Uploaded by Chiara Scardacchi

LINGUISTICA APPLICATA (2)

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Linguistica applicata
LEZIONE DEL 02/03/2021
Cosa significata “linguistica”? Cosa è esattamente?
La definizione più accreditata è “lo studio scientifico delle lingue naturali”.
STUDIO SCIENTIFICO → studio che mira a studiare una vasta fenomenologia, numero infinito di
fenomeni, e cercare di ridurlo a pochi principi generali, che siano anche facilmente enunciabili.
Esempio: area del triangolo (base per altezza diviso due), questa legge vale per tutti i tipi di triangoli, un solo
principio generale facilmente enunciabile per tutti i triangoli.
Se consideriamo una lingua anche come l’italiano, ci possono venire in mente un numero infinito di frasi,
che possono essere anche molto diverse fra loro. Ovviamente il numero sale se andiamo a considerare tutte le
altre lingue e dialetti.
LINGUE NATURALI → lingue umane apprese in contesto spontaneo. Le possiamo contraddistinguere, ad
esempio, dai sistemi di comunicazione degli animali. Oppure ci sono altre lingue formali, come la lingua
dell’informatica o l’esperanto. L’esperanto sarebbe una lingua universale, creata a tavolino, che riprende
qualcosa dalle varie lingue parlate nel mondo, fu un tentativo di creare un linguaggio che tutti potevano
apprendere. Questo esperimento ha abortito, ha fallito, perché non è una lingua naturale, non è la lingua
materna di nessuno, nessuno la riconosce come propria. Ad esempio, l’inglese è la lingua madre di tutti gli
L1, una sorta di lingua madre per gli L2. Le lingue naturali (L1) sono quelle che i bambini apprendono da
piccoli spontaneamente.
PROPRIETA’ DELLE LINGUE NATURALI e che le oppongono agli altri tipi di linguaggio.
1- DISCRETEZZA, le lingue umane sono discrete, mentre i linguaggi animali sono continui. Discreto,
gli elementi che compongono il linguaggio sono nettamente individuabili.
Vivo – morto, sono due aggettivi discreti o sei vivo o sei morto.
Caldo – freddo, non sono discreti perché fra un polo e l’altro ci sono delle gradazioni come tiepido,
fresco, gelido, etc etc
I suoni che compongono il linguaggio umano sono discreti, il nostro cervello li percepisce come
unità.
Mano – meno (COPPIA MINIMA), la A è la vocale più aperte di tutte, se chiudo leggermente la
bocca allora pronuncio la E. Fino ad un certo punto dell’apertura della cavità orale il mio cervello
percepisce la A e poi la E, non c’è via di mezzo, o una o l’altra.
Palla – balla, una consonante sonora e una sorda, il mio cervello non percepisce una via di mezzo, o
una o l’altra.
I linguaggi animali sono continui, c’è una gradazione, ad esempio il gatto può rizzare il pelo più o
meno. Uno dei linguaggi più studiati è quello delle api, che per comunicare con le altre api fanno una
danza, più ricca è la fonte e più è intensa, più è lontana e più il cerchio che descrivono è ampio. C’è
un continuum.
Invece il linguaggio umano discrimina, così o nell’altro modo.
2- DOPPIA ARTICOLAZIONE, vuol dire che il nostro linguaggio è articolato su due piani paralleli.
Su un piano ci sono i fonemi, quindi elementi limitati e anche piccoli, in italiano ci sono 30 suoni
distintivi. Ma con questi suoni possiamo formare infinite frasi ed espressioni, appunto partendo da
pochissimi suoni distintivi.
Ciò anche per le lettere dell’alfabeto, anch’esse con capacità distintiva, sono 26 e con 26 segni
diversi possiamo scrivere migliaia di parole e frasi.
La linguistica si concentra soprattutto sulla lingua parlata, perché impariamo a parlare in maniera
spontanea, mentre ci viene imparato a scrivere. Tutti impariamo a parlare, anche il figlio di
un’analfabeta. Ci sono infatti persone e interi popoli che non hanno mai imparato a scrivere.
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3- RICORSIVITA’, si intende il poter creare un oggetto linguistico che ne contenga un altro. Parto da
un oggetto linguistico, come una frase breve “Gianni mangia la mela” e posso formare un oggetto
linguistico più ampio che lo contenga “Maria ha detto che Gianni mangia la mela”. In teoria questo
processo è replicabile all’infinito anche se in pratica si trovano esempi abbastanza ristretti. Questa è
una capacità solo dei linguaggi umani. Con la congiunzione “e”, “Gianni è bello”, “Gianni è bello e
simpatico”, “Gianni è bello e simpatico e intelligente”.
Gli scimpanzè hanno il linguaggio più vicino a quello umano, ci sono stati dei tentavi di insegnare a
degli scimpanzè a parlare e alle volte ci sono stati dei risultati. Non si è imparato a parlare con la
voce (non hanno un apparato apposta), ma con i segni. Alcuni hanno imparato fino alle 250 parole.
Poi hanno provato ad insegnarli qualcosa come la ricorsività (mettere una parola dentro l’altra) e non
sono riusciti nel loro tentativo.
Ma anche il linguaggio dell’informatica ha questa ricorsività, quindi?
4- DIPENDENZA DALLA STRUTTURA, quando noi analizziamo una struttura o frase non teniamo
conto solo della struttura lineare degli elementi (come fanno invece i computer), nel linguaggio
umano teniamo presente una struttura gerarchica degli elementi che ci permette di analizzare la frase
anche instaurando dei rapporti più a distanza.
“Il segretario del re si pettina” Chi si pettina? Il segretario, il pronome riflessivo “si” si riferisce al
segretario, lo sa anche un bambino piccolo senza alcun dubbio. Perché nella testa abbiamo una sorta
di struttura gerarchica che prescinde l’ordine degli elementi. Il pronome “si” sta vicino al re ed è
compatibile con la parola (non come per “io si pettina”). Allora perché scegliamo il segretario che è
più distante? Appunto per la nostra struttura gerarchica, di cui siamo spesso inconsapevoli.
“Gianni guarda le ragazze con il binocolo” questa è una frase ambigua che può avere due letture e
prescinde dall’ordine lineare. O Gianni guarda le ragazze che hanno il binocolo in mano oppure
Gianni guarda le ragazze attraverso il binocolo. L’interpretazione solitamente è la seconda, poi
dipende anche dal contesto che ci aiuta a disambiguare. L’ordine lineare non ci dà sempre la risposta
giusta.
Molto spesso queste cose che noi sappiamo in maniera inconsapevole non ci sono mai state
insegnate. A scuola ci vengono insegnati i pronomi riflessivi e verbi intrinsecamente riflessivi, ma
non ci viene detto a chi il pronome si può riferire all’interno della frase, ma noi per qualche strana
ragione lo sappiamo.
Le prime tre proprietà vanno a differenziare le lingue naturali da quelle animali, il quarto differenzia il
linguaggio umano da quello artificiale.
COMPETENZA VS ESECUZIONE
Due concetti da chiarire sin da subito, sono due aspetti del linguaggio. Parlando della ricorsività abbiamo
detto che esso è reiterabile infinitamente, ma in teoria, mentre nell’esecuzione sarà difficile avere più di tre
frasi una dentro l’altra.
La COMPETENZA è quello che sappiamo della lingua. Piano ASTRATTO.
L’ESECUZIONE è quello che facciamo con la lingua. Piano CONCRETO.
Competenza “è la capacità tipica del parlante nativo di dare giudizi di grammaticalità”. Per definizione essa
è perfetta nel parlante nativo. Cosa vuol dire? Saper giudicare la lingua, ma non giudizi di valore, ma di
grammaticalità, ovvero capire se la frase fa parte della propria lingua o del proprio repertorio. Un bambino
di 5 anni riesce a correggere un parlante straniero alle prime armi con la lingua. Il bambino riesce a capire
che *io si pettino è agrammaticale, anche se non ha studiato i riflessivi.
Confrontare le due frasi *io si pettino // a me mi piace il gelato. Non sono errori da mettere sullo stesso
piano, mentre la prima è proprio una frase agrammaticale che non fa parte della mia lingua, non la direbbe
neanche un bambino o una persona che ha studiato poco (un parlante non nativo sì perché la sua competenza
non è perfetta). La seconda il bambino non riesce a correggerla, tutti la dicono, questa frase non è
agrammaticale. Se dico che la seconda è sbagliata è un giudizio di valore, perché non fa parte della lingua
standard, non è riconosciuta a scuola, ma non viola principi grammaticali, tutti la usano, è un errore di
registro, uso una forma colloquiale in un contesto più formale come quello scolastico.
Parliamo di grammatica descrittiva e non normativa, che ha dei principi, diciamo cosa va bene e cosa no solo
in senso grammaticale e non di valore.
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L’esecuzione è quando noi mettiamo in atto la lingua, è un fatto fisico e concreto e può quindi anche
contenere degli errori. Ogni esecuzione è diversa dalle altre e ci possono essere vari fattori che vanno a
influenzare l’esecuzione, come l’ansia, la fretta, etc etc. Spesso il parlante si rende anche conto degli errori
che commette e si autocorregge, perché la competenza rimane.
I concetti di competenza ed esecuzione sono dati da Chomsky. La competenza è anche detta Lingua I
(interna) e l’esecuzione Lingua E (esterna). Questi concetti erano già stati affrontati da De Saussure, padre
della linguistica moderna, i suoi studi furono pubblicati postumi dai suoi studenti. Lui fu il primo a fare una
distinzione da Langue e Parole (in francese). La Parole è molto simile a quella che poi è stata definita
esecuzione, si parlava infatti di “atti di parole” come qualcosa di concreto. Mentre la Langue è diversa da
competenza, che si riferisce a qualcosa di personale e individuale, mentre la Langue ha un aspetto sociale,
sarebbe la lingua di una società in un determinato periodo ed è qualcosa che prescinde dall’individuo perché
nasce prima di me e continuerà ad esistere dopo della mia morte. De Saussure aveva posto l’accento su una
visione più sociale della lingua, mentre Chomsky si concentra sull’aspetto mentale della lingua, se uno
diventa afono (perde la voce) perde l’esecuzione ma non la competenza, riesco comunque a dare giudizi. La
competenza si perde solo a causa di determinati eventi come ictus, tumori etc e si ha quindi l’AFASIA, che
compromette la nostra competenza ed esecuzione.
ACQUISIZIONE DI L1
L’acquisizione della prima lingua, ovvero il bambino che nei primi mesi ed anni apprende in maniera del
tutto spontanea il suo linguaggio. Perché questo fenomeno attira l’attenzione di tutti i linguisti? Perché è un
fatto misterioso. Quando ci affacciamo ad una lingua straniera, impararla ci sembra molto difficile, ma la
nostra lingua la sappiamo già parlare, quindi in confronto al bambino piccolo siamo avvantaggiati.
L’adulto solitamente riesce ad imparare meglio rispetto ai bambini. È vero, ma non per le lingue.
Se una famiglia si traferisce all’estero, sì i genitori si possono impegnare tantissimo ad imparare la nuova
lingua con corsi, libri eccetera, ma il bambino pur non studiando e non conoscendo bene neanche la propria
lingua materna la imparerà meglio dei propri genitori. Quindi ci deve essere qualcosa che fa sì che i bambini
siano avvantaggiati.
I bambini partono dallo stadio 0, quando un essere umano viene al mondo non sa parlare ma abbiamo nel
DNA la capacità di impararlo. Abbiamo poi gli stadi S1, S2, … fino al SS, stadio stabile. Un adulto in una
lingua straniera cerca di approssimarsi al SS, ma difficilmente ci arriva, differentemente dal bambino.
Nel DNA c’è scritto che imparerò una lingua, ma non c’è scritto quale lingua, quest’ultima cosa non ci viene
tramandata geneticamente dai genitori.
È come se, quando veniamo al mondo, avessimo un programma word in testa, ma senza alcuna lingua
impostata, impareremo la lingua che viene parlata intorno a noi. Se il bambino viene messo in un contesto in
cui nessuno parla una lingua intorno a lui allora non imparerà mai.
I sordi una volta erano chiamati sordomuti, non perché non potevano parlare, ma perché non possono sentire
la lingua parlata intorno a loro e quindi non la potevano imparare. Altri casi sono quelli dei bambini selvaggi
(infant sauvage), come la leggenda di Tarzan, come tutte le storielle, anche questa ha un fondo di verità. Ci
sono dei bambini che sono stati isolati dai parlanti, come bambini segregati o bambini che si erano persi e
sono riusciti a sopravvivere e quando scoperti non sapevano parlare, perché non hanno avuto un input da cui
iniziare.
Nel giro di un paio d’anni, senza alcuno sforzo o impegno o insegnamento, il bambino riesce ad apprendere
perfettamente la sua lingua e non ci sono differenze individuali, che invece ci sono per L2. Nella L1 non c’è
nessuno che è bravo e nessuno che è negato. Tutti per definizione raggiungiamo lo stato di perfetta
competenza.
LEZIONE DEL 03/03/2021
L’acquisizione di L1 è quindi spontanea, rapida, senza sforzo ed è possibile acquisire qualsiasi lingua. Un
bambino non acquisisce per forza la lingua dei propri genitori, ma la lingua che viene parlata intorno a loro.
Un bambino può acquisire anche due lingue contemporaneamente, per esempio se a casa viene parlata una
lingua diversa da quella che viene insegnata a scuola (BILINGUISMO BILANCIATO). I bambini sotto ai 2
anni di vita per molti tipi di insegnamento hanno delle prestazioni peggiori rispetto agli adulti, salvo
nell’imparare la lingua del paese ospitante. Riescono molto meglio rispetto ai genitori che partono già
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conoscendo una lingua e che lo fanno con motivazione, etc.
Inoltre, nell’acquisizione di L1 non ci sono differenze individuali, mentre per L2 sì perché ci sono persone
più dotate e persone meno dotate. Invece, nella L1 tutti i bambini imparano allo stesso modo, non c’è
differenza fra i bambini con genitori laureati o non, genitori che gli parlano molto o non. Non serve
assolutamente correggere le produzioni dei bambini, se facciamo una correzione essa cade totalmente nel
vuoto, tranne se il bambino vive una determinata fase in cui coglie le correzioni. Non è che il cinese è più
difficile da acquisire rispetto all’italiano, rimane difficile a chi la studia come L2.
Per i sordi esistono le lingue dei segni (LIS, Lingua Italiana dei Segni) che sono diverse da lingua a lingua,
come le lingue orali. Anche le lingue dei segni sono lingue naturali, perché vengono apprese in contesto
spontaneo. Quale è il problema che riguarda i sordi? Loro spesso sono figli di genitori udenti e questi
genitori spesso e volentieri non conoscono la lingua dei segni e quindi il bambino non riesce ad entrare in
contatto con l’input orale, perché non sente, né con l’input segnico, perché i genitori non la sanno. Ad oggi,
se si ha un bambino sordo, la cosa migliore è di metterlo in contatto con persone che conoscono la lingua dei
segni, cosicché egli possa acquisire la lingua dei segni come L1. Anche le lingue visivo-gestuali sono lingue
naturali con discretezza, ricorsività, dipendenza dalla struttura e doppia articolazione, vengono imparate
negli stessi tempi delle lingue orali.
Oggetto linguistico → una parola, una frase, un suono, concetto molto generale
Nel corso del 900 sono venute fuori varie teorie per spiegare come avviene l’acquisizione di L1, cioè da
come il bambino passi dallo S0 allo SS (competenza perfetta del parlante nativo). Come si riesce a creare
questo apparato così complesso?
Ci sono vari tipi di approcci teorici che raggruppiamo in due grandi famiglie di approcci.
IL COMPORTAMENTISMO (BEHAVIOURISM) → uno dei teorici fu Bloomfield (1933) e Skinner
(19555), nella prima metà del secolo scorso era l’approccio più accreditato.
Il comportamentismo aveva riconosciuto una cosa fondamentale che fino a quel momento non era stato
evidenziato → L’IMPORTANZA DELL’INPUT. L’input è la lingua che viene parlata intorno a noi. Il
bambino non necessariamente acquisisce la lingua dei genitori biologici, ma la lingua che viene parlata
intorno a lui e, per l’appunto, senza input non si impara a parlare (bambini sordi o infant sauvage). L’input
non si misura in numero di frasi, tempo etc etc, basta che l’input ci sia e il bambino allora impara a parlare.
Per i comportamentisti l’apprendimento del linguaggio non è differente da altri tipi di apprendimento. (Input
come dati linguistici che noi riceviamo). Questo approccio si innesta in un’epoca di esperimenti di
laboratorio: metto il topo nel labirinto, metto un’esca a dx e piano piano il topo andrà sempre a dx e non a sx.
Esperimenti su memoria che gli animali hanno, dei comportamenti ripetuti che portano ad un accumulo di
abitudini.
Secondo i comportamentisti anche l’apprendimento del linguaggio avviene in questo modo:
STIMOLO → il bambino ha fame (proprio come il topo) e quindi deve dire qualcosa per richiamare
l’attenzione e far sì che il suo stimolo venga soddisfatto.
RISPOSTA → “pappa!”
RINFORZO → la mamma che gli dà il cibo.
Se il bambino dice “palla” allora gli verrà portata la palla, ciò vuol dire che lui non soddisfa lo stimolo della
fame. Quindi il rinforzo può essere POSITIVO o NEGATIVO (DEPRIVAZIONE).
Secondo i comportamentisti, il bambino imparerà che per soddisfare la fame deve dire “pappa” e non
“palla”, pertanto i rinforzi sono fondamentali per l’ACCUMULO DI ABITUDINI (HABITS
FORMATIONS). Il bambino memorizza quale è la risposta giusta ad uno stimolo e con il rinforzo impara
cosa dire. Grazie al rinforzo si capisce quali sono le cose giuste da dire e piano piano si crea tutto l’apparato
linguistico.
L’apprendimento del linguaggio non avviene in maniera differente dall’apprendimento di altre cose (vedi
topi).
Questo sistema è stato molto criticato soprattutto dagli esponenti del cognitivismo.
COGNITIVISMO – INNATISMO – MENTALISMO → cui massimo esponente è Chomsky (1957). I
comportamentisti hanno avuto il merito di riconoscere l’importanza dell’input, ma quando si comincia a
parlare di frasi più lunghe e complesse e slegate dal contesto “qui ed ora” è difficile andare a capire il
metodo di apprendimento. Quello dei comportamentisti può essere un ragionamento adatto alle prime
produzioni dei bambini, ma poi il gioco si fa ben più difficile.
La critica principale di Chomsky è quello della POVERTA’ DELLO STIMOLO, per stimolo si intende
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l’input, che è sì necessario, ma non sufficiente. È vero che il bambino deve ricevere l’input, ma non basta a
spiegare tutto quello che un bambino è in grado di fare. Il comportamentismo è un po’ semplicistico, perché
allora si annullerebbe completamente la creatività.
Chomsky dice che “ciò che il bambino produce non è uguale a quello che riceve”, non è un nastro che
riproduce ciò che sente.
Chomsky dice che lo stimolo è povero in quantità e povero in qualità. Perché? La combinazione che un
bambino crea è innumerevole. Anche se il bambino conosce solo 100 parole, egli può creare sempre nuove
combinazioni. Quante sono le frasi che arrivano al cervello del bambino? Moltissime, ma finite. Lo stimolo è
finito. Senza contare che gran parte di quello che un bambino può aver sentito se l’è anche potuta
dimenticare. La capacità generativa del bambino è illimitata, mentre lo stimolo è finito.
Inoltre lo stimolo è povero in qualità, perché somma di esecuzioni e l’esecuzione non sempre è corretta
(differentemente dalla competenza). Ciò che arriva alle orecchie del bambino non è perfetto, contiene un
sacco di errori, perché le esecuzioni sono spesso fallaci. Se analizziamo ciò che il bambino produce vediamo
che esso è capace di fare di più di quello che ha sentito.
Cosa è in grado di fare?
È in grado di fare GENERALIZZAZIONI → il bambino vede in un libro o in tv uno strano animale dal
collo lungo, chiede che cos’è e gli viene risposto che è una giraffa. Il bambino subito dopo è in grado di dire
“dove stanno le giraffe?”. Ha appeno sentito “giraffa”, non “giraffe”, pertanto se il bambino fosse un nastro,
non sarebbe in grado di formare “giraffe”, perchè il bambino non sa cosa sono le desinenze, il plurale, il
numero. Chi gliel’ha insegnato che il plurale di giraffa è giraffe? Quando ci azzeccano non ci facciamo caso,
mentre quando sbagliano ci facciamo caso, perché un certo paradigma è irregolare.
Sono capaci di fare REGOLARIZZAZIONI, pertanto il bambino da “uomo” dice “uomi” e possiamo
essere al 100% sicuri che il bambino non ha mai sentito la parola uomi. Stessa cosa con parole come
“romputo”, “piangio”, nessun adulto direbbe cose del genere. Questi errori vengono fatti perché sono
eccezioni, irregolarità, come noi facciamo con le lingue straniere “breaked” invece di “broke, broken”. Tutti i
bambini di qualsiasi lingua incorrono con queste regolarizzazioni, che sono la stessa cosa di giraffa giraffe,
ma a cui non facciamo caso perché esatte. Ma la formazione del plurale non è stata loro spiegata da nessuno.
Ciò ci fa capire che il bambino non ripete pari pari solo quello che ha sentito, perché esse sono forme
scorrette, non di competenza, che pronuncerebbe solo un parlante straniero alle prime armi con la nostra
lingua.
Abbiamo anche le OMISSIONI, i bambini omettono molte cose (copule, articoli, pronomi, congiunzioni),
dicono “mamma bella” e non “la mamma è bella”. Non è neanche possibile che il bambino non ha mai
sentito parole come “la” o “è” e sappiamo anche che questi elementi sono molto facili da pronunciare, ma il
bambino comunque sia li scansa.
Chomsky da una parte quindi ci dice che l’input non basta, perché lo stimolo è povero in quantità che qualità,
d’altro canto vediamo che le produzioni del bambino sono molto diverse da quelle che sente. Non posso dire
che il bambino è come un nastro, perché egli sente delle cose ma non le produce e produce delle cose che
non ha mai sentito.
Si ritorna quindi al fatto che l’input è necessario, ma non sufficiente. Serve qualcos’altro che fa sì che il
bambino rielabori l’input facendogli creare produzioni creative.
Questi tre meccanismi ci dicono che il cervello del bambino lavora e non compirebbe degli errori se non ci
fossero irregolarità, pertanto romputo, se rompere fosse regolare, allora sarebbe giusto. Inoltre, il bambino
non dice mai rompato o rompito.
Quale è l’idea di Chomsky?
Quello che entra nella testa è diverso da ciò che esce. Si pensa che ci sia qualcosa nella nostra mente (ecco il
perché del nome dell’approccio), ciò che viene chiamato LAD (LANGUAGE ACQUISITION DEVICE –
DISPOSTIVO ACQUISIZIONE LINGUAGGIO), ciò che entra viene rielaborato. La nostra testa ha la GU
(GRAMMATICA UNIVERSALE), il bambino riceve l’input (es: frasi italiane) che viene rielaborato dalla
GU e uscirà come GP (GRAMMATICA PARTICOLARE).
Cosa sarebbe la GU? Idea geniale di Chomsky, idea che capovolge l’idea che abbiano noi delle lingue
straniere. Noi pensiamo che quando ci approcciamo da grandi alle lingue straniere facciamo caso alle
differenze fra la nostra L1 e la L2. Ma Chomsky dice che tutte le lingue si assomigliano molto di più di
quanto differiscono. Il bambino non è una tabula rasa.
La GU contiene due serie di dati: i PRINCIPI e i PARAMETRI.
I principi sarebbero tutto ciò che è comune in tutte le lingue. Vediamo che in tutte le lingue c’è il soggetto
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predicato, in tutte le lingue ci sono le classi grammaticali (nome, verbo, avverbio, pronome). In tutte le
lingue ci sono delle strategie specifiche per fare domande, impartire ordini, esprimere negazione. Non in
tutte le lingue c’è il concetto di genere, ma quello di numero sì. In tutte le lingue c’è il tempo (il cinese non
ha morfologicamente il tempo, ma comunque sia lo ha). Anche la sillaba è un concetto universale. Differenza
fra vocali e consonanti, anche se non tutte le lingue hanno gli stessi suoni, alcuni sono comuni come la A, M,
N, B, P, T, D, I, U.
I parametri sono le sedi delle differenziazioni sintattiche. La sintassi delle lingue è molto più simile di quanto
sembri, ma non è una somiglianza totale, perché allora l’unica differenza che ci sarebbe è quella del lessico.
Anche la sintassi è diversa. I parametri sono delle scelte dinamiche. GU ci mette davanti ad un bivio, o
scelgo A o B.
Esempio: parametro del soggetto (foneticamente) nullo. Il concetto di soggetto è un principio universale,
tutte le frasi di tutte le lingue sono create con una struttura di soggetto – predicato. Se pensiamo all’inglese la
prima cosa che ci salta all’occhio è che esso è obbligatorio, mentre in italiano no (Vado a scuola, soggetto
sottinteso, implicito, silenzioso). Quindi questo parametro mi mette davanti alla scelta di decidere su usare il
soggetto nullo o no.
In inglese sono obbligata a dire “I go to school”, mentre in italiano “Vado a scuola”. Questo parametro non è
che vale solo per questo verbo, ma per tutti i verbi della lingua. Si vede anche per i verbi impersonali, in
italiano “piove”, in inglese “it rains” anche se it non significa assolutamente nulla.
Tu bambino devi capire se la tua lingua fa parte del gruppo A o del gruppo B.
LEZIONE DEL 04/03/2021
La teoria di Chomsky riguardo alla Grammatica Universale è nata intorno agli anni 50. In quegli anni non
esistevano strumenti di diagnostica come la TAC. Oggigiorno questi strumenti esistono, quindi quando
Chomsky ha proposto che nel nostro cervello ci sia il dispositivo di acquisizione linguaggio, lo ha detto
perché sennò non si poteva giustificare l’apprendimento della lingua. Infatti generalizzazioni,
regolarizzazioni e omissioni sono frutto di lavoro del cervello.
Questo qualcosa negli anni 50 non si poteva ancora vedere. Ad oggi con la TAC o la risonanza magnetica si
può vedere che all’interno di ognuno dei due emisferi del nostro cervello c’è un’area che governa le funzione
del linguaggio. Se un paziente ha ricevuto un danno proprio in quelle aree, può perdere l’uso della parola e
sviluppare l’afasia, patologia per cui perdiamo tutta o una parte della competenza linguistica. Si è visto
quindi che Chomsky ci aveva visto lungo, deputando la funzione di linguaggio al cervello.
Le due aree vengono chiamate “area di Broca” e “area di Wernicke”, prendono i nomi degli scienziati che
per primi hanno individuato queste aree.
A seconda dell’area che viene colpita dalla patologia, si hanno dei tipi di afasia diversi. Broca governa la
sintassi, il modo in cui le parole vengono messe insieme per formare le frasi. Il soggetto parlerà in modo
telegrafico, linguaggio ridotto al minimo, perché nel parlare si compie una grande fatica (e se ne rendono
conto). Le frasi vengono eliminate le parole funzionale. Le risposte che danno sono comunque sia coerenti,
si rendono conto di quello che dicono.
Se viene colpita Wernicke c’è un danno al collegamento di sintassi e semantica. Questi soggetti parlano
anche in maniera abbastanza spedita e fluente, ma quello che dicono è abbastanza privo di significato. Si
usano parole molto generali.
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La GU contiene due ordini di dati: i PRINCIPI e i PARAMETRI. I principi sono le regole universali, che
sono in tutte le lingue, dialetti, varietà minori, lingue dei segni, sono già dentro di noi, perché tutte le lingue
si conformano a queste regole. Ciò fu un grande passo in avanti perché allora il bambino non poteva più
essere considerato una tabula rasa. In verità quello che sappiamo è di più di quello che dobbiamo acquisire. I
principi universali sono tanti, pertanto tutte le lingue naturali hanno un bel po’ in comune. Questi principi
includono diversi livelli linguistici, come la fonologia, la morfologia, etc etc.
I parametri sono le sedi delle differenziazioni sintattiche, bivi linguistici, perché le lingue non differiscono
sono a livello di lessico.
Parametro del soggetto nullo, se nella mia lingua devo obbligatoriamente esprimere il soggetto o meno.
Questo parametro fu uno dei primi ad essere individuato.
Parametro del soggetto post-verbale, in italiano posso dire “il treno è arrivato” ed “è arrivato il treno”, ma
non inglese “the train has arrived”.
In italiano posso dire anche solamente “è arrivato” allora posso postporre il soggetto, mentre in inglese il
soggetto ci deve essere. Il soggetto post-verbale è quindi dipendente dal parametro del soggetto nullo.
L’italiano è una lingua SVO soggetto verbo oggetto, ma possiamo cambiare l’ordine delle parole per dare
un’informazione diversa. In questo caso, ciò è possibile anche in inglese. Altre lingue non hanno questo
ordine. L’altro tipo di lingue è il SOV soggetto – oggetto – verbo come il latino, LIS, giapponese. Anche il
tedesco e l’olandese vengono considerate lingue SOV, perché l’ordine canonico è quello delle frasi
subordinate (“Gianni è contento perché studia l’inglese” → “Gianni è contento, perché lui l’inglese studia”),
anche se nelle principali il V è in seconda posizione.
Ci sono anche delle lingue VSO, come l’arabo e le lingue celtiche, come lo scozzese, l’irlandese, etc
Gli altri due ordini possibili non sono praticamente attestati o quasi. In tutti gli ordini il soggetto precede
l’oggetto, cambia solo la posizione del verbo.
Il bambino in base all’input che arriva capisce come deve strutturare la lingua.
Parametro NA/AN→tutte le lingue hanno gli aggettivi, che sono modificatori del nome, ma l’ordine cambia
a seconda della lingua. “tavolo verde” “green table”
Parametro NGEN – GENN → John’s book // Il libro di Gianni, in inglese il genitivo precede il nome, in
italiano il genitivo succede il nome.
Molti di questi parametri son cambiati nel passaggio dal latino alle lingue romanze.
Una cosa che è cambiata solo nel francese, fra le lingue romanze, è che solo questa lingua non è a soggetto
nullo, mentre italiano, spagnolo, portoghese etc etc lo sono.
L’ordine delle parole dipende dal numero di elementi della lingua. L’inglese ha meno elementi e quindi è più
rigido, mentre l’italiano è molto più libero.
Cosa si è perso nelle lingue romanze?
Abbiamo il genitivo postnominale nella maggior parte delle volte preposizionale e l’ordine del soggetto
verbo.
Parametro dell’ordine di PN (preposizione) – NP (postposizione)→ nel primo caso dico “di Gianni” “a
casa”, ma in alcune lingue la preposizione è postposizione perché viene messa dopo del nome. Una lingua di
questo tipo è il Giapponese, “cena dopo”.
Esempio: “La casa del padre di Taroo” -→ “Taroo no otooisan no ie” “Taro di padre di casa”. La
postposizione segue il nome e inoltre il genitivo precede il nome. Il giapponese ha tutti gli ordini opposti
rispetto all’italiano.
Ci sono quindi delle cose INNATE e delle cose DA ACQUISIRE.
Sia i principi che i parametri sono cose INNATE. Cos’è che dobbiamo acquisire? Ovviamente non sono
poche cose, sennò sapremmo praticamente tutte le lingue.
Dobbiamo acquisire il lessico + morfologia + proprietà idiosincratiche. Sono messe tutte insieme perché
fanno tutte parte del lessico. Il lessico sono parole, che per tutta la vita continuiamo ad imparare anche nella
nostra L1. +Morfologia, le parole possono essere irregolari (rotto, broken) e queste sono da imparare come
parole nuove. Le proprietà idiosincratiche sono legate al lessico → “ascolto la radio” “I listen to the radio”, il
fatto che in inglese Listen deve essere seguito da To, lo devo imparare. Come il parlante inglese deve
imparare che in inglese ascoltare è seguito subito dall’oggetto. “Telefono a maria” “I phone Mary”, in
italiano devo dire telefonare a, mentre in inglese l’oggetto segue direttamente phone, anche se è un verbo
molto simile a quello italiano, con la stessa base.
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Altre cosa da imparare sono gli usi pragmatici, delle cose in parti culturali e in parti no, che si imparano più
tardi nella crescita. In italiano la forma di cortesia è il Lei, in francese il Voi, in inglese è You. Parlare di
certi argomenti in un paese è normale, mentre in un altro è scortese. I modi di dire “sono morto”, i doppi
sensi, etc etc.
I parametri, che quindi sono sia innati che da acquisire, ma perché? La scelta davanti a cui la GU ci mette è
innata (soggetto nullo o pieno? Scelta binaria), il fatto che sappiamo che l’italiano è lingua a soggetto nullo è
qualcosa da acquisire. La fissazione del parametro è da acquisire, scegliere l’opzione delle due.
LE FASI DELL’ACQUISIZIONE DI L1
Tutte le lingue sono ugualmente facili da acquisire come L1 e le si acquisisce negli stessi tempi. (!! Non
facciamo riferimento alla scrittura).
Fase pre-linguistica → fase nella quale il bambino non sta esprimendo un significato, “fa delle prove”.
Questa fase si divide in due momenti. La prima va da 0 a circa 6 mesi di vita, balbettio, appunto una prova
dello strumento musicale, si producono suoni inarticolati, magari suoni che non fanno neanche parte della
lingua obiettivo, magari suoni gutturali come quelli arabi, etc etc. Questa fase è presente anche nei bambini
sordi, perché appunto scollegata da tutto.
Il balbettio si specializza verso i 7 – 8 mesi con la lallazione, il bambino fa collane di sillabe. Ancora non si
sta dando un significato, ma si formano delle sillabe, che sappiano essere principi universali. La sillaba è
solitamente CVCVCVCV. Essi sono i suoni più semplici da articolare. C’è quasi solo la vocale A, che è la
vocale più semplice di tutte, e alcune consonanti come M e N, B, P, T, D, L.
Prima fase linguistica vera e propria → fase olofrastica o della singola parola, intorno ai 12 – 18 mesi. Il
bambino vuole comunicare un significato, “olofrastica” significa che la frase è composta da una sola parola.
Con una sola parola si intende un’intera frase.
Come sono queste singole parole? Dal punto di vista fonologico sono bisillabiche CVCV, in cui a volte la C
è doppia, solitamente sillabe uguali formate dagli stessi suoni della lallazione. Piano piano ci sono delle
variazioni per cui le sillabe cominciano ad essere diverse. Dal punto di vista morfologico queste parole sono
nomi, nomi concreti, di persone o animali o cose che sono presenti nell’universo del bambino (tata, pipì,
pupù, pappa, nanna, …). Vengono acquisite la i e la u. Può apparire qualche verbo, aggettivo o avverbio. NO
articoli, copule. Verbi di azioni visibili (mangia, dorme), aggettivi di qualità visibili (come i colori, bello),
avverbi (no, più). Parlando di verbi, le forme che appaiono presto sono l’infinito, il participio passato
(forma aggettivale del verbo) e la terza persona singolare che può coincidere con l’imperativo. Già le
forme verbali appaiono in questa fase e si producono forme ambigue fra una terza forma singolare e
l’imperativo (mangia), forme molto presenti nell’universo del bambino. In molti verbi l’imperativo e la terza
persona sono uguali, soprattutto per i verbi della prima declinazione, che sono i più numerosi. Inoltre, per
varie ragioni, la terza persona è considerata la forma più semplice da imparare. Dal punto di vista semantico,
si hanno delle iperestensioni e delle ipoestensioni del significato. Come quando noi andiamo in un paese
straniero e usiamo una parola per indicare un significato più grande della parola stessa. La stessa cosa la
fanno i bambini, che con le poche parole che conoscono vogliono indicare tanti significati.
Esempio: bambino che chiama tutte le persone “mamma” perché ha inquadrato che “mamma” è una figura
umana. Un bambino che ha un cane che chiama “gugu” e allora ci chiama anche i gatti, perché “gugu” indica
appunto un animale.
Si può avere anche il caso opposto, quello che intende il bambino è meno di quello che intendiamo noi,
anche se questo caso è raro. Ci può essere un bambino che pensa che “bubu” sia il nome del suo cane e
quindi gli altri cani non sono “bubu”, utilizzare un nome comune come se fosse un nome proprio. Se diamo
al bambino una “palla” e se poi gliene diamo un’altra un po’ diversa che allora non è “palla”.
LEZIONE DEL 09/03/2021
FRASE SINTATTICA / TELEGRAFICA → fase in cui inizia ad emergere la sintassi, parte di linguistica
che si occupa di mettere insieme le parole per formare delle frasi. In questa frase il bambino mette insieme
due parole. Le due parole sono in rapporto di soggetto – predicato. Questi due concetti sono PRINCIPI della
GU. Possiamo avere predicati verbali o nominali come “Mamma dorme” o “Mamma bella”, ma non ci
aspettiamo formazioni come “la mamma”, in questa fase sintattica si tralasciano le parole funzionali (Art, P,
Aux, C), abbiamo solo le parole lessicali. Per questo parliamo di fase telegrafica.
Il linguaggio telegrafico ricorda quello che era usato in passato nello scrivere i telegrammi. In passato il
telegramma era un mezzo di comunicare le notizie molto utilizzato, soprattutto per notizie urgenti che non
potevano aspettare i tempi delle lettere. Caratteristica del telegramma era che si pagava una cifra per ogni
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parola e pertanto venivano eliminate le parole funzionali. “Morta zia, funerale domani”, il messaggio è
chiaro lo stesso perché le parole saliente sono conservate.
Il messaggio è condensato in poche parole, che sono quelle salienti dal punto di vista semantico.
Nel linguaggio pubblicitario è spesso usato questo tipo di linguaggio, perché si cercano delle frasi ad effetto
che devono prediligere le parole lessicali.
Fra le varie parole che vengono utilizzate appaiono abbastanza presto dei verbi. In italiano abbiamo
veramente tanti verbi, quindi ci possiamo chiedere quali forme il bambino usi.
Le forme più usate sono quelle dell’infinito, il presente alla terza persona singolare (che coincide con
l’imperativo) e il participio passato.
Perché? Teniamo presente che il bambino per ora non si pone il problema del tempo verbale, di passato ne ha
abbastanza poco, al futuro non pensa e quindi diciamo che vive in un presente continuo. Il bambino
considera l’aspetto verbale, ovvero se un’azione è finita, conclusa oppure no.
Aspetto imperfettivo // aspetto perfettivo (principio universale) → il perfettivo, quando l’azione è perfetta,
pertanto l’azione è conclusa. In alcune lingue i tempi verbali passato sono al “perfetto”. Imperfettivo, indica
un’azione non ancora conclusa. Infatti in italiano l’imperfetto indica un’azione nel passato non conclusa.
Il bambino ha quelle tre forme verbali a disposizione.
Sia l’infinito che la terza persona del presente o imperativo esprimono l’aspetto imperfettivo, quindi usata
per descrivere un’azione in corso o un’azione futura. “Mangia pappa”
Il participio passato esprime il perfettivo.
Al bambino non importa tanto dell’aspetto ma dell’effetto dell’azione. Se dice “tazza rotta” non gli interessa
che la tazza è stata rotta nel passato, ma che ora nel presente vede gli effetti dell’azione conclusa nel passato.
Il bambino usa molto più verbi con aspetto imperfettivo che quelli al perfettivo. I verbi con valenza
perfettiva sono quelli risultativi, che esprimono azioni avvenute nel passato ma che hanno un risultato
visibile nel presente. Il bambino non dirà “mamma dormito”, ma “mamma sveglia”. “Tazza rotta” vuol dire
non tanto che la tazza è stata rotta, ma che ora è in pezzi.
Questi participi passati sciolti vengono usati un po’ come fossero aggettivi, infatti spesso il participio passato
può essere coordinabile con l’aggettivo, ovvero hanno lo stesso posto nella frase.
“Mamma dorme” al presente, perché dormire non è un verbo risultativo. “Porta chiusa” aspetto perfettivo.
I tempi che il bambino usa sono quelli che gli permettono di esprimere una differenza aspettuale.
Perché usa queste forme? L’infinito è una forma non flessa, quindi abbastanza semplice e dal bambino viene
anche spesso usato come elemento principale della frase “Bevo tutto”, “aprire”.
L’imperativo è un input verbale molto presente nel mondo del bambino.
La terza persona del presente usata per varie ragioni.
La terza singolare è considerata la forma di default, la forma mena marcata, quella di base, non per nulla i
verbi impersonali “piove” usano la terza singolare. Viene anche chiamata la “non persona”, perché io e tu
sono per forza delle persone, mentre la terza potrebbe anche essere un’oggetto.
Altra ragione, la terza singolare spesso coincide con l’imperativo, quanto meno per i verbi della prima
coniugazione che sono quelli più frequenti.
La ragione più convincente è il fatto che il bambino chiama tutti in terza persona, non usa i pronomi, che
sono elementi funzionali complicati, una classe chiusa, non posso inventare nuovi pronomi. Il bambino
chiama sé stesso “Mimmo mangia” oppure un diminutivo del suo nome “Margherita” che si chiama da sola
“Ita”. La terza persona singolare è pertanto coerente con tutti i soggetti che vengono scelti.
La prima forma flessa che il bambino usa è quindi la terza singolare per queste tre ragioni.
Per un lungo periodo i bambini si alternano fra l’infinito (anche se in italiano viene usato per meno tempo
rispetto ad altre lingue non a soggetto nullo), imperativo/ terza persona, participio. Poi piano piano inizia ad
apparire la terza plurale.
Così anche per i nomi che sono prettamente singolari, appaiono quelli al plurale molto molto dopo.
Solitamente i primi plurali sono “scarpe”, “calzini” perché sono oggetti che vanno sempre in coppia. Sullo
studio del caso di Ita abbiamo delle cose interessanti. Questa bambina diceva “chicco dui”, chicco in toscano
significa dolcetto, caramella, etc “dui” viene da “due”, ma qui la bambina non vuole dire “due” ma vuole
esprimere il plurale “chicchi”. Come le lingue orientali che non hanno il plurale della parola ma delle
particelle nella frase che lo indicano.
Al momento in cui il bambino è in grado di mettere insieme due parole, i parametri di ordine delle parole
sono già fissati, acquisiti. Dirà “palla verde” e non “verde palla”. In italiano sappiamo che l’aggettivo va
dopo del nome, in generale, il bambino già conosce questo parametro, quindi “mamma bella” o “mangia
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pappa” “mamma dorme”.
Un parametro non ancora fissato è quello del soggetto nullo. Il bambino inglese dirà “want milk”, il bambino
inglese non sentirà mai come input quella frase senza soggetto, inoltre “want” non può neanche essere un
imperativo. Ciononostante produce ciò sistematicamente, perché la prima scelta del bambino è quella del
soggetto nullo, tutte le produzioni dei bambini sono a soggetto nullo.
La scelta di default è quella di fare le frasi a soggetto nullo.
Il bambino italiano sceglierà poi di continuare così, perché la sua lingua è a soggetto nullo; il bambino
inglese si renderà conto che quelle frasi non vanno bene, non sono coerenti con i parametri della lingua. Il
bambino inglese quindi risetta il parametro, differentemente da quello dell’ordine delle parole che è già
settato correttamente.
Questo perché nelle lingue non a soggetto nullo, il bambino dovrebbe formare frasi da tre parole, ma non ne
ha la possibilità. Pertanto il bambino dirà “want milk” e non “baby want milk” (la s della terza persona
appare più tardi), il bambino sceglie l’opzione a soggetto nullo. Perché? Lo fanno in maniera inconsapevole,
probabilmente questa è un’opzione permessa dalla GU.
Ci sono poi ovviamente altre frasi dell’acquisizione della L1, ma le tre descritte sono le più importanti.
Spesso il linguaggio dei bambini è ambiguo, proprio per la mancanza delle parole funzionali. “late no caldo”
può significare due cose → “il latte non è caldo” oppure “non voglio il latte caldo”.
Spesso il linguaggio ambiguo è quello pubblicitario, lo si vuole ambiguo perché il lettore mette l’attenzione
sul messaggio e cerca di interpretarlo alla sua maniera.
L’ambiguità del linguaggio telegrafico, esempi come Birra Ceres “Ceres c’è”, sfrutta l’allitterazione, ma che
significa? Ogni persona la interpreterà in un modo proprio e per farlo quindi ci pone l’attenzione.
Un po’ tutto il corso è volto a individuare principi e parametri che rendono l’acquisizione di L1 da parte del
bambino semplice.
Si dice che la linguistica è una disciplina modulare, formata da strati che possono essere studiati
indipendentemente dagli altri.
FONETICA / FONOLOGIA
Perché si usano questi due nomi? Entrambi hanno la radice “fono”, parola greca che significa suono, ma le
due discipline analizzano aspetti diversi.
Il fono, studiato dalla fonetica, è il suono nel suo aspetto fisico. Si studia come si articolano i suoni, si parla
anche infatti di fonetica articolatoria.
Come dispongo gli elementi del mio apparato fonatorio per produrre un certo suono? Ogni suono è collegato
ad una modalità di articolazione diversa. Si può parlare anche di fonetica uditiva, come il mio orecchio
percepisce i suoni, fonetica acustica, che riguarda le onde prodotte dai suoni.
A cosa si contrappone il fono? Il fono è un suono linguistico, ovvero un suono che concorre alla formazione
di parole. Si differenzia dal rumore, che è producibile dal nostro apparato fonatorio (psssss) ma non è un
suono linguistico, non rientra nella formazione di parola. Non tutte le lingue hanno lo stesso inventario di
foni, quello che in italiano è un rumore, in un’altra lingua può essere fono.
Le lingue a click, sono lingue abbastanza strane parlate in alcune zone della repubblica sudafricana, hanno
dei suoni ingressivi. La maggior parte delle lingue sono formate da suoni egressivi, ovvero creati dalla
fuoriuscita di aria dall’apparato fonatorio. Le lingue a click invece fanno formare dei suoni mediante
l’ingresso dell’aria (bacio, suono del cavallo). Questi suoni per noi sono dei rumori, mentre in quelle lingue
sono dei suoni linguistici e sono difficili da produrre nel mezzo del discorso che è egressivo.
Una di queste lingue è la xhosa.
Fono → unità di base della fonetica → aspetto fisico della lingua, suono che produco.
Fonema → suono nel suo aspetto mentale, quindi qualcosa di astratto. ASPETTO ASTRATTO, concezione
mentale del suono.
Se tante persone diverse pronunciassero la stessa parola, avremmo tante esecuzioni differenti, ma queste
differenze non ci interessano, perché, se esse fossero rilevanti, allora non saremmo capaci di capirci.
Prendiamo in considerazione la a di “mano”, che è una vocale aperta, alle volte un po’ più chiusa. Anche se a
volte questa a è pronunciata un po’ più chiusa, riesco a percepire comunque sia il significato della parola,
finché la chiusura non diventa tale da farmi percepire e invece di a → ricordiamo la discretezza della lingua.
Mi interessa la variazione di suon solo quando essa porta ad un cambiamento nel significato della parola.
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La differenza mi interessa quindi, ad esempio, quando da “mano” passo a “meno”.
“Rana”, parola italiana, se fosse pronunciata da un francese lo farebbe con la r uvulare. Io comunque sia
capisco questa parola, perché c’è in italiano un solo fonema /r/. se pronuncia rana o rana alla francese il mio
cervello la interpreta allo stesso modo. Quella è una variante, hanno due articolazioni diverse, ma è una
differenza irrilevante. Anche se noi usassimo la r italiana in Francia ci capirebbero ugualmente.
Se invece rana fosse pronunciata da un cinese, che non ha questo fonema nel suo repertorio, allora la
differenza sarebbe diversa. In italiano esistono sia un fonema /r/ che /l/, pertanto “rana” e “lana” hanno
significato diverso, sono coppie minime, parole che hanno suoni uguali alla stessa posizione meno che uno e
hanno anche significati diversi. Io ho due immagini mentale diverse fra ( r ) e ( l ).
Il fonema lo possiamo definire come la più piccola quantità di suono che è in grado di distinguere parole dal
significato diverso. Il fonema ha capacità distintiva.
Come si fa a sapere se abbiamo varianti di fonema o fonemi differenti?
Dobbiamo ricorrere alle coppie minime, se cambiamo fono ad una parola ma rimane con lo stesso
significato, r e R di rana sono varianti dello stesso fonema.
Rana e lana invece sono una coppia minima perché con significato diverso. Spesso le coppie minime ci
servono per mettere in confronto suoni simili per vedere se sono varianti dello stesso fonema o fonemi
diversi.
Altre coppie minime come rame e lame, cara e cala, eccetera. Anche mare e care sono coppie minime ma
evidentemente differenti, mentre solitamente si cerca di individuare coppie minime che differiscono per
suoni simili.
In italiano ci sono circa 30 fonemi, suoni dalla capacità distintiva, e con essi andiamo a formare tutte le
parole e frasi dell’italiano (DOPPIA ARTICOLAZIONE)
VOCALI E CONSONANTI
La distinzione fra vocali e consonanti è un principio, infatti tutte le lingue le hanno.
Le vocali sono “quei suoni che permettono il libero passaggio dell’aria”, che non è pertanto ostruita come
per le consonanti, le quali “frappongono ostacoli al passaggio dell’aria”. Il fatto che permettano il libero
passaggio dell’aria significa che esse sono tutte continue e prolungabili, mentre le consonanti possono essere
sia continue che momentanee (/l/ continua, /b/ momentanea). Stesso discorso per la sonorità, che riguarda la
vibrazione delle corde vocali. Quando pronuncio le vocali le corde vibrano sempre, sono pertanto tutte
sonore. Mentre abbiamo consonanti sorde (/v/) e sonore (/f/). Le vocali hanno valore sillabico, ovvero
costituiscono il nucleo della sillaba, ogni sillaba ha un nucleo, parte più importante, e le vocali sono sempre
il nucleo.
In italiano, tranne nelle parole composte da semivocali (e i), possiamo dire che il numero delle vocali della
parola corrisponde al numero delle sillabe da cui è composta. Oceano O|ce|a|no
LEZIONE DEL 10/03/2021
In alcune lingue alcune consonanti possono avere valore sillabico. “Bottle” ha due sillabe, ma queste due
vocali le pronuncio solo se pronuncio la parola all’italiana. “Bo|tl”, quindi delle sillabe possono avere come
nucleo delle consonanti, che in inglese sono la m, n, l, r (nasali e liquide, consonanti sonoranti). La sillaba
tonica è bo, la atona è tl, cui nucleo è l.
“Garden” pronunciato come “ga:-dn”, la seconda sillaba ha la nasale n come nucleo sillabico. In inglese solo
le sillabe atone, quindi non portatrici di accento, che hanno le consonanti come nucleo.
Ci sono lingue, come il serbocroato, dove anche le sillabe atone possono avere le consonanti come nucleo
sillabico. Trieste in serbocroato è “Trst”, monosillaba cui nucleo è la R con valore sillabico. “Krk”, isola di
veglia, niente vocali, una sola sillaba cui nucleo è la r.
SISTEMA VOCALICO DELL’ITALIANO
Per distinguere una vocale dall’altra ci sono due parametri.
L’altezza della lingua, che può stare bassa, verso la parte inferiore della cavità orale, o alta, verso il palato,
chiudendo leggermente (sennò non sarebbe una vocale) la cavità. Vocali basse e aperte (a), vocali alte e
chiuse (i) (u).
Anteriorità e posteriorità, vocali anteriori come la (i), vocali posteriori o velari, cui dorso della lingua si
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alza e si avvicina al velo palatino, o palato molle.
Il sistema vocalico italiano è formato da 7 vocali. L’italiano è complicato dal punto di vista morfologico, ma
non dal punto di vista fonetico e fonologico, inoltre c’è quasi sempre un rapporto biunivoco fra grafema e
fonema.
La a è una vocale bassa-centrale, vocale presente in tutte le lingue e la prima che viene imparata. Vocale
aperta, per questo il medico ci dice di fare “aaaa”, così che possa guardare la nostra gola meglio.
Le altre due vocali che il bambino impara sono quelle opposte alla a, perché così sono più facili da imparare.
La i anteriore-alta e la u posteriore alta. Alto si può anche dire chiuso, anche se in verità non c’è ostruzione
dell’aria, ma sono le vocali più chiuse. Le velari sono anche dette arrotondate, perché nella loro articolazione
si tende ad arrotondare le labbra.
Ci sono poi due tipi di vocali medie, due e, due o.
La e anteriore medio alta è la e chiusa, come “vela”.
La o posteriore medio alta è la o chiusa, come “coda”.
La ε anteriore medio bassa è la e aperta, come “bene”.
La Ɔ posteriore medio ε bassa è la o aperta, come “modo”.
I dialetti del sud Italia sono sistemi pentavocalici, pertanto hanno solo vocali chiuse (medio-alte).
Troviamo coppie minimo di ε ed e → pesca / pεsca, e / ε, venti / vεnti, accetta / accεtta, ce / c’ε
Troviamo coppie minime di o e Ɔ → corso / cƆrso, botte / bƆtte, loro / l’Ɔro, o / hƆ.
Le vocali ε e Ɔ le posso trovare solo in sillabe toniche. Vεnto.
Le vocali e ed o le posso trovare sia in sillabe atone che toniche. Venticεllo, l’accento si sposta e quindi la
vocale della radice diventa una e chiusa. Pεsca → peschina NO pεschina.
Esiste poi la schwa É™ (parola che viene dal sanscrito) ed è un suono usatissimo in inglese. Viene chiamata
vocale indistinta perché non è né alta né bassa, né anteriore né posteriore.
Nei dialetti centromeridionali la usiamo a fine parola “ho magnatÉ™” (ho magnato). In questi dialetti è una
variante, non contrappone parole dal significato diverso.
In inglese la É™ ha capacità distintiva, poichè va a differenziare parole che formano coppie minime. In inglese
la schwa può essere presente anche in vocale tonica.
In tedesco ci sono le vocali miste ovvero la ä, ü, ö. Perché miste? Per pronunciarle servono due suoni.
La ü è vocale mista chiusa, la lingua si alza ma non va né avanti per fare i ma né indietro per fare u. Una
sorta di via di mezzo fra i ed u, sono dei suoni complessi. Una lingua può avere ü solo se ha sia i che u (più o
meno tutte le lingue del mondo), questo suono è anche nel francese, nel piemontese, etc.
Questi simboli vengono dall’IPA, international phonetic alphabet.
Mutter – Mütter → madre, madri.
Poi c’è la ö (o con taglio). Schon – schön → già, bello. Via di mezzo fra e ed o chiuse.
C’è un suono fra la a e la ε che è la ä come Käse. C’è anche in inglese, troviamo questo suono in family.
Via di mezzo fra e ed o aperte → vocale francese come in coer..
In francese ci sono le vocali nasalizzate, schwa con tilde. L’aria oltre che uscire dalla bocca, esce in
contemporanea anche dal naso. Troviamo questo suono nell’articolo indeterminato tedesco un. Se una lingua
ha un suono nasalizzato, allora ha anche il suono originale.
Questi sono suoni complessi, ovvero suoni che i bambini imparano tardi o mai.
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LEZIONE DEL 11/03/2021
Le coppie minime sono coppie di parole omografe, ma non omofone come per pesca e pεsca, ci sono poi
coppie di parole omografe e omofone, ma con significati diversi, come per sette (numero) e sette (segrete) e
ci sono poi delle parole omofone ma non omografe come per cieco (non vedente) e ceco (proveniente dalla
repubblica ceca).
SISTEMA CONSONANTICO ITALIANO
Tra caratteristiche:
- luogo di articolazione, dove la lingua si posizione all’interno della cavità orale e forma l’ostacolo dell’aria.
- modo di articolazione, se l’ostacolo è totale oppure se, ad esempio, esso è parziale.
- sonorità, se le corde vocali sono vicine e vibrano allora le consonanti sono sonore, se le corde sono lontane
e rilassate e quindi non vibrano, allora sono sorde.
In verticale viene indicato il modo di articolazione, mentre in orizzontale il luogo.
Consonanti occlusive → “occlusione”, suoni in cui la cavità orale è completamente chiusa, essendo suoni
molto diversi dalla vocale “a”, sono i suoni più chiusi e per questo sono i primi che i bambini imparano.
Sono tutti suoni momentanei, perché la cavità orale viene completamente ostruita per un momento e, quando
viene liberata, c’è una sorta di esplosione dell’aria che crea il suono. Per questo le occlusive sono chiamate
anche plosive od esplosive.
Occlusive bilabiali → p (sorda) b (sonora). Bilabiali, ostacolo formato dalle labbra, che si chiudono
totalmente per un istante. Se abbiamo le doppie “pappa” non è che abbiamo una consonante allungata, ma
viene più forte, abbiamo più aria > maggiore esplosione.
Occlusive dentali → t (sorda) d (sonora), punta della lingua che tocca la parte più interna dei denti, per un
momento la cavità orale è chiusa per questo ostacolo. Possono anche essere chiamate “alveolari” perché il
luogo di articolazione può essere leggermente diverso da lingua a lingua, la t italiana di “tavolo” è più
dentale, mentre la t inglese di “table” è più alveolare, ma comunque sia la nostra immagine mentale di questi
due suoni rimandano sempre e comunque alle t, non c’è opposizione fonologica fra una t alveolare e una t
dentale.
Occlusive velari → k (sorda, cane) g (sonora, gatto), ciascuno di questi suoni può stare davanti a qualsiasi
vocale. ka ke ki ko ku, gag e gi go gu, se poi davanti alle palatali ci metto la h e in spagnolo la u, quella è una
convezione della lingua. Anche la q italiana è una occlusiva velare sorda. In olandese non abbiamo
l’occlusiva velare sonora. Si chiamano velari perché il dorso della lingua si alza e tocca il palatino molle o
palatino. Che → [ke] ghiro → [giro]
Consonanti fricative → dette anche spiranti o sibilanti. Sono dei suoni continui, perché l’ostacolo non è
totale e i due organi articolatori si avvicinano ma non si toccano. Fricativo viene da frizione”, perché il suono
esce da uno spiraglio piccolissimo e i due organi si sfregano.
Fricative labio-dentali → f (sorda) v (sonora), labiodentali perché il labbro sotto si avvicina ai denti
superiori.
Fricative dentali → s z, l’italiano ha una scrittura molto fonematica, quindi molti suoni dell’italiano
corrispondono ai grafemi che usiamo per identificarli, ogni tanto c’è qualche discrepanza. Anche qua
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abbiamo una discrepanza, la s (sorda), z (sonora) che però non indica la z italiana ma pur sempre una s, come
in “caso”. Diatriba fra i linguisti italiani: sono tutti e due questi suoni da considerare fonemi? Sono pur
sempre suoni differenti, ma sono fonemi? In italiano si considera fonema solo la [s] e la [z] è considerata
variante. Mentre in inglese s e z sono due fonemi differenti “sip” [sip] (sorso) e “zip” [zip], “ice” e “eyes”. In
italiano non ci sono coppie minimi di s e z. Sono quindi varianti a volte libere a volte invece dipende dalla
posizione. Nei dialetti del nord (influenza tedesca) si tende ad usare sempre z, mentre al sud (influenza
spagnola) si usa sempre s.
Alle volte abbiamo varianti combinatorie, se la /s/ segue una sonora allora si pronuncia b sbaglio [zb], e
viceversa “spazio” [sp].
Fricative palatali → anche qua solo uno è fonematico, in questo caso la consonante sorda di ʃ (pesce), detta
volgarmente s palatale. “scemi” coppia minima con “semi”. L’altro è la z caudata Ê’ che in italiano è variante
regionale o si trova in parola prese dal francese come “garage” “abatjour”. In toscano regione è detta con z
caudata, alle volte è anche raddoppiata come in romano “raggione”.
Consonanti affricate → suoni complessi, che combinando una parte occlusiva e una parte fricativa. In
italiano abbiamo due coppie di affricate.
Affricate dentali → ts (pazzo) e dz (zanzara), corrispondono alla nostra z grafica. Dal momento che tutte e
due sono scritto dallo stesso grafema, ci sono molte varianti regionali. “tsio” “dzio” sono entrambe corrette
(linguistica descrittiva non normativa). Tutte e due hanno valore fonematico? (nella trascrizione possiamo
usare quella che vogliamo), c’è una coppia minima “razza”, “razza”.
Affricate palatali → Í¡tʃ dÍ¡Ê’, c e g dolci. “Cielo” e “gelo”, “gina” “china”, formano coppie minime con altri tipi
di consonanti. Possono essere messe davanti a qualsiasi tipo di vocale, quando vengono messe davanti a
vocali come a e o, ci viene messe una “i” grafica.
I suoni affricati combinano una parte occlusiva e una parte fricativa, la parte occlusiva è momentanea mentre
la fricativa è prolungabile. Se pronuncio ts di pazzo e la allungo alla fine mi verrà la ʃ di scemo.
Le occlusive, fricative e affricati sono anche chiamate ostruenti, sono le vere e proprie consonanti, che per
definizione devono ostacolare in maniera forte il passaggio dell’aria e pertanto sono suoni molto differenti
dalle vocali.
Ci sono poi le sonoranti, ovvero vocali che assomigliano alle vocali. Abbiamo detto che in inglese e
serbocroato alcune consonanti hanno valore sillabico. Per ora tutte le consonanti saranno tutte sonore e
continue.
Consonanti nasali, con aria che esce anche dal naso. Fra i primi suoni che i bambini imparano.
Nasale bilabiale → m, le labbra si chiudono ma l’aria esce dal naso.
Nasale dentale → n, la lingua va come per formare t e d, ma l’aria esce dal naso, infatti se uno ha il naso
chiuso perché raffreddato il suono non riesce bene.
Nasale palatale → ɲ, di gnomo. Anche qua il fatto che scriviamo gn è una convenzione ortografica (che
dobbiamo dimenticare perché il bambino non sa scrivere), ci sono coppie minime con “sono” “sogno”.
Consonanti liquide → l’aria scorre bene.
Liquida (laterale) dentale → l, la punta della lingua tocca i denti, ma a differenza di t dove tutta la lingua si
schiaccia, qua solo la punta tocca i denti e l’aria continua a fuoriuscire dalla lingua.
Liquida (laterale) palatale → ÊŽ di figlia, coppia minima “fila” “figlia”. “gl” o “gli” artificio grafico, solo una
convenzione di scrittura. In spagnolo viene scritto “ll” “llorar”, che non è una doppia ma è l palatale.
Liquida dentale vibrante → r, lingua che tocca e stacca in continuazione, suono molto complesso che i
bambini fino ai 3 4 anni non imparano, anzi ci sono persone che proprio non imparano mai, ci sono lingue
che proprio escludono questo suono.
Ci sono poi le semivocali / semiconsonanti /approssimanti, suoni che sono i più simili di tutti alle vocali. In
italiano le scriviamo con grafemi vocalici. Talmente chiuse e talmente brevi che sono diventate delle
consonanti.
Semivocale palatale → j “piede”
Semivocale velare → w “nuovo”
In piede e nuovo pensiamo tutti che ci siano due sillabe sole, ma ci sono tre vocali? No, la i e la u in quei due
casi sono semivocali, con tempi di risoluzione talmente brevi e chiusi che non sono più vocali. Se avessimo
“prede”, vedremmo che ha lo stesso tempo di articolazione di piede, mentre se avessimo “paede” vedremmo
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come il tempo di articolazione è molto più lungo e quindi avremmo 3 sillabe.
“Mio” “Più” → parole di tre lettere CVV, mio è due sillabe e la i è vocalica, più invece è di una sillaba sola e
la i è semivocalica.
Iato e dittonghi non sono sinonimi! Iato VV, dittongo semivocale + vocale.
“Farmacia” “Latteria”, accento che cade sulla i che quindi è vocalica Far|ma|ci|a.
“Storia”, accento che cade sulla o Sto|ria.
Il grafema q è sempre seguito da una u semivocalica, infatti il bambino sbaglia a scrivere scuola o quadro,
ma non sbaglia custodia.
ALTRE CONSONANTI
Queste erano le consonanti italiane, ma ci sono altri suoni di altre lingue da considerare.
Fricative interdentali → θ “thank” ð “this”. Anche nello spagnolo iberico (non latinoamericano) c’è la
fricativa interdentale th, scritto come c o z “cena” (alla spagnola). [θank] e [tank] (grazie e carro armato)
sono coppie minime.
Fricative bilabiale → β, b in cui le due labbra lasciano passare dell’aria.
Fricativa dentale → ð, d in cui le due labbra lasciano passare dell’aria.
Fricativa velare → É£, g in cui le due labbra lasciano passare dell’aria.
Ne abbiamo in spagnolo, dove una occlusiva fra due vocali diventa fricativa sonora. “Beber” [Beβer]
In spagnolo “dedo” la prima d è occlusiva, mentre la seconda è fricativa dentale.
Non sono fonemi, perché comunque sia il significato rimane sempre uguale.
In fiorentino abbiamo le corrispondenti sorde:
Fricativa bilabiale sorda → ɸ
Fricativa dentale sorda → θ
Fricativa velare sorda → x
“La hoha hola” varianti di occlusive sorde quando sono fra due vocali, la stessa cosa che avviene con le
occlusive sorde spagnolo. Fenomeno della “gorgia toscana”. Si sente soprattutto con la velare k, ma avviene
con tutte le occlusive fiorentine → “capo” [caɸo].
Altri tre luoghi di articolazione: (non usati in italiano)
Uvulari → R francese, che non è liquida vibrante dentale come in italiano. La lingua non tocca i denti ma
l’uvula, ancora più indietro del palatino. Anche la h fricativa uvulare sorda spagnola χ è uvulare “jota”.
Suoni arabi.
Faringali →
Glottidali → Ê” fricativa glottidale sorda “h” di “horse”. In italiano non si pronuncia.
Ci sono poi altre nasali:
Nasale labiodentale sonora → ɱ, inferno e inverno, m prima di labiodentale (f e v) che non è come la nasale
tipica.
Nasale velare sonora → Å‹ di “sing”, che noi abbiamo ogni volta prima di k g, ma non costituisce fonema.
LEZIONE DEL 16/03/2021
Ci sono poi dei suoni che in italiano non sono fonematici, ma sono delle varianti. Alcune di queste varianti
dipendono dal contesto e si chiamano allofoni, ovvero varianti combinatorie o contestuali. Non parliamo
quindi di r e R che possono essere usate indistintamente qualunque sia la loro posizione. Queste sono varianti
libere.
Le varianti combinatorie dipendono dal contesto, la nasale [n] diventa nasale labiodentale [ɱ] quando si
trova prima di una consonante labiodentale. N → ɱ / _ f, v.
Sempre la [n] dentale diventa nasale velare [Å‹] quando si trova davanti a delle consonanti velare come k, g.
N → Å‹/ _ k, g. Esempi per fungo, anche.
In italiano questi suoni occorrono solo prima di consonanti con lo stesso luogo di articolazione. N→ m / _ p,
b, m.
Impossibile, deriva dal prefisso “in” che si mette davanti a degli aggettivi per fare il contrario, come per
inadatto. In questo caso avremmo inpossibile, ma la n è diventata m, perché una nasale dentale davanti a
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bilabiale diventa labiodentale. “Non posso” lo scrivo con n ma dico “nomposso”, perché non c’è una pausa
quindi si può dire che le due parole morfologiche sono un’unica parola fonologica.
Le regole fonologiche servono a formulare la distribuzione degli allofoni, quindi la prima regola si legge “la
nasale dentale diventa bilabiale prima di consonanti bilabiale”.
Il suono /n/ ha quattro allofoni, la [n] [ɱ] [Å‹] [m]. La m però è anche un fonema dell’italiano, come per la
coppia minima mano / nano, questo vale in tutte le posizioni lana / lama. La ɱ e ŋ sono solo allofoni, mentre
la m può essere allofono di n che è fonema a sé stante. Che esso è un fonema lo so benissimo in quanto ci
sono coppie minime con m / n. Nel caso di impossibile, immorale, non posso vediamo che m è un allofono di
n.
Le tre regole fonologiche sono già un tentativo di dare una descrizione scientifica della lingua, cercando di
determinare regole generali per la distribuzione degli allofoni.
Nasale, dentale → luogo x / _ c luogo x. La nasale o dentale cambia luogo di articolazione quando sta
davanti ad una consonante dello stesso luogo x.
Questa regola riassume tutte le altre tre. Questa regola varia in tutte le varianti regionali italiane e vale anche
in inglese, ma ciò non vuol dire che quelle nasali e dentali non siano anche fonemi. In inglese abbiamo la
coppia minima fra sin [sin] e sing [siŋ].
Le regole fonologiche cambiano una sola delle tre proprietà della consonante, luogo, modo, sonorità.
L’occlusiva bilabiale spagnola diventa β in un contesto ben preciso. B → β / V _ V quindi la prima b di
beber è occlusiva, mentre la seconda è fricativa (cambia il modo di articolazione).
La regola fonologica colpisce tutti i foni dello stesso tipo. D → ð / V _ V (dedo), vale anche per la G → É£ /
V_V (lago). Questo vale solo in spagnolo. La regola generale è occlusiva sonora → fricativa / V_V.
Toscano: p → ɸ / V_V; t → θ / V_V; k → x / V_V
Una occlusiva che si trova in mezzo a due vocali si trova in una situazione di debolezza, pertanto la si rende
simile alla vocale. Debolezza perché le occlusive e le vocali sono completamente diverse. Le regole
fonologiche sono leggi di minimo sforzo (articolatorio), la lingua si prepara ad articolare i suoni in maniera
più simile alle vocali.
Regola generale: occlusiva sorda → fricativa / V_V.
In altri dialetti queste occlusive sorde diventano sonore, perché così sono leggermente più simili alle vocali
che hanno intorno. Andato → Andado, La casa → la gasa. [poko][poxo] rimandano allo stesso fonema /k/.
Se prendiamo parole italiane che iniziano per s + consonante:
spazio
stadio
scacco
sfatto
sbaglio
sdentato
sgraziato
svernare
smacco
snodato
srotolare
slabbrato
Perché ci sono due colonne divise? La prima è tutta una s sorda [s] fricativa dentale. Nella colonna di destra
abbiamo la [z] sonora perché precede sempre una consonante sonora. Per questo non si pensa più che la [s]
sia fonema. S → Z / _ C sonora, fricativa dentale sorda → sonora/ _ C sonora. Anche qua viene cambiato un
solo tratto, ovvero la sonorità.
In italiano s + vocale è sempre sorda, diventa sonora davanti ad una consonante sonora. Questo NON vale in
inglese s + consonante + sempre SORDA. Snow
“Ho comprato una Smart” smart ormai parola italiana allora pronuncio [z], ma in inglese è [s]. In inglese no
abbiamo parole che iniziano per sb sg sd sv, perché se la s dovesse essere sonora il suono viene proprio male.
Ciò non vuol dire che in inglese la s non si sonorizza mai, ma solo a inizio parola. Abbiamo coppie minime
di [s] e [z] sip – zip; ice – eyes [ais] [aiz].
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Inglese: s finale. Cups – Cats – Kicks – Roofs // Cabs – Deeds – Tags – Girls – Skins – Dilemmas – Goes
etc. Varianti combinatorie, se il suono che precede /s/ finale è sonora allora la s è sonora.
S → Z/ V, C sonora _ ##.
Le regole fonologiche spiegano la distribuzione degli allofoni, varanti combinatore che si trovano in specifici
contesti e sono quindi prevedibili. Quando acquisiamo una lingua L2 ci dovrebbero venire insegante queste
cose, perché sennò tendiamo a pronunciare il tutto come facciamo nella nostra L1.
In tedesco le occlusive sonore diventano sorde quando si trovano a fine parola. B → P, D → T; G → K / _ ##
rat – rad si pronunciano entrambe [rat], guten tag [tak]. Se si aggiungono le desinenze del plurale allora da d
rimane d e la g rimane g.
FATTORI SOPRASEGMENTALI
Per segmento intendiamo un fonema, unità di base della fonologia. I fattori soprasegmentali sono fattori che
coinvolgono più segmenti, ovvero un’intera parola o frase. Questi fattori sono 4: l’accento, l’intonazione, il
tono, la lunghezza. Possono avere valore fonologico, ovvero possono distinguere significati diversi.
L’accento è un fenomeno fonologico che fa si che una sillaba sia pronunciata in maniera più forte, chiara e
lunga rispetto alle altre. Una sillaba è tonica quando porta l’accento, atona quando non lo porta. Le toniche
sono pronunciate in modo più chiaro, più intenso, più lungo. Ci sono lingue ad accento mobile e lingue ad
accento fisso, con accento che cade sempre sulla stessa sillaba.
L’italiano è una lingua ad accento mobile. Prìncipi e princìpi, càmice e camice (che si scrive camicie),
[aÅ‹kora], come faccio a capire se è ancora o àncora? L’accento si scrive con una barretta verticale prima
della sillaba accentata [‘aÅ‹kora] del marinaio, [aÅ‹’kora]. [‘papa] Francesco, la festa del [pa’pa].
Ci sono lingue ad accento fisso, l’inglese NON è ad accento fisso [‘import] [im’port] (importo – importare).
Una lingua ad accento fisso è il francese, in cui l’accento cade sempre sull’ultima sillaba pronunciata,
pertanto lo spostamento di accento non è usato per differenziare i significati.
Anche l’intonazione, curva melodica che accompagna una frase, ha valore fonologico. Gianni è arrivato /
Gianni è arrivato? Cambiando l’intonazione cambia il significato della parola/frase “vieni!” “vieni?”,
“ready?” “ready!”. L’inglese non sfrutta solo l’ordine delle parole per fare le domande, ma anche
l’intonazione. Probabilmente tutte le lingue sfruttano l’intonazione.
Il tono è l’altezza musicale delle vocali, in italiano, francese, inglese, non lo abbiamo ma è molto usato in
cinese, in cui la stessa parola pronunciata con i 5 toni differenti ha 5 significati diversi. La parola “ma” a
seconda del tono può significare cose completamente differenti.
Trascrizione fonetica di scuola, piazza, sogno, giacca. Chiave [‘kjave].
Scuola → [‘skwƆla] Piazza → [‘pjatsa] Sogno → [‘sogɲo] giacca → [dÍ¡Ê’j’aka]
LEZIONE DEL 17/03/2021
Trascrizione:
scuola [‘skwƆla]
piazza [‘pjatsa] / [‘pjatstsa] / [‘pjattsa] / [pjat:sa]
sogno [‘soɲo]
giacca [‘dÍ¡Ê’akka], la i è un suono palatale, nel caso di giacca essa è un artificio grafico per dire che la g in
questo caso è palatale.
La ts doppia o meno suona sempre uguale, suono sempre rafforzato, nella trascrizione si può quindi anche
non evidenziare il raddoppiamento.
Gara / Giara sono COPPIE MINIME [gara] [dÍ¡Ê’ara]. La i è un artificio grafico per far capire che il suono è
[dÍ¡Ê’] e non [g]. Ciabatta → [t͡ʃabatta]. Giro / Ghiro → [t͡ʃiro], [giro]. Ghiaia → [‘gjaja].
La lunghezza può essere sia vocalica che consonantica. Essa è la lunghezza nel tempo del fonema. Sia le
vocali che le consonanti non hanno sempre la stessa durata, ma l’una è prevedibile rispetto all’altra.
In italiano, per convenzione, abbiamo deciso di rappresentare la lunghezza consonantica, che ha valore
fonologico. Ciò non vuol dire che le vocali non possano avere lunghezze diverse.
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Pala [‘pala], Palla [‘pal:a], la doppia (lunga) si segna con i due punti dopo della consonante.
Per quanto riguarda la tonica, le due a sono uguali?
In pala la prima a è più lunga rispetto a quella di palla.
In italiano non esiste un pala, un palla, un pa:la e un pa:l:a. Non sarebbe scorretto scrivere [‘pa:la], perché la
lunghezza vocalica è prevedibile → quando abbiamo una vocale prima delle doppie, esse saranno più brevi.
Per tanto la a di [‘fato] è più lunga di [‘fat:o].
In inglese la lunghezza vocalica ha valore fonologico → sin [sin] seen [si:n], bin [bin] been [bi:n]. In inglese
non abbiamo le consonanti doppie, really derivato da real (aggettivo) ly (suffisso avverbiale), spesso in
americano si scrive realy, la pronuncia infatti non è con la doppia.
Stop → stopping, perché raddoppiano la p? perché la vocale di stop è breve, si raddoppia perché in questa
maniera mantengono breve la vocale.
Lo spagnolo non ha né la lunghezza vocalica né quella consonantica se non per la r, caro [‘karo] e carro
[‘kar:o], pero y perro.
Il finlandese ha tutte e due le lunghezze, ci sono alle volte delle triplette di parole in cui raddoppiando
consonante abbiamo un significato, raddoppiando la vocale ne abbiamo un altro ancora.
In italiano la vocale seguita da consonante lunga è breve. Se invece è seguita da consonante breve allora
suonerà lunga. Non hanno valore fonologico, perché una volta stabilito il valore delle consonanti la vocale si
comporta di conseguenza.
In olandese ci sono le vocali doppie man – maan, en – een, sono proprie scritte doppie, visto che l’olandese
ha una scrittura molto più vicina alla pronuncia rispetto a come funziona in inglese.
LA SILLABA
Concetto altamente e assolutamente intuitivo, i bambini quando iniziano a parlare lo fanno per sillabe, come
per le collane di sillabe della lallazione CVCVCV. Il concetto di sillaba è un principio della Grammatica
Universale, la CV è la sillaba primaria, la prima che si impara, esiste in tutte le lingue e la più diffusa. In
italiano circa il 60% delle sillabe sono CV (banana), anche perché l’italiano ha tutte le parole che terminano
per vocale.
I bambini ancora prima di andare a scuola possono fare dei giochi con le sillabe.
Ci sono tre elementi costitutivi della sillaba, cui simbolo è σ: attacco, nucleo, coda.
Il nucleo è la parte più importante, elemento su cui poggia la sillaba, in italiano è sempre vocale.
L’attacco è ciò che precede il nucleo.
La coda è ciò che segue il nucleo.
Ogni sillaba ha una sola vocale.
Sillabe V a – la.
Sillabe CV co – da
Sillabe VC an – che, che ha l’attacco ma non la coda
Sillabe CVC par – co
In coda di una sillaba può starci al massimo una consonante.
In attacco invece possiamo avere:
CCV pra – to
I CCV sono gruppi sillabici particolari, sono delle eccezioni.
Sono pochissime le consonanti che possono stare in coda: una sonorante (occlusiva, fricativa, affricata) o il
primo membro di una geminata (una doppia). Le doppie in IPA si trascrivono con : [pal:a], ma ora non
parliamo più di fonetica articolatoria. Se divido in sillabe la parola palla abbiamo pal – la e le geminate
vanno una coda e una in attacco.
In parole come “in” e “il” o “per” abbiamo sonoranti in coda sillabica. Se invece ho “padre”, lo sillabo
pa – dre, nessuno lo sillaberebbe pad – re. Se c’è una ostruente essa va nell’attacco della sillaba seguente.
Quando ho una solo consonante nell’attacco ci può stare qualsiasi consonante.
C’è un’eccezione: non posso avere la fricativa dentale sonora [z] se la sillaba è la prima della parola: sole
[‘sole], rosa [‘rƆza].
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Se ho due consonanti nell’attacco CCV c’è una restrizione universale detta scala di sonorità. Ho tra-ve ma
non potrei avere rta-ve, ok che non esiste come parola, ma non potrebbe neanche essere possibile.
Non posso avere tutte le combinazioni di consonanti, rta-ve viola la scala di sonorità: se ho due consonanti
devono essere messe in questo ordine ostruente – sonorante – vocale. L’elemento più vicino al nucleo deve
esserci una sonorante. Vocale ha sonorità 2, sonoranti 1, ostruenti 0 (ovviamente i numeri sono solo un aiuto
per vedere se la scala è rispettata).
In tra abbiamo 2 1 0 e a partire dal nucleo e andando verso sinistra la sonorità deve essere discendente. La
scala di sonorità vale in tutte le lingue. In “rta” avrei 2 0 1 e questo non va bene. La sillaba “ta” ha 0 2.
In una parola come “aorta” okay che abbiamo rta, ma non appartengono alla stessa sillaba aor – ta.
In una lingua che permette più consonanti in coda deve essere rispettata la scala di sonorità, quindi dal
nucleo verso destra dobbiamo avere 2 1 0.
L’inglese è una delle lingue che lo permette drink 2 1 0, si decresce sempre in sonorità in tutti e due i versi.
Elementi come rta devono esser divisi in due sillabe: palco pal – co e non *pa-lco.
La s + consonante è un’apparente violazione di scala di sonorità.
La struttura della sillaba σ → A – N – C. Ma A N C per i linguisti non sono sullo stesso piano
σ → A R → N C. La coda è più legata al nucleo di quanto lo sia l’attacco. La R sta per rima. Anche per rima
poetica, due parole sono in rima quando condividono nucleo e coda. Cat fa rima con bat, ma cat non è in
rima con cab. Perché due parole siano in rima devono avere nucleo e coda uguali, nucleo e attacco non
importa. In italiano, cui maggior parte delle parole sono tronche, le parole a partire dalla vocale accentata
devono essere uguali. Tavolo quindi fa rima con cavolo.
Queste considerazioni di tipo binario si basano sul peso sillabico.
Conchiglia → [koÅ‹’kiÊŽa]
Sbaglio → [‘zbaÊŽo], se la s precede una consonante sonora allora anch’essa è sonora, se fosse stato al plurale
allora era [‘zbaÊŽi]
Inchiostro → [iÅ‹’kjƆstro]
Piangere → [‘pjaÅ‹dzere]
LEZIONE DEL 18/03/2021
La struttura binaria viene giustificata da delle considerazioni relative alla rima poetica, sono in rima le
parole che condividono nucleo e coda, in italiano due parole sono in rima a partire dal nucleo della sillaba
tonica in poi. Questa non è la considerazione principale per considerare questa struttura, ma lo è quella del
peso sillabico.
Ci sono sillabe pesanti e sillabe leggere, quelle pesanti sono quelle toniche, le leggere sono quelle atone.
Quelle toniche vengono infatti pronunciate con una maggiore intensità di voce e sono anche più lunghe.
Pa – la / Pal – la, in pala la A tonica la percepiamo lunga, mentre in palla la A tonica la percepiamo breve.
Ciò è prevedibile ma non solo per il fatto che in palla c’è la consonante lunga. Se ho ad esempio la parola
“palma” pal – ma, la a tonica è breve, padre pa – dre qua la a è lunga. La lunghezza dipende da se la sillaba
termina per vocale o per consonante. La sillaba che termina per vocale come pa, la chiamiamo sillaba
aperta, mentre una sillaba che ha una coda come pal, la chiamiamo chiusa.
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Il peso sillabico, che è determinato dalla rima, deve essere costante. Perché in pala si allunga la A mentre in
palla no?
Sillaba tonica → pesante.
Nelle sillabe toniche aperte la vocale si allunga.
La a prende entrambi i posti.
Giustificare la presenza del costituente rima? Esso è stato postulato perché le considerazioni sul peso
sillabico, ovvero che sentiamo vocali lunghe e brevi, dipendono dalla rima, dipendono dalla presenza o meno
della coda, mentre l’attacco è ininfluente.
Pa – la A – la, le due A sono entrambe toniche e in sillaba aperta, pertanto la vocale si allunga, anche se
l’attacco è differente. Pa-la a-la fja-la, vocali lunghe perché sillabe aperte, che terminano per vocale.
Pal-la, al-la, pjal-la, vocali brevi perché sillabe chiuse, che pertanto hanno la coda presente. Attacco sempre
ininfluente.
Se mettessimo tutti i costituenti sullo stesso piano, non si capirebbe perché il nucleo dovrebbe essere
influenzato dalla coda sì e dall’attacco no, invece lo schema binario ci fa capire chiaramente che il nucleo è
legato alla coda. Questo discorso si fa per le sillabe toniche, che sono quelle pesanti.
Stopping → stop-ping, se non raddoppiassi la p perderei la vocale breve di stop. Raddoppio graficamente la
consonante per far capire che la o rimane breve e non si allunga.
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Schema della sillaba tonica a di ala
Erba:
Parole che iniziano per s + consonante:
stadio sta-djo
strada stra-da
Va bene in entrambe in casi perché abbiamo sempre 002 e 0012 (da nucleo della sillaba a sx). Ma abbiamo
due consonanti con lo stesso livello di sonorità e ciò comporta una violazione delle regole della scala di
sonorità.
È un caso che tutte le parole che violano la scala di sonorità iniziano per s? No.
In spagnolo non abbiamo mai la s ad inizio di parola → espana, estadio, escribir, quindi le parole equivalenti
alle nostre italiane con stessa origine e significato mettono una e.
Questo fenomeno lo abbiamo anche in italiano antico e ne abbiamo alcune tracce ancora oggi “per iscritto”
“in isposa”, si reagiva male davanti a questo s + consonante. La nostra fricativa dentale ha anche un
comportamento particolare, nella coda sillabica ci può essere solo una sonorante o l’inizio di una geminata.
Ci sono però parole che finiscono per s, come gas lapis rebus autobus loris iris, che sono stati prestiti ma
ormai sono proprie parole italiane. Questo fonema ha un comportamento particolare, l’unico fonema
ostruente che può stare in coda sillabica. Unico fonema che può stare prima di una ostruente o prima di un
attacco doppio come strada.
Asta, che ha la stessa st di stadio, e astro, che ha la stessa str di strada. (Non pensiamo a come ci imparano a
dividere in sillabe a scuola). Le a sono lunghe o corte? La A di asta è breve, quindi la sillabazione fonologica
è as-ta.
Astro, altro, atro. In atro è lungo, in altro è breve, in astro è breve. Quindi anche qua la sillabazione è as-tro.
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Nella ortografia scriviamo tranquillamente a-stro, ma in fonologia è as-tro perché ci fa capire che la a è breve
perché c’è consonante in coda.
Sappiamo quindi che [s] può stare in coda sillabica pur essendo ostruente, come dimostrato in iris, lapis, ….
Conseguenza che [s] può stare in coda anche in mezzo alla parola, as-ta as-tro rispettano il peso sillabico.
Quando invece sta o stra sta in inizio di parola. Perché stadio in spagnolo diventa estadio? In spagnolo
abbiamo es-ta-djo, la sillaba es non ci dà fastidio.
Davanti alle parole che iniziano per s l’articolo è sempre lo/la “lo stadio” “la strada”, che morfologicamente
è una solo parola [lostadjo]. Sempre morfologicamente la sillabazione dovrebbe essere s-ta-djo o s-tra-da
(ma c’è nucleo vuoto), perché la scala di sonorità ammette solo due consonanti in attacco o coda perché si
deve sempre decrescere in sonorità. Tante lingue non ammettono eccezioni, come lo spagnolo.
che succede quando str sono in sillaba iniziale? Il nucleo viene riempito dalla vocale o a dell’articolo.
Dividi in sillabe la parola strazio s-tra-tsio. Si dice appunto “lo strazio”. In spagnolo abbiamo solo l’articolo
“el” e non “lo” perché appunto non devono mai riempire il vuoto di nucleo delle parole che iniziano con s, in
quanto non esistono in spagnolo.
Chomsky dice che tutto questo è presente nella nostra Grammatica Universale e noi stiamo cercando di
formalizzare questo principio.
Il è la forma base dell’articolo maschile singolare, ma visto che sono ammesse le parole con s+consonante
riempiamo il vuoto.
Per sapere se le parole hanno nucleo vuoto sappiamo che sono quelle s + consonante, s + due consonanti,
come strada scatola spreco svernare sbaglio, ….
Come mai una parola come zio o zucchero o gnomo vuole “lo”? Perché tutti questi suoni sono
intrinsecamente doppi, scriviamo vizio ma anche se fosse vizzio la pronuncia non cambierebbe. I bambini
tendono a scrivere vizzio perché la i di vizio è breve. Le affricate dentali sono intrinsecamente doppie,
vits-tsjo, proprio come se fossero delle geminate. Zio [0ts-tsi-o] oppure [0dz- dzi – o], ma anche gnomo
[0n-no-mo], suoni intrinsecamente geminati. I suoni geminati si dividono una a sx e una a dx.
Pesci (con s palatale) che fa coppia minima con pesi, pesci e breve, pesi e lunga, [pes-si].
Suoni intrinsecamente doppi:
affricate dentali ts dz
fricativa palatale sorda s di pesce
nasale palatale, n di gnomo
liquida palatale, l di gli (che però non si trova mai in inizio di parola).
Differenza fra e lunga di pesi/ e breve di pesci. Comunque sia in trascrizione fonetica non scriviamo questi
suoni doppi, perché è ridondante, ma se facciamo la sillabazione fonologica allora lo dobbiamo segnalare.
Alcune parole greche come pneumatico o psicologo, violano la scala di sonorità, ma questa formazione di
parola non è produttiva, nel senso che non ci saranno mai nuove parole che iniziano per psi.
La [z] è intrinsecamente scempia.
Da trascrivere: sciatore, pescheria, giaggiolo, astrazione.
LEZIONE DEL 23/03/2021
Sciatore [ʃia’tore] qui la i c’è, è differente da ascia [‘aʃa].
Pescheria [peske’ria].
Giaggiolo [dza’d:zƆlo], in giaggiolo la i è solo un artificio grafico per dire che la g è la affricata palatale.
Astrazione [astra’tsjone]
MORFOLOGIA
Da “morfo” che vuol dire forma, quindi la morfologia è lo studio della formazione delle parole. L’unità di
base è il morfema. Il concetto di morfema possiamo contrapporlo al concetto di parola. Il concetto di
morfema non è conosciuto da tutti, ma esso è facilissimo da definire. Il concetto di parola è conosciuto da
tutti ma non è così facile da definire. Posso dire che è un insieme di sillabe e portatore di significato, ma lo
posso dire anche di una frase; non posso dire che è ciò che è racchiuso fra due spazi bianchi, ma non tutte le
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lingue le prevedono e inoltre non dobbiamo far riferimento alla scrittura; ciò che è lo spazio bianco in grafia
potrebbe essere una pausa in fonologia, ma ci potrebbero essere dei problemi. “Lavoro” è una parola sola,
mentre “la vedo” sono due parole, ma dal POV fonologico sono entrambe una sola parola.
La parola è un insieme indivisibile, all’interno del quale non posso mettere niente. Se pronuncio “Ho visto”
e “ovvio” non c’è differenza dal POV fonologico perché il tempo di articolazione è breve in entrambi i casi,
hanno le o brevi e le geminate in entrambi i casi (in ho visto la v si raddoppia). La differenza è che fra ho e
visto posso aggiungere delle cose come “Ho già visto”, mentre fra gli elementi di ovvio non posso mettere
niente. La parola è indivisibile, non posso aggiungervi materiale nel mezzo.
Per morfema diciamo che è esso è il più piccolo insieme di suoni dotato di significato.
Le parole possono essere divise in parole semplici e in parole complesse.
Le semplici possono essere o monomorfiche oppure composte da due morfemi: radice + desinenza (detta
anche flessione).
Le complesse sono i derivati e i composti.
Un morfema è appunto qualcosa di indivisibile, mentre all’interno della parola posso distinguere due parti.
Se prendo la parola “ragazzo” possono individuare “ragazz” che è la radice, che dà il significato semantico
della parola, e “o” che è la desinenza, che mi dà maggiori informazioni riguardo genere e numero, potevo
avere anche ragazza, ragazzi e ragazze.
Ci sono le parole monomorfematiche in cui non c’è questa divisione, esempi come gli articoli “un”, “lo”
oppure “io” “tu”, ma anche “città” perché invariabile, “analisi”, “domani”. Queste parole sono anche
chiamate morfemi liberi, ovvero che possono essere usati da soli.
Esistono poi i morfemi legati, che devono essere utilizzati insieme ad altri morfemi, come ragazz-o in cui
nessuna delle due parti può stare da sola.
I morfemi liberi sono tutte quelle parole monosillabiche, come articoli, preposizioni, pronomi, pochi nomi
che finiscono con accento, nomi che finiscono in modi non tradizionali (autobus), gli avverbi, pochissimi
aggettivi (come alcuni colori), ma nessun verbo. L’italiano, lingua dalla morfologia molto complessa e
libera, non ha molte parole monomorfematiche. Discorso differente per l’inglese, in cui i corrispondenti di
“ragazzo” è “boy” che è morfema libero, mentre se ho “boys” allora abbiamo boy + s del plurale che non può
stare da sola.
In italiano nessuna forma verbale è un morfema libero, in inglese invece la stessa parola che può essere
verbo o sostantivo è un morfema libero come “love”. L’italiano è una forma flessiva, tutti i verbi hanno
almeno la radice dell’infinito.
Le forme verbali sono particolarmente complicate in italiano, abbiamo 60+ forme.
Una forma come “amo” la dividiamo in am + o, la radice che ci dà il significato semantico (voler bene) e il
morfema “o” che ci dice che il verbo è prima persona singolare presente indicativo. Uno stesso morfema mi
indica tante informazioni, anche tempo e modo.
Se ho “amavo”, posso dividere in am + av + o, am radice, o finale prima persona singolare, av suffisso
intermedio che ci indica il tempo e modo. Posso fare il confronto come “credevo” e “dormivo”, l’affisso
dell’imperfetto è av ev iv, oppure solamente v? Allora a questo punto possiamo dividere in un altro modo, la
vocale tematica dipende dalla coniugazione, mentre la v rimane costante in tutte le forme. L’imperfetto è il
tempo più regolare di tutti, eccetto solo per il verbo essere.
Quindi amavo posso dividerlo anche come ama+v+o, ma anche am+a+v+o.
Ogni libro può scegliere un modo proprio. Il primo am+av+o è la forma più intuitiva, ma in ama+v+o
vediamo come le vocali tematiche sono considerate parti della radice, am(a)+v+o, perché la a viene fuori non
sempre, amavo, amai, amo, amare.
La terza no perché la “a” non dà nessun apporto semantico, quando il morfema deve essere la minima
particella avente un significato. La vocale tematica di are ere ire non mi danno nessun significato particolare
al verbo, la vocale non aggiunge nessuna informazione. Ci sono pochissimi verbi che hanno la stessa radice e
cambiano di significato a seconda della vocale tematica.
Infatti si parla di tema del verbo, che include radice + vocale tematica.
Anche tutte le flessioni del verbo sono considerate parole semplici, perché anche verbi come amerebbero,
anche se divisibile in più morfemi, comunque sia può essere considerata come radice + desinenza. Se c’è un
solo affisso come in amo o di più come in amavo, non fa differenza.
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Parlando di parole complesse, abbiamo i derivati che sono formati da morfema + morfema + morfema + …
Uno di questi morfemi è la radice, uno la desinenza flessiva e poi c’è almeno un affisso.
Gli affissi posso essere di tre tipi prefissi, infissi e suffissi. Essi mi danno una informazione semantica, non
grammaticale.
I derivati sono parole con almeno tre morfemi.
Se ho la parola “ragazzata” possono dividerla in ragazz+at+a, ragazz è sempre qualcosa che si riferisce a una
persona giovane, la desinenza a mi dice femminile singolare, at è il suffiso, ovvero affisso messo dopo della
radice, in questo caso significa “azione tipica di”.
Se ho il verbo rifare → ri + f(a) + re, ri in questo caso è prefisso, vuol dire “di nuovo”.
I prefissi si mettono prima della radice, i suffissi dopo la radice, gli infissi si mettono in mezzo al tema. Se io
da “saltare” derivo “saltellare” → salt+ell+a+re, L’infisso ell si mette fra la radice e la a tematica, ma
comunque sia in italiano ci sono pochissimi esempi di infissi.
Nazione → nazion+e, parola semplice con radice + desinenza. Da nazione posso derivare nazion+al+e,
aggettivo, posso andare avanti e fare nazion+al+izz(a)+re, verbo all’infinito, posso mettere un prefisso come
inter+nazion+al+izz(a)+re, posso anche fare inter+nazion+al+izz(a)+zion+e. I derivati possono essere
formati da tanti morfemi. Nell’ultima forma abbiamo prefisso + radice + suffisso + suffisso + suffisso +
desinenza. Ovviamente la teoria trova un limite nella pratica, quindi è difficile trovare parole con più di 6
morfemi.
Concetto di testa del derivato, che poi ritroveremo nei composti e nei sintagmi. Per testa si intende la parte
più importante dal POV sintattico, perché determina la categoria e la distribuzione, ovvero il posto che la
parola occupa nella frase e ciò dipende dalla categoria, principio universale.
Nella parola nazione, la testa è la radice quindi “nazion”, ci dice che è un nome e che quindi, ad esempio,
può essere preceduto da un articolo (distribuzione).
“Nazionale” è un aggettivo, con distribuzione diversa dal nome, la testa è al, la radice rimane la parte più
saliente dal POV semantico, mentre il suffisso al ci indica la categoria e quindi la distribuzione.
“Nazionalizzare”, cosa me lo rende un verbo? Izz(a), la flessione non fa cambiare categoria, viene di
conseguenza.
“Internazionalizzare”, qua è sempre izza, perché inter non mi fa cambiare categoria.
“Internazionalizzazione” la testa è “zion”.
Quindi non sempre l’ultimo affisso che includo è la testa.
“Giorno”, giorn+o, giorn, nome astratto
“Giornale”, giorn+al+e, al, nome concreto
“Giornalaio”, giorn+al+ai+o, ai, nome di persona, lavoro.
Sono tutti sostantivi, gli affissi non cambiano categoria, ma la testa può cambiare la posizione che può avere
il nome nella frase, posso dire “Ho comprato il giornale” ma non “Ho comprato il giorno”.
“Grasso”, grass+o, aggettivo
“Ingrassare”, in+grass(a)+re, verbo. La testa è “in” perché mi rende l’aggettivo un verbo, la radice è grass.
“Imbiancare” per la regola fonologica era inbiancare, ma la n davanti a consonante bilabiale diventa m. Il
prefisso che significa “far diventare”.
“Tavolo”, tavol+o
“Tavolino”, tavol+in+o, la testa rimane tavol, perché in non mi cambia categoria o distribuzione della parola.
I suffissi valutativi (accrescitivi, vezzeggiativi, …) non cambiano categoria e distribuzione. Testa = radice.
“Vuoto” vuot+o
“Vuotare” vuot(a)+re, anche qua la testa è vuot, perché vuotare è una parola semplice.
“Love” che può essere sia nome che verbo. Parola semplice non divisibile. Perché non può essere lo stesso
per il nostro vuot, morfema legato che può significare differenti cose. Vuot può essere un nome (vuoto), un
aggettivo (vuoto/a/…) e un verbo (vuotare). Nelle parole semplici la testa coincide sempre con la radice, ciò
è evidentissimo in inglese.
La derivazione è una delle strategie che abbiamo per formare parole nuove, infatti tante parole si formano
usando radici esistenti con affissi esistenti.
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“canile”, can (radice)+il (testa)+e (desinenza). Gattile è una parola nuova, formata perché parola possibile, il
si attacca alla parola di animale per indicare luogo di ricovero per quell’animale.
Una parola come librile, luogo per ricovero di libri abbandonati, è impossibile, perché l’affisso il indica un
luogo di ricovero per animali.
Bovile è una parola possibile.
Quando creiamo neologismi ci basiamo sull’unione di radici e affissi che già creano parole simili, con
significato simile. Oso si attacca ai nomi per formare aggettivi, gioioso, petaloso.
LEZIONE DEL 24/03/2021
Un derivato spesso significa di più della forma delle sue parti. Per esempio, dal verbo leggere possiamo
derivare “illeggibile” il + legg(i) + bil + e, alla lettera il prefisso “il” (che deriva da in) indica il contrario,
pertanto “che non può essere letto”. Posso dire “la tua calligrafia è illeggibile” vuol dire che non riesco a
leggere, ma se dico “questo romanzo è illeggibile” significa che è brutto e che non mi piace, non significa
che non può essere letto. “Questa cambiale può essere pagabile in 30 giorni”, non significa che può essere
pagata, ma che deve essere pagata. “Mangiabile”, il bil si attacca a verbi per renderli aggettivi, “questa pizza
è mangiabile” non significa che la si può mangiare, ma che è così così, né buona né cattiva. In italiano, per
dire che qualcosa può essere mangiato, usiamo la parola “commestibile”.
Mentre i derivati sono unioni di minimo tre morfemi, i composti (parola + parola) uniscono parole già flesse
ed intere, solitamente composti da due parole. “Cassaforte” è diverso da “cassetto” cass+ett+o (derivato di
cassa). In cassaforte prendo l’elemento intero con la sua flessione.
Che parole uniamo? Quasi tutte le categorie di parole, al 90% esce un sostantivo.
Nome + Nome, pescecane
Nome + Aggettivo, cassaforte
Aggettivo + Aggettivo, grigioverdi
Verbo + Nome, portapacchi
Verbo + Verbo, saliscendi
Avverbio + Nome, sottoscala
La testa del composto è la parola più importante delle due.
I composti si classificano in base a due parametri, grado di unione fra le due parole e posizione della testa.
In base al grado di unione fra le due parole, possiamo parlare di composti lessicalizzati, composti stretti e
composti larghi. I composti di solito nascono come composti larghi, a qualcuno viene in mente di associare
quelle due parole, se la composizione piace e prende piede esso si stringe, quasi a diventare una parola sola.
“Pomodoro” è un esempio di composto lessicalizzato, perché la maggior parte della gente non si rende conto
che è un composto, perché è una parola usatissima. “Ferrovia” anche questo è lessicalizzato.
I composti stretti sono quelli “propriamente detti”, ovvero “asciugamano” “pescecane”.
I composti larghi sono quelli più di nuova formazione e che tendiamo a scrivere separati come “divano letto”
“pesce martello”, ancora li sentiamo come due parole, ma non sono due parole, che sono “insieme di suoni
interrompibile”, non posso mettere niente fra le due parole.
“Ho visto un grosso pesce martello” “Ho visto un pesce martello grosso” MA NON “Ho visto un pesce
grosso martello”, sono parole inscindibili.
Ci sono differenze individuali nella considerazione di questi composti.
Per la posizione della testa dobbiamo capire quale è la parola del composto più importante dal POV
semantico. Per capire ci possiamo porre la domanda “x parola è un?” “Il pescecane è un pesce che…” quindi
pesce è la testa.
Ci sono i composti endocentrici ovvero una delle due parole si identifica come testa, che può essere sia a
sinistra che a destra. In pescecane, pesce è la testa, in ferrovia è via. Siccome l’italiano è complicato dal POV
morfologico, la testa è quasi sempre a sx, che ci crea problemi per formare il plurale dei composti.
Ci sono però i composti come “asciugamano” cos’è? Non è né un’“asciuga” né una “mano”, questi composti
sono gli esocentrici a testa esterna, l’asciugamano è un oggetto x che asciuga le mani, il portapacchi è un x
che porta i pacchi. Il pianoforte, composti di due aggettivi/avverbi, è un x che suona piano e forte. Ma i
composti possono anche essere dvandva ovvero in cui entrambe le parole sono teste, la cassapanca è sia una
cassa che una panca, grigioverde è sia grigio che verde, …
Il portachiavi è un x che porta le chiavi quindi è un esocentrico.
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Portachiavi viene classificato come verbo + nome → nome. La parte verbale non è all’infinito, potrebbe sia
essere una terza persona che un imperativo. Possiamo dire che “porta” in questo caso sia il temo del verbo,
radice + vocale tematica.
In saliscendi abbiamo un caso particolare perché i verbi in -ere non hanno un’unica vocale tematica, pertanto
diciamo che essa sia radice + vocale tematica.
Non è facile fare il plurale dei composti. Dobbiamo fare caso sia al grado di unione che alla posizione della
testa.
I composti lessicalizzati, li percepiamo come una parola semplice, pertanto cambiano la vocale finale,
pomodoro → pomodori, pensando alla genesi del composto non saprei come formare il plurale di oro. Perché
pluralizzo in pomodori? Perché non lo percepiamo più come “oro” ma come una parola a parte. Il plurale
originale, che a livello dialettale ancora si sente, è “pomidoro”, ma la o desinenza è tipica del maschile
singolare, quindi si è arrivati a fare “pomidori” (quando ancora era visto come un composto stretto), plurale
che poi è stato formato in pomodoro perché la parola non è più visto come composto, ma come parola
semplice che quindi deve essere pluralizzata in desinenza.
I composti larghi, sono spesso endocentrici, viene pluralizzata la testa. Pesce martello diventa pesci martello,
non ci verrebbe mai in testa di fare pesce martelli. Conferenza stampa → conferenze stampa.
Per i composti stretti insorgono dei problemi, pescecane → pescecani? Pescicane?
Pescicani → stretto, pescecani → lessicalizzato, pescicani → largo
La formazione del plurale dipende dalla nostra percezione del composto.
I composti esocentrici, il cavatappi → i cavatappi e così per tutte le parole composte plurali, come
portapacchi. Ma se ho composti singolari come portacenere? In teoria dovrebbe rimanere invariabile. Cenere
dovrebbe essere un nome di massa, quindi non numerabile, le “ceneri” sono il risultato finale di una
cremazione, mentre il portacenere porta la cenere di sigarette e sigari.
Se formo “portaceneri” significa che ho lessicalizzato il composto, la e finale la vedo come finale dell’intero
composto e non solo di cenere.
Ma se abbiamo “asciugamano” perché c’è mano al singolare? Quando mai asciughiamo una mano sola? In
verità questo composto è nato come “asciugamani”, ma la i finale non è stata presa come la i finale delle
mani perché son due, ma è stata presa come i del plurale.
Il “portafogli” originariamente avevamo il portafogli → i portafogli, anche qua la i non è stata vista come
plurale di fogli ma della parola, pertanto è stata creata poi la forma variabile al singolare di portafoglio.
Altri esempi sono quelli del “pianoforte” che può diventare sia “i pianoforte” che “i pianoforti”. Ma anche “il
pellerossa” (composto stretto) che diventa “i pellerossa”, “i pellerossa”, “i pellirosse”. Caso differente per
quando abbiamo “il viso pallido” che diventa solo “i visi pallidi”.
Parliamo di composti dvandva. Se sono composti stretti allora pluralizziamo entrambi “la cassapanca”
diventa “le cassepanche”, se qualcuno lo lessicalizza allora abbiamo “le cassapanche”.
Se invece il dvandva è largo allora abbiamo diverse possibilità “il divano letto” diventa “i divani letto”.
Quando si mantiene la flessione interna vuol dire che lo sentiamo ancora come composto, se invece tendiamo
a pluralizzare solo il fondo allora lo sentiamo come composto. “Grigioverde” diventa “grigioverdi”, “grigio
perla” (largo) diventa “grigi perla”.
Altri composti con parte verbale. “Saltimbanco” e “saltimbocca”. Saltare è un verbo intransitivo
(differentemente da portapacchi, lavastoviglie), quindi questi composti hanno un comportamento diverso.
Questi composti sono formati da “salta + in + banco” o “salta + in + bocca”. Sono successi due fenomeni, la
n diventa m perché davanti a consonante bilabiale e la a di salta è caduta per non far incontrare due vocali.
Al plurale abbiamo “i saltimbanchi” e poi “i saltimbocca” che rimane invariato.
Ci sono dei composti particolari di semiparole, quelle che vengono chiamati alle volte anche affissoidi, vie
di mezzo fra affissi e derivazionali. Se prendiamo “filologia” parola che ci appare come parola semplice ma
che presenta due radici semantiche filo (amante) + logia (studio di cose antiche e belle). Geo (terra) + grafia
(misura). Questi sono composti di semiparole e non di parole intere, le chiamiamo semiparole perché non le
usiamo da sole. Non parliamo di morfema + morfema, in quanto hanno un grado di indipendenza maggiore,
l’elemento “filo” posso anche averlo in “cinefilo”, in cui filo è in fondo alla parola e non all’inizio. Un
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morfema derivazionale come -zione o in- non cambiano mai di posto. “Logopedia” nessuno dei due elementi
ha la maggiore sull’altra.
Queste parole hanno quasi tutte radice greca o latina.
Anche “telefono” è composto di semiparole tele (a distanza) + fono (suono), anche se oggi vediamo questa
parola come telefon + o.
Questa categoria di composti è improduttiva, nel senso che non vengono creati dei neologismi con queste
modalità.
LEZIONE DEL 25/03/2021
LA SINTASSI
Con la sintassi studiamo la formazione delle frasi. Il bambino quando inizia a mettere insieme le due parole
inizia a creare la prima forma di sintassi, perché mette insieme due parole in relazione soggetto – predicato.
Anche la sintassi ha un concetto di base ovvero il sintagma, quello che in inglese viene detto “phrase” (che
non significa frase).
“Gianni incontrò suo padre per la strada”, questa è una frase di 7 parole ma non ci interessa il numero di
parole, ma ci interessa di quanti sintagmi è composta. I sintagmi in questa frase sono 4. Li si riconosce anche
in maniera piuttosto intuitiva, confermiamo ciò che disse Chomsky sul fatto che ci sono tante cose che
sappiamo sulla lingua senza che ci vengano insegnate.
Il sintagma è un costituente, formato da una o più parole, che svolge un ruolo sintattico e che ha un certo
grado di autonomia.
Il primo sintagma è “Gianni”, sintagma semplice formato da una sola parola e costituisce l’importantissimo
ruolo di soggetto della frase. Invece di dire “Gianni” potevo dire “il ragazzo” oppure “il bel ragazzo dagli
occhi blu” o addirittura “il bel ragazzo dagli occhi blu che ho conosciuto ieri” (andiamo contro le regole
generali dell’analisi logica) tutti questi sintagmi potrebbero essere soggetti di frase. Il soggetto di frase può
essere un costituente semplice, ma anche un costituente internamente più complesso.
Ogni sintagma ha una testa, in “Gianni” è ovviamente “Gianni”, in tutte le altre possibilità la testa è sempre
“ragazzo”, visto che questi sintagmi hanno per testa un nome allora li chiamiamo sintagmi nominali, in
inglese è noun phrase.
“Suo padre”, sintagma nominale, che in analisi logica è complemento oggetto, in sintassi lo chiamiamo
oggetto diretto. “Per la strada” svolge la funzione del “complemento di luogo” è un locativo. La testa di
questo sintagma è “per”, quindi chiamiamo questo sintagma preposizionale perché la preposizione mi fa
capire che quel sintagma è un locativo.
I test di costituenza sono delle prove per capire quante e quali parole formano un sintagma.
Abbiamo vari test:
1) Spostamento (fronting) del sintagma tutto insieme → “Suo padre Gianni incontrò per la strada”, ma non
posso dire “Padre Gianni incontrò suo per la strada”.
Posso dire Per la strada Gianni incontrò suo padre, MA non Padre per Gianni incontrò suo la strada.
La frase scissa significare fare “è SUO PADRE che Gianni incontrò per la strada”, mettiamo il focus su una
parte della frase. Prendiamo il costituente e lo mettiamo nella frase “è … che”.
2) domanda, test della pronunciabilità in isolamento, “chi incontrò Gianni per la strada?” risposta “suo
padre”. È un sintagma ciò che viene pronunciato in isolamento in risposta ad una domanda. “Dove incontrò
Gianni per la strada?” devo rispondere “per la strada”, ma non solo “strada” o “per la”. Devo pronunciarlo
tutto insieme, perché appunto un sintagma è un costituente con un certo grado di autonomia.
3) coordinabilità, posso dire “Gianni e suo padre”, ma non “Gianni e padre”. Posso dire “Gianni incontrerà
suo padre a casa o a scuola” anche la disgiunzione è una coordinazione. Posso coordinare solo due sintagmi e
essi devono essere della stessa categoria.
[Gianni] incontrò [suo padre] [per la strada], 4 sintagmi, NP, NP, PP, anche mediante i test di costituenza
abbiamo appurato che tutti sono effettivamente sintagmi. Quale è il quarto sintagma della frase? Il predicato,
un sintagma verbale (verb phrase), VP. Sarebbe molto intuitivo fare [incontrò], ma è sbagliato.
Quindi S (Sentence) si divide in NP, VP, NP, PP.
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È indubitabile che il quarto sintagma è il verbo, ma i test di costituenza ci fa capire che questa divisione è
sbagliata.
Test della domanda, “Cosa fece ieri Gianni?”, domanda che interroga il verbo, noi rispondiamo “incontrò
suo padre”, non solo “incontrò”. Il test dice che è sintagma ciò che può essere pronunciato in isolamento
come risposta ad una domanda. Qua devo dire come minimo “incontrò suo padre”. I testi ci fanno capire che
la divisione non è così [Gianni][incontrò] [suo padre] [per la strada].
In inglese invece funziona bene il test dello spostamento “meet his father in the street, John did indeed!” ciò
che non posso dire è “meet, John his father in the street, indeed!” devo tirare a sinistra non solo il verbo ma
anche il complemento oggetto, e anche il locativo non ci starebbe male. Pertanto vediamo come i test di
costituenza non siano così banali e come identificare il VP non sia così facile.
La nostra frase è divisa quindi in due NP e VP, struttura intuitiva di base che fanno anche i bambini, il
predicato in questa frase è complesso e quindi abbiamo la testa verbale, l’oggetto e il sintagma
preposizionale.
Il sintagma verbale quindi è complesso.
Kayne, nel 1983 ha proposto la teoria del binary branching, ovvero ramificazione binaria. I rami dei nostri
alberi sintattici sono tutti binari, ovvero ad ogni bivio abbiamo solo due rami. Perché è nato tutto questo
studio, chiamato grammatica generativa? Per far capire che il bambino è in grado di generare un numero
infinito di frasi sempre nuove, imparando anche piuttosto velocemente. Se questo processo è così veloce e
facile significa che il bambino non abbia molto margine di errore, quindi se si devono mettere insieme solo
due cose alla volta non c’è molto su cui ragionare. Se ammetto che ci siano solo rami binari è tutto molto più
semplice perché il bambino sa che deve mettere due oggetti e metterli insieme, partendo dal basso
dell’albero, a cui aggiunge piano piano altri elementi.
Secondo Chomsky, l’operazione di base per costruire gli alberi sintattici si chiama merge, prendere due
parole e metterle insieme. Il bambino dice “want milk” poi “baby want milk” perché appunto si prendono
due oggetti e li si mettono insieme. In italiano chiamiamo questa operazione anche “di struttura” o “di
assemblaggio”.
Prima eravamo rimasti
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Ma anche questa struttura non va bene, perché non fa capire una cosa importante, mentre “suo padre” è
obbligatorio, non lo è “per la strada”. *Gianni incontrò è agrammaticale, ma sono dire Gianni incontrò suo
padre (per la strada), ma non *Gianni incontrò per la strada.
Suo padre, oggetto diretto, è obbligatorio, mentre il locativo è opzionale, nel senso che la frase sta in piedi
anche in assenza di “per la strada”.
Questa divisione non va bene perché non segue la ramificazione binaria, ma neanche da un punto di vista
empirico in quanto non riesce a spiegare bene i dati, perché non ci spiega che per la strada non è
obbligatorio.
Sono due le operazioni che compongono la struttura della frase, la merge (assemblaggio) e move
(movimento), mettiamo insieme gli elementi linguistici e poi eventualmente li si sposta.
La seconda struttura di frase non è adeguata dal punto di vista empirico. Ogni sintagma è composto da una
“testa” ciò che determina la categoria del sintagma, ma la testa a volte non basta, servono dei “modificatori”.
I modificatori possono essere di due tipi, obbligatori e opzionali.
VP → *incontrò, incontrò suo padre oppure incontrò suo padre (per la strada). A seconda del tipo di testa
possono essere necessari altri elementi. Se questi elementi sono obbligatori allora sono chiamati argomenti,
mentre gli opzionali sono aggiunti. “Argomento” viene preso dal campo semantico della logica e sarebbero i
partecipanti interessanti allo svolgimento dell’azione, quelli di cui non si può fare a meno.
Se dobbiamo mettere in scena “Romeo e Giulietta” in una classe che ha 10 persone, anche se il testo di base
ha 15 personaggi. Si fa allora un adattamento, eliminando qualche personaggio secondario. I personaggi che
non potremmo mai eliminare Romeo e Giulietta, che sono gli argomenti, mentre i personaggi eliminabili
sono quelli che abbiamo chiamati aggiunti.
Quello che a noi interessa è la grammaticalità sintattica, quindi che ci sia tutto quello che è obbligatorio.
La struttura con il VP ternario non era accettabile da un punto di vista teorico ed empirico, il bambino impara
a mettere insieme gli argomenti, mentre gli aggiunti verranno dopo.
L’opzionalità semantica e sintattica non sono la stessa cosa.
Trascrivere:
ascia, pazzesco, soqquadro, luglio, giuliano.
LEZIONE DEL 13/04/2021
Concetto della struttura argomentale → viene anche detta valenza o transitività. Ogni sintagma è formato
da una testa, la parte fondamentale del sintagma, che ne determina la categoria e la distribuzione, ma la testa
da sola non basta e pertanto deve essere accompagnata da dei modificatori, che possono essere argomenti o
aggiunti. La valenza è il numero massimo di argomenti che una testa può avere, mentre gli aggiunti, da POV
teorico, possono essere infiniti. Il numero degli argomenti non è libero, ciò lo sappiamo già benissimo
riguardo ai verbi grazie alla loro proprietà transitività.
Verbi intransitivi, sono mono argomentali o monovalenti, hanno un solo elemento, “Gianni
telefona/dorme”.
Verbi transitivi, soggetto e complemento oggetto sono i due argomenti. “Gianni incontrò suo padre”, non
posso dire solo incontrò, ma anche suo padre.
Esistono anche:
verbi ditransitivi che sono quelli del tipo di “dare”. “Gianni ha dato un libro a Maria”, non posso solo dire
“Gianni ha dato un libro”, devo specificare a chi lo ha dato. Anche se il terzo argomento è un sintagma
preposizionale esso non è un aggiunto, ma un argomento. Questo lo notiamo soprattutto in inglese “Gianni
gave Mary a book” in cui i due sintagmi sono nominali. Anche un locativo può essere argomento come
succede nelle frasi con il verbo “mettere” “Gianni ha messo il libro sul tavolo”, devo per forza dire dove l’ho
messo.
Ci possono essere verbi che hanno più di tre argomenti? NO.
Ci sono anche verbi che non hanno nessun argomento, ovvero i verbi impersonali “piove”, zero argomentali
o zerovalenti. In inglese abbiamo “it rains” perché l’inglese non è una lingua a soggetto nullo. Ovviamente a
questi verbi posso essere annessi gli aggiunti “piove a Urbino”.
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Ci sono dei verbi che possono essere usati sia in modo transitivo e intransitivo, come leggere, bere,
mangiare. Comunque sia li consideriamo transitivi.
Possiamo anche parlare di struttura tematica. La struttura tematica mi indica la categoria e il ruolo tematico
degli argomenti (rapporto semantico che intrattengono con la testa V). A seconda delle proprietà semantiche
del verbo, gli argomenti possono avere dei ruoli diversi. Se dico una frase come “Gianni mangia la mela” i
rapporti semantici del verbo sono l’agente e il paziente. L’agente è colui che volontariamente dà inizio ad
un’azione. Il paziente è colui che subisce l’azione e cambia nella sua essenza in conseguenza all’azione. La
mela dopo essere mangiata sarà stata cambiata da Gianni.
Non tutti i verbi transitivi vogliono lo stesso tipo di argomento. “Gianni ha visto Maria”, verbo transitivo, ma
magari Gianni non ha visto volontariamente Maria, chiamiamo questo “esperiente” che si ha sempre con
verbi di percezione e di sentimento. Neanche “Gianni odia Maria” è fatto in maniera volontaria.
Inoltre Maria nell’essere vista o odiata non cambia, è sempre la stessa di prima, non parliamo quindi di
paziente, ma possiamo chiamarla “tema”.
“Il vento ha chiuso la porta”, il vento non ha una volontà propria, dà inizio all’azione in maniera
involontaria, qui parliamo di “causa”. Questi sono i ruoli principali.
Ce ne sono altri come il beneficiario o ricevente che si ha con i verbi ditransitivi, “Gianni ha dato il libro a
Maria”, a Maria è il beneficiario.
“Maria mette il libro nella borsa” nella borsa è argomento locativo.
Anche gli aggiunti intrattengono delle relazioni tematiche con il verbo, possiamo avere aggiunti temporali
“Gianni è arrivato alle cinque”, strumentali “Gianni apre la porta con la chiave”.
Agente, esperiente, causa danno inizio all’azione, mentre paziente e tema segnano il fine dell’azione. A volte
la categorizzazione semantica è ambigua “Gianni ha aperto la porta”, porta è tema o paziente? Certe volte è
importante sapere se l’azione è stata in maniera volontaria o no, se il paziente è cambiato o no, certe volte
però non è importante. Ciò che è importante è sapere se l’argomento rappresenta l’origine dell’azione o il
punto di arrivo dell’azione.
L’unico argomento dei verbi intransitivi sarà un soggetto di frase, che però non sempre è agente.
Il concetto di soggetto è una cosa diversa dall’agente. Soggetto =/= agente. Il soggetto è colui di cui si
predica qualcosa, NON colui che fa l’azione, chi fa l’azione è l’agente, da “agire”.
Se dico una frase come “Gianni è morto” il soggetto è Gianni, ma non è colui che compie l’azione, la subisce
la morte, quindi è il paziente della frase. “Gianni ha cenato”, cenare è intransitivo, vuole un argomento solo,
ma in questo caso Gianni si identifica come agente, colui che dà origine all’azione. Ci sono i verbi come
morire e ingrassare, in cui il soggetto di frase sarà paziente.
Agente, esperiente e causa li chiamiamo argomenti esterni, paziente e tema sono gli argomenti interni.
I concetti di struttura argomentale e struttura tematica sono stati discussi in relazione ai verbi, ma anche le
altre categorie di parole possono avere una struttura argomentale e tematica, nello specifico possono essere
transitivi e intransitivi.
Ci sono nomi transitivi? Sì. “La distruzione di Cartagine” “I Romani distrussero Cartagine”, il rapporto
semantico fra distrussero e Cartagine è lo stesso di distruzione e di Cartagine. È infatti strano dire solo “la
distruzione” con questa parola c’è sempre da specificare cosa è stato distrutto. Cartagine si identifica come
paziente di “distruzione” in entrambe le frasi.
“La mia analisi dei dati” “Ho analizzato i dati”, analizzare è transitivo, io è agente, i dati paziente o tema. Ma
nella prima frase abbiamo la stessa relazione, l’analisi parte da me (“mia”) e arriva ai dati. Molti di questi
nomi transitivi derivano da verbi transitivi, ma non sempre. “Il libro di storia”, di storia possono pensare sia
l’oggetto di libro. “Gianni è invidioso di Piero” Piero è sempre tema, “invidioso” è sempre transitivo.
“Maria è cosciente” “Maria è cosciente dei suoi problemi” l’aggettivo cosciente cambia di significato se lo
uso transitivamente o intransitivamente. I suoi problemi sono l’argomento interno dell’aggettivo cosciente.
Le preposizioni sono quasi tutte transitive “per la strada” “sul tavolo”, se prendiamo l’inglese è abbastanza
chiaro che possiamo avere delle preposizioni intransitive “The light is on” la luce è accesa, “The movie is
over”, …
Struttura del sintagma verbale. Se esso ha due argomenti, quindi è transitivo, la struttura di base non può
essere VP (NP – V- NP) perché violiamo le regole del binary branching.
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Quale sarà il sintagma unito per primo? Quello interno.
Parlando di acquisizione di L1 i bambini inglesi dicono “want milk” anche se è una frase che è impossibile
aver sentito come input in quanto ci va sempre il soggetto, che dovrebbe essere “baby want milk”, appunto
perché ci sono due argomenti, potremmo pensare che i due appaiono al 50% dei casi. Invece al 99% delle
volte avremmo “want milk” e all’1% “baby want”. I dati sull’acquisizione delle lingue non a soggetto nullo
ci fanno vedere come le prime creazioni sono invece a soggetto nullo, solo in un secondo momento, quando
il bambino mette insieme tre parole, allora avremmo la frase intera. Capiamo quindi che il verbo è unito
maggiormente con l’argomento interno che con quello esterno.
La relazione fra gli elementi del sintagma ci viene fornito anche dalle frasi idiomatiche. “Gianni ha tirato un
sasso” normalissima frase con verbo transitivo di azione, in cui Gianni è agente, il sasso è paziente. Ma se
abbiamo una frase come “Gianni ha tirato le cuoia” (Gianni è morto), Gianni non è agente, ma paziente. A
seconda di quale argomento interno scegliamo, di conseguenza viene assegnato il ruolo tematico all’altro
argomento. Se il verbo è T e ha due argomenti, assegna il ruolo tematico all’oggetto, il verbo + oggetto
assegnano il ruolo tematico al soggetto.
Posso dire “un sasso è stato tirato da Gianni” frase transitiva passivizzata, ma non posso dire “le cuoia sono
state tirate da Gianni”, pertanto capisco che le cuoia non sono più un vero oggetto come in “tirare un sasso”,
infatti Gianni si identifica come paziente. Anche un oggetto inanimato può diventare soggetto di frase, “il
mio computer ha tirato le cuoia”, mentre non potrei mai dire “il computer ha tirato un sasso”, perché tirare
nel suo senso proprio ha bisogno di un agente. Il fatto che “tirare le cuoia” abbia bisogno di un soggetto
paziente, mi fa capire che anche un oggetto inanimato può stare in quella posizione. Tutto questo vuol dire
che il ruolo tematico del soggetto è determinato da verbo + oggetto. “John kicked a stone” “john kicked the
bucket” (l’ultima significa che è morto) anche in inglese è la scelta dell’oggetto che determina il ruolo
tematico del soggetto.
Il verbo fare nel suo uso proprio agentivo, ma se dico “Ha fatto fiasco” non possiamo parlare di agente.
“Gianni mangia la mela” verbo transitivo con due argomenti. Non possiamo avere una struttura tripartita, ma
solo ramificazioni binarie, uno dei due argomenti viene unito al verbo prima dell’altro. L’argomento
prescelto è quello interno, quello che svolge il ruolo di tema o paziente.
V’
V mangia
NP la mela
Ma questo non è tutto il sintagma verbale, è il verbo + qualcosa, appunto parliamo di V’.
Per arrivare a VP dobbiamo aggiungere altri elementi.
V’’/ VP
NP Gianni
V mangia
V’
NP la mela
Abbiamo quindi una struttura asimmetrica, dal livello V0 in cui c’è solo verbo, passiamo al V’ se c’è
l’interno, e V’’ quando c’è anche l’esterno.
V0 è la proiezione minima.
V’ è la proiezione intermedia.
V’’ è la proiezione massima.
Il verbo ha appunto una struttura asimmetrica, prima si unisce con l’argomento interno, questa unione forma
la proiezione intermedia, l’unione di questa proiezione con l’argomento esterno porta alla proiezione
massima.
L’argomento interno è così chiamato perché appunto rimane più interno alla struttura (che si costruisce dal
basso verso l’alto), l’argomento esterno rimane invece esterno alla struttura.
Dove mettiamo gli aggiunti se non posso fare più di tre rami né più di due livelli? E i verbi che non hanno
due argomenti?
31
LEZIONE DEL 14/04/2021
“Gianni incontrò suo padre per la strada”.
Testa del predicato V → incontrò, che deve essere messo insieme all’argomento interno NP, suo padre. V +
AI proietta un sintagma più complesso rispetto a quello costituito solo dalla testa, ma non è ancora completa.
Abbiamo differenti stadi di formazione del sintagma verbale, V0, V’, V’’
V’
V
NP
Per creare l’interno sintagma verbale dobbiamo fare così
V’’/ VP
NP
V’
V
NP
L’argomento interno, che fa coppia con il verbo, è chiamato complemento, l’argomento esterno, che fa
coppia con V’ è chiamato specificatore.
Questi argomenti li genero se la testa li vuole, ci sono dei verbi in cui queste posizioni privilegiate sono
vuote.
“Piove”, verbo impersonale, zero argomentale. Abbiamo comunque sia una struttura a tre livelli, solo che
alcune posizioni saranno vuote.
VP
V’
/
V piove
/
Verbi intransitivi, “Gianni dorme”. Dorme è un verbo intransitivo, cui unico argomento si identifica come
argomento esterno.
VP
NP Gianni
V’
V dorme /
Ci sono limitatissime occasioni in cui i verbi intransitivi hanno un argomento interno come per “Gianni
dorme sogni tranquilli”.
Ma non tutti gli intransitivi sono così, ci sono verbi transitivi in cui l’unico argomento è un paziente, come
per “Gianni muore”, “Gianni cade”, “Gianni ingrassa”.
VP
/
V’
V muore
NP Gianni
In questi casi ad essere vuota è la funzione di specificatore. È infatti un paziente.
32
Dove lo metto l’aggiunto? La struttura mi deve far capire che l’argomento è importante e che l’aggiunto è
meno importante. Non posso né creare un nodo tripartito, né creare un altro livello. La soluzione sta nel
duplicare il nodo intermedio V’.
V’’
NP Gianni
V’
V’
PP per la strada
V incontrò
NP suo padre
Abbiamo solo rami binari, inoltre come faccio a capire che PP “per la strada” è un aggiunto? Perché quando
aggiungo l’aggiunto non salgo di livello. Lo attacco al livello V’. Il complemento va sempre a dx e lo
specificatore sulla sx, mentre gli aggiunti li posso mettere dove voglio.
VP
NP Gianni
V’
AdvP sicuramente
V’
V’
V incontrò
PP per la strada
NP suo padre
Per fare la prova del 9 dobbiamo leggere l’albero dall’alto in senso antiorario. Inoltre, il numero dei nodi
intermedi deve essere uguale al numero degli aggiunti +1.
Una testa V0 si unisce con la posizione di complemento (compl) dove genero il mio eventuale complemento
interno ottenendo la posizione V’.
Lo specificatore (spec) è dove genero l’eventuale argomento esterno (arg. est) che unisco con V’ ottenendo il
V’’ che è la stessa cosa che dire “sintagma verbale”.
L’aggiunto (agg) si unisce a V’ a sinistra o destra rimanendo sempre al livello V’.
V0 + compl (arg.int) → V’
Spec + V’ → V’’ / VP
Adj + V’ / V’ + Adj → V’
Ciò vale con tutte lingue del mondo.
I romani distrussero Cartagine.
VP
N I romani
V’
V distrussero
NP Cartagine
La distruzione di Cartagine, sintagma nominale. Partiamo dalla testa del sintagma, ovvero dal nome.
N’’/NP
DP la
N distruzione
N’
PP di Cartagine
33
Il rapporto semantico fra distrussero – Cartagine (paziente) è lo stesso di quello fra distruzione – di
Cartagine.
L’articolo “la” va messo al posto dello specificatore, in quanto mi specifica il nome. Ma non lo chiamiamo
“articolo” in quanto non è una categoria universale, lingue come il russo, il giapponese, il latino non hanno
gli articoli. Chiamiamo queste parti determinanti categoria che comprende gli articoli, dimostrativi,
possessivi, quantificatori.
L’articolo italiano deriva dal dimostrativo latino, dimostrativi che si sono impoveriti, “quello” è diventato
“lo”. Lo stesso per il “the” inglese che deriva da “that”. Spesso, con delle eccezioni, tutti questi elementi
occupano la stessa posizione, hanno la stessa distribuzione. Non dico infatti “Il questo libro” o “Questo il
libro”, articolo e dimostrativo sono mutualmente esclusivi. La stessa cosa per i quantificatori, non dico “Gli
alcuni libri”.
Il discorso per i possessivi italiani è un po’ d’eccezione, possiamo infatti dire “il mio libro” ma mai “the my
book”. Non uso gli articoli solo con nomi di parentela stretta come “mia madre” “mio padre”, ma il discorso
cambia quando abbiamo il plurale “i miei figli”.
Possono esserci delle differenze fra il sintagma verbale e quello nominale.
1) Solitamente il complemento dei sintagmi nominali è introdotto dalla preposizione “di”.
2) La posizione dello specificatore. L’argomento “la” per quanto obbligatorio, non posso dire che è
argomento esterno, in quanto non ha valore tematico. In italiano l’unico determinante che ha valore tematico
è il possessivo. In “La loro distruzione di Cartagine”, loro specifica, ha ruolo tematico, è infatti il genitivo
del pronome. Lo vediamo bene con l’inglese “The Romans’ destruction of Carthage” abbiamo il genitivo
sassone.
N’’
DP
the romans’
N’
N
destruction
PP
of Carthage
Anche qua possiamo identificare casi differenti. Se ho un sintagma come “la sedia”, nome intransitivo, la
struttura è:
NP
N’
DP la
N sedia
/
La posizione di argomento esterno è vuota.
Se abbiamo i nomi propri, che sono già specifici di suo, abbiamo entrambe le posizioni privilegiate vuote, in
quanto non hanno bisogno di essere specificati maggiormente e non sono transitivi.
NP
N’
/
N
/
34
“Leggo solo libri di storia”, libri possiamo pensarlo come nome transitivo, in quanto “di storia” può essere
argomento interno. Il fatto che dico “libri” mi fa capire che non c’è nessun specificatore, ma che intendo i
libri in generale.
NP
/
N’
N libri
PP di storia
Ciò si vede spesso in inglese con i “bare nouns” in frasi come “water is essential”, “dogs are essential”.
“La terribile distruzione di cartagine”.
NP’’
DP la
NP’
AP terribile
NP’
N distruzione
PP di Cartagine
Regole della struttura del sintagma nominale:
N0 + compl (arg.int) → N’
N’ + spec (arg.est) → N’’
N’ + adj / adj + N’ → N’
Sono le stesse regole di quelle della struttura dei sintagmi verbali.
NB! Le posizioni del complemento e dello specificatore le abbiamo chiamate “privilegiate”, perché ospitano
gli argomenti. Gli argomenti possono esserci o non esserci a seconda del tipo di testa. Ciò che è importante è
che anche se l’argomento non è presente, non possiamo mettere l’aggiunto al suo posto.
“Gianni dorme sul divano”, “sul divano” è un aggiunto perché “Gianni dorme” è completo, non c’è
complemento interno.
V’’
N Gianni
V’
V’
V dorme
PP sul divano
/
“Piove a Urbino?”
V’’
/
V’
V’
V Piove
PP a urbino
/
35
LEZIONE DEL 15/04/2021
“Maria legge un libro in salotto”
V’’
NP Maria
V’
V’
V legge
PP in salotto
NP un libro
Se fosse stato “Un libro molto interessante”
N’’
DP un
N’
N’
N libro
AP molto interessante
/
Se volessimo fare la struttura dell’intera frase metteremmo “un libro molto interessante” come argomento
interno della prima struttura che abbiamo fatto.
NB! “Maria legge un libro in salotto” sembra una frase, ma non lo è; la sua struttura sarebbe diversa da
“Maria ha letto un libro in salotto”. Ci sarebbe il problema dell’ausiliare, che non fa parte della testa V.
Possiamo dire che “ha mangiato” e “mangiò” sono equivalenti, però sta di fatto che mentre “mangiò” è tutta
testa V, “ha mangiato” non sono entrambe parole della testa V. Prima di tutto da un punto di vista
morfologico, mangiò è composto da due morfemi mangi + ò, morfemi legati che non stanno in piedi da soli.
“Ha mangiato” per quanto l’ausiliare “ha” ha la stessa funzione dalla desinenza “ò”, sono comunque sia due
morfemi liberi, posso aggiungere roba fra le due parole “ha già mangiato”. Si vede bene in tedesco “Maria
hat im Essenzimmer ein Brot gegessen”, i due morfemi del verbo sono staccati.
Possiamo fare la strutturazione delle altre due categorie universali.
Struttura aggettivale.
“Gianni invidia Piero”
VP
NP Gianni N’
V invidia
NP Piero
Questa frase può essere parafrasata in “Gianni è invidioso di Piero”, i rapporti semantici fra le parti sono
sempre uguali. Questa frase non ha un predicato verbale, ma un predicato aggettivale (non nominale!).
Aggettivo transitivo con argomento interno, pertanto il primo argomento con cui si unisce è questo.
L’argomento interno degli aggettivi è quasi sempre preposizionale. Gianni in questo caso è esperiente,
argomento esterno, da cui parte il sentimento di invidia.
A’’
NP Gianni
A invidioso
A’
PP di Piero
Ma che ne facciamo della copula “è”? La copula non fa parte del sintagma aggettivale per la definizione di
sintagma, che contiene la testa e tutti i suoi argomenti e aggiunti. La copula non è né interno né esterno, né
36
un aggiunto, non fa neanche parte della testa. È qualcosa che non fa parte del sintagma aggettivale. La copula
farà parte della struttura di frase. “Gianni (è) invidioso di Piero”.
La maggior parte degli aggettivi sono intransitivi, perciò non hanno argomento interno.
“Gianni è bello”
A’’
NP Gianni
A’
A bello
/
Nei sintagmi aggettivali il soggetto è spesso esperiente, ma comunque sia non sempre.
Ci sono però dei casi in cui il sintagma aggettivale ha vuota la posizione di specificatore.
Dobbiamo tenere in mente che l’aggettivo ha due funzioni:
1) predicativa, “Gianni è invidioso di Piero”, aggettivi predicativi. “Il ragazzo è bello”, predico la bellezza
del soggetto.
2) attributiva, si attribuisce una qualità, infatti parliamo di aggettivi qualificativi (NON sono aggettivi i
dimostrativi, i possessivi, etc, sono determinativi). “Il ragazzo bello (è arrivato)”. La differenza dalla frase
sopra è importante. In questa frase “bello” è solo un aggiunto, potrei anche dire solo “il ragazzo è arrivato”,
frase che sta in piedi da sola, mentre nella prima frase non posso dire solo “il ragazzo è”. Quando l’aggettivo
ha funzione attributiva sono solo dei modificatori aggiunti, che potrei eliminare.
AP
/
A’
A bello
/
“Il ragazzo bello” è un sintagma nominale, cui T è ragazzo. Tutta la struttura di AP la metto all’interno della
nuova struttura.
“Gianni è molto bello”
AP
NP Gianni A’
AdvP molto
A bello
A’
/
37
Regole della strutturazione del sintagma aggettivale quando ha funzione predicativa.
A0 + Compl (argomento interno) → A’
Spec (argomento esterno) + A’ → A’’
Adj + A’ / A’ + Adj → A’
Strutturazione del sintagma preposizionale
“Il libro è sul tavolo” predicato preposizionale, in cui la preposizione è articolata (su + il). Ricordiamo che le
preposizioni quasi tutte transitive, quindi hanno un argomento interno.
P’’
NP il libro
P’
P su
NP
DP il
N’
NP tavolo
/
“Il” fa parte del sintagma nominale.
I sintagmi preposizionali sono spesso aggiunti e alle volte argomenti. Quando lo sono non hanno argomento
esterno.
“Gianni incontrò suo padre per la strada”.
PP
/
P’
P per
NP
DP la
N’
N strada
/
La posizione di specificatore in questo caso è vuota. La struttura è molto diversa rispetto quella di “Gianni è
per strada” perché in questo caso il sintagma preposizionale non è aggiunto, ma abbiamo un predicato
preposizionale.
Ci sono però le preposizioni intransitive “the light is off”, funzione predicativa della preposizione, ha
argomento esterno ma non quello interno.
PP
NP the light
P off
P’
/
Si possono avere aggiunti ai sintagmi preposizionali, ma bisogna fare attenzione nel capire se l’aggiunto fa
riferimento alla preposizione.
38
“Il libro è sul tavolo” se dicessi “Il libro è sul grande tavolo” in questo caso l’aggiunto fa riferimento al
sintagma nominale, “il libro è proprio sul tavolo” l’aggiunto fa riferimento alla preposizione. “Il libro è sul
tavolo senza dubbio”.
P’’
NP il libro
P’
AdvP proprio
P’
P su
NP il tavolo
P0 + compl (argomento interno) → P’
Spec (argomento estenro) + P’ → P’’
Adj + P’ / P’ + Adj → P’
3 (NP) + 3 (VP) + 3 (AP) + 3 (PP) → 12 regole totali.
L’obiettivo del nostro approccio è quello di ridurre una quantità infinita di fenomeni ad un numero ristretto
di regole generali e facilmente pronunciabili.
Queste dodici regole possono essere ridotte a 3, per questo Chomsky ha formulato la teoria X-barra. Prendo
una qualsiasi categoria X (X che sta per nome, aggettivo verbo):
X0 (testa, proiezione minima) + Compl (argomento interno) → X’ (proiezione intermedia)
Spec + X’ → X’’ / XP
Adj + X’ / X’ + Adj → X’
XP/ X’’
Spec
X’
X
Compl
X’’
Spec
X’
Adj
X’
X’
X
Adj
Compl
Inizialmente, la S (sentence) sembrava essere composta da NP VP (soggetto – predicato) come appare dai
dati sull’acquisizione di L1. Ma la struttura di sintagma è formata dalla proiezione della testa. Quindi la
struttura di S non si conforma alla teoria di X barra.
Sarebbe bene che tutte le struttura si uniformassero allo stesso livello, la frase è un sintagma? E’ la struttura
di frase che va rivista.
Esercizi:
1) Maria è molto gelosa di sua sorella.
2) La bottiglia è sul tavolo di cucina.
39
LEZIONE DEL 20/04/2021
Maria è molto gelosa di sua sorella.
A’’
NP Maria A’
AdvP molto
A’
A gelosa
PP
P’
P di
NP
D sua
N’
N sorella
L’argomento interno di nomi e aggettivi è sempre un sintagma preposizionale. Quando la preposizione non è
predicativo, non ha l’argomento esterno, ma ci sono sempre i tre livelli. Le preposizioni sono quasi sempre
transitive.
La bottiglia è sul tavolo di cucina.
P’’
NP La bottiglia
P’
P su
NP
DP il
N’
N’
PP di cucina
NP tavolo
“di cucina” è aggiunto non della preposizione, ma del nome. “il” è determinante di tavolo. Potremmo anche
sviluppare il PP “di cucina”. Tavolo è un nome intransitivo, “di cucina” non è l’argomento interno di tavolo.
“La bottiglia” è ciò di cui predico.
Come ci si comporta con i sintagmi preposizionali?
Posso creare solo il PP di cucina, come abbiamo fatto sopra, in quanto è semplice. Potrebbe anche essere
sviluppato, ma ricordando di fare tre livelli.
PP
P’
/
P di
NP cucina
Soluzione equivalente a non averlo sviluppato. Se avessi avuto “di sua sorella” allora, essendo complesso,
sarebbe meglio svilupparlo.
NON possiamo però fare questo
PP
P di
NP cucina
Manca infatti la struttura a tre livelli, così sembra che l’unione della preposizione con il suo argomento
interno proietti il sintagma preposizionale.
40
L’ultima volta ci siamo lasciati con la teoria X – barra, ovvero la teoria universale di struttura sintagmatica.
Teoria che vale per tutte le lingue e rappresenta la struttura dei sintagmi. Questa teoria può essere inclusa nei
principi della Grammatica Universale.
La struttura intuitiva di frase S (sentence) è unione di NP soggetto e VP predicato, anche se non è vero che
tutti i soggetti sono nominali e non tutti i verbi sono predicati. Abbiamo visto che nella fase sintattica i
bambini mettono insieme due parole che stanno in questa relazione soggetto – predicato. La struttura di S
può sembrare diversa da quella di P.
La frase è un sintagma? Se la risposta è no il sintagma è un costituente della frase e la frase è un insieme di
sintagmi, quindi la logica conseguenza è che ci sono due strutture diverse. Se la risposta fosse sì allora
significa che c’è qualcosa da rivedere.
La risposta alla domanda è sì, ma non perché la frase è un insieme di sintagmi.
Come si fa ad essere certi della risposta positiva? Come si fa a capire che un insieme di parole è un
sintagma? Si applicano i test di costituenza.
“Gianni mangia la mela”
Si può pronunciare in isolamento ciò in risposta ad una domanda? Certo, “cosa fa Gianni?”.
Posso coordinare la frase con un costituente dello stesso tipo? Certo, “Gianni mangia la mela e Angela
mangia la Pera”.
Posso spostare la frase all’interno di un costituente più grande? Certo, “tutti pensano che Gianni mangia la
mela”, “che Gianni mangia la mela lo pensano tutti”.
Se la frase è un sintagma deve uniformarsi allo schema X – barra, schema formulato per una testa X, quindi
di qualsiasi tipo, non solo testa V, P, A.
Quale è la testa della frase? Ogni sintagma è la proiezione massima di una testa.
Che la frase sia unione di soggetto e predicato non è sbagliato, ma dobbiamo rivedere la struttura. Dobbiamo
capire quale è la testa del sintagma frase. Non tutte le frasi hanno predicati verbali, quindi il verbo non può
essere la testa della frase.
Cosa sono ausiliari o copule? Quale è la loro posizione, dove stanno?
Potremmo dire che gli ausiliari siano verbi, come ci viene insegnato a scuola, ma in realtà essi non sono
verbi, anche se, almeno in italiano, gli ausiliari hanno la morfologia dei verbi.
MA due parole appartengono alla stessa categoria quando hanno la stessa distribuzione nella frase. Ausiliari
e verbi non occupano la stessa posizione.
I verbi innanzitutto sono una classe aperta, ci sono tantissimi verbi, posso creare sempre di nuovi mediante
derivazione, prestito, etc
Gli ausiliari sono una classe chiusa, sono pochi e non ne posso creare di nuovi né prenderli in prestito da
altre lingue.
I verbi hanno un significato semantico, hanno un significato nel senso comune del termine, esprimono uno
stato, un sentimento, un’azione.
Gli ausiliari hanno un significato grammaticale, il verbo avere come ausiliare non mi indica possesso, gli
ausiliari indicano il modo, il tempo, la persona e numero, proprio come la desinenza delle parole.
I verbi hanno una struttura argomentale e tematica, conosciamo i verbi zero argomentali, mono
argomentali, bi argomentali e ditransitivi. Il numero degli argomenti non dipende dall’ausiliare, ma dal verbo
lessicale. “Ha piovuto”, “Gianni ha camminato”, “Gianni ha incontrato Maria”, “Gianni ha dato un libro a
Maria”.
Gli ausiliari non hanno struttura argomentale e tematica, non selezionano il numero degli argomenti.
I verbi sono acquisiti presto, un bambino apprende e pronuncia verbi già durante la fase della singola
parola, sono acquisiti presto prima della sintassi.
Gli ausiliari sono acquisiti tardi, i bambini formulano frasi senza ausiliari e copule per molto tempo.
In inglese ad esempio gli ausiliari non si comportano neanche esattamente come il verbo, “will” non prende
la -s della terza persona singolare.
Ausiliari e copule sono flessioni, morfemi liberi, elementi che danno informazioni su tempo e accordo
(modo).
Il tempo è un principio universale della Grammatica Universale, esso è una relazione fra il tempo espresso
41
dal predicato e il momento in cui pronuncio la frase. Se dico “Gianni mangiò la mela” il tempo è precedente
al momento in cui pronuncio la frase, l’azione è già finita. “Gianni mangia la mela”, l’azione è
contemporanea a ciò che dico, “Gianni mangerà la mela”, l’azione deve ancora svolgersi. In inglese il tempo
verbale è chiamato tens.
Abbiamo poi il modo, l’agreement, l’accordo, che è una relazione fra i due elementi fondamentali fra gli
elementi che costituiscono la frase, soggetto e predicato. L’accordo sottolinea questa unione. In una lingua
come l’italiano con l’ordine delle parole piuttosto libero “le lettere ha scritto Gianni”, anche se Gianni sta in
fondo alla frase capisco che è soggetto perché accorda con il verbo.
Dal momento che ogni frase è inserita nel tempo e ogni frase presenta una relazione di accordo fra soggetto e
predicato, possiamo dire che l’elemento che esprime la flessione è la testa della frase.
Non possiamo dire che le flessioni siano sintagmi in quanto non danno risultati positivi a nessuno dei tre test
di costituenza. Non posso fare una domanda aperta che abbiamo come risposta isolata “ha”, non posso
spostare “ha” dove mi pare né posso coordinarlo con un altro costituente dello stesso tipo “ha e è”.
Ma se la flessione è testa deve essere proiezione di un sintagma.
X → XP
XP → X
La frase S è la proiezione della flessione. S → TP tens phrase, la relazione principale che costituisce la testa
della frase è il tempo.
S
TP
T’
NP
NP
→
VP
T
VP
Questa struttura è migliore in quanto mi evidenzia che la frase è un sintagma in tre livelli. Il soggetto è
esterno al predicato, ma quando abbiamo analizzato i predicati verbali abbiamo detto che il soggetto è
argomento esterno del verbo.
Gianni ha mangiato la mela.
TP = S
NP Gianni
T ha
T’
VP
NP -GianniV mangiato
V’
NP la mela
Il VP è il complemento della testa T che è funzionale. T indica tempo e modo. Gianni lo generiamo in due
posizioni, perché devo sia capire che è l’argomento esterno del verbo, ma lo barro poi, e lo riscrivo come NP
di frase.
Questa struttura mi fa capire che sto facendo la struttura dell’intera frase e non solo di un sintagma.
Lo specificatore del TP è il soggetto.
Quando parlavamo dei ruoli semantici abbiamo detto che il soggetto non è colui che fa l’azione, lo è
l’agente. Il soggetto non è una connotazione semantica, ma è frutto sia della logica “ciò di cui si predica” e
della sintassi “il soggetto è quello che si sposta a specificatore di TP, accorda con la flessione T, porta il caso
nominativo”.
Perché è “Gianni” che si è spostato in posizione di soggetto e non “la mela”?
Se io dico “Gianni ha picchiato Piero” in questo caso ho due sintagmi nominali, entrambi animati e che
concordano con l’ausiliare.
42
TP
NP Gianni T’
T ha
VP
V’
NP -GianniV picchiato
NP Piero
La NP di soggetto potrebbe essere riempita sia con Gianni che con Piero.
L’idea è che tutta la frase si basi su dei principi di economia, se devo muovere un elemento lo muovo solo
se necessario. Muovere qualcosa è faticoso, costoso. L’idea di Chomsky, risalente agli anni 90, è che il
movimento sia qualcosa di costoso. In questo caso è necessario specificare la funzione di soggetto, ma ho
due candidati entrambi validi. Sposto Gianni per il principio di località “fai il passo più breve possibile”,
ovvero sposta l’elemento più vicino.
Se il verbo è transitivo ho due argomenti entrambi obbligatori. La struttura di sintassi è asimmetrica, infatti
ho un argomento interno e uno esterno, se devo muovere il costituente più vicino possibile sposterò
l’argomento esterno. La distanza si misura in nodi dell’albero. Se parto da Gianni e arrivo alla posizione di
soggetto passo per 4 nodi, mentre partendo da Piero ne incontro 5.
Piero fu picchiato da Gianni.
Frase passivizzata. Il passivo è un’operazione di detransitivizzazione, converte un verbo transitivo in un
verbo intransitivo, pertanto mono argomentale. Non è che l’oggetto diventa soggetto.
Non c’è più argomento esterno.
S
NP Piero T’
T fu
VP
/
V’
V picchiato
NP -Piero-
Dalla struttura capisco che Piero è soggetto paziente e non agente. In questo caso l’argomento interno
diventa esterno perché la posizione di complemento esterno è vuota.
LEZIONE DEL 21/04/2021
Gianni ha incontrato suo padre per la strada
TP
NP Gianni
T’
T ha
V’’
V’
NP -GianniV’
V incontrato
PP per la strada
NP suo padre
“Ha” è la testa della Tens Phrase, ha significato funzionale in quanto mi segnala il tempo e l’accordo con il
soggetto. Vogliamo mantenere l’intuizione che la frase sia unione di soggetto e predicato, infatti è così, come
vediamo dagli studi dell’acquisizione di L1. Anche gli aggiunti fanno parte del sintagma verbale, in quanto il
sintagma contiene la sua testa con tutti gli argomenti e aggiunti.
43
Avrei potuto strutturare “per la strada” maggiormente.
PP
/
P’
P per
NP
D la
N’
N strada
/
Avrei potuto strutturare anche “suo padre” con “padre” testa del sintagma nominale e “suo” come
specificatore.
Per la salita del soggetto sia “Gianni” che “suo padre” sono ottimi candidati in quanto concordano con
l’ausiliare. “Gianni” è generato in posizione più vicina rispetto a “suo padre” quindi per il principio di
località facciamo salire esso. EPP, Extended Projection Principle o principio di proiezione estesa, stabilisce
che ogni frase deve avere un soggetto.
Gianni incontrò suo padre per la strada. Come la faccio la struttura quando ho la forma sintetica del verbo,
ovvero verbo che in un’unica parola mi dà significato e flessione?
TP
NP Gianni
T’
T incontrò
V’’
V’
NP -GianniV’
V -incontrò-
PP per la strada
NP suo padre
Anche questa frase è un TP anche se non c’è l’ausiliare isolato. Non posso dire che una frase con verbo
semplice non ha tempo né accordo, certo che ce l’ha.
Anche in questo caso Gianni sale, in quanto è comunque sia il soggetto della frase.
Per quanto riguarda il verbo sale anch’esso alla proiezione di TP. Perché sale il verbo?
Prima si diceva che solo la testa V viene detta la radice del verbo, la parte semantica del verbo incontr-, che
vuol dire che due o più persone si trovano, mentre in T viene generata la flession -ò che mi dà i tratti di
tempo e di accordo.
Ha / -ò → + T / + AGR
Il problema è che mentre “ha incontrato” è formato da due morfemi liberi che stanno in piedi da soli, “-ò” e
“incontr-“ sono due morfemi legati che non possono stare da soli. In passato veniva scritto quindi incontr –
ò.
L’idea di oggi, che si chiama ipotesi lessicalista, dice che il nostro lessico mentale non contenga radici e
desinenze, ma le forme già flesse. In “incontrò” è molto facile dividere radice e desinenza. Ma se avessi un
verbo come “lesse” cosa genero sotto V? La radice di “lesse” è “legg-“, NON è sempre facile separare radice
e desinenza. Problema morfologico, per qualche strana ragione dei verbi hanno delle forme irregolari, che
sono proprio quelle che i bambini sbagliano. Se fossi inglese e avessi “went”, come farei a segnalare la
radice “go”?
Da un punto di vista sintattico, che il verbo sia regolare o irregolare non è un problema, non cambia niente.
Al momento che si formula la frase con un verbo irregolare non ho problema, già conosco a memoria la
forma flessa irregolare, è presente nella mia mente.
Pertanto il verbo viene scritto come testa di VP, ma poi spostato come testa di TP.
Ciò avviene nelle lingue come l’italiano che ha varie forme, mentre in inglese non avviene.
In italiano abbiamo il movimento V-a-T, mentre in inglese no, questo per il principio di economia che ci
dice che gli spostamenti sono da fare solo quando necessari. In inglese lo spostamento si fa solo quando c’è
44
l’ausiliare, quest’ultimo posizionato sotto la testa T per dividere l’ausiliare dal verbo. Non salgono neanche
le forme irregolari del verbo.
Questo parametro è diverso da quello del soggetto nullo. Ci sono lingue come il francese, il tedesco e
l’olandese che non sono lingue a soggetto nullo perché non hanno sei forme diverse come l’italiano o lo
spagnolo. Hanno però un verbo con più flessioni rispetto all’inglese, sono sufficientemente ricche da far
salire il verbo. Ciò si vede dal posizionamento degli avverbi “Gianni legge sempre il giornale” ordine
standard in italiano, “John always reads the newspaper”, abbiamo un incrocio fra la posizione di avverbio e
verbo. Ciò perché in italiano il verbo è salito, stando nel VP scavalca l’avverbio, invece in inglese rimane in
fondo e non lo scavalca. “Jaen lit souvent des livres” ordine come in italiano, succede anche in tedesco etc,
in quanto hanno una flessione forte.
Discorso sul passivo.
“Gianni ha picchiato Piero”. Gianni è agente e Piero è paziente. In tutte le frasi passive come queste l’agente
diventa soggetto. “Piero fu picchiato” il verbo in questo caso è intransitivo, “da Gianni” sarebbe un aggiunto.
Piero continua ad essere paziente, colui che le ha prese.
Il verbo transitivo è biargomentale, il verbo passivo è intransitivo in quanto è stato detransitivizzato. Se
prendo i verbi intransitivi. Ci sono dei verbi in cui l’unico argomento si comporta come agente e casi in cui si
comporta come paziente.
Gianni ha cenato. Gianni in questo caso è agente.
Gianni è morto. L’unico argomento si identifica come paziente, colui che subisce l’azione.
I verbi come “Gianni è morto” sono simili a “Piero fu picchiato”, mentre “Gianni ha cenato” è simile a
“Gianni ha picchiato Piero”.
Perché l’ausiliare è diverso in “è morto” e “fu picchiato”?
Alcune lingue usano l’ausiliare “have” come perfettivo e l’ausiliare “essere” come passitivizzante.
L’italiano come il francese e il tedesco usano entrambi come verbi perfettivi.
Tutti i transitivi hanno l’ausiliare avere, ma gli intransitivi solo al 50%.
Ciò dipende dalla loro struttura tematica.
“Gianni ha cenato” è uguale alla struttura “Gianni ha mangiato la pizza”, ma “ha cenato” è intransitivo, non
vuole argomento interno.
TP
NP Gianni T’
T ha
V’’
V’
NP -GianniV cenato
/
L’unica differenza è che la posizione di complemento è vuota, ma la struttura tematica è sempre quella.
Discorso diverso per “Gianni è morto”.
TP
Np Gianni
Tè
T’
V’’
V’
S/
V morto
NP -Gianni-
In certi casi è vuota la posizione di agente e non quella di paziente. Anche in questo caso diventa soggetto di
frase Gianni. Non è vero che un paziente non possa mai diventare soggetto di frase, non succede se c’è un
argomento esterno che per definizione è più vicino.
I verbi intransitivi si classificano in due categorie, non li riconosciamo per considerazioni semantiche che
sono fuorvianti.
45
L’argomento sintattico principe è la diversa scelta dell’ausiliare.
I verbi che hanno come unico argomento l’agente, più simili ai transitivi, selezionano l’ausiliare avere. I
verbi più simili ai passivi in quanto l’unico argomento è paziente selezionano l’ausiliare essere.
Maria ha cenato – Maria è morta. Vediamo la differenza anche nell’accordo del participio passato (con il
maschile non si vede). Non posso assolutamente dire *“Maria è morto” o *“I soldati sono morto”, neanche
“Maria ha cenata”.
In questi verbi abbiamo l’ausiliare avere e no agreement del participio con soggetto.
Negli altri verbi abbiamo l’ausiliare essere e agreement del participio con soggetto.
Perché? Perché il participio passato se accorda, accorda con l’argomento interno cosa che si vede anche
quando l’argomento interno è un pronome.
“Maria l’ha mangiata” il pronome è l’argomento interno e il participio accorda con lui.
? Maria ha mangiate tre mele, ma sicuramente meglio di *Maria ha mangiata tre mele.
L’accordo del participio con il soggetto di un verbo transitivo MAI, al massimo accorda con l’oggetto.
I verbi transitivi si spaccano in due gruppi:
- verbi inergativi, verbi intransitivi ad ausiliare avere, che hanno come unico argomento un argomento
esterno.
- verbi inaccusativi, verbi che assomigliano ai passivi in quanto il loro unico argomento è interno.
“Maria è arrivata” fa parte degli inaccusativi. Argomento interno non è sempre paziente, può anche essere un
tema.
Si chiamano inaccusativi in quando hanno argomento interno ma non gli assegnano il caso dell’accusativo o
caso del complemento diretto. Abbiamo un oggetto tematico, paziente, ma siccome è l’unico argomento
prende il caso del nominativo, in quanto è il caso del soggetto che ci deve essere in tutte le frasi.
Come si rappresenta il soggetto nullo dell’italiano? Con Pro, pronome, perché comunque c’è.
“Sono ingrassata” di chi parlo? Di me, il soggetto c’è ma non è espresso foneticamente.
TP
NP pro
T‘
T sono
V’’
/
V’
V ingrassata
NP -pro- (io)
Le lingue a soggetto nullo sono anche chiamate lingue prodrop, in quanto fanno cadere il pronome. Faccio
salire il pronome silenzioso proprio come un soggetto espresso.
“Piove” verbo zeroargomentale, non posso mettere nulla fra parentesi, non esiste “esso piove”.
TP
NP pro
T piove
/
T’
V’’
V’
V -piove-
/
Metto pro in quanto è l’elemento meno marcato, ma è differente dal pro del verbo inaccusativo, che ha un
ruolo tematico.
Il pro di piove non ha ruolo tematico, non proviene dall’interno del VP in quanto non è argomento del verbo.
46
“Rains” non è “it rains”? si ma perché l’inglese non è prodrop.
TP
NP it
T
T’
V’’
/
V’
V rains
/
Mettiamo „it” come specificatore del T in quanto è il pronome meno marcato, inoltre il verbo non sale
perché l’inglese non ha la flessione marcata. In francese si usa “il”.
“Gianni ha detto che Maria ha incontrato Piero”
Periodo complesso, frase formata da una frase principiale e una subordinata. Come le colleghiamo queste
due frasi?
Gianni ha detto – che Maria ha incontrato Piero. La subordinata risponde positivamente ai test di costituenza,
pertanto è un sintagma. Occupa la posizione di oggetto di un verbo transitivo. L’argomento interno può
essere un nome, ma anche una frase.
Se è un sintagma si deve uniformare alla teoria di X barra. “Che” è la testa del sintagma C, che sta per
complementatore, ciò che trasforma una frase nel complemento di un altro verbo e indica il tipo di frase.
Che tipo di frase è questa subordinata? Una dichiarativa.
“Gianni ha chiesto se Maria ha incontrato Piero” sarebbe un’interrogativa indiretta.
Si parte dal predicato della frase subordinata.
TP
NP Gianni T’
T ha
V’’
NP -Gianni-
V’
V detto
CP (oggetto verbo transitivo)
C’
Spec
C che
TP
NP -Maria-
T’
V’’
T ha
NP Maria
V incontrato
V’
NP Piero
47
LEZIONE DEL 22/04/2021
Il treno è arrivato in ritardo.
TP
NP il treno
T’
V’’
Tè
V’
/
V’
V arrivato
PP in ritardo
NP -il treno-
Non è così evidente che il verbo “arrivare” sia inaccusativo. L’argomento interno è chiamato “misuratore
dell’evento”, se dico “Gianni ha letto il libro” per dire che quest’azione è finita significa che Gianni ha
impiegato un tot tempo a seconda della grandezza dell’argomento interno.
Il treno finisce quando il treno è in stazione, quindi il viaggio del treno lo trattiamo come un misuratore del
tempo.
Per eliminare ogni dubbio ci basiamo sull’ausiliare essere, che si comporta come nei passivi, in cui l’unico
argomento è generato come argomento interno.
Se invece è trattato come argomento esterno allora il verbo sarà inergativo e selezionerà l’ausiliare avere.
“Il treno” è argomento interno e “in ritardo” è un aggiunto. La posizione vuota è quella di argomento esterno.
Per individuare i verbi inergativi o inaccusativi possiamo usare i testi di inaccusatività, fra cui uno è quello di
vedere quale è l’ausiliare selezionato dal verbo.
Possiamo poi usare il test del participio assoluto.
Struttura di frase con predicato non verbale.
“Maria è bella”, il predicato è aggettivale. Anche qua l’ausiliare non ha un significato semantico, è un
elemento funzionale che unisce il soggetto e predicato e determina la relazione di tempo e accordo. Non
cambia molto che il predicato sia verbale o non.
TP
NP Maria
T’
Tè
A’’
A’
NP -MariaA bella
/
Ieri abbiamo iniziato a fare la struttura della CP, in cui la testa C, complementatore, inoltre a trasformare una
frase da indipendente a subordinata ad un’altra, segnala anche il rapporto semantico fra le due.
Anche le frasi indipendenti hanno una modalità, le principali sono:
- dichiarativa
- interrogativa
- esclamativa
- imperativa
Sono segnalate da dei tratti astratti nella testa C. Anche le frasi subordinate possono essere dichiarative e
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interrogative.
Ci sono dei casi in cui lo specificatore di C è molto importante.
“Cosa hai comprato?” frase interrogativa a risposta aperta. Nelle domande a risposta sì/no non succede nulla
a livello sintattico, è solo una questione di intonazione. Le frasi interrogative aperte all’inizio hanno una
variabile o sintagmi interrogativi Wh-phrases (WhP). Il loro referente non è specificato. Cosa potrebbe
essere un singolare, un plurale. Chi? Può essere tanti, pochi, nessuno, maschile, femminile, … La referenza
viene stabilita dalla risposta.
“Comprato” è ovviamente un verbo transitivo, l’argomento esterno è una seconda persona singolare espresso
dal verbo, l’oggetto che viene comprato è la variabile “cosa”.
TP
T’
NP pro
T hai
V’’
V’
NP -proV comprato
NP / WhP cosa
Che differenza c’è fra “cosa hai comprato?” e “Hai comprato cosa?”.
La seconda è una domanda ad eco. È una domanda che o non ammette nessuna risposta, formulata per
esprimere sorpresa o incredulità, oppure è una domanda che si fa per eco, per far sì che il mio interlocutore
ripeta ciò che ha detto perché non si è capito cosa è stato detto. Non è una vera domanda, è una frase che ha
l’intonazione di una domanda, ma non lo è. Ciò perché o non ha risposta oppure la risposta è chiusa, si ripete
solo ciò che è stato appena detto.
Non solo le frasi subordinate sono dei CP, ma tutte le frasi hanno una testa C che mi dice di che tipo di frase
si sta parlando. Possiamo dire che la testa C ha il tratto interrogativo, la modalità è interrogativa.
CP
WhP (cosa)
C’
C +wh
TP
T’
NP pro
T hai
V’’
V’
NP -proV comprato
NP / WhP -cosa-
La nostra variabile “cosa” dove la spostiamo? La WhP sta per un costituente grande, un sintagma, di cui è
stata realizzata solo la testa.
Lo specificatore di CP è WhP.
Cosa hanno le variabili di diverso dalle frasi normali? La variabile ha anche lei il tratto +Wh. Tra
specificatore e testa ci deve essere accordo nei tratti.
Come nelle frasi normali dove lo specificatore de accordare con la testa, dobbiamo farli accordare anche qua.
La variabile si sposta perché se la lascio nella sua posizione di base non la vedo come una variabile, non
come una vera domanda.
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Tutte le domande aperte possono essere fatte indirette “ti ho chiesto cosa hai comprato”, ma non possono
essere indirette le domande ad eco *ti ho chiesto hai comprato cosa.
Ragioni empiriche.
Prendiamo il nostro omologo inglese “What have you bought?”. In inglese abbiamo inversione soggetto
ausiliare.
CP
C WhP what
C’
C have
TP
T you
T‘
V’’
T -haveNP -you-
V’
V bought
WhP -what-
Albero identico a quello italiano, ma è successo qualcosa in più rispetto all’italiano. Il what fa la stesso del
“cosa” in italiano. In inglese si muove l’ausiliare e va alla posizione di testa del CP.
Perché “have” sale in inglese e in italiano no? È un parametro.
In italiano il verbo sale a T perché contiene un tratto di accordo forte. L’inglese ha tratti di accordo deboli e
quindi non fa salire il verbo, che rimane in V.
In inglese T sale C perché +wh è forte, in italiano T non sale a C perché il tratto +wh è debole. In inglese
abbiamo infatti l’inversione.
Lo vediamo anche nelle domande sì no, che in italiano non sanno di nulla.
“Has John arrived?” anche qua il tratto T “have” sale a C, in italiano non diciamo *è Gianni arrivato.
Come mai in inglese c’è il “do”?
Il tedesco che si comporta come l’inglese non ha il “do” perché al suo posto ci va il verbo.
“Has he gone to school?’” OK
* ”Goes he to school?” NO
“Does he go to school?” uso il do quando faccio domande con tempi semplici.
“Ist er zur Schule gegangen?” in tedesco l’ausiliare ha scavalcato il soggetto come in inglese, quindi la testa
è forte. Ma in tedesco possiamo avere anche “Geht er zur Schule’” che vabene nonostante sia l’equivalente
della forma interrogativa sbagliata inglese. In tedesco il verbo V a T a C.
In inglese il V a C viola il principio di località, la prima posizione adeguata disponibile perché c’è T di
mezzo. L’inglese divide flessione e verbo. Il verbo che rimane nella frase è alla forma base, perché la testa
deve salire a C quindi deve contenere i tratti flessivi.
CP
/
C’
C +wh does
TP
NP he
T’
T does
VP
/
V’
V go
NP -he50
In Tedesco il verbo inizialmente è in V, poi salirebbe alla testa T e poi a quella C forte, scavalcando
l’ausiliare.
In Inglese il verbo non sale a T. La flessione che salirà in C deve esser flessa, pertanto nella testa V ci va il
verbo forma base. Questa è la ragione per cui solo l’inglese ha il do.
“Where doeas it go? Where sarebbe un aggiunto.
Esercizio: perchè Maria ha telefonato a Gianni? Perché è un aggiunto a telefonare e sta per una frase come
“per invitarlo alla festa”. Quando facciamo una domanda diamogli una risposta e capiamo dove mettiamo la
frase. “cosa ha comprato Gianni’” il cosa sarebbe dove starebbe “un libro”
LEZIONE DEL 27/04/2021
Perché Maria ha telefonato a Gianni?
CP
Whp Perchè
C’
C +wh
TP
Maria
T’
ha
T
NP -Maria-
VP
V’
Telefonato
PP a Gianni
/
Quando abbiamo una domanda di questo genere dobbiamo anche darci la risposta. “Quando sei nato?” “Nel
2001”, questo perché il WhP prende il posto dell’aggiunto.
Quando sei nato?
CP
WhP quando
C’
C +wh
TP
NP pro
T’
T sei
VP
/
V’
V’
V nato
WhP / PP -quando- +wh
NP -pro-
Se avessi “sei nato quando?” sarebbe una domanda ad eco, che non avrebbe risposta aperta. Per avere una
vera domanda devo far salire il quando a specificare di CP.
Lo specificatore di VP rimane vuoto in quanto nascere vuole solo l’argomento interno. Il tratto interrogativo
lo devo spostare nella testa di CP e il pronome interrogativo nello specificatore di CP.
Sotto C possiamo anche non scrivere niente.
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When were you born?
CP
Whp when
C’
C +wh were
TP
NP you
T’
T -were-
VP
/
V’
V’
V born
WhP -when + whNP -you-
Perchè Maria ha telefonato a Gianni? Domanda che solitamente ha una risposta frasale “perché lo voleva
invitare alla festa”. Verbo transitivo di tipo inergativo, l’unico argomento è quello di agente, ovvero Maria.
CP
WhP perchè
C’
C
TP
NP Maria
T‘
T ha
VP
NP Maria
V’
V’
V’
V telefonato
WhP perchè
PP a Gianni
/
Specificatore e testa di CP devono essere in accordo nel tratto. Gli aggiunti si attaccano alle proiezioni
lessicali, non a quelle funzionali, pertanto l’aggiunto “perché” si deve aggiungere a VP.
Il fatto che in inglese c’è movimento da T a C allora si è avuto bisogno di aggiungere il “do”. In un caso di
simple present o simple past T sarebbe vuoto e non si farebbe il movimento a C.
Has Mary phones Gianni?
Does Mary phone Gianni?
Andiamo avanti…
Le frasi interrogative possono anche essere indirette, che, soprattutto in italiano, sono piuttosto semplici.
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“Gianni ha chiesto se Maria è arrivata”. C’è una frase subordinata interrogativa indiretta, ma la struttura non
è molto diversa da “Gianni ha detto che Maria è arrivata” in cui la subordinata è dichiarativa. Il “se”
introduce l’interrogativa indiretta e la congiunzione è anch’essa interrogativa.
interrogativa di tipo si/no.
TP
NP Gianni
T’
T ha
VP
V’
NP -GianniV chiesto
CP
C’
/
C se
TP
NP Maria
T’
Tè
VP
/
V’
V arrivata
NP -Maria-
John has asked if has Mary arrived.
John has asked if Mary has arrived.
Perchè la corretta è la seconda? Ce lo spiega l’albero.
TP
NP John
T’
T has
VP
NP -john-
V’
V asked
CP
/
C’
C if
TP
T’
NP Mary
T has
VP
/
V’
V arrived
NP -Mary-
L’albero ci dà una spiegazione molto ovvia. La testa C interrogativa in inglese è forte. Essere forte significa
che la testa non può esser vuota. Ora abbiamo “if” abbiamo già un elemento che riempie la testa, quindi la
salita sarebbe ridondante. La posizione in cui gli ausiliari dovrebbero salire nelle indirette è già occupata,
invece nelle dirette dovrebbe essere riempito.
53
Dove hai detto che Maria è andata? Frase interessante perché possiamo rispondere “Ho detto che Maria è
andata a Urbino”, il “dove” corrisponde ad un sintagma preposizionale aggiunto al verbo della fase
subordinata e appare come specificatore di T della frase matrice.
CP
WhP dove
C
C’
TP
T’
NP pro
T hai
VP
NP pro
V detto
V’
CP
WhP dove
C’
C che
TP
NP Maria
T’
Tè
VP
V’
/
V’
V andata
WhP -doveNP Maria
Abbiamo una variabile che nasce come aggiunto della frase matrice che diventa poi specificatore di CP.
Scavalca tantissime posizioni. Non vabene che il movimento sia questo per il principio di località, che ci dice
di far scavalcare meno posizioni di frasi possibili. La località deve essere presa alla lettera. Prendi ciò che
devi muovere (la variabile nello specificatore di CP) alla prima posizione appropriata disponibile. Se le
variabili vanno allo specificatore di CP (WhP – a – Spec(CP)). La prima posizione è lo specificatore di C
della frase subordinata. Dove si sposta due volte, non scavalca una posizione appropriata.
Il confine di frase si può scavalcare se si è nell’edge ovvero lo specificatore di CP, proprio dove andiamo a
mettere in forma intermedia il dove.
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L’idea dell’edge è che tutti i movimenti devono essere locali, entro il confine di frase. L’unica eccezione è
l’area di CP, testa e specificatore, i cui elementi possono essere spostati alla frase successiva. Movimento
per cicli successivi, movimento lungo che viene spezzato in due o più movimenti brevi.
Se pensiamo al concetto di ricorsività potremmo avere infatti frasi ancora più lunghe come “Dove pensi che
tutti riferiscono che Piero abbia detto che Maria è andata?” frase grammaticale, anche se è piuttosto
complessa. Anche in questa frase il “dove” dovrebbe spostarsi dalla frase subordinata a CP dell’intera frase,
pertanto avremmo un movimento lunghissimo. Ci devono essere dei passaggi intermedi.
Fino ad ora abbiamo visto che non si possono fare dei movimenti lunghi.
Ricapitolando: Chomsky dice che il movimento è un’azione costosa, di cui si deve fare a meno quando non è
necessario.
Il verbo inglese ha una flessione povera, debole, quindi non sale a T.
In Italiano invece la flessione è forte e quindi sale a T.
Il tratto C in inglese è forte e quindi attira l’ausiliare.
Il tratto C in italiano è debole e quindi non attira l’ausiliare.
Il movimento della variabile allo specificatore di CP è in qualche senso obbligatorio, in quanto il tratto è
forte, altrimenti non abbiamo una vera domanda. Anche quando siamo obbligati il movimento deve essere il
più corto possibile. Si deve sempre muovere l’elemento alla prima posizione appropriata disponibile.
Chi mi dice che le cose stanno veramente così? Chi mi dice che il “dove” deve passare prima a specificatore
della subordinata e poi a quello della principale? Ce lo dicono i dati.
“Dove hai detto che Maria è andata?”
“ Dove hai chiesto chi è andato?” Questa seconda frase non è assolutamente accettabile, non ha senso.
Perché? La prima ha solo una variabile, la seconda ne ha due. Non si possono fare domande doppie. Non
posso interrogare due cose nella stessa frase, *”dove chi è andato?”, le variabili devono spostarsi allo
specificatore di CP, quindi o ci va uno o ci va l’altro, i due elementi competono per la stessa posizione.
Ma non ci sono due posizioni? Lo specificatore di C subordinato e lo specificatore di C matrice. Quindi ho
due variabili. Non c’è più Maria ma “chi” e non c’è andata ma “andato” e al posto di detto c’è “chiesto”. Se
prima la frase ci faceva pensare che “dove” poteva fare un movimento unico, ma se così fosse anche la
seconda frase dovrebbe andare bene. Perché il “chi” farebbe il movimento corto andando a C di subordinata,
mentre il “dove” farebbe il movimento lungo. Ma il problema è che ho due variabili e due posizioni di
specificatore di C. Questa frase non è affatto grammaticale, ma se il movimento lungo fosse ammesso il
problema non ci sarebbe. Ma non è OK. Il movimento lungo non si può fare, si può fare solo se scomponibile
in una somma di due o più movimenti brevi. La derivazione della frase numero 1 è quella che abbiamo visto
prima, in cui il dove fa due balzi verso C di frase matrice. Tutte due competono per la stessa posizione di C.
C’è un PERO’. Se io facessi muovere il dove per primo? Si sposterebbe C subordinato e poi C matrice.
Allora perché la frase non va bene? Perché il chi non può rimanere al suo posto, deve stare come
specificatore di CP. Lui non si può spostare, perché la posizione è occupata, nonostante il “dove” se ne sia
andato. Questo perché nel muovere il dove è stata consumata “energia” ricordiamo il principio di economia.
Il “dove” che è salito, non è stato completamente eliminato, ma solo sbarrato. Anche se non c’è più una
presenza fisica, ne è rimasta la traccia, che occupa comunque sia il posto. La variabile non può rimanere al
posto suo, ma deve sempre stare in posizione di specificatore di C.
Non posso interrogare due elementi della stessa frase, perché entrambi competono per la stessa posizione.
Questa configurazione viene chiamata isola Wh. Un’isola è una restrizione al movimento. Un elemento
variabile, con tratto Wh, non può scavalcare un’altra variabile, perché se va al C specificatore o alla sua
traccia, siamo arrivati al confine dell’isola.
Ci sono delle frasi ambigue soprattutto con il perché.
“Perché hai detto che Piero è stato bocciato?” frase ambigua che può avere due risposte. Posso dire “Ho detto
che Piero è stato bocciato perché non era preparato” o “perché ho sentito delle voci a riguardo”.
“Perché hai chiesto chi è stato bocciato?” è grammaticale, anche se sembra violare la regola come quella di
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prima. La risposta è “perché voglio saperlo”, ma NON “perché non era preparato” etc.
La prima si può rispondere in due modi, qui posso solo rispondere in un modo. Il perché è generato nella
frase matrice, al di qua del confine di frase. “Ho chiesto chi è stato bocciato perché volevo saperlo”, le due
variabili sono generate in due frasi differenti.
CP
WhP perchè
C’
C
TP
T’
pro
T hai
VP
-pro-
V'
V’
V chiesto
WhP -perché-
CP
C’
WhP chi
C
TP
T’
NP -chi-
T è stato
/
VP
V’
V bocciato NP -chi-
Prima il “dove” e il “chi” erano entrambi argomento e variabile della stessa frase, invece qua il “chi” si
riferisce alla subordinata e il “perché” alla matrice.
Il “perché” è aggiunto al verbo della matrice, “perché lo volevo sapere”, “perché ero curiosa”.
La testa C rimane vuota perché quando c’è il sintagma Wh non c’è la congiunzione “se”.
I movimenti sono tutti accettati visto che sono brevi e le variabili appartengono a frasi differenti. Se
l’elemento in spec TP fosse un sintagma nominale normale non si sposterebbe in spec CP, per il principio di
economia. Il “chi” è una variabile, quindi deve essere spostato. Se invece di “chi” avessi avuto “Piero” allora
si muovere da V a T e basta, non anche in CP. Se il “chi” non andasse a CP avremmo una domanda ad eco,
che non andrebbe bene. I sintagmi Wh, che sono variabili, devono essere sempre spostati in CP. Ciò crea
l’isola, il confine non superabile.
56
LEZIONE DEL 28/04/2021
Perché Maria ha detto che Gianni è arrivato tardi? Perché ha perso il treno / Perché lo ha sentito dire.
La prima risposta sembra quella più naturale, ma niente vieta di scegliere l’altra.
CP
WhP perchè
C’
C +wh
TP
NP Maria
T ha
T‘
VP
NP -Maria- V’
V detto
CP
WhP -perchè - C’
C che
TP
NP Gianni T’
Tè
VP
/
V’
V’
V’
V arrivato
WhP -perchéAdvP tardi
NP -Gianni-
La variabile perché deve fare movimenti per cicli successivi.
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Se avessi la risposta “Perché lo ha sentito dire”, l’albero è leggermente diverso.
CP
WhP perchè
C’
C +wh
TP
NP Maria
T ha
T‘
VP
NP -Maria- V’
V’
V’
V detto
WhP -perchéCP
C’
/
C che
TP
NP Gianni T’
Tè
VP
/
V’
V’
V arrivato
AdvP tardi
NP -Gianni-
Il “perché” è aggiunto al verbo “detto”. Vediamo che nella posizione di specificatore di frase subordinata
non c’è niente, perché appunto la variabile appartiene alla frase principale, isola Wh.
58
IL LINGUAGGIO PUBBLICITARIO
Il linguaggio pubblicitario è una lingua artificiale. Si compone di elementi della lingua naturale (o più lingue)
però è un linguaggio fatto a tavolino. Le lingue naturali sono le lingue umane imparate in contesto
spontaneo. Il linguaggio pubblicitario non si apprende spontaneamente ma si crea. Perché viene creata? Lo
scopo è quello di catturare l’attenzione, stupire, fare colpo sul destinatario.
Siamo bersagliati dalla pubblicità, ne abbiamo ovunque, internet è pieno, come le riviste e la TV.
La gente è piuttosto scocciata dalla pubblicità, differentemente da come capitava ai tempi del “Carosello” in
cui gli spot pubblicitari duravano anche tre minuti, con i personaggi dei cartoni animati, attori famosi e
canzoni famose. Era una specie di intrattenimento e ce ne era pochissima.
Per far sì che la nostra attenzione venga colta dalla pubblicità, essa deve essere accattivante e deve stupire.
Per fare questo si usano tantissime strategie, fra cui quelle linguistiche.
Ci sono delle caratteristiche fondamentali, la brevità e la concisione. Messaggio conciso, non verboso, non
noioso, ridotto al minimo sennò diventa noioso, non ci rimane in mente. Deve essere infatti facilmente
memorizzabile. Deve anche essere originale e deve attirare l’attenzione. Come si attira l’attenzione?
- con delle deviazioni, ovvero errori, frasi non completamente grammaticali in altri contesti;
- uso di neologismi, parole nuove e inventate apposta per quello slogan, composti, derivati creati a tavolino,
su cui noi facciamo caso;
- uso di forestierismi, parole straniere, in primis inglesi ma anche di altre lingue, parole anche dialettali.
Alle volte il linguaggio pubblicitario ripercorre la frase delle due parole dell’acquisizione di L1, con
eliminazione delle parole funzionali. Le frasi dei bambini sono anche spesso ambigue, appunto per la
mancanza delle parole funzionali.
Il messaggio pubblicitario è spesso ambiguo in quanto non lo si capisce immediatamente, ma ci si rimugina
sopra, ci si riflette e non mi passa di mente subito.
Le strategie linguistiche sono a diversi livelli, come quello morfologico, lessicale e sintattico. Ovviamente
ciò non significa che la pubblicità si abbindoli a comprare tutto, ma già il fatto che il messaggio rimanga in
mente fa sì che il messaggio sia ben riuscito.
Strategie stilistiche.
1 – Tipologia della frase. Quando parlavamo di sintassi, abbiamo nominato la testa C che ci dà il tipo di
frase. Le frasi possono essere dichiarative, interrogative, esclamative o imperative. Sono le quattro modalità
delle frasi indipendenti e dipendono dalla testa C.
Soprattutto nella lingua scritta, la frase più usata è quella dichiarativa. Nella lingua orale, scambio dialogico,
sono le altre tre modalità ad essere più frequenti.
Gli slogan pubblicitari contengono solitamente o frasi imperative o frasi interrogative, soprattutto indirette.
C’è da fare però una distinzione fra beni di necessità e beni di lusso.
I primi sono necessarie, prodotti che si comprerebbe comunque anche senza la pubblicità.
I secondi sono cose superflue, più costose, come gli articoli di cosmesi. A livello di strategie stilistiche le
dichiarative sono più spesso collegate alla pubblicità di beni di necessità, che si vendono da soli, ma che
hanno bisogno di farsi pubblicità per distinguersi dalle altre marche. Le frasi dichiarative pongono l’accento
sulle caratteristiche del prodotto.
I beni di lusso, che non sono appunto così necessari, non hanno tanto bisogno di descrivere le caratteristiche,
come faccio a descrivere il profumo?
Ci si basa sulla suggestione, sull’atmosfera che il prodotto porta con sé. Nelle pubblicità di questo tipo di
beni ci sono sempre persone giovani e belle, mentre nella pubblicità della pasta c’è la casalinga di mezza età.
Bisogna fare leva sulle emozioni. Si usano gli altri tre tipi di frase perché richiamano lo stile
conversazionale, fra amici. Sappiamo che la pubblicità è ingannevole, però ce la mettono sul piano come se
fosse un amico a consigliarti il prodotto e noi di un amico ci fidiamo o di un testimonial come Cristiano
Ronaldo o chi che sia.
Esempio.
“Volete attenuare i segni del tempo?” domanda del tipo sì e no, domanda retorica, chiunque dirà sì. La
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pubblicità è stata messa sottoforma di domanda perché così chi lo ascolto, si sente preso in causa, inoltre
usando la seconda persona soprattutto singolare, si evidenzia ancora di più che il messaggio è rivolto
direttamente all’ascoltatore.
“Do you have the perfect workout music mix?” il destinatario del messaggio si sente preso in causa.
Le esclamazioni. Esse mettono per iscritto quello che è la tonalità della voce e della mimica facciale. Che
senso hanno i punti esclamativi di fila? Mettono per iscritto il tono di voce di una conversazione fra amici.
“I love glam! ...a glamorous effect guaranteed!” scambio dialogico.
Pubblicità francese, lingua che viene usata anche nelle pubblicità degli altri paesi. “Celluli-choc…pour
eliminer les capitons, pas le plaisir!”
Ciò che si usa molto in tutte le lingue è l’imperativo, forma verbale che si usa fra familiari e fra amici, non si
usa mai fra gente che non si conosce. L’imperativo forma tipica di un linguaggio estremamente informale.
“Prova il benefico vapore del bagno turco!”
“Capture the light…capture the glow!”
“Couvrez vous levres…”
Per i beni di lusso, per i quali non serve molto dire le caratteristiche, si fa leva sulle emozioni del destinatario
e si usano i tipi di frasi che mimano la conversazione fra amici.
Ci sono poi moltissime frasi telegrafiche, che ricordano il linguaggio dei bambini.
Un’altra strategia sintattica è infatti l’eliminazione di parole funzionali (linguaggio telegrafico). Frasi che
mancano degli ausiliari, determinanti, congiunzioni (sempre frasi indipendenti) alle volte manca anche la
flessione verbale.
A volte arriviamo fino alle nominalizzazioni, frasi in cui si elimina anche il verbo, rimangono i nomi e i suoi
attributi. Il nome può essere quello della marca.
Esempi:
“Want a car that comes with everything?” in inglese le domande sì/no hanno la salita dell’ausiliare, ma qui è
stato eliminato “do you” perché in fondo non ce n’era bisogno, si capisce lo stesso. Elimino l’ausiliare e
pronome (classe chiusa, determinante, non posso dire “i voi”). Si rende il messaggio più breve.
“Sensazione di seta sulla pelle”, Nivea. Non c’è né l’articolo, né il verbo, se ci fossero la frase sarebbe lunga
e noiosa.
“Perfect hydration”, L’Oreal.
“Scavolini” “la cucina più amata degli italiani”, manca il verbo.
“Hawaiian Tropic” “paradise in a bottle” pure nominalizzazioni.
“Beautiful skin or glowing complexion?” interrogative ellittica, manca l’ausiliare, il soggetto e c’è retorica. Il
senso della frase ognuno lo ricostruisce a modo suo, c’è un ragionamento attivo da parte dell’ascoltatore.
“Ready to risk?” verbo all’infinito, classica forma non flessa, senza tempo e accordo.
Queste omissioni sono accettabili visto il contesto e lo scopo del messaggio. Nei bambini che imparano la
lingua non consideriamo errori le frasi telegrafiche, è un naturale step del processo di acquisizione di L1. Se
invece questa strategia viene usata nella pubblicità, essa ci salta all’occhio.
Ci sono anche strategie sintattiche interessanti.
Cambiamento di categoria. Le categorie sono quelle che raggruppano le parole in base alla loro
distribuzione. Spesso in pubblicità si ha un cambio di categoria, passaggio molto forte che attira l’attenzione.
Anche questo rende più conciso il messaggio.
“Get that Pepsi feeling” Pepsi, nome, è usato come aggettivo. Messo prima di verbo, posizione riservata agli
aggettivi. Inoltre è anche molto sintetico come messaggio “abbi una sensazione frizzante con la Pepsi”.
L’inglese si presta molto a questo uso.
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“TDK it” TDK era una marca di videocassette, “registralo con TDK” si è fatto diventare il nome della marca
verbo. Messaggio super sintetico.
“Fina ti benzina” il nome benzina è diventato un verbo e inoltre c’è anche la rima, anche uso della seconda
persona singolare e imperativo.
“Temptation to touch” verbo all’infinito, no articolo, no copula.
Strategie fonologiche e ortografiche.
Dipende dal fatto se è pubblicità orale o scritta.
- rima, “Fina ti benzina”, “O così o Pomì”, quest’ultima era diventata così frequente che è diventata anche
frase utilizzata nel quotidiano. “Altissima, Levissima, Purissima” pubblicità anche molto citata in quanto ci
sono i superlativi assoluti, così come nel nome della marca.
- assonanza, rima imperfetta. “dove c’è Aia c’è gioia”. Anche se è imperfetta, assolve la stessa funzione
della rima.
- allitterazione, quando due parole non hanno uguali o simili gli ultimi suoni, ma i primi. “Ceres c’è”
slogano efficacissimo che però non dice nulla. Anche la birra è un bene di lusso, fa leva sulle emozioni.
Ognuno ricostruisce questo messaggio a proprio modo, c’è nei momenti importanti, ci deve essere alle feste,
è venduta ovunque, etc etc.
- ripetizione, “Fatte belle, fatte bene” che usava la Chicco per le scarpine. C’è ripetizione e allitterazione.
“più lo mandi giù, più ti tira su” con schema binario.
- uso di canzoni / jingles, canzoni già esistenti. I jingles sono creati apposta per la pubblicità “le mucche
fanno muuu”, “yo yo yomino e ti dimentichi del cucchiaino” “haribo è la bontà che si gusta ad ogni età”. Le
pubblicità con i jingles sono soprattutto usate con i bambini, quindi messe in determinate fasce orarie e fra
determinati programmi.
- struttura del proverbio, struttura binaria. I due membri messi in combinazione sono anche in rima. “Chi
fa da sé, fa per tre”. “Chicchi ricchi” che insieme fanno chicchiricchi del riso Gallo.
LEZIONE DEL 29/04/2021
Strategie lessicali
- proliferazione di aggettivi → si usano molti aggettivi perché i qualificativi esprimono le qualità e
decantano le caratteristiche positive del prodotto; anche più di uno per lo stesso nome. Per gli aggettivi
possiamo far caso al posizionamento: in italiano solitamente segue il nome, anche se non è vietato che stia
avanti (differenza con inglese, nel quale possono stare solo davanti). L’ordine delle parole che abbiamo in
inglese, per gli slogan si presta meglio: metto tutti gli aggettivi che decantano le qualità sempre più positivi
per arrivare alla fine al nome del prodotto, che è il “livello massimo”.
Se in italiano scelgo di “violare” il parametro → esempio: altissima, purissima, Levissima → la marca è alla
fine, preceduta da aggettivi in superlativo assoluto che la esaltano al massimo.
Molti aggettivi, generalmente negli slogan, sono comparativi di maggioranza / superlativi assoluti, anche se
non c’è termine di paragone (non è meglio di uno, ma di tutti).
Esempio → “la vostra pelle è visibilmente più levigata” → comparativo di maggioranza senza termine di - -- paragone → più levigata di cosa? Ognuno forma un suo pensiero, che potrebbe essere “…di prima”,
“…rispetto alle altre marche”,… .
Spesso ricorrono prefissi come entra-, ultra-,… .
- giochi di parole → ce ne sono di due tipi :
1- doppi sensi = esempio : underneath I’m Lovable → lovable significa amabile, bello; nella pubblicità
dell’intimo c’è una modella ovviamente giovane e bella dice “al di sotto sono amabile”, che ha doppio senso,
perché significa sia che indossa intimo della marca, sia che al di sotto dei vestiti è carina.
2- parole macedonia = parole inesistenti create apposta per lo slogan che uniscono due parole vere; Esempio
→ “digestimola” → pubblicità di un amaro, che significa che stimola la digestione. Dire la frase intera
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risulterebbe noioso, con questa parola macedonia attrae l’attenzione (è anche un neologismo che non ha
preso piede, differentemente dal brillantante, che è un derivato strano perché brillantare non è un verbo;
comunque si capisce bene il significato, tant’è che è diventata parola di uso comune).
- formazione di composti → in inglese si creano molto più facilmente rispetto all’italiano → esempio : “oil
– free”, oppure la parola wear che viene usata con parole dove normalmente non starebbe, come nel caso di
“Prada eyewear” “Calzedonia beachwear”.
- uso dei forestierismi → quando si sceglie di usare parole di un’altra lingua; a volte sono inseriti senza
neanche aggiungere la traduzione, solo per attirare l’attenzione su parole esotiche, originali; sono spesso
anglicismi perché, soprattutto gli Stati Uniti, sono visti come un modello da seguire, poiché è un paese
efficiente, moderno, avanzato; se un prodotto lo reclamizzo con uno slogan in inglese voglio accentuare le
connotazioni positive → esempio : Nike con “just do it” / oppure “life is now” della compagnia telefonica /
“What else?”. Inoltre, mantenendo lo slogan in inglese si risparmia sulle traduzioni per ogni paese.
I prodotti sponsorizzati in inglese sono spesso quelli che vengono indirizzati ai giovani → lo slogan “I’m
lovin’ it” è stato tradotto in qualche paese, ma non in Italia perché funzionava e attraeva.
Spesso si usa anche il francese per prodotti cosmetici, profumi, perché la Francia è legata al fascino, alla
moda → sensazioni positive.
Anche la Germania è vista come Paese capace di creare buone auto, quindi spesso lo slogan rimane in
tedesco, facendo capire l’alta qualità della macchina → esempio della Volkswagen : “Das Auto”.
All’esterno, invece, sono usate parole italiane per slogan di prodotti culinari → italianismi per indicare l’alta
qualità di prodotti tipici italiani come pasta, passate di pomodoro, (…).
- slogan misti → sono divertenti e accattivanti; spesso troviamo frasi con parole italiane e inglesi →
esempio: “two gust is megl che one” della Motta, richiama un proverbio inglese ma lo scimmiotta con parole
italianizzate.
Spesso tutte le strategie elencate si mescolano, per attirare l’attenzione al massimo.
LEZIONE DI RIPASSO
“Maria chiese se Gianni era andato a Roma”
Il “chiese” si muove per parametro V-a-T o parametro del movimento del verbo. Dipende dalla forza del
tratto Accordo (+agr) contenuto nella T0. L’italiano ha una flessione molto ricca pertanto dobbiamo
controllare che la relazione fra T e Spec deve andare bene.
Che tipo di frase è? Frase complessa che ha come subordinata una interrogativa indiretta del tipo sì/no.
Cosa e perché si muove? NON è per “principio di località” non provoca il movimento, al massimo ci fa
decidere quali di due elementi si muove.
Qui non c’è da scegliere fra due candidati.
Abbiamo in tutte e due le frasi la salita del soggetto, Maria da spec VP a spec TP per EEP, principio che
stabilisce che ogni frase deve avere un soggetto. La stessa cosa succede con “piero” / “chi”. Se c’è Piero si
muove solo a TP, mentre il chi da VP a TP a CP.
Inoltre il chiese da VP a TP perché la flessione in italiano è forte.
Altro? Andare è un verbo di tipo inaccusativo, pertanto il suo unico argomento è interno; inoltre abbiamo un
aggiunto PP “a Roma”. L’ausiliare essere è la spia del fatto che l’unico argomento che poi sarà soggetto di
frase è interno.
“Dove hai detto che Piero ha incontrato Maria?”
Frase complessa a risposta aperta, nella quale la variabile “dove” aggiunto dl verbo “incontrare” salirà alla
posizione di variabile CP.
“Incontrato” è un verbo transitivo, quindi con argomento interno e argomento esterno. “dove” è aggiunto di
“incontrato”, infatti la risposta sarebbe “ho detto che Maria ha incontrato Piero a Urbino”.
Dobbiamo dare un soggetto alla frase. In NP viene attirato l’argomento più vicino, quindi “Piero”. Non è il
principio di località che provoca il movimento, ma esso fa sì che io sposti l’argomento esterno e non quello
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interno.
Tutta la frase subordinata è il complemento interno della frase matrice. Il verbo “detto” non sale a T, perché
la flessione è espressa nell’ausiliare. Il “pro” sale proprio come fosse un soggetto esplicito.
Sia nella principale che nella subordinata abbiamo due verbi transitivi, quindi in entrambe il EPP gli
argomenti esterni salgono a TP, per il principio di localià è Piero a salire e non Maria.
Il principio di località entra in gioco rispetto alla variabile “dove”. Il dove aggiunto deve essere fatto
diventare Spec C della frase matrice, ma il movimento sarebbe troppo lungo. Dobbiamo prima farlo spostare
a Spec C di subordinata, da cui poi si sposta a Spec C di matrice. Si chiama “movimento per cicli
successivi”. In base al principio di località non possiamo spostare un elemento in una posizione troppo
lontana, se ce n’è una disponibile più vicina. Posso superare i confini di frase, ma ogni volta devo muovere
alla prima posizione disponibile.
Se la posizione di Spec C fosse già occupata, significa che la frase non vabene. “Dove hai chiesto chi ha
incontrato Maria?” “dove” è aggiunto di incontrato, frase non vabene perché nella posizione intermedia Spec
CP subordinato, ci starebbe già il “chi”. Il chi si muoverebbe da NP a TP a CP, di conseguenza il “dove” non
potrebbe più fare il movimento per cicli successivi, perché la posizione è già occupata.
In inglese “Why has Mary invited John?”.
“Perchè hai detto che Maria ha incontrato Piero?”.
Il “che” è presente, obbligatorio e riempie la testa C.
Se avessimo “Perché hai chiesto chi ha incontrato Piero’”, la risposta è “perché sono curiosa”. Il C rimane
vuoto, si chiama Filtro del COMP doppiamente riempito. C’è una cosa che obbliga che se è piena la testa C
lo Spec è vuoto, o perché è aggiunto al verbo detto o incontrato. Se lo Spec è pieno il C deve rimanere vuoto.
Esempio di frase sbagliata.
“Perché pensi che Mario sia andato a Roma?”
CP
perchè
C’
C
TP
T’
pro
T pensi
VP
V’
pro
V’
V -pensi-
V’ perchè
CP
C’
/
C che
TP
NP Mario T’
T sia
VP
V’
/
V’
V andato
PP a Roma
NP -Mario-
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Descrivi tutti i suoni che compongono la parola “sbaglio”.
Fricativa dentale sonora
Occlusiva bilabiale sonora
Vocale bassa centrale
Liquida laterale palatale
Vocale semichiusa posteriore
“sigla”
Fricativa dentale sorda
Vocale chiusa anteriore
Occlusiva velare sonora
Liquida dentale
Vocale bassa centrale
1 – trascrizione
2 – fonologia
3 – morfologia
4 – albero
5 – spiegazione albero
6 – sintassi
7 – domanda sui concetti generali
8 – linguaggio pubblicitario
ESERCIZIO DI MORFOLOGIA
Descrivere la struttura della parola “pesce martello”
Composto, perché non posso inserire materiale fra le due parole. Composto largo, le due parole non sono
così unite, ma comunque sia le due parole non possono essere divise. Composto endocentrico, a testa interna,
a sinistra, perché la testa è “pesce” “il pesce martello è un pesce”. Nei composti larghi endocentrici di solito
si pluralizza la testa “pesci martello”.
Frasi per esercitarsi:
La nave è affondata per la tempesta.
Perché Gianni crede che Maria sia stata bocciata all’esame?
Piero dorme spesso sul divano del salotto.
Dove hai detto che Gianni ha messo il libro?
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