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6 Tosone cooperazione - Appunti 7
Storia delle Istituzioni Politiche e delle Organizzazioni Internazionali (Università degli
Studi di Messina)
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LORELLA TOSONE
LA COOPERAZIONE MULTILATERALE ALLO SVILUPPO
FRA GUERRA FREDDA E GLOBALIZZAZIONE
1. I primi passi
Al momento dei negoziati e della firma della Carta delle Nazioni
Unite il tema della cooperazione internazionale per lo sviluppo economico dei paesi più poveri non venne discusso: a Dumbarton Oaks e a San
Francisco le grandi potenze appena uscite dalla guerra erano prese da
preoccupazioni diverse. La Carta tuttavia fa riferimento, nel preambolo,
all’impegno dei “popoli delle Nazioni Unite” a “promuovere il progresso
sociale ed un più elevato tenore di vita in una più ampia libertà” e “a impiegare strumenti internazionali per promuovere il progresso economico
e sociale di tutti i popoli”, mentre l’articolo 55 stabilisce un collegamento
fra pace e crescita economica, vista, quest’ultima, come una delle condizioni per il raggiungimento della prima1.
Al di là delle previsioni formali, tuttavia, le attività di cooperazione
allo sviluppo divennero, nei decenni che seguirono, uno dei pilastri
dell’azione dell’Onu, accanto alla sicurezza collettiva e alla tutela dei diritti umani.
La necessità, per alcuni paesi, di ottenere assistenza tecnica dalle
Nazioni Unite venne sollevata dal rappresentante libanese, Charles Malik, già nel corso della prima sessione dell’Assemblea generale, nel dicembre del 1946. In quella occasione, egli chiese infatti la creazione di
Advisory Boards […] in economic, social, health, administrative, educational and cultural matters, for the purpose of enabling the Members of
1
L’art. 55 della Carta delle Nazioni Unite (Capitolo IX: Cooperazione internazionale
economica e sociale) recita infatti: “Al fine di creare le condizioni di stabilità e di benessere che sono necessarie per avere rapporti pacifici ed amichevoli fra le nazioni, basate
sul rispetto del principio dell’uguaglianza dei diritti o dell’autodecisione dei popoli, le
Nazioni Unite promuoveranno: a) un più elevato tenore di vita, il pieno impiego della
mano d’opera, e condizioni di progresso e di sviluppo economico e sociale; b) la soluzione dei problemi internazionali economici, sociali, sanitari e simili, e la collaborazione internazionale culturale ed educativa; c) il rispetto e l’osservanza universale dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti, senza distinzione di razza, sesso, lingua o
religione”.
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the United Nations to draw upon such Boards for expert advice in connection with their own internal development2.
Nell’avanzare la sua richiesta Malik si richiamò non solo al citato
passaggio del preambolo della Carta, ma anche all’opportunità che tale
assistenza tecnica fosse fornita in via multilaterale, per evitare la dipendenza, economica e politica, che l’aiuto bilaterale rischiava di portare con
sé per i paesi riceventi3. L’iniziativa suscitò le reazioni tiepide e le resistenze dei paesi industrializzati, preoccupati in quel momento del futuro
dell’Europa devastata dalla guerra e della ricostruzione dell’ordine economico internazionale: tuttavia, la questione continuò ad essere discussa
sia in seno alla Seconda e Terza Commissione dell’Assemblea generale
sia al Consiglio economico e sociale (Ecosoc) e, grazie all’impegno di
alcuni paesi in via di sviluppo (Cina, Cile, Cuba, India, Perù e Venezuela), si arrivò nel dicembre del 1948 all’approvazione della prima risoluzione delle Nazioni Unite sull’assistenza tecnica4. Essa diede vita al Regular UN Programme of Technical Assistance, che impegnava per tali
attività una cifra piuttosto limitata (300 mila dollari circa all’anno)5.
L’idea di favorire lo sviluppo dei paesi arretrati attraverso interventi
esterni non era nuova, ma poteva rifarsi ai programmi di aiuto messi in
campo dalle potenze coloniali europee fra gli anni Trenta e Quaranta, alle
attività della Società delle Nazioni (Sdn), soprattutto in campo sanitario6,
e all’esperienza dell’Unrra. L’idea di fondo che emerse nel secondo do2
Department of Public Information, Yearbook of the United Nations, 1946-47, New
York, UN, 1947, p. 182.
3
Per una ricostruzione dei dibattiti all’Assemblea Generale e all’Ecosoc si veda Digambar Bhouraskar, United Nations Development Aid. A Study in History and Politics, New
Delhi, Academic Foundation, 2007, pp. 23-40.
4
A/RES/200 (III), Technical Assistance for Economic Development, 4 december 1948. In
particolare, la risoluzione prevedeva l’invio di esperti delle Nazioni Unite e delle Agenzie
specializzate come consulenti dei governi sui loro piani di sviluppo; programmi di fellowship diretti a formare all’estero tecnici dai paesi in via di sviluppo; programmi di formazione al livello locale. Essa stabiliva, inoltre i principi su cui l’assistenza tecnica avrebbe
dovuto fondarsi: non avrebbe dovuto rappresentare uno strumento di ingerenza nella politica dei riceventi né essere accompagnata da considerazioni politiche; doveva essere fornita solo ai governi e nelle forme desiderate da questi ultimi.
5
Edwin R. Henson, Technical Assistance for Economic Development, in Annual review of
United Nations Affairs 1949, New York, Oceana Publication, 1950, pp. 217-226; Olav
Stokke, The UN and Development. From Aid to Cooperation, Bloomington, Indiana University Press, 2009, pp. 43-48.
6
Per le attività di assistenza tecnica della Sdn si vedano Margherita Zanasi, Exporting
Development: The League of Nations and Republican China, “Comparative Studies in
Society and History”, 49, 2007, 1, pp. 143-169 e Amy Staples, The Birth of Development.
How the World Bank, Food and Agriculture Organization, and World Health Organization Changed the World, 1945-1965, Kent, Kent State University Press, 2006; Randall M.
Packard, A History of Global Health: Interventions into the Lives of Other Peoples, Baltimore, Johns Hopkins University Press, 2016, pp. 51-88.
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poguerra, inscritta nel preambolo stesso della Carta, era che il perseguimento della pace fosse strettamente collegato alla creazione di un mondo
“libero dal bisogno”7. A tali aspirazioni si aggiunse, negli anni immediatamente successivi alla nascita dell’Onu, un’altra forte spinta, dettata
questa volta dal clima di incipiente guerra fredda: il timore che paesi
troppo poveri avrebbero finito per divenire vittime dell’influenza sovietica, privando i paesi occidentali delle necessarie materie prime e dei mercati di cui l’economia internazionale aveva bisogno.
Il piccolo programma delle Nazioni Unite sarebbe forse rimasto tale
a lungo se gli Stati Uniti, nel 1949, non avessero deciso di contribuirvi in
modo sostanziale e di fare della cooperazione allo sviluppo un importante
elemento della loro politica estera nel secondo dopoguerra, coinvolgendo
nell’impresa anche le Nazioni Unite. L’impegno in favore dello sviluppo
dei paesi più poveri, espresso dal presidente Harry Truman al Punto
Quarto del suo discorso inaugurale, nel 1949, chiarì i contorni di questa
scelta e definì ciò che l’assistenza allo sviluppo dell’Onu doveva rappresentare secondo gli Stati Uniti: un’azione collettiva, in chiave antisovietica, portata avanti soprattutto attraverso l’assistenza tecnica, dunque attraverso il trasferimento di conoscenze, competenze e modelli di
gestione8.
L’arretratezza economica di alcuni paesi, secondo la lettura della Casa Bianca, rappresentava una minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti e
del mondo occidentale: se le speranze di sviluppo dei paesi di nuova indipendenza non avessero trovato risposte adeguate in Occidente, esse si
sarebbero rivolte naturalmente verso Mosca, affidandosi a “false dottrine
che sosten[evano] che la via del progresso passa[va] per la tirannia”9. Il
programma di aiuto avrebbe invece stimolato la loro crescita, e la prosperità, che gradualmente ne sarebbe conseguita, avrebbe portato alla nascita
e alla diffusione di istituzioni democratiche, a una maggiore stabilità e,
inevitabilmente, all’allineamento con l’Occidente10. Inoltre, secondo il
7
Craig N. Murphy, The United Nations Development Programme. A Better Way?, Cambridge, Cambridge University Press, 2006, pp. 33-41; Dan Plesch, America, Hitler and
the UN. How the Allies Won World War II and Forged a Peace, London, I.B. Tauris,
2011, pp. 141-161.
8
Harry Truman's Inaugural Address, January 20, 1949, Public Papers of the Presidents
of the United States, 1949 disponibile in The American Presidency Project,
<www.presidency.ucsb.edu> (ultima consultazione: gennaio 2017).
9
Harry Truman, Special Message to the Congress Recommending Point 4 Legislation,
June 24, 1949, ivi.
10
Sulla nascita del Programma del Punto Quarto si veda il numero monografico della rivista “Annals of the American Academy of Political and Social Science”, CCLXVIII:
Aiding Underdeveloped Areas Abroad, 1950; Rollin S. Attwood, The United States Point
Four Program. A Bilateral Approach, ivi, CCCXXIII, 1959, pp. 33-39; Henry Garland
Bennett, Point Four: The Maturity of a Policy, ivi, CCLXXVIII, 1951, pp. 56-61. Più re-
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Dipartimento di Stato, esso avrebbe garantito l’accesso nel lungo periodo
a materie prime importanti per l’economia americana e aumentato il potere d’acquisto di alcuni paesi trasformandoli in nuovi mercati per i prodotti americani ed europei, rappresentando così un ulteriore elemento della
strategia di ripresa economica dell’Europa11.
L’ottimismo di un tale approccio e la fiducia sulle potenzialità dello
sviluppo tecnologico che l’Occidente era in grado di esprimere sarebbero
rimaste caratteristiche costanti dei programmi di cooperazione degli Stati
Uniti, che a lungo influenzarono anche l’approccio delle Nazioni Unite.
Un altro importante elemento del programma del Punto Quarto stava nella sua possibile proiezione a livello internazionale: Truman aveva infatti
espresso l’intenzione di realizzarlo anche attraverso l’Onu e le sue agenzie specializzate, e l’ampia risonanza che ebbero le sue dichiarazioni diede un impulso fondamentale alle attività dell’Organizzazione in questo
campo.
L’internazionalizzazione del Punto Quarto e dei suoi presupposti
ideologici, infatti, non tardò ad arrivare. Fu infatti a seguito di una proposta americana che, nell’agosto del 1949, fu creato il Programma ampliato
di assistenza tecnica (Epta) delle Nazioni Unite12, che integrava i programmi già esistenti con un consistente aumento dei fondi, forniti per circa il 60% dagli Stati Uniti13. La scelta di sostenere così fortemente un
programma di assistenza multilaterale era dettata, in primo luogo, dal fat-
centemente Amanda Kay McVety, Pursuing Progress: Point Four in Ethiopia, “Diplomatic History”, XXXII, 2008, 3, pp. 371-403; David Ekbladh, Great American Mission:
Modernization and the Construction of an American World Order, Princeton, Princeton
University Press, 2010, pp. 77-113; Megan Black, Interior’s Exterior: The State, Mining
Companies, and Resource Ideologies in the Point Four Program, “Diplomatic History”,
XL, 2016, 1, pp. 81-110; Stephen Macekura, The Point Four Program and U.S. International Development Policy, “Political Science Quarterly”, CXXVIII, 2013, 1, pp. 127160.
11
Department of State Memorandum, Objectives and Nature of Point IV Program, March
14, 1949, Foreign Relations of the United States [d’ora in avanti Frus], 1949, vol. I,
Washington, US GPO, 1976, pp. 777-778.
12
Position Paper of the US Delegation to the 8th Session of the UN Economic and Social
Council, February 7, 1949, ivi, pp. 764-768; A/RES/304(IV), Expanded programme of
technical assistance for economic development of under-developed countries, 16 November 1949. Sulla nascita dell’Epta e sulle attività realizzate attraverso il programma si vedano David Blelloch, Bold New Programme: A Review of United Nations Technical Assistance, “International Affairs”, XXXIII, 1957, 1, pp. 36-50; David Owen, The United
Nations Expanded Program of Technical Assistance. A Multilateral Approach, “Annals
of the American Academy of Political and Social Science”, CCCXXIII, 1959, pp. 25-32;
David Webster, Development advisors in a time of cold war and decolonization: the United Nations Technical Assistance Administration, 1950-59, “Journal of Global History”,
VI, 2011, 2, pp. 249-272.
13
Hugh L. Keenleyside, Technical Assistance, in Annual Review of United Nations Affairs 1951, New York, Oceana Publications, 1952, p. 223.
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to che Washington in quel momento era in grado di controllare la maggioranza all’Assemblea generale e, dunque, l’utilizzo dei fondi, per lo più
americani, senza dover temere interferenze da parte sovietica. In secondo
luogo, era da ricondursi alla consapevolezza che gli aiuti multilaterali
erano molto meglio accolti dai riceventi rispetto ai trasferimenti bilaterali, dietro ai quali spesso essi intravedevano una volontà di controllo delle
loro economie e dei loro fragili stati e verso i quali erano, per questo, particolarmente sospettosi14. Una maggiore partecipazione a programmi
multilaterali rendeva il coinvolgimento americano più credibile agli occhi
dei riceventi, testimoniava di un reale interesse nel riscatto di questi ultimi e permetteva a Washington di continuare a coltivare l’immagine di
paese anticoloniale che il wilsonismo, prima, e la Carta Atlantica, poi,
avevano contribuito a diffondere.
A seguito di tali eventi, nel corso degli anni Cinquanta l’Onu divenne un centro di ricerca, studio e riflessione sui problemi di sviluppo, la
cui capacità di influenza era dovuta anche al fatto che
nell’organizzazione lavorarono, in vari ruoli, i migliori economisti del
momento15. Tali attività di ricerca contribuirono alla diffusione di una interpretazione largamente condivisa dei problemi della crescita economica
nel Terzo Mondo, che avrebbe rappresentato a lungo un punto di riferimento per gli interventi operativi dei governi e delle stesse Agenzie
dell’Onu. Un esempio in questo senso è il rapporto intitolato Measures
for the Economic Development of Under-Developed Countries16, commissionato dal Segretario generale a un gruppo di economisti e pubblicato nel 1951, in cui si rintracciano gli elementi più importanti
dell’approccio allo sviluppo che prevaleva in quegli anni: l’idea che la
crescita economica, ottenuta attraverso il trasferimento di capitali e
l’assistenza tecnica, avrebbe automaticamente creato condizioni di sviluppo; la convinzione che il miglioramento degli standard di vita e una
maggiore ricchezza fossero alla portata di tutti e realizzabili attraverso
opportuni interventi che gli stati avrebbero dovuto pianificare e guidare;
14
Daniel S. Cheever, The Role of the United Nations in the Conduct of United States Foreign Policy, “World Politics”, II, 1950, 3, pp. 393-395.
15
Hans Singer, Ragnar Nurske e Theodore Schultz lavorarono presso il Dipartimento degli Affari Economici a New York; Gunnar Myrdal e Nicolas Kaldor alla Commissione
Economica per l’Europa a Ginevra; Raúl Prebisch alla Commissione Economica per
l’America Latina a Santiago del Cile. John Burley, Stephen Browne, The United Nations
and Development, in Dan Plesch, Thomas G. Weiss (eds.), Wartime Origins and the Future United Nations, New York, Routledge, 2015, pp. 149-150.
16
United Nations, Department of Economic Affairs, Measures for the Economic Development of Under-Developed Countries, Report by a Group of Experts appointed by the
Secretary General of the United Nations, 1951, E/1986. Contribuirono all’elaborazione
del rapporto, tra gli altri, Arthur Lewis e Theodore Schultz, che nel 1979 ottennero il
Premio Nobel per i loro studi sull’economia dello sviluppo.
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l’importanza assegnata all’industrializzazione come elemento centrale dei
piani pluriennali di sviluppo17. Vale la pena notare che, già dieci anni
prima della pubblicazione del testo più noto e più influente della teoria
della modernizzazione, con la sua classificazione delle società fra prenewtoniane e moderne18, gli autori del rapporto avevano individuato, pur
senza approfondire il problema, le “pre-condizioni” per lo sviluppo in fattori non economici, ma di tipo culturale e sociale, anche sulla scorta di
una letteratura in quel momento crescente nel campo dell’economia dello
sviluppo19.
Il rapporto segnalava, nelle sue raccomandazioni, una serie di problemi che sarebbero stati al centro dei successivi dibattiti alle Nazioni
Unite sulla cooperazione: la necessità di aumentare gli aiuti, riformare le
istituzioni di Bretton Woods nel senso di una maggiore partecipazione
dei paesi in via di sviluppo (pvs), promuovere l’elaborazione di piani di
sviluppo da parte dei riceventi, controllare l’instabilità dei prezzi dei prodotti di base, favorire le esportazioni del Sud. In particolare, la proposta
di creare una International Development Authority presso le Nazioni Unite, per garantire prestiti agevolati a fini di sviluppo, aprì la strada a un
confronto decennale sui metodi di finanziamento della cooperazione.
2. Il finanziamento della cooperazione allo sviluppo
Oltre che sui programmi di assistenza tecnica, infatti, l’attenzione
dell’Ecosoc e dell’Assemblea generale si concentrò, in quegli stessi anni,
sul problema di come finanziare lo sviluppo dei paesi arretrati20. Questi
ultimi ritenevano infatti che gli strumenti di finanziamento esistenti (investimenti privati, prestiti della Banca Mondiale e prestiti dell’americana
Export/Import Bank) fossero inadeguati a soddisfare le loro necessità di
capitali, perché concessi a condizioni di mercato e indirizzati soprattutto
a progetti destinati a generare profitti. Il sostegno finanziario di cui molti
pvs avevano bisogno, invece, non si adattava a questo tipo di finanzia17
Richard Jolly, Louis Emmerij, Dharam Ghai, Frédéric Lapeyre, UN Contribution to
Development Thinking and Practice, Bloomington, Indiana University Press, 2004, pp.
59-62; Richard Toye, John Toye, How the UN Moved from Full Employment to Economic
Development, “Commonwealth & Comparative Politics”, LXIV, 2006, 1, pp. 24-27.
18
Walt W. Rostow, The Stages of Economic Growth. A Non-Communist Manifesto, New
York, Cambridge University Press, 1960.
19
Per una rassegna degli autori più influenti e delle opera più significative di quegli anni
si vedano Geral M. Meier, Dudley Seers (eds), Pioneers in Development, New York, Oxford University Press for the World Bank, 1984 e Geral M. Meier (ed.), Pioneers in Development. Second Series, New York, Oxford University Press for the World Bank, 1987.
20
Sidney Dell, Economic Activities, in Annual Review of United Nations Affairs 1949,
cit., pp. 208-209.
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menti (ad esempio per la costruzione di infrastrutture di base); essi chiedevano dunque che tali capitali fossero forniti, sotto forma di donazioni e
prestiti agevolati da un’agenzia dell’Onu.
Le richieste in questo senso aumentarono all’inizio dei Cinquanta,
spinte sia dai successi del Piano Marshall, sia dall’importanza che il Programma del Punto Quarto attribuiva all’afflusso di capitali dall’estero.
I pvs insistevano per la creazione di un organismo multilaterale perché ritenevano che esso avrebbe garantito un aumento sostanziale degli
aiuti ed accelerato così la realizzazione dei loro piani di sviluppo. Inoltre,
la nascita di una specifica agenzia dell’Onu avrebbe, da un lato, rafforzato l’Organizzazione e, dall’altro, contribuito ad affermare a livello internazionale il principio secondo cui i paesi industrializzati erano tenuti a
fornire aiuti, istituzionalizzandolo e assicurando così un flusso costante di
finanziamenti21.
A seguito di tali sollecitazioni, l’Ecosoc propose di dar vita a due
nuovi organismi internazionali finalizzati, l’uno, ad agevolare l’afflusso
di capitali privati ai pvs e, l’altro, lo Special UN Fund for Economic Development (Sunfed), ad elargire donazioni e prestiti per specifici progetti
di sviluppo22. In quest’ultima proposta, che si rivelò essere la più controversa, vi era, sebbene ancora in nuce, il tentativo di concentrare le attività
di sviluppo multilaterali in un’unica agenzia dell’Onu, per razionalizzare
le risorse e coordinare in modo più efficace le diverse attività23.
I paesi industrializzati, specie gli Stati Uniti, si opposero, dal momento che il Fondo, così come era stato concepito non garantiva alcun
controllo sull’utilizzo delle risorse, ma implicava la condivisione del potere decisionale sulla loro allocazione sia con i riceventi sia con l’Urss24.
Pur non negando espressamente la possibilità di appoggiare in futuro
la creazione del Sunfed, essi la subordinarono al raggiungimento di risultati nel campo del disarmo. Si trattava, in sostanza, di un rinvio sine die, e
21
Position Paper on General Assembly Resolution to Establish Grant Fund for Economic
Development, May 2, 1952, Frus, 1952-54, vol. I, part 1, Washington, US GPO, 1983, pp.
232-233.
22
Hans Singer, Economic Activities, in Annual Review of United Nations Affairs 1952,
New York, Oceana Publications, 1953, pp. 82-85. Memorandum, Thorp to Secretary of
State, U.S. Role in Executing General Assembly Decision on International Development
Fund, April 22, 1952, Frus, 1952-54, vol. I, part 1, cit., p. 227; United Nations, Report on
a Special United Nations Fund for Economic Development, New York, UN, 1953
(E/2381).
23
Per una ricostruzione delle discussioni che si svolsero su questo tema dal 1949 al 1957
in seno all’Assemblea generale e all’Ecosoc si veda Johan Kaufmann, United Nations
Decision Making, Alphen aan den Rijn, Sijthoff and Noordhoff, 1980, pp. 179-193.
24
Circular airgram, The Acting Secretary of State to Certain Diplomatic Missions, October 6, 1951, Frus, 1951, vol. II, Washington, US GPO, 1979, 30-33; Position Paper on
General Assembly Resolution, cit., pp. 230-233.
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del tentativo di attribuire all’Unione Sovietica la responsabilità del fallimento sia nei piani di disarmo che negli schemi di finanziamento dei
pvs25.
A rendere ancora più difficile la ricerca di un accordo fu la decisione
dell’Unione Sovietica di appoggiare le proposte dei pvs26. Dopo la morte
di Stalin, infatti, Mosca avviò una strategia di avvicinamento dei paesi
del Terzo Mondo che si dispiegò su diversi livelli, in particolare attraverso offerte di aiuto bilaterale27, disponibilità a finanziare l’assistenza multilaterale28 e con l’appoggio alle loro rivendicazioni all’interno delle Nazioni Unite. L’Unione Sovietica mirava a presentarsi come l’alleato naturale dei paesi di nuova indipendenza, con i quali condivideva il rifiuto del
colonialismo, e a questo fine dipingeva l’assistenza economica dell’Occidente come uno strumento neo-imperialista di penetrazione economica. I
leader di molti pvs avrebbero, in seguito, mostrato tutta la loro insofferenza per l’inefficienza e la gestione prettamente politica degli aiuti e degli accordi commerciali da parte di Mosca, ma nella seconda metà degli
anni Cinquanta l’attivismo sovietico nel Terzo Mondo venne accolto da
Washington con molta apprensione, e percepito come un primo segnale
del tentativo di destabilizzare le relazioni economiche dell’Occidente con
i pvs nel contesto dell’accelerazione del processo di decolonizzazione29.
25
Memorandum, Dillon to Dulles, U.S. Counter-Proposal to SUNFED at General Assembly, September 26, 1957, Frus, 1955-57, vol. IX, Washington, US GPO, 1987, p. 425.
26
Si vedano Alvin Z. Rubinstein, The Soviets in International Organizations. Changing
Policy Toward Developing Countries, 1953-1963, Princeton, Princeton University Press,
1964, pp. 91-102. Action Program for Improvement in US Participation in the UN General Assembly, attached to Letter, Wilcox to Lodge, May 4, 1956, Frus, 1955-1957, vol.
XI, Washington, US GPO, 1988, p. 68; Current Economic Developments, Issue No. 483,
December 20, 1955, Frus 1955-57, vol. IX, cit., pp. 359-64.
27
Charles R. Dannehl, Politics, Trade and Development. Soviet Economic Aid to the NonCommunist Third World, 1955-1989, Aldershot, Dartmouth, 1995, pp. 19-20.
28
Alla fine del 1953, il rappresentante sovietico all’Ecosoc annunciò che il suo paese
avrebbe contribuito a finanziare l’Epta. Si trattava di una novità rilevante, dal momento
che l’Urss si era sempre rifiutata di finanziare i programmi di assistenza tecnica dell’Onu
con l’argomento che il sottosviluppo era un prodotto del colonialismo occidentale di cui
l’Unione Sovietica non condivideva le responsabilità. Riteneva inoltre che essi fossero
nient’altro che un’emanazione delle scelte di Washington sulla cooperazione con i pvs.
Robert Loring Allen, United Nations Technical Assistance: Soviet and East European
Participation, “International Organization”, XI, 1957, 4, pp. 615-634.
29
Si vedano, a questo proposito, Department of State, The Sino-Soviet Economic Offensive in the Less Developed Countries, Washington, Department of State Publication n.
6632, 1958; Samuel Pisar, A New Look at Trade Policy Toward the Communist Bloc. The
Elements of a Common Strategy of the West, Washington, US GPO, 1961, p. 33. Cfr. anche Burton I. Kaufman, The United States Response to the Soviet Economic Offensive of
the 1950s, “Diplomatic History”, II, 1978, 2, pp. 153-165, e Bevan Sewell, A Perfect
(Free-Market) World? Economics, the Eisenhower Administration, and the Soviet Economic Offensive in Latin America, “Diplomatic History”, XXXII, 2008, 5, pp. 841-868.
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La risposta degli Stati Uniti prese corpo nella seconda metà degli anni Cinquanta e si espresse nell’aumento degli aiuti bilaterali e in una
maggiore apertura verso le iniziative di sviluppo delle Nazioni Unite30.
In questo quadro, dunque, pur continuando a negare il suo sostegno
al Sunfed, Washington accettò altre proposte, tra le quali la creazione, nel
1955, della International Financial Corporation (Ifc), destinata a favorire
l’afflusso di capitali privati nei pvs31. Creata come branca della Banca
Mondiale, essa forniva le necessarie garanzie circa il controllo delle risorse e, allo stesso tempo, rappresentava, a costi contenuti, un segnale di
interesse degli Stati Uniti verso le necessità di crescita dei paesi poveri32.
Intanto la discussione sul Sunfed andò avanti fino al 1958: il Fondo
era diventato una sorta di simbolo della causa dei pvs all’Onu. Ogni anno
il tema veniva riproposto all’Ecosoc, alla Seconda Commissione
dell’Assemblea generale, spesso alla Fao e in altre agenzie specializzate.
Un compromesso iniziò a delinearsi nel corso del 1956, per prendere
lentamente forma nei mesi successivi, di nuovo come risposta occidentale
alle iniziative sovietiche nel Terzo Mondo33. Furono gli Stati Uniti, alla
fine del 1957, a individuare una possibile soluzione, quando proposero la
creazione di un fondo Onu con funzioni diverse rispetto alle proposte iniziali e con meno fondi a disposizione, da utilizzare per progetti di pre30
Memorandum of Conversation, Underdeveloped Areas and the Sino-Soviet Economic
Offensive, February 6, 1959, Frus 1958-60, vol. IV, Washington, US GPO, 1992, p. 40.
Sul cambiamento della strategia americana alle Nazioni Unite si veda anche Draft Report
Prepared by Bloomfield, Report on Evaluation of Role of US in 10th General Assembly,
February 9, 1956, Frus, 1955-57, vol. XI, cit., pp. 39-61.
31
La decisione di approvare la creazione del Fondo fu presa per ragioni politiche, dal
momento che una parte dell’amministrazione Eisenhower nutriva forti dubbi sulla efficacia delle attività che esso avrebbe potuto svolgere. Se il Dipartimento di Stato era favorevole, erano invece contrari il Tesoro e l’Exim Bank che vedevano nella partecipazione
pubblica a imprese private una negazione del principio della libera concorrenza. Ritenevano inoltre che il problema della scarsità di investimenti nei pvs non risiedesse nella
mancanza di capitali, ma nella incapacità di questi ultimi di attuare le riforme necessarie
ad attirarli. La creazione di un nuovo organismo internazionale avrebbe ulteriormente disincentivato gli investitori privati a cercare i capitali nel mercato e distolto fondi pubblici
da altri programmi di sviluppo. Memorandum, Robinson to Corbett, Eximbank's attitude
toward the IFC, June 11, 1952, Frus 1952-54, vol. I, cit. pp. 255-256; Minutes of the
192nd Meeting of the National Advisory Council on International Monetary and Financial Problems, May 22, 1952, ivi, p. 241; Draft Position Paper Concerning the International Finance Corporation, June 17, 1953, ivi, p. 272; Minutes of the 218th Meeting of the
National Advisory Council on International Monetary and Financial Problems, November 3, 1954, ivi, p. 303.
32
Memorandum, Lodge to State, US position on IFC, October 8, 1954, ivi, p. 295; Memorandum, Waugh to Hoover, U.S. Participation in the International Finance Corporation,
November 2, 1954, ivi, p. 298.
33
Letter, Baker to Wilcox, February 6, 1956, Frus 1955-57, vol. IX, cit., pp. 366-369;
Letter, Dulles to Humphrey, April 16, 1956, ivi, 377-378.
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investimento (rilevamento di risorse naturali, creazione di istituti tecnici e
di centri di ricerca per lo sviluppo industriale). Si trattava di un organismo del tutto diverso da quello che i pvs avevano immaginato, perché le
sue competenze rientravano nell’ambito dell’assistenza tecnica e, soprattutto, perché non avrebbe avuto il potere di elargire prestiti agevolati o
finanziamenti a titolo gratuito. In cambio di un cedimento da parte dei
pvs su questo punto, gli Stati Uniti si dissero pronti a raddoppiare o triplicare i fondi stanziati per l’assistenza tecnica multilaterale34.
Nel dicembre del 1957 vide la luce il Fondo Speciale per l’assistenza
tecnica35, che iniziò le sue attività nel 1959. Esso rappresentò, almeno in
parte, una sconfitta per le richieste dei pvs, che lo accettarono perché
consapevoli che ogni strumento di assistenza economica avrebbe potuto
sopravvivere e funzionare solo grazie ai trasferimenti americani. Alla fine
del 1965, il Fondo Speciale venne fuso con l’Epta per dare vita al Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (Undp), il cui primo amministratore fu l’americano Paul Hoffman36. Al momento della creazione di
Undp che, nella parole di Hoffman, aveva l’ambizione di porre l’Onu “in
the front lines of the global war on want”37, il Fondo Speciale finanziava
522 progetti di pre-investimento nei pvs con un impegno di circa 500 milioni di dollari, un terzo dei quali erano stati spesi in Africa38.
In questo quadro di tentativi volti sia a rispondere alle esigenze dei
pvs sia a “disinnescare” la minaccia sovietica nel Terzo Mondo è possibile inserire anche la proposta, pure essa avanzata dagli Stati Uniti, di creare un organismo internazionale legato alla Banca Mondiale per fornire ai
pvs prestiti a tassi agevolati39. L’International Development Association
nacque nel gennaio del 1960 e aggiunse un nuovo tassello al nascente sistema multilaterale degli aiuti. Per gli Stati Uniti essa rappresentava
34
Cfr. Draft Paper Prepared in the Office of International Financial and Development Affairs, Organization and Substantive Activities of the United Nations Special Fund, February 27, 1958, Frus, 1958-1960, vol. IV, cit., 299-301; Ronald A. Manzer, The United Nations Special Fund, “International Organization”, XVIII, 1964, 4, pp. 766-789.
35
A/RES/1219(XII), Financing of economic development, 14 December 1957; Dispatch,
USUN to State, New UN Special Fund, December 20, 1957, Frus 1955-57, vol. IX, cit.,
pp. 442-50.
36
Alan R. Raucher, Paul G. Hoffman. Architect of Foreign Aid, Lexington, University
Press of Kentucky, 1985, pp. 133-154.
37
Undp, Report of the Governing Council, 1st session, 10-21 January 1966, Ecosoc Official Records, 41st session, supplement n. 11, New York, UN, 1966 (E/4150), p. 7.
38
In particolare, con il sostegno del Fondo Speciale, l’Onu aveva creato 171 istituti di
formazione in più di sessanta paesi, che avevano formato più di sessantamila persone, e
circa ottanta centri di ricerca. Aveva reclutato più di tremila esperti, di diverse nazionalità,
solo per le attività del Fondo Speciale, e fornito circa cento milioni di dollari in servizi e
attrezzature. Ivi, pp. 7-8.
39
Memorandum of Conversation, Herter-Monroney, Mutual Security Program, January
22, 1958, Frus, 1958-1960, vol. IV, cit., pp. 294-295, e Memorandum, Anderson to Eisenhower, International Development Association, December 3, 1959, ivi, pp. 259-360.
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“l’unico reale ed efficace contraltare all’attività dell’Onu in questo campo
[…] e anche un utile strumento per arginare in qualche modo le richieste
di soft loans avanzate dai paesi in via di sviluppo”40.
La nascita dell’Ida segnalava il riconoscimento, da parte della comunità dei donatori, della necessità di colmare un vuoto nel sistema internazionale di trasferimento di risorse al Terzo Mondo41; ma si decise di nuovo di escludere le Nazioni Unite e di operare attraverso la Banca Mondiale, dove il voto ponderato e l’assenza dell’Urss rassicuravano i donatori
sull’utilizzo delle risorse.
Con la nascita dell’Ida all’inizio degli anni Sessanta la “divisione del
lavoro” immaginata dagli Stati Uniti nel campo dello sviluppo venne pienamente realizzata: l’assistenza tecnica poteva essere affidata all’Onu e
alle sua Agenzie specializzate, mentre il controllo delle risorse finanziarie
doveva necessariamente essere assicurato nelle strutture della Banca
Mondiale42.
Nel corso degli anni Sessanta il volto dell’Organizzazione mutò, come conseguenza dell’intensificarsi del processo di decolonizzazione e
dell’ammissione di numerosi paesi in via di sviluppo, che portarono in
essa le loro istanze, ne fecero un forum di discussione dei loro problemi
di sviluppo e stimolarono su questi ultimi un’attenzione nuova. Le
espressioni più note e forse più emblematiche di tali mutamenti furono la
Dichiarazione sulla concessione dell’indipendenza ai paesi e ai popoli coloniali43 e la risoluzione 1710 del 1961 che, su iniziativa degli Stati Uniti,
dichiarava gli anni Sessanta “Decennio per lo sviluppo”44. Quest’ultima
iniziativa nacque all’interno del Dipartimento di Stato all’inizio degli anni Sessanta, nel contesto della revisione del programma di aiuti statunitense45 e va collocata nel quadro teorico della modernizzazione, da cui
tale programma attingeva aspirazioni e obiettivi. Nel momento in cui gli
40
Memorandum of Conversation, MacMillan-Anderson, International Development Association, March 23, 1959, Frus, 1958-1960, vol. IV, cit. p. 322.
41
Hans W. Singer, Significant Recent Trends in the Economic Work of the United Nations, in Annual Review of United Nations Affairs, 1960-61, New York, Oceana Publications, 1962, p. 7.
42
Kunibert Raffer, Hans W. Singer, The Economic North-South Divide. Six Decades of
Unequal Development, Cheltenham, Edward Elgar, 2001, pp. 6-7.
43
A/RES/1514(XV), Declaration on the granting of independence to colonial countries
and peoples, 14 December 1960.
44
A/RES/1710(XVI), United Nations Development Decade: a programme for international economic co-operation (I), 19 December 1961.
45
Position Paper, United States Economic and Social Initiative at the 16th Session of the
General Assembly. Organization of United Nations Development Decade, Sep. 19, 1961,
Record Group [d’ora in avanti RG] 59, Lot 67D548, Records of the Policy Planning Staff,
1957-1961, b. 115, 2, National Archives and Records Administration, College Park [d’ora
in avanti Nara].
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LORELLA TOSONE
Stati Uniti rilanciavano la loro politica di cooperazione nel Terzo Mondo
la proposta rappresentò, da una parte, un modo per rendere più credibile
l’impegno di Washington, “identificando gli obiettivi americani con le
aspirazioni dei paesi in via di sviluppo attraverso iniziative costruttive in
un’area di loro interesse”46, e dall’altra, uno degli strumenti che vennero
utilizzati per coinvolgere gli europei in uno sforzo multilaterale in favore
dei pvs e far loro riconoscere la necessità di un fair sharing nelle spese
per l’assistenza (oltre che in quelle militari)47. Secondo il Dipartimento di
Stato, inoltre, vi erano valide argomentazioni economiche che permettevano di immaginare uno sforzo economico dell’Occidente solo decennale48. I “portatori di modernità” dell’amministrazione Kennedy (Walt Rostow in particolare), ritenevano infatti che buona parte dei paesi del Terzo
Mondo, grazie all’infusione di capitali e know how dall’esterno, avrebbe
completato la fase del take off entro il 1970. A quel punto, pur continuando probabilmente a rimanere paesi poveri, essi avrebbero potuto attingere, per lo loro esigenze, ai normali canali internazionali di finanziamento.
Quindi, era proprio negli anni Sessanta che si sarebbe raggiunto “the
peak historical requirement for special external aid”49. La proposta fu
presentata da Kennedy stesso all’Assemblea generale nel settembre 1961
e approvata nel dicembre successivo50. In termini piuttosto generici, la
risoluzione chiedeva ai paesi industrializzati di attuare una serie di misure
finalizzate alla diminuzione del divario dei livelli di vita fra il Nord e il
Sud del mondo, di accelerare la modernizzazione dei pvs e di fornire più
aiuti, con l’obiettivo di portare il Pil di questi paesi a una crescita del 5%
all’anno entro il 1970.
Pur avendo carattere retorico e intenti anche propagandistici, la risoluzione riuscì ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica internaziona46
Usaid, FY 62-63 Program Guidance, October 1961, RG 286, Office of the Director, b.
3,Nara. Memorandum, Cleveland to Ball, Organization of the UN Development Decade,
September 30, 1961, RG 59, Lot 67D548, Records of the Policy Planning Staff, 19571961, b. 115, 2, Nara.
47
Memorandum, Rostow to Kennedy, The Strategy of Foreign Aid, 1961, December 17,
1960, National Security Files [d’ora in avanti Nsf], b. 297, f. “Foreign Aid, 1961”, John
F. Kennedy Library, Boston [d’ora in avanti Jfkl].
48
In realtà nel 1990 l’Assemblea Generale lanciò la strategia per il quarto decennio per lo
sviluppo. Si veda A/RES/45/199, International Development Strategy for the Fourth
United Nations Development Decade, 21 December 1990.
49
Memorandum, Rostow to Kennedy, The Idea of an Economic Development Decade,
March 2, 1961, President’s Office Files, b. 64A, f. “March-May 1961”, Jfkl; Memorandum, W.W. Rostow, The Strategy of Foreign Aid, March 7, 1961, Nsf, b. 297, f.
“Dec.1960-Feb.1961”, Jfkl.
50
Address in New York City Before the General Assembly of the United Nations, September 25, 1961, in disponibile in The American Presidency Project, <www.presidency.ucsb.edu> (ultima consultazione: gennaio 2017); A/RES/1710(XVI), United Nations
Development Decade: a programme for international economic co-operation, December
19, 1961.
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le sui problemi economici delle aree arretrate e a riaffermare la responsabilità della comunità internazionale in questo campo.
In questo clima, nel corso degli anni Sessanta, sotto la spinta crescente di richieste di assistenza, le politiche di cooperazione si istituzionalizzarono sia a livello nazionale, con la creazione di diverse agenzie e
ministeri per la cooperazione, sia a livello internazionale, con la nascita
di diversi organismi impegnati, a vario modo, a rispondere ai diversi
aspetti dei problemi di sviluppo che si presentavano a mano a mano che i
paesi di nuova indipendenza si trovavano di fronte alla necessità di costruire le economie dei loro nuovi stati. All’interno del sistema dell’Onu,
videro la luce, in questo periodo, accanto a Undp, l’Organizzazione per lo
sviluppo industriale (Unido, 1966), il Programma alimentare mondiale
(Pam, 1963), il Fondo Onu per la popolazione (Unfpa, 1969) e la Conferenza delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo (Unctad,
1964)51.
Allo stesso tempo, iniziarono ad affermarsi interpretazioni diverse
delle cause del sottosviluppo, che mettevano in discussione, da una prospettiva dipendentista, gli approcci precedenti e che acquisirono maggiore forza negli anni Settanta. Il Movimento dei non allineati, sulla scorta
degli studi condotti dalla Commissione Economica per l’America Latina,
introdussero in diversi forum delle Nazioni Unite la riflessione sul ruolo
del commercio internazionale come fattore di sviluppo, o causa del mancato sviluppo degli stati. Si avviò così il processo che porterà le Nazioni
Unite a occuparsi anche delle questioni relative al commercio internazionale e alle sue regole, con la convocazione nel 1964 della prima Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo. In essa i paesi in
via di sviluppo, che negoziarono in blocco come Gruppo dei 77, tentarono di trattare con quelli industrializzati su questioni che ritenevano fossero al centro dei loro problemi di sviluppo: la creazione di meccanismi di
stabilizzazione dei prezzi delle materie prime e di finanziamento compensativo; il superamento delle regole del Gatt con la concessione di pre-
51
Sulle attività di Undp si vedano, in particolare, Murphy, The United Nations Development Programme, cit. e Stephen Browne, The United Nations Development Programme
and System, London and New York, Routledge, 2011. Sulle diverse agenzie si vedano
Daniel A. Holly, L’ONUDI: l’Organisation des Nations Unies pour le Développement
Industriel, 1967-1995, Paris, L’Harmattan, 1999; Stephen Browne, United Nations Industrial Development Organization. Industrial Solutions for a Sustainable Future, London
and New York, Routledge, 2012; John D. Shaw, The UN World Food Programme and the
Development of Food Aid, New York, Palgrave, 2001; United Nations, History of Unctad,
1964-1984, New York, United Nations, 1985; Unctad, Beyond Conventional Wisdom in
Development Policy: An Intellectual History of UNCTAD 1964-2004, Geneva, United
Nations, 2004; Ian Taylor, Karen Smith, The United Nations Conference on Trade and
Development, London and New York, Routledge, 2012.
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ferenze tariffarie ai manufatti dei paesi in via di sviluppo; l’aumento degli
aiuti; la ristrutturazione del debito52.
3. Mutevoli paradigmi, paradigmi alternativi
Alla fine degli anni Sessanta, cominciarono a evidenziarsi i limiti
delle politiche di cooperazione portate avanti fino a quel momento, messi
in luce dalle performance economiche di molti stati: l’assistenza multilaterale era ancora una parte minoritaria del totale dell’Aiuto pubblico allo
sviluppo e quasi nessun paese aveva mantenuto l’impegno assunto
all’Onu e al Dac di fornire in aiuto lo 0,7% del Pil; il peso del debito sui
bilanci dei riceventi iniziava a farsi sentire e aveva l’effetto di diminuire
gli afflussi netti di aiuto; si evidenziavano le questioni distributive, dal
momento che anche in paesi che stavano crescendo abbastanza rapidamente persistevano alti livelli di disoccupazione e povertà.
La consapevolezza di tali limiti spinse verso un graduale ripensamento e ampliamento del concetto di sviluppo. Da una parte, le Nazioni
Unite promossero una serie di conferenze internazionali che misero in luce le relazioni fra crescita economica e diversi aspetti dei processi di sviluppo che fino a quel momento erano stati trascurati: la tutela
dell’ambiente (Conferenza di Stoccolma, 1972), la sicurezza alimentare
(Conferenza di Roma, 1974), i problemi della popolazione (Conferenza
di Bucarest, 1974), le discriminazioni di genere (Conferenza di Città del
Messico, 1975), l’occupazione (Conferenza di Ginevra, 1976). Dall’altra,
crebbe l’attenzione per la dimensione sociale: si sottolineò l’importanza
degli investimenti nel capitale umano, fondamentale in ogni progetto di
modernizzazione, e progressivamente fu messa da parte l’idea che la crescita del Pil potesse, da sola, dare la misura dello sviluppo di ogni paese.
Le strategie che emersero nel corso degli anni Settanta furono incentrate
52
Le proposte avanzate dai pvs alla Conferenza sono contenute in Towards a New Trade
Policy for Development, Report by the Secretary General of the United Nations Conference on Trade and Development, E/CONF.46/3, in Proceedings of the United Nations
Conference on Trade and Development, vol. II, New York, United Nations, 1964, pp. 364. Sull’Unctad si veda Richard Toye, John Toye, The UN and Global Political Economy: Trade, Finance, and Development, Bloomingotn, Indiana University Press, 2004. Per
le posizioni italiane rimando al mio Trade and aid. L’Italia alla Conferenza delle Nazioni
Unite sul Commercio e lo Sviluppo (1964-1972), in Luciano Tosi (a cura di), In dialogo.
La diplomazia multilaterale italiana negli anni delle guerra fredda, Padova, Cedam,
2013, pp. 227-260.
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31
sui temi dell’occupazione, della redistribuzione del reddito fra gli strati
più poveri della popolazione, della lotta alla povertà53.
Dal lavoro dell’Oil, ad esempio, emerse la strategia cosiddetta della
Redistribution with Growth, la cui tesi principale era che la riduzione della povertà e della disuguaglianza dei redditi poteva essere ottenuta attraverso il trasferimento di una parte dell’incremento annuale del Pil in favore degli strati più poveri della popolazione54. La Banca Mondiale promosse queste strategia, sottolineando l’importanza degli investimenti sul
capitale umano e attuando politiche dirette all’alleviamento della povertà.
Con la presidenza di Robert MacNamara, la Banca individuò nella lotta
alla povertà uno dei suoi principali obiettivi, e i suoi prestiti – che aumentarono in numero e consistenza – si rivolsero sempre di più verso progetti
destinati a migliorare le condizioni di vita degli strati più poveri della popolazione, nel settore agricolo, sanitario e dei servizi sociali55.
L’altro importante approccio che emerse nel corso degli anni Settanta, anch’esso risultato, almeno in parte, del lavoro dell’Oil nel contesto
del World Employment Programme avviato nel 1969, fu quello cosiddetto dei “bisogni fondamentali”, secondo il quale per avviare ogni processo
di sviluppo occorreva partire dal lavoro e dal soddisfacimento dei bisogni
essenziali delle persone, in particolare dei più poveri. In realtà, dai diversi
studi riconducibili a questo approccio non emerse una descrizione chiara
di quali fossero i bisogni da considerare “fondamentali” né degli elementi
che avrebbero dovuto essere inclusi nelle strategie miranti a soddisfarli.
In sintesi, si può affermare che l’individuazione di tali bisogni non si
fermava solo a riconoscere l’essenzialità di nutrimento, riparo e condizioni igieniche adeguate, ma prendeva in considerazione anche altri fattori, ritenuti ugualmente centrali, tra i quali l’accesso all’istruzione, a un
lavoro remunerativo e il diritto alla partecipazione politica attiva. Si indicava, cioè, la necessità di realizzare politiche di sviluppo che tenessero
conto anche del contesto politico e della condizione dei diritti umani56.
53
Heinz W. Arndt, Lo sviluppo economico, Bologna, il Mulino, 1990, pp. 127-156 (ed.
originale: Economic Development. The History of an Idea, London, University of Chicago
Press, 1987).
54
Jolly, Emmerij, Ghai, Lapeyre, UN Contribution to Development Thinking and Practice, cit., pp. 112-113.
55
Hollis Chenery, Montek S. Ahluwalia, C. L.G. Bell, John Duloy, Richard Jolly, Redistribution with Growth: Policies to Improve Income Distribution in Developing Countries
in the Context of Economic Growth, London, Oxford University Press, 1974. Michele
Alacevich, Between Conservation and Innovation: The World Bank and the Modification
of the Development Concept, 1946-1981, “Istituzioni e Sviluppo Economico”, II, 2004, 2,
pp. 93-116
56
Nel 1976, il Programma di azione approvato alla World Employment Conference
dell’Oil definiva così i bisogni fondamentali: “Basic needs, as understood in this Programme of Action, include two elements. First, they include certain minimum require-
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L’approccio dei bisogni fondamentali, con le diverse strategie politiche
ed economiche proposte, in gran parte incentrate sulla redistribuzione
della ricchezza, ebbe una grande diffusione, nel corso del decennio, nel
mondo accademico e nelle organizzazioni internazionali, e servì ad attirare l’attenzione sulle condizioni di povertà in cui molti ancora vivevano
negli anni del Secondo decennio dell’Onu per lo sviluppo. Esso non si
tradusse però in politiche specifiche, nemmeno nei paesi del Terzo Mondo, che considerarono la strategia dei bisogni fondamentali un tentativo
di distogliere attenzione e risorse da questioni che ritenevano più importanti per il loro sviluppo, come la ricerca di una maggiore stabilità dei
prezzi delle materie prime, migliori condizioni per gli aiuti o la definizione di nuove regole del commercio internazionale.
Gli anni Settanta furono infatti anche anni di scontro duro su questi
temi. Nel contesto della crisi del sistema di Bretton Woods e di quella petrolifera, il Gruppo dei 77 cercò di definire, attraverso le Nazioni Unite,
in particolare all’Unctad, e con l’arma del petrolio, i principi di un Nuovo
ordine economico internazionale57, con l’obiettivo di modificare le regole
dell’economia e del commercio internazionali, di assicurare una maggiore voce ai paesi in via di sviluppo nelle istituzioni dove quelle regole si
definivano, e per realizzare così una redistribuzione della ricchezza a livello globale. Tale approccio venne naturalmente osteggiato dai paesi industrializzati; nel volgere di pochi anni gli argomenti su cui si fondavano
le rivendicazioni del Noei persero forza, mentre il cosiddetto dialogo
Nord-Sud si chiuse all’inizio degli anni Ottanta senza risultati, sopraffatto
da una nuova crisi economica, dall’affermarsi nei paesi industrializzati, di
ments of a family for private consumption: adequate food, shelter and clothing, as well as
certain household equipment and furniture. Second, they include essential services provided by and for the community at large, such as safe drinking water, sanitation, public
transport and health, educational and cultural facilities. A basic-needs-oriented policy implies the participation of the people in making the decisions which affect them through
organisations of their own choice. […] It is important to recognise that the concept of
basic needs is a country-specific and dynamic concept. The concept of basic needs should
be placed within a context of a nation's over-all economic and social development. In no
circumstances should it be taken to mean merely the minimum necessary for subsistence;
it should be placed within a context of national independence, the dignity of individuals
and peoples and their freedom to chart their destiny without hindrance”. Declaration of
Principles and Programme of Action adopted by the Tripartite World Conference on Employment, Income Distribution and Social Progress and the International Division of Labour, GENEVA, 4-17 June 1976 (WEC/CW/E.l).
57
Cfr. Risoluzioni dell’Assemblea Generale 3201 (S-VI), Declaration on the Establishment of a New International Economic Order e 3202 (S-VI), Programme of Action on the
Establishment of a New International Economic Order, 1 May 1974; Ris. 3281 (XXIX),
Charter of Economic Rights and Duties of States, 12 December 1974.
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politiche economiche di stampo neoliberista e dalle crescenti divisioni
all’interno del Gruppo dei 7758.
Gli anni Ottanta e la crisi del debito che li caratterizzò hanno rappresentato infatti uno spartiacque nell’atteggiamento della comunità internazionale verso le politiche di cooperazione e il momento di maggiore crisi
nella capacità dell’Onu di definirle e influenzarle. La crisi venne gestita
dalle istituzioni finanziarie internazionali e dai paesi creditori attraverso i
noti programmi di aggiustamento strutturale, incentrati sul riequilibrio dei
bilanci nazionali dei debitori, unica strada, si spiegava, per creare basi solide per la crescita. Furono anni di stallo per la cooperazione allo sviluppo internazionale, una “lost development decade”, in cui parve che il
mercato, non la pianificazione, potesse risolvere tutti i problemi di crescita e modernizzazione.
Le Nazioni Unite non furono in grado di proporre soluzioni alternative al problema del debito, che salvaguardassero la dimensione sociale
dello sviluppo sulla quale esse stesse avevano messo l’accento, e
all’Assemblea generale non vi fu alcuna discussione sulla questione fino
al 1986, quando si arrivò all’approvazione della prima di una lunga,
quanto inefficace, serie di risoluzioni sul tema59, che si limitarono a sottolineare i costi sociali dell’aggiustamento strutturale.
Nel corso degli anni Novanta, l’approccio alle politiche di sviluppo,
sia da parte dei governi che delle organizzazioni internazionali, subì nuovi cambiamenti, dettati sia dall’impatto delle trasformazioni del sistema
internazionale – la fine della guerra fredda e l’intensificarsi del processo
di globalizzazione dell’economia – sia dalla reazione alle politiche degli
anni Ottanta.
La fine del blocco sovietico portò, in primo luogo, a mettere in discussione anche il poco che era rimasto delle teorie dello sviluppo che
proponevano un ruolo attivo dello stato nella programmazione
dell’economia e nella guida dei processi di crescita. I fallimenti
dell’economia pianificata nei paesi dell’ex Unione Sovietica e in Europa
Orientale, d’altra parte, parevano un’ulteriore conferma della validità del
Washington consensus. La fine della guerra fredda erose poi l’influenza,
58
Per un analisi delle diverse interpretazioni del Noei si rimanda a Craig N. Murphy,
What the Third World Wants: an Interpretation of the Development and Meaning of the
New International Economic Order Ideology, “International Studies Quarterly”, 27, 1983,
1, pp. 55-76. Per una rilettura recente del confronto Nord-Sud degli anni Settanta si veda
il numero monografico della rivista “Humanity: An International Journal of Human
Rights, Humanitarianism and Development”, 6, 2015, 1. Cfr. anche, nella stessa rivista,
Vanessa Ogle, State Rights against Private Capital: The ‘‘New International Economic
Order’’ and the Struggle over Aid, Trade, and Foreign Investment, 1962-1981, 5, 2014,
2, pp. 211-234.
59
Cfr. A/RES/41/202, Strengthened international economic co-operation aimed at resolving external debt problems of developing countries, 8 December 1986.
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peraltro già declinante, dei paesi del Terzo Mondo sulla scena internazionale: vennero infatti meno le ragioni strategiche e politiche per le quali
spesso gli aiuti erano stati concessi. Con il crollo dell’Urss, non vi era più
spazio per un confronto fra modelli di sviluppo o per la definizione di
sfere di influenza secondo i vecchi schemi bipolari. Tali cambiamenti finirono per accentuare il trend già discendente dei flussi di aiuto internazionale, tradendo le speranze di coloro che speravano che la fine della
corsa agli armamenti e gli accordi di disarmo avrebbero permesso finalmente di liberare risorse da investire nella crescita dei paesi del Sud del
mondo.
In secondo luogo, l’intensificarsi del processo di globalizzazione
economica rappresentò per alcuni paesi l’opportunità di aumentare il ritmo della loro crescita, mentre per altri fu un fattore di ulteriore aggravamento delle loro condizioni economiche. Nel corso degli anni Ottanta e
Novanta le disuguaglianze di reddito, aspettativa di vita e livelli di istruzione fra i paesi più ricchi e quelli più poveri divennero più marcate60 e
all’elenco dei paesi in gravi difficoltà si aggiunsero i paesi dell’Europa
Orientale e le repubbliche ex sovietiche che, nonostante gli interventi delle istituzioni finanziarie internazionali, non vedevano migliorare le loro
condizioni.
L’aumento della povertà fece sorgere numerosi dubbi sull’efficacia
delle politiche neoliberiste di promozione della crescita economica e portò, nel corso del decennio, al riemergere dell’interesse per la dimensione
sociale dei processi di sviluppo, che tornò al centro del dibattito internazionale sugli aiuti.
La novità più importante da registrare nell’ambito delle attività
dell’Onu all’inizio degli anni Novanta fu la pubblicazione, da parte di
Undp del primo Rapporto sullo sviluppo umano, nel 199061, che rappresentò la più articolata riflessione di quegli anni sul significato profondo
dei processi di sviluppo e sul modo di approcciarli. Il Rapporto aveva infatti l’ambizione di definire un quadro interpretativo più ampio dei problemi di sviluppo, riprendendo le riflessioni e le esperienze degli anni
Settanta e ricollocandole in un quadro coerente che, accanto agli strumenti di analisi e di misurazione della crescita, contenesse anche una serie
proposte politiche. Il Rapporto ridefiniva gli obiettivi dello sviluppo, spostava l’attenzione dalla contabilità sul reddito nazionale a politiche incentrate sulle persone e riportava, dunque, l’individuo al centro della riflessione economica62.
60
Si veda World Development Report 2006: Equity and Development, Washington, The
World Bank and Oxford University Press, 2005, pp. 55-69.
61
Undp, Human Development Report 1990, New York, Oxford University Press, 1990.
62
Sull’approccio dello sviluppo umano si vedano, tra gli altri, Sakiko Fukuda-Parr, A.K.
Shiva Kumar (eds), Readings in Human Development. Concepts, Measures and Policies
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Il prima Rapporto sullo sviluppo umano fu il frutto di una proposta
avanzata all’Undp dall’economista pakistano Mabub ul Haq, che si avvalse della collaborazione di altri economisti di fama mondiale, il più noto tra i quali è Amartya Sen, premio Nobel per l’economia nel 1998, il
cui lavoro fornì le fondamenta concettuali per l’elaborazione di quello
che si presentava come un nuovo paradigma dello sviluppo. L’idea di Sen
dello sviluppo umano come processo di allargamento delle capacità di
scelta delle persone è ripresa nel Rapporto del 1990 che si apre così:
This Report is about people – and about how development enlarges their
choices. It is about more than Gnp growth, more than income and wealth
and more than producing commodities and accumulating capital. A person’s access to income may be one of the choices, but it is not the sum total of human endeavour. Human development is a process of enlarging
people’s choices63.
Come ammise lo stesso Ul Haq, si trattò in qualche modo di “riscoprire l’ovvio”:
people are both the means and the end of economic development. Often,
this simple truth gets obscured because we are used to talking in abstractions, in aggregate, in numbers. Human beings, fortunately too stubborn
to lend themselves to becoming a mere abstraction, are conveniently forgotten64.
I Rapporti sullo sviluppo umano pubblicati fino a oggi hanno avuto
una grande diffusione e hanno influenzato molto la ricerca, a livello internazionale, di nuove strategie di cooperazione, tanto che tutte le Agenzie Onu, i governi e le Ong che operano nel settore hanno fatto riferimento, nel disegnare i propri interventi, all’uno o all’altro aspetto
dell’approccio dello sviluppo umano. È anche grazie a esso che oggi la
comunità internazionale si confronta con un concetto di sviluppo “a più
dimensioni”, che costantemente ricorda che la crescita del Pil non porta
automaticamente a condizioni di sviluppo, anche se da essa quest’ultimo
for a Development Paradigm, New Delhi, Oxford University Press, 2003; Sakiko Fukuda-Parr, Theory and Policy in International Development: Human Development and Capability Approach and the Millennium Development Goals, “International Studies Review”, XIII, 2011, pp. 122-132; Jean-Philippe Thérien, The United Nations and Human
Development: From Ideology to Global Policies, “Global Policy”, III, 2012, 1, pp. 1-12.
Per una rilettura critica si veda Paul Cammack, The UNDP, the World Bank and Human
Development through the World Market, “Development Policy Review”, XXXV, 2017, 1,
pp. 3-21.
63
Human Development Report 1990, cit., p. 1.
64
Mahbub ul Haq, Reflections on Human Development, New York, Oxford University
Press, 1995, p. 3.
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LORELLA TOSONE
non può prescindere; che ogni strategia di sviluppo deve tener conto dei
bisogni degli individui, ma anche di quelli delle generazioni future,
creando modelli di crescita che rispettino la necessità di rigenerare le risorse naturali; che nessuna seria discussione sullo sviluppo può prescindere dal considerare il tema della parità di genere. Tuttavia, l’impatto
dell’approccio dello sviluppo umano nella pratica della cooperazione è
stato finora piuttosto limitato, anche a causa della sua complessità. Il lavoro delle Nazioni Unite e delle Agenzie specializzate, pur facendo costante riferimento a esso, è invece sfociato nella definizione degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, dai quali sono rimasti però esclusi vari
importanti aspetti dei processi di sviluppo, quali l’attenzione per le libertà
politiche, la ridistribuzione delle risorse, la disuguaglianza di reddito, i
diritti del lavoro65. Nel 2015, a essi è seguita l’altrettanto ampia strategia
legata ai Sustainable Development Goals, da realizzarsi entro il 203066.
All’ampliamento del concetto di sviluppo hanno contribuito, nel corso degli anni Novanta, anche le numerose conferenze internazionali svoltesi sotto l’egida dell’Onu in cui vennero discussi alcuni dei problemi sociali ed economici più critici, e che videro un’ampia partecipazione delle
Ong, divenute sempre più transnazionali e competenti a discutere con i
governi i problemi dei pvs da diverse prospettive. Tali conferenze hanno
contribuito a far emergere la parziale inadeguatezza delle soluzioni proposte fino a quel momento e hanno fornito un quadro generale degli
obiettivi e delle strategie su cui impostare le successive politiche di cooperazione67.
65
Ashwani Saith, From Universal Values to Millennium Development Goals: Lost in
Translation, “Development and Change”, 37, 2006, 6, pp. 1167–1199.
66
A/Res/70/1, Transforming our world: The 2030 Agenda for Sustainable Development,
25 September 2015
67
Nel settembre del 1990 si tenne a New York il World Summit for Children che si concluse con la firma della Dichiarazione sulla protezione e lo sviluppo dei bambini, e che
portò successivamente alla firma della Convenzione sui diritti del Fanciullo. Nel 1992, si
svolse a Rio la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo. Nel luglio del
1993 si riunì a Vienna la Conferenza mondiale sui diritti umani. Nell’aprile-maggio del
1994 la Conferenza globale delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile di Small Island
Developing States, che si tenne alle Barbados, considerò, come parte del follow up della
conferenza di Rio, il problema della crescita dei livelli del mare causato dal surriscaldamento globale. Nel 1994 la Conferenza internazionale delle Nazioni Unite su popolazione
e sviluppo venne convocata al Cairo. Nel marzo del 1995 si tenne a Copenhagen il Summit delle Nazioni Unite per lo sviluppo sociale. Nel settembre del 1995 la Quarta Conferenza mondiale sulle donne di Pechino adottò la dichiarazione di Pechino e una piattaforma di azione per “l’uguaglianza, lo sviluppo e la pace”. Nel novembre del 1996 si riunì a
Roma la Conferenza mondiale sull’alimentazione che adottò un piano di azione globale
per la sicurezza alimentare. Michael G. Schechter, United Nations Global Conferences,
New York, Routledge, 2005.
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LA COOPERAZIONE MULTILATERALE ALLO SVILUPPO
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Considerazioni conclusive
Oggi le attività di sviluppo, incluse quelle umanitarie, impegnano più
della metà delle risorse umane e finanziarie dell’organizzazione68 e ogni
organismo interpreta le sue funzioni anche attraverso la lente delle necessità di sviluppo dei paesi del Sud del mondo. Le Agenzie specializzate, i
Fondi e i Programmi delle Nazioni Unite che operano oggi, a vario titolo
e con diverse competenze, nel campo della cooperazione per lo sviluppo
sono circa una trentina e le loro attività si svolgono attraverso il lavoro,
debolmente coordinato, di una serie di commissioni, gruppi di lavoro, e
comitati.
Il neo eletto Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, nel suo primo discorso all’Assemblea generale ha recentemente riportato l’attenzione sul tema delle disuguaglianze economiche fra gli stati
e all’interno di essi e ha dedicato gran parte del suo intervento alla riforma dell’organizzazione, e in particolare a quella del sistema di sviluppo:
[…] we will reposition development at the centre of our work, and engage
in a comprehensive reform of the United Nations development system, at
Headquarters and country levels. This must involve leadership, coordination, delivery and accountability69.
Si tratta, in effetti, dell’ennesimo richiamo alla necessità di cambiamenti nel funzionamento di un sistema che, nato da un approccio funzionalista, nel corso degli anni è divenuto sempre più complesso. I problemi
più pressanti appaiono oggi legati alla mancanza di un coordinamento efficace fra i diversi organi e agenzie che si occupano a vario titolo di assistenza tecnica e alla conseguente eccessiva competizione fra le agenzie
per risorse sempre più scarse70 .
68
Murphy, Evolution of the UN Development System, cit., pp. 34-35. Il finanziamento
delle attività di sviluppo, incluse quelle umanitarie, nel 2015 ha rappresentato il 60% del
budget destinato alle attività dell’intero sistema, contro il 20% del peacekeeping. Report
of the Secretary-General, Implementation of General Assembly resolution 67/226 on the
quadrennial comprehensive policy review of operational activities for development of the
United Nations system: funding analysis, 28 December 2016 (A/72/61–E/2017/4), p. 3.
69
Secretary-General-designate António Guterres’ remarks to the General Assembly on
taking the oath of office, 12 December 2016.
70
Tali problemi erano già stati individuati alla fine degli anni Sessanta dal cosiddetto Capacity Study, un rapporto sulla razionalizzazione delle attività del sistema di sviluppo delle Nazioni Unite, commissionato da Undp a sir Robert Jackson e pubblicato nel 1969, con
il titolo A Study of the Capacity of the United Nations Development System, Geneva, United Nations, 1969, 2 voll. (DP/5). A esso non seguì alcuna riforma coerente; seguirono
invece altri rapporti e altri tentativi di riforma, l’ultimo dei quali è stato avviato da Kofi
Annan. Per una breve sintesi su questo tema mi permetto di rimandare al mio Il sistema di
sviluppo delle Nazioni Unite: una prospettiva storica fra crisi e riforma, in Marco Mu-
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LORELLA TOSONE
Un altro elemento che rischia di limitare l’efficacia della cooperazione multilaterale riguarda il cambiamento che si è registrato negli ultimi anni nella natura dei finanziamenti all’Onu da parte dei paesi donatori71. Dal 2000 al 2015, infatti, essi sono più che raddoppiati in termini
reali, ma ad essere aumentati sono soprattutto i fondi che i donatori riservano espressamente a paesi, progetti o settori specifici (le cosiddette noncore resources)72. Tale tendenza, cui ha contribuito anche l’enfasi data
dalla comunità internazionale all’impegno a raggiungere obiettivi settoriali, non favorisce l’efficienza complessiva del sistema (l’utilizzo di tali
fondi a volte fa crescere i costi di gestione dei progetti), aumenta la
frammentazione degli interventi, distorce le priorità stabilite dalle diverse
agenzie e dagli organi delle Nazioni Unite, limitandone il potere decisionale73.
I segnali di un rinnovato interesse per interventi bilaterali nella cooperazione internazionale sono confermati anche dall’azione di nuovi donatori o “donatori non Dac” (i Brics, ma non solo), portatori di valori e
modelli di sviluppo diversi rispetto a quelli proposti tradizionalmente
dall’Occidente. Essi avanzano infatti una interpretazione peculiare degli
aiuti, dettata dalle loro proprie esperienze di sviluppo, e una lettura diversa del ruolo del commercio, degli investimenti pubblici e di quelli privati
nei piani di cooperazione bilaterale74. Con le loro attività, dunque, mettono in discussione i principi e gli strumenti della cooperazione che sono
gnaini (a cura di), 70 anni di storia dell’Onu. 60 anni di Italia all’Onu, Milano, FrancoAngeli, 2017, pp. 197-213.
71
Bruce Jenks, Financing the UN development System and the future of multilateralism,
“Third World Quarterly”, XXV, 2014, 10, pp. 1809-1828.
72
Questo trend è iniziato all’inizio degli anni Novanta e si è successivamente intensificato, tanto che nel 2015 le Nazioni Unite hanno ricevuto il 71% di tutto il loro finanziamento per attività di sviluppo sotto forma di risorse non-core, con un significativo aumento
rispetto 1998, quando esse rappresentavano il 51% del totale. Si veda Report of the Secretary General, Implementation of General Assembly Resolution 67/226 on the quadrennial
comprehensive policy review of operational activities for development of the United Nations system (QCPR): 2015, 13 January 2015 (A/70/62 E/2015/4), pp. 8-10 e Implementation of General Assembly resolution 67/226, 28 December 2016, cit., p. 16.
73
Scrive il Segretario generale nel suo ultimo rapporto: “The growing imbalance between
core and non-core resources has consequences for the multilateral nature of the United
Nations development system, including a decrease in the flexibility and discretion that
United Nations entities have in the use of their resources. The implications stemming
from relatively slow growth in core funding are magnified, given that such funding is being spent to subsidize the non-programme costs of non-core projects, leaving fewer core
resources available for core programme activities”. Ivi, p. 3.
74
Bruce Jenks, Bruce Jones, United Nations Development at a Crossroad, New York
University, Center on International Cooperation, 2013, p. 9. Si stima che la cooperazione
sud-sud abbia superato i 20 miliardi di dollari nel 2013 e sia aumentata ancora nel 2014,
soprattutto per la decisione dell’Arabia Saudita di duplicare i suoi aiuti. Si veda Trends
and progress in international development cooperation, Report of the Secretary-General,
10 May 2016, E/2016/65, par 24, p. 11.
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stati definiti in decenni di negoziati e dibattiti all’interno delle Nazioni
Unite e del Dac. Oltre a riportare in evidenza la necessità di una riforma
della rappresentanza delle Istituzioni Finanziarie Internazionali e di alcuni organi delle Nazioni Unite75, l’attivismo di questi paesi pone ai donatori tradizionali il problema di individuare principi e strumenti di cooperazione condivisi76.
Consapevole della rilevanza di queste nuove sfide, nel 2014 l’Ecosoc
ha avviato un dialogo con i paesi membri e con gli altri attori impegnati
nella cooperazione allo sviluppo allo scopo di ridefinire il ruolo delle Nazioni Unite77, che ha portato all’approvazione della risoluzione
dell’Assemblea generale 243 del 2016: essa riafferma, tra l’altro, la centralità dell’azione dell’Onu, la necessità di interventi efficaci e coerenti,
coordinati con i paesi riceventi e il sostegno alla cooperazione sud-sud e
alla partecipazione del settore privato nei programmi di sviluppo, nel
quadro del raggiungimento dei Sustainable Development Goals e degli
accordi internazionali esistenti sul finanziamento delle cooperazione78.
75
Vale la pena rilevare che a complicare l’attuale assetto della cooperazione multilaterale
contribuiscono anche le attività, seppure limitate, di alcune organizzazioni regionali (come l’Unione Africana) e quelle di istituzioni nate recentemente come la New Development Bank, dei Brics, o la Asian Infrastucture Bank, a guida cinese. Esse rischiano di
sottrarre ulteriori risorse ai tradizionali canali multilaterali, la cui rilevanza rispetto ad altri flussi – come ad esempio le rimesse degli emigrati e gli investimenti diretti all’estero –
si è già peraltro ridimensionata dall’inizio degli anni Novanta. Jenks, Jones, United Nations Development at a Crossroad, cit., p. 14-15.
76
Gli studi sul ruolo dei nuovi donatori nella cooperazione internazionale sono divenuti
piuttosto abbondanti negli ultimi anni e si sono concentrati soprattutto sul caso delle politiche cinesi. Nell’impossibilità di dare conto qui di queste numerose ricerche, mi limito a
rimandare soltanto al numero monografico della rivista “Third World Quarterly”, Emerging Powers and the UN: What Kind of Development Partnership?, 2014, 10.
77
E/RES/2014/14, Progress in the implementation of General Assembly resolution
67/226 on the Quadrennial Comprehensive Policy Review of operational activities for
development of the United Nations system, 14 July 2014, par. 44, p. 8.
78
A/RES/71/243, Quadrennial comprehensive policy review of operational activities for
development of the United Nations system, 21 December 2016.
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