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Market liquidity risk

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La misurazione del market liquidity risk: l’aggiustamento delle misure VAR
Article · December 2018
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Pasqualina Porretta
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BANCARIA
anno 72
Ottobre 2016
n. 10
CONTRIBUTI
Sostenere ogni sforzo per la ripresa
2
Antonio Patuelli
Le prospettive del settore bancario italiano e l’azione di vigilanza
della Banca d’Italia
4
Ignazio Visco
FORUM
La misurazione del market liquidity risk: l’aggiustamento delle misure VaR
14
Pasqualina Porretta, Francesco Giannone
SCENARI
I giovani e la casa. Nuove domande e nuova offerta
44
Luigi Cannari
FISCO E TRIBUTI
La disciplina del trust e la legge sul «dopo di noi»
52
Enzo Mignarri
SISTEMI GESTIONALI
Una nuova metrica di Rischio Esg - Environmental, Social and Governance per i fondi etici
60
Paolo Capelli
LIBRI
Conoscenza delle regole ed educazione finanziaria
64
Francesco Vella
MONITORAGGIO ISTEIN - ISTITUTO EINAUDI
Regolamentazione finanziaria in Europa
66
SEMESTRALI ABI AL 30 GIUGNO 2016
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ISSN 2499-4472 (online)
71
Le tendenze del settore bancario nelle Semestrali ABI
74
Indici
75
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107
Banche
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La misurazione del market liquidity risk: l’aggiustamento delle
misure VaR
Market liquidity risk measurement and adjusted VaR
Pasqualina Porretta, Francesco Giannone, Università di Roma «La Sapienza»
Keywords
Market liquidity risk,
liquidity-adjusted risk
measurement,
Liquidity Adjusted VaR
Jel codes
G12, G20, G32
Il market liquidity risk è stato riportato in auge dalla crisi finanziaria internazionale diventata,
nel tempo, crisi di illiquidità di strumenti e mercati finanziari. Esso è intrinsecamente connesso
alla liquidabilità/liquidità di un asset finanziario. Una breve analisi comparativa dei modelli di Liquidity Adjusted VaR permetterà di analizzarne i fondamenti logici e metodologici. Obiettivo
del presente lavoro è quello di applicare il modello valutativo di Meucci a un campione di titoli
azionari per verificare l’impatto, sulle misure di rischio complessivo, del market liquidity risk
anche in presenza di differenti livelli di diversificazione del portafoglio, diverse strategie di liquidazione, differenti fasi del mercato. Il modello scelto integra in un unico framework di misurazione le due componenti di rischio legate alla negoziazione di strumenti finanziari: il market risk
«puro» e il market liquidity risk. Le ultime modifiche regolamentari in materia di assorbimenti
patrimoniali obbligatori per il rischio di mercato sembrano ispirarsi alla stessa logica di integrazione.
The international financial crises is also an illiquidity of securities and financial markets crises. This has given rise
to market liquidity risk that is something different and more than «pure market risk» that asks financial
intermediaries to be properly measured and managed. In this perspective, the paper aims: a) to compare the
Liquidity Adjusted VaR methodologies and b) to apply the Meucci model’s on equity securities portfolio to measure
the market liquidity risk and pure market risk in the presence of different levels of diversification, liquidity strategies,
market’s periods.
1. Introduzione
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Ampiamente trascurato dal framework regolamentare e sottovalutato nell’industria bancaria dalle
funzioni di Risk Management, il market liquidity risk ha assunto negli ultimi tempi un’importanza
crescente in seguito alla crisi finanziaria internazionale che ha dimostrato che l’illiquidità di strumenti e mercati finanziari può minare profondamente la solvibilità tecnica degli intermediari bancari. Benché la presenza di questo rischio fosse nota già dalla metà del secolo scorso, non è stato
adeguatamente contemplato nell’ambito dei framework di valutazione delle diverse configurazioni
del rischio di liquidità. Questo ha natura multidimensionale; gli event-risk che lo producono sono
diversi e, a seconda della prospettiva di analisi adottata, originano «dimensioni» differenti: il corporate liquidity risk e il systemic liquidity risk, il going concern liquidity risk e il contingency liqui-
Nonostante il lavoro sia il risultato di una ricerca condotta congiuntamente dagli autori, i paragrafi 1, 2, 3 (e il sottoparagrafo «Modelli con add-on al VaR in funzione dello spread bid-ask») e 5 sono attribuibili a Pasqualina Porretta; i sottoparagrafi «Modelli VaR
aggiustati in relazione alla dinamica dei prezzi con price impact», «Modelli VaR aggiustati con la dinamica dei rendimenti», «Un
primo confronto tra i modelli di Liquidity Adjusted VaR» del paragrafo 3 e il paragrafo 4 sono attribuibili a Francesco Giannone.
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dity risk; il funding liquidity risk e il market liquidity risk1. La prospettiva che fa leva sulla modalità di reperire la liquidità, mette in contrapposizione la «dimensione» dell’asset/market liquidity risk
a quella del funding liquidity risk.
Non esiste in letteratura una definizione univoca di market liquidity risk2: esso può essere definito
come il rischio che una banca non riesca a convertire in denaro una posizione in attività finanziarie, oppure più verosimilmente, che riesca a liquidarla subendo una perdita, a causa dell’insufficiente liquidità del mercato su cui tale attività è negoziata e/o della particolare attività finanziaria.
Dowd (1998) lo definisce come il «rischio che il valore di liquidazione di una posizione in attività
finanziarie si discosti, in senso negativo, dal suo fair value». Trattasi di un aspetto del rischio di liquidità che, come anticipato sopra, è strettamente interrelato al funding liquidity risk: per far fronte
a improvvisi deflussi di cassa, un intermediario potrebbe decidere di vendere rapidamente attività
finanziarie accettando un prezzo inferiore al loro valore corrente di mercato subendo, quindi, una
perdita (market liquidity risk). Nondimeno, il market liquidity risk è fisiologicamente connesso
con i rischi di mercato, pertanto sovente la sua misurazione e gestione è deputata, presso gli intermediari finanziari a maggiore complessità operativa, all’unità di market risk management3.
La crisi finanziaria internazionale e la continua evoluzione dei mercati e degli strumenti hanno
conferito una rilevanza crescente alla liquidità «di mercato» degli asset in portafoglio, anche in virtù
della crescente quota di strumenti finanziari non liquidi (anche «titoli tossici»)4 presenti nel bilancio degli intermediari finanziari. Parallelamente è cresciuta l’importanza dei sistemi di misurazione
del market liquidity risk.
La letteratura sulla misurazione di questo aspetto del rischio di liquidità non ha incontrato la stessa
fortuna di quella dedicata ad altre tipologie di rischio da anni largamente investigate; si è sviluppata
infatti solo alla fine degli anni Novanta, con l’aumentare della volatilità dei prezzi di mercato e,
quindi, con la necessità per gli intermediari finanziari di definire l’esatta perdita di valore degli asset
in portafoglio riconducibile alla illiquidità/illiquidabilità degli stessi. I vari contributi forniti dalla
letteratura in materia cercano di identificare gli event-risk in grado di configurare il market liquidity risk e, per tale via, di giungere a una misurazione di tale rischio. I modelli sviluppati, nel corso
degli ultimi anni, per la misurazione del market liquidity risk sono molto eterogenei e, soprattutto,
ancora poco applicati nella pratica operativa.
Alla luce del panorama delineato, il presente lavoro, in seguito a una breve analisi comparativa della
letteratura sulla misurazione del market liquidity risk, ha l’obiettivo di applicare il framework valutativo di Meucci (2012) a un campione di titoli azionari per verificare l’impatto, sulle misure di
rischio complessivo, del market liquidity risk, anche in presenza di differenti livelli di diversificazione
del portafoglio, diverse strategie di liquidazione e differenti fasi del mercato. La scelta del modello
di Meucci è dovuta alla sua capacità intrinseca di integrare in un unico framework di valutazione
le due componenti di rischio legate alla negoziazione di strumenti finanziari: il market risk puro e
il market liquidity risk. È la stessa logica di integrazione verso cui tende anche il normatore di vigilanza con le ultime modifiche alla formula regolamentare per il calcolo degli assorbimenti patrimoniali obbligatori per le banche che utilizzano i modelli interni VaR, come si dirà nel seguito della
trattazione.
1 Porretta (2012).
2 Borio (2000).
3 Si veda anche Resti, Sironi (2007).
4 «Titolo tossico» è un’espressione non-tecnica invalsa durante la grave crisi finanziaria del triennio 2007-2009, attraverso la quale
si è soliti indicare le attività finanziarie il cui valore ha registrato una significativa riduzione e per le quali non risulta esistere alcun
mercato secondario che ne consenta lo smobilizzo a un prezzo ragionevole.
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2. Il market liquidity risk
Il market liquidity risk è intrinsecamente connesso alla liquidabilità/liquidità di un asset finanziario; trattasi di due aspetti, questi, che bisogna esplorare congiuntamente per evidenziarne differenze
e interdipendenze e comprendere appieno il «perimetro operativo» del rischio in questione.
La liquidità di un asset finanziario è una caratteristica continua e mutevole a seconda della tipologia di attività, della dimensione della posizione e dell’orizzonte di liquidazione5.
Circa la tipologia di attività, si fa notare che se un’attività:
- è totalmente liquida, qualsiasi posizione della stessa può essere immediatamente negoziata senza
sostenere alcun costo («costless trading»), nelle quantità desiderate e senza influenzare il prezzo che
si è osservato al momento in cui si è deciso di effettuare la negoziazione (si pensi all’attività liquida
per eccellenza: la moneta);
- è illiquida, nessuna posizione può essere negoziata;
- è continuamente negoziabile, può essere negoziata per la maggior parte delle posizioni, nonostante
risulti necessario sostenere costi di negoziazione;
- ha un basso grado di liquidità, non può essere negoziata di continuo e, se negoziata, comporta il
sostenimento di alti costi di negoziazione.
I costi di transazione/negoziazione, corrispondenti alla somma di tutti gli esborsi sostenuti dagli investitori, generati a posteriori dal passaggio di proprietà di uno strumento finanziario (a esclusione
di altri costi operativi)6 sono la più frequente manifestazione delle imperfezioni (o frizioni) di mercato. Più elevati sono i costi di transazione sopportati per negoziare una certa attività in un mercato, minore è la sua liquidità (sul tema si veda anche La Ganga, 2012). Come evidenziato da Stange
e Kaserer (2009): «the determination of the costs of trading is the main issue from a liquidity perspective». Il costo legato alla negoziazione di un’attività finanziaria in quantità pari a q, rispetto al
suddetto valore, può essere ripartito in tre componenti:
Lt(q) = Tt(q) + PIt(q) + Dt(q)
dove Tt(q) rappresenta i costi di negoziazione diretta (fee, commissioni di «brokerage», tasse, ecc.);
PIt(q) è la differenza tra transaction price e mid-price (price impact); Dt(q) indica i delay cost (ad
esempio, i costi di ricerca di una controparte). Molti dei modelli di misurazione della liquidità di
un asset finanziario sviluppati in letteratura si focalizzano sulla misurazione delle differenti componenti dei costi di negoziazione classificati da Amihud e Mendelson (2006) in tre categorie: costi di
transazione (trading cost); costi di impatto sul prezzo (price impact o market impact); costi di differimento (delay cost). I primi, che comprendono commissioni e tasse, sono di norma deterministici, quindi il market liquidity risk, inteso nella sua dimensione di rischio/variabilità, scaturisce più
propriamente dagli altri due: i price impact cost e i delay cost. Il price impact deriva dal fatto che
transazioni di ammontare significativo, in rapporto allo spessore corrente del mercato, tendono a influenzare negativamente il prezzo (ad esempio, la vendita è associata a un ribasso di prezzo e viceversa)7. Un acquisto di dimensioni rilevanti risulterà associato con un incremento del prezzo, mentre
5 Stange, Kaserer (2009), «If an asset is “fully liquid” any position in the asset can be immediately traded without a cost. Cash is the
primary example. For practical purposes, liquidity adjustments to its value are not necessary. An asset can be called “continuously
tradable” when most positions can be traded albeit with a cost. A good example are limit order books of developed stock markets».
6 Ad esempio le commissioni di mediazione e di regolamento e garanzia.
7 Lo spread è generalmente quotato in base a importi limitati e normalmente tende ad «allargarsi» in presenza di flussi in acquisto o vendita considerevoli.
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una vendita considerevole muoverà i prezzi nel senso opposto. Il market impact è considerabile
dunque come la differenza fra il prezzo di esecuzione della transazione e quello che si sarebbe osservato se la transazione non avesse avuto luogo.
I costi opportunità sono legati alla mancata (o parziale) esecuzione, oppure al ritardo con il quale
un’operazione è eseguita rispetto al momento in cui si è deciso di negoziare8. Tali costi si verificano se il prezzo di mercato si muove in direzione opposta alla posizione assunta nella transazione
(ad esempio, il prezzo subisce un ribasso nelle more di una decisione di vendita)9. Essi sono originati sia da una totale che da una parziale esecuzione dell’ordine, oppure da una esecuzione ritardata rispetto al momento in cui vi era l’intenzione di negoziare.
Come detto all’inizio del paragrafo il grado di liquidità di un asset è determinato, oltre che dal tipo
di attività considerata, anche dalla dimensione della posizione che si è intenzionati a negoziare. In
molti casi, è proprio la dimensione prevalente dei volumi negoziati che determina il grado di liquidità del mercato, mostrando anche la relazione esistente tra le attività e la liquidità del mercato:
se vi è una differenza positiva fra la dimensione della posizione e i volumi negoziati prevalentemente
nel mercato, molto probabilmente si riscontreranno ritardi nella negoziazione. Qualora la differenza riscontrata risulti troppo grande si potrebbe ricadere nella totale illiquidità di breve periodo,
causata dalla mancanza assoluta di controparti.
L’ultimo fattore che determina il grado di liquidità di un’attività finanziaria è dato dall’orizzonte
temporale di liquidazione considerato. Come già evidenziato, un titolo potrebbe essere considerato
illiquido nel breve periodo, nel caso non si riesca a trovare controparti per la negoziazione mentre,
in un intervallo temporale più lungo, potrebbe ricadere nella categoria degli asset con sufficiente
grado di liquidabilità a motivi delle maggiori occasioni di negoziazione che potrebbero profilarsi.
Un titolo detenuto in portafoglio fino a scadenza (held to maturity) ha un rischio di liquidabilità
nullo e, di conseguenza, presenta un costo di liquidità pari a zero, e quindi irrilevante. In questa prospettiva, è ragionevole affermare che tra orizzonte temporale e costi di liquidazione esiste in genere
una relazione inversa. Semplificando il problema, è possibile affermare che la liquidità di uno strumento finanziario è connessa alla facilità con cui può essere rimborsato o ceduto, anche in quantità elevate, su un mercato secondario. Una facilità che abbiamo ricondotto in questo lavoro a: la
tipologia di posizione, la dimensione della posizione, l’orizzonte di temporale di liquidabilità.
La liquidabilità di un asset finanziario è connessa a fattori esogeni ed endogeni. I primi guardano
alle caratteristiche di liquidità del mercato di riferimento, che sono spesso individuate (Kyle, 1985)
nelle seguenti:
- profondità (depth), che indica la capacità di assorbire grandi volumi di ordini senza effetti sui prezzi;
- ampiezza (tightness), che si riferisce alla differenza tra i prezzi di acquisto e vendita;
- immediatezza (immediacy), che misura la velocità a cui una transazione viene eseguita;
- elasticità (resilience), che esprime la capacità di far affluire nuovi ordini in corrispondenza di temporanei squilibri tra domanda e offerta e ristabilire l’equilibrio precedente.
Dal nostro punto di vista è opportuno però precisare che il market liquidity risk assume un perimetro operativo e una configurazione differente anche in funzione della view utilizzata. Se la prospettiva di partenza è lo strumento finanziario di negoziazione, vale quanto finora esposto: il market
8 Ad esempio per strategia di attesa deliberata o per incapacità del broker di condurre a termine la negoziazione richiesta.
9 Come sottolineato da Anolli, Resti (2008), tali costi sono caratteristici dei soli trader che dispongono di informazioni maggiori,
nella misura in cui il valore delle stesse declini con il passare del tempo.
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Figura 1
La variazione del valore di mercato di uno strumento: componenti
FONTE: NOSTRA ELABORAZIONE DI BANGIA ET AL. (1999).
liquidity risk assume il significato derivante dalla liquidità/liquidabilità dell’asset stesso. Se l’osservatorio di partenza è quello di un intermediario finanziario, il market liquidity risk (figura 1) è riconducibile a Bangia et al., 1999:
- fattori esogeni, specificamente connessi alla microstruttura del mercato, la quale è equivalente per
tutti i partecipanti e non è influenzata dalle azioni individualmente intraprese da ciascuno di essi10
(fenomeni di illiquidità esogena sono rinvenibili nei costi di transazione). Le teorie classiche sui
mercati finanziari sono basate su assunzioni di assenza di frizioni nei mercati; gli operatori economici sono però consapevoli che i mercati finanziari, anche quelli che quotano titoli ad altissima
capitalizzazione, non sono immuni da situazioni di illiquidità, risultando molto distanti dalla definizione di mercato efficiente appena enunciata: concludere negoziazioni di qualsivoglia quantità di beni in ogni momento, al prezzo osservato e senza sostenere costi di transazione (talvolta
rilevanti), non risulta in generale possibile. La liquidità di un mercato è definita dai fattori citati
sopra: profondità, ampiezza, immediatezza, elasticità. Per questo motivo un mercato è considerato
liquido qualora i partecipanti possano eseguire rapidamente transazioni di attività finanziarie,
anche di quantità significative, con un impatto minimo sui prezzi.
- fattori endogeni, specifici delle caratteristiche di liquidabilità intrinseche dell’asset di cui si è ampiamente trattato sopra.
Dal nostro punto di vista, pur cambiando la prospettiva assunta, i contenuti o, meglio, i fattori cui
sono riconducibili illiquidità/illiquidabilità di un asset rimangono gli stessi.
In questo contesto è opportuno però sottolineare anche le caratteristiche di prossimità e le differenze tra il market liquidity risk e il market risk puro. Il market liquidity risk è qualcosa di diverso
e di altro rispetto al market risk puro, ma vive con questo una stretta relazione di interdipendenza,
che di volta in volta può essere diretta o inversa. Insieme definiscono e qualificano la variazione
complessiva del valore di mercato di uno strumento finanziario, anche se market liquidity risk e market risk puro hanno origine da eventi diversi e hanno un impatto su variabili differenti.
II market risk puro produce una modifica della distribuzione dei rendimenti di singole (o portafogli di) attività a seguito di una variazione avversa delle variabili di mercato di riferimento del mark
to market/mark to model della posizione. Il market liquidity risk ha effetti sull’incertezza che avvolge
10 Nel caso in cui i partecipanti agiscano in maniera congiunta (cosiddetto herding behaviour), invece, è possibile che la microstruttura dei mercati sia modificata, come avvenuto durante la crisi di Ltcm del 1998.
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l’effettivo valore di liquidazione di una posizione e racchiude una sottostima del rischio effettivo legato all’operatività in alcuni mercati finanziari. La misurazione del primo aspetto è sicuramente demandabile, a livello logico e operativo, all’unità di market risk management; il secondo alle unità
organizzative che si occupano di misurazione del rischio di liquidità. Nell’industria bancaria accade
sovente che, di fatto, la misurazione del market liquidity risk sia del tutto trascurata o, in rari casi, specie in seguito alla crisi finanziaria, relegata all’unità organizzativa che si occupa di market risk.
La relazione tra rischio di mercato e di liquidità esogeno è diretta, come riscontrabile nel mercato
ampio e spesso di alcuni titoli di Stato, caratterizzato da ingenti volumi di negoziazione e bid-ask
spread limitati e pressoché stabili, o, alternativamente, nel mercato sottile dei prodotti strutturati. Diversamente, la dipendenza tra rischio di mercato e di liquidità endogeno è inversa: si pensi, ad esempio, al caso dei titoli a basso rischio, ma detenuti per importi molto rilevanti in rapporto alle dimensioni
del mercato di riferimento e quindi aventi un elevato impatto potenziale sul prezzo di liquidazione11.
Al market liquidity risk ha rivolto un interesse crescente anche il Comitato di Basilea in seguito alla
crisi finanziaria internazionale che, come noto, è anche crisi di liquidabilità di alcuni asset e di illiquidità di alcuni mercati. Il Comitato ha pensato, quindi, di integrare (anche se ancora in maniera incompleta) questo aspetto di rischio nell’ambito del framework di vigilanza sul market risk (in particolare
nell’ambito delle regole riguardanti l’utilizzo dei modelli interni). In tale prospettiva ha previsto, nel pacchetto di Basilea 3, obblighi di accantonamenti prudenziali relativi a posizioni poco liquide; holding period, nel calcolo della misura di rischio (attualmente 10 gg), differenziati per gruppi di strumenti in base
alla definizione di «orizzonti di liquidità»; requisiti aggiuntivi per il rischio di «jump in liquidity premiums» – tipico per situazioni di turbolenza finanziaria – su alcuni strumenti12; trattamento del rischio
endogeno di liquidità (rischio che la cessione oppure copertura influenzi negativamente i prezzi di
mercato), rettifiche di valore di vigilanza; ipotesi di calibrazione dell’approccio standard in funzione del
market liquidity risk. L’obiettivo perseguito dai regulator è quello di correggere la misurazione delle
perdite sugli strumenti destinati alla negoziazione per tener conto della variazione di valore prodotta
dalla liquidità/liquidabilità degli strumenti stessi. Trattasi di una logica nuova che richiede uno sforzo
di misurazione integrato da parte della funzione di Risk Management degli intermediari bancari. In
questa logica, si è pensato di trattare nel presente lavoro il framework di valutazione di Meucci, che offre
spunti di riflessione interessanti per legare insieme la misurazione del market liquidity risk con il market risk puro. Prima però di addentrarci negli aspetti metodologici di questo modello, riteniamo opportuno fare una breve analisi comparativa dei sistemi di misurazione del market liquidity risk presenti
nella letteratura in materia, al fine di delineare gli event risk più comunemente misurati dalla modellistica in materia e il contesto concettuale entro cui si muove il caso pratico.
3. La misurazione del market liquidity risk: una proposta di review della
letteratura
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La letteratura relativa alla misurazione del market liquidity risk è abbastanza eterogenea; non è possibile individuare un modello di riferimento poiché a differenti prospettive di osservazione/analisi
corrispondono necessariamente logiche differenti di misurazione.
11 Anolli, Resti (2008).
12 Strumenti con fattori di rischio poco volatili per i quali il modello interno sottostima il rischio; strumenti con fattori di rischio
inosservabili.
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Tavola 1
Modelli analizzati e ipotesi di partenza
Modelli di Liquidity
Adjusted VaR (L-VaR)
Principali autori /
Anno di pubblicazione
Ipotesi di funzionamento
Bangia, Diebold, Schuermann
e Stroughair (1999)
- Componente endogena del market liquidity risk trascurabile
- Perfetta correlazione tra fattori di rischio di mercato puro e di market liquidity risk
- Disponibilità delle quotazioni bid e ask degli strumenti considerati
Angelidis e Benos (2006)
- Dinamica dei prezzi di transazione (specificata nella descrizione del modello nel paragrafo successivo)
- Perfetta correlazione tra fattori di rischio di mercato puro e di market liquidity risk
- Conoscenza di prezzi e volumi delle transazioni passate degli strumenti considerati
Almgren e Chriss (1999)
- Dinamica dei prezzi, assunti come moti browniani
- Componenti di price impact temporanea e permanente rappresentate da
funzioni lineari del tasso di trading (rapporto tra quantità scambiata in un
intervallo temporale e lunghezza dell’intervallo)
Berkowitz (2000)
- Componente esogena del market liquidity risk trascurabile
- Price impact espresso dal prodotto tra un coefficiente e la quantità liquidata
- Conoscenza di prezzi e volumi degli scambi passati degli strumenti considerati
Giot e Grammig (2006)
- Particolari modelli econometrici per i rendimenti, sia tradizionali che corretti per la liquidità (specificati nella descrizione del modello nel paragrafo successivo)
- Disponibilità dei limit order book passati degli strumenti considerati
Liu (2009)
- Particolari modelli econometrici per i rendimenti, sia tradizionali che corretti per la liquidità e per le duration (specificati nella descrizione del modello nel paragrafo successivo)
- Disponibilità di prezzi, volumi e duration degli scambi passati degli strumenti considerati
Dionne, Pacurar e Zhou
(2015)
- Particolari modelli econometrici per i rendimenti, sia tradizionali che corretti per la liquidità, e per le duration (specificati nella descrizione del modello nel paragrafo successivo)
- Disponibilità dei limit order book passati degli strumenti considerati
Add-on al VaR su base dello
spread bid-ask
VaR da dinamica prezzi con
market impact
VaR da dinamica rendimenti
corretti per la liquidità
FONTE: ELABORAZIONE DEGLI AUTORI
Si è assistito in questi anni allo sviluppo contemporaneo di approcci diversi che hanno subito continui affinamenti nel corso del tempo; alcuni di questi riescono a considerare un numero cospicuo
di event risk, altri si focalizzano solo su una categoria o su un numero più limitato di fattori, puntando ai fattori esogeni o endogeni di illiquidità/illiquidabilità. La natura variegata dei modelli non
permette di fare un’unica classificazione degli stessi; diverse sono le tassonomie adottabili. Il punto
di vista che si vuole assumere nel presente lavoro è quello della misurazione del market liquidity
risk attraverso la modifica/ristrutturazione dei modelli tradizionali del «valore a rischio» (Value at
Risk). Stante la relazione di prossimità tra rischio di mercato puro e market liquidity risk si è deciso di analizzare il filone dei modelli VaR, strumento eleggibile per eccellenza alla misurazione del
primo rischio, aggiustati per tener conto della illiquidità/illiquidabilità degli asset.
In questa prospettiva, ci sembra possibile distinguere tre macro categorie di modelli di Liquidity Adjusted VaR in funzione del market liquidity risk (tavola 1):
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- nella prima, al tradizionale VaR per il rischio di mercato è affiancato un add-on, costruito sulla base
dello spread bid-ask, a rettifica dell’utilizzo del mid-price in luogo del prezzo a cui effettivamente
avviene lo scambio;
- nella seconda il VaR è stimato a partire dalle dinamiche dei prezzi, in cui vengono inseriti, in
modo più o meno arbitrario, dei termini espressivi del market impact;
- la terza si focalizza invece sui rendimenti, distinti tra rendimenti tradizionali e rendimenti corretti
per la liquidità, i quali, opportunamente modellati attraverso procedure econometriche, permettono di ricavare direttamente misure di liquidity VaR.
Nelle prossime sezioni, senza la pretesa di essere esaustivi, saranno descritte in breve le principali metodologie riconducibili alle macro-categorie di modelli sopra elencati; in seguito, dopo un breve
confronto tra i diversi approcci metodologici esaminati, sarà analizzato nel dettaglio il modello di
Meucci (2012), cui sarà dedicata la verifica empirica.
Modelli con add-on al VaR in funzione dello spread bid-ask. Il primo modello che rientra in
questa categoria, quello di Bangia et al. (1999), rappresenta un po’ la pietra miliare dei framework
di valutazione del market liquidity risk poiché è stato il primo a fornire una misura oggettiva di valore a rischio che includesse anche la componente di liquidità cercando, nel contempo, di separare
il rischio di variabilità del mark to market/mark to model della posizione, già «catturato» nelle misure di VaR, dal market liquidity risk, per il trattamento del quale è introdotto un aggiustamento
consistente nell’utilizzo di un predefinito percentile della distribuzione empirica dello spread relativo13. Il modello di Bangia et al. tenta di modellizzare, in primis, la componente esogena del market liquidity risk, ricavabile più facilmente dai dati di mercato rispetto a quella endogena.
Gli autori partono dal tradizionale VaR parametrico per il rischio di mercato di un titolo, che è
espresso in funzione del suo prezzo Pt (in particolare del mid price). Ipotizzano però che l’eventuale liquidazione del titolo avvenga al bid price, determinato apportando una rettifica al mid price
Pt. A tal fine definiscono il cosiddetto costo esogeno della liquidità (COL) come espressione della
metà dello spread bid-ask, a partire dalla ipotetica distribuzione dello stesso, e in particolare come:
dove S̄ e σ¯ rappresentano rispettivamente la media e la deviazione standard campionarie dello
spread relativo, e a il quantile della sua distribuzione corrispondente al livello prescelto, da decurtare alla stima del prezzo del titolo. Sotto l’ipotesi di perfetta correlazione tra fattori di mercato
(nello specifico i rendimenti logaritmici dei prezzi) e di liquidità (gli spread bid-ask), il VaR corretto per la liquidità (LaVaR) risulta uguale alla somma del VaR tradizionale e del costo esogeno della
liquidità, ovvero
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L’altro modello, ascrivibile alla macrocategoria in oggetto, è quello di Angelidis e Benos (2006), che
mira a superare la misura di Bangia et al. includendo al suo interno anche la componente endo-
13 Lo spread relativo è definito come:
.
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gena del market liquidity risk definita a partire dallo studio della microstruttura del mercato.
Le fondamenta del modello sono costituite dalle dinamiche del prezzo di transazione pt e del valore atteso μt di un asset:
dove Xt è una variabile indicatrice che assume il valore 1 o -1 rispettivamente a seconda del caso
di acquisto o vendita, ϕ un coefficiente che esprime il costo della gestione della liquidità per lo
scambio di un’unità di asset, che insieme all’altra componente di costo, dipendente dal volume
scambiato Vt ed espressa dal coefficiente k, costituiscono gli inventory cost; θ e ρ sono coefficienti
legati all’adverse selection, anche questa dipendente dal volume scambiato (in particolare θ rappresenta il grado di asimmetria informativa).
Dalla dinamica specificata discendono direttamente i prezzi ask e bid e, quindi, lo spread che viene
utilizzato allo stesso modo del precedente modello e da cui si ricava il VaR corretto per la liquidità:
dove Vαt indica il quantile di livello α della distribuzione del volume. Proprio la dipendenza dai volumi permette di distinguere tra componente endogena ed esogena del market liquidity risk: in
particolare per quest’ultima è sufficiente sostituire nell’espressione dello spread il volume medio
scambiato V̄t, mentre quella endogena risulta non nulla solo se Vαt è superiore a V̄t, nel qual caso
corrisponde alla differenza tra la misura totale e la componente esogena.
Tra gli altri modelli ascrivibili a tale macrocategoria si segnala poi quello di Ernst et al. (2012), che
propone una correzione del modello di Bangia et al. per la non normalità delle distribuzioni del
fattore di mercato e dello spread bid-ask. Il procedimento di misurazione è lo stesso, ma utilizza al
posto dei quantili za, ricavati dalla distribuzione empirica, una loro funzione z̄a che tiene conto
della skewness e della curtosi, detta espansione di Cornish-Fisher14.
Modelli VaR aggiustati in relazione alla dinamica dei prezzi con price impact. I modelli che
rientrano in questa categoria si focalizzano sulla costruzione della dinamica dei prezzi, opportunamente modellata al fine di includere al suo interno i termini relativi al price impact. Tra questi si
colloca tutto il filone di modelli ispirati alla teoria di portafoglio e, quindi, all’individuazione di
strategie ottimali di investimento; essi utilizzano, in generale, metodi di ottimizzazione per minimizzare i costi di liquidazione.
Un modello ascrivibile alla macrocategoria in oggetto è quello di Almgren e Chriss (1999) che
parte dall’ipotesi che i prezzi seguano un moto browniano cui si vanno a sommare i due diversi tipi
di price impact; sia per l’impatto temporaneo che per quello permanente è utilizzata una funzione
del tasso medio di trading, ovvero il rapporto tra la quantità di titoli scambiata in un intervallo e la
lunghezza dello stesso (assunta costante per ogni intervallo)15. Le funzioni di impatto possono essere generiche ma nell’articolo, al fine di migliorare la trattabilità, sono considerate funzioni lineari.
Gli autori definiscono il costo di liquidazione della strategia x sottraendo al valore della posizione
14 Cornish, Fisher (1938).
15 In particolare, detto Sk il prezzo all’istante k, la dinamica è la seguente:
con i primi due termini di Sk legati al moto browniano, τ la lunghezza di ogni intervallo, g e h funzioni di impatto permanente e
temporaneo rispettivamente, ed nk il numero di asset scambiati nell’intervallo k-esimo.
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all’istante iniziale (x0) l’ammontare ricavabile dalla liquidazione (a ogni istante viene liquidata una
quantità di asset pari a nk), ovvero C(x) = x0S0 – ΣNk = 0 nk Sk' , che risulta essere una variabile aleatoria normale, di cui si ottengono immediatamente il valore atteso E[x] e la varianza V[x]. Per determinare la traiettoria ottimale, gli autori costruiscono una frontiera efficiente, costituita da tutte
quelle traiettorie che, a parità di una delle caratteristiche di media o varianza, minimizzino l’altra.
Allo stesso modo si può ragionare in termini di VaR dei costi della strategia, definendo come VaR
corretto per la liquidità quello ottenuto con la traiettoria che lo minimizza:
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L’altro modello ascrivibile a questa categoria è quello di Berkowitz (2000): anch’esso, tralasciando
la componente esogena del market liquidity risk si focalizza sul market impact tramite un coefficiente d’impatto calibrato a partire dai dati sulle transazioni passate. L’analisi si inserisce sempre in
un contesto di portfolio management, in cui si trascurano gli spread bid-ask.
Per la dinamica dei prezzi degli asset l’autore utilizza dei fattori di rischio legati al mercato (xt), e
le quantità di asset liquidati (qt), tramite cui, insieme a un coefficiente θ, stimato con una regressione sui dati relativi alle transazioni passate, si esprime il price impact:
pt = pt – 1 – θqt + xt
La procedura utilizzata stima la distribuzione del valore del portafoglio effettuando simulazioni ripetute dello stesso tramite un modello di previsione sulla base dei fattori di mercato e di una funzione di pricing P; in particolare si ha
y^t + 1 = Q'tP(x^t + 1)
dove il vettore Qt contiene le quantità di titoli in portafoglio.
In questo modo, costruendo la misura di rischio sulla distribuzione proveniente dalla dinamica dei
prezzi che include il price impact, si tiene automaticamente conto della componente di market liquidity risk: l’autore nella metodologia non fa riferimento a particolari misure di rischio, sottolineando come sia possibile con questo modello giungere più in generale alla stima della distribuzione
del valore del portafoglio; in ogni caso nell’applicazione al caso pratico utilizza il VaR. I modelli ispirati a questo approccio metodologico hanno avuto una discreta diffusione all’interno della letteratura sul market liquidity risk; Gatheral e Schied (2013) ne fanno una review introducendo tre
condizioni di regolarità per le strategie di investimento e verificando quali siano rispettate dai vari
modelli (ad esempio, quello di Almgren e Chriss le rispetta tutte e tre). Poi gli autori approfondiscono il cosiddetto transient price impact (declino nel tempo dell’impatto sul prezzo) e due possibili estensioni dei modelli di price impact: l’introduzione di ordini inseriti nelle piattaforme di
scambio chiamate dark pool, dove gli ordini non sono visibili agli altri partecipanti, e l’allargamento
a più investitori.
Modelli VaR aggiustati con la dinamica dei rendimenti. I modelli che rientrano in questa categoria mettono al centro dell’attenzione i rendimenti dei titoli, distinguendo tra rendimenti tradizionali (quelli comunemente utilizzati per il calcolo del rischio di mercato degli strumenti finanziari)
e rendimenti corretti per la liquidità. La correzione può avvenire in diversi modi; una strategia
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spesso utilizzata sfrutta i dati contenuti nei limit order book dei titoli, cercando di ricostruire i
prezzi corrispondenti a un determinato ordine sulla base della sua dimensione e dei vari livelli del
book. Questi modelli infatti si inseriscono nel filone di studi maggiormente di tendenza negli ultimi anni, caratterizzato dall’utilizzo dei dati ad alta frequenza16.
Uno di questi è quello di Giot e Grammig (2006), in cui i rendimenti tradizionali sono chiamati
frictionless e sono dati dal logaritmo del rapporto tra i mid price, mentre per quelli corretti per la
liquidità, chiamati actual, si utilizza il prezzo bid relativo alla quantità scambiata17. La modellizzazione econometrica dei rendimenti prevede una componente autoregressiva, dai cui residui è modellata la volatilità, tramite un processo Garch18 e un fattore che segue la distribuzione t-Student.
Il modello è calibrato in più passi, utilizzando diversi stimatori; il VaR è ricavato a partire dai primi
due momenti della distribuzione dei rendimenti e ipotizzando per essi una distribuzione t-Student: ad esempio per il VaR «reale» (per i rendimenti actual) al livello di confidenza α, si ha:
VaRmb, t = μmb, t + tα, n1σmb, t
dove tα, n indica il quantile di livello α di una distribuzione t-Student con n gradi di libertà e μmb, t
e σmb, t rispettivamente i momenti primo e secondo, ma lo stesso procedimento è utilizzato per i rendimenti frictionless.
Le misure di market liquidity risk seguono dai confronti tra i VaR dei due tipi; in particolare gli autori definiscono come premi di liquidità i seguenti:
con il secondo che, essendo una misura relativa, risulta più adeguato per orizzonti temporali lunghi, mentre il primo per misure di rischio intraday. Inoltre nell’applicazione viene analizzato il cosiddetto premio di liquidità relativo non condizionato, costituito dalla media dei premi relativi:
l¯ = ΣTt = 1lt/T.
Invece il modello di Liu (2009) procede in modo differente, considerando l’intervallo di durata
media finanziaria tra due transazioni (duration) come stocastico e affiancando la sua modellizzazione
a quella dei rendimenti.
L’autore fa riferimento a uno schema Arma (1,1)19 per il tasso di rendimento aggiustato per la duration e specifica anche le dinamiche da cui ricavare il market impact, sia nella componente permanente che in quella temporanea. Queste sono rappresentate rispettivamente dai coefficienti λ e
θ nella dinamica della variazione del prezzo Δpt, che segue insieme a quella del flusso netto di ordini NetVt:
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dove ξt è la parte di flusso netto inattesa, Dt il segno di NetVt e ζt il termine di errore casuale. I coefficienti sono stimati tramite il metodo dei minimi quadrati ordinari.
16 Le tradizionali applicazioni utilizzano dati di mercato osservati a intervalli di tempo regolari; l’esempio più classico è costituito
dai dati di chiusura giornaliera. Invece i dati ad alta frequenza registrano tutto ciò che avviene sul mercato, ovvero ogni singola transazione. Dove possibile inoltre, vengono considerati tutti gli ordini immessi sul mercato, sia quelli eseguiti che quelli non eseguiti.
17 In particolare sono espressi rispettivamente da:
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I due termini di price impact forniscono la misura dell’impatto della liquidità sulle variazioni del
prezzo Lpt, e dividendo per il prezzo si ottiene la componente di rendimento dovuta alla liquidità
.
I rendimenti aggiustati per la liquidità sono ottenuti dall’autore sommando questa quantità ai tassi
di rendimento tradizionali: Lart = rt + Lrt.
La misura di rischio proposta è il VaR intraday (IVaR), calcolato sul processo dei tassi relativi a un
prefissato intervallo temporale, e costruiti aggregando i tassi di ogni singola transazione nell’intervallo. Il procedimento è quello della previsione del tasso successivo tramite il metodo Monte Carlo,
ottenuta attraverso le simulazioni delle duration tra le transazioni e dei tassi delle singole transazioni;
poi per l’IVaR(α) si seleziona il quantile di livello α. La misura ottenuta è riferita sempre a intervalli di tempo prefissati, ma è costruita a partire da simulazioni di transazioni separate da intervalli
di tempo stocastici.
L’ultimo modello analizzato è quello di Dionne, Pacurar e Zhou (2015), che è fortemente legato sia
a quello di Giot e Grammig, da cui eredita la distinzione tra i due tipi di rendimento costruiti dai
limit order book, che a quello di Liu in quanto, oltre che la stessa misura di rischio, adotta una modellizzazione econometrica non troppo diversa, comprendente ancora la duration tra le transazioni.
La definizione dei rendimenti frictionless e actual si differenzia leggermente da quella vista in precedenza, in quanto gli autori utilizzano i prezzi bid e ask invece che i mid20.
Poiché i rendimenti così definiti non verificano la proprietà additiva rispetto al tempo, gli autori
studiano le variazioni dei rendimenti, rif e rib rispettivamente, e definiscono i VaR intraday per le
somme di queste variazioni su intervalli predeterminati, indicati con IVaRcint,t(α) per quelli frictionless e LIVaRcint,v,t(α) per quelli actual: per tornare ai VaR dei rendimenti è sufficiente sommarli ai rendimenti di inizio periodo, ad esempio per i frictionless IVaRint,t = RFτ(t – 1) + IVaRcint,t.
Gli autori utilizzano un modello Log-Acd21 per la duration, mentre per le variazioni dei rendimenti,
che presentano una forte correlazione, ipotizzano una struttura Varma (p, q)22.
La misura di market liquidity risk ricalca quella di Giot e Grammig:
Un primo confronto tra i modelli di Liquidity Adjusted VaR. Il modello di Bangia et al. è stato
quello più investigato dalla letteratura: tra i punti di forza c’è indubbiamente la grande versatilità,
che ne permette l’utilizzo anche in tutti i mercati basati sul meccanismo dei market maker, dove
generalmente sono quotati solo i migliori prezzi bid e ask; inoltre è un modello estremamente semplice che non fa uso di particolari procedure econometriche e costituisce una naturale estensione
del VaR parametrico. Presenta anche dei limiti: l’esclusione dei fattori endogeni del market liquidity risk; l’ipotesi di perfetta correlazione tra le componenti di mercato e di liquidità degli asset, non
verificata nella realtà di mercato; anche la stima della distribuzione dello spread e del coefficiente a
non risultano del tutto soddisfacenti.
dove at(v) e bt(v) indicano rispettivamente i prezzi ask e bid per l’istante t relativi a un volume di v asset: per bt(v), detta vk la profondità relativa al k-esimo livello, si scende fino al livello m tale che Σkm=– 11vk < v, ma Σkm= 1vk ≥ v.
18 Bollerslev (1986).
19 Box, Jenkins (1976).
20 Nello specifico, seguendo la notazione già utilizzata,
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Il modello di Angelidis e Benos mantiene alcune delle criticità del modello precedente, pur avendo
il pregio di proporre un approccio diverso nella determinazione dei costi di liquidità basato sulla
microstruttura del mercato. Esso risulta applicabile in quei contesti dove i costi non sono calcolabili direttamente (ad esempio non è osservabile lo spread bid-ask), tuttavia la stima dei parametri
risulta abbastanza onerosa e richiede i dati sugli scambi intraday.
Nel caso in cui non si voglia trascurare la componente endogena può essere utile fare ricorso al modello di Almgren e Chriss; tuttavia la forma lineare dell’impatto costituisce uno dei limiti di questo modello, che inoltre non fornisce adeguate informazioni sulla sua calibrazione. In ogni caso, il
vero problema di questa classe di modelli, che sono stati definiti «teorici», è che da un punto di vista
operativo risultano poco realistici: non solo alcune ipotesi utilizzate non trovano riscontro nella realtà, ma le strategie di liquidazione proposte risultano spesso incompatibili con la realtà del funzionamento dei mercati e degli intermediari finanziari.
Anche il modello di Berkowitz risulta interessante relativamente alla costruzione teorica del price
impact, che viene inoltre condotta in modo oggettivo a partire da dati di mercato non eccessivamente difficili da reperire; tuttavia non risolve la questione della forma lineare dell’impatto e trascura il fattore dello spread bid-ask.
Il modello di Giot e Grammig utilizza i dati dei limit order book, che consentono di modellare meglio sia la componente esogena, sia gli impatti sui prezzi delle transazioni. Inoltre il modello va a
lavorare direttamente sui rendimenti piuttosto che sui prezzi; in questo modo non è più necessario modellare separatamente i costi di liquidazione per poi aggiungerli alla dinamica del prezzo, evitando così il problema della correlazione tra market risk puro e market liquidity risk. D’altra parte,
come tutti i modelli di questo tipo, risulta eccessivamente oneroso dal punto di vista computazionale, specialmente nel caso in cui non si abbiano direttamente a disposizione tutti i dati necessari
ma vadano ricostruiti.
Il modello di Liu ha invece il grande pregio di introdurre la modellizzazione degli intervalli temporali tra le transazioni, consentendo di cogliere le ulteriori correlazioni con i livelli e le volatilità
dei rendimenti. Tuttavia si tratta ancora di un modello piuttosto esigente in termini di dati richiesti (anche se meno rispetto a quelli che richiedono i limit order book) e di discreta complessità di
calibrazione.
Infine il modello di Dionne et al. presenta tutti i pregi degli ultimi due modelli; risulta inoltre più
aderente alla realtà rispetto a quello di Giot e Grammig in quanto va a utilizzare i prezzi ask, che
sono quelli effettivamente realizzati, in luogo dei prezzi mid, in linea con la teoria della microstruttura del mercato. Anche i punti critici sono gli stessi dei due modelli precedenti.
La tavola 2 fornisce un sintetico riepilogo dei principali pregi e difetti dei modelli di misurazione
analizzati.
È importante sottolineare, in questa breve analisi comparativa, che i campioni di titoli utilizzati per
le applicazioni dei diversi modelli di misurazione sono composti in maniera molto variegata, anche
se sovente connotati da una componente quasi esclusivamente equity. Diversi risultano anche gli intervalli temporali di osservazione, mentre uniforme, nel calcolo del Liquidity Adjusted VaR, la scelta
dell’intervallo di confidenza al 99%. La tavola 3 riassume le scelte compiute per le verifiche empi-
21 Bauwens, Giot (2000).
22 La struttura ipotizzata è la seguente:
con ri = (rib, rif) il vettore dei rendimenti, ed ei = (eib, eif) la struttura di volatilità, cui assegnano un processo Garch multivariato.
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Tavola 2
Breve confronto tra modelli
Modello
Breve descrizione
Pregi
Difetti
Bangia, Diebold,
Schuermann e
Stroughair
(1999)
Definizione del costo della liquidità come metà
dello spread bid-ask e conseguente add-on al VaR
parametrico basato sulla distribuzione dello
spread per ricavare LaVaR.
- Semplicità
- Costo della liquidità ricavato oggettivamente da dati di mercato
- Disponibilità dati richiesti
- Esclusione componente endogena
- Perfetta correlazione tra fattori di mercato e liquidità non realistica
- Stima della distribuzione dello
spread approssimativa
Angelidis e
Benos (2006)
Dalla dinamica dei prezzi sono ricavati quelli bid
e ask; dopo la calibrazione del modello per i coefficienti della dinamica, LaVaR ottenuto tramite
add-on al VaR tradizionale, costituito da metà dello spread bid-ask.
- Basato su microstruttura mercato
- Utilizzabile qualora i costi non
siano osservabili direttamente
- Perfetta correlazione tra fattori di mercato e liquidità non realistica
- Stima dei parametri abbastanza
onerosa
- Necessità di dati intraday
Almgren e
Chriss (1999)
Dinamica dei prezzi come somma di moti browniani e funzioni di impatto; a partire da questa si
ricavano i costi di liquidazione. La traiettoria ottimale è quella che li minimizza, da cui si deriva
LaVaR.
- Modellizzazione dettagliata del
price impact
- Esclusione componente esogena
- Strategie di ottimizzazione poco
realistiche
- Forma lineare del price impact
Berkowitz
(2000)
Modello di portafoglio, con previsione del valore da previsione dei fattori di rischio tramite funzione di pricing, che include il price impact. Dalla stima della distribuzione del valore del portafoglio, è possibile ricavare diverse misure di rischio.
- Price impact ricavato oggettivamente da dati di mercato
- Esclusione dello spread bid-ask
- Forma lineare del price impact
- Per maggior precisione necessari dati intraday
Giot e Grammig
(2006)
Dopo la stima dei modelli (struttura autoregressiva per rendimenti, con processo Garch per volatilità), il contributo della componente liquidità
è dato dalla differenza tra i VaR per i due rendimenti (ricavati ipotizzando una distribuzione t-Student).
- Maggiore precisione nella stima
del price impact
- Misura di rischio corretta per la
liquidità direttamente dai rendimenti
- Dati dei limit order book non facilmente disponibili
- Onerosità computazionale
Liu (2009)
Dopo la stima dei modelli (struttura Wacd(1,1)
per duration, e Arma(1,1) + Uhf-Egarch(1,1) per
entrambi i rendimenti), simulazione Monte Carlo di rendimenti e duration, per ricavare le misure di VaR (intraday); il contributo della componente di liquidità è dato dalla differenza relativa tra
i due.
- Utilizzo dati ad alta frequenza
- Introduzione di modello per
duration tra operazioni
- Misura di rischio corretta per la
liquidità direttamente dai rendimenti
- Dati ad alta frequenza non facilmente disponibili
- Onerosità computazionale
Dionne, Pacurar
e Zhou (2015)
Dopo la stima dei modelli (LogAcd per duration,
Varma-MGarch per rendimenti, di ordini differenti in base al titolo utilizzato), simulazione Monte
Carlo di rendimenti e duration, per ricavare le misure di VaR (intraday); il contributo della componente di liquidità è dato dalla differenza relativa
tra i due.
- Utilizzo modello per duration
tra operazioni
- Modellizzazione congiunta dei
due tipi di rendimenti
- Misura di rischio corretta per la
liquidità direttamente dai rendimenti
- Dati non facilmente disponibili
- Complessità della modellizzazione
- Onerosità computazionale
FONTE: ELABORAZIONE DEGLI AUTORI.
riche condotte dai diversi autori in termini di tipologia di asset, periodo di osservazione, frequenza
di rilevazione dei dati, orizzonte temporale e intervallo di confidenza. In tutti i contributi citati nella
tavola 3 sono state calcolate dagli autori sia le misure di rischio comprensive di entrambe le componenti, di mercato e liquidità, sia quelle dovute a una sola delle due componenti; a partire da queste misure si è ricavata la percentuale di rischio dovuta esclusivamente alla componente di market
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liquidity risk rispetto alla misura di rischio complessiva (ove non esplicitamente indicata negli articoli è stata ricavata dai dati disponibili).
Come si nota dai dati nella tavola, l’impatto della componente di liquidità è quasi sempre inferiore
al 15%, tranne che per uno dei casi di Berkowitz e per quello di Liu (anche se qui è riferito a orizzonti temporali brevi), con una forte concentrazione nella fascia compresa tra il 6 e l’11%. Rara-
Tavola 3
Risultati ottenuti nei modelli esaminati
Dati
Orizzonte
temporale (h),
livello di
confidenza (α)
Impatto dela componente di liquidità
sulla misura di rischio complessiva
Bangia, Diebold,
Schuermann e
Stroughair
(1999)
Strumenti finanziari: tassi di cambio dollaro statunitense/yen giapponese e dollaro statunitense/baht
tailandese
Periodi di osservazione: 2 periodi di due anni; i due
precedenti al maggio 1997 (scoppio crisi asiatica) e i due successivi
Frequenza dei dati: giornaliera
h = giornaliero
α = 99%
Tasso di cambio dollaro/yen: 1% nel primo periodo, 1.5% nel secondo.
Tasso di cambio dollaro/baht: 16% nel primo periodo, 5% nel secondo
Angelidis e Benos (2006)
Strumenti finanziari: 4 gruppi di azioni della borsa greca, composti i primi due dai principali 20 titoli per capitalizzazione, gli altri due dai successivi 40 titoli
Periodi di osservazione: 6 mesi, tra giugno e dicembre 2002
Frequenza dei dati: giornaliera e infragiornaliera
h = giornaliero
α = 99%
Gruppo 1: 3,4% (componente endogena sul totale: 25%)
Gruppo 2: 7% (componente endogena sul totale: 29%)
Gruppo 3: 11,2% (componente endogena sul totale: 29%)
Gruppo 4: 11,2% (componente endogena sul totale: 28%)
Berkowitz
(2000)
Strumenti finanziari: 4 gruppi di fondi comuni d’investimento americani di diversa rischiosità
Periodi di osservazione: 2 anni, tra febbraio 1998 e
gennaio 2000
Frequenza dei dati: giornaliera
h = giornaliero
α = 99%
Gruppo 1 (growth & income): circa 2%
Gruppo 2 (growth): circa 4%
Gruppo 3 (aggressive growth): circa 10%
Gruppo 4 (metalli preziosi): circa 20%
Giot e Grammig
(2006)
Strumenti finanziari: 3 titoli azionari Dax a grande capitalizzazione
Periodi di osservazione: 3 mesi, tra agosto e ottobre 1999
Frequenza dei dati: infragiornaliera (limit order
book)
α = 99%
(più orizzonti
temporali)
Volume piccolo: 23% (10 min), 14% (30 min), 3%
(1 giorno)
Volume medio: 40% (10 min), 26% (30 min), 6%
(1 giorno)
Volume grande: 55% (10 min), 38% (30 min), 11%
(1 giorno)
Liu (2009)
Strumenti finanziari: 1 titolo azionario borsa cinese
Periodi di osservazione: 2 mesi, tra novembre e dicembre 2007
Frequenza dei dati: dati ad alta frequenza
VaR Intraday
(più orizzonti
e livelli di
confidenza)
Orizzonte di 15 unità: 32,7% (α = 99%), 26% (media degli α)
Orizzonte di 45 unità: 22,6% (α = 99%), 23% (media degli α)
Orizzonte di 90 unità: 28,8% (α = 99%), 29% (media degli α)
Orizzonte di 180 unità: 30,9% (α = 99%), 28% (media degli α)
Dionne, Pacurar
e Zhou (2015)
Strumenti finanziari: 3 titoli azionari Dax a grande capitalizzazione (Sap, Rwe, Mrk)
Periodi di osservazione: 2 settimane, relative a luglio 2010
Frequenza dei dati: infragiornaliera (limit order
book)
VaR Intraday
(più orizzonti
e livelli di
confidenza)
Azione Sap (α = 99%): 6% (5 minuti), 9% (10 minuti)
Azione Rwe (α = 99%): 0% (5 minuti), 2,5% (10
minuti)
Azione Mrk (α = 99%): 10% (5 minuti), 16% (10
minuti)
Modello di
Liquidity
Adjusted VaR
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FONTE: ELABORAZIONE DEGLI AUTORI
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Forum | 31
mente si osserva un valore che si può definire trascurabile dell’impatto in questione (2-3 casi su 17);
in tutti gli altri casi l’eventuale esclusione della componente di liquidità porterebbe evidentemente
a una distorsione, al ribasso, della valutazione della rischiosità complessiva dell’asset in portafoglio.
4. Caso pratico: il modello di Meucci
In questa sezione si propone l’applicazione del modello di Meucci (2012), che integra i rischi di
mercato e liquidità in un unico framework, seguendo un approccio innovativo messo a punto dallo
stesso autore: quello delle Fully Flexible Probabilities (Meucci, 2010). Questo metodo si differenzia per vari aspetti da tutti gli altri presenti in letteratura poiché, anziché puntare a una particolare
misura di rischio, è rivolto a stimare la distribuzione dei profit&loss (P&L) di un portafoglio che
consideri anche la componente di liquidità. Di seguito si procederà alla descrizione dell’impianto
metodologico del modello, dei dati utilizzati nell’applicazione e alla presentazione dei risultati ottenuti.
Il framework metodologico. Nel paragrafo si fornirà una breve descrizione del framework metodologico; maggiori dettagli sono riportati in Appendice. Il primo step del procedimento ha per oggetto la distribuzione dei P&L di un generico portafoglio relativa alla sola componente di rischiosità
di mercato; per la distribuzione dei fattori di rischio si utilizza la tecnica delle Fully Flexible Probabilities23 (Ffp). In seguito viene introdotta la componente di liquidabilità dell’asset, a motivo della
quale, in ogni scenario, il P&L dell’n-esimo titolo risulta soggetto a ulteriore incertezza e il cosiddetto aggiustamento per la liquidità (ΔPn) è determinato da tre fattori: lo stato del mercato, che è
incluso tra i fattori di rischio; la quantità di titoli da liquidare; l’orizzonte di liquidazione. Il primo
è rappresentativo di quelli che sono stati definiti i fattori esogeni; gli altri due, nel seguito indicati
rispettivamente con Δhn e τn per l’n-esimo titolo, dei fattori endogeni (box 1).
Box 1
La distribuzione dell’aggiustamento per la liquidità
La distribuzione da assegnare a ΔPn può essere di vario tipo, purché dipendente dai fattori elencati: nel lavoro di Meucci è scelta di tipo normale, di media μn e varianza μ2n. Questi parametri dipendono inoltre dalle ipotesi relative alla strategia di liquidazione e alla forma funzionale del conseguente price impact. L’autore utilizza la strategia detta volume weighted average price (Vwap) e il price impact del tipo
square-root; in questo modo giunge ai seguenti valori per i momenti della distribuzione:
dove i coefficienti αn, che corrisponde alla stima della metà dello spread bid-ask più le commissioni, in termini percentuali dell’esposizione
iniziale pn, βn che dipende dal tipo di asset considerato e σ̄n, la stima della deviazione standard media del titolo, sono fatti dipendere dalle
condizioni del mercato x, mentre νn,t indica il numero totale di titoli del tipo n scambiati nel mercato dall’istante iniziale fino all’istante attuale t.
Come si vede dalla forma, il valore atteso dell’impatto (μn) è una funzione decrescente, in termini assoluti, della lunghezza dell’orizzonte
temporale: infatti all’aumentare di quest’ultimo aumenta anche la stima dei volumi scambiati; allo stesso modo la varianza dell’impatto (σn)
è una funzione crescente dell’orizzonte temporale. Per passare all’aggiustamento di portafoglio, Δp, è sufficiente aggregare i singoli aggiustaliq quella tra ΔP e ΔP . ΔP risulta così distribuito normalmente, con media
menti tenendo conto delle loro correlazioni: si indichi con ρn,m
n
m
μ = Σnμn e varianza σ2 = Σn,mσnσmρliq
.
n,m
23 La tecnica in questione consiste in un’analisi di scenario, in cui a ogni scenario è associata una certa probabilità di accadimento.
Gli scenari possono essere storici (già osservati) o simulati; la possibilità di assegnare una probabilità diversa a ognuno permette
di dare più o meno peso a particolari scenari, risultando utile, ad esempio, al fine di eseguire degli stress test, per i quali è sufficiente
attribuire maggiori probabilità agli scenari peggiori.
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Il P&L totale di portafoglio, PT, viene posto uguale alla somma tra il P&L «di mercato» e l’aggiustamento per la liquidità:
PT = P + ΔP
L’approccio delle Ffp consente di giungere facilmente all’espressione esplicita della funzione di
densità dei P&L totali, a partire dalla distribuzione condizionata dell’aggiustamento ΔP rispetto
agli scenari e da quella, discreta, degli scenari, che permette di scrivere, tramite la convoluzione, la
funzione di densità di PT come la sommatoria:
dove ϕ indica la funzione di densità normale standard.
Seguendo la tecnica delle Ffp, inoltre, risulta abbastanza semplice introdurre la dipendenza della
strategia di liquidazione dallo scenario e quindi considerare una diversa quantità Δhn, (j) per ogni diverso scenario; lo stesso per gli orizzonti temporali τn, (j). In questo modo si possono condurre delle
prove di stress, facendo dipendere la strategia dal P&L di mercato puro P(j), e quindi ad esempio in
caso di forti perdite generalizzate, in cui è verosimile assistere a una corsa alle vendite considerando
di liquidare una parte più consistente di quei titoli che resistono meglio alla situazione di stress, ovvero che manifestano minori costi di liquidazione.
Tramite la funzione di densità f PT(y) si possono calcolare diverse misure di rischio, che risultano
per costruzione comprensive sia della componente di mercato che di quella di liquidità. È però
possibile procedere ulteriormente a separare le due componenti: nell’articolo è riportato l’esempio del VaR condizionato (o CVaR), per cui si ha
CVaR(PT) = ∂PCVaR(PT) + ∂ΔPCVaR(PT)
ovvero che il CVaR totale è uguale alla somma dei CVaR delle due componenti: market risk »puro»
e market liquidity risk.
Dalla scomposizione discende naturalmente una misura di liquidity score del portafoglio: questo sarà
tanto più liquido quanto più la componente relativa al puro rischio di mercato si avvicina alla misura totale; in particolare l’autore definisce come liquidity score (Ls) il rapporto
BANCARIA 10 | 2016
che assume valori tra 0 e 1, e risulta tanto minore quanto maggiore è l’impatto della componente
di liquidità. Si riconosce facilmente che questa risulta il complemento a 1 della misura indicata nel
paragrafo precedente come «impatto della componente di liquidità».
Dati, step metodologici e risultati della verifica empirica. Per l’applicazione del modello si è
utilizzato un database contenente i prezzi di chiusura e i volumi scambiati su un periodo di dieci
anni (da novembre 2005 a ottobre 2015) di un portafoglio di 13 titoli bancari italiani, appartenenti
all’indice Ftse Italia Banche (tavola 4). Il portafoglio è stato composto da titoli equity, in linea con
la maggior parte dei contributi della letteratura esaminati nel paragrafo precedente, poiché a essi
sono maggiormente confacenti le ipotesi teoriche alla base del modello di Meucci.
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Forum | 33
Tavola 4
I titoli azionari utilizzati per la verifica empirica
Codice Isin
Nome
IT0000088853
Banca Finnat
IT0000066123
Banca popolare dell’Emilia Romagna
IT0000064482
Banca Popolare di Milano
IT0000784196
Banca Popolare di Sondrio
IT0001073045
Banca Profilo
IT0001281374
Banco di Desio e della Brianza
IT0001005070
Banco di Sardegna
IT0003121677
Credem
IT0000064516
Credito Valtellinese
IT0000072618
Intesa Sanpaolo
IT0000062957
Mediobanca
IT0003487029
Ubi Banca
IT0004781412
UniCredit
FONTE: BLOOMBERG.
Data di estrazione: 30 novembre 2015.
La tavola 5 sintetizza le scelte metodologiche compiute per effettuare le simulazioni Monte Carlo,
ipotizzando che i rendimenti logaritmici dei prezzi seguano una distribuzione normale.
Tavola 5
Scelte metodologiche
Numero di simulazioni
Ipotesi rela- Orizzonte temporale (h)
tive al VaR
Livello di confidenza (α)
Ipotesi sul
modello e
sui suoi parametri
10.000
Giornaliero
99%
Strategia di liquidazione
Vwap
Forma funzionale dell’impatto
Coefficienti per il valore atteso dell’impatto (αn(x))
Square-root
Coefficienti per il valore atteso dell’impatto (βn(x))
1 (costanti)
Coefficienti per la varianza dell’impatto (δn(x))
1 (costanti)
Coefficiente per le correlazioni tra gli aggiustamenti per la liquidità (γ)
0,5
0,01 (costanti)
Nei vari casi esaminati si determina la distribuzione dei P&L corretti per la liquidità e, in alcuni,
se ne disegna il grafico, sovrapponendolo a quello della distribuzione dei P&L riferiti alla sola componente di mercato e derivata dalle simulazioni attraverso la funzione di pricing. Si passa poi al calcolo del VaR condizionale: per quello riferito a entrambe le componenti di rischio si inverte
numericamente la funzione di distribuzione dei P&L corretti per la liquidità e si applica la definizione di VaR condizionale:
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mentre quello dovuto alla sola componente di mercato si ricava direttamente a partire dalle simulazioni dei P&L di mercato. Dal rapporto tra quest’ultimo e il precedente emerge la misura corrispondente all’impatto della componente di liquidità, che viene così calcolata in maniera analoga ai
metodi presentati in precedenza, permettendo quindi anche un confronto più agevole con questi.
Per le simulazioni si sono costruiti 4 diversi portafogli e per ognuno sono state ipotizzate diverse
strategie di liquidazione (in funzione della quantità di titoli venduti, Δh). Riguardo alla composizione:
- il primo portafoglio è costruito prendendo per ogni titolo un controvalore corrispondente al 30%
del controvalore giornaliero medio relativo all’ultimo anno;
- il secondo portafoglio è costruito lasciando invariato l’ammontare investito ma assegnando identici pesi a ogni titolo in portafoglio. In questo modo aumenta il rapporto tra la quantità di titoli
in portafoglio rispetto a quella scambiata giornalmente, per i titoli il cui controvalore giornaliero
scambiato risulta minore, andando quindi a impattare sul market liquidity risk in maniera più evidente rispetto al primo portafoglio, maggiormente equilibrato in termini di liquidità;
- gli ultimi due portafogli sono composti restringendosi rispettivamente a 4 e 8 titoli, ciascuno dei
quali considerato per un ammontare pari al 30% del controvalore giornaliero medio relativo all’ultimo anno.
La verifica empirica condotta non si limita alla sola quantificazione della percentuale d’incidenza
del rischio di liquidità su quello complessivo dell’asset considerato, verifica anche se tale percentuale
varia in relazione alle strategie di liquidazione poste in essere dall’intermediario bancario, alla diversificazione di portafoglio e alle diverse fasi del mercato (come si dirà nel prosieguo).
Le strategie di liquidazione scelte iniziano da un quantitativo minimo in grado di avere qualche effetto in termini di market liquidity risk: si opta per la liquidazione del 3,33% della posizione, che
nel caso del primo portafoglio, per la sua costruzione, corrisponde all’1% del controvalore medio
scambiato giornalmente. La seconda strategia prevede la liquidazione del 20% del portafoglio (sempre nel caso del primo portafoglio corrispondente al 6% del controvalore medio scambiato giornalmente). Le ultime due presuppongono situazioni particolari, corrispondenti a condizioni di
dissesto dell’intermediario finanziario o di fabbisogni di liquidità improvvisi: in una si ipotizza di
mettere in vendita il 60% dei titoli presenti in portafoglio, nell’altra il caso estremo della liquidazione totale del portafoglio.
La maggior parte delle analisi condotte si è concentrata sul primo portafoglio: per esso sono state
provate tutte le strategie di liquidazione descritte, ma si è proceduto anche a ripetere le simulazioni
andando a selezionare le osservazioni relative a diverse fasi del mercato.
La prima strategia di liquidazione (Δh = -3,33%) è in grado di influenzare solamente in maniera
limitata la distribuzione dei P&L: la figura 2a mostra che le distribuzioni relative ai P&L sono quasi
coincidenti; il rapporto tra i VaR condizionati conferma l’esiguità dell’impatto della componente
di liquidità, pari a circa 2,5%.
Con la seconda strategia di liquidazione (Δh =-20%) inizia a emergere lo shift verso sinistra della
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distribuzione dei P&L totali rispetto a quella dei P&L di mercato (figura 2b), dovuto al valore negativo del price impact atteso (indicato in precedenza con μ), anche se in maniera limitata. Graficamente non si riesce ad apprezzare l’effetto sulle code della distribuzione; dalla simulazione
l’impatto della componente di liquidità si attesta attorno all’8%, ancora abbastanza contenuto.
Diversamente, con la terza strategia (Δh = -60%) lo spostamento verso sinistra della distribuzione
si fa più marcato e inizia a emergere un disallineamento nella coda sinistra della distribuzione (figura 2c): questo si riflette anche sull’impatto della componente di liquidità, che sale fino al 24%.
Infine, se si ipotizza di liquidare l’intera posizione (Δh = -1), si ottiene un ulteriore spostamento della
distribuzione dei P&L totali verso sinistra e un ulteriore disallineamento della coda sinistra (figura
2d), anche se non particolarmente evidenti rispetto al caso precedente come potrebbe far pensare
l’ipotesi di completa dismissione degli asset in portafoglio. In effetti, pur utilizzando questa strategia aggressiva, la costruzione del portafoglio fa sì che la quantità di azioni da scambiare ammonti al
30% della quantità scambiata in media giornalmente. In ogni caso la simulazione evidenzia come
l’impatto della componente di liquidità salga ancora, fino al 35%.
Figura 2
Distribuzione dei P&L relativi alla componente di rischio di mercato e al rischio totale per il
primo portafoglio
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Dai casi esaminati si evidenzia un andamento crescente dell’impatto rispetto alla quantità liquidata;
tuttavia, anche nel caso migliore, difficilmente un impatto del 2,5% si può definire trascurabile,
mentre nel caso peggiore la rischiosità da imputare alla componente di liquidità ammonta a più di
un terzo della rischiosità totale.
Successivamente si è ripetuta la simulazione sullo stesso portafoglio, ma andando a selezionare le osservazioni nei seguenti tre particolari periodi:
- il primo corrispondente all’incirca al biennio tra maggio 2007 e aprile 2009 (scoppio della crisi
finanziaria) caratterizzato da forti ribassi delle quotazioni dei titoli (in media per i titoli in esame
del 60% del valore) e da elevata volatilità in tutto il periodo;
- il secondo tra aprile 2009 e dicembre 2011, in cui le quotazioni hanno subito dapprima un incremento, poi un nuovo decremento (a causa della crisi del debito sovrano, con una perdita media
nel periodo ancora elevata, per i titoli del campione di circa il 45%) e caratterizzato ancora da una
discreta volatilità, specie nella seconda parte;
- il terzo compreso tra gennaio 2012 e ottobre 2015, in cui si assiste a un parziale recupero del valore dei titoli quotati, con un andamento nettamente crescente (in media del 96% nel periodo per
i titoli selezionati) e una volatilità media di periodo più contenuta.
Nella tavola 6 si riportano i coefficienti di impatto della liquidità derivati delle simulazioni ottenute utilizzando i dati relativi ai periodi indicati, insieme a quelli ottenuti in precedenza con l’orizzonte di osservazione completo (2005-2015): si utilizzano le stesse strategie di liquidazione.
Tavola 6
Misure di impatto del market liquidity risk riferite a diversi orizzonti temporali
di osservazione
Δh
-3,33%
-20%
-60%
-100%
11/2005-10/2015
2,5%
8%
24%
35%
05/2007-04/2009
1,9%
6,5%
19%
31%
04/2009-12/2011
2,2%
8%
24%
36%
01/2012-10/2015
2,9%
11%
27%
39%
Periodo osservazione
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Come si nota dai dati, l’impatto del market liquidity risk relativo al periodo della crisi finanziaria
si riduce in modo non marginale (facendo una media tra le strategie, del 19% in termini relativi,
rispetto al caso iniziale): in tale periodo infatti si assiste a imponenti shock di mercato, e quindi la
componente di rischiosità di mercato, dovuta alla grande volatilità di quel periodo, tende a prevalere su quella di liquidità.
I risultati relativi al periodo 2009-2011 sono invece in linea con quelli riferiti all’intero periodo;
in quest’arco temporale si osservano infatti due fasi alternate: una di salita dei prezzi, senza grandi
shock, e uno di discesa dei prezzi, più repentino rispetto al precedente; questo andamento riflette
quello generale dell’intero periodo, quindi risulta ragionevole il fatto che possano trovarsi risultati
analoghi.
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D’altra parte nell’ultimo periodo considerato, caratterizzato da una minore volatilità, e da una crescita pressoché costante, il rischio di mercato puro si riduce per lasciare maggiore spazio al market
liquidity risk: in questo caso si evidenza un discreto aumento del coefficiente di impatto della liquidità (ancora facendo una media tra le strategie, del 19% in termini relativi, rispetto al caso iniziale). In particolare tra il primo e il terzo periodo considerati, l’incremento medio percentuale dei
coefficienti tra le varie strategie ammonta al 47%.
Si è passati poi al secondo portafoglio. La sua costruzione fa sì che per i titoli meno scambiati, ipotizzare le strategie più aggressive del portafoglio precedente vorrebbe dire cercare di liquidare una
quantità superiore a quella scambiata giornalmente, creando uno scenario poco realistico e con effetti potenzialmente disastrosi sul market liquidity risk. Per questo ci si limita a considerare solamente
le due strategie di liquidazione più moderate, rispettivamente del 3,33 e del 20% della posizione.
L’orizzonte temporale di osservazione viene nuovamente esteso all’intero periodo decennale.
Sia dai grafici (figura 3) che dai valori delle misure di rischio si nota come il comportamento di questo portafoglio sia ben diverso da quello relativo al caso precedente; l’impatto della componente di
liquidità diventa notevolmente più marcato: dal 4,5%, relativo alla prima strategia di liquidazione
(quasi il doppio rispetto al portafoglio precedente), si arriva al 24% con la seconda (il triplo rispetto
al portafoglio precedente).
Figura 3
Distribuzione dei P&L relativi alla componente di rischio di mercato e al rischio totale per il
secondo portafoglio
BANCARIA 10 | 2016
Gli ultimi due portafogli sono costruiti esclusivamente al fine di indagare i possibili effetti della diversificazione sul market liquidity risk. In questo caso il confronto interessante è quello tra i vari
portafogli anziché quello tra le strategie; ci si restringe perciò a una sola strategia di liquidazione, e
in particolare quella pari al 20% della posizione, come espressione di una strategia media.
Dal punto di vista grafico (figura 4) le distribuzioni dei P&L si dispongono in modo simile al caso
analogo del primo portafoglio, facendo intuire che l’effetto diversificazione non sia così rilevante
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per il market liquidity risk. Ciò è confermato dai coefficienti di impatto della componente di liquidità, che risultano allineati a quelli del primo portafoglio (circa 8 e 9% rispettivamente).
Figura 4
Distribuzione dei P&L relativi alla componente di rischio di mercato e al rischio totale nel
terzo e quarto portafoglio
Le analisi condotte hanno mostrato, in sintesi, come l’impatto della componente di liquidità diventi
più consistente all’aumentare della dimensione della posizione da liquidare, coerentemente con
quanto concluso anche dai contributi della letteratura esaminati in precedenza; non sono invece risultate differenze significative in rapporto al livello di diversificazione del portafoglio: dato lo stretto
grado di parentela che lega market risk e market liquidity risk, risulterebbe lecito chiedersi se l’effetto diversificazione, che produce effetti positivi sul rischio di mercato, non possa portare a benefici anche per il market liquidity risk; evidentemente, da questo punto di vista, emerge
maggiormente il carattere di rischio di liquidità.
5. Conclusioni
La misurazione del market liquidity risk, ancora fortemente sottovalutata nei modelli di misurazione
delle perdite di valore sugli asset finanziari, è destinata a divenire per molti intermediari una priorità strategica nell’attuale contesto di mercato caratterizzato da elevata volatilità dei mercati finanziari e illiquidità di alcuni segmenti di questi. La recente letteratura in materia ha provato ad
«aggiustare» i modelli tradizionali di «valore a rischio» per tener conto della componente di market liquidity risk. Le direttrici utilizzate per l’aggiustamento sono state di volta in volta individuate
nella rettifica del mid price, nell’individuazione di un add-on, rappresentativo del market impact,
sui prezzi degli asset finanziari e nella modellizzazione econometrica dei rendimenti degli asset.
Dei modelli di Liquidity Adjusted VaR si è prodotta, nel presente lavoro, una sintetica analisi comparativa, evidenziando i risultati cui questi sono giunti, pregi e difetti di ognuno. Successivamente,
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al fine di valutare l’impatto che il market liquidity risk può avere sulla variazione di valore di un
portafoglio di strumenti finanziari, si è proceduto a implementare un caso pratico applicando, a un
campione di titoli azionari, il modello di Meucci (2012), connotato da un elevato grado di flessibilità rispetto agli altri modelli esaminati nel presente lavoro. Le analisi condotte hanno mostrato,
in estrema sintesi, che l’impatto della componente di liquidità diventa più consistente all’aumentare della dimensione della posizione da liquidare; non sono invece risultate differenze significative
in rapporto al livello di diversificazione del portafoglio. In ogni caso, è emerso un impatto importante della illiquidità/illiquidabilità degli asset sulle misure di capitale a rischio complessivo, che andrebbe adeguatamente contemplato anche in sede di pianificazione strategica, di costruzione del
processo Icaap, del Risk Appetite Framework nonché del processo di allocazione del capitale e della
liquidità, in particolar modo da quegli intermediari che svolgono una rilevante attività di intermediazione sui mercati finanziari. Per tutti questi, trascurare questo impatto significa creare un bias nel
sistema di misurazione del capitale a rischio in grado di alterare gli equilibri di gestione, non solo
in condizioni di stress di mercato (che rendono asset e mercati finanziari meno liquidi) ma anche
in condizioni di stabilità, e di indurre a scelte strategiche (su capitale e liquidità) errate. La verifica
ha dimostrato difatti che trascurare la «dimensione» del «market liquidity risk» porta a una sottostima delle misure di rischio complessive e, quindi, a conclusioni gestionali potenzialmente errate.
Tuttavia considerare l’impatto della «dimensione» in questione implica l’adozione di un approccio
di misurazione che tenti di integrare le misure di market risk puro (VaR) con misure di market liquidity risk; in questo senso va letta la scelta della verifica empirica incentrata sul modello di Meucci
che sposa appunto questa logica di integrazione offrendo spunti interessanti per la sua applicazione
nel contesto operativo degli intermediari. Una logica verso cui sembra tendere anche il normatore
di vigilanza prudenziale, che nel pacchetto noto come Basilea 3 chiede, agli intermediari che hanno
modelli VaR validati, di correggere la misurazione delle perdite sugli strumenti destinati alla negoziazione per tener conto della variazione di valore prodotta dalla liquidità/liquidabilità degli strumenti stessi. Trattasi di una logica nuova che richiede un salto di qualità, non solo ai sistemi di
misurazione dei rischi degli intermediari, ma anche uno sforzo di integrazione:
- dei dati sulla variabilità di mercato degli asset e sulla loro liquidità/liquidabilità non sempre facilmente reperibili/disponibili e/o integrabili secondo i costrutti teorici dei modelli sviluppati dalla
letteratura;
- dell’attività di reportistica e monitoraggio compiuta dalle unità organizzative che si occupano
della misurazione del rischio di mercato con quelle svolte dalle unità che si occupano di misurazione del rischio di liquidità;
- della pianificazione della liquidità (funding e liquidity plan) a breve, medio e lungo termine;
- della misurazione in condizioni di normale operatività e di stress della liquidità/liquidabilità degli
asset in portafoglio.
In questa prospettiva, difficoltà nello screening e nel consolidamento dei dati, adeguatezza dei sistemi informativi, scarsa comunicazione tra le unità di business che rivestono un ruolo attivo nella
gestione della liquidità e del rischio di mercato, carenze nell’attività di reporting e monitoraggio,
e, soprattutto, una «logica a silos» nella misurazione e gestione dei rischi possono rappresentare seri
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ostacoli non solo all’integrazione tra le misure di market risk puro e di market liquidity risk, ma
anche nel governo complessivo dei rischi.
Appendice
A. Il framework metodologico di Meucci
Per la determinazione della distribuzione dei P&L di un generico portafoglio relativa alla sola componente di rischiosità di mercato viene considerato un insieme di d fattori di rischio X = (X1, …, Xd), da cui il P&L dell’n-esimo
titolo, Pn, discende come una loro funzione deterministica: Pn = πn(X).
Si suppone che il mercato sia costituito da N titoli, e si indica con hn il numero di unità del titolo n-esimo incluse
nel portafoglio24, per cui questo risulta individuato dal vettore h = (h1, …, hN) e il P&L di portafoglio è esprimibile come la seguente sommatoria:
La tecnica delle Fully Flexible Probabilities (Ffp) ipotizza un certo numero di scenari diversi x(j) = (x1,(j), …, xd,(j),
per j = 1, …, J, ognuno con probabilità di accadimento pj. A ogni scenario corrisponde un diverso P&L: P(j) = Σnhn
πn(x(j)), così che la distribuzione dei P&L di portafoglio riflette quella degli scenari, ovvero P può assumere J possibili valori, P(1), …, P(J) rispettivamente con probabilità p1, …, pJ.
Si è detto che l’aggiustamento per la liquidità (ΔPn) è ipotizzato seguire una distribuzione tipo normale, di media
μn e varianza σn2, che dipendono dalla strategia di liquidazione (quella del volume weighted average price) e dalla
forma funzionale del conseguente price impact (del tipo square-root). La prima consiste nel liquidare in ogni
istante una quantità della posizione posseduta in modo tale da replicare l’andamento dei volumi scambiati nel mercato; in particolare, indicato con νn,t il numero totale di titoli del tipo n scambiati nel mercato dall’istante iniziale
fino all’istante attuale t, la strategia Vwap si descrive come:
Invece il price impact ipotizzato assume la forma
dove αn corrisponde alla stima della metà dello spread bid-ask più le commissioni, in termini percentuali dell’esposizione iniziale pn,0, βn un coefficiente che dipende dal tipo di asset considerato e σ̄n la stima della deviazione standard media del titolo.
Per specificare i parametri della distribuzione, l’autore fa ricorso ad Almgren (2003)25, da cui ricava le seguenti
espressioni per i momenti primo e secondo:
Da queste, sostituendo la funzione di impatto PIn(t) e quella relativa alla strategia
(che cor-
risponde alla Vwap nel limite λ → 0), si arriva alle espressioni riportate per μn e σn.
liq tra gli aggiustamenti per la liquidità ΔP e ΔP , vengono costruite a partire da quelle
Riguardo alle correlazioni ρn,m
n
m
mkt: infatti l’autore afferma che le prime presentano un andamento simile alle seconde,
tra i fattori di mercato ρn,m
ma tendono ad assumere valori molto più vicini a 1, e suggerisce perciò di scegliere un parametro 0 ≤ γ ≤ 1 e di
porre
liq = γ + (1 – γ)ρ mkt
ρn,m
n,m
Infine per la scomposizione delle componenti di market risk puro e market liquidity risk, nell’esempio dell’articolo del VaR condizionale (CVaR), la misura di rischio totale è ricavabile direttamente dalla funzione di densità
dei P&L corretti per la liquidità, mentre per la parte relativa alla componente di liquidità l’autore dimostra la seguente formula, ancora grazie all’utilizzo delle Ffp:
24 Gli hi possono essere anche nulli o negativi.
25 Almgren (2003).
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dove FP-1T (·) indica l’inversa della funzione di distribuzione di PT, α il livello di confidenza e N(·) la funzione di distribuzione normale standard. Quindi la componente residua, ∂PCVaR(PT), può essere calcolata per differenza dalle
altre due.
Bibliografia
Aktas C., Cortuk O., Teker S.,Yildirim B.D. (2012), «Measurement of Liquidity-Adjusted Market Risk by VaR and Expected Shortfall: Evidence from Turkish Banks», in Journal of Applied Finance & Banking, 2(5), pp. 137-147.
Almgren R.F. (2003), «Optimal Execution With Nonlinear Impact Functions and Trading-Enhanced Risk», in Applied Mathematical Finance, 10(1), pp. 1-18.
Almgren R., Chriss N. (1999), «Optimal Execution of Portfolio Transactions», in Journal of Risk, 3, pp. 5-40.
Amihud Y. (2002), «Illiquidity and Stock Returns: Cross-Section and Time-Series Effects», in Journal of Financial Markets, 5(1),
pp. 31-56.
Amihud Y., Mendelson H. (2006), «Stock and Bond Liquidity and Its Effect on Prices and Financial Policies», in Financial Markets and Portfolio Management, 20(1), pp. 19-32.
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