano lì da più di 20 anni.”57
Le basi della motivazione e delle ricompense intrinseche
Come si ricava dalla definizione precedente, le ricompense intrinseche sono concesse
dall’individuo a se stesso. Questo però non esclude il management, al contrario: i manager possono adoperarsi per creare situazioni in cui i collaboratori si concederanno
ricompense da cui trarranno motivazione intrinseca. Il modello della motivazione
intrinseca di Kenneth Thomas fornisce indicazioni utili,58 associando elementi di
riorganizzazione del lavoro (esaminata nel Capitolo 8), il concetto di empowerment
(che vedremo nel Capitolo 15) e la teoria della valutazione cognitiva di Deci e Ryan.
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Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
Secondo Deci e Ryan, affinché un compito sia intrinsecamente motivante, gli individui
che lo svolgono devono soddisfare il proprio bisogno di autonomia e competenza.59
Thomas utilizza il concetto di blocchi portanti per dimostrare ai manager come costruire
le condizioni giuste per le quattro ricompense intrinseche essenziali: il significato, la
scelta, la competenza e il progresso (vedi figura 9-3). Esaminiamo le sfide che ciascun
mattone pone al management.
Migliorare il significato I manager migliorano il significato ispirando i propri collaboratori e modellando i comportamenti desiderati. La figura 9-3 mostra che i manager
possono raggiungere lo scopo aiutando i collaboratori a identificare le proprie passioni
sul lavoro e creando una visione organizzativa stimolante, che faccia presa sul personale.
I risultati di un’indagine Gallup permettono di affermare che i collaboratori sono più
impegnati e produttivi sul lavoro se percepiscono la connessione tra ciò che fanno e la
vision organizzativa, legame che realizza un obiettivo comune a cui tendere.60 Alcuni
lavori rivestono una tale importanza che di per sé sono portatori di un forte significato.
Per esempio consideriamo questo lavoro, unico nel suo genere, presso la più grande
centrale nucleare in territorio statunitense, nei pressi di Phoenix:
Alle sei del mattino, Michelle Catts raggiunge il suo ufficio, oltrepassando guardie dotate
di armi automatiche, macchine a raggi X ultrasensibili, cancelli elettronici e sensori che
rilevano la presenza di esplosivi. Catts è una dei quattro ispettori scelti dalla Commissione di vigilanza per il nucleare impiegati presso lo stabilimento come sorveglianti
pubblici incaricati di verificare che la Arizona Public Service Co rilevi i problemi prima
che insorgano rischi per la sicurezza […] “il mio lavoro è garantire ogni giorno che
questa centrale operi in condizioni di sicurezza” spiega la Catts. “Si tratta di un lavoro
Figura 9-3
Blocchi portanti
della motivazione
e delle ricompense intrinseche
secondo Thomas
CompOrga.indb 202
Scelta:
• Delega di autorità
• Fiducia nei collaboratori
• Non perseguimento di
errori privi di intenzione
• Obiettivi chiari
• Informazione
Competenza:
• Conoscenze
• Feedback positivo
• Riconoscimento
delle capacità
• Sfida
• Standard elevati
Significato:
• Ambiente non cinico
• Passioni chiaramente
identificate
• Missione aziendale
stimolante
• Obiettivi delle attività
coerenti
• Attività complete
Miglioramento:
• Clima collaborativo
• Enfasi sui risultati
raggiunti
• Celebrazioni
• Accesso ai clienti
• Misurazione
dei miglioramenti
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9
Migliorare la performance: obiettivi, feedback, ricompense e rinforzi
203
piuttosto importante. Alla fine della giornata, è bello sapere di essermi interrogata su
questioni importanti.”61
Migliorare le possibilità di scelta I manager migliorano le possibilità di scelta responsabilizzando i collaboratori e delegando loro mansioni e compiti importanti. Di
seguito le modalità seguite da Gail Evans, executive vice president della CNN di Atlanta.
Gail Evans […] afferma che delegare è essenziale. Se non permetti ai tuoi collaboratori
di gestire i loro progetti, metti a repentaglio la loro possibilità di progredire, perché non
acquisiscono nuove abilità e non aggiungono obiettivi raggiunti al curriculum, e perdi
tempo prezioso per fare il lavoro di qualcun altro.62
Migliorare la competenza I manager migliorano la competenza sostenendo e affiancando i propri collaboratori. La figura 9-3 fornisce molti esempi di come ciò possa essere
messo in pratica. I manager devono innanzitutto assicurarsi che i propri collaboratori
possiedano le conoscenze necessarie a svolgere bene il compito assegnato. Eventuali
lacune possono essere colmate con un’adeguata formazione e con l’ausilio di mentori.
Oltre a dare feedback positivi e riconoscimenti sinceri, è possibile anche assegnare
compiti complessi che incentivino la motivazione intrinseca del collaboratore.
Dare un maggiore senso di miglioramento I manager danno un senso di miglioramento monitorando e ricompensando. Douglas R Conant, CEO di Campbell Soup
Company, è stato artefice di un notevole cambiamento ed è un buon modello di ruolo
a questo proposito:
Il cambiamento è stato catalizzato da innovazioni intelligenti e mirate a ridurre i costi
e uno sforzo concentrato per rinvigorire la forza lavoro […] Conant non ha scosso una
tranquilla azienda con 137 anni di storia usando l’arma dell’aggressività. Al contrario, assegna di buon grado il merito agli altri e declina le lodi. Non è arrogante. Nei
suoi anni alla Campbell, ha inviato oltre 16.000 ringraziamenti scritti di suo pugno ai
collaboratori, dal direttore finanziario alla receptionist del quartier generale, biglietti
che spesso faceva trovare appesi in ufficio oppure sulla scrivania. “[Nel lavoro] siamo
preparati ad andare alla ricerca di ciò che non va. Io voglio riconoscere ciò che va
bene” afferma Conant.63
Focalizziamo ora l’attenzione sulle ricompense estrinseche, cioè il denaro, le opportunità
o i riconoscimenti offerti dagli altri.
Perché le ricompense estrinseche non riescono a motivare?
Nonostante l’enorme investimento di tempo e denaro dell’organizzazione per gestire
i sistemi di ricompense, spesso non si ottiene l’impatto motivazionale desiderato. Un
consulente di management ha elencato otto possibili spiegazioni:
1. Troppa enfasi sulle ricompense monetarie.
CompOrga.indb 203
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Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
2. Le ricompense mancano del cosiddetto “effetto apprezzamento”.
3. I benefit eccessivi diventano diritti.
4. Si ricompensano comportamenti controproducenti (ad esempio, “un’azienda che
consegna pizze dava riconoscimenti a chi impiegava meno tempo a portare le pizze
a destinazione, per poi scoprire che così facendo premiava una guida spericolata”).64
5. Si lascia troppo tempo tra la valutazione della performance e l’attuazione della
ricompensa.
6. Ricompense troppo uniformi.
7. Utilizzo di ricompense una tantum con impatto motivazionale a breve termine.
8. Uso continuo di pratiche demotivanti come licenziamenti, tagli e compensi eccessivi
agli alti livelli organizzativi.65
Problemi cronici come questi hanno accresciuto l’interesse nei confronti dell’elaborazione di pratiche di ricompensa e di retribuzione più efficaci. Nello spazio di questo
capitolo non possiamo discutere tutte le moderne strategie retributive. Possiamo però
analizzare un approccio generale per incrementare l’impatto motivazionale delle ricompense monetarie: la retribuzione basata sulla performance.
Retribuzione legata alla performance
Retribuzione legata alla
performance: incentivi economici legati ai risultati e alle
realizzazioni dell’individuo
Retribuzione legata alla performance (pay for performance) è un’espressione comunemente usata per indicare gli incentivi monetari che associano almeno una piccola
porzione dello stipendio direttamente a risultati e realizzazioni. Molti parlano semplicemente di incentivi, altri la definiscono retribuzione variabile. “L’80% delle aziende
statunitensi offre programmi a larga base di retribuzione legata alla performance.”66
Il concetto generale che sottende questo schema retributivo (che include la retribuzione per merito, i bonus, le percentuali sul profitto, ma anche altro) è quello di dare
ai collaboratori un incentivo perché lavorino di più o meglio. La retribuzione legata
alla performance è qualcosa in più, una retribuzione straordinaria rispetto a stipendi e
salari base. I sostenitori della retribuzione per incentivi affermano che ci sia bisogno di
qualcosa in più, perché le retribuzioni orarie e i salari fissi riescono solo a motivare le
persone a presentarsi al lavoro e a svolgere le proprie mansioni.67 La forma più semplice
di retribuzione legata alla performance è il tradizionale cottimo, in cui al dipendente
viene pagato un certo ammontare di denaro per ogni pezzo prodotto. 2500 artigiani che
lavorano alla Longaberger, a Frazeburg, nell’Ohio, sono per esempio pagati per ogni
prezioso cestino di legno che intrecciano. Complessivamente, ne realizzano 40.000 al
giorno.68 Le commissioni sulle vendite rappresentano un altro esempio di retribuzione
legata alla performance: in questo caso il venditore riceve una certa quantità di denaro
per ogni unità venduta.69 L’economia odierna, fondata sui servizi, forza il management
ad adattarsi in modo creativo e a superare i programmi basati sul numero di pezzi prodotti
o sulle commissioni sulle vendite, per dare più enfasi alla qualità dei prodotti e servizi,
all’interdipendenza, al lavoro di squadra.
Pratiche correnti Dai premi immediati in contanti alla retribuzione basata sul lavoro
di gruppo a quella legata alle competenze, le prassi di retribuzione attuali sono ancora
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Migliorare la performance: obiettivi, feedback, ricompense e rinforzi
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in fase sperimentale. Rimane molto da imparare sia dalle ricerche che dalla sperimentazione. Nel contempo, la ricerca indica chiaramente che è impensabile adottare un
approccio omogeneo alla retribuzione basata sugli incentivi.
Risultati della ricerca Secondo l’opinione degli studiosi, confermata anche dai risultati della ricerca, la retribuzione basata sulla performance troppo spesso non riesce
a ottenere un miglioramento della performance lavorativa. “Gli esperti affermano che
circa la metà dei programmi di incentivi che hanno visto non funzionano a causa di una
progettazione e di una gestione poco efficace”.70 Uno studio ha in effetti documentato
l’effetto negativo che una retribuzione per incentivi ha sortito sulla performance di
150.000 manager di 500 aziende che versavano in difficoltà economiche.71 Una metaanalisi su 39 studi ha riscontrato una modesta correlazione positiva tra incentivi finanziari e quantità di performance, e impatto zero sulla qualità della performance.72 Altri
ricercatori hanno rilevato un collegamento statisticamente debole tra bonus ai dirigenti
pagati negli anni positivi e un successivo miglioramento della redditività aziendale.73
Da un’indagine condotta tra proprietari di piccole aziende è emerso inoltre che più
della metà afferma che i propri piani di pagamento di commissioni non sono riusciti a
motivare un impegno maggiore nei venditori.74 Mettere in connessione la retribuzione
per merito data ai docenti con la performance degli studenti, un’idea molto sostenuta
per una riforma della scuola, ha evidenziato risultati contrastanti.
Trarre il meglio da ricompense estrinseche
e retribuzioni basate sulla performance
Ecco un piano di lavoro basato su quanto appreso fino a questo punto, utile per massimizzare l’impatto motivazionale delle ricompense estrinseche.
• Collegare encomi, riconoscimenti e premi non monetari a risultati specifici.
• Rendere la retribuzione legata alla performance parte integrante della strategia
aziendale (ad esempio, ponendo come obiettivo la ricerca del prodotto migliore nel
settore di appartenenza, o della migliore qualità nel servizio).
• Fondare la determinazione degli incentivi su dati di performance oggettivi.
• Fare in modo che tutti i collaboratori partecipino allo sviluppo, all’applicazione e
alla revisione delle formule di retribuzione basate sulla performance.
• Incoraggiare una comunicazione bilaterale, per poter riconoscere quanto prima
eventuali problemi legati al piano di incentivi.
• Progettare i piani di retribuzione legata alla performance su strutture partecipative,
come sistemi di raccolta delle opinioni o team per la risoluzione dei problemi.
• Quando possibile, premiare il lavoro di gruppo e la collaborazione.
• Coinvolgere attivamente nel piano supervisori e manager di secondo livello che
potrebbero considerare la partecipazione del dipendente come una minaccia al loro
concetto di autorità.
• Se si assegnano bonus annuali in contanti, pagarli tutti insieme per massimizzarne
l’impatto motivazionale.
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206
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
• Fare un uso selettivo di incentivi non monetari innovativi per creare entusiasmo e
interesse.75
Il rinforzo positivo
Programmi di feedback e di ricompense estrinseche risultano troppo spesso inefficaci
perché vengono amministrati un po’ a casaccio.76 Analizziamo ad esempio queste due
situazioni:
• Un giovane programmatore smette di mandare consigli creativi al proprio superiore
via email, perché non riceve mai risposta.
• In un ufficio la persona più abile nei maneggi politici riceve una promozione mentre
i suoi colleghi, molto più capaci, se ne chiedono il motivo e spettegolano sull’ingiustizia del trattamento subito.
Nel primo caso, il comportamento costruttivo del dipendente si è interrotto per mancanza
di incoraggiamento. Nel secondo caso, invece, poco saggiamente è stato premiato un
comportamento non costruttivo. Il feedback e le ricompense devono essere assegnate
in modo molto più accurato. In questi casi la psicologia comportamentale può essere
d’aiuto: nei lavori di Thorndike, Skinner e altri, è stata elaborata una tecnica di modificazione del comportamento, detta rinforzo positivo, che supporta il manager nell’ottenere la disciplina necessaria e gli effetti desiderati con il giusto feedback e le adeguate
ricompense estrinseche.
La legge degli effetti di Thorndike
Legge dell’effetto: un comportamento che ha conseguenze positive si ripete, un comportamento con conseguenze
negative scompare
Nei primi anni del ’900, Edward L. Thorndike osservò nei suoi studi sperimentali
di psicologia che un gatto, posto in una piccola gabbia con una levetta nascosta per
aprirla, si comportava in modo casuale e selvaggio. Una volta che era riuscito ad azionare casualmente la levetta e uscire, però, l’animale, se rimesso nella gabbia, andava
direttamente verso la leva per scappare. Thorndike formulò così la sua famosa legge
degli effetti, secondo cui il comportamento che implica conseguenze positive tende a
essere oggetto di ripetizione, mentre il comportamento con conseguenze negative tende
a scomparire.77 Un notevole cambiamento rispetto alla convinzione allora prevalente,
secondo cui il comportamento sarebbe stato il prodotto di istinti innati.
Il modello di Skinner del condizionamento operativo
Skinner ha ulteriormente sviluppato la conclusione tratta da Thorndike, secondo cui il
comportamento sarebbe controllato dalle conseguenze che implica. L’opera di Skinner
è stata definita comportamentismo, perché lo studioso si è occupato principalmente di
comportamenti osservabili.78 In quanto comportamentista, Skinner era convinto che
fosse perfettamente inutile spiegare il comportamento in termini di stati interiori non
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9
Migliorare la performance: obiettivi, feedback, ricompense e rinforzi
Comportamento reattivo:
termine usato da Skinner per
definire i riflessi condizionati
stimolo-risposta
Comportamento operativo: termine usato da Skinner
per definire il comportamento
acquisito, determinato dalle
conseguenze che produce
207
osservabili, come bisogni, tendenze, atteggiamenti o processi mentali.79 Allo stesso
modo, lo studioso teneva in scarsa considerazione il concetto di autodeterminazione.
In The Behaviour of Organisms, Skinner traccia una distinzione importante tra due
tipologie di comportamento: reattivo e operativo.80 Egli definisce comportamento reattivo tutti i riflessi condizionati, o le connessioni stimolo-risposta (S-R), ritenendo che
questa categoria di comportamento descriva una piccola percentuale del comportamento
nell’adulto. Piangere mentre si taglia della cipolla, o ritrarre la mano dal fornello acceso,
sono esempi di comportamento reattivo.81 Skinner definisce invece comportamento
operativo il comportamento appreso nell’atto di “operare sull’ambiente” per produrre
le conseguenze desiderate. Alcuni parlano di modello risposta-stimolo (R-S). In anni
di esperimenti controllati, eseguiti su piccioni all’interno delle cosiddette “scatole
di Skinner”, lo studioso riuscì a elaborare una sofisticata tecnologia di controllo del
comportamento, o condizionamento operativo. Ad esempio, insegnò ai piccioni come
camminare disegnando un otto e come arrivare alla ciotola: ci riuscì usando il rinforzo,
ossia dando cibo ai piccioni sottopeso (e quindi affamati) ogni volta che si avvicinavano ai comportamenti desiderati. Lo studio di Skinner ha dato vita al settore della
modificazione del comportamento, e ha implicazioni significative per il comportamento
organizzativo, perché molti comportamenti nelle organizzazioni possono ascriversi alla
categoria operativa.82
Conseguenze contingenti
In base alla teoria di Skinner, le conseguenze contingenti controllano il comportamento
in quattro modi: attraverso il rinforzo, positivo e negativo, la punizione e l’estinzione. Il
termine contingente allude al fatto che il collegamento tra il comportamento in esame e
la conseguenza è sistematicamente del tipo se-allora. Facciamo l’esempio di una frase
che le mamme dicono sempre: “Se non finisci il pranzo, non avrai il dessert” (figura
9-4). Per evitare di commettere errori banali nel riconoscimento delle conseguenze
elencate, vediamo alcune definizioni formali.
Rinforzo positivo: fare in
modo che un comportamento
si ripeta offrendo in cambio
qualcosa di positivo
Il rinforzo positivo rafforza il comportamento Per rinforzo positivo si intende
il processo di rafforzamento del comportamento ottenuto dall’offerta contingente di
qualcosa che ha valenza positiva (è importante ricordare che un comportamento è rafforzato quando aumenta di frequenza, indebolito quando la frequenza diminuisce). Un
ingegnere progettista che lavora fuori orario perché il capo ha lodato e riconosciuto il
suo operato sta rispondendo al rinforzo positivo.
Rinforzo negativo: fare in
modo che un comportamento
si ripeta evitando una conseguenza negativa
Anche il rinforzo negativo rafforza il comportamento Per rinforzo negativo si
intende il processo di rafforzamento del comportamento ottenuto dalla negazione contingente di qualcosa che ha valenza negativa. Un sergente dell’esercito, ad esempio,
che smette di urlare quando la recluta esce dal letto, ha negativamente rinforzato quel
determinato comportamento. Analogamente, portare le mani alle orecchie nel guardare
un jumbo che decolla è un comportamento negativamente rinforzato dal sollievo dato
dall’azione. Spesso si confonde il rinforzo negativo con la punizione. Le due strategie
provocano però effetti opposti sul comportamento. Il rinforzo negativo, come dice
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Parte II
Figura 9-4
Conseguenze contingenti
nel condizionamento
operativo
Rapporto tra comportamento e conseguenza
208
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
Natura delle conseguenze
Presentazione
contingente
Rifiuto
contingente
Positive o piacevoli
Negative o spiacevoli
Rinforzo positivo
Risultati comportamentali:
Il comportamento desiderato
si presenta più spesso
Punizione
Risultati comportamentali:
Il comportamento desiderato
si presenta con meno frequenza
Punizione (costo di reazione)
Risultati comportamentali:
Il comportamento desiderato
si presenta con meno frequenza
Rinforzo negativo
Risultati comportamentali:
Il comportamento desiderato
si presenta più spesso
(nessuna conseguenza contingente)
Estinzione
Risultati comportamentali:
Il comportamento desiderato
si presenta con meno frequenza
la stessa parola rinforzo, rafforza il comportamento perché fornisce sollievo da una
situazione spiacevole.
Punizione: fare in modo che
un comportamento si verifichi
più raramente rispondendo
con una conseguenza negativa
o negandone una positiva
La punizione indebolisce il comportamento La punizione è il processo di indebolimento del comportamento che si opera in una situazione concedendo qualcosa di
spiacevole o negando qualcosa di positivo. Il primo tipo di punizione si verifica, ad
esempio, qualora un manager assegni al dipendente che arriva in ritardo un compito
ingrato. Se invece il manager decurta lo stipendio del ritardatario, allora si verifica il
secondo tipo di punizione, detta “costo di reazione”. Un altro esempio di questa seconda
tipologia sono le multe. Il commesso di negozio, che deve rispondere di ogni ammanco
di cassa dal proprio portafoglio, è sottoposto alla legge della punizione per costo di
reazione. Si tratta di una punizione che può e deve suscitare interrogativi di tipo etico.83
Estinzione: fare in modo che
un comportamento si verifichi
con minor frequenza ignorandolo o evitando di rinforzarlo
Anche l’estinzione indebolisce il comportamento L’estinzione provoca l’indebolimento del comportamento, che si verifica quando esso viene ignorato o quando ci si
assicura che non venga rinforzato. Liberarsi dell’ex fidanzato rifiutandosi di rispondere
alle sue telefonate è una strategia di estinzione. Immaginate che cosa succederebbe
alle vostre piante se smetteste di innaffiarle: ecco una metafora che ben descrive l’estinzione. Come una pianta senz’acqua, così un comportamento, privato di un rinforzo
almeno occasionale, alla fin fine muore. Sia la punizione che l’estinzione, pur essendo
procedimenti totalmente diversi, comportano uno stesso effetto di indebolimento sul
comportamento.
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9
Migliorare la performance: obiettivi, feedback, ricompense e rinforzi
209
Programmi di rinforzo
Come abbiamo detto, le conseguenze contingenti costituiscono un fattore determinante
del comportamento futuro. La programmazione delle conseguenze comportamentali
può essere ancora più importante. Dopo anni di noiosi esperimenti di laboratorio su
piccioni, eseguiti in ambienti altamente controllati, Skinner e colleghi hanno scoperto
che le risposte a programmi di rinforzo strutturati diversamente sono diverse.84
Alcune delle conclusioni tratte da questi studi potrebbero essere generalizzate a
rinforzo negativo, punizione ed estinzione, ma quando si elabora un programma di
rinforzo è preferibile pensare solo a rinforzi positivi.
Rinforzo continuo: rinforzare
ogni singola azione del comportamento
Rinforzo intermittente: rinforzare solo alcune azioni del
comportamento
Rinforzo continuo Ogni singola azione che rientri nel comportamento desiderato
è oggetto di rinforzo se viene applicato un programma di rinforzo continuo. Se il
vostro iPhone funziona bene, ad esempio, sarete rinforzati dall’immagine che compare
sul display e dal suono che emette ogni volta che lo accendete. Se l’iPhone si guasta,
succederà quello che succede sempre con i programmi di rinforzo continuo: il comportamento che vi porta ad accenderlo si estinguerà in fretta.
Rinforzo intermittente A differenza di quello continuo, il rinforzo intermittente
implica il rinforzo solo di alcune azioni del comportamento desiderato, non di tutte.
Esistono quattro sottogruppi di programmi a rinforzo intermittente: programmi a proporzione fissa o variabile, programmi a intervallo fisso o variabile. Nei programmi a
proporzione, il rinforzo dipende dal numero di risposte date. Il rinforzo a intervallo si
basa invece sul passare del tempo. Ecco alcuni esempi tipici di ciascuna tipologia di
rinforzo intermittente:
1. Proporzione fissa: stipendio a cottimo; bonus dipendente dalla vendita di un numero
prefissato di unità.
2. Proporzione variabile: slot machine, che pagano dopo un numero variabile di giocate;
lotterie, che pagano dopo l’acquisto di un numero variabile di biglietti.
3. Intervallo fisso: stipendio orario; salario annuale pagato su base fissa.
4. Intervallo variabile: lode e complimenti da parte del supervisore fatti a intervalli
casuali, in risposta a un lavoro ben svolto.
La criticità della programmazione Il tipo di programma di rinforzo scelto può influenzare il comportamento molto più della qualità del rinforzo stesso. Nonostante tale
affermazione derivi dallo studio del comportamento dei piccioni, esistono delle ricerche
condotte in contesti di lavoro che la confermano. Prendiamo in esame, ad esempio, uno
studio condotto su 12 cacciatori di castori, ingaggiati da una ditta di legname per evitare
che i roditori mangiassero le giovani piante appena messe a dimora.85
I cacciatori sono stati divisi in due gruppi, a ognuno dei quali veniva applicato
settimanalmente uno dei due piani di bonus previsti. Il primo programma prevedeva
una paga oraria di 7 dollari con un bonus di 1 dollaro per ogni castoro catturato. Tecnicamente, in questo caso si applicava un programma di rinforzo continuo. Il secondo
programma prevedeva la stessa paga oraria di 7 dollari, più una possibilità su quattro
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210
Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
(determinata dai dadi) di ricevere 4 dollari per ogni castoro intrappolato. In questo caso
si può parlare di un programma a proporzione variabile. Alla lunga, entrambi i sistemi
davano una media retributiva pari a 1 dollaro per castoro. Sorprendentemente, però,
i cacciatori si sono dimostrati più produttivi, in una misura pari al 58%, se sottoposti
allo schema variabile, nonostante il fatto che la paga media alla fine delle 12 settimane
di caccia sia stata praticamente uguale nei due gruppi.
Le organizzazioni in genere si basano sul programma più debole In genere, i
programmi di rinforzo a proporzione variabile e a intervalli variabili determinano
un comportamento più resistente all’estinzione. Come potrebbe confermare qualsiasi scommettitore, un programma variabile contiene la promessa di rinforzo dopo la
prossima reazione coerente con l’obiettivo. Ecco una dimostrazione della potenza del
rinforzo a proporzione variabile: si tratta di un piccolo episodio accaduto in un casinò
di Laughlin, in Nevada.
Un’anziana donna con le stampelle sta giocando alla slot machine quando inavvertitamente lascia la manopola della macchinetta da gioco e cade a terra. “Aiuto!”, è il suo
fievole grido. Solo la donna che sta giocando nella slot machine accanto interrompe il
gioco per qualche secondo per tentare di rialzarla, mentre tutti gli altri incalliti giocatori
continuano a inserire monetine nelle loro slot machine. A questo punto arriva un uomo
della sicurezza, che calma la donna e la porta via. “Grazie”, risponde l’anziana signora
con riconoscenza. “Ma non dimenticarti i soldi che ho vinto”.86
Un’organizzazione che non adotta almeno in parte un programma di rinforzo variabile
avrà meno possibilità di riuscire a incentivare un simile attaccamento al lavoro. Un
buon esempio in questo senso è Zappos, azienda retail online con sede a Las Vegas,
dove “qualsiasi collaboratore può assegnare un bonus di 50 dollari a qualsiasi collega
per un lavoro ben fatto”.87
Purtroppo, oggigiorno di regola nei posti di lavoro lo schema applicato più di frequente è quello che si basa sul tempo, come ad esempio gli stipendi su base annua e oraria,
che fanno riferimento al programma più debole di rinforzo (intervallo fisso). Di fatto,
secondo il Bureau of Labor Statistics degli Stati Uniti, “il 59% dei lavoratori americani
sono retribuiti a ore”.88 Se uno stipendio fisso è sempre allettante, non suscita l’“effetto
sorpresa”, un qualcosa che somiglia a tirare fuori un full durante una partita di poker.
I manager creativi sanno come sfruttare il potere del rinforzo variabile. Per esempio,
Ami Dar, fondatore e direttore di idealist.org, sceglie un giorno dell’anno e ne fa un Sun
Day. Aspetta che le previsioni segnalino l’arrivo di una giornata di sole, con cielo terso e
venticello fresco, per comunicare ai collaboratori che gli uffici saranno chiusi e invitarli
a trascorrere un po’ di tempo all’aria aperta. Alcuni si lasciano prendere dal panico al
pensiero di dover posticipare riunioni o di non poter controllare costantemente la posta
elettronica, ma Ami … [dice] che ritornano al lavoro il giorno dopo con … un nuovo
slancio. Una delle chiavi del successo dei cosiddetti Sun Day? L’effetto sorpresa. Il Sun
Day scuote i collaboratori dalla routine ed è un’esperienza gratificante per i sensi. Inoltre,
li fa sentire doppiamente apprezzati, come non accade quando il riconoscimento è atteso.89
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Migliorare la performance: obiettivi, feedback, ricompense e rinforzi
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Modellare il comportamento
Modellazione: rinforzare le
approssimazioni che si avvicinano sempre più al comportamento richiesto
Tabella 9-3
Dieci consigli pratici
per la modellazione del
comportamento lavorativo
Fonte: adattamento
da A.T. Hollingsworth
e D. Tanquay Hoyer,“How
Supervisors Can Shape Behavior,”
Personnel Journal, maggio 1985,
pp. 86, 88.
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Vi siete mai chiesti come fanno gli istruttori dei parchi marini a fare in modo che i
delfini saltino, che le orche si facciano cavalcare e che le foche giochino con la palla? I
risultati sembrano opera di magia. In realtà tutto ciò è reso possibile da un processo di
apprendimento molto semplice, denominato modellazione del comportamento.
Le orche, ad esempio, pesano due tonnellate e hanno un grande appetito: per loro
una bacinella di pesce rappresenta un rinforzo molto efficace. Quindi, se un istruttore
vuole cavalcare l’animale, non farà altro che rinforzarne ogni singolo comportamento che
porti all’obiettivo: l’orca verrà rinforzata con qualche pesce se si avvicina all’istruttore,
poi se si fa toccare, se si fa mettere una bardatura sul naso, se si fa cavalcare e infine
se nuota con l’istruttore a cavalcioni. In effetti, l’istruttore innalza sistematicamente la
richiesta comportamentale che porterà al rinforzo.90 La modellazione è definita quindi
come il processo che porta a rinforzare le approssimazioni che si avvicinano sempre
più al comportamento desiderato.
Il processo funziona benissimo anche con le persone, specialmente all’interno di
programmi di formazione e qualità che implicano un miglioramento continuo. Per un
manager la lode, il riconoscimento, un feedback costruttivo e credibile non costano
molto più che qualche minuto del suo tempo. Se utilizzate in associazione a un programma di modellazione del comportamento, queste azioni possono però incentivare
efficacemente dei miglioramenti nella performance lavorativa. Il segreto per riuscire
a modellare efficacemente un comportamento sta nella capacità di ricondurre un
complesso obiettivo comportamentale a piccoli semplici passi, per poi rinforzare ogni
minimo miglioramento, con fiducia e pazienza. La Continental Airlines, ad esempio,
1. Prefigurare il processo di cambiamento del comportamento I comportamenti cambiano per gradi,
non all’improvviso.
2. Dare una definizione specifica dei nuovi modelli di comportamento. Definire i propri obiettivi in
termini espliciti e in piccole quantità, affinché il concetto venga ben recepito.
3. Dare feedback sulla performance dell’individuo. Valutare la performance di una persona una
volta all’anno non è sufficiente.
4. Rinforzare il comportamento prima possibile.
5. Usare rinforzi validi. Le ricompense per essere efficaci devono avere un certo valore per il
collaboratore, non per il manager.
6. Utilizzare un programma di rinforzo continuo. Ogni nuovo comportamento deve essere
rinforzato ogni volta che si verifica e questo rinforzo deve continuare finché il comportamento
in questione diventa abituale.
7. Utilizzare un programma di rinforzo variabile di mantenimento. Anche quando il comportamento
è diventato abituale, c’è ancora bisogno di ricompensarlo, anche se non necessariamente ogni
volta che si verifica.
8. Ricompensare il lavoro di gruppo, non la competizione. Gli obiettivi e le ricompense di gruppo
costituiscono un modo per incoraggiare la cooperazione in situazioni nelle quali il lavoro e la
performance sono interdipendenti.
9. Fare in modo che le ricompense corrispondano sempre a una performance.
10. Non dare mai una performance per scontata. Anche la migliore delle performance, se non
ricompensata, si deteriora nel tempo.
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Parte II
Il comportamento individuale nelle organizzazioni
ha utilizzato un programma di bonus per migliorare il suo standard di arrivi in orario,
risalendo la classifica del settore. All’inizio veniva promesso un bonus pari a 65 dollari
al mese, a condizione che la Continental si classificasse tra le prime cinque compagnie.
Ora ci vuole un secondo o un terzo posto per guadagnare quei 65 dollari, mentre la
prima posizione significherebbe 100 dollari di bonus.91 (La tabella 9-3 riporta alcuni
consigli utili per modellare i comportamenti).
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I gruppi e i processi sociali
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
CompOrga.indb 213
III
Dinamiche di gruppo
Sviluppare e guidare team di lavoro efficaci
Processi decisionali individuali e di gruppo
Gestione del conflitto e negoziazione
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Dinamiche di gruppo
10
Quanto sono utili i gruppi informali?
Inutile, ogni volta aveva l’impressione di perdere
tempo. Mauro Baliani si era avvicinato al gruppo di
direttori risorse umane con molte speranze. Aveva ottenuto da poco la posizione che ricopriva e si sentiva
molto inadeguato al ruolo. Così aveva deciso di aderire
agli incontri serali proposti dalla associazione “Innovazione nella gestione”, ma ogni volta usciva con la
sensazione di non avere imparato niente. La riunione
era impostata male, senza un univoco filo conduttore
e tutti sembravano essere intorno al tavolo per raccontare i propri successi aziendali o dichiarare magnifiche
intenzioni: dal punto di vista operativo, poco o nulla.
Ne parlò con Carla De Carolis, una sua vecchia
amica, da più tempo in una posizione analoga, e lei gli
consigliò un gruppo di discussione su un social network
del settore. Iniziò a iscriversi e vide con piacere che
venivano poste delle questioni molto pratiche, di quelle
che a lui servivano. I più esperti rispondevano senza
troppi fronzoli e le informazioni erano preziose.
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Un giorno un famoso consulente iniziò a rispondere
ai quesiti facendo riferimento a possibili proposte di
iniziative che lui e la sua azienda avrebbero potuto
fare: immediatamente il moderatore del gruppo fece
presente le regole – una discussione tra pari, senza
nessuna concessione al marketing individuale – e la
cosa cessò. Mauro apprezzò molto questa direttiva, che
non aveva colto nella sua adesione iniziale, ma chi gli
parve utile per distinguere le situazioni di elaborazione
da quelle di “vendita”.
Dopo qualche tempo, in relazione alla sua crescita
professionale, le domande che venivano poste gli interessavano sempre meno e, dal canto suo, si sentiva di
avere poco da offrire. Si collegava con sempre minor
frequenza e alla fine lasciò il gruppo; provava una certa
tristezza, ma – si sa – anche le migliori esperienze
hanno una fine.
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Parte III
I gruppi e i processi sociali
Per definizione le organizzazioni sono insiemi di persone che interagiscono costantemente per raggiungere risultati superiori a quelli ottenibili dai singoli. La ricerca fornisce
prove sostanziali sull’importanza delle abilità sociali sia per il successo individuale che
per quello organizzativo. Quanto sono sviluppate le vostre abilità sociali? In che cosa
dovete migliorarvi?
In questo capitolo cominceremo dando una definizione del termine gruppo per passare poi a esaminare le varie tipologie, le funzioni dei suoi membri, gli scambi sociali
sul posto di lavoro e il processo di crescita di un gruppo. Passeremo quindi a esaminare i ruoli e le regole del gruppo, che sono le basi delle dinamiche di gruppo; seguirà
un’analisi degli effetti della struttura del gruppo e delle caratteristiche dei suoi membri
sui risultati prodotti dal gruppo stesso. Verranno discussi, infine, tre seri fattori di minaccia all’efficacia del gruppo. (Il presente capitolo servirà da punto di partenza per la
discussione di concetti come “team” e “lavoro in team”, trattati nel capitolo seguente.)
I gruppi nell’epoca dei social media
Gruppo: due o più persone
che interagiscono liberamente,
condividono norme e obiettivi
e hanno un’identità comune
Nel mondo d’oggi si incontrano spesso momenti di gruppo;1 gli studenti formano spesso
team insieme ai loro compagni di classe per lavori di gruppo; i genitori sono membri
dei consigli di classe delle scuole dei figli; i manager sono coinvolti nei comitati per
la pianificazione dei prodotti e nelle task force per la produttività. Le organizzazioni
efficaci non funzionano affatto senza l’ausilio di gruppi e team ma, come l’esperienza
personale dimostra, lo sforzo di lavorare in gruppo può far emergere tanto il meglio
quanto il peggio delle persone. Una riunione della funzione marketing, dove più persone danno libero sfogo alle loro idee e proposte per il perfezionamento di una nuova
campagna pubblicitaria creativa, può portare a risultati che vanno oltre le capacità dei
singoli collaboratori.
D’altra parte, nelle aziende i comitati sono diventati il tipico oggetto di battute
derisorie, perché sono troppo spesso affetti da mancanza di direzione e da conflitti.
I manager devono poter comprendere a fondo i gruppi e i processi di gruppo, sia per
essere in grado di evitare gli errori, sia per sfruttarne le potenzialità. Inoltre, la già vasta
e sempre crescente presenza di Internet e delle moderne tecnologie di comunicazione –
caratterizzate da reti peculiari di rapporti sociali formali e informali – rappresenta una
sfida importante per i manager orientati al successo.
Sebbene esistano altre definizioni, da un punto di vista sociologico un gruppo è
formato da due o più persone che interagiscono liberamente condividendo norme e
obiettivi collettivi e avendo un’identità comune.2 La figura 10-1 mostra come i quattro
criteri che caratterizzano tale definizione si combinino fra loro formando un insieme
concettuale. Edgar Schein, psicologo delle organizzazioni, ha fornito una spiegazione più
chiara di questo concetto distinguendo in modo accurato gruppo, folla e organizzazione:
La dimensione del gruppo è dunque limitata dalle possibilità di interazione e consapevolezza reciproca. Un semplice aggregato di persone non può essere definito nei termini
di “gruppo” perché le persone non interagiscono e non si percepiscono come parte di un
gruppo, nonostante siano consapevoli della reciproca presenza, come può avvenire nel
caso di una folla a un angolo di strada intenta ad assistere a qualche avvenimento. Un
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Dinamiche di gruppo
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Figura 12-1
Quattro criteri sociologici
per definire un gruppo
Identità
comune
4
1
Due o più individui
che interagiscono
liberamente
Norme
collettive
2
3
Obiettivi
collettivi
intero reparto, un sindacato o un’organizzazione, sebbene pensino a loro stessi in termini
di “noi”, non possono comunque essere considerati un gruppo perché generalmente
non tutti interagiscono e non tutti si conoscono. Viceversa team di lavoro, comitati,
unità organizzative e varie altre forme di associazione tra membri dell’organizzazione,
risponderebbero alla definizione di gruppo sopra riportata.3
Gruppi formali e informali
Gruppo formale: gruppo formato da un’organizzazione
Gruppo informale: gruppo
formato da amici o da persone
con interessi comuni
Gli individui si riuniscono in gruppi, o vi vengono assegnati, per vari scopi. Un gruppo
si definisce formale se è formato da un manager al fine di aiutare l’organizzazione a
perseguire i suoi obiettivi. I gruppi formali sono tipicamente classificati come gruppi
di lavoro, team di progetto, comitati, commissioni o task force. Si parla di gruppo informale quando gli scopi principali per riunirsi sono l’amicizia o gli interessi comuni.
I gruppi formali e informali possono talvolta sovrapporsi nell’ambiente di lavoro, ad
esempio nelle aziende a conduzione familiare e per la prassi assai diffusa di assumere
persone di fiducia quali parenti e amici.4
Funzioni dei gruppi formali
Secondo i ricercatori i gruppi formali soddisfano due funzioni basilari: quella organizzativa e quella individuale. Le varie funzioni sono elencate nella tabella 10-1. In
qualunque momento è possibile riscontrare, nei gruppi formali, combinazioni complesse
di tali funzioni.
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Parte III
218
I gruppi e i processi sociali
Tabella 10-1 I gruppi formali soddisfano funzioni organizzative e individuali
Funzioni organizzative
Funzioni individuali
1. Portare a termini risultati complessi e interdipendenti
2.
3.
4.
5.
6.
1. Soddisfare l’esigenza di affiliazione dell’individuo
che vanno oltre le capacità degli individui
Generare idee e soluzioni originali o creative.
2. Sviluppare, migliorare e confermare all’individuo la fiducia
in se stesso e il senso di identità
Coordinare attività interfunzionali.
3. Dare un’opportunità di provare e condividere le proprie
percezioni della realtà sociale.
Fornire un meccanismo di problem-solving per problemi 4. Ridurre le ansie e le sensazioni di insicurezza e impotenza
complessi che richiedono varie informazioni e valutazioni
Mettere in atto decisioni complesse
5. Fornire un meccanismo di problem-solving per problemi
di carattere personale e interpersonale
Curare la socializzazione e formare i nuovi arrivati
Fonte: adattato da E.H. Schein, Organizational Psychology, 3a edizione (Englewood Cliffs, NJ: Prentice Hall, 1980), pp. 149-151).
Considerate, ad esempio, l’esperienza dei nuovi dipendenti americani della Mazda
che, prima dell’apertura dello stabilimento a Flat Rock, in Michigan, hanno lavorato
per un mese in Giappone:
Dopo un mese di formazione secondo i metodi della Mazda, battendo i loro nuovi
colleghi giapponesi a softball, e sperimentando i vari locali della zona, gli americani
si sono entusiasmati. […] Un manager responsabile della manutenzione ha addirittura
vagamente elogiato la pratica giapponese della ginnastica di gruppo che si tiene ogni
mattina prima del lavoro: “Non pensavo che fare ginnastica ogni mattina mi sarebbe
piaciuto, ma in un certo senso è stato così.”5
Mentre la Mazda perseguiva le proprie funzioni organizzative (lavoro di squadra interdipendente, creatività, coordinamento, problem-solving e formazione), i lavoratori
americani hanno tratto beneficio dalle funzioni individuali dei gruppi formali, che includevano l’affiliazione con nuovi amici, una valorizzazione della fiducia in se stessi,
l’esposizione alla realtà sociale giapponese e la diminuzione dell’ansia derivata dal
lavorare per un’azienda straniera. La Mazda, in breve, ha creato un mix gestibile che,
tramite la formazione dei nuovi dipendenti americani in Giappone, combina funzioni
di gruppo individuali e organizzative.
L’era dei social media ha sfumato i confini tra formale
e informale
Le relazioni sociali sono complesse, vive e in continuo movimento; è difficile tracciare
confini netti, soprattutto in una realtà dominata dai social media e dalle interazioni in
tempo reale. In questo contesto ci si interroga su quanto sia utile che gruppi formali
e informali si sovrappongano. Alcuni manager sono convinti che l’amicizia personale
renda i team più produttivi, altri ritengono che le “aggregazioni informali” rappresentino
un ostacolo per la produttività. Un recente sondaggio condotto su un campione di lavoratori dai 18 anni in su ha evidenziato i principali vantaggi e svantaggi determinati dai
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Dinamiche di gruppo
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rapporti di amicizia nell’ambiente di lavoro. I lati positivi sono un ambiente di lavoro
più incoraggiante (secondo il 70% degli intervistati) e più lavoro in team (69%), quelli
negativi il pettegolezzo (44%) e i favoritismi (37%).6 I manager sono chiamati a trovare
un giusto equilibrio, tenendo conto della maturità e degli obiettivi delle persone coinvolte.
La rivoluzione dei social media Per lungo tempo, il termine networking indicava
semplicemente lo sviluppo di un insieme di relazioni personali e professionali e la cura
dei contatti. Con l’avvento di email, blog e siti come Facebook, LinkedIn, YouTube e
Twitter, il networking ha assunto una portata molto più ampia e globale, giocando persino
un ruolo essenziale nella rivoluzione egiziana attraverso Facebook e Twitter.7 Perché
accontentarsi di un insieme statico di contatti quando si possono instaurare interazioni
istantanee, complete e significative con migliaia di persone? La rivista PC propone
questa utile definizione di sito di social networking (social networking site, SNS):
Un sito web che rappresenta una comunità virtuale per le persone interessate a un particolare tema o desiderose di “trascorrere del tempo” assieme. I membri creano il proprio
“profilo” online con dati biografici, immagini, preferenze e qualsiasi altra informazione
decidano di pubblicare. Comunicano con gli altri utenti a voce, tramite chat e messaggi
istantanei, videoconferenze e blog e generalmente hanno la possibilità di interagire con
i contatti di altri membri.8
I membri di un sito di social networking possono anche non conoscersi personalmente.
L’utenza è eterogenea, con una netta prevalenza dei più giovani; secondo un sondaggio
del Pew Research Center, il 75% degli utenti di Internet di età compresa tra i 18 e i 24
anni e il 30% di coloro che hanno tra i 35 e i 44 anni possiede un profilo su almeno un
sito di social networking.9
È giusto che i manager siano amici dei collaboratori? Un annoso problema legato
alle dinamiche di gruppo e amplificato dai social media è quello dei rapporti di amicizia
manager-collaboratore. Nella loro rubrica di consigli incentrati sul mondo degli affari,
Jack e Suzy Welch offrono questa utile prospettiva:
Non dovete necessariamente diventare amici dei collaboratori, almeno fintanto che
condividete con loro gli stessi valori per l’azienda. Se siete legati da un rapporto di
amicizia, tanto meglio: lavorare con persone che vi piacciono per 8-10 ore al giorno
rende tutto più divertente.
Premesso questo, ricordate che le amicizie capo-subordinati possono vivere o morire
per via di un solo fattore: l’onestà, totale e costante. La schiettezza è indispensabile in
qualsiasi rapporto di lavoro, ma diventa particolarmente vitale quando entra in gioco
anche un aspetto sociale. Dovete evitare che il vostro apprezzamento per la personalità
di un collaboratore equivalga a un apprezzamento automatico delle sue prestazioni.
Questo può capitare, ma le valutazioni della prestazione devono rappresentare momenti
di conversazione distinti e separati – almeno quattro volte all’anno – durante i quali vi
sedete a tavolino, mettete da parte gli aneddoti della grigliata dello scorso fine settimana
e parlate di aspettative e prestazioni effettive.10
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Parte III
220
I gruppi e i processi sociali
Per seguire questo consiglio, occorre una buona dose di intelligenza emotiva e sociale.
Il processo di sviluppo dei gruppi
I gruppi e i team passano attraverso un processo di sviluppo simile a quello di qualunque
situazione presenti un “ciclo di vita” (le persone, le organizzazioni, i prodotti). Se da
una parte tra gli studiosi c’è un generale accordo sul fatto che il processo di sviluppo
dei gruppi si articoli in stadi identificabili, dall’altra non c’è accordo sull’esatto numero, la sequenza, la durata e la natura di tali stadi.11 Un modello spesso citato è quello
proposto nel 1965 da Bruce W. Tuckman, uno psicologo della formazione. Inizialmente
il suo modello comprendeva quattro stadi (forming, storming, norming e performing).
Il modello suddiviso in cinque fasi, illustrato nella figura 10-2, si è evoluto quando
Tuckman e uno studente di dottorato hanno aggiunto, nel 1977, la voce “adjourning”.12
È però necessario un avvertimento; analogamente, in un certo qual modo, alla teoria
di Maslow sulla gerarchia dei bisogni, la teoria di Tuckman è stata ripetuta e insegnata
così spesso e così a lungo da essere considerata da molti come una realtà documentata,
e non come una semplice teoria. Anche oggi è importante ricordare l’avvertimento dello
stesso Tuckman, il quale precisa che il modello di sviluppo dei gruppi è stato ricavato
più da sessioni di terapia di gruppo che non da esperienze di vita di tutti i giorni. Ciò
nonostante molti, nell’ambito del comportamento organizzativo, apprezzano questo
modello perché è facile da ricordare e compatibile col buon senso.
Le cinque fasi
Esaminiamo brevemente ogni singola fase del modello di Tuckman. Da notare, nella
figura 10-2, come le persone, quando decidono di unirsi a un gruppo e partecipare alle
sue attività, rinuncino a una parte della loro indipendenza. Le varie fasi, inoltre, non sono
tutte caratterizzate dalla medesima durata o intensità; la fase dello storming, ad esempio,
potrebbe essere pressoché inesistente o terribilmente lunga, a seconda di quanto chiaro
sia l’obiettivo da perseguire e del livello di impegno e maturità dei membri del gruppo.
Potete mettere in pratica questo processo associando le varie fasi alla vostra esperienza
personale con gruppi di lavoro, comitati, squadre sportive, associazioni di carattere
sociale o religioso, oppure con lavori di gruppo svolti in classe. Alcuni avvenimenti di
gruppo che all’epoca hanno suscitato la vostra sorpresa potrebbero ora avere senso o
essere visti come inevitabili aspetti di un processo di sviluppo naturale.
Fase 1: forming Durante la fase 1, di “rottura del ghiaccio”, i membri del gruppo
tendono a mostrarsi incerti e ansiosi in merito a fattori quali il proprio ruolo, la responsabilità della supervisione e gli obiettivi del gruppo. Secondo un nuovo studio, contatti
precedenti tra i membri del gruppo possono creare attriti.13 La fiducia reciproca è bassa
e molti si mostrano titubanti in attesa di vedere chi assumerà il controllo della situazione
e come. Se il leader formale (ad esempio un supervisore) non mostra con decisione la
sua autorità, un altro leader prenderà il suo posto per soddisfare il bisogno di leadership e controllo del gruppo. Solitamente i leader confondono questo periodo di “luna
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10
Dinamiche di gruppo
221
Performing
Adjourning
Ritorno
all’indipendenza
Norming
Storming
Dipendenza/
interdipendenza
Forming
Indipendenza
“Qual è il mio “Che cosa si
ruolo?”
aspettano gli
altri da me?”
Problemi
individuali
“Come mi
inserisco?”
Problemi
di gruppo
“Perché siamo “Perché stiamo
qui?”
litigando su chi
debba avere il
controllo della
situazione
e su chi debba
fare cosa?”
“Come posso
rivestire al meglio
il mio ruolo?”
“Che cosa
accadrà dopo?”
“Siamo in grado
“Possiamo aiutare
“Possiamo
essere d’accordo di svolgere il lavoro i partecipanti a
sui ruoli e
in modo adeguato?” lasciare il gruppo?
sul lavoro
come team?”
Figura 10-2 Le cinque fasi della teoria di Tuckman sullo sviluppo dei gruppi
di miele” con un mandato di controllo permanente; l’insorgere di problemi successivi,
tuttavia, può rendere necessario un cambiamento di leadership.
Il team building, che esamineremo nel capitolo successivo, può aiutare i nuovi gruppi
a partire con il piede giusto.
Fase 2: storming Si tratta di un periodo di prova; i membri del gruppo, nel cercare di
stabilire come si inseriscono nella struttura di potere, mettono alla prova le politiche e
gli assunti del leader. Si vengono a creare dei sottogruppi e con essi forme sotterranee
di ribellione, come la procrastinazione. Molti gruppi si bloccano alla fase 2 perché le
politiche di potere sfociano in scontri aperti.14
Fase 3: norming I gruppi riescono generalmente a superare la fase 2 poiché un certo
numero di partecipanti, diversi dal leader, sfidano il gruppo a risolvere i conflitti di
potere al fine di procedere nel perseguimento dell’obiettivo. I problemi di autorità e
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Coesione di gruppo: senso
di “collettività” che unisce i
membri del gruppo
Parte III
I gruppi e i processi sociali
potere vengono risolti tramite discussioni controllate e concrete. Si percepisce un forte
spirito di squadra perché ogni membro ritiene di aver trovato il ruolo a lui più adatto.
La coesione di gruppo, definita come il senso di “collettività” che unisce i partecipanti
al gruppo, è il più importante sottoprodotto della fase 3.15
Fase 4: performing Durante questa fase, di fondamentale importanza, l’attività si
concentra sulla risoluzione del problema oggetto dell’attività di gruppo. In qualità di
membri di un gruppo maturo, i partecipanti portano a termine il loro compito senza
ostacolare gli altri. L’atmosfera è di aperta comunicazione, solida cooperazione e intenso
aiuto reciproco. Coerenza e impegno personale nel perseguimento degli obiettivi comuni
aiutano il gruppo a raggiungere risultati più consistenti di quelli di un singolo individuo
che opera da solo. Stando a quanto dice una coppia di esperti di sviluppo dei gruppi,
la struttura del gruppo può diventare flessibile e adeguarsi a quelle che sono le esigenze
della situazione senza creare problemi ai suoi membri. Il grado di importanza può spostarsi
da un membro all’altro a seconda di chi possiede le capacità o il grado di esperienza
necessari per lo svolgimento del compito o dell’attività del gruppo. I sottogruppi possono
occuparsi di problemi speciali o di problemi secondari senza minacciare l’autorità o la
coesione del resto del gruppo.16
Fase 5: adjourning Il lavoro è concluso; è il momento di passare ad altro. Dopo essersi impegnati duramente per andare d’accordo e portare a termine un compito, molti
membri provano un grave senso di perdita; il ritorno all’autonomia può essere facilitato
da rituali che festeggiano “la fine” e “un nuovo inizio”. Le feste, l’assegnazione di
premi, le cerimonie di laurea o i finti funerali possono essere la chiosa adeguata a un
progetto di gruppo di una certa importanza. I leader, al fine di preparare tutti a futuri
incarichi di gruppo, devono mettere in risalto gli insegnamenti utili tratti in merito alle
dinamiche di gruppo.
Sviluppo dei gruppi: studi e indicazioni pratiche
Un crescente numero di studi sullo sviluppo dei gruppi fornisce ai manager alcune
indicazioni pratiche.
Estensione del modello di Tuckman: decadenza del gruppo Un interessante studio
condotto su 10 team per lo sviluppo di software, che comprendevano dai 5 ai 16 membri,
ha dato una maggiore rilevanza pratica al modello di Tuckman.17 Diversamente dai
gruppi di laboratorio, coinvolti per un breve periodo di tempo nel lavoro di gruppo, le
squadre di ingegneri del software esaminate lavoravano su progetti che duravano anche
anni. I ricercatori, pertanto, hanno scoperto un processo di sviluppo dei gruppi più articolato rispetto alle cinque fasi. In realtà, una volta raggiunta la fase di performing di
Tuckman, i ricercatori hanno rilevato che spesso si verifica la decadenza del gruppo. In
linea con la terminologia adottata da Tuckman, le tre fasi caratterizzanti la decadenza
del gruppo sono state definite come “de-norming”, “de-storming” e “de-forming”. Tali
fasi aggiuntive si sviluppano come segue:
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Dinamiche di gruppo
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•
De-norming. Man mano che il progetto prende forma gli standard di comportamento
incominciano, in modo naturale, a venir meno; i membri del gruppo si spostano in
direzioni diverse a seconda dei loro interessi e delle loro aspettative.
• De-storming. Questa fase della decadenza del gruppo si sviluppa nel modo esattamente opposto alla fase di storming; se in quest’ultima i disaccordi e i conflitti
emergono in maniera alquanto improvvisa, durante la fase opposta il senso latente
di malcontento emerge lentamente. La resistenza individuale aumenta e la coesione
diminuisce.
• De-forming. Il gruppo di lavoro letteralmente si disgrega, mentre i sottogruppi si
scontrano per assumere il controllo. Le parti del progetto che non sono reclamate
dai singoli o dai sottogruppi sono abbandonate. “I membri del gruppo cominciano
a isolarsi tra di loro e rispetto ai loro leader. Il valore della performance subisce un
rapido declino perché il lavoro, nella sua completezza, non viene svolto, e i membri
del gruppo non sono interessati a quello che accadrà al di là dei confini che si sono
autoimposti.”18
La principale lezione di management che emerge da questo studio è che i leader del
gruppo non dovrebbero farsi prendere dall’entusiasmo una volta raggiunta la fase di
performing. Stando a quanto i ricercatori affermano: “La fase di performing è molto
rischiosa e non è una fase di equilibrio stabile”.19 La prima linea di difesa è la consapevolezza; è inoltre necessario compiere passi costruttivi che rafforzino le norme e la
coesione e che riconfermino l’obiettivo comune, anche nel caso in cui i membri stiano
agendo nel modo migliore possibile.
Feedback Un altro studio piuttosto importante è quello condotto da una coppia di
psicologi olandesi. Sono partiti dall’ipotesi che, durante il processo di sviluppo dei
gruppi, il feedback interpersonale mutasse sistematicamente. “L’unità considerata come
feedback era un messaggio verbale che un partecipante rivolgeva a un altro, nel quale
veniva indicato un particolare aspetto del comportamento.”20 Dopo aver raccolto e
suddiviso in categorie 1600 esempi di feedback tratti da quattro diversi gruppi, ognuno
formato da otto elementi, i ricercatori hanno tratto le seguenti conclusioni:
• Il feedback interpersonale aumenta man mano che il gruppo si sviluppa nelle fasi
successive.
• Nel corso dello sviluppo del gruppo il feedback interpersonale diventa più specifico.
• Con lo sviluppo del gruppo il feedback positivo aumenta e quello negativo diminuisce.
• Nel corso dello sviluppo del gruppo aumenta la credibilità del feedback tra pari.21
Tali scoperte sono molto importanti per i manager; il contenuto e la modalità del feedback
interpersonale tra membri di un gruppo di lavoro o di un comitato possono essere usati
come criteri per stabilire se il gruppo si sta sviluppando in maniera adeguata. L’inizio
della fase 2 (storming), ad esempio, verrà segnalato da un sostanziale aumento di
feedback negativo. Si può poi tentare di generare, tra i membri, un feedback specifico
e positivo, affinché lo sviluppo del gruppo non subisca un arresto. A questo proposito
può risultare utile il modello di feedback discusso nel Capitolo 9.
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Parte III
I gruppi e i processi sociali
Scadenze Sia le ricerche condotte sul campo che gli studi in laboratorio hanno dato
esiti incerti rispetto al ruolo delle scadenze come forze distruttive sia per lo sviluppo
del gruppo che per le relazioni tra i gruppi. Le implicazioni pratiche di tali risultati sono
state riassunte dai ricercatori come segue:
Scadenze incerte o tendenti a slittare in avanti sono una cosa naturale per molte organizzazioni. Unità organizzative e gruppi interdipendenti possono vicendevolmente farsi
aspettare, possono all’improvviso anticipare o posticipare le scadenze, o possono crearne
di nuove, appositamente fissate prima del termine utile, al fine di controllare flussi di
lavoro irregolari. La presente ricerca suggerisce che le conseguenze di tale incertezza
potrebbero portare a qualcosa di peggio dello stress, del tempo sprecato, degli straordinari e dei conflitti tra gruppi. La sincronia tra le aspettative dei diversi partecipanti in
merito alle scadenze può influire criticamente sulle capacità dei gruppi di concludere
con successo le varie fasi del loro lavoro.22
La gestione di un gruppo efficiente, pertanto, implica non solo un chiarimento dei compiti
e degli obiettivi, ma anche dei programmi e delle scadenze. Quando i membri del gruppo
percepiscono adeguatamente l’importanza delle scadenze, l’andamento del lavoro e la
tempestività con cui si conducono i lavori interdipendenti tendono a migliorare.
Stili di leadership Esperti di leadership sostengono, in parte in contrasto con le
affermazioni precedenti, che nel corso del suo sviluppo il gruppo necessita di diversi
stili di leadership.
In generale è stato provato che il comportamento di leadership attivo, aggressivo, direttivo, strutturato e orientato al compito sembra mostrare risultati favorevoli all’inizio
della storia del gruppo. Pare tuttavia che tali comportamenti, se mantenuti durante tutto
il corso della vita del gruppo, abbiano un effetto negativo sulla coesione e sulla qualità
del lavoro. Viceversa, un comportamento di leadership volto al sostegno, democratico,
decentralizzato e partecipativo sembra spiegare un funzionamento mediocre del gruppo
nelle prime fasi del suo sviluppo. Tuttavia, sembra che tali comportamenti, se mantenuti durante tutta la vita del gruppo, determinino maggiore produttività, soddisfazione
e creatività.23
In sostanza si consiglia ai manager, nel corso dello sviluppo del gruppo, di muoversi da
uno stile di leadership direttivo e strutturato a uno partecipativo e orientato al sostegno.24
Ruoli e norme: basi sociali per il comportamento
organizzativo e di gruppo
I gruppi di lavoro trasformano gli individui in membri attivi di un’organizzazione tramite sottili ma potenti forze sociali.25 Tali forze, di fatto, trasformano un “io” in “noi”.
L’influenza del gruppo inserisce gli individui nella trama sociale dell’organizzazione
comunicando aspettative di ruolo e norme e dando loro forza cogente. Se vogliamo gestire
il comportamento organizzativo e di gruppo dobbiamo dunque capire i ruoli e le norme.
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Dinamiche di gruppo
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Ruoli
Ruoli: comportamenti previsti
per una data posizione
Sono passati quattro secoli da quando William Shakespeare ha scritto per il suo personaggio Jaques, nel II atto di Come vi piace, le battute indimenticabili che seguono:
“il mondo è tutto un palcoscenico / sul quale tutti noi, uomini e donne / siam solo
attori, con le nostre uscite / e con le nostre entrate; ove ciascuno, / per il tempo che
gli è stato assegnato, / recita molte parti”. Questa interessante idea delle persone
viste come attori di una rappresentazione universale è riemersa tra i sociologi degli
anni ’20, che hanno sviluppato una complessa teoria sulla interazione umana basata
sui ruoli. Secondo uno studioso di comportamento organizzativo, “i ruoli si definiscono come una serie di comportamenti che la gente si aspetta da chi occupa una
determinata posizione”.26 La teoria dei ruoli tenta di spiegare come tali aspettative
sociali influiscano sul comportamento delle persone che lavorano. La presente sezione
esaminerà la teoria dei ruoli analizzando gli episodi di ruolo e definendo i concetti di
sovraccarico, conflitto e ambiguità di ruolo.
Episodi di ruolo Un episodio di ruolo, come mostrato nella figura 10-3, può essere
descritto come lo scatto di un’istantanea che ferma un momento di interazione in corso
tra due persone. In ciascun episodio di ruolo vi è una persona che crea il ruolo e un’altra
che ha il compito di metterlo in pratica. In un contesto sociale più ampio colui che crea
il ruolo può simultaneamente essere anche colui che lo interpreta. Ai fini dell’analisi
sociale è tuttavia più istruttivo analizzare gli episodi di ruolo separati.
Gli episodi di ruolo cominciano con la percezione, da parte di colui che crea il ruolo, dei requisiti comportamentali importanti per il gruppo o per l’organizzazione. Tali
requisiti sono il modello su cui valutare con attenzione l’effettivo comportamento della
persona chiamata a interpretare il ruolo. A quest’ultima vengono poi inviati messaggi
verbali e comportamentali affinché adegui il suo modo di agire alle aspettative. Una
meta-analisi dei risultati di 160 studi che hanno coinvolto 77.954 lavoratori ha confermato che la pressione positiva e negativa dei pari esercita una forte influenza sulla
Disegno del ruolo
• Percezione organizzativa/
requisiti richiesti dal gruppo
• Valutazione comparativa di
– Aspettative di ruolo per chi
deve interpretare il ruolo
– Comportamento di chi
interpreta il ruolo
Modellazione
del ruolo
Comunicazione
di approvazione
o esigenza
di cambiamento
Persona che interpreta il ruolo
• Aspettative di ruolo percepite
• Sperimentazione di sovraccarichi,
conflitti e ambiguità di ruolo
• Reazioni costruttive/distruttive
Feedback
Figura 10-3 Un episodio di ruolo
Fonte: adattato da R.L. Kohn, D.M. Wolfe, R.P. Quinn, e J.D. Snoek, Organizational Stress: Studies in Role Conflict and Ambiguity (Malabar, FL: Robert E Krieger
Publishing, 1964), p. 26.
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Parte III
I gruppi e i processi sociali
prestazione nel ruolo.27 Osservate come Westinghouse ha usato il metodo del bastone
e della carota per comunicare le aspettative del ruolo:
La carota è data da un piano che […] ha ricompensato 134 manager con stock option
su 764.000 azioni dell’azienda per aver incrementato i risultati finanziari. Il bastone è
dato dalle riunioni trimestrali nelle quali i manager vengono valutati in base a quanto le
loro operazioni contribuiscono all’utile per azione. [Il presidente del consiglio di amministrazione], dai toni pacati, non rimprovera; si limita semplicemente a rappresentare
graficamente in verde i risultati dei manager che hanno raggiunto i loro obiettivi e in
rosso chi invece è rimasto indietro. La pressione da parte degli altri membri fa il resto.
La vergogna, come afferma un dirigente, “è uno strumento molto potente”.28
Aspetto molto interessante, in un recente sondaggio condotto in ambienti di lavoro solo il
10% e il 31% degli intervistati si dicevano rispettivamente molto d’accordo e d’accordo
con la seguente affermazione: “All’interno della mia organizzazione, le persone devono
dare conto del raggiungimento della performance”.29 Dedicando maggiori energie alla
comunicazione e all’esplicitazione delle aspettative di ruolo si può migliorare significativamente la produttività nell’ambiente organizzativo.
Chi dovrà interpretare il ruolo può percepire in maniera accurata o imprecisa le
aspettative comunicate e il modello di comportamento. Si sperimentano, in seguito,
varie combinazioni di sovraccarico di ruolo, conflitto di ruolo e ambiguità di ruolo
(questi concetti verranno definiti e discussi di seguito). La persona che deve interpretare il ruolo può reagire in modo costruttivo, impegnandosi, per esempio, nella
risoluzione di un problema, o in modo distruttivo, a causa della tensione, dello stress
e della pressione subita.
Sovraccarico di ruolo: le
aspettative altrui superano le
capacità della persona
Conflitto di ruolo: le aspettative altrui sono contrastanti
o incoerenti
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Sovraccarico di ruolo Secondo Edgar Schein, psicologo delle organizzazioni, un
sovraccarico di ruolo si verifica quando “l’insieme delle aspettative di coloro che
hanno creato il ruolo nei confronti di chi dovrà interpretarlo supera le sue effettive
capacità”.30 Gli studenti che tentano di seguire un corso regolare di studi e mantenere
una vita sociale dignitosa pur lavorando 30 o più ore a settimana, conoscono molto bene
le conseguenze del sovraccarico di ruolo. Quando l’individuo prova a svolgere sempre
più compiti, avendo sempre meno tempo a disposizione, lo stress aumenta, l’efficacia
personale subisce un calo e anche la salute può risentirne.
Conflitti di ruolo Vi siete mai sentiti lacerati dalle aspettative contrastanti di chi vi
circonda? In caso affermativo siete stati vittime di un conflitto di ruolo. Un conflitto di
ruolo si verifica quando “diversi soggetti che contornano il ruolo in questione hanno
aspettative diverse nei confronti della persona che lo interpreta”. I lavoratori, come
discusso nel Capitolo 6, si trovano spesso in conflitto tra le esigenze del lavoro e quelle
della famiglia; le donne devono affrontare conflitti di ruolo tra lavoro e famiglia maggiori rispetto agli uomini, perché rivestono tuttora un ruolo di responsabilità maggiore,
sia per quanto riguarda i doveri della vita domestica, sia in merito alla cura dei figli e
degli anziani.
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Dinamiche di gruppo
227
In media le mogli si fanno carico del doppio dei lavori domestici rispetto ai mariti,
l’equivalente di due giornate di compiti supplementari alla settimana. Anche quando
l’uomo è disoccupato, la donna gestisce gran parte del carico di lavoro domestico e lo
stesso accade per la cura dei figli. Se entrambi i genitori lavorano, le donne trascorrono
il 400% di tempo in più con i bambini.31
I single vivono il loro conflitto di ruolo tra lavoro e tempo libero. I conflitti di ruolo
emergono anche quando valori interiorizzati, standard etici o modelli personali si
scontrano con le aspettative di altri. Un manager che normalmente si attiene all’etica,
ad esempio, potrebbe ricevere da un superiore l’ordine di presentare una relazione sul
controllo di qualità “non troppo corrispondente al vero” al fine di rispettare un’importante scadenza. Il conflitto di ruolo che ne risulta costringe il manager a scegliere
tra un comportamento leale, ma contro l’etica, e uno conforme all’etica, ma sleale.
Difficili scelte etiche come questa sono causa di inquietudine personale, conflitto
interpersonale e persino di dimissioni. Gli esperti, di conseguenza, affermano che le
business school dovrebbero impegnarsi maggiormente nell’inserire l’etica tra i temi
fondamentali dei loro corsi.
Ambiguità di ruolo: le aspettative altrui sono ignote
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Ambiguità di ruolo Coloro che si trovano ad affrontare un conflitto di ruolo possono avere problemi nell’adeguarsi alle esigenze richieste da questo ma, per lo meno,
sanno che cosa ci si aspetta da loro. La stessa cosa non vale per l’ambiguità di ruolo,
che si viene a creare quando “coloro che creano il ruolo non riescono a comunicare al
destinatario ciò che si aspettano da lui oppure le informazioni necessarie per mettere in
pratica il ruolo, o perché non dispongono di tali informazioni o perché, deliberatamente,
non le comunicano”.32 In breve, le persone sperimentano l’ambiguità di ruolo quando
non sanno come ci si aspetta che agiscano. I nuovi arrivati in un’impresa si lamentano
spesso in merito a descrizioni poco chiare del lavoro da svolgere e criteri di promozione troppo vaghi. Stando alla teoria dei ruoli, un’ambiguità di ruolo prolungata può
incrementare l’insoddisfazione sul lavoro, minare la fiducia in se stessi e danneggiare
la prestazione lavorativa.
L’ambiguità di ruolo, come è ovvio, varia a seconda delle realtà culturali; in uno
studio condotto su 21 nazioni è emerso che le persone appartenenti a culture individualistiche avevano un grado di ambiguità di ruolo più alto rispetto a quelle appartenenti
a culture collettivistiche.33 Le persone appartenenti a culture collettivistiche, in altre
parole, avevano un’idea più chiara di ciò che gli altri si aspettavano da loro. Tali culture si assicurano che ciascuno sappia quale posto occupare nella società. Le persone
appartenenti a culture individualistiche, come gli Stati Uniti, possono apprezzare una
maggiore discrezionalità individuale, ma, di conseguenza, uno scarso riscontro da parte
di terzi determina chiaramente una maggiore ambiguità di ruolo.
Come precedentemente accennato le conseguenze derivate dal ruolo si sviluppano
in una qualche combinazione tra loro e di solito vanno a danneggiare l’individuo e
l’organizzazione. Una ricerca condotta in Israele ha rilevato, per l’appunto, come persone coinvolte in un conflitto di ruolo unito a un’ambiguità di ruolo abbiano avuto una
prestazione lavorativa meno efficace.34
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Parte III
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I gruppi e i processi sociali
Norme
Norme: comportamenti condivisi, opinioni, sensazioni o
azioni che guidano il comportamento organizzativo
Le norme sono molto più complete dei ruoli; se da una parte i ruoli implicano un
determinato comportamento per determinate posizioni, dall’altra le norme aiutano i
membri dell’organizzazione a stabilire cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa è positivo
e cosa è negativo. Secondo quanto affermato da un gruppo accreditato di consulenti
manageriali: “una norma indica un comportamento, un atteggiamento, un’opinione o
un’azione – condivisa da due o più persone – che fa da guida al loro comportamento”.35
Sebbene le norme siano notoriamente non scritte e raramente discusse apertamente,
influiscono notevolmente sul gruppo e sul comportamento organizzativo. La PepsiCo
Inc., ad esempio, ha sviluppato una regola in base alla quale la competitività aziendale
è paragonata alla cura della forma fisica. Secondo quanto osservato
La magrezza e l’agilità sono qualità tipiche dell’azienda. Quando i giovani rampanti
manager della Pepsi si prendono una pausa dall’ufficio vanno spesso direttamente nel
centro sportivo dell’azienda o a fare una corsa attorno alle sculture situate al di fuori del
centro direzionale della PepsiCo a New York.36
Ostracismo: rifiuto da parte
degli altri membri del gruppo
Alla PepsiCo e in altre aziende i membri del gruppo accolgono e sostengono positivamente chi aderisce alle norme in uso. Ciò nonostante gli anticonformisti vanno incontro
a critiche e addirittura a ostracismo o rifiuto da parte dei membri del gruppo. Chiunque
abbia sperimentato di essere stato punito col silenzio da parte degli amici sa perfettamente
quale arma potente possa essere l’ostracismo.37 Le norme possono essere poste nella
giusta prospettiva cercando di capirne lo sviluppo e il motivo per cui sono applicate.
Come si sviluppano le norme Gli esperti affermano che, quando il gruppo o l’organizzazione stabiliscono cosa è necessario fare per essere efficaci, le norme si sviluppano
in maniera informale. In generale le norme si sviluppano in diverse combinazioni dei
modi qui di seguito riportati:
1. Affermazioni esplicite dei capi o dei colleghi. Il leader di un gruppo, ad esempio,
potrebbe stabilire norme esplicite che vietino il consumo di bevande alcoliche nella
pausa pranzo.
2. Avvenimenti critici nella storia del gruppo. Talvolta si verifica, nella storia del
gruppo, un avvenimento critico che stabilisce un precedente importante. Ad esempio
un nuovo assunto portatore di competenze rilevanti può voler decidere di lavorare
altrove perché un membro del gruppo ha detto troppe cose negative in merito all’organizzazione. Si potrebbe pertanto sviluppare una norma contro tale comportamento
“sgradevole”.
3. Supremazia. Il primo tipo di comportamento emergente in un gruppo spesso determina le aspettative del gruppo stesso. Se la prima riunione è caratterizzata da un
tipo di interazione alquanto formale tra capi e collaboratori, il gruppo si aspetterà
che le riunioni successive si svolgeranno allo stesso modo.
4. Comportamenti passati applicati a situazioni presenti. L’applicazione di comportamenti verificatisi in precedenti situazioni può aumentare la prevedibilità dei
comportamenti dei membri del gruppo in situazioni nuove e facilitare l’esecuzione
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Dinamiche di gruppo
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del compito. Gli studenti e i professori, ad esempio, portano con sé, da una classe
all’altra, un buona dose di aspettative.38
Vi proponiamo ora di pensare per qualche istante alle norme attualmente vigenti nel
vostro corso. Elencatele su un foglio di carta. Queste norme vi sono d’aiuto o di ostacolo
nella vostra capacità di apprendimento? Le norme possono influire sulla prestazione sia
positivamente che negativamente.
Perché le norme vengono applicate? Le norme tendono a essere applicate dai membri
del gruppo quando
• aiutano la sopravvivenza del gruppo o dell’organizzazione;
• chiariscono o semplificano le aspettative sul comportamento;
• aiutano gli individui a evitare situazioni imbarazzanti;
• chiariscono quali sono i valori fondamentali e/o l’identità del gruppo e dell’organizzazione.39
Esempi pratici delle quattro suddette situazioni sono presentati nella tabella 10-2.
Risultati della ricerca e implicazioni per i manager
Sebbene la validità degli strumenti utilizzati per misurare il conflitto di ruolo e l’ambiguità di ruolo sia contestabile,40 due meta-analisi distinte hanno indicato che il conflitto
di ruolo e l’ambiguità di ruolo incidevano negativamente sui collaboratori. In particolare
il conflitto di ruolo e l’ambiguità di ruolo sono state associate all’insoddisfazione profes-
Tabella 10-2 Quattro ragioni per l’applicazione delle norme
Norma
Motivazione dell’applicazione
Esempio
“Far apparire bene il nostro
reparto agli occhi del top
management”
Sopravvivenza del gruppo/dell’organizzazione
“Il successo sorride a coloro
che lavorano duramente e
non creano difficoltà”
Chiarimento delle aspettative comportamentali
“Lavora per il successo
del tuo team, non per il tuo”
Evitare l’imbarazzo
“Il servizio alla clientela è
la nostra priorità assoluta”
Chiarimento dei valori centrali/identità
Dopo aver difeso energicamente il ruolo fondamentale del dipartimento risorse umane, nel
corso di una riunione di divisione, un esperto
dello staff ha ricevuto i complimenti del capo.
Un senior manager chiama in disparte un giovane collega e lo esorta a mostrarsi più
paziente nei confronti dei collaboratori che
hanno opinioni diverse dalla sua.
Il membro di un team di progetto viene preso
in giro dai suoi colleghi per aver dominato
la discussione durante una relazione
al manager sull’andamento dei lavori.
Viene organizzata una festa a sorpresa venerdì
pomeriggio per due agenti di vendita, per aver
ricevuto, da un’associazione industriale,
un prestigioso riconoscimento per il servizio
alla clientela.
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230
Parte III
I gruppi e i processi sociali
sionale, a tensione e ansia, alla mancanza di commitment organizzativo, all’intenzione
di abbandonare il lavoro e, in forma minore, a una prestazione lavorativa scadente.41
I risultati delle meta-analisi non hanno costituito una grande sorpresa per i manager;
generalmente, date le associazioni negative riportate, diventa conseguenza logica, per il
management, ridurre sia il conflitto che l’ambiguità di ruolo. A questo scopo i manager
possono ricorrere al feedback, a regole e procedure formali, a una leadership direttiva,
a obiettivi specifici dal punto di vista comportamentale (difficili) e alla partecipazione.
I manager, al fine di ridurre il conflitto e l’ambiguità di ruolo, possono altresì ricorrere
all’intervento di un mentore, processo discusso nel Capitolo 3.
Per quanto riguarda le norme, una serie recente di studi di laboratorio, che ha visto
coinvolti 1504 studenti universitari, presenta importanti implicazioni per i programmi
che riguardano la diversità sul posto di lavoro. I soggetti appartenenti a gruppi dove vigeva la norma di manifestare pregiudizi, legittimare la discriminazione e reagire ridendo
a scherzi ostili, tendevano ad assumere tali spiacevoli comportamenti. Al contrario, i
soggetti messi a confronto con gruppi caratterizzati da regole socialmente più accettabili, hanno dato segno di disapprovazione nei confronti di una condotta pregiudiziale e
discriminatoria.42 Quindi, ancora una volta, la mamma aveva ragione quanto ci diceva
di non frequentare “cattive compagnie”. I manager che desiderano costruire solidi programmi di diversità devono valorizzare modelli di ruolo e norme di gruppo adeguate. È
necessario individuare ed eliminare i modelli di ruolo negativi e le pratiche antisociali.
Struttura e composizione del gruppo
I gruppi di lavoro di varie dimensioni sono formati da individui aventi capacità e motivazioni diverse.43 Essi, inoltre, rivestono ruoli diversi sia in mansioni a loro assegnate,
sia su base volontaria. Non è un caso che alcuni gruppi di lavoro siano più produttivi di
altri, né che alcuni comitati siano molto uniti mentre altri si trovano in aperto conflitto.
Nella presente sezione prenderemo in esame tre importanti aspetti della struttura e composizione del gruppo: (1) ruoli funzionali dei membri del gruppo, (2) dimensione del
gruppo e (3) composizione di genere. Ciascuno di questi aspetti può, alternativamente,
a seconda di come viene gestito, valorizzare o ostacolare l’efficacia del gruppo.
Ruoli funzionali rivestiti dai membri del gruppo
Come illustrato nella tabella 10-3, se un gruppo di lavoro è chiamato a portare a termine
una qualunque mansione devono essere ricoperti sia i ruoli di mantenimento sia quelli
orientati al compito.44
Ruoli orientati al compito:
comportamenti del gruppo
orientati verso il compito da
svolgere
Ruoli di mantenimento:
comportamenti del gruppo volti alla costruzione di rapporti
CompOrga.indb 230
Ruoli orientati al compito e ruoli di mantenimento I ruoli orientati al compito
permettono al gruppo di lavoro di definire, chiarire e perseguire un obiettivo comune. I
ruoli di mantenimento, invece, favoriscono i rapporti interpersonali costruttivi e volti
al sostegno. I ruoli orientati al compito, in breve, mantengono il gruppo in carreggiata
mentre i ruoli di mantenimento lo tengono unito. Abbiamo a che fare con un ruolo
orientati al compito quando un membro di un progetto si alza durante una riunione di
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10
Dinamiche di gruppo
Tabella 10-3
Ruoli funzionali interpretati
dai membri del gruppo
231
Ruoli orientati al compito
Descrizione
Iniziatore
Ricercatore/portatore
di informazioni
Ricercatore/portatore
di opinioni
Elaboratore
Suggerisce nuovi obiettivi o idee
Chiarisce i problemi chiave
Coordinatore
Guida
Valutatore
Stimolatore
Tecnico procedurale
Segretario
Chiarisce i valori pertinenti
Promuove una maggiore comprensione mediante esempi o
esplorazione di implicazioni
Riunisce idee e suggerimenti
Aiuta il gruppo a non perdere di vista l’obiettivo finale.
Testa i risultati del gruppo usando diversi criteri come la logica
e la praticità
Incita il gruppo ad andare avanti o a raggiungere risultati ulteriori.
Esegue doveri di routine (es. distribuzione di nuovi materiali o
riorganizzazione dei posti a sedere)
Esercita la funzione di “memoria di gruppo” documentando
le discussioni e i risultati.
Ruoli di mantenimento
Descrizione
Sostenitore
Sostiene la solidarietà di gruppo accettando ed elogiando i vari
punti di vista
Media i conflitti tramite riconciliazione o senso dell’umorismo
Aiuta a risolvere i conflitti andando incontro agli altri a metà strada
Incoraggia tutti i membri del gruppo a partecipare
Valuta la qualità dei processi del gruppo
Registra e commenta le dinamiche/i processi di gruppo
Funge da ascoltatore passivo
Armonizzatore
Mediatore
Custode
Definitore di standard
Commentatore
Seguace
Fonte: adattato dalla discussione in K.D. Benne e P. Sheats, “Functional Roles of Group Members”, Journal of Social Issues,
primavera 1948, pp. 41-49.
aggiornamento e dice: “Qual è il vero problema qui? Non mi sembra che si stia arrivando
da nessuna parte”. Quando un altro dice: “Ascoltiamo chi non è d’accordo su questo
progetto” abbiamo a che fare con un ruolo di mantenimento. È importante sottolineare
che ciascuno dei diversi ruoli può essere rivestito in diverse combinazioni e sequenze
dai leader del gruppo o da uno qualsiasi dei partecipanti.
Checklist per i manager I ruoli di mantenimento e orientati al compito elencati nella
tabella 12-3 possono servire da checklist per i manager che desiderano assicurare un
adeguato sviluppo di un gruppo. A ruoli come quello del coordinatore, del valutatore
e del custode, non sempre ricoperti al momento necessario, possono provvedere in
modo adeguato il leader ufficiale o altri membri assegnati. I ruoli orientati al compito
di iniziatore, di guida e di stimolo sono particolarmente importanti perché diretti verso
l’obiettivo. Ricerche in merito alla messa a punto di obiettivi (goal setting) di gruppo
confermano la forte motivazione derivata dallo stabilire traguardi ambiziosi. Analogamente a quanto visto per il goal setting individuale (argomento trattato nel Capitolo 9),
obiettivi difficili, ma raggiungibili, sono associati a risultati di gruppo migliori.45 Sempre in modo analogo alla teoria e alla ricerca sul goal setting individuale, gli obiettivi
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Parte III
232
I gruppi e i processi sociali
di gruppo risultano più efficaci se i partecipanti li comprendono e si impegnano, sia
a livello individuale che collettivo, a portarli a termine. A questo proposito risultano
molto utili le figure di iniziatore, di guida e di stimolo.
I manager in ambito internazionale devono mostrarsi sensibili nei confronti delle
differenze culturali legate all’importanza dei ruoli di compito e di mantenimento. In
Giappone, ad esempio, la tradizione culturale richiede maggior enfasi sui ruoli di mantenimento, specialmente per i ruoli di armonizzatore e di mediatore.
L’educazione prevede che durante una riunione, o in classe, non ci si metta in evidenza
o non si sia litigiosi. Se due o più membri scoprono di avere opinioni diverse – cosa che
si spera sia casuale – ci si aggiorna al fine di trovare maggiori informazioni e impegnarsi
per trovare una posizione accettata all’unanimità. I giapponesi non impongono le loro
opinioni personali mediante argomentazioni fondate, logica esatta, o ricompense e minacce; non esitano, altresì, ad andare contro le loro convinzioni se questo può impedire
di intaccare i rapporti interpersonali. (Perdere significa vincere.)46
Dimensioni del gruppo
Quando si può dire che un gruppo è troppo numeroso? La risposta a questa domanda,
apparentemente semplice, ha interessato i manager e gli accademici per anni. Secondo
la saggezza popolare “due teste sono meglio di una”, ma “troppi galli che cantano non
fanno mai far giorno”. Sondaggi recenti condotti su campioni di lavoratori indicano che
i gruppi di lavoro formati da tre persone risultano i preferiti (54%), seguiti da gruppi con
quattro o più membri (27%) e da gruppi di due persone (9%).47 Dove dovrebbe dunque
porre il limite un manager nella formazione di un comitato? Quando ha raggiunto i 3
membri? 5 o 6? 10 o più di 10? Al fine di individuare la dimensione ideale del gruppo,
i ricercatori hanno adottato due approcci diversi: l’utilizzo di modelli matematici e le
simulazioni effettuate in laboratorio. Riesaminiamo brevemente le prove empiriche
partendo da questi due approcci.
Approccio dei modelli matematici Tale approccio implica l’elaborazione di un modello matematico attorno a determinati risultati auspicati dall’azione di gruppo, come ad
esempio la qualità della decisione. A causa di assunti e tecniche statistiche divergenti,
i risultati di tale ricerca sono inconcludenti. Stime statistiche relative alla dimensione
ottimale del gruppo indicano un risultato compreso tra 3 e 13.48
Approccio delle simulazioni in laboratorio Tale filone di studi si basa sul presupposto che il comportamento di gruppo deve essere osservato, personalmente, in ambienti
controllati di laboratorio. Uno studio di laboratorio condotto dall’autorevole ricercatore
australiano Philip Yetton e dal suo collega Preston Bottger, fornisce utili osservazioni in
merito alla dimensione e al risultato del gruppo.49 Un totale di 555 soggetti (330 manager
e 225 laureati in economia aziendale, 20% dei quali donne) sono stati suddivisi in gruppi
di lavoro aventi da 2 a 6 membri. Le squadre hanno svolto l’esercizio di sopravvivenza
sulla luna elaborato dalla NASA (tale esercizio consiste nel mettere in graduatoria 15
pezzi di attrezzatura che permetterebbero all’equipaggio di una navicella spaziale sulla
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10
Dinamiche di gruppo
233
luna di sopravvivere in un viaggio di 200 miglia tra un atterraggio di emergenza e la
base di partenza).50 Dopo aver analizzato il rapporto tra la dimensione del gruppo e la
sua prestazione, Yetton e Bottger sono giunti alle seguenti conclusioni:
Sarebbe difficile, almeno per quanto riguarda la qualità della decisione, giustificare
l’esistenza di gruppi formati da più di cinque elementi. […] Naturalmente, al fine di
soddisfare necessità diverse dalla qualità della decisione, le organizzazioni potrebbero
utilizzare gruppi formati da molti più elementi.51
Studi di laboratorio più recenti che analizzano la produttività dell’attività di brainstorming di gruppi di varie dimensioni (dai 2 ai 12 elementi), coinvolti in interazioni a tu per
tu oppure mediate dal computer, si sono rivelati molto utili. Nella consueta sessione di
brainstorming a tu per tu, la produttività, in termini di idee generate, non è aumentata con
l’aumento della dimensione del gruppo. Nel momento in cui le idee sono state digitate
su computer in rete, invece, la produttività del brainstorming è aumentata al crescere
della dimensione del gruppo.52 Questi risultati suggeriscono che le reti informatiche
possono realmente portare a un miglioramento della produttività mediante l’uso delle
moderne tecnologie informatiche.
Suggerimenti per i manager All’interno di uno schema concettuale che prevede che
il management debba adattarsi alle situazioni non esistono regole rigide in merito alla
dimensione del gruppo; questa varia a seconda dell’obiettivo che il manager stabilisce
per il gruppo. Se l’obiettivo principale è una decisione di alta qualità, il numero adeguato dei membri del gruppo in questione sarà compreso tra tre e cinque. Se, invece,
l’obiettivo è quello di generare idee creative, incoraggiare la partecipazione, aiutare
nuovi membri a socializzare, impegnarsi nella formazione o comunicare delle politiche,
allora un gruppo composto da più di cinque membri sarà giustificato. Ma persino in
questo ambito di sviluppo i ricercatori hanno trovato dei limiti nella dimensione del
gruppo. In base ai risultati di una meta-analisi, gli effetti positivi di attività legate alla
formazione di team diminuivano con l’aumento della dimensione del gruppo.53 È inoltre
necessario che i manager siano consapevoli dei cambiamenti qualitativi determinati
dall’aumento della dimensione del gruppo. Da una meta-analisi, comprensiva di otto
studi, sono emersi i seguenti rapporti: con l’aumentare della dimensione del gruppo si
è registrata una tendenza dei leader a diventare più direttivi e una lieve diminuzione
della soddisfazione dei membri.54
Si consigliano gruppi formati da un numero di membri dispari (tre, cinque, sette)
nel caso in cui la decisione da prendere possa essere determinata da una votazione a
maggioranza. Votazioni con un risultato di parità sono troppo spesso causa di ostacolo
nell’efficacia di gruppi formati da un numero pari di membri.
Uomini e donne che lavorano insieme in un gruppo
Come messo in evidenza nel Capitolo 2, negli ultimi decenni è notevolmente aumentata
la quantità di donne all’interno della forza lavoro. Tale cambiamento demografico ha
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234
Parte III
I gruppi e i processi sociali
influenzato gli atteggiamenti. Per esempio, nella relazione circa uno studio longitudinale
condotto su dirigenti statunitensi, i ricercatori hanno osservato che:
Uomini e donne […] danno risposte simili all’affermazione “Sarei a mio agio lavorando
per una donna”. Gran parte delle donne continua a rispondere affermativamente, sebbene
si sia registrato un lieve calo dopo il 1985. Per quanto riguarda gli uomini, il 71% afferma
che si sentirebbe a proprio agio. Il dato ha evidenziato un notevole incremento rispetto
al 1965 (27%) e al 1985 (47%).55
Dato l’incremento nel numero dei comitati e dei team composti da uomini e donne, ci si
può aspettare una serie di intense ripercussioni sulle dinamiche di gruppo. Osserviamo
ora cosa hanno scoperto i ricercatori riguardo al modo in cui influisce la composizione
di genere all’interno del gruppo e a cosa possono fare in merito i manager.
La difficile battaglia delle donne nei gruppi di lavoro misti Studi di laboratorio e
ricerche sul campo disegnano un quadro difficile per le donne che fanno parte di gruppi
di lavoro misti. Al fine di compiere i passi giusti verso un miglioramento della situazione
è necessario che sia gli uomini, sia le donne siano a conoscenza di tali dinamiche di
gruppo, spesso sottili, ma molto potenti. Ecco un esempio tratto da un recente studio sul
legame tra la forza della stretta di mano e la valutazione nei colloqui di lavoro. Secondo
le conclusioni dei ricercatori:
Abbiamo dimostrato che le donne compensano gli effetti di strette di mano più deboli,
dato che in media non ricevono valutazioni più basse nei colloqui, e potrebbero di
fatto trarre più vantaggi degli uomini presentandosi con una stretta di mano forte e
completa.56
Ovviamente, occorre tenere conto del contesto culturale di questo studio (condotto su
un campione di studenti universitari statunitensi). Le norme che regolano le strette di
mano variano infatti di cultura in cultura.
In uno studio di laboratorio condotto su gruppi di sei persone è stato individuato
un chiaro esempio di disuguaglianza di genere nel modo in cui i membri del gruppo si
interrompevano mentre parlavano. Gli uomini interrompevano le donne decisamente
più spesso di quanto non facessero con gli altri uomini; le donne, con una tendenza
all’interruzione meno frequente e meno efficace degli uomini, interrompevano uomini
e donne in egual misura.57 Un altro studio di laboratorio condotto su studenti universitari canadesi ha rilevato che “uomini e donne evidenziano una tendenza maggiore
all’interruzione nei gruppi a prevalenza maschile”.58
Una ricerca condotta sul campo, che ha preso in esame, in Olanda, un team misto di
polizia e uno di infermieri, ha rilevato, nelle dinamiche di gruppo, un altro elemento di
svantaggio per le donne. La scelta di queste due particolari professioni è risultata molto
utile ai fini della ricerca perché il primo gruppo era caratterizzato da una prevalenza
maschile mentre il secondo da una prevalenza femminile. Con l’inserimento delle donne
nelle squadre di polizia, dove gli uomini costituiscono la maggioranza, e l’aumento
delle opportunità di impiego per gli uomini nel mondo infermieristico, prevalentemente
femminile, chi si trova ad affrontare la maggiore resistenza? Secondo i risultati della
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Dinamiche di gruppo
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ricerca sono le donne poliziotto. Con l’aumento della rappresentanza della minoranza
di genere nei gruppi di lavoro (sia che si trattasse di poliziotte o di infermieri) sono stati
osservati i seguenti cambiamenti:
L’atteggiamento della maggioranza maschile cambia e da neutrale si fa resistente, mentre
l’atteggiamento della maggioranza femminile cambia da favorevole a neutrale. In altri
termini, gli uomini mostrano la ferma intenzione di voler mantenere il proprio campo
per sé, mentre le donne continuano a dimostrarsi disposte a condividere il proprio campo
con gli uomini.59
I manager, ancora una volta, si trovano ad affrontare la sfida che li porta a opporsi a
tendenze discriminatorie nelle dinamiche di gruppo.
Il problema delle molestie sessuali Secondo un’indagine di settore condotta da uno
studio legale di New York specializzato in controversie di lavoro, il problema delle
molestie sessuali è lungi dall’essere risolto:
Il 63% dei [234] intervistati ha riferito di aver dovuto gestire una denuncia per molestie
sessuali presso la propria azienda. Il dato è superiore rispetto al 57% registrato nel 2003,
ma fortunatamente è molto più basso rispetto al 95% riscontrato nel 1995.60
A dipingere un quadro ancora più fosco della situazione, uno studio sul campo su
cinque organizzazioni ha rilevato che le molestie sessuali si accompagnano alla discriminazione etnica. Secondo i ricercatori, “le donne subiscono più molestie sessuali
rispetto agli uomini, gli appartenenti alle minoranze subiscono più discriminazioni
etniche rispetto ai bianchi e le donne appartenenti alle minoranze subiscono più
molestie rispetto agli uomini, agli uomini appartenenti alle minoranze e alle donne
bianche”.61 Le donne appartenenti alle minoranze sono più esposte a questo genere
di problema. Le molestie nell’ambiente di lavoro sono persistenti perché radicate nei
comportamenti violenti generalizzati tra adolescenti (sia in interazioni faccia a faccia
che in interazioni virtuali).62
Da un punto di vista del comportamento organizzativo il problema delle molestie
sessuali è complesso e sfaccettato. Da una recente meta-analisi di 62 studi risulta, ad
esempio, che le donne, diversamente dagli uomini, percepiscono come molestia sessuale
una serie più ampia di comportamenti (tabella 10-4). Donne e uomini si sono trovati
d’accordo nel definire come molestie proposte e coercizioni sessuali, ma non si sono
trovati d’accordo in merito ad altri aspetti presenti in un ambiente di lavoro ostile.63
Azione manageriale costruttiva Uomini e donne sono in grado di lavorare bene
in gruppo e questo accade spesso. Un sondaggio condotto su 387 dipendenti statali
statunitensi uomini ha cercato di determinare in che modo essi siano stati influenzati
dall’incremento numerico delle collaboratrici donne. I ricercatori hanno concluso che
“in molte circostanze, comprese interazioni promiscue nei gruppi di lavoro, il contatto
frequente porta a rapporti sociali di cooperazione e sostegno”.64 Più di recente, uno
studio sul campo condotto su 1158 ufficiali dell’Aeronautica militare statunitense suddivisi in gruppi misti per un programma di sviluppo di cinque settimane ha evidenziato
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Parte III
236
I gruppi e i processi sociali
Tabella 10-4 Categorie di comportamento delle molestie sessuali
Categoria
Atteggiamenti
impersonali
Descrizione
Comportamenti che denotano atteggiamenti
denigratori in merito a uomini o donne
in generale
Atteggiamenti denigratoriComportamenti diretti a un obiettivo che
personali
denotano atteggiamenti denigratori nei
confronti del genere della vittima
Pressione in merito a un
Insistente richiesta di un appuntamento
appuntamento indesiderato dopo il rifiuto della persona a cui è stata
fatta la richiesta
Richieste a sfondo sessuale Richieste esplicite di incontri sessuali
Contatto fisico di natura
Comportamento per cui il molestatore
sessuale
esercita sulla vittima un contatto di natura
sessuale
Contatto fisico non di natura Comportamento per cui il molestatore
sessuale
esercita sulla vittima un contatto fisico
di natura non sessuale
Coercizione sessuale
Richieste o costrizioni di incontri
di natura sessuale che diventano conditio
sine qua non per un impiego o promozione
Esempi di comportamento
Gesti osceni senza un preciso obiettivo
Battute a sfondo sessuale
Telefonate oscene
Minimizzazione della competenza della vittima
Insistenti richieste di uscire insieme dopo il lavoro
o la scuola
Proposta di una relazione
Abbraccio
Bacio
Abbraccio in segno di congratulazioni
Minaccia di punizione se non viene elargito il favore sessuale richiesto
Corruzione sessuale
Fonte: M. Rotundo, D. Nguyen, e P.R. Sackett,.“A Meta-Analytic Review of Gender Differences in Perceptions of Sexual Harassment,” Journal of Applied Psychology,
ottobre 2001, Article 914-922, copyright © 2001 by the American Psychological Association. Ristampato per concessione.
che “una presenza femminile leggermente maggiore all’interno dei gruppi contribuiva
a potenziare le capacità di risoluzione dei problemi del team”.65 I manager, tuttavia,
devono intraprendere un cammino positivo che assicuri che il documentato aumento
delle relazioni sentimentali tra colleghi sul posto di lavoro non solleciti comportamenti
affini alle molestie sessuali. Sia che riguardino donne o uomini, le molestie sessuali sono
avvilenti, vanno contro l’etica e sono propriamente definite “inquinamento dell’ambiente
di lavoro”. La Commissione per le Pari Opportunità Lavorative, inoltre, considera i dipendenti responsabili di un comportamento ritenuto sessualmente molesto perseguibili
a livello legale. Un esperto sull’argomento fornisce la seguente spiegazione:
Che cos’è esattamente la molestia sessuale? La Equal Employment Opportunity
Commission dice che avance, richieste di favori sessuali e qualsiasi altra condotta
verbale o fisica di natura sessuale, costituiscono molestie nel momento in cui diventano
conditio sine qua non all’impiego, quando la sottomissione o il rifiuto di tali avance
vanno a incidere su decisioni di carattere professionale, oppure quando tale condotta
crea, sul posto di lavoro, un’atmosfera intimidatoria, ostile o offensiva. Tali direttive
della commissione, che interpretano il VII Titolo dello Statuto dei Diritti Civili del 1964,
affermano inoltre che i datori di lavoro sono responsabili per le azioni dei loro supervisori
e agenti nonché per le azioni di altri collaboratori se il datore di lavoro in questione è o
dovrebbe essere al corrente della molestia sessuale.66
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Dinamiche di gruppo
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Aspetto molto importante, non essere a conoscenza di episodi di molestie sessuali
all’interno dell’organizzazione non è una linea di difesa valida per i datori di lavoro.
Oltre a evitare contenziosi legali istituendo e applicando politiche mirate a sradicare
discriminazioni e molestie, i manager devono adottare un approccio proattivo. Si raccomanda caldamente di organizzare workshop sulla diversità che illustrino anche come
identificare ed evitare le molestie sessuali.67
Minacce all’efficacia del gruppo
Anche quando i manager formano e organizzano con cura i gruppi di lavoro, le dinamiche
di gruppo possono sempre andare fuori controllo. La conoscenza dei tre principali fattori
di minaccia all’efficacia del gruppo, ovvero l’effetto Asch, il groupthink e l’inerzia sociale, possono aiutare i manager a prendere le misure preventive adeguate. Dal momento
che i primi due problemi sono legati al conformismo è opportuna una breve premessa.
Senza conformarsi alle norme, alle aspettative di ruolo, alle politiche, alle regole, i
gruppi di lavoro concluderebbero ben poco. D’altra parte, le scadenze, gli impegni
e gli standard di qualità del servizio/prodotto devono essere stabiliti e rispettati se si
vuole che l’organizzazione sopravviva. Il conformismo però è un’arma a doppio taglio:
il conformismo puro e semplice o eccessivo può opprimere il pensiero critico, ultima
linea di difesa contro una condotta non etica. Resoconti quasi giornalieri dai mass media
riguardanti misfatti aziendali, insider trading, scarico illegale di rifiuti pericolosi e altre
pratiche scorrette, rendono assolutamente necessaria, da parte dei manager futuri, una
comprensione delle meccaniche del conformismo.68
L’effetto Asch
Circa sessant’anni fa lo psicologo sociale Solomon Asch ha condotto una serie di esperimenti di laboratorio che hanno fatto emergere un aspetto negativo delle dinamiche
di gruppo.69 Facendolo sembrare un “test di percezione”, Asch ha chiesto a gruppi,
formati da un numero di studenti volontari del college compreso tra sette e nove, di
guardare 12 coppie di carte come quelle mostrate nella figura 10-4. Lo scopo era quello
di individuare quale linea fosse della stessa lunghezza di quella indicata come linea
standard. A ciascuno studente è stato chiesto di comunicare la sua risposta al gruppo.
Data l’evidente differenza tra le linee da paragonare, si sarebbe dovuta riscontrare una
risposta unanime nel corso dei 12 giri di carte, ma non è stato così.
Solo uno Di ogni gruppo, tutti i partecipanti tranne uno erano complici di Asch, e
selezionavano sistematicamente la linea sbagliata durante sette dei giri di carte compiuti (gli altri cinque erano giri di controllo). L’ultimo individuo era l’inconsapevole
vittima dell’inganno. La pressione del gruppo consisteva nel fare in modo che l’elemento “ingenuo” del gruppo fosse tra gli ultimi a comunicare la sua scelta. Sono stati
esaminati trentuno soggetti; la domanda che Asch si poneva era: quanto spesso un soggetto “ingenuo” si sarebbe conformato a un’opinione della maggioranza chiaramente
sbagliata? Solo il 20% dei soggetti presi in esame da Asch si è rivelato completamente
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Parte III
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Figura 10-4
L’esperimento di Asch
Carta con la linea
di riferimento
Carta con le linee
da paragonare
1
Effetto Asch: cedere a una
opposizione unanime ma scorretta
I gruppi e i processi sociali
2
3
indipendente; l’80% ha ceduto alla pressione dell’opinione del gruppo almeno una volta!
Il 58% si è arreso alla “maggioranza immorale” almeno due volte. In questo modo è
stato documentato l’effetto Asch: la distorsione del giudizio individuale per mezzo di
un’opposizione unanime ma scorretta.
Una prospettiva manageriale L’esperimento di Asch è stato più volte ripetuto
portando a risultati contrastanti; sono stati osservati gradi sia alti che bassi di conformismo in situazioni diverse e in relazione a soggetti diversi. Ripetizioni di tale
esperimento in Giappone e Kuwait hanno dimostrato che l’effetto Asch non riguarda
unicamente gli Stati Uniti.70 Una meta-analisi del 1996 su 133 esperimenti “alla
Asch” condotti in 17 paesi ha rivelato, dagli anni ’50, un declino del conformismo nei
soggetti statunitensi. A livello internazionale, i paesi collettivistici, nei quali il gruppo
prevale sul singolo, hanno raggiunto livelli più alti di conformismo rispetto ai paesi
individualistici.71 Il punto rilevante, comunque, non è tanto quello di dimostrare la
portata dell’effetto Asch in una data situazione o cultura, ma piuttosto quello di fare
in modo che i manager, impegnati a sostegno di una condotta corretta, si preoccupino
della sua esistenza.
Per Jeffrey Skilling, l’ex CEO della Enron, l’effetto Asch andava invece sostenuto
e curato. Considerate il clima organizzativo orientato alla cieca obbedienza che egli
aveva creato:
Skilling stava riempiendo il quartier generale con le sue truppe. I neoassunti parlavano
di un processo di socializzazione chiamato “Enronizzazione”. Tempo per la famiglia?
Qualità della vita? Da dimenticare. Chi non abbracciava la cultura dello sgomitare a
tutti i costi “non ce la faceva”. Veniva considerato “merce danneggiata” o “relitto”,
passibile di licenziamento durante dolorosi incontri annuali noti come sessioni di
“pubblico ludibrio”. La cultura era diventata paranoica: ex agenti della CIA e dell’FBI
venivano assunti per rafforzare la sicurezza. Usando programmi “spia” individuavano
chiunque avesse mandato un’email a un potenziale concorrente. Gli “spettri”, come
venivano chiamati gli ex agenti, erano noti per le loro intromissioni negli uffici e per
le confische dei computer.72
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10
Dinamiche di gruppo
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Persino casi isolati di conformismo hanno seriamente minacciato l’efficacia e l’integrità dei gruppi di lavoro e delle organizzazioni. Il conflitto e l’assertività funzionali,
discussi nei Capitoli 13 e 14, possono aiutare le persone ad avere una reazione adeguata,
nel momento in cui si trovano di fronte a una maggioranza immorale. Ulteriori guide
e supporti sono forniti dai codici etici che fanno riferimento a specifiche procedure.
Groupthink
Perché mai il Presidente Lyndon B. Johnson e il suo gruppo di intelligenti consiglieri alla
Casa Bianca hanno preso decisioni tanto poco intelligenti da determinare l’escalation
della guerra in Vietnam? Tali fatali decisioni sono state prese nonostante la presenza
di evidenti segnali di allarme, compresa una resistenza più forte del previsto da parte
dei vietnamiti del Nord e un’evidente disapprovazione sia all’interno del paese sia
all’estero. L’analisi sistematica dei processi decisionali sottesi alla guerra in Vietnam e
ad altri disastri di politica estera statunitense ha spinto Irving Janis, dell’Università di
Yale, a coniare il termine groputhink (letteralmente “pensiero di gruppo”). Se ignorano
passivamente il pericolo, è molto facile che i manager moderni, proprio come lo staff
del Presidente Johnson, rimangano vittime del groupthink.
Groupthink: tendenza a non
prendere in considerazione
azioni alternative che si verifica in un gruppo coeso
Definizione e sintomi del groupthink Janis definisce il groupthink come un “modo
di pensare adottato dalle persone profondamente coinvolte in un gruppo coeso quando
lo sforzo dei membri per raggiungere l’unanimità supera la loro motivazione a valutare
realisticamente azioni alternative”.73 Aggiunge inoltre che “il groupthink fa riferimento
a un deterioramento dell’efficienza mentale, della valutazione della realtà e del giudizio
morale risultante da pressioni esercitate dal gruppo”.74 Diversamente dai soggetti presi
in esame da Asch, che non si conoscevano tra di loro, i membri dei gruppi vittime del
groupthink sono in un rapporto di amicizia, molto uniti e coesi.
I sintomi del groupthink, elencati nella figura 10-5, si sviluppano nel tipo di clima
imperante in passato nelle sale del consiglio di amministrazione delle aziende statunitensi, dove troppo spesso i membri si piegavano alle decisioni sbagliate di CEO molto
determinati. Lo scenario è cambiato positivamente in misura significativa.
Ricerca e prevenzione del groupthink Studi di laboratorio condotti su studenti
di college confermano alcune parti del concetto definito da Janis; più precisamente è
emerso che:
• gruppi caratterizzati da coesione moderata prendono decisioni migliori rispetto a
gruppi caratterizzati da un alto o da un basso grado di coesione;
• gruppi dall’alta coesione, se vittime del groupthink, prendono le decisioni peggiori
nonostante l’alto grado di sicurezza in tali decisioni.75
Janis ritiene che, quando si ha a che fare con il groupthink, prevenire sia meglio che
curare. Raccomanda pertanto le seguenti misure preventive.
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Parte III
240
Sintomi del groupthink
1. Invulnerabilità: illusione che alimenta eccessivo
ottimismo e propensione al rischio
2. Moralità scadente: credenza che incoraggia
il gruppo a ignorare le implicazioni etiche
3. Razionalizzazione: sottovalutazione
sistematica dei segnali negativi
4. Visione stereotipata degli esterni al gruppo:
porta a sottovalutare gli oppositori
5. Autocensura: reprime il dibattito critico
6. Sovrastima del grado di consenso:
silenzio assenso
7. Pressione sui membri: viene messa in dubbio
la lealtà dei dissenzienti
8. Presenza di filtri alle informazioni:
tutori delle opinioni collettive
I gruppi e i processi sociali
Difetti della decisione di gruppo
1. Poche alternative
2. Nessun riesame delle alternative
preferite
3. Nessun riesame delle alternative
escluse
4. Rifiuto dell’opinione di esperti
5. Selezione preconcetta di nuove
informazioni
6. Nessun piano contingente
Figura 10-5 Sintomi del groupthink che portano a un processo decisionale insoddisfacente
Fonti: sintomi adattati da I.L. Janis, Groupthink, 2nd ed (Boston: Houghton Mifflin, 1982) pp. 174-75. Difetti adattati da G. Moorhead.“Groupthink: Hypothesis in
Need of Testing,” Group & Organization Studies, dicembre 1982, p. 434. Copyright © 1982 Sage Publications. Ristampa per concessione della Sage Publications, Inc.
1. A ogni membro del gruppo dovrebbe essere assegnato il ruolo di valutatore critico.
Tale ruolo implica l’attiva esternazione di obiezioni e dubbi.
2. I top manager non dovrebbero ricorrere a comitati per approvare a scatola chiusa
decisioni che sono già state prese.
3. Gruppi diversi con leader diversi dovrebbero esaminare gli stessi problemi.
4. Bisognerebbe ricorrere a dibattiti tra sottogruppi ed esperti esterni per introdurre
nuove prospettive.
5. Nella discussione delle alternative più importanti bisognerebbe assegnare a qualcuno il ruolo di avvocato del diavolo. La persona scelta tenterà di scoprire qualsiasi
immaginabile fattore negativo.
6. Una volta raggiunto un accordo, ciascun membro dovrebbe essere incoraggiato a
riesaminare la sua posizione nel caso vi fossero dei punti deboli.76
Tali misure anti-groupthink possono aiutare i gruppi coesi a produrre raccomandazioni
e decisioni sensate.77 Evitare il groupthink è un’ottima argomentazione a favore della
diversità, non solo di razza e di genere, ma anche di età, bagaglio di esperienze, religione,
istruzione e visione del mondo.
Inerzia sociale
La performance del gruppo è minore, uguale o maggiore della somma dei membri che
lo compongono? Tre persone, ad esempio, lavorando insieme, possono raggiungere un
CompOrga.indb 240
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10
Dinamiche di gruppo
Inerzia sociale: diminuzione
dello sforzo individuale in concomitanza con l’aumento della
dimensione del gruppo
241
risultato inferiore, uguale o maggiore di quello che raggiungerebbero se lavorassero
separatamente? Uno studio interessante, condotto più di cinquant’anni fa da un ingegnere
agrario francese di nome Ringelmann, ha concluso che il risultato raggiunto sarebbe
inferiore.78 In un esercizio di tiro alla fune pare che Ringelmann abbia scoperto che tre
persone che tiravano insieme raggiungevano una forza pari a solo due volte e mezza
quella media individuale. Otto tiratori raggiungevano una forza pari a meno di quattro
volte quella individuale. Questa tendenza dello sforzo individuale a diminuire con l’incremento della dimensione del gruppo è stata definita inerzia sociale.79 Analizziamo
brevemente tale minaccia all’efficacia e sinergia del gruppo, per cercare di evitarla.
Teoria e ricerca sull’inerzia sociale Tra le spiegazioni teoriche addotte per questo
effetto vi sono (1) l’equità di sforzo (“Tutti perdono tempo in sciocchezze, perché non
dovrei farlo anch’io?”), (2) la perdita di responsabilità personale (“Sono perso tra la
folla, che importa, dunque?”), (3) la perdita di motivazione dovuta alla condivisione dei
premi (“Perché mai dovrei lavorare più degli altri se alla fine riceviamo tutti lo stesso
premio?”) e (4) la perdita di coordinamento data dal coinvolgimento di più persone
nello stesso compito (“Ci intralciamo a vicenda”).
Ricerche di laboratorio hanno raffinato tali teorie individuando fattori situazionali
che hanno moderato l’effetto dell’inerzia sociale. Essa si è verificata quando:
• il compito da svolgere è stato percepito come non importante, semplice o non interessante;80
• membri del gruppo hanno pensato che il loro risultato individuale non fosse identificabile;81
• membri del gruppo si aspettavano scarso impegno da parte dei loro colleghi.82
L’inerzia sociale, tuttavia, non si è verificato quando i membri del gruppo, in due studi
di laboratorio, si aspettavano di essere valutati.83 I ricercatori indicano, inoltre, che gli
“individualisti” dotati di fiducia in se stessi hanno una maggiore tendenza all’inerzia
rispetto ai “collettivisti” orientati al gruppo. Gli individualisti, tuttavia, possono essere
resi più cooperativi mantenendo il gruppo di dimensioni ridotte e rendendo ciascun
membro personalmente responsabile per i risultati ottenuti.84 Uno studio recente ha
rilevato una diminuzione dell’inerzia sociale grazie al ricorso a una combinazione ibrida
di ricompense individuali e di gruppo.85
Ozio telematico: l’uso di Internet per attività non legate
al lavoro
CompOrga.indb 241
Implicazioni pratiche nell’era di Internet Questi risultati dimostrano come l’inerzia
sociale non sia un aspetto inevitabile del lavoro di gruppo. I manager possono controllare questo fattore di minaccia all’efficacia del gruppo assicurandosi che il compito sia
stimolante e sia considerato importante. È altresì utile che i membri del gruppo siano
personalmente responsabili per parti definite del lavoro di gruppo. Ciò nonostante, l’inerzia sociale è un “bersaglio mobile” e impone di applicare contromisure innovative
nell’era di Internet.
Gli ambienti di lavoro digitali sono infatti un terreno fertile per l’amplificarsi del
fenomeno. L’ozio telematico (cyberloafing), cioè l’uso di Internet per attività non legate al lavoro quali comunicare con gli amici tramite email e social media, navigare in
Internet, effettuare acquisti online o intrattenersi con i videogiochi, è piuttosto diffuso.
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Parte III
242
I gruppi e i processi sociali
I team virtuali, che analizzeremo nel capitolo seguente, hanno allentato la tradizionale
supervisione amministrativa sui collaboratori.86 La tabella 10-5 elenca una serie di
problemi e soluzioni per i manager che cercano di contrastare l’inerzia sociale negli
ambienti di lavoro interconnessi.
Tabella 10-5
Pigrizia nell’era di Internet:
problemi e soluzioni
PROBLEMA
SOLUZIONI
Ozio telematico
• Navigare in Internet durante l’orario di
lavoro per attività di svago, tra cui shopping,
gestione di attività online, invio di email
private, aggiornamento del profilo sui social
network ecc.
• Monitoraggio ragionevole dell’uso dei
computer da parte dei collaboratori
• Politiche di uso di Internet, dei social media
e della posta elettronica
• Elaborazione di norme sull’uso appropriato
di Internet da parte dei collaboratori
Mancanza di impegno nei team virtuali/lavoro intellettuale
• Abbassamento dei livelli di impegno perché
è difficile osservare e identificare l’impatto
del singolo sulla prestazione complessiva
• Dedicarsi ad attività di routine non orientate
al risultato
• Ambiguità nella relazione tra sforzo e
prestazione
• Sottolineare la responsabilità individuale e
reciproca nel raggiungimento degli obiettivi
del team al momento di stabilire norme e
ricompense
• Garantire la presenza dei meccanismi
adeguati per palesare e risolvere i conflitti
all’interno del team
• Proporre sia obiettivi di apprendimento che
obiettivi di prestazione
Fonte: estratto dalla Tabella 1 in R.E. Kidwell, “Loafing in the 21st Century: Enhanced Opportunities – and Remedies – for
Withholding Job Effort in the New Workplace,” Business Horizons, novembre-dicembre 2010, pp. 543-52.
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Sviluppare e guidare team
di lavoro efficaci
11
Perché un servizio clienti eccellente somiglia a uno sport di squadra?
Il direttore delle risorse umane di Wynn Resort, Arte Nathan, e il proprietario, Steve Wynn, prendono molto sul
serio l’alchimia dei team. Una storia ormai leggendaria
all’interno dell’organizzazione è un’esperienza vissuta
da Wynn assieme alla sua famiglia soggiornando al Four
Seasons durante una vacanza a Parigi. Avevano consumato la colazione in camera e la figlia di Wynn aveva
mangiato solo metà del croissant ordinato, lasciando da
parte la metà restante per consumarla durante la giornata. Di ritorno da una passeggiata alla scoperta della
capitale francese, la bambina voleva mangiare la metà
restante del croissant, che però era sparita, portata via
dagli addetti alle pulizie. La figlia di Wynn era delusa. Il
personale aveva dato per scontato che quel mezzo croissant andasse buttato via. Ma era andata davvero così?
CompOrga.indb 243
Un led del telefono della stanza lampeggiava: era
un messaggio dalla reception. Gli addetti alle pulizie
avevano portato via il croissant ipotizzando che chi lo
aveva conservato ne avrebbe preferito uno fresco. La
reception aveva quindi contattato la cucina chiedendo
di tenere da parte un croissant e il servizio in camera
era stato informato che, su richiesta, avrebbe dovuto
consegnarlo immediatamente.
“Perché questa storia è così importante?” si domanda Nathan. “Il livello di lavoro di squadra e comunicazioni tra dipartimenti diversi è sorprendente. Tutti
i partecipanti avevano ben chiaro il risultato, cioè la
soddisfazione dell’ospite. E ciascuno ha accettato il
suo ruolo nel rendere indimenticabile l’esperienza
del cliente.”1
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244
Parte III
I gruppi e i processi sociali
Di primo acchito, la storia narrata nel caso di apertura sembra quasi irrilevante: d’altronde si
trattava di un semplice croissant. Provate tuttavia a considerarla un’analogia al mondo dello
sport, nel quale spesso è il gioco di squadra a fare la differenza; nell’economia attuale dei
servizi, in molti casi un fattore decisivo per il successo è poter contare su collaboratori orientati al cliente e capaci di lavorare in team. Steve Wynn auspica che i suoi dipendenti facciano
squadra per offrire agli ospiti un livello di soddisfazione pari a quello che ha sperimentato
al Four Seasons di Parigi con la sua famiglia. Il concetto di capitale sociale, illustrato nel
Capitolo 1, assume un significato molto concreto se pensiamo ai team e al lavoro in team.
Il presente capitolo si concentrerà su come utilizzare al meglio il promettente potenziale del lavoro di gruppi e team. (1) Individueremo i diversi tipi di team di lavoro, (2)
analizzeremo i fattori decisivi per il successo o il fallimento del team, (3) discuteremo
elementi essenziali dell’efficacia del lavoro di gruppo, come la fiducia, (4) esploreremo le
più recenti applicazioni del concetto di team, tra cui i team virtuali e i team auto-gestiti,
e (5) esamineremo le tecniche di team building e la leadership dei team.
Team di lavoro: tipi, efficacia e difficoltà
Team: numero ridotto di persone aventi capacità complementari che si ritengono
reciprocamente responsabili
per scopo, obiettivi e approccio
comuni
Jon R. Katzenbach e Douglas K. Smith, consulenti manageriali della McKinsey & Company,
ritengono che sia sbagliato utilizzare i termini gruppo e team come se fossero equivalenti.
Dopo aver esaminato diversi tipi di team – da quelli sportivi a quelli aziendali e militari
– sono arrivati alla conclusione che i team di successo tendono a brillare di luce propria.
Katzenbach e Smith definiscono un team come “un numero limitato di persone aventi
capacità complementari, impegnate per uno scopo comune, per il raggiungimento degli
obiettivi e che condividono un approccio similare”.2 In relazione alla teoria dello sviluppo
del gruppo di Tuckman, trattata nel Capitolo 10 (forming, storming, norming, performing
e adjourning) i team sono gruppi di lavoro maturati fino alla fase performing (ma che
non sono precipitati nella decadenza). A causa dei conflitti legati al potere e all’autorità e
ai rapporti interpersonali instabili, molti gruppi di lavoro non arrivano mai a qualificarsi
come un vero e proprio team.3 Katzenbach e Smith hanno spiegato tale differenza in questo
modo: “L’essenza di un team è l’impegno comune; senza questo i gruppi lavorano come
individui; con esso diventano una potente unità di performance collettiva” (tabella 11-1).4
Per un ottimo esempio del processo di trasformazione di un gruppo di individui in
un team, vediamo come Skip Holtz ha creato una squadra di football vincente alla East
Carolina University. Holtz, che è passato alla University of South Florida, ha lanciato
un segnale forte quando ha incontrato per la prima volta il suo nuovo team al campus
di Greenville (North Carolina):
La prima cosa che fece fu togliere i nomi dei giocatori dalle magliette. “Andai via al
termine del primo incontro con la netta sensazione di avere a che fare con una squadra
molto egoista, concentrata su se stessa,” dice Holtz. “Non erano in molti a parlare di
obiettivi e di una visione d’insieme. Bisognava cambiare la cultura e gli atteggiamenti,
e cambiarli in fretta.”
Nel 2004 Zack Slate, difensore esterno della prima linea difensiva, era una matricola e
ricorda bene quel primo incontro:
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11
Sviluppare e guidare team di lavoro efficaci
Tabella 11-1
L’evoluzione di un team
Fonte: riassunto e adattamento di
J.R. Katzenbach e D.K. Smith, The
Wisdom of Teams: Creating the
High-Performance Organization
(New York; HarperBusiness,
1999), p. 214.
245
Un gruppo di lavoro diventa un team quando
1. La leadership diventa attività condivisa.
2. La responsabilità, da strettamente individuale, diventa sia individuale che collettiva.
3. Il gruppo sviluppa un proprio scopo o una missione.
4. Il problem-solving diventa uno stile di vita, non un’attività part-time.
5. L’efficacia viene misurata dai risultati e dai prodotti collettivi del gruppo.
“Tanti ragazzi della squadra erano divisi in tanti modi. Non c’era un senso del team”
afferma Slate. “L’allenatore Holtz iniziò a crearlo dal nulla con disciplina e precisione.”5
Quando Katzenbach e Smith, nella loro definizione, fanno riferimento a “un numero
limitato di persone”, parlano di un team formato da un numero di elementi compreso
tra 2 e 25. Hanno scoperto che i team efficaci sono formati solitamente da meno di 10
membri.
Una tipologia generale dei team di lavoro
I team di lavoro sono creati per vari scopi e affrontano, pertanto, sfide diverse. I manager
riescono ad affrontare più efficacemente tali sfide quando capiscono quali differenze caratterizzano i team. Un modo utile per rendere le cose più chiare è quello di considerare
una tipologia di team di lavoro elaborata da Eric Sundstrom e i suoi colleghi.6 Quattro tipi
generici elencati nella tabella 11-2 sono (1) supporto, (2) produzione, (3) progetto e (4) azione. Ciascuna di tali etichette identifica uno scopo di base. I team di supporto, ad esempio,
si occupano generalmente di dare consigli in merito a decisioni manageriali. Raramente
sono responsabili per la decisione finale. I team di produzione e azione, invece, attuano le
decisioni manageriali.
Quattro variabili chiave, indicate nella tabella 11-2, si occupano di specializzazione
tecnica, coordinamento, cicli di lavoro e risultati. Il livello di specializzazione tecnica è
basso quando il team punta sull’esperienza generale e sulla capacità di problem-solving
dei suoi membri; è invece alto quando è richiesto ai membri del team di applicare capacità tecniche acquisite nel corso degli studi o durante una formazione avanzata. Il grado
di coordinamento con altri team di lavoro è determinato dalla rispettiva indipendenza
(basso coordinamento) o interdipendenza (alto coordinamento) del team. Per cicli di
lavoro si intende il tempo necessario ai team per portare a termine le missioni. I vari
risultati elencati nella tabella 11-2 hanno lo scopo di illustrare gli impatti sulla vita reale.7
Team di supporto I team di supporto sono creati per ampliare la base informativa per le
decisioni manageriali. Dispongono tendenzialmente di un basso grado di specializzazione
tecnica; anche il grado di coordinamento è basso, perché tali team lavorano perlopiù indipendentemente. Comitati organizzati per una determinata occasione (ad esempio, i comitati
annuali per la festa di Natale) sono caratterizzati da cicli vitali più brevi rispetto a quelli
di comitati permanenti (ad esempio, il comitato interno per la discussione delle lamentele
del personale).
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Parte III
246
I gruppi e i processi sociali
Tabella 11-2 Quattro tipi generici di team di lavoro e i relativi risultati
Tipi ed esempi
Supporto
Comitati
Gruppi, consigli di revisione
Circoli di qualità
Gruppi di coinvolgimento
di collaboratori
Comitato consultivo
Grado di
specializzazione
tecnica
Grado di
coordinamento
con le altre
unità di lavoro
Cicli lavorativi
Risultati tipici
Basso
Basso
I cicli lavorativi possono
essere brevi o lunghi;
la durata di un ciclo può
essere pari a quella della
vita del team
Decisioni
Selezioni
Suggerimenti
Proposte
Consigli
Alto
I cicli di lavoro generalmente
ripetuti o a processo continuo;
i cicli possono spesso essere
più brevi della vita del team
Cibo, prodotti chimici
Componenti
Assemblati
Vendite al dettaglio
Assistenza ai clienti
Riparazioni delle
attrezzature
Alto
Basso (per
le unità
tradizionali);
alto (per
le unità
interfunzionali)
I cicli lavorativi si differenziano
generalmente per ogni nuovo
progetto; la durata di un ciclo
può essere pari a quella della
vita del team
Piani, progetti
Indagini
Presentazioni
Prototipi
Relazioni, scoperte
Alto
Alto
Episodi brevi di performance,
spesso ripetuti in base a nuove
condizioni, che richiedono
un’ampia preparazione
o una formazione
Missioni
di combattimento
Spedizioni
Contratti, cause legali
Concerti
Operazioni
chirurgiche
Competizioni
Assistenza in casi
di estrema emergenza
Produzione
Team di assemblaggio
Basso
Gruppi di produzione
Team minerari
Equipaggio di assistenza
sugli aerei
Gruppi di elaborazione
dei dati
Equipaggio di mantenimento
Progetto
Gruppi di ricerca
Team di pianificazione
Team di architetti
Team di ingegneri
Team di sviluppo
Team speciali
Azione
Squadre sportive
Gruppi di intrattenimento
Spedizioni
Team di negoziazione
Team di chirurghi
Equipaggi di piloti
e pattuglie
Team di poliziotti
e vigili del fuoco
Fonte: estratto e adattato da E. Sundstrom, K.P. De Meuse, “Work Teams,”American Psychologist, febbraio 1990, p. 125.
Team di produzione Questo secondo tipo di team è responsabile dello svolgimento di
operazioni quotidiane. Una formazione minima per lavori di routine spiega il basso grado
di specializzazione tecnica; il grado di coordinamento è invece tipicamente alto poiché il
lavoro passa da un team all’altro. Le squadre di manutenzione ferroviaria, ad esempio, devono essere costantemente aggiornate dalle squadre addette ai treni in merito alle riparazioni
necessarie; tali squadre, a loro volta, devono sapere esattamente dove stanno lavorando le
squadre addette alla manutenzione.
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11
Sviluppare e guidare team di lavoro efficaci
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Team di progetto L’esecuzione di progetti richiede una predisposizione creativa al
problem-solving che spesso implica l’applicazione di conoscenze specializzate. Dato che i
progetti sono finalizzati al raggiungimento di un risultato specifico (ad esempio, sviluppare
un nuovo vaccino, realizzare un film o costruire un grattacielo), il fattore tempo è essenziale
e il team può sciogliersi dopo il completamento del progetto. Attualmente, nell’ambito dello
sviluppo dei prodotti, si tende a ricorrere a team interfunzionali che associano specialisti
in produzione, marketing e finanza provenienti da tutto il mondo. Consideriamo l’esempio
del laptop ThinkPad X300 Lenovo:
Come gran parte degli altri ThinkPad, anche questo è nato negli Stati Uniti. I pianificatori,
i leader di progetto e alcuni dei designer si trovano in North Carolina, mentre il lavoro
di design e ingegneria è svolto da un team di Yamato, in Giappone. La produzione e
l’acquisto avvengono invece a Shenzhen, in Cina.8
Un team di progetto specializzato in tecnologia come questo richiede un alto grado di
coordinamento e pratiche di comunicazione efficaci.
Team di azione Quest’ultimo tipo di team trova la sua esemplificazione migliore in una
squadra di baseball; un alto grado di specializzazione si combina a un alto grado di coordinamento. Nove atleti, allenati intensamente, giocano nelle specifiche posizioni di difesa.
Un buon gioco di difesa non è tuttavia sufficiente, in quanto è necessario anche un efficace
attacco. Anche il coordinamento tra l’allenatore, i giocatori alle basi, i capo base e la zona
di riscaldamento deve essere preciso. La stessa cosa vale, per citare altri esempi, per gli
equipaggi aerei, per le squadre di vigili del fuoco, per le unità chirurgiche, per le spedizioni
di scalatori, per i gruppi rock, per i team addetti alla negoziazione di contratti di lavoro e
per i corpi speciali di polizia. Una sfida unica, per i team d’azione, consiste nel dare prova,
su richiesta, di un’eccellente prestazione.9
Queste quattro tipologie di team di lavoro non sono statiche, ma dinamiche e mutevoli;
alcune si evolvono da una tipologia all’altra, altre rappresentano una combinazione di
tipologie. Consideriamo, ad esempio, il lavoro svolto da un team della General Foods:
“L’azienda ha lanciato una linea di dessert pronti da consumare, riunendo un team formato da nove persone che avevano la libertà di agire come se fossero degli imprenditori
alle prese con il lancio del loro business.”10 Questo tipo particolare di team era una
combinazione tra un team di supporto e uno di progetto. Il team della General Foods,
in altre parole, ha svolto tutto il lavoro tranne quello di produrre da sola il prodotto in
questione (compito affidato al team di produzione).
Efficacia dei team di lavoro
L’efficacia di un team di atleti sta semplicemente nel fatto di vincere o perdere. Le cose
sono però più complicate quando si tratta di team di lavoro nelle organizzazioni di oggi.11
La figura 11-1 elenca due criteri di efficacia per i team di lavoro: la prestazione e la vitalità. Concettualmente, il primo è molto semplice da comprendere: il team ha portato
a termine il compito? Il secondo criterio è più sottile e spesso viene ignorato o sottova-
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Parte III
248
I gruppi e i processi sociali
Figura 11-1
Efficacia dei team di lavoro
Fonti: adattato in parte da E.
Sundstrom, K.P. DeMeuse e D.
Futrell, “Work Teams,” American
Psychologist, febbraio 1990, pp.
120-33; e da C.A. Beatty e B.A.
Barker Scott, Building Smart
Teams: A Roadmap to High
Performance (Thousand Oaks, CA:
Sage, 2004), pp. 5-8.
Vitalità del team: i membri
del team sono soddisfatti e vogliono offrire il loro contributo
Organizzazione
orientata ai team
Team di lavoro
• Individui con
competenze
di lavoro di team
• Efficace
lavoro di team
Criteri di efficacia
del team
1. Performance
Il risultato del team
corrisponde alle aspettative
degli utenti
2. Vitalità
Membri soddisfatti della
esperienza di team
Membri disposti a
continuare a contribuire
allo sforzo del team
lutato, causando però un danno per l’organizzazione nel lungo periodo. La vitalità del
team è definita come la soddisfazione dei membri del team e il loro desiderio costante di
offrire il proprio contributo. I singoli individui traggono vantaggi o svantaggi dalla loro
partecipazione agli sforzi comuni? Un team di lavoro non si può dire realmente efficace
se porta a termine il suo compito ma si auto-distrugge nel corso del processo, oppure
arriva a logorare le persone.
Come indicato in figura 11-1, i team di lavoro necessitano di un sistema di supporto
per essere efficaci: devono quindi essere appoggiati da un’organizzazione orientata ai
team. La possibilità dei team di essere efficienti è molto più elevata se sono assistiti e
aiutati dall’organizzazione. L’obiettivo del team deve essere in armonia con la strategia dell’organizzazione, e parimenti la sua partecipazione e autonomia richiedono una
cultura organizzativa che valorizzi tali processi.
I membri hanno, inoltre, bisogno di strumenti tecnologici appropriati, una programmazione ragionevole e adeguata formazione. Il lavoro di gruppo deve essere
consolidato dal sistema di ricompense dell’organizzazione,12 cosa che non avviene se
le remunerazioni e i bonus sono legati esclusivamente al risultato individuale. Per un
esempio positivo, vediamo che cosa è accaduto alla Cisco Systems, azienda produttrice
di dispositivi per Internet:
[Il CEO John] Chambers […] ha fatto del lavoro di team una componente essenziale
dei piani bonus dei dirigenti, legando il 30% dei bonus [annuali] a quanto collaborano
reciprocamente. “Così facendo, si tende a formalizzare la discussione su come aiutarsi a
vicenda” afferma Sue Bostrom, a capo del gruppo di consulenza Internet della Cisco.13
I membri necessitano di competenze di lavoro di team Due buoni punti di partenza
per dare vita a un team efficace sono creare team nell’ambiente di lavoro e incoraggiare
i collaboratori a dimostrarsi buoni membri del team. Nell’attuale contesto economico,
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11
Sviluppare e guidare team di lavoro efficaci
249
Tabella 11-3
Quanto sono sviluppate
le vostre competenze di lavoro
di team?
Orientare il team verso una situazione di problem solving
Guidare il team verso una visione comune della situazione o del problema. Identificare gli
elementi importanti di una situazione problematica. Ricercare dati rilevanti legati alla situazione
o al problema.
Fonte: da G. Chen, L.M. Donahue
e R.I. Klimoski, “Training
Undergraduates to Work in
Organizational Teams,” Academy
of Management Learning and
Education, marzo 2004, App. A,
p. 40.
Organizzare e gestire la prestazione del team
Aiutare il team a stabilire obiettivi collettivi specifici, sfidanti e accettati. Monitorare, valutare
e fornire feedback sulla prestazione del team. Identificare strategie alternative oppure stabilire
una nuova allocazione delle risorse in risposta ai risultati del feedback.
Favorire un ambiente di team positivo
Contribuire a creare e rafforzare norme di tolleranza, rispetto ed eccellenza. Riconoscere
e lodare l’impegno degli altri membri, aiutarli e sostenerli. Mettere in pratica un modello
del comportamento auspicato all’interno di un team.
Promuovere e gestire il conflitto di team
Incoraggiare i conflitti auspicabili e scoraggiare quelli indesiderati. Riconoscere la tipologia
e la causa dei conflitti affrontati dal team e mettere in atto una strategia risolutiva adeguata.
Impiegare strategie di negoziazione “win-win” per risolvere i conflitti di team.
Proporre adeguatamente la propria prospettiva
Difendere preferenze esplicite, sostenere un particolare punto di vista e resistere alla pressione
senza cambiare posizione per un’alternativa non suffragata da argomentazioni logiche o basate
sulla conoscenza. Modificare la propria posizione quando altri membri del team avanzano
argomentazioni valide. Difendere la propria posizione con fare cortese e amichevole.
tuttavia, questo non basta.14 Jeff Zucker, presidente di NBC Universal Television Group,
spiega:
La sfida più complessa è fare in modo che il nuovo team massimizzi il nostro potenziale
e aderisca a una sola cultura. Abbiamo collaboratori dotati di una forte personalità ed
estremamente bravi nel proprio lavoro. Vorrei che ciascuno di loro si sentisse il migliore,
ma riuscisse a lavorare in team insieme con gli altri.15
In sintesi, poiché il gruppo di leadership non si era amalgamato in un vero team, come
definito in precedenza, la leadership del gruppo da parte di Zucker doveva accertarsi
che i suoi collaboratori fossero dotati delle competenze di lavoro di team illustrate nella
tabella 11-3. Le abilità e le competenze di lavoro di team devono essere insegnate e
mostrate mediante modelli di ruolo.
Tra le caratteristiche illustrate nella tabella 11-3, particolare importanza assumono
le capacità di problem soving del gruppo, di mentoring e di gestione del conflitto.
Quali sono le caratteristiche di un team di lavoro efficace? Purtroppo i termini
team e lavoro di team vengono impiegati in maniera piuttosto casuale. Numerosi gruppi
di lavoro sono denominati team, pur non presentando affatto le caratteristiche proprie di un
team. Il vero lavoro di team necessita di uno sforzo collettivo concertato (vedi tabella 11-4)
e richiede tolleranza, esercizio e apprendimento tramite esperimenti ed errori.16 Utilizzando
come guida la tabella 11-4, avete mai vissuto l’esperienza del vero lavoro in team?
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Parte III
250
I gruppi e i processi sociali
Tabella 11-4 Caratteristiche di un team efficace
1. Scopo chiaro
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
La visione, la missione, l’obiettivo o compito del team è stato definito e accettato da ciascun membro. Esiste un piano d’azione
Informalità
L’atmosfera è tendenzialmente informale, gradevole e rilassata. Non si notano tensioni palesi o
segni di noia.
Partecipazione
La discussione è accesa e tutti sono invitati a partecipare.
Ascolto
I membri ricorrono a efficaci tecniche di ascolto come il porre domande, parafrasare e riassumere
al fine di trovare nuove idee.
Disaccordo civile
Vi è disaccordo, ma il team è a proprio agio e non da segno di voler evitare, appianare o eliminare
il conflitto.
Decisioni consensuali Per le decisioni importanti l’obiettivo è rilevante, ma non necessariamente un accordo unanime
raggiunto tramite la discussione aperta delle idee di ciascuno membro, l’elusione di una votazione
formale o i facili compromessi.
Comunicazione aperta I membri del team si sentono liberi di esprimere i loro pareri sui compiti da svolgere nonché
sull’operato del gruppo. Esistono pochi obiettivi occulti. La comunicazione ha luogo al di fuori
delle riunioni
Ruoli chiari
Vi sono chiare aspettative sui ruoli ricoperti da ciascun membro del gruppo. Quando si agisce
e assegnazione
le assegnazioni sono chiare, accettate e portate a termine. Vi è un’equa distribuzione del lavoro
dei compiti
tra i membri del team
Leadership condivisa
Mentre il team dispone di un leader formale, le funzioni di leadership variano da un momento
all’altro a seconda delle circostanze, delle necessità del gruppo e dalle capacità dei membri.
Il leader formale assume il comportamento appropriato e aiuta a stabilire norme positive
Relazioni esterne
Il team trascorre del tempo sviluppando relazioni chiave con elementi esterni al team,
mobilitando risorse e costruendo credibilità con importanti attori in altre parti dell’organizzazione
Diversità di stile
Il team è caratterizzato da una vasta gamma di tipi di teamplayer inclusi i membri che pongono
l’attenzione al compito, all’obiettivo, al processo e a domande che riguardano il funzionamento
del team
Auto-valutazione
Con scadenza periodica il team si ferma a esaminare la qualità del suo funzionamento e quali
elementi potrebbero interferire con la sua efficacia
Fonte: G.M. Parker, Team Players and Teamwork: The New Competitive Business Strategy (San Francisco: Jossey-Bss, 1990), tabella 2, p. 33. Copyright © 1990
Jossey-Bass Inc. Ristampa per concessione di John Wiley & Sons, Inc.
Perché i team di lavoro falliscono?
Coloro che sostengono un approccio di management incentrato sul team ne danno
un’immagine ottimistica e positiva; ciononostante ci sono degli aspetti negativi.17 Pur
non esistendo dati statistici che lo provano, può accadere, e accade spesso, che i team
falliscano. Chiunque consideri l’uso di strutture di team sul posto di lavoro ha bisogno
di uno schema di quelli che sono i possibili vantaggi e limiti.
Frequenti errori di gestione dei team Stando a quanto riportato al centro della figura
11-2, ciò che principalmente minaccia l’efficacia di un team sono le aspettative irrealistiche
che portano alla frustrazione che, a sua volta, induce le persone ad abbandonare il team.
Sia i manager che i membri dei team possono esserne vittime.
Sul lato sinistro della figura 11-2 è riportata una lista di frequenti errori manageriali,
che implicano generalmente la scarsa capacità di creare un ambiente di supporto per il
team e per il lavoro di gruppo.
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11
Sviluppare e guidare team di lavoro efficaci
Figura 11-2
Perché i team falliscono
Fonti: adattamento della
discussione tratta da S.R. Rayner,
“Team Traps: What They Are,
How to Avoid Them,” National
Productivity Review, estate 1996,
pp. 101-15; L. Holpp e R. Phillips,
“When is a Team Its Own Worst
Enemy?”, Training, settembre
1995, pp. 71-82; B. Richardson,
“Why Work Team Flop – and
What Can Be Done about It,”
National Productivity Review,
inverno 1994/1995, pp. 9-13; e
C.O. Longenecker e M. Neubert,
“Barriers and Gateways to
Management Cooperatione and
Teamowrk,” Business Horizons,
settembre-ottobre 2000,
pp. 37-44.
251
Errori tipici del management
• I team non riescono a superare strategie deboli
e scadenti pratiche aziendali
• Ambiente ostile per il team (cultura del comando
e del controllo; piani di ricompense individuali
e competitivi; resistenza al management)
• Team usati come ultima moda, nessun impegno
a lungo termine
• Lezioni non trasmesse da un team all’altro
(limitata sperimentazione con i team)
• Compiti assegnati vaghi o contrastanti
• Formazione sulle capacità di team inadeguata
• Selezione scadente
Aspettative irrealizzabili
dei membri
che sfociano
• Mancanza di fiducia
in frustrazione
Tipici problemi sperimentati dai membri del team
• Il team tenta di portare a termine troppe cose
in troppo poco tempo
• Conflitti sulle differenze degli stili lavorativi personali
(e/o conflitti personali)
• Troppa importanza data ai risultati, rispetto ai processi
e alle dinamiche di gruppo
• Ostacoli imprevisti portano a rinunciare
• Resistenza a voler agire in modo diverso
• Mediocri abilità interpersonali (comunicazione aggressiva
piuttosto che assertiva, conflitto distruttivo, negoziazione
del tipo win-lose)
• Scarsa alchimia interpersonale (i solitari, i dominatori,
gli esperti autonominatisi non si adattano a una dinamica
di team)
• Mancanza di fiducia
Problemi dei membri del team La parte in basso a destra della figura 11-2 elenca i
problemi più frequenti che i membri dei team si trovano ad affrontare. Contrariamente
a quanto dicono i critici della Teoria X a proposito della mancanza di motivazione e di
creatività utili al lavoro di gruppo vero e proprio, è fattore comune nei team intraprendere troppe cose troppo velocemente ed estenuarsi troppo per raggiungere al più presto
i risultati. Importanti dinamiche di gruppo e capacità individuali si perdono nella corsa
al risultato. Le aspettative degli individui, di conseguenza, devono essere considerate
realizzabili sia da parte del management sia dei membri stessi del team. I team, inoltre,
devono essere scoraggiati dall’abbandonare la loro posizione, quando incorrono in
un ostacolo imprevisto. Il fallimento fa parte del processo di apprendimento dei team
come pure nella vita reale. Una formazione completa sulle capacità interpersonali può
prevenire molti problemi tipici del lavoro di gruppo.
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Parte III
252
I gruppi e i processi sociali
Lavoro di team efficace tramite cooperazione,
fiducia e coesione
Con l’aumento della pressione competitiva gli esperti sostengono che il successo organizzativo dipenderà, in forma sempre più frequente, dal lavoro di gruppo piuttosto che
da quello di individui eccellenti. Non vi è luogo a miglior sostegno di tale affermazione
che gli ospedali; immaginate voi stessi, o un vostro caro, coinvolti in questa terribile
situazione:
Una donna di 67 anni è stata ricoverata all’ospedale a causa di un aneurisma cerebrale –
un indebolimento dei vasi sanguigni nel cervello. I medici l’hanno visitata e poi mandata
nella sua stanza. Il giorno successivo la donna è stata spostata, tra tutti quelli possibili,
nel reparto di cardiologia, dove un medico le ha messo un catetere nel cuore, prima
che qualcuno si accorgesse che si trattava della paziente sbagliata. La procedura è stata
interrotta e la paziente è guarita.18
Dopo aver esaminato il caso citato i ricercatori hanno constatato la necessità di una
migliore comunicazione e un più efficace lavoro di gruppo.
Che il contesto sia un ospedale o un’azienda, i tre fondamentali elementi del lavoro di
team sono la cooperazione, la fiducia e la coesione. Esaminiamo in che modo ciascuno
di essi contribuisce all’efficacia del lavoro di team.
Cooperazione
Si parla di individui cooperativi quando i loro sforzi sono sistematicamente integrati
al fine di realizzare un comune obiettivo.19 Più gli individui sono integrati più alto sarà
il grado di cooperazione.
Cooperazione vs competizione La maggior parte dei manager sostiene che “la
concorrenza fa emergere il meglio delle persone”. Da un punto di vista economico la
sopravvivenza del business dipende dal superamento della concorrenza; da un punto
di vista interpersonale, invece, la critica sostiene che sia stato dato troppo valore alla
competizione a scapito della cooperazione.20 Sandra Dawson, esperta di cambiamento
organizzativo e docente di management all’Università di Cambridge, ha di recente
proposto queste interessanti riflessioni:
Sono una strenua sostenitrice della collaborazione … [Dico sempre ai miei studenti]
“non avete bisogno di lezioni sulla competizione: sarete competitivi come chiunque
altro, perché siete qui e sapete bene dove volete arrivare. Non sono altrettanto sicura
rispetto alla vostra capacità di collaborare, che potrebbe risultare il fattore decisivo di
differenziazione nel contesto economico globalizzato del futuro.”
Ho notato che le donne sono più propense a riconoscere l’importanza della collaborazione, mentre gli uomini si dimostrano più restii. Probabilmente gli uomini fanno
più fatica a guardare oltre se stessi e le persone simili a loro. Devono vedere valore
nell’“Altro”, che per definizione avrà interessi e modi di pensare diversi.
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11
Sviluppare e guidare team di lavoro efficaci
253
Insegniamo ai ragazzi la collaborazione dimostrandone l’efficacia in situazioni
concrete [attraverso progetti di gruppo con aziende locali] … I gruppi devono rispettare scadenze molto strette e possono riuscirci solo se ciascuno contribuisce tirando
fuori il meglio di sé e non si consente a uno dei membri di dominare da nessun punto
di vista.21
Sostegno della ricerca alla cooperazione Sulla base di una meta-analisi comprensiva
di 122 studi che includono un’ampia varietà di argomenti e situazioni, un gruppo di
ricercatori ha tratto le conclusioni che seguono.
1. La cooperazione è superiore alla competizione nel promuovere il raggiungimento
dei risultati e la produttività.
2. La cooperazione è superiore agli sforzi individualistici nel promuovere il raggiungimento dei risultati e la produttività.
3. La cooperazione senza la competizione tra gruppi favorisce una migliore capacità di
raggiungere i risultati e una maggiore produttività rispetto alla cooperazione unita
alla concorrenza tra gruppi.22
Considerate la dimensione e la diversità della base di tale ricerca, i risultati appoggiano
fortemente la cooperazione nelle organizzazioni moderne; è possibile incoraggiarla
tramite sistemi di ricompensa che rafforzino il lavoro di gruppo oltre che il risultato
del singolo individuo.
È interessante notare come la cooperazione possa essere incoraggiata molto semplicemente abbattendo delle barriere o non costruendole per niente. Uno studio recente
condotto su 229 manager e professionisti provenienti da otto piccole imprese si è rilevato
molto utile:
I ricercatori hanno osservato gli effetti degli uffici privati, di quelli condivisi e degli
scomparti a cubicoli sulla produttività, e sono rimasti inizialmente sorpresi del fatto
che la più alta performance fosse correlata con la configurazione dell’ufficio aperto,
pensato per un team di piccole dimensioni (con scrivanie distribuite in ordine sparso
su una piccola area senza pareti divisorie). Essi hanno inoltre appurato come tale
configurazione dell’ufficio fosse in particolar modo preferita dai collaboratori più
giovani, i quali sostengono che gli uffici aperti danno loro maggiori opportunità di
comunicare con i colleghi e di apprendere dalle persone più anziane e con maggiore
esperienza.23
Vi è una tendenza, tra gli architetti e i pianificatori urbanistici, a progettare e costruire strutture che favoriscono l’interazione spontanea, la cooperazione e il lavoro
di gruppo.
Fiducia
La fiducia, nel mondo aziendale, non ha incontrato momenti favorevoli: anni di sprechi
di denaro pubblico, disoccupazione elevata, crisi finanziaria, bonus gonfiati per dirigenti,
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254
Parte III
I gruppi e i processi sociali
scandali aziendali e promesse non mantenute hanno reso, a ragione, molti collaboratori, piuttosto cinici nel riporre fiducia nelle parole e nell’operato del management.24
D’altra parte, “in uno studio condotto dalla MasterWorks, Annandale, in Virginia, su
500 uomini d’azienda, il 95% ha dichiarato che ciò che principalmente determina la
decisione di abbandonare o no il posto di lavoro è l’avere un rapporto di fiducia con il
proprio manager.”25 Occorre, chiaramente, agire in modo attivo per chiudere l’enorme
divario di fiducia, soprattutto tra i collaboratori e il top management.
Nella presente sezione esamineremo il concetto di fiducia e presenteremo sei linee
guida per costruirla nella pratica.
Fiducia: credito reciproco alle
intenzioni e ai comportamenti
altrui
Un salto cognitivo La fiducia si definisce come il credito reciproco nelle intenzioni
e nel comportamento altrui.26 L’aspetto di reciprocità della fiducia (dare e avere) è essenziale: abbiamo la tendenza, in altre parole, a dare ciò che riceviamo, quindi la fiducia
genera fiducia; la sfiducia genera sfiducia. Studiando le misure specifiche adottate dalla
3M per costruire la fiducia tra i 75.000 dipendenti dislocati in 200 paesi, alcuni esperti
in gestione delle risorse umano hanno di recente osservato:
La fiducia, che è tutto nei rapporti, è la convinzione che l’altro farà la cosa più giusta
per noi anche se non siamo in grado di confermarlo. La fiducia permette agli individui
legati da un rapporto di assumere dei rischi perché entrambi ritengono che l’altro agirà
solo dopo aver considerato le conseguenze delle sue azioni sul rapporto. La fiducia è
l’elemento che incoraggia i collaboratori a profondere tutte le loro energie e tutto il loro
impegno nel lavoro.27
Propensione alla fiducia:
aspetto della personalità che
implica la generale disposizione della persona a riporre
fiducia negli altri
La fiducia può anche essere molto fragile, come ci ricorda il noto giornalista economico Harvey Mackay: “occorrono anni per costruire la fiducia, basta un secondo
per distruggerla.”28 Appropriatamente, una nuova linea di ricerca nell’ambito del
management è incentrata proprio sulla ricostruzione della fiducia, organizzativa e
interpersonale.29
Un modello di fiducia organizzativa include un aspetto della personalità chiamato
propensione alla fiducia. Gli ideatori di tale modello forniscono la seguente spiegazione:
Questa propensione può essere intesa come la generica disponibilità a fidarsi degli altri,
che determinerà il grado di fiducia nei confronti di una persona prima di poter avere
su di lei alcune informazioni. Persone caratterizzate da esperienze di sviluppo, tipi di
personalità e background culturali diversi mostrano un differente grado di propensione
alla fiducia. […] Un esempio di caso estremo, a questo proposito, è dato da quella che
comunemente è definita fiducia cieca. Alcuni hanno la tendenza a riporre ripetutamente
la loro fiducia in situazioni nelle quali, la maggior parte delle persone non ne riporrebbe
alcuna. Altri, al contrario, non sono disposti a fidarsi nella maggior parte delle situazioni,
anche quando le circostanze suggerirebbero un comportamento opposto.30
La fiducia implica “un ‘salto’ cognitivo oltre le aspettative che la ragione e l’esperienza da sole garantirebbero”31 (figura 11-3). Supponiamo, ad esempio, che una persona
che partecipa a un progetto di gruppo si impegni a fondo sulla base del presupposto che
anche i suoi compagni si comportino nello stesso modo; l’assunto sul quale basa la sua
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11
Sviluppare e guidare team di lavoro efficaci
Figura 11-3
La fiducia interpersonale
implica un salto cognitivo
255
Salto cognitivo
Fede nelle buone
intenzioni altrui.
Assunto che gli altri
si comporteranno
come noi desideriamo
Conoscenza personale
dell’affidabilità
e integrità altrui
Sfiducia
Fiducia
fiducia è un salto cognitivo che va oltre la sua effettiva esperienza con i suoi compagni.
Quando ti fidi di qualcuno credi nelle sue buone intenzioni. Porre la propria fiducia in
qualcuno, tuttavia, implica il rischio che questa sia tradita.
Manager all’avanguardia reputano che i vantaggi della fiducia tra le persone siano
superiori al rischio di vedere tradita tale fiducia. Michael Powell, ad esempio, fondatore
più di 25 anni fa della catena di librerie omonime, ha costruito la sua impresa basandosi
sui principi della gestione “a libro aperto”, sull’empowerment e la fiducia. La propensione di Powell alla fiducia è stata messa a dura prova nel momento in cui uno dei suoi
collaboratori ha rubato più di 60.000 dollari durante l’acquisizione di libri di seconda
mano. Dopo aver introdotto alcun sistemi di controllo della contabilità, la propensione
alla fiducia di Powell è rimasta intatta. Ecco quanto ha osservato:
L’accaduto ha determinato una svolta per me e il mio staff, portandoci a eliminare
qualunque forma di ingenuità che abbiamo potuto avere in merito a un atto criminoso.
Non solo ci siamo resi conto che il furto può verificarsi, ma che si verificherà. Gestire
questa questione ci ha costretto, allo stesso tempo, a rivedere i nostri valori e la nostra
filosofia manageriale. Riteniamo che le imprese moderne cerchino uno staff flessibile
e con pieni poteri e questo implichi che tale staff dovrà spesso gestire merci di valore e
denaro. Riteniamo inoltre che nella maggior parte dei casi le persone non abuseranno
della fiducia in loro riposta se collocate in una posizione con il giusto livello di controlli
e responsabilità.32
Come costruire la fiducia Fernando Bartolomé, professore e consulente aziendale,
propone le seguenti sei linee guida per costruire e conservare la fiducia:
1. Comunicazione. Tenere aggiornati i membri dei team e i collaboratori spiegando
loro le politiche e le decisioni e fornendo un adeguato feedback. Essere franchi nel
discutere i problemi e i limiti di un individuo. Dire la verità.
2. Sostegno. Mostrare disponibilità e apertura, fornire aiuto, consiglio e sostegno alle
idee dei membri del team.
3. Rispetto. La delega, sotto forma di una reale autorità decisionale, rappresenta la più
importante espressione di rispetto manageriale. L’ascolto attivo delle idee altrui si
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Parte III
256
I gruppi e i processi sociali
piazza secondo a breve distanza (l’empowerment, che analizzeremo nel Capitolo
15, non è possibile senza fiducia).
4. Lealtà. Riconoscere con rapidità i meriti dei collaboratori. Assicurarsi che tutti gli
apprezzamenti e le valutazioni delle prestazioni siano obiettivi e imparziali.
5. Prevedibilità. Come accennato in precedenza, si deve essere coerenti e prevedibili
nelle proprie azioni quotidiane. Mantenere sia le promesse fatte sia quelle implicite.
6. Competenza. Valorizzare la credibilità dimostrando buone competenze nel business,
capacità tecnica e professionalità.33
Credibilità: effetto di integrità, intenti, capacità e risultati
La fiducia bisogna guadagnarsela, non si può pretendere, ed è strettamente legata alla
credibilità, cioè allo “sviluppo dell’integrità, degli intenti, delle capacità e dei risultati
che rendono credibili ai propri occhi e agli occhi degli altri”.34 Quanto siete credibili e
affidabili? E quanto lo sono coloro che vi circondano nella vita privata e professionale?
Coesione
Coesione: un senso di unione
che aiuta il gruppo a restare
unito
La coesione è un processo attraverso il quale “emerge un senso di “pluralità’ che supera
le differenze e le motivazioni individuali”.35 I membri di un gruppo coeso restano uniti
e sono riluttanti ad abbandonarlo, in quanto: (1) apprezzano la reciproca compagnia,
oppure (2) hanno bisogno uno dell’altro per perseguire un obiettivo comune. I sociologi,
di conseguenza, hanno individuato due tipi di coesione: la coesione socio emotiva e la
coesione strumentale.36
Coesione socioemotiva:
senso di unione basato sulla
soddisfazione emotiva
Coesione socio-emotiva e strumentale La coesione socio-emotiva è un senso di
unione che si sviluppa quando gli individui traggono soddisfazione emotiva dalla partecipazione nell’attività di gruppo. In linea con questa affermazione, recenti ricerche
dimostrano che la condivisione di esperienze emotivamente intense (per esempio, la
temuta visita dal dentista) tendono a favorire la creazione di legami tra gli individui.37
Le discussioni più generiche sulla coesione di gruppo si limitano a questo tipo. Se,
però, consideriamo le cose dal punto di vista della realizzazione dei compiti dei team e
dei gruppi, non possiamo permetterci di ignorare la coesione strumentale. Per coesione
strumentale si intende un senso di unione che si sviluppa quando i membri dei gruppi
sono legati da reciproca dipendenza perché ritengono di non poter essere in grado
di perseguire l’obiettivo del gruppo operando da soli. Una sensazione di pluralità è
strumentale nel raggiungimento dell’obiettivo comune. I sostenitori del team partono,
generalmente, dal presupposto che entrambi i tipi di coesione sono essenziali ai fini di
un lavoro di gruppo produttivo. Ma è proprio vero?
Una meta-analisi non ha trovato collegamenti significativi tra la coesione e la qualità
delle decisioni di gruppo. Comunque i risultati hanno sostenuto l’ipotesi proposta da Janis
secondo la quale gruppi coesi e con forte leadership tendono a soffrire di groupthink:
i gruppi i cui membri mostravano un grande apprezzamento reciproco tendevano a
generare decisioni di qualità peggiore.38
Coesione strumentale: senso
di unione basato sulla dipendenza reciproca necessaria al
raggiungimento dell’obiettivo
Trarre effetti positivi dalla coesione del gruppo La ricerca afferma che la coesione
di gruppo non è un’arma segreta per migliorare la performance del gruppo o del team.
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11
Sviluppare e guidare team di lavoro efficaci
Tabella 11-5
Passi che i manager devono
fare per aumentare i due tipi
di coesione di gruppo
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Coesione socio-emotiva
Mantenere gruppi di dimensioni ridotte.
Impegnarsi a favore di un’immagine pubblica di un certo livello al fine di aumentare lo status
e il prestigio di appartenere al team.
Favorire l’interazione e la cooperazione.
Valorizzare gli interessi e le caratteristiche comuni dei membri.
Far presente le minacce ambientali (es. i risultati dei concorrenti) al fine di mobilitare il gruppo.
Coesione strumentale
Aggiornare e chiarire con regolarità l’obiettivo/gli obiettivi del gruppo.
Fornire a ciascun membro del gruppo un ruolo concreto nell’azione del team.
Incanalare le doti speciali di ciascun membro verso l’obiettivo/gli obiettivi comuni.
Riconoscere e avvalorare equamente i contributi di ciascun membro.
Ricordare spesso ai membri del gruppo che hanno bisogno l’uno dell’altro per portare a termine
il compito assegnato.
Il trucco sta nel mantenere i gruppi di lavoro di piccole dimensioni, assicurarsi che gli
standard di performance e gli obiettivi siano chiari e accettati, registrare in anticipo
alcuni successi e seguire i suggerimenti riportati nella tabella 11-5.
Un esempio valido, a questo proposito, ci è dato dall’impianto radar elettronico militare, altamente automatizzato della Westinghouse, situato a College Station, in Texas.
Paragonato con i suoi equivalenti di una fabbrica tradizionale di Baltimora, ciascuno
dei 500 dipendenti negli impianti texani fornisce, per ciascuna unità, una produzione
otto volte superiore e alla metà dei costi. Il segreto, afferma la Westinghouse, non sono
le macchine ma le persone: i collaboratori lavorano in team composti da un numero
compreso tra gli 8 e i 12 elementi. I membri escogitano soluzioni ai problemi; i team
valutano quotidianamente la misura in cui la performance del singolo sia paragonabile
con quella di altri membri e come la performance dei team sia paragonabile con quella
dell’impianto. Joseph L. Johnson, esperto di robotica, ritiene che si tratti di un notevole
cambiamento dal lavoro che in precedenza portava a dover stare ore in fabbrica e dove
si trattava solo di “mettere insieme il salario”. Qui la pressione dei tuoi colleghi “fa in
modo che il lavoro sia fatto effettivamente”.39
Team di lavoro che si auto-selezionano (ovvero team nei quali gli individui scelgono i propri compagni) e eventi sociali fuori dall’orario d’ufficio possono stimolare
la coesione socio-emotiva,40 che però deve essere bilanciata con la coesione strumentale. Questa ultima può essere incoraggiata assicurandosi che il gruppo riconosca
e apprezzi il contributo vitale di ciascun membro all’obiettivo del gruppo. Oltre a
stabilire un equilibrio tra i due tipi di coesione, i manager devono ricordare che la
teoria e la ricerca nell’ambito del groupthink mettono in guardia di fronte a un grado
di coesione troppo alto.
Team virtuali e team auto-gestiti
Oggigiorno, sul posto di lavoro, è possibile riscontrare ogni sorta di approccio interessante sui team e sul lavoro di gruppo. Nel tentativo di raggiungere una maggiore
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Parte III
258
Tabella 11-6
Differenze di base tra i team
virtuali e i team auto-gestiti
Tipo di team
(tabella 11-2)
Tipo di empowerment
(figura 15-2)
Membri
Base di appartenenza
Rapporto con la struttura
organizzativa
Grado di comunicazione
faccia a faccia
I gruppi e i processi sociali
Team virtuali
Team auto-gestiti
Consiglio o progetto
(solitamente progetto)
Consultazione,
partecipazione o delega
Manager e specialisti
tecnici
Assegnata (talvolta
volontaria)
Parallelo o integrato
Produzione, progetto o azione
Tendente a zero
Varia a seconda dell’uso delle
tecnologie informatiche
Delega
Produzione/servizio,
specialisti tecnici
Assegnata
Integrato
flessibilità e prontezza di risposta, le organizzazioni stanno portando avanti diverse
sperimentazioni, incoraggiate anche dalle nuove tecnologie informatiche. La presente
sezione descrive due tipi diversi di approccio con tali strutture: i team virtuali e i team
auto-gestiti. Abbiamo selezionato questi particolari tipi di team per tre ragioni: (1) hanno
nomi facilmente riconoscibili, (2) sono, almeno parzialmente, supportati da ricerche,
(3) implicano diversi livelli di empowerment: basso, medio, alto (si veda in proposito
la figura 15-2).
I due tipi di team, come si può notare nella tabella 11-6, sono ben delineati, ma non
sono unici nel loro genere. Esistono infatti degli elementi comuni. I team virtuali gestiti
mediante reti informatiche, ad esempio, possono essere formati da membri volontari o
meno, e possono sia essere auto-gestiti sia non esserlo. Un’altra caratteristica comune
riguarda la quinta variabile indicata nella tabella 11-6, in altre parole il rapporto con
la struttura organizzativa. I team sono definiti strutture parallele perché esistono al di
fuori dei normali canali di autorità e comunicazione.41 I team auto-gestiti, d’altro canto,
sono integrati nella struttura organizzativa di base. I team virtuali, a questo proposito,
variano, sebbene abbiano la tendenza a somigliarsi perché composti da specialisti (ingegneri, contabili, operatori di mercato ecc.) che si riuniscono in progetti a termine.
Tenendo presenti tali distinzioni di base esaminiamo i team virtuali e i team auto-gestiti.
Team virtuali
I team virtuali sono un prodotto dei tempi moderni; il loro nome deriva da simulazioni
al computer della realtà virtuale dove “le cose ti appaiono quasi come se fossero vere”.
Grazie a tecnologie informatiche in evoluzione come Internet mobile, la posta elettronica,
i social media, l’instant messaging, le videoconferenze e i “groupware”, è possibile far
parte di un team di lavoro senza essere effettivamente presenti.42 I team tradizionali si
incontrano in un luogo specifico: e le persone sono presenti fisicamente oppure assenti.
I team virtuali, invece, sono convocati elettronicamente e i membri partecipano stando
in luoghi e in organizzazioni diverse, persino con fusi orari differenti.
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11
Sviluppare e guidare team di lavoro efficaci
Team virtuali: la tecnologia
informatica permette ai membri del gruppo di portare avanti
le attività da diverse postazioni
259
Essendosi sviluppati di recente, non esiste una definizione comunemente condivisa di
team virtuale. La nostra definizione operativa descrive un team virtuale come un gruppo
di lavoro composto da membri geograficamente distanti che porta avanti il business
avvalendosi dei moderni strumenti di tecnologia informatica. I sostenitori affermano
che i team virtuali sono molto flessibili ed efficienti perché guidati dalle informazioni
e dalle capacità dei loro membri e non dal tempo e dalla localizzazione. Persone che
hanno le capacità e le informazioni necessarie possono partecipare indipendentemente
dal luogo o dal momento in cui svolgono il loro lavoro. i team virtuali sono una realtà
molto familiare per le generazioni cresciute utilizzando Internet e i social media.
Per quanto riguarda gli aspetti negativi, la mancanza di un’interazione faccia a faccia
può determinare un indebolimento della fiducia, della comunicazione e del senso di
responsabilità. In un sondaggio che ha chiesto a 1.465 lavoratori se la percezione della
qualità del lavoro varia a seconda che questo sia stato svolto remotamente oppure in
ufficio, il 55% ha risposto affermativamente e il 45% negativamente.43 Può risultare
molto difficoltoso svolgere il ruolo di leadership e management a distanza. Billie Williamson, partner Ernst&Young responsabile della diversità aziendale, ha gestito team
virtuali per oltre 10 anni e offre un interessante punto di vista:
La gestione virtuale presenta numerosi vantaggi: semplifica il coordinamento di
programmi diversi, consente di convocare riunioni con breve preavviso, contribuisce
a ridurre le spese di viaggio, permettendo una maggiore sostenibilità ambientale e
minimizzando i tempi morti. Favorisce inoltre la creazione di team più eterogenei,
dotati di un bagaglio di esperienza e conoscenze più ampio. L’aspetto più importante
che i manager devono ricordare è che il successo di un team, che sia virtuale o meno,
dipende dalle persone: la tecnologia può accorciare le distanze, ma è il manager a doversi
assicurare che i rapporti siano vitali, che ogni membro del team venga apprezzato e che
la produttività sia alta.44
Suggerimenti della ricerca Com’è facile aspettarsi da un campo nuovo e non ancora
ben definito, i risultati forniti dalla ricerca sono, a oggi, piuttosto scarni. Ecco quanto
abbiamo finora appreso da studi recenti sui gruppi mediati dal computer:
• Gruppi virtuali formati tramite Internet seguono un processo di sviluppo del gruppo
simile a quello di gruppi non virtuali45 (ricordate la discussione in merito al modello
di Tuckman del Capitolo 10).
• Le stanze di chat in Internet creano maggiore lavoro e approdano a decisioni più
limitate rispetto agli incontri faccia a faccia e alle teleconferenze.46
• Un utilizzo efficace del groupware (software che facilita l’interazione tra membri
virtuali del gruppo) richiede formazione ed esperienza pratica.47
• Una leadership ispiratrice, durante i brainstorming elettronici dei gruppi, ha un effetto
positivo sulla creatività.48
• La gestione del conflitto è particolarmente difficoltosa per i team virtuali asincroni,
(ovvero quelli non presenti in tempo reale), che non hanno l’opportunità di interagire
faccia a faccia.49
• Se almeno un membro del team lavora remotamente “il gruppo è motivato a una
maggiore disciplina nel coordinamento e nella comunicazione, il che si traduce in
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Parte III
260
I gruppi e i processi sociali
un’esperienza migliore e più produttiva per tutti [ …] Se tuttavia il singolo viene
affiancato da un collega, il team ne soffre.”50 Ciò accade perché la coppia tende a
coalizzarsi, troppo spesso in contrapposizione al “quartier generale”.
Considerazioni pratiche Sebbene i team virtuali siano alquanto popolari, non costituiscono una soluzione generale. Possono, infatti, determinare, per coloro non particolarmente esperti di tecnologia informatica, un consistente passo indietro. I manager che
li utilizzano sono d’accordo su un punto: un espressivo contatto visivo, specialmente
durante le prime fasi di sviluppo del gruppo, è assolutamente essenziale. I membri di
gruppi virtuali devono poter associare delle “facce” ai nomi e ai messaggi elettronici.
Un’interazione faccia a faccia periodica non solo stimola un legame sociale tra i membri del team virtuale, ma facilita la risoluzione dei conflitti. Inoltre, sono indispensabili
alcuni elementi tradizionali come il sostegno del top management, una formazione
pratica, una missione chiara e obiettivi specifici da perseguire, una leadership efficace
e la pianificazione dei tempi, delle attività e delle scadenze (consigli pratici aggiuntivi
sono elencati nella tabella 11-7).
Team auto-gestiti
Team auto-gestiti: gruppi di
collaboratori aventi la supervisione gestionale del proprio
lavoro
Vi siete mai trovati a pensare di poter ottenere un risultato sul lavoro migliore del vostro
capo? Bene, se la tendenza verso team di lavoro auto-gestiti continua a crescere come
previsto potreste avere occasione di dimostrarlo. Per esempio, “Allo stabilimento produttivo della General Mills a Lodi, in California, i team […] programmano, utilizzano e
mantengono i macchinari così efficacemente che la fabbrica va avanti senza la necessità
di manager presenti durante il turno di notte.”51 Generalmente i manager sono presenti
e fungono da formatori o facilitatori. I team auto-gestiti assumono una molteplicità di
forme diverse nell’attuale contesto economico, con un grado di autonomia variabile.
I team auto-gestiti si definiscono come gruppi di lavoratori ai quali viene affidata la
supervisione gestionale del loro ambito di attività. La supervisione gestionale implica
la delega di attività come la pianificazione, la tempistica, il monitoraggio e la selezione
del personale. Tali compiti sono generalmente affidati ai manager; i collaboratori, in
breve, nell’ambito di questi peculiari gruppi di lavoro agiscono come supervisori di
se stessi. La gestione delle responsabilità è curata indirettamente da manager e leader
esterni. Secondo uno studio condotto su un’azienda dotata di 300 team auto-gestiti,
66 “consiglieri di team” sfruttavano le quattro strategie di influenza indiretta seguenti:
1. Creare relazioni: comprendere la struttura di potere dell’organizzazione, costruire
la fiducia, mostrare interesse per i singoli membri del team.
2. Fare scouting: cercare informazioni all’esterno, diagnosticare i problemi del lavoro
in team, facilitare la risoluzione dei problemi del gruppo.
3. Persuadere: acquisire supporto e risorse esterne, influenzare il team a essere più
efficace e perseguire gli obiettivi organizzativi.
4. Favorire l’empowerment: delegare l’autorità decisionale, facilitare il processo decisionale del team, fare coaching.52
CompOrga.indb 260
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11
Sviluppare e guidare team di lavoro efficaci
Tabella 11-7
Creare e gestire un team
virtuale
Fonte: da R. Kreitner
e C. Cassidt, Management, XII
ed. (Mason, OH: South-Western
Cengage Learning, 2012).
Tabella 13.3. Copyright © 2009
SouthWestern, appartenente a
Cengage Learning. Riproduzione
autorizzata. www.cengage.com/
permission.
261
Formare il team
Sviluppare una dichiarazione della missione del team, assieme ad aspettative e norme del lavoro
in team, obiettivi e scadenze.
Reclutare membri con capacità complementari ed esperienze eterogenee, dotati della capacità
e della volontà di contribuire.
Ottenere uno sponsor di alto livello che sostenga il progetto.
Per favorire la socializzazione e la corretta gestione della dispersione geografica, rendere
disponibili per ciascun membro del team informazioni biografiche e profilo delle competenze,
contatti e “fuso orario”.
Preparare il team
Accertarsi che tutti i membri del team abbiano a disposizione una connessione a banda larga
e siano in grado di utilizzare le tecnologie per il lavoro in team virtuale (p. es., email, chat,
videochiamate, riunioni online e programmi di collaborazione come WebEx, videoconferenze).
Garantire la compatibilità di hardware e software.
Assicurarsi che tutti i membri del team siano in grado di gestire il lavoro in team sincrono
(interazione simultanea) e asincrono (interazione non simultanea).
Fare in modo che i singoli si facciano carico degli obiettivi del team, delle scadenze e dei compiti
individuali.
Costruire il lavoro in team e la fiducia
Coinvolgere tutti i membri del team (durante le riunioni e in generale).
Organizzare periodicamente incontri faccia a faccia, esercizi di team building e attività di svago.
Promuovere la collaborazione tra i membri del team nello svolgimento dei compiti intermedi.
Istituire un sistema di segnalazione tempestiva dei conflitti (p.es., riunioni dedicate a far emergere
i malumori).
Motivare e guidare il team
Servirsi di un tabellone per segnalare i progressi del team verso il raggiungimento degli obiettivi.
Festeggiare i successi del team in occasioni virtuali e faccia a faccia.
Aprire tutte le riunioni virtuali lodando i membri del team e offrendo riconoscimenti per i loro
contributi.
Informare i manager di linea dei membri del team dei successi e dei progressi compiuti.
I team auto-gestiti sono altrimenti definiti come gruppi di lavoro semi-autonomi, gruppi
di lavoro autonomi e super-team.
Resistenza manageriale Dietro la denominazione apparentemente semplice di team
auto-gestito si nasconde un significato molto complesso. Con il termine auto-gestito non
si intende semplicemente che i lavoratori sono lasciati liberi di gestire il loro lavoro:
un’organizzazione pronta ad accettare i team auto-gestiti dovrà essere pronta a cambiare
radicalmente la sua filosofia gestionale, la sua struttura, le pratiche di selezione e di
formazione del personale e i sistemi di remunerazione. Inoltre le tradizionali nozioni
di autorità e controllo manageriale vengono capovolte. Non a caso molti manager si
oppongono fermamente all’affidare le redini del potere a persone che loro vedono come
subordinati, in quanto vedono i team auto-gestiti come una minaccia alla loro sicurezza
professionale
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Parte III
262
I gruppi e i processi sociali
Il team building e la leadership dei team
Per trasformare un gruppo di lavoro in un vero team occorrono attività di team building
creative ed efficaci sul piano dei costi e un insieme particolare di capacità di leadership.
Analizziamole nel dettaglio.
Team building
Team building: apprendimento sperimentale volto a
un migliore funzionamento
interno dei gruppi
Team building è un’espressione generica per definire tutta una serie di tecniche volte
al miglioramento del funzionamento interno dei gruppi di lavoro. I workshop sul team
building, sia che siano condotti da formatori interni all’azienda o da consulenti esterni,
puntano a una maggiore cooperazione, una migliore comunicazione e un minore conflitto disfunzionale.
Memorizzazioni ripetitive e lezioni/discussioni sono sconsigliate dagli esperti di
team building, che preferiscono un apprendimento attivo rispetto a uno passivo. Viene
in particolar modo valorizzato il modo in cui i gruppi svolgono il lavoro e non tanto il
lavoro in sé. Tecniche di apprendimento sperimentale come gli esercizi sulla fiducia
interpersonale, le sessioni di giochi di ruolo sulla gestione dei conflitti, le attività creative
e i giochi competitivi sono alquanto comuni. Le attività all’aperto possono rappresentare
un piacevole stacco dalla routine dell’ufficio o della fabbrica. Un esempio estremo in
tal senso è il seguente: “Ogni anno la Seagate Technology spende 2 milioni di dollari
per consentire a 200 collaboratori di trascorrere una settimana a fare hiking, canoa e
raid tra le montagne della Nuova Zelanda.”53 Secondo i rappresentanti dell’azienda
si tratta di denaro ben speso; tuttavia, specie durante le fasi di profonda recessione
economica, molti considerano poco etica la spesa di somme consistenti di denaro per
organizzare bizzarre attività fuori sede. Attività di team building meno costose, per
esempio contribuire a costruire una casa con l’organizzazione non profit Habitat for
Humanity, possono risultare efficaci e al tempo stesso socialmente responsabili.54 Jeffrey Katzenberg, CEO di DreamWorks Animation SKG, preferisce fare team building
festeggiando: “La prima di un film, l’uscita di un DVD o l’assegnazione di un premio
sono traguardi festeggiati alla grande.”55
In rete si trova una molteplicità di risorse gratuite, come per esempio il sito www.
businessballs.com, che possono fornire interessanti spunti per elaborare attività di team
building tenendo sotto controllo i costi.
L’aspetto importante da ricordare è che senza obiettivi chiari, capacità di leadership,
attenzione al dettaglio e applicazione dei contenuti appresi al lavoro, le sessioni di team
building in azienda e fuori possono rivelarsi una costosa delusione.56
L’obiettivo del team building: team ad alta performance Il team building permette
ai membri di affrontare problemi simulati o reali. I risultati vengono poi esaminati dal
gruppo al fine di stabilire quali processi devono essere migliorati. L’apprendimento
deriva dal riconoscere e dal parlare delle dinamiche di gruppo mancanti; può ad esempio essersi verificato un occultamento di informazioni fondamentali da parte di un
sottogruppo nei confronti di un altro che ha poi determinato un ostacolo al progresso
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11
Sviluppare e guidare team di lavoro efficaci
263
del lavoro. Nel caso di team interculturali, divenuti una situazione comune nell’attuale
economia globale, il team building è più importante che mai.57
Un sondaggio della Wilson Learning Corporation, condotto su scala nazionale su
membri di team provenienti da molte organizzazioni, fornisce un utile modello o punto
di riferimento su ciò che ci si aspetterebbe dai team. La domanda posta dai ricercatori
era semplice: “Che cosa si intende per team ad alta performance?”58 Agli intervistati
è stato chiesto di descrivere le loro esperienze più importanti avute nei team di lavoro.
L’analisi dei risultati ottenuti ha delineato, per i team ad alta performance, le seguenti
otto caratteristiche:
1. Leadership partecipativa. Creare un’interdipendenza attraverso l’empowerment, la
concessione di libertà e il servizio nei confronti degli altri.
2. Responsabilità condivisa. Creare un ambiente nel quale tutti i membri del team, in
merito alla performance dell’unità operativa, si sentono responsabili tanto quanto i
manager.
3. Allineamento al proposito. Avere un senso di proposito comune sul motivo per cui
i team esistono e sulla funzione che ricoprono.
4. Alta comunicazione. Creare un clima di fiducia e di aperta e onesta comunicazione.
5. Focalizzazione sul futuro. Vedere nel cambiamento un’opportunità di crescita.
6. Focalizzazione sul compito. Tenere riunioni focalizzate sui risultati.
7. Talenti creativi. Applicare i talenti e le creatività individuali.
8. Risposta rapida. Identificare e agire in base alle opportunità.59
Le otto caratteristiche sopra riportate, in effetti, racchiudono molte delle attuali idee
più avanzate sul management, tra le quali la partecipazione, l’empowerment, l’etica di
servizio, lo sviluppo e la responsabilità individuali, l’auto-gestione, la fiducia, l’ascolto
attivo e la creazione di una visione comune. Occorrono, comunque, pazienza e disciplina;
stando a quanto afferma un manager competente di team di lavoro, “per la formazione
di team ad alta performance possono essere necessari dai tre ai cinque anni”.60
Valutare l’efficacia del team building I manager devono essere in grado di valutare
l’efficacia delle attività di team building organizzate. Il modello di valutazione più impiegato tra i formatori aziendali è stato sviluppato nel 1959 da Donald L Kirkpatrick,
docente presso la University of Wisconsin. Il suo modello di valutazione a quattro livelli,
dal più superficiale al più completo, comprende:
1. Reazione: che cosa pensano dell’attività i partecipanti?
2. Apprendimento: l’esperienza ha contribuito ad accrescere le conoscenze e migliorare
le capacità?
3. Comportamento: il comportamento sul lavoro dei partecipanti è migliorato a seguito
dell’attività?
4. Risultati: i partecipanti hanno successivamente ottenuto risultati migliori misurabili?61
Purtroppo troppo spesso i manager si accontentano di condurre un rapido sondaggio tra
i partecipanti (con domande del tipo: L’attività è stata piacevole? Ne è valsa la pena?).
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Parte III
264
I gruppi e i processi sociali
Una valutazione adeguata richiede invece un approccio più completo. Tony Hsieh, CEO
del rivenditore online Zappos, ha intrapreso la giusta direzione decidendo di interrogare
i manager responsabili del team building:
[Hsieh] rivolge precise domande ai manager che portano i team a cena fuori oppure a fare
una camminata in montagna e invariabilmente sente parlare di comunicazione, maggiore
fiducia e amicizie. “Allora domando, ‘Secondo te, di quanto è aumentata l’efficienza del
team?’” riferisce Hsieh. “La misura varia dal 20 al 100%.”62
La leadership dei team
L’esperienza pratica e un crescente corpus di ricerche dimostrano che guidare un team
non è esattamente come guidare singoli individui.63 Occorre una leadership versatile.
La differenza è simile a quella esistente tra guidare un esercizio di gruppo in un’aula
piena ed esaminare un problema con un singolo studente dopo una lezione, due situazioni che si caratterizzano per dinamiche relazionali molto diverse. Come anticipazione
alla trattazione completa della leadership nel Capitolo 16, in questa sezione conclusiva
concentriamo l’attenzione sulla capacità di guidare singoli individui e team. Linda A
Hill, docente presso la Harvard Business School, ha inquadrato come segue la sfida
che si pone ai nuovi manager:
Il nuovo manager deve comprendere come gestire il potere di un team. Limitarsi a
concentrare l’attenzione sulle relazioni uno a uno con i membri può minare questo
processo.
[…] Molti manager non riconoscono, né tantomeno affrontano, le loro responsabilità
nel team building, concependo il loro ruolo di gestione delle persone come la costruzione di rapporti quanto più efficaci possibile con i singoli e assimilando erroneamente la
gestione del team alla gestione degli individui che ne fanno parte.
Si concentrano principalmente sulle performance individuali, dedicando ben poca
attenzione alla cultura e alle prestazione del team. Non si servono quasi mai di riunioni
di gruppo per identificare e risolvere i problemi. Passano troppo tempo con un gruppo
limitato di subordinati che considerano affidabili, spesso coloro che si mostrano più
disponibili. I nuovi manager tendono a gestire tutte le questioni, anche quelle che si
ripercuotono sull’intero team, su base uno a uno. Questo approccio li induce a prendere
decisioni basandosi su informazioni limitate.64
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Processi decisionali individuali
e di gruppo
12
Perché i vertici di Google hanno adottato il processo decisionale di gruppo?
Ogni lunedì pomeriggio un gruppo di dirigenti della
Google si riunisce nella sala del consiglio di amministrazione:
“L’iniziativa della riunione settimanale, denominata Execute, è stata lanciata l’estate scorsa con uno scopo preciso:
riunire nella stessa stanza i leader dei variegati gruppi di
prodotto della Google, dotati di poteri quasi illimitati, e
armonizzare i loro disparati progetti.” Sono i cofondatori
della società Sergey Brin e Larry Page, che di recente
ha assunto il ruolo di CEO, e l’ex CEO Eric Schmidt a
guidare gli incontri, cui partecipano Andy Rubin, vicepresidente di Android, Salar Kamangar, vicepresidente
di YouTube, e Vic Gundotra, vicepresidente dell’unità
ingegneristica per i social network. Come lo stesso Page
ha riferito a un giornalista di Bloomberg Businessweek,
l’obiettivo dell’iniziativa è “riunire i leader di prodotto
e discutere di tutti i punti di integrazione [ ] Ogni volta
che l’azienda cresce, dobbiamo assicurarci che tutte le
attività procedano in modo tale da consentirci di mantenere rapidità, ritmo e passione.”
Nel corso degli anni, il processo decisionale del gigante di Mountain View ha dato vita a una grande varietà
di prodotti innovativi, come Gmail e Android, per non
parlare del celeberrimo motore di ricerca. In tempi più
CompOrga.indb 265
recente l’azienda ha incassato qualche fallimento, come
Google Buzz, una sorta di clone di Twitter, e Google
Wave, un servizio di collaborazione online.
“Page non attribuisce esplicitamente la responsabilità di questi passi falsi alla gestione poco coesa né
alla famosa troika al vertice dell’azienda, ma ammette:
‘Paghiamo un prezzo [per il processo decisionale condiviso] in termini di rapidità e difficoltà a individuare i
responsabili dei progetti’.”
Page è convinto di poter contribuire ad accrescere la
rapidità delle operazioni in qualità di CEO. Osservatori
esterni e non hanno notato che Larry Page si discosta
dal profilo tradizionale del CEO; è un introverso, non
ama parlare in pubblico né tenere sotto stretto controllo le attività giornaliere. Questo è uno dei motivi per
i quali l’azienda ha lanciato l’iniziativa delle riunioni
settimanali: i partecipanti diventeranno portavoce
dell’organizzazione in tutto il mondo. “Page dichiara
che uno dei suoi obiettivi è diffondere in tutta l’azienda lo stile di leadership risoluto dimostrato da questi
leader nei rispettivi gruppi di prodotto e applicarlo alle
decisioni importanti.”
Page mira ad accrescere la rapidità del processo
decisionale e delle innovazioni e ritiene che le riunioni
Executive settimanali siano uno degli strumenti principali per raggiungere l’obiettivo.1
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Parte III
266
I gruppi e i processi sociali
Sarà il tempo a dire se l’approccio della Google al processo decisionale determinerà
buoni risultati nel lungo periodo. Ogni giorno tutti noi prendiamo molte decisioni,
dalle più banali alle più importanti, che influenzano in misura significativa le nostre
vite e possono rivelarsi talvolta giuste, talvolta sbagliate. Nel contesto organizzativo, il
processo decisionale è una delle responsabilità primarie dei manager e la qualità delle
decisioni può determinare conseguenze importanti.
Scopo di questo capitolo è aiutarvi a comprendere a fondo le dinamiche del processo
decisionale per migliorare la qualità delle decisioni che prendete individualmente e in
gruppo. Il capitolo si concentrerà (1) sui modelli decisionali, (2) sui bias decisionali,
(3) sul processo decisionale basato sull’evidenza, (4) sulle dinamiche del processo
decisionale, (5) sul processo decisionale di gruppo e (6) sulla creatività.
Modelli decisionali
Processo decisionale: identificazione e scelta tra soluzioni
che portano al risultato finale
desiderato
Il processo decisionale comporta l’individuazione e la scelta tra soluzioni alternative
per giungere a una situazione auspicata. Al momento di prendere una decisione, si
possono scegliere due approcci generali, privilegiando un modello razionale oppure
svariati modelli non razionali. Passiamo a esaminare le dinamiche di ciascuno di essi
iniziando con il modello razionale del processo decisionale.
Il modello razionale
Modello razionale: approccio
logico del processo decisionale
articolato in quattro fasi
In fase decisionale, il modello razionale propone al manager una sequenza razionale
articolata in quattro fasi (vedi la figura 12-1). Secondo questo modello, i manager sono
completamente oggettivi e dispongono di tutte le informazioni necessarie per prendere
una decisione. A dispetto delle critiche che lo considerano non realizzabile, il modello
razionale è istruttivo perché suddivide in modo analitico il processo decisionale fornendo una solida base concettuale ai modelli più innovativi.2 Prendiamo ora in esame
ciascuno dei singoli punti.
Problema: divario tra una situazione reale e una auspicata
Fase 1: identificare il problema o l’opportunità e confrontare la situazione effettiva
con quella desiderata Si parla di problema quando la situazione effettiva in cui ci si
Fase 1
Fase 2
Fase 3
Fase 4
Identificare
il problema
o l’opportunità
Generare
soluzioni alternative
Vagliare le alternative
e scegliere
una soluzione
Implementare
la soluzione scelta
e valutarla
Figura 12-1 Le quattro fasi del processo decisionale razionale
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12
Processi decisionali individuali e di gruppo
Opportunità: situazione nella
quale si potrebbero raggiungere risultati superiori alle
aspettative
267
trova e quella desiderata non coincidono. I manager non sono mai a corto di problemi:
reclami dei clienti, turnover dei collaboratori, nuovi prodotti della concorrenza, difficoltà
nella produzione e così via.
I manager devono prendere decisioni anche relativamente alle opportunità che si
presentano. Un’opportunità è una situazione nella quale si possono intraprendere azioni
che potrebbero determinare risultati superiori agli obiettivi e alle aspettative.
Che ci si trovi di fronte a un problema oppure a un’opportunità, l’obiettivo resta il
medesimo: apportare dei miglioramenti per modificare la situazione dallo stato effettivo
a quello auspicato. A questo scopo, occorre diagnosticare le cause del problema.
Fase 2: generare una molteplicità di soluzioni, dalle più scontate alle più creative Dopo aver individuato un problema e le sue cause, il passo logico successivo consiste nel trovare soluzioni alternative. Analizzeremo successivamente diverse tecniche
di problem solving di gruppo che possono risultare utili durante questa fase. Uno studio
condotto su 400 decisioni strategiche ha evidenziato che i principali ostacoli incontrati
dai manager durante questa fase sono tre: (1) giudizi affrettati, (2) scelta di idee o soluzioni immediatamente disponibili e (3) allocazione inefficace delle risorse destinate
a studiare soluzioni alternative. Si consiglia di affrontare il processo decisionale con
calma, valutando un insieme ampio di alternative e investendo tempo nello studio di
un ventaglio più esteso di possibili soluzioni.3
Fase 3: vagliare le alternative e scegliere una soluzione etica, fattibile ed efficace In
questa fase bisogna vagliare le alternative tenendo conto di molteplici criteri. Oltre a
esaminare i costi e la qualità, bisogna porsi anche altre domande: (1) La decisione è
etica? (Se non lo è, meglio scartarla subito.) (2) La decisione è fattibile? (Si tratta di
capire se vi è il tempo necessario, se i costi sono accessibili, se si dispone delle risorse
tecnologiche richieste e così via.) (3) La decisione eliminerà il problema risolvendone
le cause?
Fase 4: implementare e valutare la soluzione scelta Una volta scelta la soluzione,
bisogna metterla in pratica. Una volta messa in pratica la soluzione, la fase di valutazione serve a fornire una stima della sua efficacia. Se la soluzione è efficace dovrebbe
ridurre la differenza tra la situazione effettiva, causa del problema, e quella desiderata.
Se il divario non scompare significa che l’implementazione non ha avuto successo, per
cui è possibile individuare una delle due seguenti cause: o il problema non era stato
identificato correttamente, oppure la soluzione non era appropriata. Nel caso in cui sia
stata l’implementazione a non aver avuto successo, il manager può tornare al primo
stadio del processo, ovvero all’identificazione del problema. Se invece è il problema a
non essere stato individuato correttamente, il manager potrebbe considerare di attuare
una delle soluzioni precedentemente individuate ma non sperimentate. Questo processo
può andare avanti fino a quando tutte le soluzioni possibili sono state attuate o fino a
quando il problema non cambia.
Sintesi del modello razionale Il modello razionale è prescrittivo perché delinea il
processo logico che i manager dovrebbero seguire nel prendere decisioni e, in quanto tale,
si basa sul presupposto che il manager, nella fase decisionale, tenda all’ottimizzazione.
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268
Ottimizzazione: scelta della
migliore soluzione possibile
Parte III
I gruppi e i processi sociali
L’ottimizzazione comporta la risoluzione dei problemi tramite la scelta della migliore
delle soluzioni possibili e si basa su un insieme di presupposti altamente auspicabili,
cioè: disporre di informazioni complete, non lasciarsi influenzare da fattori emotivi durante il processo decisionale, valutare con attenzione e onestà tutte le alternative, avere
a disposizione tempo e risorse abbondanti, essere circondati da collaboratori disposti a
implementare e sostenere le decisioni. L’esperienza pratica, naturalmente, ci suggerisce
che tali presupposti sono irrealistici. Come è stato osservato da Herbert Simon, studioso
che nel 1978 ha ricevuto il Premio Nobel per l’Economia proprio per il suo lavoro sui
processi decisionali, “i presupposti della razionalità assoluta sono contrari alla realtà.
Non è solo una questione di approssimazione, ma non descrivono neanche lontanamente
i processi che gli esseri umani mettono in atto per prendere decisioni nell’ambito di
situazioni complesse”.4
Premesso questo, cercare di seguire un processo razionale nel modo più realistico
possibile determina tre benefici:
• È possibile migliorare la qualità delle decisioni, nel senso che rappresenteranno la
soluzione più logica alla luce di tutte le conoscenze e competenze a disposizione.
• Il ragionamento alla base delle decisioni risulta trasparente e sottoponibile ad analisi.
• Se reso pubblico, il modello razionale scoraggia il decisore dall’agire sulla base di
motivazioni non limpide (per esempio con l’obiettivo di ottenere tornaconti personali
oppure di evitare impacci burocratici).5
I modelli decisionali non razionali
Modelli non razionali: cercano di descrivere ciò che di
fatto avviene nei processi decisionali
Razionalità limitata: limitazioni che vincolano il processo
di decisione razionale
CompOrga.indb 268
Contrariamente al modello razionale, incentrato su come sarebbe opportuno affrontare
il processo decisionale, i modelli non razionali rappresentano un tentativo di descrivere ciò che di fatto avviene e si basano sui seguenti presupposti: il processo decisionale
è caratterizzato dall’incertezza, i decisori non dispongono di informazioni complete
ed è difficile prendere decisioni ottimali. Due modelli decisionali non razionali sono
il modello normativo di Herbert Simon e il modello garbage can (letteralmente “del
contenitore dei rifiuti”).
Il modello normativo di Simon Herbert Simon ha proposto questo modello per
tentare di identificare il processo che i manager effettivamente adottano quando
prendono delle decisioni e si basa sulla razionalità limitata del decisore. La razionalità limitata si riferisce al fatto che coloro che prendono le decisioni sono “limitati” o ostacolati da una serie di vincoli. Tali restrizioni comprendono qualunque
caratteristica personale o risorsa interna ed esterna che limiti il processo decisionale
razionale. Alcuni esempi di caratteristiche personali sono la limitata capacità della
mente umana, la personalità (dai risultati di una meta-analisi, che riassume 150 studi,
è emerso che negli uomini è presente una maggiore propensione al rischio rispetto a
quella riscontrata nelle donne)6 e i vincoli temporali. Esempi di risorse interne sono
il capitale umano e sociale dell’organizzazione, le risorse finanziarie, la tecnologia,
gli impianti di produzione e i macchinari, nonché i processi e i sistemi interni. Le
risorse esterne comprendono fattori che l’organizzazione non può controllare diret-
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12
Processi decisionali individuali e di gruppo
Satisficing: optare per una
soluzione che rispetti uno standard minimo di soddisfazione
tamente, come i livelli di occupazione nella comunità, la disponibilità di capitali e i
vincoli legislativi.7
Le limitazioni imposte dalla realtà diminuiscono il numero di informazioni in
possesso dei decisori, portando a un processo decisorio non ottimale, ma comunque
soddisfacente. Il processo di satisficing (adozione di un’alternativa soddisfacente)
consiste nell’optare per la prima soluzione che incontra i criteri minimi stabiliti come
accettabili dal decisore. Questa opzione risolve i problemi producendo soluzioni che
siano soddisfacenti invece che ottimizzanti. Un buon esempio in tal senso è dato dalla
scelta della stazione radiofonica da ascoltare in macchina: non si può ottimizzare la
scelta perché è impossibile ascoltare tutte le stazioni contemporaneamente; si smette
pertanto di cercare una volta trovata una stazione che trasmetta della musica passabile.
Un recente sondaggio condotto negli Stati Uniti dal Business Performance Management Forum conferma la diffusione del satisficing nella pratica: solo il 26% degli
intervistati ha riferito che la propria azienda dispone di processi decisionali formalizzati
e chiari, segnalando che tra le cause più frequenti dell’inefficacia del processo decisionale figurano:
•
•
•
•
Modello garbage can: il
processo decisionale organizzativo è descritto come accidentale
CompOrga.indb 269
269
processi e pratiche mal definiti;
scarsa chiarezza della visione, della missione e degli obiettivi dell’azienda;
riluttanza dei leader ad assumersi responsabilità;
carenza di informazioni affidabili e tempestive.8
Il modello garbage can Come il modello normativo di Simon, questo approccio è
nato dall’inefficacia del modello razionale nel descrivere come si svolge in realtà il
processo decisionale. Si basa sull’idea che il processo decisionale organizzativo sia
sciatto e accidentale, in netto contrasto con l’ipotesi di fondo del modello razionale,
secondo la quale i decisori seguono una serie sequenziale di fasi che inizia con un
problema e termina con una soluzione. Secondo il modello garbage can, le decisioni
sono il risultato di un’interazione complessa tra quattro flussi indipendenti di eventi:
problemi, soluzioni, attori del processo e opportunità di scelta.9 Le interazioni sono
casuali, da qui la denominazione: la decisione è un “contenitore dei rifiuti” in cui tutti
gli elementi si dispongono in modo fortuito. Proprio come il mescolarsi casuale dei
rifiuti, questo modello ipotizza che il processo decisionale non segua una serie ordinata
di fasi; al contrario, soluzioni allettanti possono essere abbinate a qualsiasi problema
insorga in un determinato momento. Analogamente, alcuni individui ricevono certi
incarichi semplicemente perché sono meno oberati di lavoro.
Il modello del contenitore dei rifiuti presenta quattro implicazioni pratiche. In primo
luogo, è un modello più evidente in settori basati sulle innovazioni scientifiche, come
per esempio l’industria farmaceutica;10 i manager che operano in questi settori devono
avere una maggiore consapevolezza del potenziale del processo decisionale casuale. In
secondo luogo, numerose decisioni vengono prese per sbaglio oppure perché si presenta
un’opportunità significativa; per esempio, i manager della Campbell Soup Company
dovevano trovare il modo per ottenere maggiore visibilità nei supermercati e hanno
deciso di creare un nuovo sistema di scaffalatura che faceva scorrere automaticamente i
barattoli di minestra quando ne veniva estratto uno. La decisione si è rivelata un successo:
i consumi sono aumentati, accrescendo i profitti dell’azienda e dei supermercati, che
11/01/2013 16.35.24
Parte III
270
I gruppi e i processi sociali
hanno potuto così ridurre anche i costi di ricostituzione delle scorte.11 Terza implicazione, spesso i partecipanti prendono decisioni influenzati da fattori politici; è dunque
importante considerare le conseguenze politiche delle decisioni (la politica all’interno
delle organizzazioni è esaminata nel Capitolo 15). Infine, esistono maggiori probabilità
che si risolvano i problemi importanti rispetto a quello secondari, perché hanno una
maggiore rilevanza per i partecipanti.12
Integrare il modello razionale e i modelli non razionali
Basandosi sull’idea che le decisioni sono plasmate dalle caratteristiche dei problemi e
dei decisori, i consulenti David Snowden e Mary Boone hanno proposto un approccio
meno casuale del modello del contenitore dei rifiuti, che tuttavia tiene conto delle sfide
poste alle organizzazioni odierne. Essenzialmente i due consulenti integrano il modello
razionale ai modelli non razionali identificando quattro tipi di contesti decisionali e un
metodo efficace per prendere una decisione in ciascuno di essi.13
1. In un contesto semplice e stabile i rapporti causa-effetto sono chiaramente identificabili ed è possibile concordare la scelta migliore. Tale contesto richiede l’applicazione del modello razionale, secondo il quale il decisore raccoglie informazioni, le
classifica e risponde in modo convenzionale.
2. In un contesto complicato, esiste un chiaro rapporto causa-effetto, che tuttavia potrebbe non essere evidente per tutti, e le soluzioni efficaci potrebbero risultare più
di una. Anche in questo caso si può applicare il modello razionale, indagando quali
siano le opzioni e analizzandole.
3. In un contesto complesso, la risposta giusta è solo una, ma le incognite sono così
numerose che i decisori non riescono a identificare i rapporti causa-effetto. È dunque
consigliabile sperimentare, testare opzioni diverse e considerare i possibili scenari
ricercando nel contempo una soluzione creativa.
4. In un contesto caotico, i rapporti causa-effetto mutano così rapidamente da impedire
l’individuazione di un modello. I decisori sono chiamati a mettere ordine e poi a
ricercare aree nelle quali è possibile identificare dei modelli, in modo da gestire gli
aspetti di un problema. In una situazione di questo genere, può essere utile ricorrere all’intuito e al processo decisionale basato sull’evidenza, che esamineremo nel
prosieguo del capitolo.14
I bias decisionali
Euristiche: regole empiriche o
scorciatoie utilizzate per ridurre le esigenze di elaborazione
dell’informazione
CompOrga.indb 270
Durante il processo decisionale gli individui possono commettere una molteplicità
di errori sistematici, generalmente associati a una serie di bias che possono emergere
quando si ricorre alle euristiche. Le euristiche consistono in una serie di regole pratiche
o accorgimenti utilizzati per ridurre la necessità di elaborazione delle informazioni.15
Si utilizzano in modo automatico, senza esserne realmente consapevoli, al fine di
ridurre l’incertezza insita nel processo decisionale. Tali accorgimenti sono frutto di
una conoscenza acquisita in seguito a passate esperienze; aiutano, pertanto, i decisori
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12
Processi decisionali individuali e di gruppo
271
a valutare i problemi che si presentano. Le euristiche possono, tuttavia, anche causare
errori sistematici che vanno a intaccare la qualità delle decisioni, in particolare quando
esistono vincoli legati al tempo, come accade ai medici responsabili dell’assistenza
sanitaria primaria. Per esempio, uno studio recente sui casi di terapie sbagliate ha dimostrato che nel 40% dei casi il problema era causato da errori diagnostici, derivanti
in parte dalle euristiche.
Il ricorso alle euristiche presenta aspetti positivi e negativi. In questa sezione esamineremo otto bias che influenzano il processo decisionale: (1) l’euristica della disponibilità,
(2) l’euristica della rappresentatività, (3) il bias di conferma, (4) il bias di ancoraggio,
(5) l’overconfidence bias (ovvero una distorsione causata dall’eccesso di fiducia), (6)
il bias retrospettivo, (7) il framing bias e (8) l’escalation of commitment bias (o errore
legato all’intensificazione dell’impegno). Conoscere questi bias può aiutare a evitarli.
1. Euristica della disponibilità Descrive la tendenza del decisore a basare le sue
decisioni su una serie di informazioni già presenti nella sua memoria. Tali informazioni
sono più accessibili se si riferiscono a un evento accaduto in un passato recente, se hanno
importanza rilevante (ad esempio un disastro aereo) e quando rievocano forti emozioni
(ad esempio uno studente di liceo che spara contro altri studenti). Questo tipo di euristica porta, con facilità, ad attribuire una probabilità troppo alta al verificarsi di eventi
rari quali un disastro aereo o una sparatoria in un liceo. L’euristica della disponibilità
è in parte anche responsabile del cosiddetto “effetto attualità” di cui si è discusso nel
Capitolo 7: è più probabile, ad esempio, che un manager dia una valutazione positiva
del lavoro del proprio collaboratore, se quest’ultimo ha dimostrato una grande efficienza
nel corso degli ultimi mesi.
2. Euristica della rappresentatività Viene adottata quando si valuta la probabilità
che un evento si verifichi basandosi sulle impressioni legate ad avvenimenti simili.
Un manager, ad esempio, potrebbe assumere il laureato di una particolare università
sulla base del fatto che tre studenti, provenienti dalla medesima università, assunti in
precedenza, non hanno deluso le aspettative dell’azienda. In questo caso, il criterio del
“tipo di università frequentato” viene adottato per semplificare la complessa elaborazione dell’informazione tipica dei colloqui di lavoro. Questo espediente, tuttavia, può
portare a una decisione errata. Allo stesso modo, un individuo può pensare di arrivare
a padroneggiare, in breve tempo, un nuovo pacchetto software basandosi sulla facilità
di apprendimento di un tipo diverso di software. Non è detto che una valutazione del
genere sia precisa; può anche darsi, infatti, che sia necessario più tempo per imparare a
padroneggiare il nuovo software perché questo richiede l’apprendimento di un nuovo
linguaggio di programmazione.
3. Bias di conferma Si articola in due componenti: la prima è decidere inconsciamente di fare qualcosa prima di accertarsi che la decisione sia quella giusta, per esempio
acquistare un tipo particolare di palmare. Questo determina direttamente la seconda
componente, cioè la ricerca di informazioni a conferma della decisione presa ignorando
le informazioni contrarie.
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272
Parte III
I gruppi e i processi sociali
4. Bias di ancoraggio Come rispondereste alle due domande seguenti: (1) La popolazione dell’Iraq è maggiore di 40 milioni di abitanti? (2) Secondo voi, qual è la popolazione dell’Iraq? La vostra risposta alla seconda domanda è stata influenza dal numero
citato nella prima? In questo caso, siete stati influenzati dal bias di ancoraggio, che si
verifica quando i decisori sono influenzati dalle prime informazioni ricevute, anche
se sono irrilevanti. Questa distorsione emerge perché informazioni, impressioni, dati,
feedback e stereotipi delle fasi iniziali influenzano valutazioni e decisioni successive.
5. Overconfidence bias È legato alla tendenza a essere eccessivamente ottimisti
nelle proprie stime e previsioni, ed è particolarmente forte quando si deve rispondere a domande di difficoltà da moderata a elevata, anziché a domande semplici.
Immaginate i problemi che questo bias può causare a un manager vendite chiamato
a elaborare previsioni sulle vendite per l’anno successivo. La ricerca dimostra che
l’eccesso di ottimismo influenza in misura significativa la decisione degli imprenditori di avviare e perseguire nuove attività.16
6. Bias retrospettivo Immaginate di trovarvi nella seguente situazione: state seguendo
un corso di comportamento organizzativo con lezione il martedì e il giovedì e il docente
è solito proporre test senza preavviso ogni settimana. È lunedì sera e dovete decidere
se studiare per un possibile test oppure guardare la televisione; due compagni di corso
hanno deciso di non studiare, convinti che il giorno successivo non ci sarà il test. Il giorno
successivo, durante la lezione il professore propone un test di valutazione e voi reagite
dicendo ai vostri amici: “Lo sapevo! Perché vi ho dato ascolto?” Il bias retrospettivo si
verifica quando la conoscenza di un risultato influenza le convinzioni sulla capacità di
prevedere quel risultato. Solitamente siamo soggetti a questa distorsione quando riesaminiamo le decisioni e tentiamo di ricostruire il processo che ci ha portato a prenderle.
7. Framing bias Questo bias è legato al modo in cui sono poste le domande. Consideriamo la seguente situazione: gli Stati Uniti si preparano ad affrontare un’epidemia
di una rara malattia asiatica che secondo le previsioni causerà 600 decessi. Sono stati
messi a punto due programmi alternativi per contrastare l’epidemia. Ipotizziamo che le
stime scientifiche esatte dei risultati dei due programmi siano le seguenti:
Programma A: l’adozione del programma A consente di salvare 200 persone.
Programma B: se viene adottato il programma B, c’è una probabilità pari a un terzo
di salvare 600 persone e una probabilità pari a due terzi di non salvare nessuno.
Quale dei due programmi scegliereste?17 Le ricerche dimostrano che gran parte delle
persone sceglie il programma A, anche se in realtà determina lo stesso risultato del
programma B. Questo è dovuto al framing bias, cioè la tendenza a considerare i rischi
relativi ai guadagni (nel nostro esempio, salvare vite umane) diversamente dai rischi
relativi alle perdite. Per evitare di cadere in questa distorsione, è consigliabile cercare
una formulazione alternativa delle domande.
8. Escalation of commitment bias Il concetto di intensificazione dell’impegno (escalation of commitment) si riferisce alla tendenza a perseverare in decisioni inefficaci
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Processi decisionali individuali e di gruppo
273
anche quando è improbabile che la situazione negativa che si è venuta a creare possa
essere ribaltata. Esempi nella vita privata riguardano i casi in cui si spende altro denaro
in un’auto già vecchia o fuori uso oppure si tenta di salvare un rapporto interpersonale
distruttivo che dura da dieci anni. I ricercatori suggeriscono diversi modi per ridurre
gli effetti dell’escalation of commitment:
• Stabilire degli obiettivi minimi di performance e fare in modo che i decisori paragonino il loro risultato con questi obiettivi.
• Durante lo svolgimento di un progetto, far ruotare regolarmente i manager che
detengono posizioni chiave.
• Incoraggiare i decisori a diminuire il loro coinvolgimento psicologico nel progetto.
• Mettere al corrente i decisori relativamente ai costi necessari per il proseguimento
di un progetto.18
Il processo decisionale basato sull’evidenza
Processo decisionale basato
sull’evidenza: uso scrupoloso
dei dati e delle evidenze migliori a disposizione durante il
processo decisionale
L’interesse verso il concetto di processo decisionale basato sull’evidenza nasce da due
fattori: il primo è l’obiettivo di evitare i bias decisionali esaminati nella sezione precedente, il secondo è la ricerca condotta sulla medicina basata sull’evidenza. Il dottor
David Sackett definisce la medicina basata sull’evidenza come “l’uso coscienzioso,
esplicito e giudizioso delle migliori evidenze disponibili nel processo decisionale riguardante le cure da somministrare ai singoli pazienti”. Ricercatori e medici studiano la
medicina basata sull’evidenza perché, secondo i risultati delle ricerche, solo il 15% delle
decisioni dei medici si basano sulle evidenze e questo approccio potrebbe contribuire a
determinare l’uso più efficiente delle risorse sanitarie.19 Gli studiosi di comportamento
organizzativo hanno adottato questo modello per applicarlo al contesto del processo
decisionale manageriale.
Molto semplicemente, il processo decisionale basato sull’evidenza (evidence-based
decision making, EBDM) consiste nell’uso scrupoloso dei dati e delle evidenze migliori
a disposizione durante il processo decisionale manageriale. Analizzeremo questo nuovo
approccio alla fase decisionale presentando un modello ed esaminando un insieme di
principi per l’implementazione che possono aiutare le organizzazioni ad applicarlo.
Concluderemo analizzando i motivi per i quali può essere difficile seguire il processo
decisionale basato sull’evidenza. Lo studio di questi concetti può contribuire a ridurre
la vulnerabilità ai bias decisionali.
Un modello di processo decisionale basato sull’evidenza
La figura 12-2 illustra un modello del processo decisionale basato sull’evidenza articolato
in cinque fasi.20 Come potete notare, la fase iniziale del processo consiste nella raccolta di
dati ed evidenze interni ed esterni sul problema da affrontare; tali informazioni vengono
successivamente integrate ai punti di vista degli stakeholder (ad esempio collaboratori,
azionisti e clienti) e a considerazione etiche. Tutto considerato, il processo illustrato in
figura 12-2 aiuta i manager a valutare i fatti con obiettività ed evitare l’influenza dei
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274
Parte III
I gruppi e i processi sociali
Fase 1
Fase 2
Fase 3
Fase 4
Fase 5
Identificare
il problema
o l’opportunità
Raccogliere evidenze
e dati interni circa
il problema
da affrontare,
valutandone
la rilevanza
e la validità
Raccogliere evidenze
esterne circa
il problema
dalle ricerche
pubblicate
Raccogliere i punti
di vista
degli stakeholder
interessati
dalla decisione
e considerare
le implicazioni etiche
Integrare tutti
i dati, valutarli
criticamente
e prendere
una decisione
Figura 12-2 Modello del processo decisionale basato sull’evidenza
Fonte: tratto da R.B. Briner, D. Denyer e D.M. Rousseau, “Evidence-Based Management: Concept Cleanup Time?” Academy of Management Perspectives,
novembre 2009, pp. 19-32.
bias individuali nel prendere le decisioni. L’uso di dati rilevanti e affidabili provenienti
da fonti diverse è chiaramente mirato a rendere il contesto decisionale più esplicito,
critico, sistematico e basato sui fatti.
È importante sottolineare che all’interno del processo rappresentato in figura 12-2 le
evidenze vengono utilizzate con tre finalità: per prendere una decisione, per influenzare
una decisione e per sostenerla.21 “L’evidenza viene impiegata per prendere una decisione
quando questa è una conseguenza diretta dell’evidenza.” Per esempio, se desiderate
acquistare una determinata automobile usata (una Toyota Prius) in base al prezzo e al
colore (rosso), ricercherete informazioni online e consulterete gli annunci di vendita
per poi scegliere la Prius rossa con il costo più basso. “L’evidenza viene impiegata per
influenzare una decisione quando il processo decisionale associa dati obiettivi e input
qualitativi come l’intuito e la negoziazione con gli stakeholder.” Per esempio, nei casi
di assunzione di neolaureati, i dati obiettivi tratti dalle esperienze dei candidati, dalla
formazione e dall’appartenenza ad associazioni studentesche rappresenterebbero input
rilevanti ai fini del processo decisionale. A questi si associano le impressioni soggettive riportate durante i colloqui e la consultazione delle referenze. Entrambi questi usi
dell’evidenza sono chiaramente positivi e vanno incoraggiati. Lo stesso non si può dire
dell’uso dell’evidenza per sostenere una decisione.
“L’evidenza viene impiegata per sostenere una decisione ogniqualvolta viene raccolta o modificata al solo fine di legittimare una decisione già presa.” Quest’ultima
applicazione dell’evidenza determina effetti positivi e negativi. Per quanto riguarda i
primi, le evidenze costruite possono essere utilizzate per convincere soggetti esterni
che l’organizzazione sta perseguendo una linea d’azione sana in risposta a un contesto
decisionale complesso e ambiguo, creando un clima di fiducia e una predisposizione
positiva sulle reazioni organizzative agli eventi esterni. Per quanto concerne gli effetti
negativi, questa pratica può ostacolare l’offerta di input e il coinvolgimento dei collaboratori, inducendoli a credere che il management ha intenzione di ignorare l’evidenza
e agire a propria discrezione. Le lezioni da ricordare in merito all’uso dell’evidenza
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12
Processi decisionali individuali e di gruppo
275
per sostenere una decisione sono due: la prima, questa pratica non va sempre evitata;
la seconda, proprio perché determina effetti positivi e negativi, il management deve
valutarla attentamente nei casi in cui “potrebbe” essere opportuno ignorare le evidenze
contrarie e proseguire lungo il percorso scelto.
Sette principi per l’implementazione
Jeffrey Pfeffer e Robert Sutton, docenti a Stanford, hanno studiato a lungo il management
basato sull’evidenza e propongono sette principi per l’implementazione che possono
aiutare le organizzazioni a integrare il processo decisionale basato sull’evidenza nella
propria cultura.22
Considerare l’organizzazione un prototipo incompiuto Essenzialmente, questo
principio consiste nel favorire una mentalità secondo la quale l’organizzazione è un
prototipo incompiuto che potrebbe essere rotto o da riparare, evitando così la convinzione
arrogante e supponente secondo la quale nulla deve mutare al suo interno.
Bando alle chiacchiere, attenzione ai fatti La DaVita, una società che gestisce 600
centri per la dialisi, usa questo slogan per rafforzare una cultura di sostegno al processo
decisionale basato sull’evidenza. L’organizzazione misura e monitora regolarmente
l’efficacia dei centri per la dialisi e il benessere dei pazienti e premia l’eccellenza.
Guardare se stessi e l’organizzazione con gli occhi di un esterno Numerosi manager sono carichi di ottimismo e hanno una visione distorta del proprio talento e delle
possibilità di raggiungere il successo. Questo li induce a sottovalutare i rischi, cadendo
nell’escalation of commitment bias. “Un amico, un mentore o un consigliere senza
peli sulla lingua possono aiutare a valutare evidenze migliori e agire di conseguenza,”
suggeriscono Pfeffer e Sutton.
Il management basato sull’evidenza non è prerogativa dell’alta dirigenza Le ricerche dimostrano che le organizzazioni migliori sono quelle in cui tutti i collaboratori, e
non solo i top manager, applicano il processo decisionale basato sull’evidenza.23 Pfeffer
e Sutton incoraggiano i manager a “trattare i dipendenti come se una componente importante del loro lavoro fosse inventare, trovare, testare e implementare le idee migliori.”
Ciò implica che i dipendenti devono ricevere la formazione e le risorse necessarie per
applicare il processo decisionale basato sull’evidenza.
Bisogna sapersi vendere “Purtroppo idee nuove ed entusiasmanti catturano l’attenzione anche quando sono peggiori rispetto alle vecchie” affermano Pfeffer e Sutton. “Belle
storie e casi di studio interessanti vendono meglio rispetto a dati dettagliati, rigorosi e
francamente noiosi, a prescindere da quanto siano errate le storie e quanto siano esatti
i dati.” Questo significa che per ‘vendere’ il processo decisionale basato sull’evidenza
bisogna saper fare ricorso anche a storie e casi accattivanti.
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Parte III
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I gruppi e i processi sociali
Fermarsi è meglio che andare avanti facendo le cose sbagliate Poiché può accadere
che i collaboratori vengano spinti a mettere in atto azioni che sanno essere inefficaci,
potrebbero trovarsi nelle condizioni di adottare quello che Pfeffer e Sutton definiscono
“comportamento ostruzionistico basato sull’evidenza”, per esempio ignorare le richieste
ricevute e ritardare l’azione. Occorre molta cautela nell’applicazione di questo principio.
La migliore domanda diagnostica: che cosa accade quando si sbaglia? “L’insuccesso ferisce, è imbarazzante e tutti ne faremmo volentieri a meno” affermano i due
professori. “Eppure senza l’errore non si apprende [...] Se si esamina la gestione dei
sistemi più efficaci al mondo, si nota che quando qualcosa non va, gli individui affrontano la realtà, comprendono che cosa non ha funzionato e perché e se ne servono per
migliorare il sistema.”
Perché è difficile adottare il processo decisionale
basato sull’evidenza?
Nonostante la valenza del processo decisionale basato sull’evidenza sia lampante, può
risultare difficile avvalersi delle evidenze migliori in fase decisionale per sette ordini di
ragioni: (1) le evidenze sono troppe; (2) le evidenze di buona qualità sono insufficienti;
(3) le evidenze non sono pertinenti; (4) altri soggetti tentano di portare fuori strada il
decisore; (5) il decisore inganna se stesso; (6) gli effetti collaterali hanno maggior peso
del rimedio e (7) le fandonie alla fine sono sempre più convincenti.24
Dinamiche del processo decisionale
Il processo decisionale è un po’ scienza e un po’ arte. Nella presente sezione prenderemo
in esame innanzitutto gli stili decisionali, che riguardano la componente “scientifica”
del processo e sono importanti perché influiscono sul processo decisionale dei singoli.
Analizzeremo anche la componente “artistica” illustrando il ruolo dell’intuizione nel
processo decisionale. La comprensione di tali dinamiche può aiutare i manager a prendere decisioni migliori.
Stili decisionali
Stile decisionale: la combinazione del modo in cui un individuo percepisce le informazioni
e vi risponde
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La presente sezione si concentra sul modo in cui lo stile decisionale del singolo influisce
sul suo processo decisionale. Lo stile decisionale riflette la combinazione del modo in
cui il singolo percepisce e comprende gli stimoli e in cui sceglie di rispondere a tale
informazione.25 Un gruppo di ricercatori ha elaborato un modello di stili decisionali
partendo dal principio che questi varino in base a due diverse dimensioni: l’orientamento
al valore e la tolleranza nei confronti dell’ambiguità.26 L’orientamento al valore mette
in evidenza quanto un individuo nel momento in cui prende una decisione si concentra
sulle questioni tecniche e sul compito piuttosto che sulle questioni personali e sociali.
Alcuni, per esempio, sul lavoro sono molto concentrati sulla mansione da svolgere, non
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12
Processi decisionali individuali e di gruppo
277
prestando particolare attenzione alle questioni personali, mentre altri si comportano in
maniera opposta. La seconda dimensione riguarda la tolleranza della persona verso
l’ambiguità. Tale dimensione indica quanto l’individuo sente una forte necessità di
strutturare e controllare la sua vita. Alcuni sentono il bisogno di avere una vita molto
strutturata (bassa tolleranza per l’ambiguità) e considerano le situazioni ambigue
stressanti e psicologicamente scomode. Altri, al contrario, non sentono un particolare
bisogno di strutturare la loro vita e riescono ad avere successo in situazioni di incertezza
(alta tolleranza per l’ambiguità). Le situazioni ambigue possono addirittura trasmettere
energia a chi ha un alto grado di tolleranza per l’ambiguità. La combinazione delle
due dimensioni dà origine a quattro stili decisionali: direttivo, analitico, concettuale e
comportamentale (figura 12-3).
Direttivo Chi è caratterizzato da uno stile direttivo ha una bassa tolleranza per l’ambiguità e, al momento di prendere una decisione, è maggiormente orientato al compito
e alle questioni tecniche; nell’affrontare la soluzione di un problema è efficiente, logico,
pratico e sistematico. Chi possiede questo stile è orientato all’azione, è deciso e preferisce
concentrarsi sui fatti. Nel perseguire rapidità e risultati, tuttavia, tali individui tendono a
essere autocratici, a esercitare il potere e il controllo e a focalizzarsi sul breve termine.
Aspetto interessante, lo stile direttivo sembra il più adeguato per i controllori del
traffico aereo. Ecco che cosa ha raccontato Paul Rinaldi del suo stile decisionale a un
giornalista della rivista Fortune.
Figura 12-3
Stili nei processi decisionali
Fonte: basato sulla discussione
in A.J. Rowe e R.O. Mason,
Managing with Style: A Guide to
Understanding, Assessing, and
Improving Decision Making
(San Francisco: Jossey-Bass,
1987), pp. 1-17
Tolleranza verso l’ambiguità
Non si tratta tanto di analizzare, quanto di prendere una decisione rapida e sostenerla.
Si deve agire in questo modo con la consapevolezza che alcune decisioni risulteranno
sbagliate e si dovrà fare in modo che siano giuste. Non si può tornare indietro. Occorre
tenere sempre conto della velocità dell’aeromobile, delle sue caratteristiche, della velocità
variometrica e della rapidità con la quale potrà reagire alle istruzioni. Un controllore del
traffico aereo reperisce e analizza queste informazioni in mezzo secondo, augurandosi
che tutto vada per il verso giusto; se non accade, si passa al piano B […] Tra chi svolge
Alta
Analitico
Concettuale
Direttivo
Comportamentale
Bassa
Orientamento
al compito
e agli aspetti tecnici
Orientamento
alle persone
e agli aspetti sociali
Orientamento al valore
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278
Parte III
I gruppi e i processi sociali
la mia professione, sono in pochi ad arrivare alla pensione. È un lavoro usurante. Non
possiamo permetterci di commettere errori.27
Analitico Questo stile è caratterizzato da una tolleranza verso l’ambiguità assai maggiore nonché dalla tendenza all’analisi della situazione estremamente (persino troppo)
approfondita. Chi adotta tale stile preferisce, diversamente da coloro che sono direttivi,
valutare più informazioni e alternative. Gli analitici sono decisori attenti, che impiegano
più tempo, ma che mostrano una buona reazione di fronte a situazioni incerte. Spesso
possono essere autocratici.
Zhang Gaungming è un ottimo esempio di decisore analitico: “Da mesi Zhang
Gaungming è concentratissimo sull’acquisto di un’automobile nuova. Ha trascorso ore
sfogliando riviste cinesi specializzate, visitando siti Internet alla ricerca di informazioni
su svariati modelli e recandosi in decine di concessionari in tutta Pechino. Ha infine
deciso di acquistare una berlina Volkswagen Bora o Hyundai Sonata ma, dato che la
concorrenza feroce sta costringendo i concessionari a ridurre notevolmente i prezzi,
non sa ancora se acquistare subito o aspettare.”28
Concettuale Gli individui caratterizzati da questo stile possiedono un alto grado di
tolleranza verso l’ambiguità e tendono a concentrarsi sugli aspetti personali e sociali
di una situazione lavorativa. Pongono la risoluzione del problema in una prospettiva
più ampia, e preferiscono valutare molte opzioni e possibilità future. I concettuali sono
lungimiranti e, per ottenere maggiori informazioni, si affidano all’intuizione e ai confronti verbali con altri. Sono disposti a correre rischi e abili a trovare soluzioni creative
ai problemi. Per quanto riguarda gli aspetti negativi, questo tipo di stile può favorire,
nel processo decisionale, un approccio idealistico e poco incisivo. Howard Stringer, il
primo CEO della Sony Corporation nato all’estero, esemplifica le caratteristiche del
decisore concettuale.
Howard Stringer si divide tra stili di management e culture diverse, è questo il suo
dilemma. Afferma di riconoscere il rischio di rimanere indietro rispetto ai rapidi
cambiamenti che attraversano il settore dell’elettronica, ma sostiene che esiste anche
il rischio di muoversi troppo aggressivamente. “Non voglio modificare la cultura della
Sony al punto da renderla irriconoscibile rispetto alla visione del fondatore” dice […]
Stringer, che ha 65 anni e ha mantenuto il team dirigenziale trovato al suo arrivo in
azienda. Cerca di persuadere con gentilezza i manager a collaborare gli uni con gli altri
e li ha invitati a riflettere su nuove strategie di sviluppo dei prodotti.29
Comportamentale Rispetto agli altri, lo stile comportamentale è maggiormente
orientato verso le persone; chi si affida a tale stile ha un buon rapporto di lavoro con
i colleghi e apprezza le interazioni sociali durante le quali avviene un aperto scambio
di opinioni. Il tipo comportamentale è una persona che dà sostegno, accetta suggerimenti, dimostra cordialità e preferisce l’informazione verbale a quella scritta. Pur
non rifiutando di partecipare alle riunioni, le persone caratterizzate da questo stile
tendono a evitare il conflitto e a essere maggiormente orientate verso i bisogni degli
altri. Ciò può portare queste persone ad avere un approccio poco convinto durante il
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12
Processi decisionali individuali e di gruppo
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processo decisionale, a dover affrontare il problema di dire di no ad altri e a trovarsi
in difficoltà al momento di prendere una decisione sgradevole.
Ricerche e implicazioni pratiche La ricerca in questo campo dimostra che sono
davvero pochi gli individui che, nei propri processi decisionali, sono caratterizzati da
un solo stile dominante. Emerge altresì che gli stili decisionali variano a seconda del
lavoro preso in considerazione, della posizione che si occupa e del paese in cui ci si
trova.30 Quattro sono i modi in cui si può utilizzare la teoria sugli stili decisionali: la
conoscenza degli stili vi aiuta, innanzitutto, a capire voi stessi; essere consapevoli del
vostro stile vi sarà utile per individuare, in qualità di decisori, i vostri punti di forza e
di debolezza; sarete inoltre facilitati nella possibilità di un miglioramento personale.
La consapevolezza dell’esistenza di tali stili, in secondo luogo, può accrescere la vostra
capacità di esercitare influenza sugli altri. Se, per esempio, avete a che fare con una persona analitica, dovete essere in grado di fornire, a sostegno delle vostre idee, quante più
informazioni possibili; questo tipo di approccio tenderà a non incontrare invece il favore
di una persona direttiva. In terzo luogo, la conoscenza degli stili vi rende consapevoli
di come i singoli individui, partendo dalle stesse informazioni, approdino a decisioni
diverse usando un gran numero di strategie decisionali. I diversi stili rappresentano,
sul posto di lavoro, una possibile fonte di conflitto interpersonale (tale argomento verrà
diffusamente trattato nel Capitolo 13). Infine, è bene comunque concludere ricordando
che non esiste uno stile decisionale migliore degli altri e valido per tutte le situazioni.
È decisamente vantaggioso adottare un approccio contingente, scegliendo lo stile più
adeguato alla situazione. Per esempio, se il contesto richiede una decisione rapida, lo
stile direttivo potrebbe risultare il migliore; al contrario, un approccio comportamentale
può essere più adeguato quando si prendono decisioni che incidono sul benessere dei
collaboratori. Attualmente non è possibile fornire indicazioni più dettagliate perché non
è stata ancora sviluppata una teoria contingente completa che illustra in quali circostanze
adottare i diversi stili decisionali.
L’intuizione nel processo decisionale
Intuizione: un giudizio che
affiora spontaneamente, senza
un’esplicita consapevolezza
dei suoi fondamenti
Nel suo libro How We Decide (in italiano, Come decidiamo, trad. di Susanna Bourlot,
Codice, Torino, 2009), Jonah Lehrer sostiene che molti individui usano efficacemente
l’intuizione in fase decisionale.31 L’intuizione si definisce come un giudizio, un’idea
o una decisione che “affiora spontaneamente, senza un’esplicita consapevolezza degli
spunti che l’abbiano generata e senza un’esplicita valutazione della loro validità”.32 Le
ricerche dimostrano che tutti gli individui sono dotati di intuizione e che la tendenza a
fidarsi delle intuizioni non è correlata al genere.33 È dunque importante comprendere
quali siano le fonti dell’intuizione e sviluppare le proprie capacità intuitive perché queste possono risultare importanti quanto l’analisi razionale in molti contesti decisionali.
Consideriamo i seguenti esempi:
Ignorando i suggerimenti dei consulenti, Ray Kroc acquistò dai fratelli McDonald il
marchio McDonald’s: “Non amo rischiare e non avevo a disposizione grandi risorse
finanziarie, ma l’istinto mi spingeva a portare avanti l’operazione.” Incurante del parere
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Parte III
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Figura 12-4
Un modello duale
dell’intuizione
Fonti: basato in parte su D.
Kahneman e G. Klein, “Conditions
for Intuitive Expertise,” American
Psychologist, settembre 2009,
pp. 515-26; E. Sadler-Smith e E.
Shefy, “The Intuitive Executive:
Understanding and Applying
‘Gut Feel’ in Decision-Making,”
Academy of Management
Executive, novembre 2004, pp.
76-91; e C.C. Miller e R.D. Ireland,
“Intuition in Strategic Decision
Making: Friend or Foe in the FastPaced 21st Century,” Academy of
Management Executive, febbraio
2005, pp. 19-30.
Competenza
• Conoscenza tacita
ed esplicita
Intuizione
olistica
Processi intuitivi
• Automatici, involontari
e spontanei
• Controllati, volontari
e forzati
Sensazioni
I gruppi e i processi sociali
Esperienza
automatica
degli scettici e della carenza di ricerche di mercato a supporto, l’ex presidente della
Chrysler Bob Lutz fece diventare realtà la Dodge Viper. “Era una sensazione inconscia,
viscerale. E sentivo che era la scelta giusta.” Senza curarsi del fatto che 24 editori avevano
rifiutato il libro e la sua stessa casa editrice si opponeva, Eleanor Friede puntò su “un
piccolo libro da poco” intitolato Il gabbiano Jonathan Livingstone: “Sentivo che quella
storia semplice raccontava delle verità che l’avrebbero resa un classico internazionale.”34
Purtroppo l’intuizione non induce sempre a prendere decisioni vincenti come quelle
di Ray Kroc ed Eleanor Friede. Per approfondire le conoscenze sul ruolo dell’intuizione
nel processo decisionale, nella presente sezione esamineremo un modello dell’intuizione,
analizzando i pro e i contro dell’intuizione in fase decisionale.
Un modello dell’intuizione La figura 12-4 presenta un modello dell’intuizione. Partendo da destra, il modello dimostra che esistono due tipi di intuizione:
1. Un’intuizione olistica rappresenta una valutazione basato sull’integrazione inconscia
di informazioni immagazzinate nella memoria. Gli individui che ricorrono a questa
forma di intuizione potrebbero non essere in grado di spiegare perché desiderano
prendere una determinata decisione, se non perché “sembra la scelta giusta”.
2. Le esperienze automatiche rappresentano una scelta basata su situazioni familiari e
l’applicazione parzialmente inconscia di informazioni apprese in precedenze e legate
a queste situazioni. Per esempio, quando si hanno anni di esperienza nella guida, si
reagisce a una molteplicità di situazioni senza analizzarle coscientemente.
Tornando alla figura 12-4, come potete notare, l’intuizione è data da due processi
distinti, l’uno automatico, involontario e spontaneo, l’altro controllato, volontario e
forzato. Le ricerche dimostrano che i due processi possono influenzare l’intuizione
agendo separatamente oppure insieme.35 Per esempio, nel rispondere alle domande
di riepilogo sui contenuti di un capitolo di un manuale di studio, è possibile che
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12
Processi decisionali individuali e di gruppo
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nella vostra mente affiori automaticamente una risposta basata sul ricordo di ciò che
avete letto (un processo automatico). Pensandoci su (processo controllato), potreste
decidere che il vostro primo pensiero è errato e che è necessario tornare a rileggere alcuni contenuti per approdare a una risposta diversa. Ciò a sua volta potrebbe
indurvi a richiamare altre idee, e così i due processi continuerebbero. I processi
intuitivi sono influenzati da due fattori: le competenze e le sensazioni (vedi figura
12-4). Le competenze sono date dalla combinazione delle conoscenze esplicite (cioè
informazioni esprimibili verbalmente senza sforzo) e delle conoscenze tacite individuali (cioè informazioni acquisite attraverso l’esperienza e difficili da esprimere e
formalizzare) in relazione a un oggetto, una persona, una situazione oppure un’opportunità decisionale. Questa fonte di intuizione si sviluppa con l’età e l’esperienza.
La componente delle sensazioni riflette l’effetto soggiacente automatico sollecitato
da un oggetto, una persona, una situazione oppure un’opportunità decisionale. La
reazione intuitiva si basa sull’interazione tra le competenze e le sensazioni individuali
in una determinata situazione.
I pro e i contro dell’intuizione in fase decisionale Tra gli aspetti positivi, l’intuizione
può velocizzare il processo decisionale,36 rivelandosi un prezioso aiuto nel mondo
odierno, complesso e soggetto a costanti mutamenti. Può inoltre rivelarsi molto pratica
quando le risorse e il tempo a disposizione sono limitati. Per esempio, le intuizioni
basate su profonde conoscenze e preparazione attiva puntellano le decisioni rapide e
complesse nel contesto di un’unità ospedaliera di pronto soccorso. Ricordando il suo
lavoro come direttrice di un pronto soccorso, Kathleen Gallo afferma, “Se l’arrivo di
un elicottero con a bordo un’intera famiglia vittima di un incidente automobilistico
può sembrare una crisi e può di fatto esserlo per la famiglia, non lo è per il personale
sanitario [ ], che è pronto ad affrontare la situazione.”37
Per quanto concerne gli aspetti negativi, l’intuizione è soggetta agli stessi bias che
possono influenzare il processo decisionale razionale, in particolare le euristiche della
disponibilità e della rappresentatività, il bias di ancoraggio, l’overconfidence bias, e il
bias retrospettivo.38 Inoltre, il decisore potrebbe faticare a convincere gli altri che la
sua decisione intuitiva sia sensata, con il rischio che una buona idea venga ignorata.
Quali conclusioni possiamo dunque trarre rispetto al ricorso all’intuizione in fase
decisionale? A nostro parere, l’intuizione e la razionalità sono complementari e i manager
dovrebbero tentare di fare leva su entrambe. Vi incoraggiamo quindi a usare l’intuizione
in fase decisionale e a sviluppare la vostra consapevolezza intuitiva applicando le linee
guida illustrate nella tabella 12-1.
Processi decisionali di gruppo
I gruppi (comitati, task force, team di progetto o collegi di esperti che effettuano congiuntamente una valutazione) ricoprono spesso un ruolo chiave nell’ambito del processo
decisionale. ATA Engineering Inc., per esempio, adotta il processo decisionale di gruppo:
I colloqui di assunzione di nuovi collaboratori prevedono il coinvolgimento di almeno
8-10 dipendenti; se uno di loro si oppone all’assunzione, è possibile che il candidato non
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Parte III
282
Tabella 12-1
Linee guida per sviluppare
la consapevolezza intuitiva
Fonte: da E. Sadler-Smith e E.
Shefy, “The Intuitive Executive:
Understanding and Applying
‘Gut Feel’ in Decision-Making,”
Academy of Management
Executive, novembre 2004, p. 88.
I gruppi e i processi sociali
CONSIGLIO
DESCRIZIONE
1. Aprite il cassetto
In che misura avete delle intuizioni, vi fidate delle
vostre sensazioni, fate affidamento su valutazioni
intuitive, ignorate le impressioni, fate affidamento
celatamente sul vostro istinto?
Istinto, idea e intuizione non sono sinonimi:
esercitatevi a distinguere tra istinti, idee e intuizioni.
Cercate di ottenere feedback sui vostri giudizi intuitivi;
sviluppate fiducia rispetto al vostro istinto e create
un ambiente di apprendimento che vi consenta di
sviluppare una migliore consapevolezza intuitiva.
Create dei parametri di valutazione delle vostre
intuizioni e fatevi un’idea della misura in cui sono
affidabili. Domandatevi come migliorare i vostri
giudizio intuitivi.
Usate le immagini anziché le parole: cercate di
visualizzare letteralmente potenziali scenari futuri
tenendo conto delle vostre sensazioni.
Mettete alla prova le vostre valutazioni intuitive,
ponete obiezioni e create argomentazioni contrarie
per testare la solidità del vostro istinto quando viene
messo in discussione.
Raggiungete lo stato interiore nel quale la vostra
mente intuitiva è libera di elaborare; catturate le
intuizioni creative e prendetene nota prima che siano
censurate dall’analisi razionale.
2. Non fate confusione tra le “I”
3. Cercate feedback di qualità
4. Valutate l’efficacia del vostro intuito
5. Usate le immagini
6. Fate l’avvocato del diavolo
7. Catturate le intuizioni e avvaloratele
riceva alcuna proposta, a meno che la persona in questione non cambi parere. Talvolta
anche le decisioni aziendali più importanti vengono prese dai lavoratori. Quando il canone
di affitto della sede aziendale è aumentato, per esempio, l’ATA ha istituito un comitato
di dipendenti incaricato di esaminare il problema. Il comitato ha deciso di restare, dopo
aver constatato che la sede era comoda per la maggioranza dei dipendenti.39
Due teste, o più, sono davvero meglio di una, come sostiene la ATA? Tutti i collaboratori
desiderano dare il loro contributo durante il processo decisionale? Fino a che punto
i manager li coinvolgono nella fase decisionale? Quali tecniche utilizzano i gruppi
per migliorare il loro modo di prendere le decisioni? Gli incontri a tu per tu sono più
efficaci delle decisioni prese mediante l’utilizzo di sistemi informatici? La presente
sezione fornirà le informazioni necessarie per rispondere a queste domande. Gli argomenti trattati saranno: (1) il coinvolgimento del gruppo nel processo decisionale, (2)
vantaggi e svantaggi del processo decisionale supportato dal gruppo e (3) le tecniche
di problem-solving di gruppo.
Il gruppo nei processi decisionali
I gruppi sono in grado di contribuire a ciascuna fase del processo decisionale, sia che
decidano di incontrarsi, sia che si affidino ad altri metodi tecnologicamente più avan-
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12
Processi decisionali individuali e di gruppo
283
zati per collegarsi a distanza. È importante, tuttavia, al fine di massimizzare il valore
del processo decisionale di gruppo, creare un ambiente nel quale i singoli membri si
sentano a loro agio e liberi di esprimere le loro opinioni. La ricerca ha chiarito come i
manager possano creare un simile ambiente.
Un gruppo di ricercatori ha condotto due studi per stabilire quanto la capacità
di innovazione di un gruppo fosse legata al dissenso della minoranza, intesa come
la libertà percepita dai membri del gruppo di dissentire dalle opinioni degli altri
membri, e al livello di partecipazione al processo decisionale. I risultati delle due
ricerche hanno dimostrato che i gruppi più innovativi possedevano, in larga misura, sia il dissenso della minoranza, sia la partecipazione al processo decisionale.40
Una possibile strategia è favorire un dibattito più prolifico tra i membri del gruppo
durante le riunioni. Le ricerche dimostrano che tale strategia presenta anche effetti
positivi collaterali: la discussione di gruppo accresce la soddisfazione lavorativa e
la performance dei membri.41 Un altro suggerimento è quello di sollecitare punti di
vista divergenti da parte dei membri del gruppo e non penalizzare gli elementi del
gruppo che esprimono un’opinione diversa da quella della maggioranza.
Vantaggi e svantaggi del processo decisionale di gruppo
Il coinvolgimento dei gruppi nel processo decisionale presenta vantaggi e svantaggi
(tabella 12-2). Per quanto riguarda gli aspetti positivi, i gruppi possono comprendere
un più ampio insieme di conoscenze, offrono punti di vista più eterogenei, creano una
maggiore comprensione dei problemi, aumentano la probabilità che una decisione
venga accettata, costituiscono infine un ambito di formazione per i collaboratori privi
di esperienza. Tali vantaggi devono però essere bilanciati dagli svantaggi elencati nella
tabella 12-2. A questo scopo i manager devono stabilire fino a che punto i vantaggi e
gli svantaggi riguardano la situazione decisionale specifica. Per decidere se un gruppo
debba essere coinvolto in un processo decisionale, infine, si possono utilizzare i tre
criteri di seguito riportati.
1. Se informazioni aggiuntive possono contribuire a migliorare la qualità della decisione, allora i manager devono coinvolgere gli individui in grado di fornire tali
informazioni.
2. Se l’accettazione è importante, i manager devono coinvolgere gli individui la cui
approvazione e il cui impegno sono importanti.
3. Se la partecipazione favorisce la crescita delle persone, i manager devono coinvolgere
coloro la cui crescita è particolarmente importante.42
Performance individuale vs performance di gruppo Prima di consigliare il coinvolgimento dei gruppi nel processo decisionale è importante riuscire a capire se essi siano
in grado di produrre un risultato migliore rispetto agli individui presi singolarmente.
Dopo aver riesaminato gli studi prodotti nel corso di 61 anni, un esperto di processi
decisionali è giunto alla conclusione che “il risultato del gruppo, solitamente, è stato
qualitativamente e quantitativamente superiore rispetto a quello dell’individuo medio”.43
Sebbene anche studi successivi, in merito a processi decisionali di piccoli gruppi, ab-
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Parte III
284
Tabella 12-2
Vantaggi e svantaggi
del processo decisionale
di gruppo
Fonte: R. Kreitner, Management,
8° ed. (Boston; Houghton Miffln,
2001), p. 243.
I gruppi e i processi sociali
Vantaggi
Svantaggi
1. Maggiori conoscenze. Nel prendere una
decisione o affrontare un problema, un
gruppo può fornire molte più informazioni
e mettere a disposizione una gamma di
esperienze più vasta rispetto a quanto non
possa fare un individuo che agisce da solo.
2. Prospettive differenti. Gli individui con
esperienze e interessi diversi aiutano il
gruppo a osservare le situazioni
e i problemi da prospettive diverse.
1. Pressione sociale. Il voler evitare i conflitti
e la pressione al conformismo potrebbero
reprimere la creatività dei singoli
collaboratori.
3. Maggiore comprensione. Chi sperimenta
personalmente la reciprocità delle
discussioni di gruppo in merito ad azioni
alternative tende a comprendere le
ragioni che hanno portato alla decisione
finale.
4. Maggiore accettazione. Chi gioca un ruolo
attivo nell’ambito del processo decisionale
di gruppo e nell’ambito del problemsolving ha la tendenza a vedere i risultati
finali come “nostri” piuttosto che come
“loro”.
5. Luogo di formazione. I partecipanti a una
decisione di gruppo con meno esperienza
imparano a gestire le dinamiche del
gruppo tramite un coinvolgimento attivo e
concreto.
2. Supremazia di una piccola, ma accesa
minoranza. Talvolta la qualità della decisione
si riduce quando il gruppo cede di fronte a
coloro che prevaricano gli altri con interventi
più lunghi e accesi.
3. Scambio di voti. Scambi di natura politica
possono soppiantare un approccio
equilibrato se i progetti o gli interessi di una
persona sono in gioco.
4. Spostamento dell’obiettivo. Talvolta
considerazioni secondarie come il voler
prevalere in una discussione, il voler
dimostrare il proprio punto di vista o il voler
rispondere all’avversario, distolgono dal
compito primario di prendere una valida
decisione o di risolvere un problema.
5. Groupthink. Talvolta, nel generare e valutare
azioni alternative, gruppi uniti fanno
prevalere il desiderio di unanimità su un
giudizio sensato (il concetto di groupthink
viene trattato nel Capitolo 12).
biano sostenuto, in linea generale, tale affermazione, prima di coinvolgere i gruppi nel
processo decisionale bisogna considerare cinque importanti risultati:
1. In alcuni casi i gruppi sono stati meno efficienti dei singoli individui. I vincoli temporali sono un fattore molto importante quando si deve stabilire se coinvolgere un
gruppo nel processo decisionale.
2. I gruppi, rispetto ai singoli individui, hanno dimostrato una maggiore sicurezza dei
loro giudizi e delle loro scelte. Dal momento che la sicurezza che un gruppo sente di
avere non può andare a sostituire la qualità della decisione presa dal gruppo stesso,
tale eccesso di sicurezza può favorire il groupthink (concetto trattato diffusamente nel
Capitolo 10) e la resistenza a considerare soluzioni alternative proposte da individui
esterni al gruppo.
3. I gruppi tendono a prendere decisioni più moderate. Sembra che la necessità di
raggiungere il consenso o il compromesso induca a prendere decisioni meno
estreme.44
4. L’accuratezza del processo decisionale è stata maggiore quando (a) i gruppi coinvolti conoscevano molto bene gli argomenti da trattare e (b) i leader dei gruppi
possedevano la capacità di valutare efficacemente le opinioni e i giudizi dei membri
del gruppo. I gruppi devono dare maggior valore ai giudizi importanti e accurati
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Processi decisionali individuali e di gruppo
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dei membri che ne fanno parte e nel contempo minimizzare quelli non importanti o
meno accurati.45
5. La composizione di un gruppo influisce sui suoi processi decisionali e, alla fine,
sul risultato. È più probabile, ad esempio, che gruppi composti da persone che si
conoscono bene prendano decisioni migliori quando è necessario condividere molte informazioni personali. Gruppi composti da persone meno intimamente legate,
invece, dovrebbero raggiungere un risultato migliore rispetto a un gruppo di amici
se le informazioni rilevanti sono note a tutti.46
Studi ulteriori suggeriscono che i manager, nello stabilire se includere o meno altre
persone nel processo decisionale, dovrebbero adottare, a seconda delle circostanze,
metodi diversi. Consideriamo ora tali circostanze.
Raccomandazioni pratiche legate alle situazioni Se si tratta di decisioni che si ripresentano spesso, come ad esempio la promozione di un collaboratore o la concessione
di un prestito, è bene coinvolgere il gruppo per la sua tendenza a prendere decisioni più
coerenti rispetto ai singoli individui. Nel caso in cui vi siano vincoli temporali stringenti,
lasciate che sia l’individuo più competente, e non il gruppo, a prendere la decisione. Di
fronte a minacce ambientali quali pressioni temporali e potenziali gravi effetti determinati
dalla decisione presa, i gruppi tendono a ricorrere a una quantità ridotta di informazioni e a un numero minore di canali di comunicazione. Tale comportamento aumenta
la probabilità di approdare alla decisione sbagliata. Alla luce di queste conclusioni è
importante, nel caso di compiti difficili, che i manager ricordino la necessità di definire
strumenti adeguati per potenziare l’efficacia della comunicazione, considerando quanto
la qualità di quest’ultima influisce sulla produttività del gruppo.
Tecniche per il problem-solving di gruppo
Consenso: situazione in cui
tutti i membri di un gruppo
sostengono una decisione
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Il coinvolgimento di gruppi nel processo decisionale richiede generalmente che questi
raggiungano un consenso al proprio interno. Il consenso, secondo un esperto di processi
decisionali, “si raggiunge quando tutti i membri del gruppo possono dire di essere d’accordo con la decisione presa, oppure quando non sono stati in grado di convincere gli
altri del loro punto di vista. In ultima analisi, tutti sono d’accordo nel sostenere l’esito
finale”.47 Tale definizione indica che il consenso non deve essere necessariamente unanime, perché i membri del gruppo, pur non essendo ancora d’accordo sulla decisione
finale, possono comunque volere impegnarsi perché questa abbia successo.
È possibile che i gruppi, nel tentativo di raggiungere una decisione unanime, incontrino degli ostacoli sul loro cammino; essi, per esempio, potrebbero non sviluppare
tutte le alternative importanti ai fini di risolvere un problema a causa dell’atteggiamento
dominante e intimidatorio che un individuo assume nei confronti di altri membri del
gruppo. Ciò può avvenire apertamente o subdolamente: membri che, ad esempio, possiedono potere e autorità, indipendentemente dal loro modo di rapportarsi agli altri,
possono intimidire con la sola presenza in una stanza. Anche la timidezza può frenare la
produzione di alternative; persone timide o ansiose potrebbero non portare il loro contributo per imbarazzo o mancanza di fiducia in se stessi. Accontentarsi di un’alternativa
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Parte III
I gruppi e i processi sociali
soddisfacente può costituire un altro ostacolo verso l’efficacia di un processo decisionale di gruppo. Come precedentemente osservato, i gruppi optano per un’alternativa
soddisfacente a causa del tempo limitato, della scarsa informazione o dell’incapacità di
gestire molte informazioni. Un esperto di management ha fornito alcuni suggerimenti
su come agire per raggiungere con successo un consenso: i gruppi dovrebbero ascoltare
attivamente, coinvolgendo quante più persone possibile, scoprire le ragioni sottese a
ogni discussione ed esaminare a fondo i fatti. Allo stesso tempo i gruppi non dovrebbero ricorrere a meccanismi di scambio politico (sosterrò la tua decisione perché tu,
l’ultima volta, hai sostenuto la mia), mettere ai voti le questioni controverse o mostrarsi
d’accordo solo per evitare conflitti.48 Utilizzare il voto per prendere una decisione non
è consigliabile perché potrebbe portare a una divisione del gruppo in vincitori e vinti.
Al fine di ridurre questi ostacoli, gli esperti del processo decisionale hanno sviluppato tre tecniche di problem-solving di gruppo: brainstorming, nominal group e tecnica
Delphi. La conoscenza di tali tecniche può aiutare i manager di oggi e di domani ad
avviare più efficacemente un processo decisionale di gruppo. L’avvento di decisioni
prese tramite il supporto del computer, inoltre, permette ai manager di utilizzare le tecniche descritte per risolvere problemi di natura complessa anche con gruppi numerosi.
Brainstorming: processo
volto a generare una grande
quantità di idee
Brainstorming Il brainstorming è una tecnica sviluppata da A.F. Osborn, un manager del settore pubblicitario, per migliorare la creatività;49 viene utilizzata per aiutare
i gruppi nella generazione di molteplici idee e alternative volte a risolvere i problemi.
Quando il brainstorming è messo in pratica, un gruppo viene convocato per valutare
il problema all’ordine del giorno; ai vari partecipanti viene quindi chiesto di generare
in silenzio idee/alternative volte a risolvere il problema. All’esposizione ad alta voce e
disordinata delle idee si preferisce la generazione silenziosa perché sfocia in una quantità
maggiore di contributi originali. I gruppi tendono a concentrarsi su un numero più limitato
di idee e a restare bloccati su una singola proposta quando, prima della condivisione
delle proposte, l’elaborazione di alternative avviene a voce alta.50 In seguito si chiede
che le idee/alternative generate vengano esposte per iscritto. Potrebbe essere preferibile
la raccolta anonima delle idee generate dal brainstorming; i risultati delle ricerche hanno
dimostrato che porta a idee più controverse e decisamente meno ridondanti.51 Infine il
gruppo si riunisce in un secondo momento per valutare le varie alternative. Durante il
brainstorming è opportuno che i manager si attengano a sette regole:52
1. Sospendere il giudizio. Non criticare le idee generate durante la prima fase del brainstorming. Bisognerebbe evitare osservazioni come: “non abbiamo mai agito in quel
modo”, “non funzionerà”, “ci costa troppo,” e “il capo non sarà mai d’accordo”.
2. Costruire sulle idee degli altri. Incoraggiare i partecipanti a sviluppare le idee degli
altri usando “e” al posto di “ma”.
3. Incoraggiare idee bizzarre. Favorire il pensiero libero da preconcetti: tanto più le
idee sono stravaganti o irriverenti, tanto meglio.
4. Dare importanza alla quantità più che alla qualità. I partecipanti devono cercare
di generare e scrivere quante più idee possibili. Sottolineando l’importanza della
quantità, gli individui sono incoraggiati ad andare oltre le loro idee preferite.
5. Curare l’aspetto visivo. Usare penne di colore diverso per scrivere su lavagne a fogli
mobili o cartelloni da appendere alle pareti.
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Processi decisionali individuali e di gruppo
287
6. Restare concentrati sul tema. Un facilitatore può guidare la discussione ed evitare
divagazioni.
7. Parlare uno per volta. La regola di base è che non si interrompono gli altri, non si
scartano le idee altrui e si tiene sempre un atteggiamento rispettoso e cortese.
È utile infine ricordare che tale tecnica è efficace per la generazione di nuove idee/
alternative e la ricerca dimostra che si possono affinare le capacità di brainstorming
dei collaboratori attraverso la formazione. Il brainstorming però non è adatto al fine di
valutare le alternative o di selezionare le soluzioni appropriate.
Tecnica del nominal group:
processo mediante il quale si
generano idee e si valutano
le soluzioni
Tecnica Delphi: processo
durante il quale un gruppo
di esperti geograficamente
distanti genera idee
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Tecnica del nominal group La tecnica del nominal group serve ad aiutare i gruppi
a generare idee, valutare e selezionare le varie alternative; è un incontro strutturato di
gruppo che si mette in pratica nel modo seguente.53 Un gruppo viene convocato per
discutere un particolare problema o argomento; una volta focalizzato il tema gli individui
iniziano con una silenziosa esposizione scritta delle loro idee. Procedendo in cerchio,
ciascuno sceglie dalla propria lista una delle idee e la propone; tutte le idee vengono
scritte su una lavagna, senza che, a questo punto del processo, vengano ancora discusse.
Solo una volta completato l’elenco incomincia la discussione di gruppo. Chiunque può
criticare o difendere qualunque idea elencata; nel corso di questa fase vengono forniti
chiarimenti e si raggiunge o meno un accordo in merito all’idea discussa. Per agevolare
la discussione si può ricorrere al “metodo dei 30 secondi”: ciascun membro del gruppo
ha l’opportunità, per un massimo di 30 secondi, di parlare a favore o contro qualunque
idea presa in considerazione. In alternativa, i gruppi possono elaborare una matrice
sforzo/benefici, identificando l’impegno e i costi dell’implementazione di ciascuna
idea e raffrontandoli ai potenziali benefici. Alla fine i membri del gruppo esprimono,
in segreto, le loro preferenze. Il capogruppo, in seguito, somma i voti per stabilire la
scelta del gruppo. Prima di giungere alla decisione finale, il gruppo può anche decidere
di discutere le idee che hanno ottenuto il punteggio più alto e procedere a una seconda
votazione.
La tecnica del nominal group riduce le difficoltà nell’ambito di un processo decisionale di gruppo (1) separando la fase di brainstorming da quella della valutazione;
(2) favorendo una partecipazione equilibrata tra i membri del gruppo; (3) includendo
sistemi di votazione al fine di raggiungere un accordo. Questa tecnica è stata usata con
successo per prendere decisioni in situazioni molto diverse e si è riscontrato che genera
più idee rispetto a una sessione standard di brainstorming.54
Tecnica Delphi Questo metodo di problem-solving è stato in origine sviluppato dalla
Rand Corporation per effettuare previsioni tecnologiche.55 Attualmente viene usato come
strumento di pianificazione multifunzionale. La tecnica Delphi è un processo applicato
alla comunicazione di gruppo durante il quale esperti, anche geograficamente distanti,
generano idee o esprimono giudizi in forma anonima. Diversamente dalla tecnica del
nominal group, caratterizzata da una discussione faccia a faccia tra i membri del gruppo,
in questo caso le idee degli esperti vengono raccolte mediante questionari o attraverso
la comunicazione via Internet.
Il manager dà inizio a tale processo identificando innanzitutto il problema che si vuole
affrontare; per esempio, potrebbe trattarsi di valutare le future preferenze della clientela
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Parte III
I gruppi e i processi sociali
o le conseguenze della localizzazione di un impianto in una determinata regione del
paese. In seguito vengono selezionati i partecipanti e viene formulato un questionario,
che viene inviato loro e poi rispedito al manager (attualmente, molto spesso tali questionari vengono inviati tramite e-mail). Il manager riassume le risposte e le rispedisce
ai partecipanti; a questo punto viene loro chiesto (1) di riesaminare le proprie risposte,
(2) di assegnare priorità agli argomenti considerati e (3) di restituire, entro il periodo di
tempo specificato, il questionario. Questo ciclo si ripete fino a quando il manager non
ha ottenuto le informazioni necessarie.
La tecnica Delphi risulta utile quando non è possibile organizzare un incontro a tu per
tu, quando disaccordi e divergenze di opinioni possono compromettere la comunicazione, quando alcuni individui potrebbero esercitare un forte predominio nella discussione
e quando il groupthink è un risultato probabile del processo decisionale di gruppo.56
Processo decisionale assistito dal computer La crescente globalizzazione delle organizzazioni, associata al progresso delle tecnologie dell’informazione, ha determinato
lo sviluppo di sistemi per il processo decisionale assistito dal computer. Due sono le
modalità generali di utilizzo. In primo luogo, numerose organizzazioni per migliorare
il processo decisionale usano una molteplicità di strumenti informatici, hardware e
software, che consentono ai manager di ottenere rapidamente una maggiore quantità
di informazioni da collaboratori, clienti e fornitori in tutto il mondo. Per esempio, Best
Buy, Google, GE, Intel e Microsoft ricorrono a reti intranet per ottenere input dai collaboratori; Best Buy e Google hanno rilevato che tali sistemi sono utili per elaborare
stime della domanda di nuovi prodotti e servizi.57 Anche la Walmart ha adottato sistemi computerizzati per migliorare il processo decisionale; per esempio, i punti vendita
ricorrono a un nuovo sistema computerizzato per stabilire la turnazione dei circa 1,3
milioni di collaboratori. Il sistema determina il numero di dipendenti necessario per
ciascun punto vendita in base all’affluenza dei clienti in determinate fasce orarie.58 È
stato inoltre comprovato che tali sistemi migliorano l’elaborazione delle informazioni
e il processo decisionale dei team virtuali, che abbiamo analizzato nel Capitolo 11.
La seconda applicazione generica del processo decisionale assistito dal computer
è legata alla gestione delle riunioni. Esistono due sistemi di processo decisionale
assistito dal computer: quello guidato da un moderatore e quello guidato dal gruppo.
Nel primo i partecipanti sono chiamati a rispondere a domande prestabilite indicando la loro risposta su tastiere elettroniche; questo sistema viene spesso usato in
trasmissioni televisive. Nel giro di pochi secondi il computer ordina le risposte dei
partecipanti in una tabella.
Le riunioni guidate dal gruppo sono condotte con uno dei due metodi seguenti.
Primo metodo: i manager, per raccogliere informazioni o valutare le idee riguardo a
una decisione da prendere, possono ricorrere ai sistemi di posta elettronica o a Internet.
Un secondo metodo di conduzione delle riunioni di gruppo assistite dal computer
si svolge nell’ambito di strutture specializzate dotate di postazioni di lavoro collegate
fra loro. I partecipanti, invece di parlare, digitano sulla tastiera i loro input: idee, commenti, reazioni o valutazioni. I dati immessi appaiono simultaneamente su un grande
schermo proiettato davanti a loro che permette così la visione a tutti i partecipanti. Tale
procedimento riduce gli ostacoli che portano al raggiungimento del consenso perché
l’input è anonimo, ciascun membro riceve un’opportunità per dare il suo contribuito e
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Processi decisionali individuali e di gruppo
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nessuno può prevaricare durante il processo. La ricerca ha dimostrato che il processo
decisionale assistito dal computer ha prodotto idee quantitativamente e qualitativamente
superiori rispetto a quelle prodotte utilizzando il brainstorming o la tecnica del nominal
group, sia nel caso di piccoli che di grandi gruppi.59
In conclusione, prevediamo che il ricorso al processo decisionale assistito dal
computer aumenterà in futuro, anche perché questi sistemi si prestano bene alla vita
organizzativa moderna e al nutrito gruppo di membri delle generazioni X e Y che sta
entrando nella forza lavoro.
Creatività
Data l’attuale necessità di prendere decisioni rapidamente, sta diventando sempre più
importante la capacità di un’organizzazione di stimolare la creatività e l’innovazione dei
suoi collaboratori. In alcune aziende si ritiene addirittura che la creatività e l’innovazione
siano le chiavi del successo. Rispetto all’argomento del presente capitolo, la creatività
entra in gioco in tutte le quattro fasi del processo decisionale razionale e ogniqualvolta
un individuo oppure un gruppo si trovano a dover risolvere un problema, a prendere una
decisione oppure a creare qualcosa di nuovo. La creatività è particolarmente importante
anche durante le sessioni di brainstorming.
Al fine di comprendere più approfonditamente la gestione di tale processo creativo cominceremo dalla definizione del concetto di creatività, mettendo in evidenza le
caratteristiche individuali e contestuali ad essa associate; passeremo poi in rassegna le
fasi sottostanti al processo creativo.
Definizione e caratteristiche individuali associate alla creatività
Creatività: processo volto allo
sviluppo di qualcosa di unico
e nuovo
CompOrga.indb 289
Nonostante siano state proposte varie altre definizioni, la creatività viene qui definita
come il processo mediante il quale si ricorre all’immaginazione e alle proprie abilità
per lo sviluppo di qualcosa di nuovo e unico: un prodotto, un oggetto, un processo o un
pensiero.60 La creatività può portare tanto a risultati molto semplici, come l’ideazione
di un nuovo posto dove appendere le chiavi della macchina, quanto a operazioni complesse, come la creazione di un microcomputer tascabile. Questa definizione mette in
evidenza tre tipologie generali di creatività. Si può creare qualcosa di nuovo (creazione),
si può combinare o sintetizzare qualcosa (sintesi), si possono migliorare o modificare
le cose (modifica).
Il comportamento creativo individuale subisce l’influenza diretta di una serie di
singole caratteristiche della persona. La creatività richiede motivazione; le persone,
in altri termini, prendono una decisione indipendentemente dall’intenzione di voler
applicare le loro conoscenze e abilità per creare nuove idee, cose o prodotti. Oltre alla
motivazione, un’altra caratteristica tipica delle persone creative è di agire al di fuori
degli schemi comuni. Sono individui fortemente motivati che trascorrono gran parte del
tempo sviluppando sia una conoscenza tacita sia una conoscenza esplicita riguardo la
loro sfera di interesse o la loro occupazione. Diversamente da quanto si è soliti credere,
le persone creative non sono necessariamente geni o personaggi introversi; non sono
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Parte III
290
I gruppi e i processi sociali
neppure degli adattatori, intesi come “coloro che [ ] preferiscono risolvere le difficoltà
e prendere decisioni cercando di avere il minor impatto possibile con i presupposti, le
procedure e i valori dell’organizzazione”.61 I creativi, al contrario, sono insoddisfatti
dello status quo. Cercano nuove ed entusiasmanti soluzioni ai problemi e tendono a
essere curiosi.62 La ricerca dimostra inoltre che uomini e donne non possiedono livelli
diversi di creatività, e che vi sono molte caratteristiche della personalità associate alla
creatività.63 Tali caratteristiche comprendono, tra le altre, quelle mostrate nella tabella
12-3. L’argomento diventa più concreto se si considera l’esempio che segue.
La storia dei post-it fornisce un esempio adeguato su come le caratteristiche individuali mostrate nella tabella 12-3 favoriscano il comportamento creativo. I post-it sono
un prodotto che frutta alla 3M 200 milioni di dollari all’anno:
L’idea è venuta ad Art Fry, un dipendente della 3M che aveva l’abitudine di segnare
con pezzetti di carta gli inni da cantare nel coro della chiesa. Questi segnalibri, però,
continuavano a scivolare fuori dal libro dei canti; Fry pensò pertanto a un foglio di
carta dotato di una parte adesiva sul retro che potesse rimanere attaccato per tutto il
tempo necessario, ma che si potesse anche staccare facilmente. Trovò quello che stava
cercando nel laboratorio della 3M, e così nacquero i post-it. Fry intuì il potenziale
di mercato della sua invenzione, ma altri no. Le indagini di mercato diedero risultati
negativi; i maggiori distributori di materiale da ufficio si mostrarono scettici. Fry
pertanto cominciò a diffondere il prodotto regalandone dei campioni ai manager
della 3M e alle loro segretarie. Una volta che li ebbero sperimentati di persona si
convinsero definitivamente.64
Tabella 12-3
Caratteristiche individuali
associate alla creatività
Fonti: basato sulla discussione
in T. Brown, “Thinking,” Harvard
Business Review, giugno 2008,
pp. 85-92; e R.J. Sternberg e R.I.
Lubart, “Investing in Creativity,”
American Psychologist, luglio
1996, pp. 677-88.
Capacità intellettuali
• Capacità di vedere i problemi da altre prospettive e di sfuggire ai limiti del pensiero convenzionale.
• Capacità di riconoscere quali idee è opportuno portare avanti o meno.
• Capacità di persuadere e influenzare gli altri.
Conoscenza tacita (implicita) ed esplicita (in merito a un particolare settore, un’occupazione, un
argomento, un prodotto, un servizio ecc.)
Stile di pensiero
• Preferenza verso nuovi modi di pensare scelti personalmente.
Aspetti personali
• Propensione al superamento degli ostacoli.
• Propensione ad assumere rischi ragionevoli.
• Propensione a tollerare l’ambiguità.
• Auto-efficacia.
• Apertura all’esperienza e coscienziosità.
Motivazione intrinseca al compito
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12
Processi decisionali individuali e di gruppo
291
Si noti come Fry abbia dovuto esercitare la sua influenza su altri per convincerli a
sperimentare la sua idea. La tabella 12-3 mostra che le persone creative possiedono la
capacità di convincere e influenzare gli altri.
Le caratteristiche del contesto associate alla creatività
Nel Capitolo 1 abbiamo notato che il contesto può influenzare il nostro comportamento,
e tale considerazione è certamente vera in relazione alla creatività. Ritornando all’esame della cultura organizzativa condotto nel Capitolo 3, le ricerche hanno rilevato che
le organizzazioni dotate di una cultura adhocratica tendono a essere più innovative.65
Questi risultati suggeriscono che potrebbe essere auspicabile ispirarsi alle prassi adottate
dalla Google, consentendo maggiore flessibilità, assunzione di rischio e sperimentazione nell’ambiente di lavoro con l’obiettivo di incentivare la creatività dei collaboratori.
La creatività è inoltre associata ai vincoli temporali e al livello di stress caratteristici
dell’ambiente. A smentire la convinzione che le persone siano più creative quando sono
in crisi o sotto forte pressione, si è notato che stretti vincoli temporali soffocano la creatività, così come lo stress. La creatività tocca i livelli massimi quando i collaboratori
subiscono uno stress moderato.66 Infine, i leader possono fare molto per accrescere la
creatività mostrando interesse per i collaboratori e riservando a tutti un trattamento equo
(ricordate la teoria dell’equità illustrata nel Capitolo 8).67
Le fasi del processo creativo
I ricercatori non dispongono di certezze sul funzionamento della creatività; tuttavia
sappiamo che essa implica “associazioni remote” tra eventi, idee e informazioni, non
legate tra loro, presenti nella memoria (Capitolo 7), o oggetti concreti. Consideriamo
in che modo il dottor William Foege, durante il suo incarico presso i Centri per il
controllo e la prevenzione delle malattie negli Stati Uniti, ha coordinato il programma per sradicare il vaiolo in Nigeria. Foege si rese conto che la fornitura di vaccino
a sua disposizione non era sufficiente per l’intera popolazione; osservando che la
gente si riuniva nei mercati, mirò la sua campagna di vaccinazione agli individui che
frequentavano le aree più affollate, anche se erano solo di passaggio. Così facendo,
Foege (attualmente senior fellow del Carter Center e della Bill and Melinda Gates
Foundation) creò un modello per le future campagne di vaccinazione che contrasta
efficacemente la diffusione dei virus.68
Il concetto di “associazione remota” delinea idee come il legame individuato da
Foege tra i comportamenti di acquisto e la diffusione di un virus; non spiega però come
Foege abbia creato tale associazione. I ricercatori hanno individuato cinque fasi del
processo creativo: la preparazione, la concentrazione, l’incubazione, l’illuminazione e
la verifica. Passiamo ora a esaminare queste fasi.
La fase di preparazione indica che la creatività ha origine da una base di conoscenza.
Secondo gli esperti la creatività comprende una convergenza tra conoscenza tacita e
conoscenza esplicita.
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Parte III
I gruppi e i processi sociali
Durante la fase di concentrazione l’individuo si focalizza sul problema oggetto
della discussione. Nel contesto lavorativo, spesso le idee creative nascono da problemi,
incongruenze e fallimenti legati al lavoro; premesso questo, le ricerche dimostrano
che concentrarsi eccessivamente sulla ricerca di soluzioni creative può di fatto inibire
la creatività. Per esempio, il fantasticare è stato collegato alla creatività, mentre altre
ricerche hanno dimostrato che “curiosare navigando in Internet” accresce la creatività.69
Concedetevi delle distrazioni durante la ricerca di soluzioni creative perché questo può
migliorare la fase successiva del processo, cioè quella dell’incubazione.
L’incubazione avviene a livello inconscio; nel corso di questa fase la persona è impegnata nelle proprie attività quotidiane e, nel frattempo, rimugina sulle informazioni in
proprio possesso compiendo associazioni remote. Tali associazioni conducono alla fase
dell’illuminazione. L’ultima fase è quella della verifica, che consiste nel rivedere l’intero
processo, controllare, apportare modifiche o sperimentare l’idea scaturita dal processo.
Esaminiamo ora le fasi della creatività per capire come mai le organizzazioni
giapponesi propongono e portano a termine un numero di idee superiore rispetto alle
imprese americane. Nell’affrontare il problema un esperto in materia ha incontrato
e intervistato approfonditamente i dipendenti di cinque fra le più importanti aziende
giapponesi. L’esperto ha osservato come queste ultime abbiano creato un’infrastruttura
manageriale volta a promuovere e rafforzare la creatività. Ai dipendenti è stato chiesto,
sin dal primo giorno di impiego, di indicare la presenza di problemi (insoddisfazioni).
Tali elementi, a loro volta, sono stati definiti “uova d’oro” per sottolineare l’importanza
di questo processo. Le organizzazioni prese in esame hanno, altresì, promosso le fasi
di incubazione, illuminazione e verifica tramite il lavoro di squadra e la creazione di
incentivi. Alcune aziende, per esempio, hanno raffigurato tali “uova d’oro” su poster
giganti appesi nei luoghi di lavoro; i collaboratori sono stati poi incoraggiati a interagire
per portare a termine le fasi finali del processo creativo. Sono stati assegnati dei premi
in denaro per ogni suggerimento che superasse tutte le cinque fasi del processo.70
Questa ricerca sottolinea la conclusione secondo la quale la creatività può essere
valorizzata da una gestione concreta del processo creativo e dalla creazione di un ambiente di lavoro positivo e di supporto.
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Gestione del conflitto
e negoziazione
Quanto conta l’emotività nella gestione dei conflitti?
L’ingegner Fazi sapeva che parte del suo lavoro consisteva nel cercare di mantenere un buon clima nel suo
team, ma a volte era preso dallo sconforto.
In particolare, in quel momento, stava scorrendo una
mail che, a suo parere, non andava scritta.
Sospirò pensando a quanti malintesi avrebbe evitato
una normale telefonata.
Nel caso specifico il coordinatore di un cantiere aveva scritto a Silva, responsabile degli acquisti, mettendo
ovviamente in copia una decina di altre persone.
Come più volte sollecitato ricordo che le valvole di
regolazione del progetto veneto, dovranno essere in
cantiere entro e non oltre 10 giorni.
Sarà mio personale impegno chiedere che i costi
dell’eventuale fermo cantiere vengano addebitati alle
funzioni che non sanno fare gioco di squadra!
CompOrga.indb 293
Ovviamente le risposta era stata scritta quasi in simultanea, segno che Silva non si era fermato neanche un
istante a riflettere e aveva scritto immediatamente:
Ricevo l’ultimatum a cui mi preme rispondere che le
valvole saranno in cantiere quando il fornitore verrà pagato dall’amministrazione che non ha ancora sbloccato
una vecchia e consistente fattura e che il sottoscritto su
questo processo non ha alcun potere.
Richiamo inoltre il fatto che i “giochi di squadra”
si fanno insieme e non addossando le colpe agli altri.
Fazi mise in calendario una riunione tra gli interessati,
chiamando anche il responsabile dei pagamenti, sapendo che avrebbe passato la prima mezz’ora a calmare
gli animi e successivamente, forse, a occuparsi della
valvole incriminate.
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Parte III
I gruppi e i processi sociali
La ricerca di un sano equilibrio tra l’eccesso e la totale assenza di conflitto è una sfida
costante nel contesto organizzativo. In questo capitolo, dopo aver discusso una visione
aggiornata del concetto di conflitto e i tre principali tipi di conflitto esistenti, impareremo a gestirlo, sia in qualità di persone direttamente coinvolte, sia come parti terze;
successivamente verrà presa in esame la negoziazione; concluderemo descrivendo un
approccio contingente alla gestione del conflitto e alla negoziazione.
Conflitto: una prospettiva moderna
Non fatevi trarre in inganno. Il conflitto è un aspetto inevitabile della vita organizzativa.
Di seguito riportiamo le tendenze principali che contribuiscono a rendere il conflitto
organizzativo inevitabile.
• Cambiamento costante.
• Una maggiore diversità nel personale.
• Presenza di più gruppi (virtuali e autogestiti).
• Diminuzione della comunicazione faccia a faccia (maggiore interazione virtuale).
• Un’economia globale con un incremento di rapporti interculturali.
Dean Tjosvold, della Lingnan University di Hong Kong, fa notare che “il cambiamento
genera conflitto e il conflitto genera cambiamento”,1 e ci sfida a migliorare proponendo
il seguente punto di vista globale:
Imparare a gestire il conflitto rappresenta un investimento serio nel processo di miglioramento che noi, le nostre famiglie e le nostre organizzazioni intraprendiamo nel
trarre vantaggio dal cambiamento. Una buona gestione dei conflitti non ci protegge dal
cambiamento, né ci permette di ottenere sempre il massimo dei successi, né di ottenere
tutto quello che vogliamo. Tuttavia, ci aiuta a restare in contatto con nuovi sviluppi e
a creare soluzioni adeguate contro minacce nascenti o in favore di nuove opportunità.
Numerosi fatti, dagli elevati tassi di divorzio ai casi di abuso sessuale o fisico a danno di bambini, dalle fusioni aziendali andate in fumo alle sanguinose violenze etniche,
sembrano indicare che non possediamo le capacità di far fronte ai nostri conflitti globali,
organizzativi e interpersonali.2
Conflitto: una parte percepisce che i propri interessi sono
ostacolati o influenzati negativamente da un’altra parte
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Ma una risposta la dobbiamo pur dare. Come sottolineato nel presente capitolo, gli
strumenti e le soluzioni ci sono, se solo ci impegniamo nello sviluppo delle capacità e
della volontà di utilizzarli con perseveranza. La scelta spetta a noi: essere attivi gestori
del conflitto o lasciare che sia il conflitto a gestire noi.
Un approfondito studio della letteratura sull’argomento ha portato alla seguente
definizione universalmente condivisa: “il conflitto è quel processo per cui una parte
percepisce che i propri interessi sono ostacolati o influenzati negativamente da un’altra
parte”.3 L’uso del verbo percepire, in questo caso, ci ricorda come le origini del conflitto
possano essere reali o immaginate; il conflitto che ne consegue è lo stesso. Nel corso
del tempo il conflitto può rafforzarsi o indebolirsi. “Il processo conflittuale si manifesta in un determinato contesto; in qualunque momento avvenga, sia esso in crescita o
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13
Gestione del conflitto e negoziazione
295
meno, le parti in causa o le parti terze possono tentare, in qualche modo, di gestirlo.”4
Ne consegue che i manager attuali e futuri devono necessariamente capire le dinamiche del conflitto e sapere come gestirlo in modo efficace (sia che siano direttamente o
indirettamente coinvolti).
Il linguaggio del conflitto: metafore e significati
Quello del conflitto è un argomento complesso per diverse ragioni;5 prima fra tutte vi è
il fatto inequivocabile che il conflitto implica spesso un consistente bagaglio emotivo. Il
timore di perdere o la paura del cambiamento determinano, nell’ambito di un conflitto,
una rapida impennata emozionale. I conflitti, inoltre, variano molto in ampiezza. Essi
hanno sia attori direttamente coinvolti che osservatori; alcuni di questi ultimi possono
dimostrarsi interessati e attivi, altri disinteressati e passivi. Il termine conflitto, di conseguenza, a seconda delle circostanze e del coinvolgimento del singolo, può assumere
un gran numero di significati. Considerate, ad esempio, le seguenti tre metafore e le
espressioni a esse legate, usate sul posto di lavoro:
• Conflitto come guerra: “Quell’idea l’abbiamo uccisa noi.”
• Conflitto come opportunità: “Che cosa è necessario per superare il disaccordo?”
• Conflitto come viaggio: “Vediamo di cercare un punto di incontro e di imparare tutti
qualcosa di utile.”6
Chiunque concepisca il conflitto come una guerra tenterà di vincere a tutti i costi e di
annientare il nemico. Viceversa, coloro che vedono il conflitto come un’opportunità o
un viaggio avranno la tendenza a essere più positivi, più aperti e costruttivi. Purtroppo,
in un mondo dominato da ostilità, un pensiero bellicoso, distruttivo e combattivo ha
troppo spesso il sopravvento. I conflitti sul posto di lavoro, comunque, non sono una
guerra. Nella gestione dei conflitti all’interno delle organizzazioni, pertanto, dovremmo cercare di basarci non tanto sulla metafora e sul linguaggio della guerra, quanto su
quelle dell’opportunità e del viaggio. In situazioni conflittuali è necessario monitorare
con cura la scelta delle parole.
Spiegando le tre metafore, gli esperti di conflitto Cloke e Goldsmith hanno fornito
il commento che segue, utile per dare al presente capitolo il giusto equilibrio:
Il conflitto vi da l’opportunità di approfondire il vostro grado di empatia e intimità nei
confronti dei vostri avversari. La vostra rabbia trasformerà “l’altro” in un demone o un
furfante stereotipato. Un atteggiamento difensivo, parimenti, vi impedirà di comunicare
apertamente con il vostro oppositore o di ascoltare attentamente ciò che dice. D’altro
canto, una volta che incomincerete a dialogare con quella persona, farete rinascere il lato
umano della sua personalità e riuscirete, di rimando, a esprimere il vostro.
Inoltre, se gestirete i conflitti con integrità, essi vi porteranno a una crescita della consapevolezza e a un miglioramento di voi stessi. La rabbia incontrollata, un atteggiamento
difensivo e la vergogna vanno a minare tali possibilità. Tutti si sentono meglio una volta
risolti i problemi e trovata una soluzione, e si sentono peggio quando soccombono o
falliscono nel risolverli. L’amara verità è che le vittorie rabbiose portano a una sconfitta
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Parte III
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I gruppi e i processi sociali
a lungo termine. Gli sconfitti si ritirano, si sentono traditi e perduti, e conserveranno tale
sentimento per il conflitto successivo.
Il conflitto può essere visto semplicemente come un modo per imparare qualcosa
di più in merito a ciò che non funziona e a come risolvere il problema. L’utilità della
soluzione dipende da quanto profonda sia la vostra comprensione del problema. Questo
è legato alla vostra capacità di ascoltare, che dipende, a sua volta, dall’arresto del ciclo
di escalation e dalla ricerca di opportunità e di miglioramenti.7
Per farla breve, una situazione “win-win” (in cui si lavora per la vittoria di entrambi)
è migliore di una situazione “win-lose” (in cui uno dei due deve soccombere), sia
nell’ambito di un conflitto che di una negoziazione.
Il continuum dei conflitti
Nel corso del XX secolo, le idee legate alla gestione del conflitto sono passate attraverso un’interessante evoluzione; all’inizio del secolo, esperti di scientific management
come Taylor ritenevano che tutti i conflitti, in definitiva, costituissero una minaccia
per l’autorità manageriale e che pertanto dovessero essere evitati o risolti celermente.
In seguito, i sostenitori delle relazioni umane hanno riconosciuto l’inevitabilità del
conflitto e suggerito ai manager di imparare a convivere con esso. Il fattore più importante, tuttavia, è sempre stato legato, laddove possibile, alla risoluzione del conflitto. A
partire dagli anni ’70, gli studiosi di comportamento organizzativo si sono resi conto
che il conflitto, a seconda della sua natura e intensità, portava a risultati sia negativi
che positivi. Tale prospettiva ha introdotto l’idea rivoluzionaria secondo la quale le
organizzazioni potessero soffrire del fatto di avere troppo pochi conflitti. La figura 13-1
illustra il rapporto tra l’intensità del conflitto e i risultati.
Gruppi di lavoro, uffici o organizzazioni aventi a che fare con una quantità troppo
ridotta di conflitti hanno la tendenza a essere afflitti da apatia, mancanza di creatività,
indecisione e scadenze non rispettate. Un conflitto eccessivo, tuttavia, può minare la
Figura 13-1
Relazione tra l’intensità
del conflitto e i risultati
Risultati
Fonte: L.D. Brown, Managing
Conflict of Organizational
Interfaces, (Reading; MA,
Addison-Wesley Publishing,
1986), figura 1.1, p. 8 © 1986,
Addison-Wesley Publishing Co.
Riprodotto su autorizzazione.
Positivi
Neutrali
Negativi
Conflitto
troppo basso
Bassa
Conflitto
adeguato
Conflitto
troppo elevato
Moderata
Alta
Intensità
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13
Gestione del conflitto e negoziazione
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performance organizzativa a causa di lotte politiche interne, insoddisfazioni, mancanza
di lavoro di squadra e turnover. Il bullismo nell’ambiente di lavoro, subito da un terzo
degli intervistati in un recente sondaggio,8 è certamente classificabile come conflitto
patologico; anche l’aggressività e la violenza sul posto di lavoro possono essere manifestazioni di un conflitto eccessivo.9 Tipologie e livelli adeguati di conflitto, invece,
forniscono le giuste energie per muoversi in direzioni costruttive.
Conflitto funzionale e conflitto patologico
Conflitto funzionale: conflitto che promuove gli interessi
dell’organizzazione
Conflitto patologico: conflitto che minaccia gli interessi
dell’organizzazione
La distinzione tra conflitto funzionale e conflitto patologico è in relazione a quanto
gli interessi dell’organizzazione vengano o meno soddisfatti. Stando a quanto afferma
un esperto di conflitto
Alcuni [tipi di conflitto] sostengono gli obiettivi dell’organizzazione e migliorano la
performance; possono quindi essere interpretati come forme di conflitto costruttive,
funzionali e fisiologiche. Vi sono, invece, forme di conflitto che ostacolano la performance organizzativa; esse sono definite patologiche o distruttive. Non sono auspicabili
e i manager dovrebbero fare di tutto per evitarle.10
Il conflitto funzionale viene anche comunemente definito costruttivo o cooperativo. In
relazione a quanto abbiamo affermato in precedenza rispetto al linguaggio del conflitto, coloro che hanno un atteggiamento funzionale adottano un approccio win-win per
risolvere i problemi e trovare un terreno comune. L’esperto in psicologia organizzativa
Kerry Sulkowicz traccia una distinzione importante tra aggressività e assertività in
questa osservazione sul conflitto funzionale.
I migliori CEO con i quali mi capita di lavorare sanno come fare pressione, dire di no,
iniziare e vincere una battaglia quando è necessario. Addio lavoro in team? In realtà,
la collaborazione e il confronto non si escludono a vicenda. Esiste l’aggressività – un
meccanismo di sopravvivenza di base – e poi esiste l’assertività, la cugina più mansueta
e socialmente accettabile, che può essere impiegata efficacemente anche tra persone che
lavorano “nello stesso schieramento”.
La necessità di essere assertivi emerge di continuo: è fondamentale nelle negoziazioni
contrattuali, nella bocciatura di un lavoro svolto male, nella critica di una strategia, nel
licenziamento (o nella difesa) di un collaboratore. Eppure alcuni farebbero di tutto pur
di evitare il confronto […] Piuttosto stranamente, il segreto è essere empatici con la
persona con cui ci si confronta. A tal fine, conviene addurre dati utili anziché impressioni, offrire alternative assieme alle obiezioni e limitare i commenti al peccato, non al
peccatore. L’antagonista non vorrà più sentire ragioni dopo essersi sentito attaccato sul
piano personale. È fondamentale evitare i moralismi. E gongolare dopo essere riusciti
a prevalere. I vincitori meschini non piacciono a nessuno.11
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Parte III
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I gruppi e i processi sociali
Antecedenti del conflitto
Alcune situazioni generano più conflitti di altre. Conoscendo gli antecedenti del conflitto, i manager saranno maggiormente in grado di anticiparlo e di agire nel caso in
cui esso diventi patologico. Ecco alcune tra le situazioni che tendono a creare conflitti,
funzionali o patologici.
• Personalità o sistemi di valori incompatibili.
• Confini di ruolo poco chiari o sovrapposti.
• Competizione per risorse limitate.
• Competizione tra diversi sottosistemi organizzativi.
• Comunicazione inadeguata.
• Attività interdipendenti (esempio: una persona non può portare a termine ciò che le
è stato assegnato fino a quando tutti non hanno completato la loro parte).
• Complessità organizzativa (il conflitto tende ad aumentare con l’aumento dei livelli
gerarchici e con una maggiore specializzazione delle attività).
• Politiche, standard o regole irragionevoli o poco chiare.
• Scadenze irragionevoli o esagerate pressioni sui tempi.
• Processi decisionali collettivi (più elevato è il numero delle persone che prendono
parte a un processo decisionale, più alta è l’eventualità che si venga a creare un
conflitto).
• Processo decisionale basato sul consenso.
• Aspettative non realizzate (i collaboratori aventi aspettative non realizzabili in merito a incarichi di lavoro, stipendi o promozioni hanno una maggiore propensione
al conflitto).
• Conflitti rimasti irrisolti o sospesi.12
I manager proattivi sono coloro che tengono conto di queste situazioni e che prendono
adeguati provvedimenti.
Soluzioni auspicabili dei conflitti
Nell’ambito delle organizzazioni la gestione del conflitto è qualcosa di più del perseguimento di un accordo. Il conflitto deve essere non solo eliminato, ma risolto in modo
funzionale all’organizzazione. Per arrivare a questo risultato è necessario allargare la
visuale. Il modello del conflitto cooperativo di Tjosvold suggerisce di perseguire tre
risultati:
1. Accordo. Ma a quale costo? Gli accordi equi e leali sono i migliori; infatti un accordo
che lascia a una delle parti una sensazione di sconfitta tenderà ad alimentare rancore
e un conseguente ulteriore conflitto.
2. Rapporti più solidi. Buoni accordi permettono alle parti in conflitto di costruire
legami basati su buona volontà e fiducia, che potranno essere utilizzati in seguito.
Inoltre le parti in causa che hanno costruito una buona fiducia reciproca possono
arrivare più rapidamente a un accordo.
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Gestione del conflitto e negoziazione
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3. Apprendimento. Un conflitto funzionale può creare una maggiore consapevolezza di
sé e un problem-solving di tipo creativo. Come per ogni pratica manageriale, anche
la gestione del conflitto si apprende principalmente praticandola. La conoscenza dei
concetti e delle tecniche presentate nel presente capitolo costituisce un primo passo
necessario, ma non può sostituire la pratica concreta. In un mondo pieno di conflitti
esistono opportunità infinite per esercitarsi in questa attività.13
Tipologie di conflitto
Alcuni antecedenti del conflitto, messi in evidenza nel paragrafo precedente, necessitano di un approfondimento. La presente sezione esaminerà la natura e le implicazioni
organizzative di tre tipi principali di conflitto: il conflitto di personalità, il conflitto fra
gruppi e il conflitto interculturale. La discussione relativa a ciascun tipo di conflitto
include alcune tecniche e suggerimenti pratici.
Conflitto di personalità
Nel corso dell’esposizione relativa alla diversità, nel Capitolo 2, abbiamo toccato l’argomento della personalità, che è stato poi ripreso discutendo il modello dei Big Five
nel Capitolo 5. Sintetizzando, la personalità è l’insieme di tratti e caratteristiche stabili
che creano una identità specifica e unica. Come sottolineano alcuni esperti in materia:
Ciascuno di noi possiede un modo unico di interagire con gli altri. Il fatto di essere visti
come affascinanti, irritanti, ordinari, avvicinabili o intimidatori, dipende in parte dalla
nostra personalità o da quello che altri potrebbero descrivere come il nostro stile.14
Conflitto di personalità:
contrasto interpersonale basato su personali antipatie,
disaccordi o modi di essere
differenti
Dati gli infiniti modi in cui i tratti della personalità possono combinarsi tra loro, diventa
evidente come mai i conflitti di personalità siano praticamente inevitabili. Il conflitto di
personalità si definisce come un contrasto interpersonale basato su personali antipatie,
disaccordi e/o modi di essere differenti.
Intolleranza sul posto di lavoro: i germi del conflitto di personalità In parte simili
al dolore fisico, i conflitti di personalità cronici cominciano spesso con irritazioni apparentemente insignificanti. Due ricercatori di comportamento organizzativo mettono
in guardia rispetto al problema e alle sue conseguenze:
L’intolleranza, o la mancanza di rispetto reciproco tra i collaboratori, è costosa per le
organizzazioni in modo sottile e pervasivo. Sebbene i comportamenti intolleranti siano
piuttosto comuni, numerose organizzazioni non li riconoscono e poche ne comprendono
gli effetti dannosi; gran parte dei manager e dei dirigenti non sono ben preparati a gestirli.
Nell’arco degli ultimi otto anni, indagando sul fenomeno attraverso interviste, focus
group, questionari, esperimenti e forum con dirigenti, con il coinvolgimento di oltre 2.400
persone negli Stati Uniti e in Canada, abbiamo riscontrato che l’intolleranza induce le
vittime, i testimoni e altre parti interessate ad agire in maniera tale da erodere i valori
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Parte III
300
I gruppi e i processi sociali
organizzativi e impoverire le risorse dell’organizzazione. L’intolleranza nell’ambiente
di lavoro riduce l’impegno, la produttività, le prestazioni e il tempo dedicato al lavoro
dai collaboratori. Se non si cerca di arginare l’intolleranza, la soddisfazione lavorativa e
la lealtà nei confronti dell’organizzazione non potranno che diminuire. Alcuni lavoratori
abbandonano l’impiego esclusivamente per via dell’impatto di questa sottile forma di
devianza.15
I circoli viziosi di intolleranza devono essere evitati o prevenuti coltivando una cultura
organizzativa che attribuisca un alto valore al rispetto per le persone. Ciò implica che
manager e leader siano modelli di cortesia e attenzione. Altresì utile è uno spirito di
positiva collaborazione che si contrapponga a uno basato su atteggiamenti negativi e
aggressività.
Alcune organizzazioni hanno adottato corsi di correttezza sul posto di lavoro; più
specificamente, un feedback costruttivo o modelli di comportamento appropriato possono contenere comportamenti irritanti evitando che precipitino in un vero e proprio
conflitto di personalità (o peggio).16
Gestione dei conflitti di personalità I conflitti di personalità, per i manager, sono un
potenziale campo minato. Vediamo di inquadrare il problema: i tratti della personalità,
per definizione, sono stabili e resistenti al cambiamento. Secondo quanto riportato nel
Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders della American Psychiatric
Association, inoltre, esistono 410 tipi di disordine psicologico possibili, che si possono
manifestare anche sul luogo di lavoro.17 In questa situazione si sommano anche fattori
legali; infatti i collaboratori statunitensi che soffrono di disturbi psicologici, come la
depressione, o di fattori di alterazione dell’umore, come l’alcolismo, sono protetti
dall’American with Disbilities Act.18 Questo accade anche in altri paesi che dispongono di leggi simili. Anche le molestie sessuali e altre forme di discriminazione possono
nascere da conflitti di personalità. Infine queste tipologie di conflitto possono generare
violenza e aggressività sul posto di lavoro.
Tradizionalmente i manager si sono confrontati con i conflitti di personalità ignorandoli oppure trasferendo una delle persone coinvolte. Alla luce delle implicazioni
legali sopra riportate, entrambe le opzioni si prestano a denunce per discriminazione. La
tabella 13-1 fornisce suggerimenti pratici per i manager e per tutte le persone coinvolte
o colpite da conflitti di personalità. Successivamente verranno discusse le tecniche di
gestione dei conflitti patologici e le tecniche alternative di risoluzione dei conflitti.
Conflitto tra gruppi
I conflitti tra gruppi di lavoro, team e sottosistemi organizzativi rappresentano una
comune minaccia alla competitività dell’organizzazione. Quando Michael Volkema,
a metà degli anni ‘90, è diventato amministratore delegato della Herman Miller, ad
esempio, si è trovato di fronte lo scenario di un’azienda concentrata verso l’interno, con
funzioni in conflitto tra loro per questioni di budget. Da allora Volkema ha tenuto sotto
controllo il conflitto tra gruppi cercando di dare maggior enfasi alla collaborazione e
orientando l’attenzione di ciascun collaboratore verso l’esterno, cioè verso il cliente.19
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13
Gestione del conflitto e negoziazione
301
Tabella 14-1 Come gestire i conflitti di personalità
Suggerimenti per gestire conflitti
di personalità tra pari
• Comunicare direttamente con l’altra
persona al fine di risolvere il conflitto
percepito (valorizzare il problem-solving
gli obiettivi comuni piuttosto che elementi legati alla personalità)
• Evitare di coinvolgere i colleghi nel conflitto
• Se un conflitto patologico persiste
cercare aiuto nei diretti supervisori,
o presso gli esperti in risorse umane
Suggerimenti per spettatori
di conflitti di personalità
• Nel caso di conflitti di personalità
che riguardano qualcun altro non
prendere le parti di nessuno
• Suggerire alle parti coinvolte di ririsolvere i problemi in modo costruttivo e positivo
• Se il conflitto patologico persiste riferire il problema al diretto supervisore delle parti in causa
Suggerimenti per manager aventi
collaboratori che soffrono di conflitti
di personalità
• Condurre indagini e documentare il
conflitto
• Se è il caso farsi parte attiva (ad esempio fornire feedback o formazione
comportamentale)
• Se necessario tentare una risoluzione informale del conflitto
• In caso di conflitti difficili fare riferimento a specialisti in risorse umane
o consulenti interni all’azienda per
tentare di risolverli formalmente o
tramite provvedimenti di altra natura
Nota: tutti i collaboratori devono conoscere e seguire le politiche dell’azienda in merito a diversità, discriminazione e molestie sessuali.
È evidente che i manager che comprendono i meccanismi del conflitto tra gruppi sono
maggiormente preparati ad affrontare tale tipo di sfida.
In-group thinking: i germi del conflitto tra gruppi Come discusso nei capitoli precedenti, la coesione – intesa come senso di “pluralità” che tiene uniti i gruppi – può essere
un fattore positivo o negativo. Un certo grado di coesione può trasformare un gruppo
di individui in una squadra efficiente. Un grado troppo elevato di coesione, invece, può
dare adito al cosiddetto in-group thinking (pensare in gruppo), per il quale il desiderio di
non creare disaccordi ha la meglio sul senso critico. Uno studio sulle dinamiche interne
al gruppo, condotto da esperti dell’argomento, ha rivelato l’esistenza di tutta una serie
di cambiamenti legati a un incremento della coesione di gruppo. In dettaglio:
•
Le persone all’interno del gruppo si considerano un insieme di individui unici,
mentre considerano stereotipicamente i membri di altri gruppi “tutti uguali fra loro”.
• Le persone all’interno del gruppo si considerano positive e moralmente corrette,
mentre considerano negativi e immorali i membri di altri gruppi.
• Le persone all’interno del gruppo vedono gli elementi esterni come una minaccia.
• Le persone all’interno del gruppo portano all’estremo le differenze tra il loro gruppo
e gli altri. Tale comportamento comporta, notoriamente, una distorta percezione
della realtà.20
Un gruppo di tifosi fanatici, che non riescono proprio a immaginare la ragione per cui
qualcuno dovrebbe tifare per la squadra rivale, rappresentano un esempio di in-group
thinking. Questo modello di comportamento, inoltre, rappresenta una forma di etnocentrismo, individuata nel Capitolo 4 come barriera interculturale.
L’in-group thinking rappresenta, nella vita organizzativa, un fattore che quasi sicuramente prepara un conflitto. I manager non lo possono eliminare, ma certamente,
quando si trovano a dover gestire conflitti tra gruppi, non devono ignorarlo.
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Parte III
302
I gruppi e i processi sociali
Lezioni dalla ricerca per la gestione dei conflitti tra gruppi I sociologi, per ridurre i conflitti tra gruppi, hanno più volte suggerito il contatto reciproco. L’ipotesi del
contatto può essere così descritta: maggiore è il grado di interazione tra i membri di
gruppi diversi, minore sarà il numero di conflitti tra gruppi che essi sperimenteranno.
Chi è interessato a un miglioramento dei rapporti razziali o internazionali tra i manager,
incoraggerà tipicamente l’interazione tra un gruppo e l’altro. Si spera che qualsiasi
tipo di interazione, che non abbia conflitti recenti, ridurrà la tendenza alla stereotipizzazione e combatterà l’in-group thinking. I risultati delle ricerche non sono univoci.
Una meta-analisi di 515 studi diversi ha avvalorato l’ipotesi del contatto, riscontrando
un’associazione tra la maggiore interazione tra gruppi diversi e minori pregiudizi.21
D’altro canto, uno studio condotto su 83 dipendenti di centri sanitari (l’83% dei quali
erano donne) di un’università statunitense del Midwest, ad esempio, ha indagato sulla
natura specifica dei rapporti tra gruppi ed è giunto alla seguente conclusione:
Il numero delle relazioni negative era significativamente correlato con le elevate percezioni di conflitti tra gruppi. Sembra, pertanto, che le relazioni negative abbiano un’importanza che va ben oltre qualsiasi possibile effetto positivo relativamente alla creazione
di legami amichevoli tra i gruppi.22
Come documentato da numerosi studi, legami di amicizia tra gruppi sono ancora cosa
auspicabile;23 essi sono tuttavia sopraffatti da interazioni negative tra i gruppi. La
priorità assoluta per i manager aventi a che fare con conflitti tra i gruppi è pertanto
quella di identificare ed estirpare specifici legami negativi tra i gruppi. Un conflitto di
personalità, ad esempio, potrebbe, da solo, intaccare l’intera esperienza tra i gruppi. La
stessa cosa vale per un collaboratore che diffonde opinioni o voci negative in merito a
Figura 14-2
Un modello aggiornato
di sviluppo dei contatti
per minimizzare i conflitti
tra gruppi
Interventi suggeriti:
Il livello di conflitto tra gruppi percepito
tende ad aumentare quando:
• Il conflitto all’interno del gruppo
è alto.
• Le interazioni tra gruppi, (o tra
i membri di quei gruppi), sono
negative.
• L’influenza di pettegolezzi da parte
di terzi su altri gruppi è negativa.
CompOrga.indb 302
• Lavorare per eliminare interazioni
negative specifiche tra i gruppi
(e i singoli membri).
• Proporre la formazione sul team
building al fine di ridurre il conflitto
tra i gruppi e preparare
i collaboratori per un lavoro
di gruppo interfunzionale.
• Incoraggiare le amicizie personali
e i buoni rapporti d’affari tra i gruppi
e i reparti.
• Sostenere atteggiamenti positivi
nei confronti di membri di altri gruppi
(empatia, compassione, comprensione).
• Evitare o neutralizzare pettegolezzi
negativi tra i gruppi e i reparti.
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13
Gestione del conflitto e negoziazione
303
un altro gruppo. Il modello di contatto, riportato nella figura 13-2, si basa su questi e altri
risultati di studi recenti, che comportano ad esempio la necessità di sostenere atteggiamenti positivi nei confronti di altri gruppi. Si noti, inoltre, che se si vuole minimizzare il
conflitto, è necessario agire all’interno del gruppo evitando la diffusione di pettegolezzi
negativi da parte di terzi, pettegolezzi che costituiscono una vera e propria minaccia.24
Conflitti interculturali
Le relazioni con persone appartenenti a culture diverse sono cosa comune nella nostra
economia globale dove le fusioni, le società miste e le alleanze sono all’ordine del giorno.25 In queste situazioni, dati i diversi presupposti in merito al modo di pensare e agire,
l’eventualità di un conflitto interculturale è tanto immediata quanto di vasta portata.26 Il
successo o il fallimento, nella conduzione di affari tra realtà culturali diverse, dipendono
spesso dal fatto di evitare o minimizzare un conflitto reale o presunto. Considerate, ad
esempio, l’equivoco interculturale di seguito riportato:
I messicani danno grande importanza a “salvare la faccia” durante un conflitto, e hanno quindi la tendenza ad aspettarsi che qualunque situazione si verifichi nel corso di
negoziazioni venga minimizzata o tenuta segreta. L’atteggiamento predominante [negli
Stati Uniti] è invece quello di gestire il conflitto direttamente e pubblicamente, al fine
di evitare lo sviluppo di risentimenti a livello personale.27
Non è necessario, e forse sarebbe impossibile, stabilire chi abbia ragione e chi torto;
viceversa, ciascuno deve comprendere quanto sia utile superare le differenze culturali
al fine di portare a termine con successo una transazione economica. La consapevolezza
delle dimensioni interculturali del progetto GLOBE, di cui si è trattato nel Capitolo 4,
rappresenta un importante punto di partenza. È inoltre necessario identificare e neutralizzare gli stereotipi; è possibile altresì moderare il conflitto interculturale ricorrendo a
consulenti internazionali e costruendo solide relazioni interculturali.
Consulenti internazionali In risposta a una crescente domanda, l’esercito dei consulenti manageriali specializzati in rapporti interculturali assume dimensioni sempre
più cospicue. La competenza e le tariffe, come è ovvio che sia, sono tra le più varie.
Un consulente interculturale, accuratamente selezionato, può risultare, tuttavia, molto
utile. Osservate l’esempio seguente:
Quando l’impresa di elettronica Canon ha progettato di fondare, tramite la sua sezione
olandese, una filiale a Dubai, si è rivolta al consulente Sahid Mirza di Glocom, che si
trovava sul posto, perché scoprisse come le due culture avrebbero potuto lavorare insieme.
Mirza ha distribuito dei test sotto forma di questionari ottenendo un certo responso. “I
risultati mi hanno alquanto sorpreso” spiega. “Abbiamo notato che, a livello generale, le
differenze erano sostanzialmente poche. Molti uomini d’affari arabi provenivano da ex
colonie inglesi, pertanto avevano una visione della conduzione degli affari molto simile
a quella olandese.” Per quanto riguarda, invece, il comportamento, è stato riscontrato
un vero e proprio conflitto. “Gli olandesi sono molto franchi e diretti nel loro modo di
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Parte III
304
I gruppi e i processi sociali
esprimersi e ciò risulta molto offensivo per la sensibilità araba.” […] Il risultato della
ricerca di Mirza è che la Canon ha fondato una filiale a Dubai, ma si è prima preoccupata
di formare professionalmente alla comunicazione interculturale sia i manager olandesi
che quelli arabi.28
I consulenti possono inoltre aiutare a distinguere eventuali conflitti tra gruppi o di personalità da conflitti radicati nella differenza tra culture nazionali. È infine importante
sottolineare che sebbene abbiamo considerato queste tre tipologie di conflitto separatamente, nella comunicazione interpersonale quotidiana esse si riscontrano in un insieme
complesso e confuso.
Costruire relazioni interculturali per evitare conflitti patologici Lo studio, condotto da Rosalie L. Tung su 409 espatriati da multinazionali canadesi e statunitensi,
citato nel Capitolo 4, è molto istruttivo.29 La sua inchiesta ha cercato di individuare
i fattori di successo per gli espatriati (il 14% dei quali erano donne), che lavoravano
in 51 diversi paesi in tutto il mondo. Nove metodi specifici per facilitare l’interazione
con gli abitanti del paese ospitante, classificati dagli intervistati dai più utili ai meno
utili, sono elencati nella tabella 13-2. Al primo posto troviamo una buona capacità di
ascolto, seguita da sensibilità verso gli altri e dalla collaborazione, che va preferita alla
competizione. È interessante notare come i manager statunitensi siano culturalmente
caratterizzati da qualità opposte: mediocri ascoltatori, schietti a tal punto da sfiorare
l’insensibilità e eccessivamente competitivi. Alcuni manager dovrebbero aggiungere il
fattore consapevolezza e gestione di sé alla lista dei metodi necessari alla minimizzazione del conflitto interculturale.30
Gestire i conflitti
Come abbiamo potuto notare il conflitto ha molti aspetti e rappresenta una costante sfida
per i manager responsabili del raggiungimento di obiettivi organizzativi. Ci concentreremo ora sulla gestione attiva sia del conflitto funzionale che di quello patologico.
Discuteremo su come stimolare i conflitto funzionali, su come gestire quelli patologici
Tabella 13-2
Modi di costruire relazioni
interculturali
Fonte: adattato da R.L.
Tung, “American Expatriates
Abroad: From Neophytes to
Cosmopolitans,” Journal of World
Business, estate 1998, tabella 6,
p. 136.
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Comportamento
Classifica
Siate buoni ascoltatori
Siate sensibili ai bisogni degli altri
Siate collaborativi piuttosto che iper-competitivi
Sostenete una leadership inclusiva (partecipativa)
Cercate di accomodare piuttosto che prevalere
Costruite relazioni tramite conversazioni
Siate comprensivi
Evitate il conflitto valorizzando l’armonia
Prendetevi cura degli altri (agite sullo sviluppo e fate da mentore)
1
2
2
3
4
5
6
7
8
pari merito
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13
Gestione del conflitto e negoziazione
305
e su come le terze parti possano contribuire alla soluzione di un conflitto. Verranno,
inoltre, esaminati i contributi delle ricerche a questo tema.
Stimolare i conflitti funzionali
Conflitto programmato:
incoraggia opinioni diverse
prescindendo dai sentimenti
personali del management
Avvocato del diavolo: assegnare a qualcuno il ruolo
di critico
Metodo dialettico: sviluppare un dibattito tra punti di
vista opposti per una migliore
comprensione del problema
CompOrga.indb 305
I comitati e i gruppi che devono prendere decisioni, talvolta, si perdono nei dettagli
e nelle procedure tanto da non raggiungere nessun risultato sostanziale. Un conflitto
funzionale tenuto adeguatamente sotto controllo potrebbe riaccendere nuovamente lo
spirito creativo. I manager dispongono, in sostanza, di due possibilità: possono soffiare sul fuoco di un conflitto sviluppatosi in modo spontaneo, ma questa tattica può
trasformarsi in un approccio lento e poco sicuro; oppure possono ricorrere al conflitto
programmato,31 definito dagli esperti in materia come “un conflitto che suscita opinioni diverse a prescindere dai personali sentimenti dei manager”.32 Il trucco sta nel
fare in modo che chiunque partecipi alla discussione debba difendere o criticare le idee
basandosi su fatti rilevanti e non su preferenze personali e interessi politici. Per arrivare
a questo è necessaria una disciplinata interpretazione dei ruoli. Due tecniche di conflitto
programmato di comprovato successo sono quella dell’avvocato del diavolo e quella
del metodo dialettico, che esaminiamo successivamente.
L’avvocato del diavolo Tale tecnica prende il nome da una pratica attuata nella
Chiesa Cattolica. Quando davanti al Collegio dei Cardinali veniva presentato un candidato alla santità era essenziale assicurarsi che avesse condotto una vita esemplare. Di
conseguenza a un individuo veniva assegnato il ruolo di avvocato del diavolo, avente
il compito di scoprire e rendere noti tutti i possibili elementi che potessero costituire
un fattore d’ostacolo verso la canonizzazione. Similmente, ricorrere all’avvocato del
diavolo nelle odierne organizzazioni significa assegnare a qualcuno il ruolo di critico.33
Nel Capitolo 10, come si ricorderà, Irving Janis raccomandava il ricorso al ruolo di
avvocato del diavolo per evitare il problema del groupthink.
Si noti come, nella parte sinistra della figura 13-3, l’introduzione dell’avvocato del
diavolo possa alterare un processo decisionale altrimenti lineare. Questo approccio al
conflitto programmato è volto a stimolare senso critico e una forte adesione ai dati di
fatto.34 È consigliabile alternarsi nel ruolo di avvocato del diavolo per evitare che una
sola persona o un gruppo si crei una reputazione esclusivamente negativa. Rivestire
periodicamente questo ruolo, inoltre, costituisce un buon addestramento per lo sviluppo
di abilità comunicative e analitiche, e di intelligenza emotiva.
Metodo dialettico Come per quello dell’avvocato del diavolo, il metodo dialettico
è una pratica nota da tempo. Tale approccio particolare al conflitto programmato risale
all’antica Grecia. Platone e i suoi seguaci tentavano di sintetizzare le verità esplorandone le posizioni opposte (chiamate tesi e antitesi). Ancora oggi nei processi, negli
Stati Uniti e altrove, per provare colpevolezza o innocenza, si utilizza il confronto di
punti di vista diametralmente opposti. Parimenti, il metodo dialettico odierno chiama i
anager a sostenere, prima di prendere una decisione, un dibattito strutturato basato su
punti di vista opposti.35 Il 3° e 4° passaggio nella parte destra della figura 13-3 isolano
l’approccio dialettico dal processo decisionale.
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Parte III
306
Figura 13-3
Tecniche per stimolare un
conflitto funzionale: avvocato
del diavolo e metodo
dialettico
Fonte: R.A. Cosier e C.R.
Schwenk, “Agreement and
Thinking Alike: Ingredients for
Poor Decisions,” Academy of
Management Executive, febbraio
1990, pp. 72-73.
I gruppi e i processi sociali
Itinerario decisionale basato sul metodo
dell’avvocato del diavolo
Metodo decisionale dialettico
1
Si crea un itinerario per l’azione.
1
Si crea un itinerario per l’azione.
2
Un avvocato del diavolo (che può essere
sia un individuo che un gruppo) ha
il compito di criticare la proposta.
2
Vengono identificati i presupposti
sottesi alla proposta.
3
La critica viene presentata
ai decisori chiave.
3
Viene prodotta una controproposta
basata su presupposti diversi.
4
Si riunisce qualunque forma
di informazione aggiuntiva rilevante
nella discussione.
4
I portavoce di ciascuna posizione
presentano e discutono i valori delle
loro proposte di fronte ai decisori chiave.
5
Si prende la decisione necessaria
ad adottare, modificare o abbandonare
il corso d’azione proposto.
5
Viene presa la decisione per l’adozione
di una o l’altra posizione, oppure,
per esempio: un compromesso.
6
La decisione viene monitorata.
6
La decisione viene monitorata.
Lo svantaggio maggiore del metodo dialettico è che lo stimolo a vincere nella disputa
potrebbe offuscare il problema in discussione. Tale metodo, di conseguenza, richiede
una formazione più puntuale rispetto a quello dell’avvocato del diavolo. L’efficacia dei
due metodi paragonata in uno studio di laboratorio ha portato a una situazione di parità.
Confrontati con gruppi orientati al consenso, i gruppi che hanno adottato il metodo
dell’avvocato del diavolo e quello dialettico sono giunti a decisioni di qualità migliore,
pressoché nella stessa misura.36 Secondo una ricerca più recente, tuttavia, gruppi che
sono ricorsi al metodo dell’avvocato del diavolo hanno prodotto risultati più efficaci
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13
Gestione del conflitto e negoziazione
307
e fornito soluzioni migliori di quanto non abbiano fatto gruppi che hanno adottato il
metodo dialettico.37
Alla luce dell’eterogeneità dei risultati di ricerca i manager possono scegliere con
libertà quale dei diversi metodi adottare al fine di risvegliare discussioni arenate in un
punto morto. La preferenza personale e l’esperienza nell’interpretazione di ruoli possono essere considerate, a tutti gli effetti, fattori decisivi nella scelta di un approccio
rispetto all’altro. È comunque importante, laddove necessario, stimolare attivamente
un conflitto funzionale, vale a dire, ad esempio, quando il rischio del conformismo o
del groupthink è molto alto. Joseph M. Tucci, amministratore delegato della EMC di
cui abbiamo parlato in precedenza, incoraggia il conflitto funzionale creando un clima
orientato a sostenere il dissenso:
Leader abili lasciano sempre spazio al dibattito e all’espressione di opinioni diverse. La
squadra deve essere in armonia; ma prima di prendere qualsiasi decisione occorre che
vi sia una discussione: la leadership non è un diritto, bisogna guadagnarsela sul campo.
Ogni azienda necessita di una sana paranoia. Spetta al leader il compito di tenerla accesa,
di creare tensione all’interno del sistema.38
Quanto affermato è coerente con i risultati di alcuni studi sperimentali che hanno rilevato
un legame positivo tra il grado di dissenso della minoranza e l’innovazione nel gruppo,
ma solo dove si fosse ricorsi a un processo decisionale partecipativo.39
Stili alternativi per la gestione del conflitto patologico
Figura 13-4
Cinque stili per la gestione
dei conflitti
Fonte: M.A. Rahim, “A Strategy
for Managing Conflict in Complex
Organizations,” Human Relations,
gennaio 1985, p. 84. Riprodotto
su autorizzazione della Plenum
Publishing.
Preoccupazione per gli altri
Le persone tendono a gestire i conflitti negativi ricorrendo a modelli definibili come
stili. Nel corso degli anni diversi stili di conflitto sono stati raggruppati in categorie.
Secondo il modello di Afzalur Rahim, studioso della materia, è possibile tracciare
cinque diverse tipologie di stili di gestione del conflitto, che possono essere inseriti in
una griglia bidimensionale. Sull’asse orizzontale della griglia troviamo un grado alto
o basso di preoccupazione per sé, mentre sull’asse verticale troviamo un grado alto o
basso di preoccupazione per gli altri (figura 13-4). La combinazione di tali variabili
Alta
Integrante
Premuroso
Favorevole
al compromesso
Bassa
Dominante
Propenso a evitare
il conflitto
Alta
Bassa
Preoccupazione per sé
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308
Parte III
I gruppi e i processi sociali
produce cinque diversi stili di gestione del conflitto: integrante, premuroso, dominante, propenso a evitare il conflitto e favorevole al compromesso.40 Non esiste uno stile
migliore di altri; ciascuno di essi è fatto di punti di forza e limiti ed è più efficace in
alcune situazioni piuttosto che in altre.
Integrante Persone caratterizzate da questo stile confrontano i contenuti e collaborano nell’identificazione del problema, generando e soppesando soluzioni alternative,
e, infine, arrivano a identificare una soluzione.41 Tale stile è appropriato nel caso di
questioni complesse generate da malintesi e nella risoluzione di conflitti radicati in
sistemi di valori contrapposti. Il principale punto di forza di questo stile consiste nelle
soluzioni di lunga durata che esso determina, legate ad aver affrontato i veri problemi
sottesi piuttosto che i semplici sintomi apparenti. L’elemento di debolezza principale è
legato ai tempi lunghi che esso richiede.
Premuroso “Una persona premurosa mette in secondo piano le sue preoccupazioni
in favore di quelle dell’altra parte.”42 Tale stile, spesso definito come quello dell’appianatore, implica la minimizzazione delle differenze e la valorizzazione dei punti in
comune. Esso può essere considerato una strategia adeguata per la gestione del conflitto
nel caso in cui sia eventualmente possibile ottenere qualcosa in cambio; è, d’altro canto,
inadeguata nel caso di problemi più complessi e gravi. Il suo punto di forza principale
sta nella valorizzazione della collaborazione;43 il punto debole è che spesso arriva a
una soluzione temporanea.
Dominante Un alto grado di preoccupazione per sé contro un basso di grado di preoccupazione per gli altri favorisce tattiche del tipo “io vinco, tu perdi”. I bisogni dell’altra
parte vengono ampiamente ignorati. Tale stile viene spesso chiamato coercitivo, perché
si basa sull’autorità formale che costringe all’obbedienza. Lo stile dominante è adeguato
quando è necessario attuare una soluzione impopolare, il problema passa in secondo
piano, la scadenza è vicina oppure incombe una crisi. Non è adeguato nell’ambito di un
clima aperto e partecipativo; il suo punto di forza è la rapidità, la principale debolezza
sta nel fatto di essere spesso causa di risentimento. È interessante notare come il Centro
Nazionale per le Donne in Polizia citi la diffusione di questo stile come una delle ragioni
a favore di un maggior inserimento di personale femminile, in quanto più orientato a
capacità comunicative e di negoziazione diverse.44
Propenso a evitare il conflitto Questo stile può determinare sia un allontanamento
dal problema, sia un’attiva sospensione del problema in questione. Questo tipo di approccio è adeguato nel caso di questioni di scarso rilievo o in cui i costi del confronto
si bilanciano con i vantaggi che potrebbero derivare dalla risoluzione del conflitto. Non
è adeguato nel caso di problemi difficili o con tendenza al peggioramento. Il punto di
forza consiste nel far guadagnare tempo in situazioni ambigue o ancora in evoluzione.
La debolezza sta nel procurare una soluzione temporanea che non affronta il reale
problema soggiacente.
Favorevole al compromesso Si tratta di un approccio che comporta un dare-e-ricevere,
caratterizzato da un moderato grado di preoccupazione per sé e per gli altri. Un com-
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13
Gestione del conflitto e negoziazione
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promesso è appropriato nel caso in cui le parti mirino a obiettivi opposti o dispongano
dello stesso grado di potere. Non si tratta, invece, di una scelta adeguata nel caso in
cui porti a un’azione inconcludente (ad esempio il fallimento nel rispetto di importanti
scadenze). Il principale punto di forza di tale tattica di carattere democratico è data dal
fatto di non generare perdenti, ma anch’essa porta a una soluzione temporanea che può
soffocare un problem solving di carattere creativo.
Intervento da parte di terzi
In un mondo perfetto le persone cercherebbero di evitare il conflitto e gestirebbero
quelli in corso in modo diretto e con positività, ma questo è appunto un sogno. Nelle
dinamiche politiche delle organizzazioni possiamo trovarci nel ruolo di involontari (e
spesso impreparati) terze parti nel conflitto di altri. Perciò è importante conoscere le
dinamiche della triangolazione nel conflitto e alcune tecniche alternative di risoluzione,
argomento principale di questa sezione del capitolo.
Triangolazione del conflitto: parti in conflitto tra loro
coinvolgono una terza persona
invece di gestire la situazione
attraverso un confronto reciproco
Risoluzione alternativa del
conflitto: evitare costose azioni legali risolvendo i conflitti
in modo informale o con l’intervento di mediatori e arbitri
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Triangolazione del conflitto Immaginate questa situazione: nel bel mezzo di una
giornata piena di impegni venite interrotti dalla vostra vicina di ufficio, che inizia a
parlarvi dei suoi problemi con un collega dal carattere particolarmente difficile, chiedendovi di aiutarla a risolvere la faccenda. Ecco un classico esempio di triangolazione
del conflitto, che “si viene a creare quando due persone hanno un problema e, invece di
risolverlo parlando direttamente tra loro, una delle due coinvolge una terza persona”.45
Come vedremo nel capitolo 15, quando parleremo di politiche organizzative, i collaboratori hanno la tendenza a formare coalizioni politiche quando il potere ha una valenza
numerica. Nelle moderne organizzazioni si tratta di una situazione molto comune, spesso
deleteria. Il problema è: come comportarsi in questi casi?
Stando a quanto affermano gli esperti in materia, chi si trova coinvolto in una
triangolazione del conflitto ha a sua disposizione una vasta gamma di scelte. La figura
13-5 ci mostra come una risposta, in questi casi, possa sfociare in un conflitto funzionale o patologico. Le opzioni preferite, la numero 1 e la 2, chiamate detriangolazione,
implicano che la terza parte incanali l’energia dei contendenti/litiganti positivamente
in un confronto reciproco. È importante che la parte terza, nelle opzioni 1 e 2, eviti di
prendere le parti di una delle due coalizioni. Le opzioni comprese tra la 3 e la 8 possono
far scivolare verso un’ulteriore controproducente triangolazione. Le implicazioni politiche ed etiche, inoltre, si moltiplicano quando si adottano l’opzione 3 o le successive.
Risoluzione alternativa del conflitto I conflitti tra colleghi, tra collaboratori e datori
di lavoro e tra le aziende, si trascinano troppo spesso in estenuanti battaglie in tribunale. Negli ultimi anni ha guadagnato considerevole popolarità un approccio definito
come risoluzione alternativa del conflitto.46 Gli show televisivi, diffusi un po’ in tutto
il mondo, che imitano lo stile dei tribunali popolari operanti al di fuori del formale
sistema giudiziario, fanno in effetti parte di quella tendenza, definita da uno scrittore
con l’espressione “giustizia fai da te”.47 Secondo una coppia di avvocati canadesi del
lavoro, la risoluzione alternativa del conflitto “ricorre non tanto ai tradizionali approcci
antagonistici (quali un processo decisionale unilaterale o una causa giudiziaria), quanto
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Parte III
310
Figura 13-5
Opzioni di intervento
per le parti terze nella gestione
del conflitto
Fonte: la lista delle opzioni è
tratta da P. Ruzich,“Triangles:
Tools for Untangling Interpersonal
Messes,” HR Magazine, luglio
1999, p. 134.
Detriangolazione
(meno politica; basso
rischio di un conflitto
patologico)
Maggiore
triangolazione
(più politica; alto rischio
di un conflitto patologico)
I gruppi e i processi sociali
1. Dirottare le lamentele incoraggiando chi le esprime a trovare
modi per esporre, in modo costruttivo il problema
al destinatario. Non assumere il ruolo di ambasciatore.
2. Agevolare un incontro tra i due litiganti perché discutano
del problema in modo diretto e costruttivo.
3. Trasmettere, parola per parola, quanto affermato dal mittente
includendo nel messaggio il suo nome, e suggerire
al destinatario modi costruttivi per discutere della faccenda
con il mittente.
4. Trasmettere parola per parola quanto affermato dal mittente,
evitando però di rivelarne il nome.
5. Attenuare il messaggio da trasmettere al fine di proteggere
il mittente.
6. Aggiungere commenti personali al messaggio da trasmettere
al fine di proteggere il mittente.
7. Non fare nulla. I litiganti coinvolgeranno qualcun altro.
8. Non fare nulla e diffondere la voce. Sarete voi a creare
triangoli con altre parti.
a metodi di uso più familiare e più rapido”.48 Le tecniche legate a tale approccio, di
seguito riportate, rappresentano una serie di passi in successione utili alle parti terze
per aiutare la risoluzione dei conflitti organizzativi.49 Sono messe in ordine dalla più
semplice e meno dispendiosa a quella più difficile e onerosa. Sono sempre di più le organizzazioni che applicano politiche formali di risoluzione alternativa delle controversie
che implicano una sequenza stabilita di varie combinazioni di tali tecniche:
• Facilitazione. Una terza parte, di solito un manager, insiste formalmente affinché le
parti in causa discutano direttamente della questione in maniera positiva e costruttiva.
Come accennato in precedenza questa tecnica può essere intesa come una forma di
detriangolazione.
• Conciliazione. Una terza parte, che si mantiene in una posizione di neutralità, si presta
come filo conduttore di comunicazione informale tra le parti in causa. Tale tecnica
vale nel caso in cui le due parti coinvolte si rifiutino di incontrarsi faccia a faccia.
L’obiettivo immediato è quello di stabilire una comunicazione diretta puntando al
fine ultimo di trovare punti di incontro comuni e una soluzione costruttiva.
• Supervisione da parte dei pari. Un gruppo di colleghi di fiducia, scelti per la loro
obiettività, ascoltano, durante un incontro confidenziale e informale, entrambe le parti
in causa. A seconda della politica di risoluzione alternativa del conflitto, qualunque
decisione presa dal gruppo di revisione potrebbe non essere vincolante. La scelta
dei membri del gruppo di pari viene fatta spesso girare tra i collaboratori.
• Ombudsman (“difensore civico”). Figura che lavora nell’organizzazione, gode di
grande rispetto e fiducia da parte dei collaboratori, ascolta i motivi di risentimento
in forma confidenziale e cerca di trovare una soluzione. Tale approccio, di uso più
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Gestione del conflitto e negoziazione
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comune in Europa piuttosto che in Nord America, permette all’individuo di ricevere
un aiuto senza dover dipendere dalla formale catena di gerarchie.
• Mediazione. “Il mediatore – una terza parte addestrata e neutrale – aiuta attivamente
le due parti in causa nell’esplorazione di soluzioni innovative del conflitto. Sebbene
le aziende dispongano di mediatori interni opportunamente addestrati alle tecniche
di risoluzione alternativa, molte ricorrono anche a mediatori esterni che non hanno
legami con la compagnia.”50 Diversamente da un arbitro, un mediatore non fornisce
una decisione da prendere; spetta ai due litiganti il raggiungimento di una decisione
reciprocamente accettabile.
• Arbitrato. Le parti in causa dichiarano in anticipo di voler accettare la decisione
neutrale di un arbitro presa nell’ambito di un ambiente simile a un tribunale formale,
spesso completata dalla presentazione di prove e testimonianze. La partecipazione a
tale forma di risoluzione alternativa del conflitto può essere volontaria o obbligatoria,
sempre in base alle strategie aziendali o ai contratti sindacali.51 Le affermazioni
sono confidenziali; le decisioni si basano su elementi giuridici. Gli arbitri addestrati,
provenienti di solito da agenzie esterne come la American Arbitration Association,
sono esperti legali e hanno esperienza di gestione di casi simili.52
Lezioni pratiche dalla ricerca sui conflitti
Studi di laboratorio, che hanno avuto come oggetto studenti di college, hanno dato, in
merito al conflitto organizzativo, i seguenti risultati:
• Persone con uno spiccato bisogno di affiliazione tendevano a utilizzare uno stile
appianatore (premuroso) evitandone uno coercitivo (dominante).53 I tratti della
personalità, pertanto, influiscono sul modo in cui le persone gestiscono il conflitto.
• Un disaccordo espresso in modo arrogante e degradante ha prodotto una quantità
considerevolmente maggiore di effetti negativi rispetto a uno espresso in modo
ragionevole.54 In altre parole, le modalità di espressione del disaccordo sono molto
importanti nelle situazioni di conflitto.
• Minacce e punizioni da parte di una delle persone coinvolte nel disaccordo tendevano
a determinare un’intensificazione delle minacce e delle punizioni da parte dell’altra.55
In sintesi, l’aggressione genera aggressione.
• Con l’intensificazione del conflitto si è verificato un calo della soddisfazione nel
gruppo. Uno stile integrativo della gestione del conflitto ha portato a una maggiore
soddisfazione del gruppo di quanto non abbia fatto uno stile che tende a evitare il
problema.56
• Aziende aventi politiche di arbitraggio vincolanti o obbligatorie sono state viste meno
favorevolmente rispetto ad aziende che non ricorrevano a tali strategie.57 A quanto
pare politiche di arbitraggio obbligatorie o vincolanti rappresentano un fastidio per
persone che non amano l’idea di dover essere costretti a fare qualcosa.
Studi mirati coinvolgenti manager e organizzazioni reali hanno portato alle seguenti
conclusioni:
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Parte III
312
I gruppi e i processi sociali
• Sia i conflitti all’interno dei sottosistemi organizzativi che quelli tra sottosistemi
diminuiscono all’aumentare della difficoltà degli obiettivi e della chiarezza con cui
sono comunicati. Di conseguenza obiettivi chiari e stimolanti possono diminuire la
conflittualità.
• Alti livelli di conflitto tendono a erodere la soddisfazione professionale e la motivazione intrinseca al lavoro.58
• Donne e uomini che occupano la stessa posizione a livello manageriale tendevano
a gestire il conflitto in modo simile; quindi non vi sono differenze rilevanti in relazione al genere.59
• Nel caso di una scuola pubblica, è stato notato che il conflitto tendeva a spostarsi in
parti diverse dell’organizzazione.60 I manager, pertanto, devono essere consapevoli
del fatto che il conflitto spesso ha origine in un’area o in un livello dell’organizzazione
per mostrarsi poi da qualche altra parte. Se si desidera raggiungere un miglioramento
duraturo è necessario risalire alle origini reali del conflitto.
• Manager giapponesi, tedeschi e americani, provenienti dagli stessi contesti di conflitto, hanno optato per tecniche risolutive differenti. I manager tedeschi e giapponesi
non condividevano l’entusiasmo degli americani nell’integrare gli interessi di tutte
le parti. I giapponesi, per avere delle direttive, tendevano a fare riferimento ai propri
manager, mentre i tedeschi si sono mostrati maggiormente legati a regole e procedure.
Nella risoluzione di un conflitto interculturale non esiste un approccio migliore di
altri. Le preferenze culturalmente specifiche devono essere prese in considerazione
prima di avviare un processo di risoluzione del conflitto che comporti persone provenienti da culture diverse.61
Negoziazione
Negoziazione: processo di
dare-e-avere in atto tra parti
interdipendenti coinvolte in
un conflitto
Formalmente la negoziazione è definita come un processo decisionale di dare-e-avere
che coinvolge parti interdipendenti caratterizzate da preferenze diverse.62 Gli esempi più
comuni includono le negoziazioni tra lavoratori e imprese riguardanti i salari, gli orari e
le condizioni di lavoro, o le negoziazioni tra fornitori e clienti riguardano i prezzi, i tempi
di consegna e i termini di pagamento. Anche i team autogestiti con lavori non chiaramente suddivisi e sovrapposizioni di ruoli devono cercare accordi al proprio interno. Da
queste considerazioni consegue che oggi più che mai le capacità di negoziazione siano
molto importanti.63 In un recente sondaggio condotto su 3.600 professionisti assunti in
18 paesi, solo il 52% ha risposto affermativamente alla domanda: “Avete mai chiesto
o negoziato un aumento di stipendio?”64
Due tipi di negoziazione
Gli esperti in materia distinguono due tipi di negoziazione – quella distributiva e quella integrativa. Per capirne le differenze è necessario rivedere il tradizionale modo di
pensare:
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Gestione del conflitto e negoziazione
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Una negoziazione distributiva comporta una sorta di “torta fissa” dalla quale qualcuno
trae porzioni maggiori a spese dell’altro. Contrattare sul prezzo di un tappetino a un bazar
è un esempio di negoziazione distributiva. Nella maggior parte dei conflitti, tuttavia, vi
è più di un argomento da discutere e ciascuna parte attribuisce a essi un valore diverso.
I risultati a disposizione non sono quindi una torta fissa da dividere tra tutte le parti in
causa. Si può scoprire un accordo migliore per entrambe le parti di quanto non sarebbe
stato quello raggiunto passando attraverso una negoziazione distributiva. In questo caso
si tratta di negoziazione integrativa.
Le parti coinvolte in una negoziazione, tuttavia, non considerano vantaggiose tali
soluzioni perché ciascuna di esse presuppone che i suoi interessi siano direttamente in
conflitto con quelli dell’altra parte. “Ciò che è positivo per l’altra parte è sicuramente
negativo per noi” è una prospettiva purtroppo diffusa tra la maggior parte delle persone.
Questo è il tipo di impostazione mentale definito come “mito della torta fissa”.65
La negoziazione distributiva implica il tradizionale pensiero “win-lose”. La negoziazione
integrativa richiede una strategia progressiva “win-win”.66 In uno studio di laboratorio
relativo a negoziazioni per joint venture, i team formati alle tattiche integrative, diversamente da quelli privi di formazione, hanno ottenuto risultati migliori in entrambe le
situazioni.67 I negoziatori nord americani sono generalmente troppo orientati a breve
termine e non sanno costruire rapporti duraturi come i negoziatori asiatici, latino americani o medio orientali.68 La negoziazione che crea valore aggiunto, illustrata in figura
13-6, è un approccio integrativo che può contribuire a superare questi ostacoli.
Insidie di carattere etico nella negoziazione
Il successo di una negoziazione integrativa, così come il valore aggiunto della negoziazione, dipende in gran parte dalla qualità delle informazioni scambiate.69 Dichiarare il
falso, nascondere elementi chiave o impegnarsi nelle altre tattiche, potenzialmente non
etiche, elencate nella tabella 13-3, può minare la fiducia e la buona volontà, entrambi
fattori fondamentali nelle negoziazioni “win-win”.70 Essere a conoscenza di tali “sporchi
trucchi” può aiutare i negoziatori in buona fede a non farsi ingannare o manipolare.71
Le tattiche di negoziazione non etiche dovrebbero essere esplicitate nei codici etici
delle organizzazioni.
Gestione del conflitto e negoziazione:
un approccio contingente
Esistono tre principi che guidano il modo in cui un conflitto organizzativo dovrebbe
essere gestito. Innanzitutto è inevitabile che esistano diversi tipi di conflitto, perché le
cause sono molteplici. In secondo luogo, l’assenza di conflitti può essere tanto controproducente quanto una loro eccessiva presenza. In terzo luogo, non esistono modalità in
assoluto migliori di altre per affrontare o risolvere i conflitti; di conseguenza gli esperti
raccomandano un approccio contingente, ossia adeguato alle circostanze specifiche. È
necessario per la gestione dei conflitti conoscere e monitorare gli antecedenti e le con-
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Parte III
314
I gruppi e i processi sociali
Insieme
Separatamente
Passo 1: chiarimento degli interessi
• Identificare i bisogni tangibili
e non tangibili
• Discutere i rispettivi bisogni
• Trovare punti in comune per la negoziazione
Passo 2: identificazione delle opzioni
• Identificare gli elementi di valore (per esempio proprietà,
denaro, comportamento, diritti, rischi)
• Creare un mercato del valore discutendo sui rispettivi
elementi di valore
Passo 3: progettazione di pacchetti di accordi alternativi
• Mescolare e abbinare gli elementi di valore nelle varie
combinazioni possibili
• Pensare in termini di accordi multipli
• Identificare e scambiare soluzioni differenti
Passo 4: selezione di un accordo
.
• Analizzare i pacchetti proposti dall’altra parte
• Discutere e selezionare tra i pacchetti attuabili
• Pensare in termini di accordo creativo
Passo 5: accordo perfetto
• Discutere le questione irrisolte
• Sviluppare un accordo per iscritto
• Costruire rapporti per negoziazioni future
Figura 13-6 Un approccio integrativo: negoziazione a valore aggiunto
Fonte: adattato da K. Albrecht e S. Albrecht, “Added Value Negotiation,” Training, aprile 1993, pp. 26-29.
seguenze che essi possono avere. Inoltre, se si riscontra una palese scarsità di conflitti,
situazione accompagnata spesso da una certa apatia o mancanza di creatività, è necessario
stimolare dei conflitti funzionali. Si può fare questo alimentando adeguati antecedenti al
conflitto o programmarne uno ricorrendo a tecniche come quella dell’avvocato del diavolo e del metodo dialettico. Quando invece il conflitto diventa patologico, è necessario
attuare uno stile di gestione del conflitto appropriato. Una formazione molto realistica,
che implichi l’utilizzo di role playing, può permettere ai manager di sperimentare stili
di gestione del conflitto alternativi.
I manager possono evitare di essere troppo coinvolti nel conflitto cercando di applicare quattro suggerimenti scaturiti da ricerche recenti: (1) stabilire obiettivi stimolanti
e chiari, (2) esprimere il proprio disaccordo in modo costruttivo e ragionevole, (3) non
lasciarsi coinvolgere in triangolazioni del conflitto e (4) rifiutarsi di essere trascinati
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Gestione del conflitto e negoziazione
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Tabella 13-3 Tattiche di negoziazione discutibili/eticamente controverse
Tattica
Descrizione/chiarimento/ambito
Menzogne
Le argomentazioni per le menzogne possono includere limiti, alternative, l’intento del negoziatore, l’autorità
a contrattare, altri impegni, l’accettazione delle offerte degli oppositori, pressioni sui tempi e sulle risorse
disponibili.
Tra gli elementi che possono essere “gonfiati” sono inclusi il valore dei risultati di un individuo rispetto alla
controparte, le alternative personali del negoziatore, i costi delle rinunce o di quanto si sia disposti a cedere,
questioni importanti, e le qualità dei prodotti e dei servizi
Azioni e affermazioni possono includere promesse o minacce, richieste iniziali eccessive, riferimenti di fatti
poco accurati o la richiesta non desiderata di concessioni.
Il negoziatore, in questo caso, può eliminare alcune alternative proposte dall’avversario, incolparlo per
azioni da lui commesse, ricorrere ad affermazioni personali demonizzatrici nei suoi confronti o indebolirne
le alleanze.
Tale tattica implica la costruzione delle proprie risorse compresa una cerchia di esperti, di supporti finanziari
e di alleanze. Include altresì l’esposizione, all’avversario o parte terza, di una serie di ragionamenti
persuasivi (per esempio: il pubblico, i mass media) o il conseguimento di incarichi per una determinata
posizione.
Include un rivelamento parziale di fatti, non rivelare fatti nascosti, non correggere fraintendimenti
o ignoranza degli avversari e tenere nascosta la propria posizione o circostanze rilevanti.
Informazioni ottenute dagli avversari possono essere usate per sfruttare le loro debolezze, limitare le loro
alternative, avanzare richieste nei loro confronti o indebolire le loro alleanze.
Implica l’accettazione di offerte inizialmente rifiutate, cambiare richieste, rimangiarsi la promessa di offerte
fatte e avanzare minacce in merito a promesse non fatte. Include, altresì, il manifestarsi di un comportamento
diverso da quello previsto.
Tali azioni o affermazioni possono semplicemente consistere in un’eccessiva distribuzione di informazioni
all’avversario, porre molte domande, eludere le risposte, o occultare aspetti rilevanti. Possono anche essere
più sofisticate come simulare debolezza in una particolare area, in modo che l’avversario si concentri su di
essa, ignorando altri aspetti rilevanti..
Implica la richiesta all’avversario di fare concessioni che risultino un guadagno del negoziatore e una
perdita uguale o maggiore dell’avversario. Implica inoltre la conversione della situazione da una basata
su un modello “win-win” a una “win-lose”.
Esagerazioni
Raggiri
Indebolimento
dell’avversario
Consolidamento
della propria
posizione
Omissione
Sfruttamento
dell’informazione
Cambiamento
di opinione
Distrazione
Massimizzazione
Fonte: H.J. Reitz, J.A. Wall, Jr, e M.S. Love, “Ethics in Negotiation: Oil and Water or Good Lubrication?” Business Horizons, maggio-giugno 1998, p. 6. Ristampa dietro
concessione. Copyright © 1998 by the Board of Trustees at Indiana University, Kelley School of Business.
in spirali emotive nelle quali l’aggressività non contenuta potrebbe generare ulteriore
aggressività.
L’intervento di terzi diventa necessario qualora le parti in causa non siano in grado di
impegnarsi in una risoluzione del conflitto o in una negoziazione integrativa. Quest’ultima è, per lo più, appropriata se attuata in conflitti tra gruppi o tra organizzazioni. Il
segreto è fare in modo che le parti coinvolte abbandonino uno schema di pensiero
prefissato e aspettative basate sulla vittoria di una parte e la sconfitta dell’altra. Inoltre,
il fondatore e direttore dell’Harvard International Negotiation Program Daniel Shapiro
consiglia ai negoziatori di non rifuggire dalle emozioni perché la razionalità, pur importante, non basta. Occorre tenere in debito conto i seguenti aspetti emotivi essenziali
della negoziazione:
• Apprezzamento: riconoscere reciprocamente il valore di pensieri, sentimenti e azioni.
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Parte III
I gruppi e i processi sociali
• Affiliazione: trattarsi vicendevolmente come colleghi, non come avversari da tenere
a debita distanza.
• Autonomia: rispettare la reciproca libertà di prendere decisioni importanti.
• Status: riconoscere la reputazione dell’altra persona, invece di considerarla inferiore.
• Ruolo: definire ruoli e attività in maniera gratificante.72
Buoni consigli da applicare in ogni contesto della vita quotidiana!
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I processi organizzativi
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
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IV
Comunicazione organizzativa nell’era digitale
Influenza, empowerment e manovre politiche
Leadership
Gestione del cambiamento e dello stress
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Comunicazione organizzativa
nell’era digitale
14
I social network sono una perdita di tempo?
Qualche anno fa sono stato invitato a interessarmi al
mondo dei social media dal responsabile marketing
che, dimostrando grande acume, si era reso conto della
trasformazione culturale in atto. Best Buy ha 180.000
dipendenti, per la maggior parte ventiquattrenni o anche più giovani, motivo per cui molti di loro avevano
un profilo su MySpace e altri siti analoghi. Quando ho
domandato al responsabile marketing come controllare
il fenomeno, la sua risposta è stata: non è possibile
controllarlo, bisogna gestirlo!
Ben presto ho iniziato a chattare con i collaboratori
e i clienti su Facebook ogni sera alle 22.00. A volte mi
riusciva difficile vincere la timidezza, perché qualsiasi
commento pubblicassi poteva potenzialmente rendermi
vulnerabile. L’aspetto più difficile da gestire era però
un altro: dopo la mia decisione di dedicare del tempo a
questa attività, tutti hanno iniziato a dire la loro senza
alcuna ritrosia. L’anno scorso, poi, per un certo periodo
il mio account Twitter è stato preso di mira da un hacker
e in uno dei miei tweet in sostanza comunicavo a tutti
che negli ultimi tempi me la spassavo parecchio a letto.
Mi sono sentito violentato, ma non ho perso entusiasmo. Durante questo percorso, ho anche imparato
delle lezioni importanti. Bastano 5 o 10 minuti online
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per capire bene e subito qual è l’aria che tira nei nostri
negozi. Quando mi imbatto in qualcuno che ha un
problema, mi viene spontaneo cercare di risolverlo
in prima persona; in una occasione l’ho fatto e sono
stato inondato da numerose altre richieste d’aiuto. Il
mio lavoro però è un altro. Con oltre 1,5 miliardi di
interazioni con i clienti previste, abbiamo messo a
punto processi efficaci per essere d’aiuto alla nostra
clientela. La cosa migliore che posso fare è quindi
indirizzare i clienti a tali risorse, e lo stesso vale per
i dipendenti.
Ora nel mio ufficio campeggia un grande monitor
che riporta tutte le attività in cui figura il nostro nome.
Devo sapere che cosa si dice là fuori; non rispondo a
tutto, ma sono io a scrivere i miei post pubblicati su
Facebook e i miei tweet, nessuno è incaricato di farlo
per me. Sono io il responsabile di quello che dico online e mi aspetto che i collaboratori adottino lo stesso
approccio. L’unica linea guida che abbiamo fornito è
agire nel rispetto dei valori individuali. Ci si può buttare
nel mondo dei social media e sentirsi molto a proprio
agio nel caos che lo contraddistingue. Abbiamo superato il punto critico. Bisogna essere presenti laddove
sono tutti gli altri.1
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Parte IV
I processi organizzativi
Moltiplicando le occasioni di contatto tra gli individui, le moderne tecnologie dell’informazione stanno determinando trasformazioni senza precedenti nel nostro stile di vita.
L’esperienza del CEO di Best Buy Brian Dunn consente di farsi un’idea di che cosa sta
accadendo nell’ambiente di lavoro. Poiché vivere in un mondo connesso digitalmente
24 ore su 24 e 7 giorni su 7 determina conseguenze impreviste, positive e negative, è
importante comprendere il processo comunicativo soggiacente e il mutare delle dinamiche della comunicazione di pari passo con l’innovazione tecnologica.
Consideriamo, per esempio, gli effetti a catena in ambito organizzativo di questo
recente utilizzo di Internet mobile:
Medtronic, azienda produttrice di dispositivi medici, ha distribuito alla forza vendite
oltre 5000 iPad. Il giorno stesso in cui l’innovativo tablet è stato lanciato sul mercato,
Medtronic ne ha acquistati dieci e, dopo aver caricato informazioni sui prodotti, li ha
posizionati nel suo stand durante un convegno di cardiologia, rubando la scena alla
concorrenza. “Ci siamo resi conto subito che dotare la forza vendite degli strumenti
giusti ha un importante valore commerciale” afferma il chief information officer di
Medtronic Mike Hedges.2
Lo studio della comunicazione assume un’enorme importanza perché tutte le funzioni e
attività manageriali implicano qualche forma di comunicazione diretta o indiretta. Sia che
pianifichino e organizzino, o che dirigano e guidino, i manager si trovano a comunicare
con altri o tramite altre persone. Ciò implica che le capacità comunicative di ciascuno
incidono sull’efficacia personale e organizzativa.3 Per esempio, uno studio ha rilevato
che il 70% degli “incidenti ospedalieri prevenibili” è causato da una comunicazione
carente tra i membri del personale, soprattutto durante il passaggio di consegne.4 Un
sondaggio condotto sui dipendenti di 336 organizzazioni ha invece rivelato che il 66%
degli intervistati non conosce o non comprende la missione e la strategia dell’organizzazione per la quale lavora e, di conseguenza, si sente meno coinvolto nel proprio
lavoro. Questo tipo di problema comunicativo incide negativamente sulla produttività
e la qualità del prodotto, arrecando costi del lavoro e turnover più alti.5
Come avrete modo di constatare nel corso del presente capitolo, il modo migliore per
comunicare dipende dalle circostanze. Si capirà meglio in che modo i manager riescano
sia a migliorare le loro doti comunicative che a ideare programmi di comunicazione
più efficaci. Parleremo di (1) le dimensioni di base del processo comunicativo, con
particolare riferimento a un modello del processo percettivo, alle barriere a una comunicazione efficace e all’impatto dei social media; (2) la comunicazione interpersonale;
(3) la comunicazione organizzativa; (4) la comunicazione nell’era delle tecnologie
digitali dell’informazione.
Dimensioni di base del processo comunicativo
e impatto dei social media
Comunicazione: scambio
interpersonale di informazioni
e significati
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La comunicazione è definita come “lo scambio di informazioni tra un mittente e un
destinatario e la deduzione (percezione) del significato tra le parti coinvolte”.6 I manager
che comprendono tale processo sono in grado di analizzare i loro sistemi di comuni-
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14
Comunicazione organizzativa nell’era digitale
321
cazione nonché di ideare programmi di comunicazione che rispecchino le esigenze
dell’organizzazione. La presente sezione riesamina un modello del processo percettivo
della comunicazione, passa in rassegna le barriere a una comunicazione efficace e indaga
su come i social media stanno modificando la comunicazione.
Un modello di processo percettivo della comunicazione
Modello percettivo della
comunicazione: processo nel
quale i destinatari si creano il
proprio personale significato
Il processo comunicativo è stato descritto, storicamente, mediante un modello “di flusso”. Secondo tale modello tradizionale la comunicazione viene rappresentata come una
tubazione nella quale le informazioni e i loro significati si trasmettono da una persona
all’altra. Oggi, tuttavia, gli esperti di comunicazione criticano il modello di flusso perché non realistico; tale modello, per esempio, parte dall’assunto che la comunicazione
trasmetta, da un individuo all’altro, significati voluti; se ciò fosse vero non esisterebbero
fraintendimenti nella comunicazione e non esisterebbe il problema di non essere capiti.
Potremmo semplicemente dire o scrivere ciò che vogliamo e presumere che chi ascolta
o legge capisca accuratamente ciò che intendiamo comunicare.
Come tutti ben sappiamo, comunicare non è così semplice o scontato; la comunicazione è piena di malintesi. Alla luce di tali fatti, i ricercatori hanno iniziato a esaminare
la comunicazione come una forma di elaborazione sociale dell’informazione (ricordate, a
tal proposito, quanto riportato nel Capitolo 7), durante la quale i destinatari interpretano
i messaggi tramite un’informazione elaborata razionalmente. Tale modo di intendere la
comunicazione ha portato allo sviluppo di un modello percettivo della comunicazione
che descrive quest’ultima come un processo nel quale i destinatari creano, nella loro
mente, un significato. Esaminiamo brevemente gli elementi del modello di processo
percettivo integrandoli con un esempio.
Mittente, messaggio e destinatario Il mittente è l’individuo che desidera comunicare
delle informazioni, cioè il messaggio, mentre il destinatario è l’individuo, il gruppo o
l’organizzazione cui il messaggio è rivolto.
Codifica La codifica consiste nel tradurre un pensiero mentale in un codice o in un
linguaggio che può essere capito da altri e costituisce le fondamenta del messaggio. Per
esempio, se una docente desidera assegnare un compito ai suoi studenti, deve riflettere
su quali informazioni intende comunicare, codificarle in un discorso scritto o parlato
e selezionare un mezzo per condividere il messaggio. La scelta delle parole è molto
importante: pensate che in inglese, per esempio, esistono oltre 1 milione di parole.7
La scelta di un mezzo di comunicazione I manager possono avvalersi di una varietà
di mezzi per comunicare. Tra quelli possibili abbiamo le conversazioni faccia a faccia,
le telefonate, la posta elettronica, i messaggi in segreteria telefonica e gli SMS, le videoconferenze, le lettere o i promemoria scritti, le fotografie o i disegni, le riunioni faccia a
faccia o virtuali, le bacheche, i dati informatici, le interazioni attraverso i social media, i
diagrammi o i grafici. La scelta dei mezzi appropriati dipende da molti fattori, inclusa la
natura del messaggio, l’obbiettivo prefissato, il tipo di pubblico e quanto è vicino, l’orizzonte temporale per la diffusione del messaggio, le preferenze e le capacità individuali.
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Parte IV
I processi organizzativi
Tutti i mezzi di comunicazione presentano vantaggi e svantaggi. Le conversazioni
faccia a faccia, per esempio, sono utili per la comunicazione di questioni importanti
e delicate, che richiedono un feedback e un’interazione intensa. Le telefonate sono
comode, rapide e private, ma mancano di informazione non verbale. Sebbene scrivere
promemoria o lettere porti via del tempo, rappresenta un mezzo efficace qualora sia
difficile incontrarsi con l’altra persona, quando la formalità e un documento scritto siano
fattori importanti e quando non sia necessario ricorrere a una interazione faccia a faccia
per assicurarsi una maggiore comprensione. Sulla scelta dei mezzi di comunicazione
parleremo più approfonditamente nel corso del capitolo.
Decodifica e costruzione del significato La decodifica è il processo che avviene
quando il destinatario riceve il messaggio, lo interpreta e gli attribuisce un significato.
Tornando al nostro esempio, gli studenti decodificano il messaggio ricevuto dalla docente. Diversamente dal presupposto del modello di flusso, in base al quale il significato
viene trasmesso direttamente dal mittente, il modello percettivo si basa sulla convinzione
che sia il destinatario a elaborare nella sua mente il significato di un messaggio. Consideriamo l’esperienza interculturale di un giornalista del Wall Street Journal incaricato
di svolgere un incarico in Cina.
Qualche settimana fa ero nella sede asiatica del Journal, in ascensore con una collega
cinese. Quando le ho sorriso e l’ho salutata, mi ha detto: “Sei ingrassato”. Avrei potuto
stupirmi ma almeno altri tre colleghi cinesi mi hanno detto che sono grasso. Forse dovrei
mangiare meno gnocchi di maiale. In Cina, un commento così personale da parte di un
collega non è necessariamente un insulto. Probabilmente è solo una dimostrazione di
cordialità.8
L’esempio mette in luce che la decodifica e la creazione del significato sono influenzate
da norme e valori culturali.
Feedback Quante volte, quando siete al telefono, avete l’impressione che la comunicazione si sia interrotta? Generalmente lo scambio di battute è pressappoco questo: “Sei
ancora lì? Mi senti?” L’altro risponde: “Sì, ma ti sento a tratti.” Questo è un esempio di
feedback: il mittente ottiene una reazione di qualche tipo dal destinatario.
Disturbo Il disturbo rappresenta qualunque cosa vada a interferire con la trasmissione
e la comprensione del messaggio e può influenzare qualsiasi fase del processo comunicativo. Questa definizione ampia del disturbo include fattori come difficoltà nel parlare
o accenti particolari, linee telefoniche mal funzionanti, grafie illeggibili, fotocopie poco
chiare, statistiche imprecise, menzogne, rumori di sottofondo, udito o vista scarsi e la
distanza fisica tra mittente e destinatario. La figura 14-1 mostra un esempio di modello
di processo percettivo della comunicazione. Notate la natura ciclica dello scambio di
significati: il mittente diventa destinatario e così via.
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14
Comunicazione organizzativa nell’era digitale
Figura 14-1
Il processo di comunicazione
Incontriamoci
in biblioteca
per studiare insieme
323
2. Il messaggio viene
trasmesso attraverso
un mezzo
(per esempio, SMS)
Quale biblioteca?
Quale delle due materie
che seguiamo insieme
pensavi di studiare?
Disturbo (interferenze
di qualsiasi tipo)
1. Il mittente codifica
un messaggio
e seleziona un mezzo
di comunicazione
(per esempio
il telefono cellulare)
4. Il destinatario invia
un feedback attraverso
un mezzo
(per esempio, SMS)
3. Il destinatario
decodifica il messaggio
e ritiene opportuno
fornire un feedback
Barriere a una comunicazione efficace
Le componenti essenziali di un processo comunicativo efficace sono due: il mittente
deve comunicare con precisione il messaggio desiderato, altrimenti è improbabile che
sarà compreso, e il destinatario deve percepire e interpretare il messaggio con altrettanta
precisione. Qualsiasi elemento che si frapponga alla trasmissione e ricezione corretta
di un messaggio rappresenta una barriera a una comunicazione efficace.
Alcune barriere fanno parte del processo di comunicazione stesso (vedi tabella
14-1). La comunicazione non può andare a buon fine nel caso in cui una fase qualsiasi
del processo venga disturbata o interrotta. In linea più generale, le barriere che possono
ostacolare il processo comunicativo sono tre: (1) barriere personali, (2) barriere fisiche
e (3) barriere semantiche.
Tabella 14-1 Potenziali barriere alla comunicazione legate al processo comunicativo
• Barriera del mittente (per esempio, dimenticare o avere timore di inviare un messaggio, posticipare l’invio di un messaggio
difficile).
• Barriera della codifica (per esempio, capacità linguistiche mediocri, scelte lessicali inadeguate, pronuncia incomprensibile).
• Barriera del mezzo (per esempio, trasmissione difettosa, batteria scarica su dispositivi wireless, linea occupata, rumori di
sottofondo, guasto della rete informatica).
• Barriera della decodifica (per esempio, capacità linguistiche mediocri, segnali contrastanti da messaggi verbali e non verbali,
incapacità di comprendere battute di spirito, espressioni gergali
e termini tecnici).
• Barriera del ricevente (per esempio, mancata ricezione del messaggio, non disponibilità a ricevere il messaggio, forte
reazione emotiva al messaggio).
• Barriera del feedback (per esempio, inespressività, mancanza di una risposta scritta o orale, segnali contrastanti da messaggi
verbali e non verbali).
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324
Parte IV
I processi organizzativi
Barriere personali Vi è mai capitato di comunicare con qualcuno e provare un tale
senso di smarrimento da domandarvi se dipenda da voi oppure dal vostro interlocutore?
Le barriere personali sono rappresentate da attributi individuali che possono ostacolare
la comunicazione. Esaminiamo di seguito nove barriere personali piuttosto comuni che
possono determinare una cattiva comunicazione.
1. Capacità individuali di comunicare efficacemente. Alcuni individui sono più bravi
a comunicare rispetto ad altri. Magari conoscono una o più lingue straniere,9 sono
dotati di capacità espressive e di ascolto e sanno usare la gestualità per determinare
un impatto maggiore. Inoltre, scelgono il lessico adeguato ai destinatari, possiedono
buone capacità di scrittura per comunicare i concetti in forma concisa e chiara e sono
dotati delle capacità sociali necessarie per mettere a proprio agio gli altri. Coloro che
non possiedono tali capacità possono coltivarle e potenziarle attraverso la pratica.10
2. Variazioni nel modo in cui le informazioni vengono elaborate e interpretate. Siete
cresciuti in campagna o in città? Avete frequentato le scuole pubbliche o le scuole
private? Siete stati stimolati dai vostri genitori a contribuire alle faccende domestiche oppure a praticare sport? Siete cresciuti in un ambiente tranquillo o litigioso?
I fattori cui fanno riferimento queste domande sono importanti perché contribuiscono
a plasmare gli schemi di riferimento e le esperienze cui ciascun individuo ricorre
per interpretare il mondo. Come abbiamo visto nel Capitolo 7, gli individui dedicano un’attenzione selettiva alla molteplicità di stimoli che ricevono a seconda del
proprio schema di riferimento individuale. Tali differenze possono quindi incidere
sull’interpretazione di ciò che vediamo e sentiamo.
3. Variazioni nel livello di fiducia interpersonale. Nel Capitolo 11 abbiamo visto in
che misura la fiducia influenza i rapporti interpersonali. È più probabile che una
comunicazione venga alterata quando non vi è fiducia reciproca fra le persone.11 Una
carenza di fiducia può indurre ad adottare un atteggiamento difensivo e a mettere in
discussione i contenuti comunicati, distogliendo l’attenzione dal messaggio.
4. Stereotipi e pregiudizi. Nel Capitolo 7 abbiamo visto che i pregiudizi sono convinzioni
semplicistiche riguardo determinati gruppi di persone; potenzialmente distorcono
la comunicazione perché possono indurre gli individui a percepire male o filtrare
le informazioni.12 È importante conoscere gli stereotipi cui si è soggetti ed essere
consapevoli del loro effetto inconscio sui messaggi inviati agli altri e sull’interpretazione dei messaggi ricevuti.
5. Ego ipertrofico. Per orgoglio, eccessiva sicurezza di sé, consapevolezza di avere
migliori capacità o arroganza, il nostro ego può rappresentare una notevole barriera
alla comunicazione. Un ego troppo sviluppato può essere causa di battaglie politiche,
guerre territoriali, corse per il potere, per il prestigio e per le risorse. L’ego determina
il modo in cui le persone si trattano reciprocamente, nonché la nostra apertura a subire
l’influenza di altri. Se vi è mai capitato di essere messi in ridicolo oppure di subire
atti di bullismo in pubblico, probabilmente sapete bene in che misura i sentimenti
legati all’ego possono incidere sulla comunicazione.
6. Scarse capacità di ascolto. Quante volte durante una lezione un vostro compagno di
corso ha posto una domanda cui era già stata data risposta? Oppure, quante volte vi
è capitato di incontrare una persona con un basso livello di auto-osservazione (vedi
Capitolo 5) che parla solo di sé e mostra ben poco interesse nei vostri confronti?
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14
Comunicazione organizzativa nell’era digitale
325
Se l’interlocutore non ascolta, è molto difficile che la comunicazione sia efficace.
Esamineremo le capacità di ascolto nel prosieguo del capitolo.
7. Naturale tendenza a valutare o giudicare il messaggio di un mittente. Immaginate
il possibile scambio di battute con un amico dopo essere stati al cinema insieme:
“Ti è piaciuto il film?”; “Molto, è il film più bello dell’anno!”; “Lo penso anch’io”,
oppure: “Mah, io mi sono addormentato tre volte…”. Scopo di questo esempio è
dimostrare che, come evidenziato dal rinomato psicologo Carl Rogers, tutti abbiamo
una naturale tendenza a valutare i messaggi secondo il nostro punto di vista o schema
di riferimento, soprattutto quando siamo molto coinvolti nell’argomento.13
8. Incapacità di ascoltare comprendendo. L’ascolto volto a comprendere si ha quando
il destinatario è in grado “di capire l’idea espressa e l’atteggiamento partendo dal
punto di vista dell’altro, di percepire che cosa significhi per lui, di acquisire la sua
cornice, il suo schema di riferimento in merito a ciò di cui parla”.14 Cercate sempre
di ascoltare comprendendo perché, così facendo, adotterete un approccio meno
difensivo e potrete migliorare le vostre capacità di comprendere accuratamente i
messaggi.
9. Comunicazione non verbale. Il processo comunicativo acquista in efficacia quando le
espressioni del viso e la gestualità sono coerenti con lo scopo del messaggio. Aspetto
interessante, spesso le persone non sono consapevoli dei messaggi non verbali che
comunicano. Approfondiremo questo importante aspetto della comunicazione nel
seguito del capitolo.
Barriere fisiche: rumori, vincoli temporali e spaziali, e non solo Immaginate
di parlare al telefono cellulare mentre vi trovate in una zona molto trafficata e siete
circondati da persone che parlano ad alta voce. In questa situazione emergono diverse
barriere fisiche alla comunicazione, tra cui figurano anche le eventuali differenze di
fuso orario, la qualità della linea telefonica, la distanza dagli interlocutori o i guasti
alla rete informatica. La disposizione degli uffici può rappresentare un’altra barriera
fisica, motivo per cui un numero crescente di organizzazioni si affida a esperti in grado
di progettare spazi che favoriscano la libera interazione e, all’occorrenza, la privacy.
Semantica: lo studio delle
parole e del loro significato
Gergo: linguaggio, acronimi e terminologia specifici di
una professione, un gruppo o
un’azienda
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Barriere semantiche: quando le parole contano Se il vostro capo dice “Dobbiamo
completare subito questo progetto”, che cosa intende comunicarvi? Il “noi” implicito
nella sua affermazione si riferisce solo a voi, a voi e ai vostri colleghi oppure a voi, ai
vostri colleghi e a se stesso? “Subito” significa oggi, domani o la settimana prossima?
Questi sono esempi di barriere semantiche. La semantica è lo studio delle parole e del
loro significato.
Le barriere semantiche emergono più spesso nell’economia globalizzata odierna, data
la crescente diversità della forza lavoro e il ricorso sempre più comune all’outsourcing di
alcune mansioni all’estero. Il gergo e i termini in voga rappresentano un’altra tipologia
di barriera semantica. Il gergo è dato dal linguaggio, gli acronimi e la terminologia
specifici di una professione, un gruppo o un’azienda. In una società tecnologicamente
avanzata e a corto di tempo come quella attuale, si tende a ricorrere agli acronimi
sempre più spesso (per esempio, “Contattami ASAP”, dove ASAP sta per “as soon as
possible”, prima possibile). Si assiste spesso anche all’uso di parole inflazionate che
diventano una forma di eufemismo nella lingua scritta e parlata (per esempio, se un
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Parte IV
326
I processi organizzativi
economista afferma “In fin dei conti, ciò che emerge è una carenza di visione da parte
dell’esecutivo” intende dire “Il governo non sa come gestire la politica economica”).
Parole o espressioni che per voi appartengono alla lingua comune potrebbero risultare
oscure a persone esterne o non specialisti. Se vogliamo farci capire, dobbiamo scegliere
bene le parole e adeguare i nostri messaggi alla situazione e agli schemi di riferimento
del destinatario.15
L’impatto dei social media sulla comunicazione
Come abbiamo visto nel Capitolo 10, social media come Facebook, Twitter, YouTube
e LinkedIn stanno sfumando i confini tra gruppi formali e informali negli ambienti di
lavoro. In termini più generali, i social media stanno significativamente alterando la
comunicazione organizzativa e la vita lavorativa nel suo insieme. Per esempio, “circa il
28% degli studenti universitari ha in mente di cercare lavoro usando LinkedIn, con un
notevole incremento rispetto al 5% [del 2010] … Gli studenti scoprono tutto sui potenziali datori di lavoro visitandone i siti web, ricevendo gli aggiornamenti su Facebook
e Twitter e visionando i profili LinkedIn”.16 Due importanti conseguenze associate ai
social media, alimentati da contenuti generati dall’utente, sono: (1) accesso personale
immediato a informazioni provenienti da tutto il mondo e non filtrate e (2) empowerment dal basso verso l’alto.
Implicazioni manageriali I manager non possono permettersi di ignorare o sottovalutare la rapidità e il potenziale di empowerment dal basso verso l’alto dei social media
se non vogliono essere colti impreparati dalle correnti contrarie interne ed esterne. I
contenuti dei social media interni possono racchiudere tempestivi campanelli d’allarme
rispetto a problemi legati al morale dei dipendenti o alla gestione delle risorse umane
come molestie sessuali, fuga di informazioni privilegiate, abuso di Internet e dei social
media, decadenza etica e rancori. Il monitoraggio dei social media esterni può essere
utile invece per aggiornarsi sui reclami e le reazioni dei consumatori, sulle minacce
concorrenziali emergenti e sui potenziali insuccessi nella gestione legale o delle relazioni
pubbliche. Data l’importanza, nel seguito del capitolo ci soffermeremo sulle politiche
organizzative in merito all’uso dei social media.
Comunicazione interpersonale
Competenza comunicativa:
capacità di ricorrere in modo
efficace a comportamenti comunicativi in un determinato
contesto
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Nell’ambito di un’organizzazione, la qualità della comunicazione interpersonale è più
importante che mai. Secondo i ricercatori, le persone dotate di buone doti comunicative
hanno aiutato gruppi a prendere decisioni più innovative e sono state promosse con più
frequenza rispetto agli altri.17 La competenza comunicativa può essere definita come
la capacità di comunicare efficacemente in situazioni specifiche. La business etiquette,
ad esempio, è una componente di tale competenza comunicativa.18
La competenza comunicativa si articola in una molteplicità di capacità e abilità
comunicative; in questa sede concentreremo la nostra attenzione su cinque in particolare, che si possono controllare: l’assertività, l’aggressività e la non assertività, la
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14
Comunicazione organizzativa nell’era digitale
327
comunicazione non verbale e l’ascolto attivo. Concluderemo la sezione esaminando le
differenze di genere nella comunicazione.
Assertività, aggressività e non assertività
La tabella 14-2 descrive gli stili di comunicazione assertivo, aggressivo e non assertivo,
identificando i relativi modelli di comportamento verbale e non verbale.
Spesso capita che ci venga chiesto di fare qualcosa che non vorremmo. Immaginate
che un compagno di corso vi chieda di lasciargli copiare il compito, oppure che qualcuno
cerchi di convincervi ad acquistare un prodotto che non vi serve. In entrambi i casi,
l’obiettivo di comunicazione è dire di no in maniera assertiva. Di seguito, trovate una
serie di consigli per imparare a dire no.
• Non sentitevi obbligati a dare una risposta immediata; chiedete del tempo per pensarci.
• Siate onesti e prendete la parola dicendo no. È più semplice restare fermi nella
propria posizione quando si dice subito esplicitamente di no.
• Usate comportamenti non verbali assertivi per sottolineare le vostre parole. Per
esempio, scuotete la testa in segno di diniego o guardare dritto negli occhi il vostro
interlocutore mentre dite no, senza però mostrare uno sguardo fisso e truce.
• Usate comportamenti verbali assertivi. Dite no con un tono di voce fermo e diretto.
Iniziate le frasi con “Io” quando è necessaria maggiore enfasi, per esempio “Io non
Tabella 14-2 Stili di comunicazione
Stili di
comunicazione
Descrizione
Modello di comportamento
non verbale
Modello di comportamento
verbale
Assertivo
Fa pressione senza attaccare;
permette agli altri di influenzare
il risultato finale; espressivo
e volto all’auto-valorizzazione
senza essere invadenti.
Linguaggio diretto e non ambiguo.
Nessun tipo di attribuzione
o valutazione nei confronti
del comportamento altrui.
Uso di affermazioni caratterizzate
dall’uso dell’“ïo”e affermazioni
volte a incentivare la collaborazione
caratterizzate dall’utilizzo del “noi”.
Aggressivo
Approfitta degli altri; espressivo
e volto all’auto-valutazione
a danno di altri.
Non assertivo
Incoraggia gli altri
ad approfittarsi di noi; inibito;
abnegante.
Buon contatto visivo.
Postura comoda ma sicura.
Voce potente, stabile e alta.
Espressione facciale adeguata
al tipo di messaggio che si
vuole trasmettere.
Tono adeguatamente serio.
Interruzioni mirate al fine
di assicurarsi della
comprensione dei messaggi.
Contatto visivo irato.
Tendenza a sporgersi
eccessivamente verso
l’interlocutore. Gesti minacciosi
(dita puntate, pugno chiuso).
Voce alta. Interruzioni frequenti.
Scarso contatto visivo; sguardo
rivolto verso il basso; postura
scomposta; continuo spostamento
del peso; continua torsione delle
mani; voce debole e lamentosa.
Uso di turpiloquio e parole
offensive. Attribuzioni
e valutazioni nei confronti
del comportamento altrui.
Termini sessisti o razzisti.
Minacce esplicite e mortificazioni.
Parole che qualificano
o specificano (“forse”, “una specie”)
Riempitivi (“eh”, “sa …”, “beh”)
Confutazioni (“non è poi così
importante”, “non sono sicuro”)
Fonte: adattato in parte da J.A. Waters, “Managerial Assertiveness,” Business Horizons, settembre-ottobre 1982, pp. 24-29.
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Parte IV
328
I processi organizzativi
trovo affatto giusto che tu copi il mio lavoro, dato che invece di venire a lezione te
ne stai a letto.”19
Dire no non è sbagliato. Ricordate: più acconsentite alle richieste degli altri, meno tempo
avrete a disposizione per voi stessi. L’incapacità di dire no può portare a sensi di colpa,
collera, risentimento e potenziali fallimenti.
La comunicazione non verbale
Comunicazione non verbale: messaggi trasmessi al di là
della parola scritta o parlata
Si dice comunicazione non verbale “qualsiasi tipo di messaggio, inviato o ricevuto,
privo di parola scritta o detta a voce […] include fattori quali il tempo, lo spazio,
la distanza che separa gli interlocutori, l’uso dei colori, l’abbigliamento, il modo di
camminare, di stare in piedi, la propria posizione, la disposizione dei posti a sedere,
l’ubicazione dell’ufficio e l’arredamento”.20
Stando alle percentuali forniteci dagli esperti di comunicazione, è possibile interpretare circa il 65% delle conversazioni tramite la comunicazione non verbale,21 per cui è
importante assicurarsi che i segnali non verbali siano coerenti con il tipo di messaggio
verbale che si intende trasmettere. La mancanza di coerenza crea disturbo e dà adito
a incomprensioni a livello comunicativo.22 Data la prevalenza della comunicazione
non verbale e il notevole impatto sul comportamento organizzativo (che include, tra
le altre cose, la percezione da parte degli altri, le decisioni in merito alle assunzioni,
gli atteggiamenti professionali sul lavoro e il turnover), è importante che i manager
acquisiscano concreta consapevolezza dei segnali non verbali che inviano e ricevono.
Il noto giornalista di settore Harvey Mackay ci ricorda che “le parole sussurrano, il
linguaggio non verbale urla”.23
Il linguaggio del corpo e i gesti Movimenti del corpo quali la tendenza a sporgersi
in avanti o indietro, e gesti come quello di puntare le dita, sono fonte di informazioni
non verbali che possono sia migliorare sia peggiorare un funzionale processo comunicativo. Posizioni del corpo aperte, quali la tendenza a sporgersi verso l’interlocutore,
comunicano immediatezza, termine usato per esprimere apertura, calore, vicinanza e
predisposizione alla comunicazione. Un atteggiamento difensivo viene trasmesso da
gesti quali le braccia conserte, le mani incrociate e le gambe accavallate. Judith Hall,
studiosa di comunicazione, ha condotto una meta-analisi riguardante le differenze di
genere nei modi di muoversi e nei tipi di gesti usati; i risultati hanno mostrato come
le donne facciano cenni col capo e muovano le mani più frequentemente di quanto
non facciano gli uomini; lo sporgersi in avanti, gli ampi spostamenti del corpo, i
movimenti di gambe e piedi, invece, sono stati maggiormente rilevati tra gli uomini
che tra le donne.24
Sebbene l’interpretazione dei movimenti del corpo e dei gesti sia tanto facile quanto
divertente, è importante ricordare che l’analisi del linguaggio del corpo facilmente dà
adito a interpretazioni sbagliate e che dipende in gran parte dal contesto. I gesti delle
mani possono essere particolarmente problematici in contesti interculturali. Per esempio, il pollice verso l’alto esibito con un sorriso dal Presidente Obama in occasione del
G20 del 2009 a Londra può essere interpretato come “ok!” negli Stati Uniti e in Cina,
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14
Comunicazione organizzativa nell’era digitale
329
come “numero 1” in Francia, “numero 5” in Giappone o come un gesto offensivo in
Australia e numerosi altri paesi.25
Il contatto Il contatto fisico è un altro tipo di indizio non verbale molto potente: di
solito si tende ad avere un contatto fisico con le persone che piacciono. Una meta-analisi,
volta a mettere in evidenza le differenze di genere in merito a tale argomento, ha rivelato che le donne, durante una conversazione, tendono a cercare, rispetto agli uomini,
un maggiore contatto fisico.26 È interessante notare, tuttavia, come l’interpretazione
del contatto fisico, da parte di uomini e donne, sia diversa. Forse, tenendo conto di tali
differenze di percezione, è possibile ridurre le lamentele riguardanti le molestie sessuali.
Inoltre, le norme relative al contatto variano in modo significativo da una cultura
all’altra. Considerate l’esempio di due ragazzi che camminano nel campus tenendosi
per mano; un comportamento del genere, in Medio Oriente, sarebbe alquanto comune
per ragazzi legati da un rapporto di amicizia o che nutrono un forte rispetto reciproco;
negli Stati Uniti o in Canada, invece, lo stesso comportamento è assai inusuale.
L’espressione del viso Le espressioni facciali forniscono un notevole numero di
informazioni. A Kansas City, ad esempio, sorridere durante una riunione di lavoro è
una tipica espressione di calore, felicità o amicizia, mentre un’espressione corrucciata è
segno di insoddisfazione o rabbia. Queste interpretazioni sono riferibili a gruppi interculturali diversi? Molto sinteticamente, la risposta è no. Una sintesi di importanti studi
ha rivelato che il legame tra espressioni del viso ed emozioni effettivamente varia da
cultura a cultura.27 Fare un ampio sorriso mostrando i denti, ad esempio, non comunica
in tutti i paesi il medesimo stato d’animo. Ancora una volta, occorre fare attenzione
nell’interpretazione e nell’uso delle espressioni facciali dei diversi gruppi di collaboratori
e quando si opera in contesti interculturali.
Il contatto visivo Il contatto visivo rappresenta un forte segnale non verbale che,
nella comunicazione, svolge quattro funzioni. Innanzitutto il contatto visivo, segnalando
l’inizio e la fine della conversazione, regola il flusso della comunicazione. Si ha la tendenza a spostare lo sguardo dalle altre persone quando si inizia a parlare e a guardarle
quando si è finito. In secondo luogo, uno sguardo intenso (che si oppone a uno fisso e
truce), facilita e monitorizza il feedback perché esprime interesse e attenzione. In terzo
luogo, il contatto visivo trasmette un sentimento. Si tende, infatti, a evitarlo quando si
comunicano notizie spiacevoli o un feedback negativo. Lo sguardo, in ultimo, è legato
al rapporto tra gli interlocutori.
Come per il linguaggio del corpo e le espressioni del viso, le abitudini relativa al
contatto visivo cambiano a seconda delle culture. Agli occidentali, fin dalla tenera età,
viene insegnato a guardare i genitori negli occhi quando viene rivolta loro la parola.
A molte persone di cultura asiatica, sudamericana o africana, al contrario, viene insegnato di evitare il contatto visivo con un genitore o superiore in segno di obbedienza e
sottomissione.28 Ancora una volta i manager, nell’uso del contatto visivo con i diversi
collaboratori, devono mostrarsi sensibili ai diversi tipi di orientamenti culturali.
Suggerimenti pratici Data la loro importanza nello sviluppo di un rapporto interpersonale positivo, è importante disporre di buone doti comunicative non verbali. Al fine
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Parte IV
330
I processi organizzativi
di migliorare le proprie doti comunicative non verbali, un esperto di comunicazione
fornisce i seguenti consigli:29
Azioni non verbali positive che favoriscono la comunicazione
•
•
•
•
•
•
Mantenere il contatto visivo.
Fare di tanto in tanto cenni con la testa in segno di approvazione.
Sorridere e mostrare interesse.
Sporgersi verso l’interlocutore.
Parlare con moderazione usando un tono rassicurante e tranquillo.
Controllare le espressioni facciali.
Azioni da evitare
• Leccarsi le labbra e giocherellare con capelli e barba.
• Distogliere lo sguardo o girare le spalle all’interlocutore.
• Chiudere gli occhi e mostrare espressioni facciali disinteressate, per esempio sbadigliando.
• Muoversi eccessivamente nella sedia o battere il piede.
• Usare un tono sgradevole della voce e parlare troppo velocemente o troppo lentamente.
• Mangiarsi le unghie, stuzzicarsi i denti o sistemarsi di continuo gli occhiali.
Questi consigli sono adeguati alla cultura nordamericana e potrebbero non essere integralmente applicabili in altri contesti culturali.
Ascolto attivo
Ascolto: decodifica e interpretazione attiva dei messaggi
verbali
Alcuni esperti di comunicazione sostengono che l’ascolto sia la capacità comunicativa fondamentale per gli addetti alle vendite o al servizio alla clientela e per il
management.
È stata notata una correlazione positiva tra l’efficacia dell’ascolto e la soddisfazione del cliente, a fronte di una correlazione negativa con l’intenzione, da parte del
collaboratore, di abbandonare il posto di lavoro. Un’altra causa primaria di insoddisfazione dei collaboratori è stata individuata nello scarso grado di comunicazione
tra collaboratori e management.30 Essere dotati all’ascolto è particolarmente importante per tutti noi perché trascorriamo molto tempo ad ascoltare gli altri. Ascoltare
un messaggio comporta uno sforzo maggiore del semplice udirlo. L’udito è solo la
componente fisica dell’ascolto. L’ascolto è quel processo che comporta una decodifica e un’interpretazione attiva dei messaggi verbali; richiede un’attenzione mentale
e una rielaborazione dell’informazione; la stessa cosa non vale per il semplice udito.
Alla luce di tali distinzioni, prenderemo in esame gli stili di ascolto e alcuni consigli
pratici per diventare un ascoltatore migliore.
Stili di ascolto Secondo gli esperti in comunicazione, ciascun individuo adotta uno
stile di ascolto preferenziale; alcuni tendono a evidenziare uno stile dominante, men-
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Comunicazione organizzativa nell’era digitale
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tre altri presentano una combinazione di due o tre stili. Gli stili di ascolto principali
sono cinque: che mostra apprezzamento, empatico, olistico, in grado di distinguere
e valutativo.31
Un ascoltatore che adotta lo stile che mostra apprezzamento tende ad ascoltare con
uno stato d’animo rilassato, prediligendo informazioni piacevoli, divertenti o ispiratrici,
e a non essere in sintonia con interlocutori con scarso senso dell’umorismo e verve.
L’ascoltatore empatico interpreta i messaggi prestando attenzione alle emozioni e al
linguaggio del corpo dell’interlocutore, nonché al mezzo di comunicazione, e tende
ad astenersi dal giudizio. L’ascoltatore olistico attribuisce significato al messaggio
ordinando pensieri e azioni specifici e integrando le informazioni così ricavate con l’analisi delle relazioni tra le idee; predilige le presentazioni logiche e senza interruzioni.
L’ascoltatore in grado di distinguere tenta di comprendere il messaggio principale e di
individuarne i punti più rilevanti; in genere prende appunti e predilige le presentazioni
logiche. Infine, l’ascoltatore valutativo ascolta analiticamente e formula argomentazioni
e smentite a ciò che viene affermato; tende ad accettare o bocciare i messaggi a seconda
delle sue opinioni, pone numerose domande e può mostrare la tendenza a interrompere
l’interlocutore.
È possibile migliorare le capacità di ascolto acquistando consapevolezza dell’efficacia dei diversi stili di ascolto a seconda del contesto, in modo da adeguare il proprio
stile alla situazione specifica. Per esempio, se si ascolta un confronto tra candidati
politici, potrebbe essere opportuno adottare uno stile olistico e in grado di distinguere,
mentre se si assiste a una presentazione vendite potrebbe essere più adeguato uno
stile valutativo.
Diventare un ascoltatore migliore Un ascolto efficace è una capacità da apprendere,
che richiede sforzo e motivazione. Occorrono energia e forte motivazione per poter
veramente ascoltare gli altri. Sfortunatamente, pare che non vi siano ricompense per
chi ascolta, ma solo conseguenze negative per chi non lo fa. Pensate, ad esempio,
alla volta in cui qualcuno non ha prestato attenzione a quanto stavate dicendo, guardando l’orologio o dedicandosi ad altro come scrivere qualcosa al computer. Come
vi siete sentiti? Probabilmente mortificati, non importanti od offesi. Tali sensazioni,
di rimando, possono minare la qualità del rapporto interpersonale nonché alimentare
l’insoddisfazione professionale, diminuire la produttività e peggiorare il servizio
alla clientela. L’ascolto è una dote importante che può essere migliorata evitando i
10 comportamenti tipici del cattivo ascoltatore e coltivando le 10 abitudini del buon
ascolto (tabella 14-3).
Secondo un esperto di comunicazione, possiamo migliorare le nostre capacità di
ascolto applicando i seguenti consigli:32
•
•
•
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Prestate attenzione a ciò che viene detto, non a quello che desiderate dire successivamente.
Lasciate che l’interlocutore concluda il suo discorso prima di prendere la parola.
Ripetete quello che è stato detto per dare all’interlocutore la possibilità di chiarire
il messaggio.
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Parte IV
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I processi organizzativi
Tabella 14-3 Chiavi per un ascolto efficace
Chiavi per un ascolto efficace
Il cattivo ascoltatore
Il buon ascoltatore
1. Tenere a freno la velocità
del pensiero
Tende a distrarsi
2. Ascoltare le idee
3. Trovare un’area di interesse
comune
4. Giudicare il contenuto, non
la trasmissione del messaggio
Ascolta i fatti concreti
Elimina gli oratori o gli argomenti
noiosi
Elimina gli oratori monotoni
Non si distrae, riassume mentalmente ciò
che dice l’oratore, soppesa i fatti e ascolta
i messaggi tra le righe
Ascolta le idee centrali o generali
Ascolta qualunque possibile informazione
utile
Prima di esprimere giudizi valuta
il contenuto ascoltando il messaggio
5. Mantenere l’equilibrio
Manifesta troppa emotività
6. Lavorare alla propria capacità
di ascolto
7. Non distrarsi
8. Ascoltare quanto viene detto
9. Sfidare sé stessi
10. Utilizzare materiale, lucidi
o altri supporti visivi
o si infervora per qualcosa
che è stato detto dall’oratore
intervenendo nel discorso
Non investe energia nell’ascolto
Si distrae facilmente
Si chiude in sé stesso o nega ogni
informazione non favorevole
Mostra resistenza all’ascolto
di presentazioni di argomenti
difficili
Non prende appunti e non presta
attenzione al materiale distribuito
per intero
Trattiene ogni giudizio fino a quando
la comprensione non sia completa
Presta all’oratore completa attenzione
Combatte le distrazioni e si concentra
sull’oratore
Ascolta ogni tipo di informazione, sia
quelle favorevoli, sia quelle non favorevoli
Si concentra su presentazioni difficili
come esercizio mentale
Prende appunti come richiesto e ricorre
al materiale distribuito per una maggiore
comprensione della relazione
Fonti: tratto da N. Skinner, “Communication Skills,” Selling Power, luglio-agosto 1999, pp. 32-34; e da G. Manning, K. Curtis e S. McMillen, Building the Human Side
of Work Community (Cincinnati: Thomson Executive Press, 1996), pp. 127-54.
Stili linguistici e genere
Stile linguistico: schema linguistico tipico di una persona
È risaputo che uomini e donne comunicano in modo diverso. Tali differenze possono
creare problemi di comprensione che vanno a minare la produttività e la comunicazione
interpersonale. Le differenze nella comunicazione basate sul genere sono in parte dovute
a stili linguistici generalmente diffusi tra le donne e tra gli uomini. Deborah Tannen,
esperta di comunicazione, fornisce la seguente definizione di stile linguistico:
Lo stile linguistico si riferisce allo schema di comunicazione tipico di un soggetto.
Implica elementi quali l’essere diretto o indiretto, il procedere a un ritmo giusto e fare
delle pause, la scelta delle parole e l’uso di elementi come battute spiritose, figure
retoriche, aneddoti, domande e scuse. Lo stile linguistico, in altre parole, consiste in una
serie di segnali culturalmente acquisiti che ci permettono non solo di comunicare ciò
che vogliamo esprimere, ma anche di interpretare ciò che altri vogliono dire e valutarci
reciprocamente come individui.33
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Comunicazione organizzativa nell’era digitale
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Lo stile linguistico non solo ci aiuta a spiegare le differenze di comunicazione tra uomini e donne, ma influenza anche la percezione che noi abbiamo del grado di fiducia,
di competenza e di capacità altrui. Un maggiore incremento della consapevolezza degli
stili linguistici può, pertanto, migliorare l’accuratezza comunicativa e la competenza
in termini di comunicazione.
Differenze di genere nella comunicazione La ricerca dimostra che uomini e donne
comunicano in modo diverso in una serie di modi.34 La tabella 14-4 illustra 10 diversi
tipi di schemi di comunicazione che variano tra uomini e donne.
In merito alle tendenze identificate dalla suddetta tabella esistono due importanti
questioni da considerare: gli andamenti indicati non possono, innanzitutto, essere
generalizzati per tutti gli uomini e tutte le donne; può darsi, infatti, che alcuni uomini
siano meno inclini a vantarsi delle loro conquiste, e alcune donne possono non voler
condividere i loro meriti. Il fatto è che ci sono sempre eccezioni che confermano la
regola. Il vostro stile linguistico, in secondo luogo, influenza le percezioni che altri
hanno sul vostro grado di sicurezza, competenza e autorità. Tali giudizi potrebbero, di
rimando, influire sui vostri futuri incarichi professionali e, di conseguenza, su un’eventuale promozione. Considerate, ad esempio, gli stili linguistici mostrati da Greg e
Mindy. Greg minimizza qualsiasi incertezza egli abbia in merito a determinate questioni
e fa poche domande; si comporta così quando non è sicuro dell’argomento oggetto di
discussione. Mindy, invece, tende a fare molte domande. Alcuni potrebbero ritenere
Greg più competemte di Mindy, perché mostra una sicurezza maggiore e si comporta
come se capisse ciò di cui si parla.
Tabella 14-4 Differenze di comunicazione tra uomini e donne
1. Gli uomini, in pubblico, tendono a non chiedere informazioni che metterebbero in luce la loro mancanza di conoscenza.
2. In fase decisionale le donne tendono a minimizzare la loro certezza; gli uomini a minimizzare i loro dubbi.
3. Le donne tendono a chiedere scusa anche quando non hanno fatto nulla di sbagliato. Gli uomini tendono a evitare
di chiedere scusa perché sarebbe sintomo di debolezza o concessione.
4. Le donne tendono ad assumersi la colpa come mezzo per alleggerire una situazione delicata. Gli uomini tendono a ignorare
il rimprovero e a metterlo da parte.
5. Le donne tendono a esporre delle critiche cercando di attenuarle in modo positivo. Gli uomini tendono a esporre
una critica in modo molto diretto.
6. Le donne tendono a inserire, nel corso della conversazione, ringraziamenti non necessari e non richiesti. Gli uomini
evitano, in generale, i ringraziamenti, visti come segno di debolezza.
7. Le donne tendono a chiedere, al fine di cercare approvazione “che cosa ne pensi?”. Gli uomini spesso interpretano tale
domanda come indice di incompetenze e mancanza di fiducia in se stessi.
8. Le donne tendono a dare indicazioni in modo indiretto; tale tecnica potrebbe essere percepita dagli uomini come confusa,
poco chiara o manipolativa.
9. Gli uomini tendono a usurpare le idee proposte da donne millantandole come proprie. Le donne tendono a permettere
tale modo di agire per prendere posto senza suscitare proteste.
10. Le donne usano una tono di voce più delicato per incoraggiare persuasione e appoggio. Gli uomini usano un tono di voce
più alto per attirare l’attenzione e mantenere il controllo.
Fonte: tratto da D.M. Smith, Women at Work: Leadership for the Next Century (Upper Saddle River, NJ: Prentice Hall, 2000), pp. 26-32.
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Parte IV
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Flessibilità di genere: uso
temporaneo di comportamenti
di comunicazione tipici dell’altro sesso
I processi organizzativi
Verso una maggiore efficacia dello stile linguistico L’autrice Judith Tingley suggerisce che donne e uomini dovrebbero apprendere la flessibilità di genere. La flessibilità
di genere implica l’uso temporaneo di comportamenti comunicativi tipici dell’altro
genere al fine di incrementare la possibilità di esercitare un’influenza.35
Deborah Tannen, al contrario, sostiene che ciascuno debba diventare consapevole
del funzionamento degli stili linguistici e del modo in cui essi influiscono sulle nostre
percezioni e giudizi, in quanto reputa che aiutino ad assicurare che persone con conoscenze o idee valide vengano ascoltate. Si consideri come le differenze linguistiche
basate sulle differenze di genere influiscono su chi viene ascoltato a una riunione:
Coloro che sono abituati a parlare ad alta voce nei gruppi, che non hanno esigenze
particolari di silenzio prima di alzare la mano, o che sono a loro agio nell’esporre le
proprie idee senza aspettare di essere riconosciuti, hanno molte più probabilità di essere
ascoltati nel corso di una riunione. Coloro, invece, che non parlano fino a quando l’oratore
precedente non ha terminato, che aspettano di essere ammessi alla conversazione e che
tendono a collegare i loro commenti a quelli di altri, se la caveranno bene durante una
riunione nella quale tutti seguono le medesime regole, ma si troveranno in difficoltà in
riunioni con persone caratterizzate da stili di comunicazione simili al primo schema
descritto. Considerata la socializzazione tipica di ragazzi e ragazze, gli uomini tenderanno
ad aver appreso il primo stile, mentre le donne il secondo, portando a riunioni più
congeniali per gli uomini che per le donne.36
La conoscenza di tali differenze linguistiche può servire ai manager per scoprire metodi
che assicurino che le idee di tutti vengano ascoltate e che vengano attribuiti i giusti
meriti sia durante che al di fuori delle riunioni. È altresì utile considerare i punti di
forza e i limiti organizzativi del vostro stile linguistico. Potreste considerare l’ipotesi
di modificare una caratteristica linguistica che vada a scapito della percezione altrui in
merito al vostro grado di sicurezza, di competenza e di autorità.
Comunicazione organizzativa
Adottare la prospettiva della comunicazione organizzativa può essere una buona strategia per identificare i fattori che contribuiscono a determinare l’efficacia o l’inefficacia
del management. La nostra analisi è incentrata sul “chi” e sul “come” del processo di
comunicazione. Per esempio, qualsiasi atto comunicativo inizia con l’identificazione
di chi sarà il destinatario del messaggio: negli ambienti di lavoro, si può comunicare
verso l’alto con il superiore, verso il basso con i diretti subordinati, orizzontalmente con
i colleghi ed esternamente con clienti e fornitori. Esamineremo il “chi” della comunicazione organizzativa passando in rassegna svariati canali di comunicazione formali
e informali. Successivamente, approfondiremo le nostre conoscenze sul “come” della
comunicazione presentando un modello contingente per la scelta del mezzo adeguato.
Vedremo che l’efficacia comunicativa è determinata da un’adeguata corrispondenza tra
il contenuto del messaggio e il mezzo impiegato per comunicarlo.
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Comunicazione organizzativa nell’era digitale
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I canali formali per la comunicazione verso l’alto,
verso il basso, orizzontale ed esterna
Canali di comunicazione
formali: seguono la linea gerarchica o la struttura organizzativa
I canali di comunicazione formali seguono la linea gerarchica o la struttura organizzativa. I messaggi comunicati attraverso i canali formali sono considerati ufficiali
e vengono trasmessi lungo una o più delle tre direzioni seguenti: (1) verticale, verso
l’alto o verso il basso, (2) orizzontale e (3) esterna.
La comunicazione verticale verso l’alto e verso il basso La comunicazione verticale è il flusso di informazioni tra individui che occupano livelli organizzativi diversi.
• La comunicazione verso l’alto consiste nel comunicare con qualcuno che occupa
una posizione superiore nella scala gerarchica organizzativa. I collaboratori possono comunicare verso l’alto questioni che riguardano loro stessi, problemi con i
colleghi, prassi e politiche organizzative che non comprendono o non condividono,
successi e fallimenti. Una comunicazione verso l’alto dinamica favorisce l’equità
organizzativa e la condotta etica, la motivazione intrinseca e l’empowerment (tema
che approfondiremo nel capitolo successivo). La comunicazione verso l’alto assume
inoltre particolare rilevanza nelle politiche organizzative mirate ad accrescere la
produttività e migliorare il servizio ai clienti. I dipendenti che lavorano in prima linea
spesso sanno per esperienza come è meglio agire per portare a termine un compito;
purtroppo però sono in molti a non condividere le informazioni autocensurandosi.
Secondo i risultati di recenti ricerche:
Sorprendentem
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